Notizie su Israele 176 - 22 maggio 2003


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Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di soccorso, hanno fiducia nei cavalli, confidano nei carri, perché sono numerosi, e nei cavalieri, perché sono molto potenti, ma non guardano al Santo d'Israele e non cercano il SIGNORE!
Gli Egiziani sono uomini, e non Dio; i loro cavalli sono carne, e non spirito; quando il SIGNORE stenderà la sua mano, il protettore inciamperà, cadrà il protetto, e periranno tutti assieme.

(Isaia 31:1,3)



UN SOSTEGNO DI CANNA ROTTA


Ai tempi del profeta Isaia, quando la potenza emergente dell'Assiria si faceva sempre più minacciosa, nel popolo d'Israele c'era chi proponeva di cercare l'appoggio dell'Egitto, la grande potenza storica mondiale dell'antichità. Il re d'Assiria, Sennacherib, che dopo aver conquistato le città fortificate di Giuda si apprestava a dirigersi verso Gerusalemme per espugnarla, cercò di minare la fiducia degli israeliti negli egiziani facendo arrivare a Ezechia, il re d'Israele, queste realistiche parole:

«Ecco, tu confidi nell'Egitto, in quel sostegno di canna rotta, che penetra nella mano di chi vi si appoggia e gliela fora; così è il faraone, re d'Egitto, per tutti quelli che confidano in lui» (Isaia 36:6).

Con il progredire della cosiddetta Road Map, forse si avvicina il tempo in cui Israele dovrà sperimentare che anche la grande potenza mondiale dei nostri tempi si rivelerà per lui "un sostegno di canna rotta, che penetra nella mano di chi vi si appoggia e gliela fora".
Per sapere come sono andate a finire le cose con Sennacherib, e in che modo si è risolto l'assedio a Gerusalemme del re d'Assiria, si possono leggere i capitoli 36,37 e 38 del libro del profeta Isaia. M.C.



DOVE CONDUCE LA STRADA INDICATA DALLA MAPPA?


A proposito dei pericoli della "Road Map"

di Stanley Zir e Phil Orenstein

L'America ed Israele stanno oggi affrontando la guerra più insidiosa mai perpetrata ai danni della libertà. Sfortunatamente, assecondando la "Road Map" - un piano di pace che fa concessioni ai terroristi, remunerando con negoziati i loro atti omicidi - l'attuale amministrazione degli Stati Uniti ha inghiottito l'esca, l'amo, la lenza e il galleggiante. Israele oggi è costretto a salire su questa barca, la cui destinazione è la sua distruzione. E' un po' come bere del tè in compagnia del Primo Ministro Tojo, subito dopo il suo attacco di Pearl Harbor.
    In un discorso radiofonico del 15 marzo, il presidente Bush aveva detto che non avrebbe mai negoziato con i terroristi e con i loro sostenitori. Dovrà oggi decidere se continuare ad onorare questa politica perché, schierandosi nel blocco degli intermediari insieme a Francia, Germania, Russia e agli altri membri del Quartetto dei mediatori di pace del Medio Oriente, ha reso Israele un'eccezione a questa regola. Così facendo, convalidiamo la posizione delle Nazioni Unite, secondo la quale aggredire qualsiasi nazione che sostiene il terrorismo è un atto che può provocare la guerra.
    Facciamola semplice. I dinamitardi suicidi hanno attaccato continuamente Israele rimanendo impuniti per tre anni, con il supporto totale di tutta la comunità palestinese. Questa è una popolazione che appoggia ed incoraggia gli attacchi terroristici verso Israele, e che non ha perso occasione per sostenere i nemici degli Stati Uniti.
    Se fosse stata un'altra nazione e non Israele a subire questo genere di atrocità, gli esecutori sarebbero stati già spazzati via dalla faccia della terra. Immaginate per un momento che in America vi fossero continui attacchi dinamitardi suicidi provenienti dal Canada, dal Messico e/o da Cuba, e che quei paesi avessero sistemi governativi che oltraggiano i diritti umani con il pieno appoggio delle loro popolazioni. Pensate che un semplice cambiamento di regime – che fra l'altro è stato appoggiato dalla popolazione irachena – a questo punto funzionerebbe? Qui l'equazione cambia. Ci troviamo di fronte ad una situazione non molto diversa dal conflitto con il Giappone e la Germania nella Seconda Guerra Mondiale, dove solo dopo un confronto estremo con i governi totalitari e i loro popoli, e solo dopo una resa incondizionata, abbiamo finalmente avuto la garanzia di una pace duratura.
    Per chiarire la vera natura della Road Map, supponiamo che gli Stati Uniti siano grandi quanto Israele. Immaginiamo che siano circondati dagli stessi nemici che abbiamo appena citato, che a questo punto sarebbero molto più grandi di loro. Per l'immensa grandezza degli oppositori americani che minacciano e sfidano di destabilizzare l'ordine internazionale, grideremmo al bluff o chiederemmo la resa? Oppure diremmo che è nell'interesse mondiale che gli Stati Uniti negozino una Road Map con questi tiranni che non hanno alcuna intenzione di mantenere le loro promesse? Benvenuta alla "mappa stradale della pace".

