Notizie su Israele 174 - 13 maggio 2003


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Poiché il paese del quale stai per entrare in possesso non è come il paese d'Egitto dal quale siete usciti, e nel quale spargevi i semi e poi lo irrigavi con i piedi, come si fa con un orto; ma il paese del quale andate a prendere possesso è paese di monti e di valli, che assorbe l'acqua della pioggia che viene dal cielo: paese del quale il Signore, il tuo Dio, ha cura e sul quale stanno sempre gli occhi del Signore tuo Dio, dal principio alla fine dell'anno.

(Deuteronomio 11:10-12)



CONSIDERAZIONI DI UN'EBREA CHE VIVE IN ISRAELE

   
  





La potenza spirituale
del luogo speciale di Dio

di Sara Yoheved Rigler




Devo fare una confessione: sono innamorata della Terra d'Israele. Dopo averci vissuto per quasi 18 anni, con alle spalle due intifada, due Guerre del Golfo, gli alti e i bassi (quasi sempre bassi) dell'economia turbolenta israeliana, e due anni e mezzo di ondate di terrorismo che mi riempiono di sgomento e di terrore, il mio ardore per Israele non è diminuito.
    Perché amo Israele? Perché sono stata nella metà dei luoghi santi del mondo. Ho meditato a Varanasi, mi sono immersa nelle sacre acque del Gange, ho visitato il Vaticano, ho circumnavigato lo stupa buddista a Sarnath, mi sono bagnata nelle acque di Lourdes, mi sono arrampicata sulle Alpi Francesi per raggiungere il santuario della Madonna Piangente sotto tre metri e mezzo di neve, e ho visitato gli eremi remoti sull'Himalaia. Ho avvertito un senso di esaltazione in tutti questi luoghi.
Soltanto in Israele sento la presenza tangibile di Dio anche quando cerco un parcheggio per la macchina
Ma solo in Israele sento la presenza tangibile di Dio quando cerco una parcheggio, quando cucino la cena, quando faccio il bucato, quando rimango imbottigliata nel traffico, quando mi domando come pagheremo la bolletta telefonica.
Non dovrebbe sorprenderci. Dio ha promesso esplicitamente nella Torah che avrebbe avuto un contatto costante, ininterrotto con la Terra d'Israele e con quelli che vi avrebbero abitato: "Una terra che il Signore il tuo Dio scruterà continuamente; gli occhi del Signore tuo Dio sono su essa dall'inizio dell'anno fino alla fine" (Deut. 11:12).


