Notizie su Israele 175 - 18 maggio 2003


<- precedente    seguente ->                                                                                                                                                 indice
«Ascoltatemi, o gente dal cuore ostinato, che siete lontani dalla giustizia! Io faccio avvicinare la mia giustizia; essa non è lontana, la mia salvezza non tarderà; io metterò la salvezza in Sion e la mia gloria sopra Israele.»

(Isaia 46:12-13)



IL «DIRITTO AL RITORNO»: UNA TRAPPOLA POLITICO-LEGALE


I responsabili dell'Autorità Palestinese, tra cui il nuovo Primo Ministro Abu Mazen, pongono come condizione irrinunciabile di ogni trattativa con Israele la dichiarazione di un "diritto al ritorno" dei profughi palestinesi nel "loro territorio". E aggiungono, con apparente disponibilità, che sul numero dei profughi da far rientrare, sui tempi e sui modi si può discutere in sede di trattativa. E' un atteggiamento che sembra ragionevole, ma che in realtà è un'altra delle trappole che gli astuti negoziatori arabi sanno tendere, non senza ottenere la pronta approvazione di molti ottusi commentatori di formazione democratico-occidentale. L'articolo che segue mette in evidenza tutto questo con chiarezza. M.C.


Una condizione preliminare pienamente giustificata

di Michael Anbar

Il primo ministro Ariel Sharon ha richiesto come condizione preliminare per qualsiasi altro negoziato con gli arabi, che rinuncino  alla richiesta del "diritto al ritorno" per i profughi del 1948 ed i loro discendenti. L'ovvio argomento per questa precondizione è che un tale "diritto al ritorno" provocherebbe una conquista demografica degli arabi musulmani nello Stato d'Israele, che vuole rimanere uno stato democratico ebraico.
    Porre una tale precondizione è logico, ma per tutt'altre ragioni. Prima di tutto, la domanda da porsi è: chi è il primo responsabile dei problemi dei profughi? Senza tener conto dell'argomento "classico" secondo cui tutti o parte di quei profughi lasciarono il territorio israeliano volontariamente, è chiaro che partirono in seguito alla guerra del 1948.
    Quindi, il responsabile di quella guerra ha anche la responsabilità dei suoi profughi. Sappiamo tutti che la guerra del 1948 è stata promossa da una coalizione di paesi arabi, sotto gli auspici della Lega Araba, con l'intento dichiarato di estirpare il neonato stato ebreaico. Questo assalto è avvenuto in disaccordo flagrante con la legislazione internazionale (l'attraversamento in stato di guerra di un confine internazionale, come l'invasione tedesca della Polonia nel 1939) ed è stato anche una violazione ovvia della risoluzione ONU del 1947, che riconosceva la costituzione dello stato ebreaico. Di conseguenza, la responsabilità del problema profughi è da addossare completamente ai paesi arabi aggressori.
    Comunque, gli arabi che negano la legittimità della costituzione dello stato ebraico in "territorio arabo", affermano che la loro campagna militare era giustificata. E lo è stata certamente per la legge islamica, che vieta di concedere qualsiasi "territorio arabo" agli infedeli.
    Ma se quell'affermazione araba viene accettata, la conseguenza è questa:

E' in questione la legittimità dello Stato d'Israele il quale, pur essendo stato riconosciuto da USA, USSR e dall'ONU, non è stato riconosciuto dai suoi vicini stati arabi militanti.
   
