Notizie su Israele 188 - 29 luglio 2003


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Perché questo tumulto fra le nazioni, e perché meditano i popoli cose vane? I re della terra si danno convegno e i prìncipi congiurano insieme contro il SIGNORE e contro il suo Unto, dicendo: «Spezziamo i loro legami, e liberiamoci dalle loro catene». Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si farà beffe di loro. Egli parlerà loro nella sua ira, e nel suo furore li renderà smarriti: «Sono io», dirà, «che ho stabilito il mio re sopra Sion, il mio monte santo».

(Salmo 2:1-6)



LA PACE E' VICINA?


Il processo di pace, la Road Map
e quello che veramente succede


di Marcello Cicchese

Il "processo di pace" in Medio Oriente in questo momento ha assunto il nome di "Road Map". Sarebbe naturale aspettarsi che le clausole di questo potenziale accordo siano sotto l'attenzione di tutti e che si verifichi continuamente se vengono attuate. I media invece nominano la Road Map, ma parlano di altro. I nodi cruciali della questione sembrano essere due: la liberazione dei prigionieri palestinesi e l'abbattimento del muro di protezione deciso dal governo israeliano. Di questo però non c'è la minima traccia nella Road Map, ma nessuno lo fa notare.
    Ricordiamo allora qualche particolare della Road Map. Titolo:

«Fase I: Fine del terrorismo e della violenza, normalizzazione della vita dei palestinesi e creazione di istituzioni proprie: entro maggio 2003.»

Questa fase avrebbe dovuto terminare il maggio scorso. I media hanno verificato se è stata attuata? Una delle clausole suona così:

«Nella Fase I i palestinesi cesseranno immediatamente e categoricamente ogni forma di ostilità...»

Da notare che si parla genericamente di "palestinesi", non di gruppi armati, e si dice "immediatamente" e "categoricamente". E' stata osservata questa clausola? No, né immediatamente, né categoricamente. Non è stata osservata per niente. Però si fa notare che la violenza è un po' diminuita rispetto ai mesi precedenti. Non si può chiedere di più: adesso sono gli israeliani che devono dare "segni di buona volontà". E i segni sarebbero la liberazione dei terroristi palestinesi e l'abbattimento del muro di protezione. Ma che c'entra tutto questo con la Road Map? Niente, ma nessuno ne sottolinea la stranezza, perché evidentemente il fatto è nella natura delle cose. Gli israeliani devono dare prove di buona volontà, sempre: fa parte della loro natura, della loro storia. E gli altri, i palestinesi e il resto del mondo, devono verificare se queste prove sono soddisfacenti. Il che non accade mai. La violenza quindi continuerà. E di chi sarà la colpa? E' facile indovinare: la risposta è scritta da sempre nel dizionario della "political correctness".
    Considerando sempre la Fase I della Road Map, quella che dovrebbe essere già alle spalle, si dice:

«L'apparato di sicurezza dell'Autorita' Palestinese, debitamente riorganizzato e rinnovato, dovra' intraprendere operazioni efficaci, mirate e prolungate, volte a confrontarsi con chiunque risulti coinvolto in atti terroristici, e dovra' altresi' smantellarne le reti e le relative infrastrutture. Cio' implica la confisca di armi illegali e il consolidamento delle forze di sicurezza, dissociati da ogni possibile connivenza con il terrorismo e la corruzione.»