Supervisione divina

    La maggior parte dei miei amici qui a Gerusalemme hanno una miriade di storie che narrano come l'intervento costante e diretto di Dio (chiamato in ebraico hashgacha pratit) si è rivelato nelle loro vite. Ma ve ne bastino un paio delle mie.
    Quando io e mio marito (un musicista) facemmo aliyah, la legge prevedeva che i nuovi immigrati potessero portarsi dietro tre "bagagli pesanti" senza pagarvi le tasse. Questo significava che avremmo potuto imbarcarci insieme alle nostre cose e ai mobili dall'America senza pagare la solita tassa del 100%: un'opportunità troppo appetitosa da lasciarsi scappare. Per nostro terzo ed ultimo "bagaglio pesante" comprammo un microonde, un'essiccatrice Maytag, un forno autopulente e tutto ciò di cui pensavamo avremmo avuto bisogno per il resto della nostra vita. Quando, arrivati in Israele, calcolammo il costo di tutto ciò che avevamo comprato, più le spese di imbarco e l'assicurazione, ci trovammo con un buco di 2.100 dollari.
    Pregai Dio di poter coprire al più presto questa cifra. Dopo tutto, avevamo fatto quegli acquisti per il bene della nostra vita in Israele.
    Qualche giorno dopo, ci giunse una lettera dalla Federazione Americana Musicisti, Locale 47, presso cui mio marito aveva lavorato. La circolare lo informava che le repliche di "Face the Music", uno show televisivo per cui aveva lavorato circa dieci anni prima, erano state vendute al Christian Broadcasting Network. Includevano un assegno di 2.100 dollari.
    Un'altra storia: negli appartamenti israeliani lo spazio è sempre un premio. Perciò, quando ci trasferimmo 14 anni fa nel nostro appartamento, mi ritenni fortunata di avere due ceste da bucato che, in termini di grandezza e di forma, entravano esattamente nello stretto corridoio fra la stanza da letto e il bagno, dove è situata la lavatrice. Dopo molti anni di utilizzo, una delle due ceste di plastica si ruppe al punto di non reggersi più in piedi. Però la gemella era ancora in perfette condizioni.
    Un giorno guardai la cesta rotta e mi dissi: "Non è adatto al tifferet Yerushalavim (lo splendore di Gerusalemme) avere questa robaccia rotta nel nostro appartamento". Ma dove avrei trovato un'altra cesta che potesse sostituire quella rotta? Certamente non fabbricavano più ceste di quel tipo. Persino il negozio dove l'avevo comprata non esisteva più. E quale speranza avevo di trovare due ceste nuove che andassero bene per quello spazio così ristretto?
    Il giorno seguente, dopo aver potato il mio giardino, rimasi con un cartone di detriti. Nel posto in cui viviamo nella Città Vecchia di Gerusalemme, mettiamo la spazzatura in stanze chiuse, una per diverse famiglie. Non mi ero recata nella nostra stanza della spazzatura da diverse settimane, perché è mio marito a portare via la spazzatura. Aprendo la porta per buttare il mio cartone di detriti, non credetti ai miei occhi. Lì davanti c'era una cesta identica alla mia, in buone condizioni.
    Voglio dire che l'Onnipotente Iddio del cielo e della terra si preoccupa delle mie finanze e delle mie ceste? Assolutamente sì! Questa è la qualità del Territorio di Israele: un impegno e un coinvolgimento totale. Una supervisione Divina costante, immediata, dettagliata. Un'intimità inesorabile con l'Infinito.
    Non stupisce allora capire come mai è così difficile vivere qui.


"Vai nel tuo vero essere"

    Dio ama il Paese d'Israele più di quanto lo faccia il Sionista più fervente. Come faccio a saperlo? Lo dice nel Suo Libro. Più e più volte. Nessuna brochure del Ministero del Turismo Israeliana esalta Israele più di quanto lo faccia la Torah. Secondo la Torah, Israele non è semplicemente un bel posto da visitare – o da vivere, ma un pezzo di terra inestricabilmente legato all'anima del popolo ebreo.
    Il primissimo ordine di Dio al primo ebreo, Abrahamo, fu di trasferirsi in Israele. "Vattene dal tuo paese, dal posto in cui sei nato, dalla casa di tuo padre, e recati nel paese che io ti mostrerò" (Genesi 12:1).
Andare nel Paese d'Israele significa spostarsi verso il nostro essere più vero e più profondo
La parola ebraica "andare" -- lech – è seguita dalla parola lecha, che significa "a te stesso". Il commentatore biblico classico Or HaChaim asserisce che recarsi nel Paese d'Israele significa muoversi verso il proprio essere più vero e più profondo.
Il patto che Dio fece con Abraamo, Isacco e Giacobbe, prometteva due cose ai loro discendenti: l'eternità del popolo ebreo e il Paese d'Israele.
    Nella prima rivelazione di Dio a Mosè, presso il cespuglio ardente, Egli dichiarò di aver ascoltato il dolore dei Figli di Israele nella cattività egiziana. Poi Dio rivela a Mosè il Suo piano di redenzione: "Sono sceso per liberarli dalla mano di Egitto e per portarli da quel paese ad un paese buono ed esteso, un paese in cui scorrono latte e miele…" (Esodo 3:8).
    L'Esodo non fu solamente il passaggio da uno stato di schiavitù ad uno stato di libertà, ma da un posto chiamato Egitto ad un altro che in seguito sarebbe stato chiamato Terra di Israele. Entrare in Israele era parte integrante della Redenzione.  Un popolo che era entrato in un rapporto speciale con Dio, che era stato testimone di miracoli evidenti, e al quale era stata data la Torah, non poteva che risiedere in questa particolare località, la Terra d'Israele.
    In tutta la Torah, si parla di Israele chiamandolo "eretz rechava", cioè un paese spazioso o esteso. E' sorprendente, perché Israele è un territorio minuscolo, della grandezza dello stato del New Jersey. Persino nell'antica Mesopotamia, Israele era una fetta di territorio circondata da grandissimi imperi. I nostri rabbini ci dicono che rechava non si riferisce alla descrizione geografica, ma piuttosto ad una raffigurazione spirituale. Israele è "esteso" perché sviluppa chi ci vive.