    Se l'attacco del 1948 era legalmente giustificato, allora la responsabilità dei profughi di quella guerra ricade su Israele. In altre parole, qualsiasi concessione sulla questione del "diritto al ritorno" implica che lo Stato d'Israele è illegittimo e che la campagna araba era legale e giustificata, così come  gli attacchi arabi del 1967 e del 1973, e l'Intifada dell'OLP negli ultimi trenta mesi. Arafat e i suoi cortigiani a Camp David l'hanno capito molto bene, quando si sono impuntati sul "diritto al ritorno".
    Qualsiasi concessione araba su questo argomento così cruciale implica la legittimazione dello stato ebraico e la fine degli attacchi "giustificabili" contro di esso, sia di matrice militare che terroristica. È questo il vero motivo per cui gli arabi non vogliono far stanziare i profughi "palestinesi" nei loro paesi. Un ufficiale sforzo concordato arabo sarebbe equivalso all'ammissione di responsabilità della guerra del 1948 ed avrebbe legittimato lo stato ebraico. La propaganda araba è riuscita a trasformare questo argomento politico-legale in una questione umanitaria. Il problema dei profughi è stato crudelmente sfruttato dalla leadership araba per fare pressioni politiche su Israele. I politici arabi sono più furbi di quanto sembra, mentre – per qualche strana ragione – la leadership israeliana ha chiuso gli occhi durante e dopo la Conferenza di Madrid del 1991, ignorando questo problema legale molto critico. Ariel Sharon evidentemente tiene ben conto delle diverse implicazioni del "diritto al ritorno" e per questo non vuole fare nessuna concessione prima che questa faccenda sia sistemata.
    Si deve sottolineare che il problema dei profughi non è una faccenda fra Israele e gli arabi "palestinesi", ma fra Israele e gli stati arabi che l'hanno attaccato nel 1948. E' sorprendente notare che questo fatto così importante non sia stato sottolineato e che perciò è poco noto sia al pubblico americano che a quello israeliano [e ancora di più a quello europeo, n.d.r.]. Ma il presidente Bush e i suoi consiglieri devono avere ben presente questa sfaccettatura critica del "processo di pace" che stanno cercando di promuovere così sinceramente. E probabilmente è questo il motivo per cui Bush ha affermato ripetutamente che è necessario che tutti i paesi arabi siano "coinvolti" nel processo di pace.
    Il segretario di Stato Powell, d'altra parte, sembra cercare soluzioni che riducano la tensione fra l'Autorità Palestinese e Israele, ponendo "poca" fiducia nei passi di costruzione (vedi il Piano Mitchell). Ma questo significa trattare i sintomi, ridurre la febbre, invece di curare la malattia. La "malattia" è l'illegittimità degli attacchi arabi nel 1948. La cura è riconoscere quel fatto e di conseguenza garantire allo stato ebraico un pieno riconoscimento da parte di tutti gli arabi dell'antico territorio del popolo ebraico. Evitare questa questione o posporla a "discussioni" successive significa lasciare incurata la malattia, e doversi aspettare altri scoppi di violenza in qualsiasi momento del futuro.
    C'è ancora un altro aspetto del "diritto al ritorno" che merita attenzione quand'anche ci fossero soltanto 100.000 profughi, un numero il cui ritorno non influenzerebbe il bilancio demografico nello stato ebreo. I profughi arabi che ritornano riconoscerebbero Israele quale territorio storico del popolo ebraico o continuerebbero a richiedere l'eliminazione dello stato ebraico, in sintonia con gli arabi dei paesi circostanti? Se questi profughi venissero ammessi senza condizioni in Israele, si sentirebbero giustificati nel continuare a negare la legittimità di Israele. Diventerebbero allora l'inizio di una "quinta colonna" che ha l'obbligo di aiutare i loro fratelli nei futuri attacchi arabi contro lo stato ebraico. Inoltre, lo stesso obbligo ideologico si applicherebbe allora anche agli attuali cittadini arabi d'Israele. In altre parole, anche l'ammissione di un numero limitato di profughi arabi, come quelli onestamente offerti dall'ex primo Ministro Barak nel 2000, potrebbe avere conseguenze disastrose per lo stato ebraico.

(Israel's daily newsmagazine, 13 maggio 2003)



ARAFAT: «I PROFUGHI TORNERANNO IN PALESTINA»