    Signor Sharon, lei non dovrà mai incontrare il nuovo primo ministro palestinese Abu Mazen, in nessuna circostanza. Se lo farà, attiverà ufficialmente il processo che segnerà il destino di Israele. Così facendo, Israele si infilerà in un labirinto di inganni che non avrà via d'uscita.
    Se il primo ministro si incontrerà con Abu Mazen, allora tutti i cittadini d'Israele dovranno protestare vivamente, affinché quest'incontro risulti nullo o invalido, perché sarà fatto in netto contrasto con i migliori interessi di Israele.
    Perché? Perché, come nazione sarete i primi a mettere il sigillo di approvazione su questa nuova dottrina, che premia gli attacchi terroristici con negoziati e compromessi, e che conclude con dei criminali dei patti che non valgono nemmeno quanto la carta su cui sono scritti. Tutto ciò non farà che introdurre nella comunità internazionale un nuovo modello per le politiche di pacificazione. Nel momento in cui Sharon incontrerà Abu Mazen, Israele approverà un processo di negoziati simile all'insulsa garanzia per cui il diritto di autodifesa israeliana corrisponde al diritto dei terroristi di lanciare attacchi suicidi contro i cittadini israeliani. Questi attacchi terroristici non dovranno mai essere tollerati per nessuna ragione. Comunque, Israele, se parteciperai a questi negoziati perderai il diritto di dichiarare guerra quando i tuoi cittadini correranno qualche rischio. Avrai accettato la premessa che la popolazione palestinese potrà ottenere lo stato attraverso negoziati secondo il piano della Road Map, indipendentemente da tutto. Non appena questo accadrà, il terrorismo e l'auto-difesa contro il terrorismo diventeranno moralmente equivalenti.
    Questa Road Map presenta Israele come uno dei due figli cattivi. Ben presto il presidente Bush disciplinerà entrambe le parti perché non vanno avanti nelle trattative. Israele, tu non sei un figlio cattivo! Sei una nazione continuamente attaccata da terroristi! Per questo la Road Map è così pericolosa.
    Inoltre, nel giro di due anni aprirai la porta alla fondazione di una nazione palestinese che chiederà agli Stati Uniti di avere lo stesso trattamento e di poter armare il neonato stato allo scopo di auto-difendersi. Faremmo uscire di prigione un terrorista in America dopo due anni sulla parola, concedendogli il porto d'armi una volta liberato?
    Infine, signor Sharon, avrà abbandonato l'unica strategia per la sicurezza della sua nazione e per la pace del mondo, approvando qualcosa che è veramente destinato al fallimento – cioè la Road Map della pace. Di fronte alle nazioni tiranne che sostengono e sono il terreno d'induzione degli attacchi terroristici, la pace non è evitare il conflitto attraverso i negoziati, ma la vittoria incondizionata su ogni azione malvagia.
    Per arrivare a un mondo privo di terrore, è tempo che Israele, gli Stati Uniti e i nostri mutui alleati si impegnino per una totale de-tirannia e per lo sradicamento delle nazioni infettate del Medio Oriente, attraverso una nuova mappa stradale che salvaguardi la sicurezza mondiale. La prima istanza deve essere una resa immediata, incondizionata del vasto conglomerato delle organizzazioni terroristiche alla nuova coalizione della sicurezza mondiale, condotta dagli Stati Uniti e da Israele. Fra queste organizzazioni terroristiche ci sono Hamas, Hezbollah, la Brigata dei Martiri di al-Aqsa, eccetera, ma anche l'OLP e l'Autorità Palestinese, che saranno sempre relegati allo stato permanente di criminali contro l'umanità. Avranno tre mesi per arrendersi, altrimenti saranno intraprese azioni adeguate.
    In secondo luogo, dobbiamo esigere lo smantellamento immediato delle istituzioni e dei governi tirannici della Siria, dell'Arabia Saudita, dell'Egitto, della Giordania e del resto delle nazioni appartenenti alla Lega Araba, che hanno dato vita e hanno sostenuto queste organizzazioni terroristiche. I loro sforzi saranno monitorati dalla nuova coalizione per la sicurezza mondiale, e i loro progressi saranno valutati nel 2005. E' tempo che le nazioni democratiche si mettano sulla difensiva ed abbandonino la strategia della diplomazia della "porta di servizio".
    Infine, se queste persone non accetteranno queste richieste, o se ci saranno altri attacchi terroristici contro Israele, allora Israele dovrà dichiarare guerra, per poter sopravvivere. E' evidente che Israele sta lottando contro la stessa radice maligna che l'America dovette affrontare nella guerra contro il Giappone e la Germania nella Seconda Guerra Mondiale. Questi stati sono stati civilizzati solo con la forza e dopo una sconfitta totale. Purtroppo anche loro adoravano e rispettavano soltanto quello che ritenevano più potente di loro e delle loro idee. Oggi, affinché la democrazia e la pace vincano appieno, è necessario che i tiranni del conglomerato offensivo del Medio Oriente vengano sconfitti totalmente, e solo allora i loro popoli capiranno di dover abbandonare le loro convinzioni errate. Soltanto questo renderà possibile un mondo nella libertà e nella sicurezza, libero dalla paura.