Solo nel territorio di Israele

    L'Ebraismo è l'unica religione al mondo connessa ad un paese specifico. Le altre religioni hanno dei siti sacri, dei fiumi e delle sorgenti speciali, ma l'Ebraismo sostiene che ogni centimetro di Israele nei confini biblici (non comprende Eilat e la maggior parte del Negev) è sacro.
    Tutto ciò ha delle conseguenze concrete immense per la pratica del Giudaismo. Ad esempio, tutti i mitzvot agriculturali (i comandamenti di produrre la decima, di lasciare riposare il terreno al settimo anno, ecc.) funzionano solo nel territorio di Israele. Come la Rebbetzin Tziporah Heller è orgogliosa di dire: "Un pomodoro che cresce nel Paese d'Israele è più santo della manna che cadde nel deserto". Perché? Perché a quel pomodoro è stato applicata la mitzot. E le mitzot sono il modo diretto con cui un ebreo si relaziona con Dio.
    Nel dare molte delle mitzvot della Torah, Dio inizia dicendo: "Quando giungerai nel paese..." Nacmanide, il grande saggio del 13esimo secolo, affermò che le mitzvot della Torah si potevano adempiere adeguatamente solo nel Paese d'Israele. Seguire le mitzvot fuori dal Paese, scriveva, era semplicemente un modo per continuare a far pratica, cosicché quando il popolo ebreo sarebbe tornato nel Paese, avrebbe saputo che cosa fare.
    Il Kuzari descrive il piano di Dio per educare il popolo ebraico come "regno di sacerdoti e nazione santa", paragonandolo al piantare una vigna. Un vignaiolo ha bisogno di quattro cose: tralci, terra, sole e pioggia. Il Kuzari spiega che i tralci sono il popolo ebraico; la terra è il Paese d'Israele, il sole è la Provvidenza Divina (hasgacha pratit) e la pioggia è la Torah. Chiaramente, se si piantano dei tralci francesi nella valle di Napa, l'uva che ne uscirà sarà diversa. Allo stesso modo, il popolo ebreo al di fuori di Israele non potrà adempiere il suo proposito e il potenziale divino.
    Il suolo d'Israele possiede una certa vitalità spirituale. Molti ebrei della Diaspora ritornando in Israele, o a Gerusalemme o al Muro del Pianto, hanno sentito un risveglio nell'anima. Il Muro, che si trova alla base del Monte del Tempio ed è la vestigia restante del Secondo Tempio, non ha alcunché di spirituale. Non ha affreschi, incenso, musica o un'architettura speciale. Eppure la Shechina, la Presenza di Dio, è così tangibile in quel luogo che sono pochi quelli che non la sentono.


Il posto speciale di Dio

Immaginate un fidanzato che porta la sua amata nel suo "posto speciale". Con in mano un cestino col pane e vino, camminando lui le descrive il suo posticino segreto. "E' così bello, così tranquillo, così remoto, come nessun altro posto al mondo. Ti piacerà".
    Infine giungono al posto, una radura isolata nella foresta. Lei da' un'occhiata e poi storce il naso: "Questo? Questo è il tuo posto speciale? Non c'è niente qui! Non c'è neanche una panchina per sedersi! Neanche un tavolo da picnic! Ti aspetti che mi sieda a terra e mi sporchi? E ci sono degli insetti sull'erba. Io odio gli insetti!"
    Se l'amata rifiuta il posto speciale del suo innamorato, quali prospettive avrà il loro rapporto?
    La Torah racconta di come nel secondo anno dopo l'Esodo, gli Israeliti arrivarono ai confini della Terra Promessa. Dieci delle dodici spie inviate ad esplorare il Paese fecero un resoconto negativo, ed il popolo rifiutò di "fare aliyah". I saggi dicono che questo peccato, il rifiuto del Paese d'Israele, fu in qualche modo più grave dell'idolatria del Vitello d'Oro. Dopo l'incidente del Vitello d'Oro, Mosè ritornò sulla cima del Monte Sinai e implorò il perdono divino, che gli fu concesso. Ma noi non siamo mai stati perdonati per aver rigettato il Paese d'Israele.
    Se l'amata rifiuta il posto speciale del suo innamorato, quali prospettive avrà il loro rapporto?