RAMALLAH - Giovedì scorso [15 maggio] il capo palestinese Yasser Arafat ha promesso ai palestinesi che tutti i profughi ritorneranno. Occasione del suo discorso davanti al Consiglio Legislativo Palestinese è stato lo "Yom al-Nakba" ("Giorno della grande catastrofe"), in cui i palestinesi fanno cordoglio per la fondazione dello Stato israeliano.
    «In questo maledetto giorno è stato fondato lo stato israeliano - ha detto Arafat -, con la forza delle armi e attraverso una congiura imperialistica che ha spinto il nostro popolo nella diaspora e l' ha gettato nei lager, tra spaventosi crimini e massacri». Il discorso è stato trasmesso in diretta alla televisione palestinese, come riferisce il quotidiano "Yediot Aharonot".
     Gli avvenimenti che hanno portato alla fondazione dello Stato d'Israele sono descritti in questo modo dal capo dell'OLP: «Nel 1947 gli imperialisti che regnavano all'ONU decisero di dividere in due Stati la nostra patria Palestina: uno ebraico-israeliano e uno arabo-palestinese».
         Ma lo Stato arabo non è nato e la comunità internazionale non ha reagito, «cosicché il nostro popolo ha dovuto scegliere tra due vie: o la scomparsa o la lotta e il restare attaccati alla nostra eterna patria. Il nostro eroico popolo non ha esitato a scegliere la via del legame alla nostra sacra patria. Il nostro popolo non sparirà e non sarà umiliato e non sarà messo in ginocchio. La Palestina è la nostra patria, e la patria dei nostri padri, e la patria delle future generazione. Noi non abbiamo altra patria se non lei.»
         Arafat ha promesso ai suoi ascoltatori il ritorno dei profughi che avevano lasciato le loro case durante la guerra di indipendenza israeliana: «Ogni profugo palestinese aspetta il giorno in cui abbraccerà il terreno della nostra patria Palestina, Palestina, Palestina! In nome di Allah, quelli che furono scacciati dalle loro case, vi ritorneranno. Per 55 anni martiri e feriti sono caduti sulla via della liberazione e del ritorno, e oggi migliaia di palestinesi si trovano nelle carceri israeliane perché hanno combattuto contro l'occupazione e hanno cercato di vivere in pace e indipendenza. Io li benedico e prometto loro che continuerò a combattere per la loro libertà. La loro libertà è il più alto obiettivo, equivalente alla libertà della patria.»
         Il capo palestinese ha detto inoltre che Allah non verrà meno ai suoi obblighi e il popolo palestinese avrà la vittoria - nonostante tutte le cattiverie e i tentativi di spingerlo alla diaspora e in sparpagliati campi profughi. «La guerra scoppia in Palestina e la pace comincia in Palestina», ha detto Arafat. La pace dei coraggiosi che aveva firmato con il Premier ucciso Itzak Rabin è la scelta strategica dei palestinesi.
         Il capo dell'OLP ha invitato gli Stati della comunità internazionale ad attenersi ai patti stabiliti. E ha esortato i palestinesi a dimostrare unità e  coesione. Ha promesso ai suoi ascoltatori che un giorno un ragazzo palestinese sventolerà la bandiera palestinese sui muri di Gerusalemme e sui suoi luoghi santi.
         In molti posti dei territori dell'Autonomia giovedì si sono fatte delle processioni per lo "Yom al-Nakba". Alla grande dimostrazione che ha avuto luogo nella città di Gaza hanno preso parte più di 10.000 palestinesi, Hanno promesso che non rinunceranno al diritto al ritorno.
         Nel "Giorno della grande catastrofe", che cade il 15 di maggio, i palestinesi ricordano i circa 700.000 profughi palestinesi che dopo la fondazione dello Stato d'Israele il 14 maggio 1948 fuggirono o furono espulsi.

(Israelnetz Nachrichten, 15.05.2003)