Questo è un passaggio bellissimo della Road Map. E' perfetto, ineccepibile, completo. Si potrebbe sostituire tutta la Road Map con questo solo comma, pretenderne sul serio l'osservanza, e il "processo di pace" sarebbe cosa fatta. Ma il problema non è questo: i media continuano a ripeterci che tutto dipende dalla liberazione dei prigionieri palestinesi e dall'abbattimento del muro. E' per questo che i terroristi di Hamas e Jihad, invece di essere disciolti, disarmati, arrestati, possono liberamente e pubblicamente manifestare con le armi in pugno nei territori dell'Autonomia Palestinese, sotto gli occhi di Yasser Arafat, Abu Mazen, Muhammad Dahlan e tutti gli altri. Possono bruciare bandiere israeliane, calpestare bandiere americane [ved. foto] ed esigere, in nome del "processo di pace", che siano liberati i terroristi prigionieri in modo che possano riprendere insieme a loro la sacrosanta guerra contro gli "occupanti". A che serve la hudna, se non a questo? Ma si dice che bisogna accontentarli, perché in questo modo si sostiene Abu Mazen, l'unico interlocutore degno di trattare la pace, contro Yasser Arafat, che invece non la vuole. Per favorire la pace bisogna dunque appoggiare Abu Mazen, il quale chiede di poter accontentare i terroristi che vogliono continuare la guerra. E per emarginare Yasser Arafat bisogna venire incontro ad Abu Mazen, il quale ha messo tra le sue imprescindibili richieste quella di non emarginare Yasser Arafat.

  
Gaza, 25 luglio 2003. «Militanti» palestinesi mascherati delle Brigate Al Quds calpestano una bandiera israeliana nell'ottavo anniversario dell'uccisione del loro leader Mahmoud Khawaia.
  
   Gaza, 25 luglio 2003. «Militanti» palestinesi armati delle Brigate Al Quds calpestano una bandiera americana nell'ottavo anniversario dell'uccisione del loro leader Mahmoud Khawaia.
Gaza, 24 luglio 2003. Giovane palestinese brucia una bandiera israeliana e grida slogan anti-Israele in una manifestazione per chiedere il rilascio di prigionieri palestinesi.
   Striscia di Gaza, 25 luglio 2003. «Militante» della Brigata dei Martiri Al Aqsa partecipa armato a una protesta per chiedere la «liberazione» di Arafat da Ramallah.

Gaza, 24 luglio 2003. Sostenitrici palestinesi della jihad islamica cantano slogan anti-Israele tenendo in mano il Corano e fotografie di prigionieri palestinesi in una manifestazione di protesta per chiederne la liberazione dalle carceri israeliane. Sulle fasce in testa è scritto: «Brigate Al Quds».
   Striscia di Gaza, 24 luglio 2003. Membri dell'ala militare di Hamas celebrano il primo anniversario dell'uccisione del loro leadear Sheik Salah Shehada's. Sulle fasce in fronte è scritto: «Allah è il solo Dio e Maometto è il suo profeta. Hamas». La scena dietro mostra un soldato palestinese che pugnala un israeliano.

Arafat è tutt'altro che emarginato. Si può dire anzi che la sua lucida follia criminale, fatta di odio, violenza e inganni, in tutto paragonabile a quella di un Adolf Hitler, è riuscita a contagiare amici e nemici, facendo smarrire a molti i più semplici e fondamentali elementi della logica e della morale. Ormai è tutto talmente intrigato e confuso che può venirne fuori di tutto, e tutti potranno dire che la cosa è giusta o sbagliata secondo la loro convenienza. L'unica cosa quasi sicura è che per Israele si avvicina una nuova ondata di lutti, e che per il mondo la colpa sarà sua. Ma chi vuole rilassarsi per qualche giorno può lasciarsi cullare dalle rassicuranti parole del presidente Bush: "Ormai camminano tutti verso la pace".



DAL TERRORISMO ALL'UNIFORME?