E' molto più che un semplice nazionalismo.

    Un modo per rifiutare Israele è rifiutarsi di vivere qui. C'è un altro modo, più pernicioso, per rifiutare il posto speciale di Dio:
Israele non è semplicemente un bene immobiliare
trattarlo come un qualunque altro bene immobile.
Immaginate che l'innamorato porti la sua amata in questo speciale posto di incontro. Lei lo guarda ed esclama: "E' bellissimo! Potremmo farlo diventare un bene immobile in via di sviluppo. Potremmo dividerlo in dozzine di piccoli pezzi di terra, da 50 per 60 ciascuno".

Il Paese d'Israele non ha niente a che vedere con il nazionalismo. L'obiettivo di "rendere Israele un paese come tutti gli altri" ne viola la vera essenza. Immaginate che gli architetti di Firenze decidano di dar via tutte le incommensurabili opere d'arte della città, solo per rendere Firenze "una città come tutte le altre". Il tesoro incommensurabile di Israele è la sua peculiare identità ebraica, la sua potenza spirituale, la sua santità.

Il Paese d'Israele non è un rifugio dall'antisemitismo. Quell'obiettivo ci è ritornato addosso come un boomerang. Oggi Israele è l'unico paese al mondo dove molti ebrei vengono uccisi semplicemente per il fatto di essere tali.

Il Paese d'Israele non è per avere un posto dove gli ebrei abbiano il potere. Sì, Israele ha un Presidente ebreo, un Primo Ministro ebreo, dei legislatori, dei sindaci e dei burocrati ebrei. Ma ha anche criminali ebrei e tossicodipendenti ebrei.

Il Paese d'Israele è il posto che Dio ha scelto per incontrare il Suo popolo ebreo.

Come ci lasceremo sfuggire quest'opportunità?

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Sara Yoheved Rigler si è laureata presso l'Università Brandeis. I suoi viaggi spirituali l'hanno portata in India e in quindici anni di apprendimento della filosofia e della meditazione Vedanta. Dal 1987 ha praticato il Giudaismo della Torah. Scrittrice, risiede nella Città Vecchia di Gerusalemme, insieme a suo marito e ai suoi figli. I suoi articoli sono stati pubblicati in: "Jewish Women Speak about Jewish Matters", "Chicken Soup for the Jewish Soul", e "Heaven on Earth".

(Aish.com, 4 maggio 2003 - trad. www.ilvangelo-israele.it)



GLI ISRAELIANI DI ORIGINE ITALIANA


Israeliani di origine italiana

di Deborah Fait
   
    Sono circa 9000 sparsi per tutto il paese.
    Italiani venuti in Israele  prima del 48 e poi negli anni a venire. Italiani oggi anziani ma con la memoria viva, pronti a raccontare le loro avventure, le loro tragedie, le loro fughe dall'Italia fascista e post fascista e poi ancora le loro fughe dagli inglesi che non li lasciavano arrivare in Israele.
    Racconta Miriam: " Avevo 13 anni, gli inglesi volevano farci tornare indietro,  mi sono gettata in mare dalla nave ancorata al largo della costa e sono arrivata a nuoto".
    In Israele venivano ospitati in tende e dovevano fare attenzione alle scorribande degli arabi sempre pronti a entrare nei campi dei nuovi  ebrei per ammazzarli.   
    I profughi di allora sono poi diventati stimati professionisti, intellettuali, si sono integrati con estrema facilita' e si  sono trasformati completamente e orgogliosamente in  israeliani.
    Colti e preparati,  gli italiani di Israele  sono stati una spinta molto  positiva per il paese e la sua crescita sociale ed economica,  hanno amato Israele con la fiducia e l'innocenza che i figli danno alla Madre che li riaccoglie abbracciandoli dopo anni di peripezie e di esilio. Forse si sentivano finalmente  a casa questi ebrei , sionisti al punto da dimenticare