IL VERO MOTIVO DELLA MANCANZA DI PACE TRA ISRAELE E PALESTINESI


Gli insediamenti non sono il vero problema

di Jerry Rapp


La posizione che considera gli insediamenti israeliani nel territorio occupato da Israele dopo la guerra del giugno 1967 l'ostacolo maggiore alla pace fra Israele ed i Palestinesi è un pretesto. Quella guerra, la terza che Israele fu costretto a combattere in soli 19 anni per auto-difendersi, a quei tempi fu virtualmente ed universalmente riconosciuta necessaria per la sopravvivenza di Israele, a causa delle minacce provocatrici e bellicose dei suoi vicini arabi.
    In quei primi 19 anni dell'esistenza moderna di Israele come paese democratico, prima dell'esistenza di un solo insediamento israeliano, questo stato era sotto l'attacco costante degli arabi che avevano l'intenzione di scacciare gli ebrei dal Medio Oriente. Durante quello stesso periodo, Israele assorbì gli ebrei sopravvissuti dal più deprecabile gesto di crudeltà, l'Olocausto, ma anche innumerevoli profughi ebrei perseguitati nei vari paesi arabi dove avevano vissuto per secoli. Questi, e gli ebrei che vivevano già in Israele, molti dei quali da generazioni, adempirono un sogno biblico, convertendo un territorio paludoso in "un paese con latte e miele". Oltre a stabilire e mantenere una struttura governativa responsabile, interattiva e vibrante, essi fondarono ed incrementarono varie istituzioni fiorite nel campo delle arti umanitarie, delle scienze e di innumerevoli campi tecnologici, nonostante il costante stato belligerante in cui si trovavano.
    Nello stesso periodo, la Giordania e l'Egitto occuparono rispettivamente la Cisgiordania e Gaza. Nessuno di questi paesi offrì ai Palestinesi, loro fratelli e sorelle consanguinei arabi, neanche per un momento un ettaro del loro territorio per farci uno stato. Piuttosto, essi ed altri paesi arabi accettarono di lasciar vivere i palestinesi in miseria, alimentando il loro odio per Israele. Nei primi anni '70, re Hussein di Giordania mosse persino guerra contro l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, anticipatrice dell'Autorità Palestinese, cercando di distruggerla.
    Prima del giugno 1967 la distanza in Israele, nei punti più vicini, era minore di quella fra il nord e il sud di Manhattan. Da una prospettiva strettamente militare, mantenere il territorio occupato era un buon motivo per difendersi da un altro attacco.
    Il vero motivo per cui non si è ancora raggiunta la pace fra Israele ed i palestinesi è perché molti palestinesi, ma anche tanti arabi, desiderano che Israele non esista in Medio Oriente come stato ebreaico. Sin dal 1948, per tutti i 54 anni in cui Israele si è unito alla famiglia delle nazioni, i testi ed altro materiale educativo nelle scuole palestinesi e nelle scuole di tutto il mondo arabo sono stati riempiti di stravolgimenti e di propagande antisemitiche, che non hanno fatto che alimentare l'odio delle giovani generazioni arabe contro Israele e contro gli ebrei. I predicatori del venerdì nelle moschee arabe sputano veleno contro Israele e contro le diatribe antisemitiche, alimentando un odio maniacale contro gli ebrei.
    Un'indagine condotta dal Centro Comunicazioni & Media Gerusalemme, un rispettato istituto di statistiche palestinese (Sondaggio della Pubblica Opinione n. 45; 29-31 maggio, 1-2 giugno 2002), che ha usato un campione a caso di 1177 palestinesi maggiorenni, che vivevano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, ha prodotto i seguenti risultati:  il 65.3% si oppone o si oppone vivamente agli accordi di Oslo; il 52.3% si oppone o si oppone fortemente ai negoziati di pace fra i palestinesi ed Israele, e il 51.1% vuole la fine di questa Intifada alla liberazione di tutta la Palestina storica.
    Soltanto nello scorso anno, nel 2002 (il 21esimo secolo), un professore universitario in Arabia Saudita ha pubblicato un articolo in cui afferma che gli ebrei usano il sangue dei bambini musulmani e cristiani per cucinare la hamentaschen (una leccornia tradizionale) durante la festività ebraica del Purim [v.--> Notizie su Israele 179]. Quanto si deve essere dissennati e/o immersi nell'odio per poter credere ad una propaganda così oltraggiosa?
    Dopo la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, ci sono stati alcuni autorevoli israeliti che hanno spinto il governo a non occupare il territorio conquistato durante la guerra, prevedendo un potenziale incubo (anche se i paesi arabi coinvolti avevano rifiutato di riprendere la Cisgiordania, Gaza e le alture del Golan in cambio di un trattato di pace). Non sapremo mai cosa sarebbe accaduto se il loro consiglio fosse stato ascoltato. Pensare comunque, da un punto di vista storico, che ci sarebbe stata pace ed armonia senza l'esistenza degli insediamenti, è semplicemente un sogno irrealizzabile.