(Israel's daily newsmagazine, 18 Maggio 2003)



ABU MAZEN PRENDE LE DIFESE DI ARAFAT

  
Abu Mazen e Yasser Arafat

Il portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, ha dichiarato martedì a Washington che Arafat non ha mai contribuito agli sforzi di pace tra Israele e i palestinesi. Ha dichiarato che «Yasser Arafat non ha mai giocato un ruolo positivo». Fleischer rispondeva alle domande di giornalisti che gli chiedevano di reagire alle accuse portate dal governo di Ariel Sharon. Israele infatti ha detto che Arafat ha aiutato le organizzazioni terroriste e ha fatto di tutto per far fallire i tentativi di Abu Mazen. Il portavoce americano ha sottolineato che per George Bush Abu Mazen è un uomo di riforme. Ha affermato che «tutte le parti implicate nel conflitto devono cessare gli atti di violenza al fine di permettere il rilancio del processo di pace»(1). E ha aggiunto: «Questi sforzi contribuiranno alla creazione di uno stato palestinese. E' di primaria importanza che la direzione palestinese lotti contro il terrorismo per assicurare un avvenire migliore al suo popolo. Questa sciagura mette a rischio i palestinesi e gli israeliani». Ari Fleischer ha dichiarato che l'amministrazione americana ha avviato contatti con il governo israeliano al fine di fissare una nuova data per la visita a Washington del Primo Ministro Ariel Sharon. Nello stesso tempo, il nuovo dirigente dell'Autorità Palestinese, Abu Mazen, si è rivolto ai più alti responsabili degli Stati Uniti e della Gran Bretagna pregandoli di esercitare pressioni su Israele affinché «cessino le provocazioni sontro Yasser Arafat». Secondo un responsabile palestinese, Abu Mazen ha affermato che Arafat non è affatto implicato negli ultimi attentati e ha aggiunto che le accuse portate contro Arafat nuocciono agli sforzi che sta facendo per instaurare un nuovo clima in seno alla sua amministrazione.

(Arouts 7, 20.05.2003)


(1) Si comincia già a verificare quello che viene detto nell'articolo precedente: «Questa Road Map presenta Israele come uno dei due figli cattivi. Ben presto il presidente Bush disciplinerà entrambe le parti perché non vanno avanti nelle trattative». Se poi si considera che l'uomo con cui gli USA vogliono trattare prende le difese di Yasser Arafat, si può capire quante speranze apra al "processo di pace" la cosiddetta Road Map. (M.C.)



CHI SOSTIENE ARAFAT DANNEGGIA PALESTINESI E ISRAELIANI


Israele considera il presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat responsabile della nuova ondata di attentati e lo accusa di continuare a incoraggiare i terroristi palestinesi. Mentre il governo palestinese guidato dal primo ministro Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha condannato gli attentati e si e' detto pronto a contrastare seriamente questa ennesima ondata di violenze, si moltiplicano i segnali che indicano nella persona e nella politica di Arafat un perdurante ostacolo al rilancio del processo di pace.
    Israele si attende dai palestinesi misure drastiche contro i gruppi violenti prima di compiere qualunque altro passo lungo il percorso indicato dalla "road map". Il vice premier israeliano Ehud Olmert ha accusato la comunita' internazionale, e in particolare l'Unione Europea, di minare gli sforzi di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) in questa direzione rifiutandosi di aderire al boicottaggio politico-diplomatico praticato da Israele e Stati Uniti contro Arafat, un personaggio che Gerusalemme e Washington considerano gravemente compromesso con il terrorismo. "Molti governi europei - ha dichiarato Olmert al Primo Canale della tv israeliana - continuano a inviare segnali che rafforzano Arafat a scapito di Abu Mazen . Il risultato e' che il governo palestinese di Abu Mazen ne risulta paralizzato e a noi viene tolta in partenza la possibilita' di mettere alla prova le sue reali intenzioni di lotta al terrorismo".
    Secondo la tv israeliana, durante la riunione d'urgenza di domenica sera del governo israeliano diversi ministri hanno chiesto l'espulsione di Arafat, ma la loro proposta e' stata respinta dal primo ministro israeliano Ariel Sharon.
    Lo stesso Yasser Arafat, intervistato domenica da Fox News, ha sostenuto di essere in completo controllo della politica palestinese, aggiungendo che il primo ministro Abu Mazen e gli altri membri della delegazione palestinese all'incontro di sabato sera con Sharon rispondono direttamente a lui. "Ho mandato Abu Mazen e Dahlan a incontrare Sharon" ha affermato Arafat. Alla domanda se sia disposto ad abbandonare i territori nel caso questo potesse portare all'applicazione della "road map" e quindi a un miglioramento della situazione della popolazione palestinese, Arafat ha risposto che non accettera' mai, a nessuna condizione, di abbandonare la sua terra.
    Si riaccende intanto la tensione attorno alla questione dell'accesso al Monte del Tempio di Gerusalemme, venerato dai musulmani come la spianata delle moschee. E' dall'inizio delle violenze palestinesi, 32 mesi fa, che le autorita' religiose islamiche vietano l'ingresso nel luogo santo a qualunque non-musulmano. Solo l'ipotesi, ventilata la scorsa settimana dal ministro di polizia israeliano Tsachi Hanegbi, che sarebbe ora di cancellare questo divieto (di fatto l'unico che impedisca il libero accesso a un luogo santo in tutto Israele) ha suscitato reazioni aggressive da parte dei fedelissimi di Arafat. Ikrimah Sabri, il mufti di Gerusalemme nominato da Arafat, ha dichiarato che permettere agli ebrei l'accesso al Monte del Tempio scatenerebbe "un bagno di sangue", mentre Ahmed Abdel Rahman, uno dei piu' stretti consiglieri di Arafat, ha minacciato che la riapertura del Monte del Tempio ai non-musulmani produrrebbe "una terza intifada contro Israele".