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di insegnare ai figli la lingua d'origine per usare solo l'ebraico con cocciutaggine. Taglio netto col passato. 
    Erano  i sentimenti  di allora, troppe sofferenze, troppa paura, troppi brutti ricordi, dimenticare tutto per ricominciare a vivere nel paese  che li aveva ricevuti in poverta', la poverta' di allora, una vita spartana da pionieri  ma  tanta solidarieta'.
    I fratelli erano insieme ai fratelli e lottavano per avere una casa e per dare un futuro ai loro figli, lontano dall'inferno d'Europa.
    E poi ancora guerra, proprio qui dove erano venuti a cercare un po' di pace e sicurezza,  ma era diverso: non piu' la fuga , non piu' la paura di essere traditi, denunciati e trascinati, inermi, a perdere la dignita' e la vita nei lager , questa volta la guerra era per la vita e per il futuro.
    Un'esperienza nuova, una speranza nuova , tutti insieme, tutti uniti, fratelli ebrei, per difendersi  dai nuovi carnefici. Difendersi , mai piu' subire.     
    Gli ebrei italiani sono sempre arrivati in Israele a ondate ma sempre pochi, chissa' perche', forse per pigrizia , forse per la difficolta' di abbandonare, senza necessita', le comodita' e la sicurezza per una vita piu' faticosa e  pericolosa.
    Arrivavano  sull'onda dei rigurgiti antisemiti che si riversavano sul tranquillo e borghese mondo ebraico italiano ogni volta che Israele era cattivo.
    Nel 1967 Israele aveva vinto e conquistato dei territori e un certo numero di ebrei italiani preferirono abbandonare l'Italia, stufi di sentirsi apostrofare come criminali perche' Israele non si era lasciato distruggere come promesso dagli arabi. 
    Nel 1973 ancora peggio,  l'invasione questa volta! Ma Israele aveva ribaltato con disperato coraggio la situazione e  aveva ancora osato vincere.
    Altri italiani arrivarono.
    Nel 1975, alle Nazioni Unite,  un Segretario nazista aveva appoggiato la richiesta dei paesi arabi e il sionismo fu parificato al razzismo.
    Altri italiani arrivarono.
    L'ondata maggiore di antisemitismo fu nel 1982, il culmine dell'odio superato soltanto in questi ultimi due anni e altri  italiani arrivarono disgustati, delusi , amareggiati.
    La Bella Italia paragonava Israele  al Male e al Demonio, filoarabi invadevano le piazze di Roma e Milano urlando slogan per la distruzione  del piccolo Paese  penetrato in Libano per difendersi dai continui bombardamenti e scorrerie palestinesi con assassini di intere famiglie e di bambini nelle scuole delle citta' della Galilea.
    Bambini ebrei nelle scuole statali italiane venivano maltrattati e offesi.
    I pacifisti dell'epoca sfilavano bardati di kefiah, a pugno chiuso, urlando "Morte a Israele" 
    Il piccolo Stefano Tache', a Roma,  fu ammazzato.
    Fiumicino, Achille Lauro, Sigonella, pacifisti, odio ....lo stato di Israele deve essere distrutto, urlavano.
    Via via italiani ebrei, via dalla Bella Italia!   
    Poi Oslo e allora finalmente gli  italiani arrivavano con gioia , per studiare, poi gli piaceva e si fermavano, volevano aiutare il paese a svilupparsi sempre di piu' e sempre meglio nella Pace tanto desiderata.
    Quanta felicita' e quanta speranza in quegli anni, quanto entusiasmo e ottimismo, a quei ragazzi, tra i quali c'era anche mio figlio di appena 19 anni, sembrava di avere il mondo in mano: Israele,  la PACE, il futuro.
    Purtroppo quel bel sogno venne cancellato da Arafat che, non accettando le proposte di Barak , anziche' fare delle controproposte come si usa, tra persone civili, quando sono in corso importanti trattative,  da barbaro terrorista qual'e' preferi' la guerra.    
    Gli italiani che arrivano oggi sono un po' diversi, meno sognatori,  alcuni  vengono per ideologia, altri fanno alya' disgustati dal nuovo rigurgito di antisemitismo che scuote l'Italia e l'Europa. Non sono molti purtroppo, pare che tra gli ebrei italiani, a differenza di quelli di altri paesi,  il sionismo non sia molto gettonato.
    Hanno paura, la guerra, il terrorismo , l'incertezza, la crisi economica. Timori piu' che comprensibili ma Israele avrebbe tanto bisogno di sentire un po' di solidarieta'.
    I tempi sono cambiati, diciamoci la verita':
    Chi avrebbe oggi il fegato di scavalcare il parapetto di una nave, gettarsi tra le onde e arrivare in Israele a nuoto?
    Per amore, soltanto per amore.
    