----------------------
Jerry Rapp, laureato in medicina, è professore nel Dipartimento Scienze Biologiche dell'Università di Optometria SUNY a New York

(Israel's daily newsmagazine, 10 maggio 2003)



IL GOVERNO PALESTINESE PAGA SALARI ALLE BRIGATE AL AQSA


Membri del gruppo terrorista Brigate Al Aqsa, legato al movimento Fatah di Yasser Arafat, hanno dichiarato al Jerusalem Post che da qualche tempo ricevono un salario mensile di circa 200 dollari dall'Autorita' Palestinese. "Ci hanno detto che i pagamenti provengono dal nuovo governo [di Abu Mazen]", ha detto uno degli intervistati, originario di Tulkarem. Altre fonti molto vicine alle Brigate Al Aqsa confermano pagamenti analoghi a Ramallah, Nablus e Jenin. "I pagamenti hanno lo scopo di tenere questi uomini sotto controllo - spiegano le fonti palestinesi - Mahmoud Abbas [Abu Mazen] vuole assicurarsi che questi uomini non si rivoltino contro di lui se e quando cerchera' di fargli deporre le armi".
    Tuttavia il capo delle Brigate Al Aqsa a Tulkarem, Malek Jallad, ha dichiarato al Jerusalem Post che ne' lui ne' i suoi uomini intendono cedere le armi. "Le nostre armi sono legali - sostiene Jallad - perche' noi facciamo parte di Fatah. Non credo che nessuno dell'Autorita' Palestinese cerchera' di portarcele via".

prosegue ->
Secondo tutti gli accordi di pace firmati da israeliani e palestinesi, nei territori palestinesi non dovrebbe esistere nessuna milizia armata al di fuori delle forze di polizia palestinesi concordate con gli israeliani, e le armi illegali dovrebbero essere tutte confiscate. Jallad aggiunge comunque che il suo gruppo "rispetta Abbas" ("un uomo che ha un passato nel movimento nazionale palestinese") e intende evitare uno scontro armato con l'Autorita' Palestinese.

(Jerusalem Post, israele.net, 16.05.2003)



L'ATTEGGIAMENTO DEI MEDIA ARABI DURANTE LA GUERRA IN IRAQ



Un intellettuale arabo nel Qatar: "L'atteggiamento dei media arabi durante la guerra è indicativa di un malessere piú profondo".

Lo sceicco Abd Al-Hamid Al-Ansari è il rettore della facoltà di Shar'iah (Legge Islamica) all' Università del Qatar ed è conosciuto per le sue posizioni liberali. In vari articoli pubblicati dopo l'11 settembre, ha invocato la necessità di riformare il sistema educativo. arabo. (1) In un articolo recentemente apparso sul quotidiano Saudi English Arab News, (2) critica il ruolo dei media arabi durante la guerra in Iraq. Ecco alcuni passaggi dell'articolo:


'I media arabi sono riusciti a ingannare la gente'

"Gli iracheni hanno buttato giù la statua del tiranno che li ha oppressi per più di 35 anni. Milioni hanno assistito alla fine squallida di uno dei più odiosi e sanguinari regimi nella storia moderna. E con la statua e il regime, sono cadute anche altre cose. I grandi analisti e strateghi hanno esagerato i crimini del regime e largamente sopravvalutato la sua forza."
"Cosí, ora che si respira la prima boccata di libertà, dove sono tutte quelle promesse dei media arabi di prima della guerra? Dove sono quegli eventi decisivi e le forze di invasione seppellite sotto le mura di Bagdad? Dove sono i conflitti all'interno delle città e le battaglie strada per strada?"

"I media arabi sono riusciti a ingannare la gente.Nel complesso, l'inganno è peggiore che nel 1967. Le fatwa - 'Sollevati per la Jihad!'- sono riuscite a seppellire qualche volontario scriteriato e bombarolo suicida. Le fatwa fuorvianti non hanno fatto altro che confermare la miseria di coloro che già miserabili erano, mentre gli autori delle fatwa continuano a godersi la vita. Cosa dicono ora le masse felici di vedere la fine del tiranno, di cui hanno fatto a pezzi i ritratti e li hanno calpestati con i loro sandali? Sono le stesse masse che ieri, obbedienti, dimostravano attivamente nelle strade con la sua fotografia, ripetendo: 'Siamo qui pronti a sacricarci per te con la nostra anima e il nostro sangue!' E lui li ha portati alla disfatta!"

"Per quanto tempo ancora saremo maledetti dal nostro attaccamento emotivo a eroi sconfitti? Perché è stato scritto di noi che siamo una nazione che non impara dalle sue sconfitte? In questa generazione, ci sono altre nazioni che hanno subito sconfitte e sono riemerse dalle loro ceneri."


'Perché i media arabi hanno accettato di allinearsi con il regime iracheno?'