(israele.net, 18.05.2003 - dalla stampa israeliana)
    



IL MESSAGGIO CHE L'OCCIDENTE SI OSTINA A NON VOLER CAPIRE


Europa: preparando il nuovo ebreicidio e il suicidio

    Bush e Blair hanno deciso che per placare le "masse arabe arrabbiate", quel mito utilizzato dai despoti arabi-musulmani per deviare la disperazione dei sudditi oppressi verso Israele, bisogna pagare il pizzo e che si dovrà pagare con l'eliminazione d'Israele.
    Questa formula, conosciuta come il 'road map', ossia la creazione di uno stato terroristico 'palestinese' è l'osso che i padroni occidentali lanciano al 'cane' arabo affamato di sangue Ebreo.
    L'osso, però, risulterà troppo grande e potrà soffocare non solo il 'cane' ma anche alcuni dei padroni.
    Nessuno, sembra, impari o voglia imparare dalla storia, dalla logica,  o almeno vedere la realtà.
    Nel 1939 i padroni anglo-francesi hanno lanciato al cane rabbioso hitler la Cecoslovacchia, per placarlo. Il risultato furono 60 milioni di morti - anche fra i padroni.
    Non hanno capito, Bush e Blair, che il terrore aumenterà con l'appeasement, che le pretese arabe si moltiplicheranno, anziché placarsi, e che gli arabi prenderanno più coraggio dal comportamento arrendevole occidentale - come nel caso di Hitler. Non capiscono - o forse non vogliono capire - che gli arabi non sono interessati alla creazione di uno stato mai prima esistito per un popolo inesistente; che gli arabi - inclusi i fantomatici palestinisti - non accetteranno mai uno stato ebraico, perché la loro lettura del corano, assieme all'incapacità di accettare la sconfitta musulmana e al loro senso di umiliazione di tipo infantile lo contraddice. Come se non bastasse, la chiara superiorità morale ed economica dello stato ebraico, una spina verde, libera, fiorente, nel mezzo del deserto arabico delle dittature dispotiche e della miseria crea un'invidia insuperabile per chi è abituato e educato ad accusare gli altri delle proprie deficienze.
    La creazione di un altro paese arabo - terroristico - non risolverà il problema del Medio Oriente ma lo renderà più acuto che mai, accelerando così la marcia verso uno scontro che alla fine può coinvolgere le armi atomiche.
    Oggi sono gli angloamericani a lanciare questo osso, adesso chiamato Israele, agli arabi e come già in passato il risultato sarà un disastro. Gli arabi si rendono conto che col terrore possono arrivare a dei risultati.
    Ma il traguardo dell'islamismo fanatico non è Israele: è solo il bersaglio più vicino e più conveniente, per tanti motivi, fra i quali non è ultimo l' aiuto da parte dei diversi antisemiti, nascosti e no; il traguardo è l'Occidente infedele, il cui momento arriverà dopo Israele. Nessuno di questi fanatici nasconde queste aspirazioni e sembra che neppure l'11 settembre sia bastato per farlo capire a chi non vuol vedere. Neanche le danze arabe per Saddam e per Osama o le preghiere e i sermoni degli imam che chiamano a distruggere l'Occidente infedele.
    Mentre il mondo occidentale ha fatto passi giganteschi in avanti, migliorando tanto il tenore di vita nei suoi confini come le libertà e i diritti umani, il mondo musulmano ha fatto passi indietro, aumentando la miseria, il dispotismo tirannico e la disperazione delle sue masse che non vedono nessun futuro davanti a loro. E allora accusano l'Occidente, colpevole non si sa perché e come della loro miseria; e l'esempio più vicino e facile è Israele.
    Negli ultimi 50 anni gli arabi hanno conseguito quello che non avevano prima: il potere del petrolio e le tecnologie occidentali comprate con i soldi del petrolio.
    Forti di questo fatto, gli islamisti fanatici vedono la loro opportunità di conquistare l'Occidente, incorporandolo nella umma islamica, per la terza volta nella storia, e così togliere la loro 'umiliazione'.
    I pizzi pagati dal decadente e compiacente Occidente non sono per loro che un'ammissione della sua debolezza e un incoraggiamento ad aumentare le pretese e avanzare verso Roma, London, New York.
    In realtà, la problematica di Israele non è nient'altro che una comoda scusa, ma la sparizione d'Israele è solo il primo passo verso la dominazione islamica dell'Occidente, come assicurano tutti i fanatici islamisti. Il problema artificiale dei profughi è stato creato e mantenuto a tale fine dai paesi arabi ma, come nella famosa favola di Lafontaine, 'Le loup et l'agneau' (il lupo e l'agnello), non importa il come o il perché, chi o quando, importa solo che il lupo vuole divorare l'agnello. Ma l' agnello in questo caso non sarà Israele, o solo Israele, ma tutto l' Occidente.
    Tanti diranno che è la questione del conflitto Israele-palestinisti che divide l'Occidente dal mondo islamico.
    Basta osservare gli avvenimenti contemporanei per rendersi conto della falsità di questa affermazione.
    E' per causa di Israele che gli Americani stanno in Iraq? Se non esistesse Israele, gli arabi sarebbero d'accordo con questa guerra?