Membri delle Brigate Al-Aqsa e dei gruppi fondamentalisti Hamas e Jihad Islamica potrebbero presto sbarazzarsi delle bandane da "martiri" per indossare le uniformi delle forze di sicurezza dell'Autorita' Palestinese. Infatti, con la tacita approvazione delle autorita' di sicurezza israeliane, l'Autorita' Palestinese si sta adoperando per arruolare nei propri servizi di sicurezza (che sono circa una dozzina) membri delle cellule terroristiche marginali che hanno spesso violato la "tregua" proclamata dalle principali fazioni palestinesi, in cambio di una garanzia di immunita' de facto da parte di Israele. I nuovi arruolati finirebbero cosi' sul libro paga dell'Autorita' Palestinese prestando servizio armato o amministrativo.
    "Bisogna dare loro la sensazione di avere un interesse personale alla pace - spiega Kadura Fares, un veterano di Fatah vicino a Yasser Arafat - Bisogna offrire loro una posizione nel nostro apparato di sicurezza". Autorita' Palestinese e Fatah vorrebbero portare sotto l'ombrello delle forze di sicurezza palestinesi anche gli elementi marginali di Hamas e Jihad. "Coloro che non lo fanno, si assumeranno la responsabilita' delle loro azioni contro la pace. Se vogliono che li proteggiamo, devono aiutarci. Altrimenti avremo grossi problemi", spiega ancora Fares.
    In effetti, distinguere fra i gruppi sedicenti laici affiliati a Fatah e quelli fondamentalisti vicini a Hamas e Jihad non e' cosi' facile come potrebbe sembrare. Secondo fonti locali palestinesi, a Jenin sarebbe stata la Jihad Islamica, il gruppo probabilmente piu' forte nella citta', a commissionare a membri delle Brigate Al Aqsa (legate a Fatah) sotto il comando di Zakariya Zubeidi il sequestro sabato scorso del governatore Haider Irsheid. Stando a quanto si dice in citta', il sequestro aveva a che fare piu' che altro con la (frustrata) richiesta di militanti di Brigate Al Aqsa e Tanzim di ottenere da parte dell'Autorita' Palestinese una sorta di copertura d'impunita'. Fonti palestinesi confermano che molte cellule attive localmente sono sempre piu' sotto il controllo di agenti iraniani, che le sovvenzionano e ordinano attentati terroristici anti-israeliani. L'Autorita' Palestinese ha iniziato a mandare a Gerico, al confino o in carcere, diversi militanti, sia per allontanarli dalle attivita' terroristiche sia per proteggerli. Molti di essi, tuttavia, si oppongono.
    Le autorita' israeliane non sembrano turbate piu' di tanto dalla prospettiva di un "patto col diavolo" dell'Autorita' Palestinese con i gruppi fondamentalisti. "Non abbiamo obiezioni di principio al fatto che l'Autorita' Palestinese recluti membri di Hamas e Jihad nel proprio apparato - dicono fonti della sicurezza israeliana - Allo stato attuale la nostra prima preoccupazione e' che questa gente esca di scena e non compia attentati terroristici. Cerchiamo di lasciare ai palestinesi i problemi interni palestinesi".
    Israele ha registrato una significativa diminuzione dell'allarme terrorismo da quando, il 29 giugno scorso, i principali gruppi palestinesi hanno dichiarato la "hudna" (tregua provvisoria). D'altra parte, come Gerusalemme ha sempre sostenuto, e' dai gruppi palestinesi e non da Israele che dipende la decisione di far cessare le violenze della cosiddetta seconda intifada. Finche' perdura la situazione attuale, lasciano intendere le fonti israeliane, l'immunita' per tutti coloro che non sono in procinto di compiere un attentato, di fatto esiste gia'. Naturalmente Israele vorrebbe che l'Autorita' Palestinese si impegnasse con determinazione a disarmare e arrestare i terroristi di Hamas e Jihad, ma e' anche consapevole della debolezza politica del primo ministro palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen). In ogni caso, sulla base delle intese che hanno portato al disimpegno dei soldati israeliani da Gaza e Betlemme, Israele si riserva il diritto di intervenire e, se necessario, colpire eventuali terroristi in procinto di compiere un attentato (le cosiddette "bombe a orologeria"). Quando i servizi israeliani vengono a sapere di una cellula che sta preparando un attacco, passano l'informazione ai servizi palestinesi. Se i palestinesi non agiscono, allora intervengono le forze israeliane.
    "Tuttavia - dice Yoni Fighel, dell' International Policy Institute for Counter-Terrorism di Herzliya - sulla base della nostra esperienza sono piuttosto scettico". Nel 1994, come governatore militare di Ramallah, Fighel vide passare nel suo ufficio decine di "ex" terroristi palestinesi che firmavano l'impegno solenne ad abbandonare ogni forma di violenza contro Israele in cambio dell'impunita' e della possibilita' di arruolarsi nelle forze di sicurezza della neonata Autorita' Palestinese. "Ma la mentalita' da terrorista non passa facilmente - aggiunge - Come allora, temo che l'impegno a cessare gli attentati e ad aderire all'Autorita' Palestinese non valga nemmeno la carta su cui e' scritto". Allo scoppio dell'attuale conflitto, nell'autunno 2000, l'Autorita' Palestinese scateno' negli attacchi anti-israeliani gli ex-terroristi che militavano nei suoi ranghi. Fighel teme che un ciclo come quello possa facilmente ripetersi in futuro. Tuttavia, benche' lo giudichi un errore sul piano della lotta contro il terrorismo, Fighel riconosce che la possibilita' di calmare per un periodo gli estremisti, e alleviare la pressione politica su Abu Mazen e Dahlan, possa essere sostenuta sulla base di considerazioni di ordine politico e diplomatico "che prevalgono su quelle strettamente operative".