"La domanda è: perché i media arabi hanno accettato di allinearsi con il regime iracheno mentre pretendevano al tempo stesso di essere dalla parte della gente?"

"A mio parere la risposta è stata data dal direttore di uno dei canali satellitari: 'E' competizione. In circostanze del genere, o guadagnjamo audience o altri lo faranno.' E' così che sintetizza la scelta prevalente nei media arabi. Il loro scopo è di attirare la strada a ogni costo. La strada è emotiva e ha poca fiducia negli americani. La si vince attizzando le fiamme delle sue emozioni e incoraggiando i suoi sentimenti con sogni di una grande vittoria araba e di una grande disfatta americana."

"In prevalenza, i media arabi si sono rivelati selettivi e decisamente dalla parte del regime iracheno. I nostri intellettuali hanno fatto propria questa linea e l'hanno ripetuta incessantemente. I nostri media hanno poi destinato programmi speciali a diffondere e reiterare le falsita' di Sahaf. Il loro punto di vista distorto e' stato imposto alla gente. Hanno tentato di far lievitare il livello di odio contro la coalizione, concentrandosi sulle distruzioni e sulle vittime civili, senza chiarire che erano conseguenza del fatto che il regime aveva piazzato le sue forze e i suoi carri armati in aree residenziali. L'esercito di Saddam, del quale erano tanto orgogliosi perché era l'unico in grado di proteggere i civili, in realtà ha usato i civili per proteggere se stesso."

"Sono stati proprio i media arabi a dichiarare che lo scopo della guerra era di distruggere l'Iraq, farla finita con il suo potenziale e, alla fine, occuparlo. Neppure per un momento hanno considerato il ruolo del dittatore iracheno nella rovina del paese durante piú di trent'anni.  Né hanno denunciato come egli abbia distrutto ambiente, sistema educativo, sanitario e legislativo. Ed è stato sempre lui a incendiare pozzi, a distruggere ponti e a ridurre, specie le città del Sud, a uno squallore privo anche di acqua potabile."

"I media arabi hanno attaccato l'opposizione irachena e imposto contro di loro un boicottaggio collettivo, mentre le televisioni ospitavano tutti fuorché gli iracheni che erano, dopo tutto, i piú coinvolti."


'Unica eccezione alla regola i media del Kuwait'

"Unica eccezione alla regola i media del Kuwait. Neppure uno dei canali satellitari ha avuto il coraggio di trasmettere le scene di benvenuto alle truppe della colazione nelle città liberate. Si sono invece dati un gran daffare per quel che hanno definito i crimini della coalizione, ignorando i crimini del regime. I corrispondenti hanno continuato a imporre il loro punto di vista politico ai telespettatori. Nessuno, eccetto la tv kuwaitiana, ha avuto il coraggio di trasmettere la registrazione dell'attacco chimico contro Halabja. E' accaduta la stessa cosa con l'attacco del 1991 contro l'insurrezione popolare, durante la quale i luoghi sacri furono colpiti e centinaia di sciiti uccisi e torturati. Piú di 250 mila cittadini iracheni perirono nella rivolta..."


'Lo scopo delle televisioni arabe era di far apparire gli alleati come "selvaggi" nel trattamento dei civili'

"Lo scopo delle televisioni arabe era di far apparire gli alleati come "selvaggi" nel trattamento dei civili. Inoltre, i quotidiani rispettabili non potevano considerarsi devoti se non riportavano i penosi e tragici incidenti, in cui alcuni giornalisti furono uccisi dalle forze di coalizione, per zittire, secondo loro, le televisioni arabe. Si impone ancora la domanda: è possibile per i media arabi essere obiettivi?"

"A mio parere, non è possible perché sono controllati dall'umore prevalente e da gente imbevuta, per piú di mezzo secolo, da slogan d'incitamento e di propaganda infiammatoria. Sono prigionieri di coloro che li hanno allevati, che hanno controllato la loro mentalità piantandovi idee immaginarie, favole, superstizioni."

"Questo è un aspetto profondamente radicato nella mente araba, nella psicologia e mentalità. La stessa opinione é stata espressa in un brillante articolo: "Siamo la nazione degli eroi sconfitti". E' un'analisi molto delicata delle ragioni delle sconfitte arabe. Ma la domanda piú cruciale s'impone ancora."