prosegue ->
Il conflitto fra la rivoluzione islamica iraniana e gli Stati Uniti e la Gran Bretagna è dovuto ad Israele? Osama è un prodotto del conflitto Israele-palestinista o è il risultato della presenza USA in Arabia Saudita e di un odio viscerale verso gli Stati Uniti e verso quello che rappresentano?
    Tanti leader arabi si riferiscono al conflitto arabo-israeliano come una scusa e per incitare l'opinione pubblica. Però questi grezzi ragionamenti non devono essere presi in serio. Non confondiamo scuse con motivazioni.
    Le risoluzioni ONU 242 e 338 chiamano tutte le parti coinvolte a osservare le suddette risoluzioni; non esiste un richiamo unilaterale ad Israele a fare qualcosa se non in un quid pro quo da parte degli arabi.
    Israele ha attuato completamente le risoluzioni negli accordi di pace con Egitto e Giordania, e ritirandosi completamente dalle città della West Bank e Gaza, in accordo con Oslo.
    Infatti furono gli arabi a violare le risoluzioni ONU lanciando una campagna di terrorismo senza precedenti contro Israele.
    La questione va quindi rovesciata: le risoluzioni chiedono agli arabi di riconoscere Israele e di vivere in pace con essa. Perché Bush, e soprattutto Blair, non hanno chiesto agli arabi di attuare queste risoluzioni? Perché non rimproverano i palestinisti che hanno ignorato le risoluzioni ONU?"
    Perché non si dice una sola parola sull'incitamento all'assassinio di tutti gli Ebrei, sventolato da tutte le moschee tutti i santi giorni?
    La 'road map' è solo la ultima tappa della campagna volta all'ebreicidio.
    Quand'è stata l'ultima volta che alle Nazioni Unite è stata dato un voto di fiducia ad Israele, per non parlare del beneficio del dubbio, su una qualsiasi questione? Con pochissime eccezioni le Nazioni Unite, sia il Consiglio di Sicurezza sia l'Assemblea Generale, votano sempre per condannare Israele, in genere guidate dal blocco delle nazioni arabe. Per alcuni ebrei si tratta di una volgare questione che prima o poi passerà. Altri capiscono che i voti e l'ostilità permanente sono cumulativi e porteranno a una crisi per Israele e per gli ebrei in tutto il mondo.
    Nell'Unione Europea prevale l'opinione che le 7 guerre lanciate dagli arabi contro Israele avevano una qualche validità. In qualche modo, nel giudicare Israele e la sua presunzione di restar vivo non perdendo neanche una guerra cominciata dagli arabi, vediamo una trasformazione nella pratica dell'ebreicidio. La maggior parte delle nazioni europee fecero del loro meglio per aiutare Hitler nella sua crociata genocida contro gli ebrei. Adesso si sono uniti alla crociata islamica contro Israele, ignorando che l'Islam in realtà mira anche alla loro sconfitta e/o conversione totale.
    Si riteneva che, dopo che l'Olocausto ha ucciso 6 milioni di ebrei, lasciando circa 15 milioni di ebrei dispersi in tutto il pianeta, il popolo ebraico come civiltà fosse finito. Perfino la concessione di ritagliare uno stato ebraico per gli imbarazzanti superstiti dell'Olocausto non prevedeva la loro sopravvivenza all'assalto congiunto promesso da tutte le nazioni arabe e musulmane.
    La decisione di ritagliare questo nuovo stato avvenne solo dopo che il 70% della patria designata per il popolo ebraico dalla Dichiarazione Balfour del 1917 era stato tagliato al fiume Giordano da Winston Churchill per accontentare Abdullah, che dalla penisola araba era venuto a minacciare il Libano controllato dai francesi. Per Israele fu progettata l'eliminazione da parte di coloro che avevano votato riluttanti per la sua creazione e dalle nazioni arabo-musulmane impegnate ad assicurarne l'occupazione.
    La sopravvivenza dello stato ebraico di Israele di fronte agli schiaccianti numeri delle forze arabe ben armate dall'Occidente e dagli altri stati arabi e musulmani, fu uno shock per gli europei, così come per gli arabisti nel Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Nessuno aveva previsto che Israele potesse sopravvivere più di qualche mese dopo la Dichiarazione di Indipendenza del 14 maggio 1948. Tranne che gli ebrei e i cristiani credenti nella Bibbia, nessuno fu contento per la vittoria degli ebrei su 7 eserciti arabi, armati e sostenuti dagli europei.
    Perfino gli Stati Uniti, con il presidente Truman, misero l'embargo sulle armi per Israele, prevedendo che i problemi politici causati dal riconoscimento della sovranità israeliana sarebbero stati risolti dalle armate arabe.
    Possiamo continuare ad nauseum col dimostrare questa infinita ipocrisia di stile hitleriano.
    La 'road map' però è anche la strada per il suicidio dell'Occidente.
    Esiste un fatto che deve far accantonare la questione israeliana e l' antisemitismo nella mente europea, anche se così degenerata:
    Ad Um el Fahem, una cittadina araba in Israele, in una manifestazione popolare, si sono sentite le parole: Saddam, nostro amato, colpisci Tel Aviv. Ma c'era anche un poster che rappresentava una donna araba che affonda una spada attraverso le bandiere degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e di Israele.
    Ed è questo il messaggio che l'Occidente rifiuta di capire: l'obiettivo non sono solo gli ebrei ed Israele, ma tutti gli infedeli.
    Gli islamikazi che si fanno esplodere in Iraq non accendono una spia rossa?
    Non è bastato l'11 settembre per capire che non c'è posto sicuro dal terrorismo? O Bali?
    Sembra che l'Europa abbia formato uno strano patto coi terroristi e i regimi dispotici. Credono nel "dialogo" come soluzione al terrorismo, credono che si possa trattare coi paesi terroristici nel modo che la Francia e la Germania si sono integrate. Anche perché non hanno altro mezzo per affrontare il problema se non il "dialogo" e la "cooperazione economica". Vedono nel modo unilaterale americano qualcosa di opposto alle loro nuove ideologie, ma innanzitutto si intendono bene con i paesi arabi perché sentono la stessa invidia e lo stesso complesso d'inferiorità verso l' America e perché per l'Europa cattolica/antisemita un Israele forte e fiorente rappresenta l'antitesi dell'antico dogma, la smentita della teoria della sostituzione.
    Ma i bambini, indottrinati al fanatismo religioso e all'assassinio fin dall' età di due anni, sono dei robot programmati per la lotta islamica all'Occidente. Questi non andranno via, ed ogni giorno che passa aumentano di numero e di fanatismo. In Israele, in Iraq, nelle torri gemelle, a Bali, e domani in Europa. Gli islamisti credono di aver trovato il modo e il metodo per conquistare l'Occidente, e come essi stessi dichiarano, non hanno nessun riguardo per le vite umane - degli altri - e nemmeno le proprie; anzi, al bombarolo promettono il paradiso, 72 vergini, alcol libero e fama, oltre al riconoscimento religioso.
    Ogni "successo" non serve altro che ad aumentare la loro proliferazione. Ogni accettazione da parte dell'Occidente degli argomenti di questa gente e l'immigrazione islamica significano per loro un ulteriore successo e motivazione per proseguire e ingrandire la campagna terroristica mondial-islamica.
    Come dichiara l'islamismo: prima quelli del Sabato (ebrei), poi quelli della Domenica (cristiani), o come insegna il Corano e si ripete da tutte le moschee giorno e notte: prima Constantinopoli (gia conquistata) e poi Roma (da conquistare per l'islam).
    In altre parole, l'Occidente, se vuole rimanere tale, deve ammettere quello che cerca di non vedere: l'islam wahabita fanatico ha dichiarato una Jihad all'Occidente, e quindi prendere tutte le dovute misure.
    Se l'Occidente, nella sua comodità e compiacenza non prenderà immediatamente le dovute misure per eliminare alla radice questo fenomeno terroristico, già conosciuto e utilizzato nel mondo islamico, dimenticandosi di ogni altra considerazione, sarà la fine della cultura Occidentale.
    Se l'Occidente insiste nella 'road map', questo diventerà anche la strada che porterà alla sparizione dell'Occidente.