(da Informazione Corretta)



LA MADRE PATRIA E IL PADRE PATRIA


Sono ebreo!

di Arik Walker

Oggi scrivo perché sono ebreo. Un ebreo apparentemente ordinario, in un ordinario stato di diritto in Occidente. Un ebreo che s'inquieta e si preoccupa meno per lui che per i suoi cari, i suoi parenti, i suoi amici, i figli degli amici, i parenti degli amici. E anche, un po', tuttavia, per sé stesso.


Sono francese!

    Quando ero più giovane, diciamo adolescente e giovane adulto, credevo che essere francese fosse qualcosa. Qualcosa che si porta dentro, che ti commuove quando senti la Marsigliese o guardi la bandiera. Un sentimento di patriottica fierezza perché si appartiene alla patria di Rousseau, di Voltaire, dei rivoluzionari del 1789, come anche  di de Gaulle e di Jean Moulin. La grandezza della Francia.  La Francia, paese faro del mondo, madre delle democrazia o poco ci manca.
    Io, piccolo ragazzo o giovane ebreo di provincia, non mi sono mai preoccupato molto dell'antisemitismo, che oggi più precisamente si chiama giudeofobia.
    Francese, io  mi sono sentito per tutta la vita. Il mio servizio militare: l'ho fatto nell'aeronautica francese. La mia lingua materna: il francese. I miei autori preferiti: Hugo, Sartre, Ronsard, Giono, Balzac.
    Francese di confessione ebraica, come francese di confessione protestante, cattolica o musulmana (ce n'erano pochi quando andavo alle elementari), ma francese educato nella scuola laica della Repubblica.
    I miei nonni materni lasciarono il loro shtetl della Bielorussia e i pogrom, e si stabilirono a Parigi. "Felici come D.o in Francia", dice il proverbio yiddish. A dispetto dell'affare Dreyfus, che cosa poteva succedere agli ebrei francesi? Zola aveva ridato un senso dell'onore alla nostra patria. Erano gli anni folli dopo il 1918.
    I miei nonni paterni erano alsaziani, e da secoli vivevano nella valle del Reno. Di volta in volta francesi, poi tedeschi dopo il 1870, e di nuovo francesi nel 1918, hanno sempre portato fedeltà e patriottismo alla Francia. Rivedo ancora la foto di mia nonna, all'età di 18 anni, al tempo dell'armistizio del 1918, vestita in costume folcloristico alsaziano con la coccarda tricolore sulla cuffia.
    Poi arrivarono i tempi in cui il proverbio yiddish fu smentito.
    I miei nonni materni presero i treni per Auschwitz e Maïanek, dopo essere stati privati della loro nazionalità francese. Divenuto apolide, mio nonno poteva combattere nell'esercito francese soltanto nella Legione Straniera. La famiglia paterna visse l'evacuazione dall'Alsazia, poi l'esodo dovuto all'avanzata dei tedeschi, con attaccata la stella gialla.
    Ma tutto questo fa parte del passato. E' sufficiente conservarlo nella memoria di famiglia, non voglio infastidire tutti, e soprattutto non voglio servire da specchio ai vecchi collaboratori di Vichy. Allora si tace, ma non si rinnega. Io sono come molti, un ebreo tradizionale, cioè non porto segni distintivi, vivo il mio ebraismo come altri il loro cristianesimo, cioè nella sfera privata, integrato quindi nella Repubblica.
    Poi sono venuti gli attentati di Rue des Rosiers e la crescita dell'estrema destra a ravvivare molti ricordi dolorosi. Sono cominciate a emergere delle prese di coscienza. Avevo 20 anni.
    Ho continuato a sentirmi ebreo in Francia come D.o in Francia.
    In seguito all'evoluzione della società, alle prese di posizione dei politici in materia di relazioni internazionali, sempre di più anti-sioniste dopo il 1967, ho scoperto che oltre a essere francese, avevo un non minore attaccamento culturale e tribale a Israele. Ma perché avrei dovuto andare a vivere laggiù, quando non parlo nemmeno l'ebraico? A mala pena riesco a leggere le preghiere.
    Molti miei amici sono "saliti" in Israele, hanno fatto la loro aliyà. Alcuni membri della mia famiglia sono israeliani, come altri peruviani o americani.
    Ma io sono francese, vivo in Francia, lavoro in Francia. Non ho che un passaporto. E dopo tutto non il solo.
    Avendo ricevuto un'educazione umanista da una parte, e un'educazione alla cosa politica dall'altra, al fine di poter capire, o di sapere come cercare di capire senza prendere tutto per oro colato, ho cominciato a imparare, a scoprire, per potermi formare delle opinioni proprie. Non è questo il più bel dono che dei figli possono ricevere dai loro genitori?
    Tutto questo è possibile anche perché vivo in uno stato di diritto che mi rispetta nella mia integrità grazie a una Costituzione, o per lo meno così ho creduto fino a poco tempo fa.
   