(israele.net, 25.07.03 - dalla stampa israeliana)



CHE SI ASPETTA A PROCESSARE ARAFAT?


Da Norimberga a Ramallah

di Eytan Ellenberg

Educazione del suo popolo all'odio e al martirio; ripetuti massacri di ebrei, cristiani e musulmani in Israele, nei territori contesi, nel Libano e nel mondo intero; messa a punto di una strategia islamo-nazionalista paragonabile in molti punti al progetto di arianizzazione nazista; sostegno finanziario e logistico di gruppi responsabili di ripetuti crimini contro l'umanità.
    La lista è lunga ma il colpevole è unico: Yasser Arafat, presidente dell'Autorità palestinese. Il messaggio dev'essere consegnato a tutto il mondo: bisogna isolare, boicottare e poi giudicare quest'uomo per genocidio e crimini contro l'umanità.
    Qual è la logica che perpetua il sostegno a quest'uomo di una parte del mondo? Quali argomenti sono tanto pesanti da bilanciare le azioni mostruose di Yasser Arafat?
    Se l'Europa anela a partecipare agli sforzi di pace in Medio Oriente, non deve più inoltrarsi nella via senza uscita che è il sostegno cieco a un criminale assetato di sangue e di soldi. Yasser Arafat non è Nelson Mandela, è Hitler, Pol Pot o Milosevic; Yasser Arafat non Yitshak Rabin, ben lungi dall'essere un soldato della pace, è un criminale di guerra.
    L'Europa deve isolare e boicottare Yasser Arafat perché oggi rappresenta la principale minaccia contro la pace e la stabilità di questa regione. Quest'uomo è un mentitore inveterato e un dis-facitore di pace. Ci sono prove largamente diffuse da Israele che presentano esplicitamente il forte e innegabile coinvolgimento di Arafat nella corruzione e nel terrorismo.
    Arafat è anche all'origine di un sistema educativo dannoso, perverso e odioso. Nelle scuole palestinesi, nelle strade di Ramallah o di Jenin, Arafat ha educato all'odio e all'omicidio i suoi soldati di tipo nuovo: dei terroristi kamikaze, dei "martiri-uccisori" (Sibony), degli "islamkamikaze", degli assassini che si tolgono la vita per uccidere altri uomini, donne e bambini. Speer e Von Schirach furono condannati a vent'anni di detenzione per aver preso il comando dei giovani hitleriani; tra qualche anno si parlerà di "gioventù arafattiana".
    Le riforme dell'Autorità palestinese richieste dal quartetto (Road Map) saranno efficaci soltanto se Arafat sparirà dalla vita politica palestinese, condizione sine qua non della promozione della pace e della democrazia nel futuro Stato di Palestina.
    Yasser Arafat deve essere giudicato davanti a una corte internazionale per genocidi e crimini contro l'umanità. Quando si educano dei ragazzi ad uccidere, si agisce contro l'umanità. Quando si massacrano centinaia di cristiani a Damour o si permette ai "soldati" di Hamas di violare e linciare gli "infedeli" di Betlemme, si agisce contro l'umanità. Quando si perpetuano massacri e assassini collettivi nelle strade di Gerusalemme o di Tel Aviv, si agisce contro l'umanità. Gli attentati-suicidi non sono forse, in una certa misura, dei veri genocidi o "democidi", secondo l'espressione di "Medici del Mondo"? Che differenza ci può ancora essere tra Arafat e Hitler? L'ossessione antiebraica o i mezzi usati?