Shuny

(Honest Reporting Italia)



I TERRORISTI HANNO DICHIARATO GUERRA A ISRAELE E AD ABU MAZEN

    
Palestinesi manifestano contro il colloquio tra Abu Mazen e Ariel Sharon
La strage di lunedi' pomeriggio ad Afula (Israele), il quinto attentato suicida palestinese nell'arco di 48 ore, rappresenta la dichiarazione di guerra contro il neo primo ministro palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) da parte delle organizzazioni terroristiche palestinesi. Lo ha dichiarato lunedi' Ra'anan Gissin, portavoce del primo ministro israeliano Ariel Sharon. Gissin ha affermato che questi attentati sono criminali attacchi contro Israele, ma costituiscono anche una chiara sfida ad Abu Mazen, il premier palestinese che ha esplicitamente invocato la fine del terrorismo e delle violenze della cosiddetta seconda intifada. "Si tratta di una sfida aperta ad Abu Mazen e alla sua politica dichiarata", ha detto Gissin. Secondo il portavoce israeliano, "se Abu Mazen vuole affermare la propria autorita', deve agire subito. La situazione e' resa piu' complicata dal fatto che l'Autorita' Palestinese e' oggi guidata da un governo a due teste, e che Arafat sta facendo di tutto per fomentare disordini e minare l'autorita' di Abu Mazen".
    Secondo una fonte diplomatica israeliana, i fondamentalisti palestinesi di Hamas e Jihad Islamica, sostenuti da Iran e Siria, si rendono perfettamente conto che se Abu Mazen dovesse riuscire a guidare i palestinesi su un diverso binario, cio' significherebbe la fine del loro ruolo storico. Oggi dunque si battono per la loro stessa sopravvivenza, istigati e appoggiati da forze esterne. Secondo il diplomatico, Israele deve aumentare la pressione militare su Hamas e Jihad Islamica, e deve arrivare al completo isolamento internazionale di Arafat.