   
Sono ebreo!

    Com'è dolce questa parola: Yehudi; riporta alla provincia di Giudea, sede di Gerusalemme. Trae la sua etimologia dal quarto figlio di Lea: Giuda (Yehuda), "il celebrante", colui che celebra D.o.
    E' una fortuna essere ebreo. Se dovessi reincarnarmi con la possibilità di scegliere la mia religione, sceglierei quella lì, la religione della libertà e dei libri, del Talmud, dello studio dell'esegesi, la religione della vita a dispetto degli orrori che gli ebrei hanno subito per secoli e che temiamo di vivere ancora in questo inizio del XXI secolo (il 58esimo del calendario ebraico).
    Ho scoperto che la Francia è la mia madre patria come Israele è il mio padre patria.
    La madre dà la vita, insegna a parlare, a camminare; il padre insegna e trasmette il sapere e la memoria nel simbolo. Può darsi che fra poco romperò il cordone ombelicale.
   
   
Sono ebreo!

    Da due anni e mezzo non passa giorno che i media non me lo ricordino, non c'è un giorno in cui non abbia il sentimento che la mia madre patria mi abbandoni, non un giorno in cui non mi avvicini di più al mio padre patria.
    Sono ebreo, e in quanto tale ho perso degli amici, perché l'ebreo oggi ammazza i bambini dei palestinesi come una volta ammazzava i bambini cristiani alla vigilia di Pasqua!


Sono ebreo!