'Come si è radicata nelle nostre teste e mentalità l'idea della cospirazione degli altri?'

"Stiamo sempre apprensivamente ad ascoltare l'altro, colui che ci vuole male. Altri hanno avuto problemi simili, ma si sono risollevati perché sono stati capaci di liberarsi della paura dell'altro."

"Non c'è da stupirsi allora che abbiamo definito vittoria le disfatte del 1956 e del 1967, come pure la Madre di tutte le battaglie e Qadisiyya."

"Ci sono ancora coloro che giustificano la parzialità dei media e ne filosofeggiano. Dicono di essere di parte per l'onore e la dignità della comunità. L'onore e la dignità non sono forse compromesse quando la dignità dell'uomo non é salvaguardata? Dicono che era per tener su il morale, ma è un ragionamento sbagliato: non è necessario tener su il morale con trucchi e ingannando le masse."

"Le riflessioni di un iracheno comune da un'area liberata, mi hanno colpito. Ha detto: "Gli arabi ci hanno abbandonato e non ci hanno liberato. Perché attaccano la coalizione che ci vuole liberare?" Perché di questo semplice fatto non si rendono conto i nostri uomini di cultura, intellettuali, operatori dei media e leader religiosi, gli uomini che chiamano a partecipare alla Jihad?"

Note:
(1) Per saperne di piu su 'Abd Al-Hamid Al-Ansari , consultare MEMRI Dispaccio specialeNo.307, "Preside della Legge Islamica, Qatar University: La lotta al terrorismo deve cominciare con la riforma del sistema educativo e dei media nel mondo arabo."
No. 337, "Preside della Shari'a e Legge alla Qatar University per sostenere gli Usa,
la guerra al terrore e la riforma scolastica, I Parte."
No. 338, "Preside della Shari'a e Legge alla Qatar University per sostenere gli Usa,
la guerra al terrore e la riforma scolastica, Part II,"
(2) Arab News, April 21, 2003.

(The Middle East Media Research Institute, 14 maggio 2003)



LA POPOLAZIONE ISRAELIANA DAL 1948 AD OGGI


6.7 milioni di persone in Israele: 81% ebrei

di Mottie Bassok

Alla vigilia del suo cinquantacinquesimo anniversario, lo Stato d'Israele conta 6,7 milioni di abitanti, cioè otto volte tanto la popolazione presente immediatamente prima della Dichiarazione d'Indipendenza. Tali cifre sono state comunicate ieri dall'Ufficio Centrale di Statistica. Alla sua fondazione, il 15 maggio 1948, lo Stato aveva una popolazione di 806.000 persone, di cui l'81% ebrei. Tale proporzione è rimasta costante ed attualmente vivono in Israele 5,4 milioni di ebrei.

Dalla fondazione dello Stato d'Israele, vi sono immigrati circa 3 milioni di ebrei, fra i quali un milione è arrivato dopo il 1990. Malgrado questo elevato numero di immigrati, la maggioranza della popolazione è nata nel paese. Fra gli ebrei, i due terzi sono nati in Israele, mentre nel 1948 essi rappresentavano solo un terzo. Metà della popolazione nata nel paese (compreso un terzo della popolazione ebraica) sono israeliani da tre generazioni (cioè, israeliani di nascita, con un genitore che è pure nato nel paese), mentre nel 1948 la percentuale degli israeliani di terza generazione (nella popolazione ebraica) rappresentava meno dell'1%.

La popolazione ebraica d'Israele costituisce il 38% degli ebrei nel mondo, che oggi contano 13,3 milioni di persone, mentre nel 1948 gli ebrei in Israele rappresentavano solo il 6% della popolazione ebraica nel mondo. Secondo l'Ufficio di Statistica, la popolazione araba israeliana conta 1,3 milioni di persone: 82% musulmani, 9% cristiani e 9% drusi. Gli stranieri residenti in Israele non vengono calcolati nei dati dell'Ufficio riguardanti la popolazione israeliana. Secondo le cifre più recenti, alla fine del 2001 risiedevano in Israele 150.000 stranieri "veterani" (nel paese da oltre un anno).