(Jerusalem Post, 19.05.2003 - da israele.net)



PALESTINESI DELLA STRISCIA DI GAZA PROTESTANO CONTRO I TERRORISTI DI HAMAS


GAZA - A Beit Hanun, città dell'Autonomia Palestinese al nord della striscia di Gaza, martedì scorso centinaia di palestinesi hanno manifestato contro il lancio di razzi su obiettivi israeliani. Le spontanee proteste sono avvenute dopo il parziale ritiro dalla città dell'esercito israeliano. Questo riferisce il quotidiano "Jerusalem Post".
    Secondo fonti palestinesi gli abitanti di Beit Hanun sono arrabbiati contro il movimento radical-islamico Hamas che continuamente lancia razzi dalla città. Per impedire gli attacchi giovedì scorso l'esercito israeliano ha fatto irruzione nella città dell'Autonomia per la settima volta in 32 mesi. Ma molto spesso è la popolazione che soffre per queste irruzioni dell'esercito.
    Testimoni oculari riferiscono che con le ultime operazioni le truppe israeliane avrebbero danneggiato almeno 15 case, oltre alle strade e ai sistemi di circolazione dell'acqua.
    "Ne abbiamo abbastanza. A causa degli attacchi di Hamas gli israeliani ci fanno diventare la vita un inferno", ha detto Omar Za'anin, che ha preso parte alle proteste.
    I dimostranti si sono appellati anche alle autorità dell'Autonomia Palestinese e hanno chiesto un immediato intervento contro i gruppi terroristici, affinché non si verifichino più simili irruzioni dell'esercito.
    "I membri dei gruppi terroristici [sic!] si definiscono eroi. Ma ci hanno portato soltanto distruzione e ci hanno fatti diventare dei senza-tetto. Hanno usato le nostre fattorie, le nostre case e i nostri bambini come scudi per nascondersi", ha detto il trentenne dimostrante Muhammad Zaanen.
   Alle proteste hanno partecipato circa 600 palestinesi. Hanno marciato lungo la strada principale di Beit Hanun, hanno incendiato pneumatici, gridato slogan contro Hamas e chiesto alle autorità dell'Autonomia di intervenire contro questi gruppi.
   Analoghe dimostrazioni sono annunciate nelle città di Rafah e Khan Yunis. Lì gli abitanti avrebbero perfino messo in piedi una sorta di milizia civile, i cui membri pattugliano regolarmente le strade. In questo modo si vuole evitare che i membri di Hamas usino le case, i giardini o i campi per il lancio dei loro razzi.

(Israelnetz Nachrichten, 21.05.2003)


NOTIZIE SULL'ALIA'


Dall'inizio dell'anno sono giunti in totale in Israele 5.759 immigranti, di cui

2.976 dall'ex-Unione Sovietica ed Europa Orientale,
   594 dall'Argentina,
   322 dalla Francia,
1.018 dall'Etiopia,
   849 da altri paesi.

a) La Prima Casa in Patria – La prima riunione annuale delle famiglie di immigrati, giunti in Israele nell'ambito del progetto dell'agenzia Ebraica "La Prima Casa in Patria", ha avuto luogo il mese scorso, sponsorizzato dalla International Fellowship of Christians and Jews. Nel corso del convegno, è stato varato un nuovo, importantissimo progetto: l'addestramento professionale di immigranti provenienti dall'Argentina, dall'ex-Unione Sovietica e dall'Etiopia, sostenuto congiuntamente dall'International Fellowship of Christian and Jews, da "La Prima Casa in Patria" e dalla sezione di collocamento per nuovi immigrati laureati dell'Associazione Industriale del Kibbutz.
    "La Prima Casa in Patria" ha contribuito all'inserimento di oltre 9.000 famiglie, dal 1989. Le varie parti del programma vengono tutte realizzate da volontari, membri dei kibbutz che sentono di avere il dovere personale di aiutare i nuovi immigrati ad integrarsi in Israele e a dare il proprio contributo al paese. Essi vedono inoltre nell'inserimento dei nuovi immigrati un'occasione di dare nuova vita ai kibbutz. Il Kibbutz, d'altra parte, è un modo sicuro, facile e comodo di cominciare una nuova vita in Israele. I kibbutz sperano che gli immigrati decidano di rimanervi, facendone la loro casa definitiva.

b) Fiere dell'Alià – Buenos Aires e Marsiglia sono state questa settimana le sedi di due riuscitissime fiere dell'alià, durante le quali i visitatori hanno ricevuto informazioni sulle possibilità di alloggio, studio e lavoro in Israele. In precedenza, altre fiere dell'alià si erano svolte a Parigi (2.000 visitatori) e Kiev (2.500 visitatori). Migliaia di persone hanno partecipato alla Fiera Expo-Alià a Buenos Aires. Una delegazione di 40 israeliani, compresi 20 uomini d'affari nel campo degli immobiliari e del commercio, hanno compiuto il viaggio a loro spese, per dare ai potenziali immigranti le informazioni necessarie. Da Buenos Aires la fiera si è trasferita a Rosario, a Cordoba, in Cile e a Montevideo. Circa 1.300 potenziali immigranti, originari della comunità ebraica della regione Marsiglia, hanno invece visitato la fiera tenutasi nella città. Quest'anno, nel 55° anniversario di Israele, 55 persone provenienti dalla zona di Marsiglia hanno fatto l'alià. Le fiere, che sono state visitate da persone diverse per età e condizione famigliare, hanno anche rappresentato un'opportunità di dimostrare solidarietà con Israele.