    E non si smette di dirmi alla radio, alla televisione, su una gran parte della stampa, nelle strade del mondo, a cominciare dalle strade di Parigi, che non si vogliono più ebrei! Del resto, basta andare alle manifestazioni, nei partiti politici, nelle università, nei corsi ricreativi delle scuole.
    Oh, gli uomini sono perversi e oggi esitano a gridare 'morte agli ebrei". Gridano invece "morte a Sharon", Israele assassino", "siamo tutti palestinesi", e non succede niente.
    Questi ebrei che infastidiscono il mondo con la loro Shoah e con il loro "Israele, parentesi della storia", per non citare che l'attuale presidente francese! Se ci fossero rimasti tutti, sarebbe stato tutto più semplice. Questi ebrei che adesso con il loro Israele molestano i palestinesi; questi ebrei di nuovo capro espiatorio dei mali del mondo.
    Questo non cambierà mai fino a che ci saranno degli ebrei. E tuttavia il mondo dovrà adattarsi all'idea che ci saranno sempre degli ebrei.
    Quanti siamo? Una quindicina di milioni, appena lo 0,25% della popolazione mondiale, e non si parla che di noi, e non si cessa di voler vederci scomparire!
    La Francia non vuole più ebrei, è chiaro. Non più delle altre nazioni della terra, Durban l'ha dimostrato.  Anche sui loro 20.000 chilometri quadrati di deserto che hanno osato far fiorire, e nel sottosuolo arido come un otre vuoto, disturbano, importunano! Stiamo diventando, giorno dopo giorno, cittadini di seconda categoria. I silenzi politici, i sondaggi sulle aggressioni a carattere razzista lo dimostrano. Ormai quasi più nessuno si indigna. Se gli ebrei sono colpiti, è colpa loro! Potremmo andarci a stabilire sulla luna, ma non è ancora pronta a riceverci e il progresso spaziale non ci permette di andare in esilio su un altro pianeta lontano dalla terra. E poi, ci lascerebbero? Ne dubito!
       

Sono ebreo!

     Sono ebreo e il mondo vuole impedirci di vivere, di respirare, di esistere, di essere. Ma noi siamo, e non spariremo; o per lo meno senza sollevarci fino all'ultimo uomo, come nel ghetto di Varsavia. Che lo si dica!
     Su questa terra io sono a casa mia e ho gli stessi diritti degli altri 6 miliardi di esseri umani, o pretesi tali, che sono qui e dividono con me l'aria che respirano.
     E come essere umano ho il diritto di decidere dove voglio vivere. Non mi si può negare il diritto di vivere in un certo posto, o semplicemente di vivere, perché sono ebreo.
     Sono un ebreo che si allontana ogni giorno di più dalla Marsigliese, portatrice di libertà e rivoluzione, per avvicinarsi all'Hatikva, canto di speranza.
     Sono ebreo e sono anche uomo. E l'uomo si dirige là dove spera di vivere. Sempre! Va verso il luogo dove trova valori di dignità e di coscienza che democraticamente gli permettono di vivere, di intraprendere, di svilupparsi, di amare.
     Per gli ebrei in Francia è arrivato il tempo come nel 1394, quando furono cacciati dal cattolicissimo Filippo il Bello? Ogni giorno che passa ci inquieta un po' di più.
     Essere pronti a partire, lasciare il caro paese della propria infanzia. "Douce France, cher pays de mon enfance, chargé de tant d'insouciance, tu es si cher à mon coeur..."(1)
     Ma non più per emigrare ed errare, ma per raggiungere il padre patria, raggiungere le colline di Sion, rientrare a casa e sentirsi a casa propria, accolti come al ritorno da un lungo e pericoloso viaggio. E poter dire: sono israeliano!
     Semplicemente senza doversi giustificare del fatto di essere un ebreo.

Essere! Semplicemente essere!

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(1) Dolce Francia, caro paese della mia infanzia, così pieno di indifferenza, sei così caro al mio cuore...

(Guysen Israël News, 12 maggio 2003 - trad. www.ilvangelo-israele.it)



MUSICA E IMMAGINI


Il compositore russo Dimitri Shostakovic un giorno ha detto della musica ebraica: "Ogni musica popolare è bella, ma della musica ebraica devo dire che è unica!" Era un complimento riservato soprattutto alla musica klezmer, una "musica dell'anima", nello stesso tempo gioiosa e triste, che viene da un'interiorità profonda e vuole raggiungere il cuore.
    Klezmer è la musica strumentale e vocale degli ebrei dell'Europa orientale.  Traendo origine dal ceppo antichissimo della musica religiosa ebraica, si è sviluppata nel corso di molti secoli e ha via via assorbito molti elementi della locale musica popolare.
    I klezmorim erano musicisti itineranti, e portavano la musica secolare nei matrimoni e nelle feste. I loro strumenti erano violini, viole, flauti, ottoni e percussioni.
    La musica klezmer ha continuato a svilupparsi fino ai nostri giorni, integrando sempre  nuovi elementi di musica popolare.

«Wot ken ju mach? Ess is Amerike!



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