Durante lo scorso anno, la popolazione israeliana è cresciuta del 2%, pari ad un aumento di 131.000 persone. Tale tasso relativamente basso è dovuto ad un calo nel numero degli immigranti giunti nel corso di questo periodo. Lo scorso anno sono arrivati in Israele 31.000 immigranti ebrei, di cui quasi la metà provenienti dall'ex-Unione Sovietica, 5.000 dall'Argentina ed il resto da altri paesi. Gli anni precedenti hanno visto una proporzione maggiore di immigranti dall'ex-Unione Sovietica. Durante lo scorso anno, inoltre, sono nati in Israele 140.000 bambini.

L'Ufficio Centrale di Statistica ha anche pubblicato i dati riguardanti le varie città e regioni del paese. La popolazione attuale di Gerusalemme ha raggiunto i 680.000 abitanti circa, facendo della città il maggiore agglomerato urbano d'Israele. Durante lo scorso anno, la popolazione della capitale è aumentata dell'1,7%, principalmente a causa del gran numero di abitanti ebrei ortodossi e arabi, che si distinguono per le loro numerose famiglie.

Negli anni della fondazione dello Stato, la maggioranza della popolazione (il 70% circa) si concentrava nell'aerea metropolitana di Tel Aviv, nella regione centrale del paese e a Haifa. Nel corso degli anni – e a causa della politica governativa di decentramento della popolazione – la popolazione delle zone periferiche è aumentata, mentre quella delle regioni centrali è scesa al 58%. Un calo significativo è stato registrato nella regione di Tel Aviv, i cui abitanti, nel 1948, costituivano il 36% della popolazione totale del paese, mentre oggi la loro percentuale è del 18%. La regione periferica con il più alto tasso di incremento è il meridione del paese, la cui popolazione rappresenta oggi il 14% del totale, rispetto al 2,5% di 55 anni fa.

Il 18% dell popolazione araba risiede nella regione di Gerusalemme (soprattutto a Gerusalemme-est); il 15% risiede nella regione di Haifa, mentre il 10% vive nella regione centrale. Una percentuale simile la troviamo nella regione meridionale, mentre il 6% della popolazione araba risiede nel Nord d'Israele.

(Keren Hayesod, 12.05.03)



CONGRESSO ANTISEMITA SOTTO L'ETICHETTA DEL DIALOGO INTERCONFESSIONALE


L'organizzazione "Yad Leah'im", che lotta contro l'azione perniciosa della missione, ha indirizzato una lettera alla direzione dell'hotel Hyatt, a Gerusalemme, il quale si appresta ad ospitare un congresso che, sotto l'etichetta di un incontro tendente a favorire il dialogo tra le religioni, di fatto è una riunione antisemita.
    Nella lettera i responsabili di Yad Leahim sottolineano che l'Unione internazionale e interconfessionale per la pace mondiale fa parte di un vasto organismo dipendente dalla Chiesa dell'Unificazione della setta di Moon, che è conosciuta per il suo antisemitismo e il cui leader, il parroco Moon, è colpito da interdizione di soggiorno in Israele.
    Precisano che il credo di questa setta contiene un centinaio di articoli di carattere nettamente antisemita. E aggiungono: «Questo organismo è stato messo fuori legge in molti paesi e, secondo uno studio realizzato nel 1982 dalla polizia su diverse sette operanti in Israele, questa organizzazione esercita misure di intimidazione e pressione psicologica sui membri che vogliono abbandonarla».
    Per quanto riguarda il parroco Moon, la commissione della Knesset aveva precisato in un rapporto: «In molti casi, propositi di Moon, come si può verificare nel suo libro, rivelano un approccio ostile all'ebraismo e al popolo ebraico, nel passato e nel presente. Gli ebrei sono descritti come degli esseri privi di fede e corrotti sul piano spirituale. L'Israele attuale, secondo la sua visione delle cose, sarà sostituito da quello degli adepti della sua chiesa. Il parroco considera inoltre lo Stato d'Israele come il centro principale della sua azione».
    Il vicedirettore dell'hotel, Rony Timstitt, ha indicato al corrispondente di Arouts 7 che aveva contattato il suo avvocato non appena aveva scoperto il vero scopo di questa associazione, ma che era impossibile, stando al contratto firmato dalle due parti, annullare questo congresso.
   
(Arouts 7, 14.05.2003)


MUSICA E IMMAGINI

Purim


INDIRIZZI INTERNET


Jewish World

God's Clay Ministries