c) Ambulatori medici speciali per la comunità etiope – 280 persone, comprendenti personale dell'Agenzia Ebraica, assistenti sociali, medici e membri di organizzazioni che si occupano degli immigrati dall'Etiopia, hano preso parte ad un seminario di un giorno, incentrato sul tema del legame fra salute psichica e cultura all'interno della comunità etiope. I promotori dell'evento, l'Agenzia Ebraica e un ospedale psichiatrico di Beer Sheva, hanno portato esempi di incidenti riportati dai medici, indicanti che numerosi sintomi, in precedenza diagnosticati come malattie, siano invece da intendersi ora come fenomeni legati alla specificità culturale. L'obiettivo del seminario è stato quello di approfondire la conoscenza fra i professionisti e risvegliare l'attenzione sulle differenze da applicare nella cura degli etiopi e degli occidentali. La meta è di creare un ambulatorio con personale esperto, specializzato nei problemi e nel trattameto della comunità etiope.

d) Una tribù di 29 persone, membri di una stessa famiglia, ha fatto l'alià dal Cile – La settantunenne Maria Argushi, i suoi sette figli, i suoi 14 nipoti ed un pro-nipotino di quattro mesi, arrivati tutti in Israele il mese scorso, vivono ora al Centro di Assorbimento Tapuz di Nahariya. "La nostra grande famiglia viene dalla città di Conception, nel Cile meridionale ed è sempre stata attenta a condurre una vita rigidamente guidata dai precetti religiosi – ha detto Maria – Per tutta la vita abbiamo sognato di venire in Israele". Ora, 29 membri della famiglia – quattro generazioni – hanno finalmente realizzato il sogno. Un figlio ed una figlia sono rimasti in in Cile, ma la famiglia spera che i racconti da Israele li convincano ad unirsi al resto. I nuovi arrivati stanno cominciando ad esplorare Israele. "La cosa più stupefacente in Israele è il senso di sicurezza – afferma il figlio di Maria, Javier Torres – In Cile tutti parlavano della guerra con l'Irak, che minacciava Israele e qui tutti sono così tranquilli...".

e) Sapere per che cosa si combatte – Centotrenta soldati nuovi immigrati hanno terminato un corso intensivo di otto settimane sui principi essenziali dell'Ebraismo e del Sionismo. Il corso, intitolato Nativ (sentiero, percorso) è stato offerto dall'Istituto di Studi Ebraici dell'Agenzia Ebraica, in comune con il Corpo di Educazione e Gioventù dell'esercito israeliano. Il numero dei diplomati di questo corso è doppio rispetto a quello del corso precedente, cosa che riflette il desiderio sincero dei giovani immigrati di diventare parte del Popolo ebraico nel vero senso del termine. La classe attuale comprende soldati nuovi immgrati dall'ex-Unione Sovietica, Francia, Spagna ed Etiopia. Oltre alle lezioni frontali, al lavoro in classe e gite all'aperto, gli studenti passano lo Shabbat con famiglie che li ospitano e mangiano con loro, in modo da poter imparare gli usi e la pratica dello Shabbat. Rivolgendosi ai diplomati del corso, il Direttore Generale dell'Agenzia Ebraica, Giora Romm, ha detto: "Voi, che siete venuti qui, avrete la responsabilità d'Israele. In guerra, non si può vincere se non si sa per che cosa si combatte. Avendo completato questo corso, ora sapete per che cosa state combattendo".

f) Una società che sia più giusta e degna – In una cerimonia tenutasi la scorsa settimana al Ministero degli Interni d'Israele, alla presenza del Ministro Poraz e dal Presidente dell'Agenzia Ebraica Sallai Meridor, sono stati consegnati i certificati di cittadinanza israeliana a 10 soldati dell'Esercito israeliano, fino a quel momento apolidi. I soldati sono giunti alla cerimonia accompagnati dai famigliari e dai rappresentanti delle loro unità (Brigate di Fanteria Golani e Paracadutisti, Marina ed altre). Il Ministro degli interni ha inoltre deciso di conferire la cittadinanza alle famiglie dei soldati. Il Presidente dell'Agenzia Ebraica, Sallai Meridor, ha detto durante la cerimonia: "È inconcepibile che dei soldati che servono nell'esercito israeliano non ricevano la cittadinanza. La cerimonia di oggi cancella una macchia dalla società israeliana. Oggi siamo una società più giusta e degna".

g) Nuovi Immigrati protestano contro le misure economiche – I nuovi immigrati hanno protestato contro le misure economiche proposte, che includerebbero, fra l'altro, il commutamento dei sussidi per l'alloggio in prestiti. Alle dimostrazioni hanno partecipato immigrati dagli Stati Uniti, Sud Africa, America Latina, Gran Bretagna, Francia, ex-Unione Sovietica e Iran. L'Agenzia Ebraica sta conducendo un campagna pubblica per lottare contro queste misure draconiane, poiché – come ha detto il Presidente dell'Agenzia Ebraica, Sallai Meridor – "vanno contro gli interessi basilari d'Israele. È un dato di fatto incontrovertibile che l'alià avvantaggia l'economia israeliana. A partire dagli anni '60, un'espansione economica ha seguito ogni ondata di alià. Se acconsentissimo alle pretese del Tesoro, daremmo un taglio all'alià, colpendo gli interessi vitali di Israele. Danneggeremmo i giovani immigranti, le coppie giovani e le famiglie che hanno bisogno di aiuto per cominciare..., soprattutto gli immigranti dall'Argentina e dall'Etiopia. Israele ha bisogno di queste persone, ma noi li stiamo scoraggiando". L'on. Colette Avital, presidente della Commissione della Knesset per l'Alià, l'Inserimento e gli Ebrei nel Mondo ha dato il suo appoggio alla protesta.

(Keren Hayesod, 19 maggio 2003)


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