    Perché giudicare Milosevic e non Arafat?
    Perché mettere Papon in prigione mentre Arafat è ancora soltanto "isolato" a Ramallah?
    Gli attacchi anti-israeliani non rientrano forse nella definizione di crimine contro l'umanità dato dal Tribunale di Norimberga: "Assassinio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione e ogni altro atto inumano commesso contro tutta la popolazione civile...?"
    Che cosa c'è di più inumano degli attentati-suicidi?
    Che cosa c'è di più inumano che massacrare trenta persone la sera della Pasqua ebraica?
    Che cosa c'è di più inumano di questa odiosa fierezza dei genitori per i loro figli martiri?
    Che cosa c'è di più inumano di questo vecchio commediante che promette milioni di martiri alla luce di una candela davanti alle telecamere della CNN?
    Non siamo i soli a dirlo; in effetti, le associazione dei diritti umani Watch, Amnesty International e ora Medici del Mondo lo dicono: l'Autorità palestinese è colpevole o complice di crimini contro l'umanità per l'assassinio ripetuto e sistematico di civili israeliani. "Gli attacchi lanciati contro dei civili dai gruppi armati palestinesi sono frequenti e sistematici. Essi si inscrivono nel quadro di una politica mirante esplicitamente ad attaccare dei civili (...) Per questo esse costituiscono dei crimini contro l'umanità rispetto al diritto internazionale." Qualificare queste azioni in in

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simile modo richiede necessariamente che si prendano delle misure adeguate: l'avviamento di un processo in cui Arafat, Yassin e altri capi terroristi verranno giudicati e puniti.
    E' per l'interesse di tutto il mondo, e in primo luogo per quello della società palestinese, che questo processo deve avere luogo: devono capire che questa ondata di terrorismo che ha costituito la seconda intifada non può restare impunita.
   
(Guysen Israël News. 23 luglio 2003)



IL NUOVO ANTISEMITISMO DEI DIRITTI UMANI


Ecco come e perché
ho perso l'innocenza dell'ebrea perbene


di Fiamma Nirenstein

Nel 1967 ero una giovane comunista, come la maggior parte dei ragazzi italiani.
    Stufa del mio comportamento ribelle, la mia famiglia mi mandò in un Kibbutz dell'alta Galilea, Neot Mordechai. […] Quando scoppiò la guerra dei Sei giorni, Moshe Dayan parlò alla radio per darne l'annuncio. Chiesi ai miei camerati di Neot Mordechai che cosa volessero dire le sue parole. Mi risposero: "Shtuiot", sciocchezze.
    Durante la guerra portavo i bambini nei rifugi, scavavo trincee e mi addestravo in alcune semplici operazioni di autodifesa. Continuavamo a lavorare nell'orto, ma eravamo svelti a identificare i "mig" e i "mirage" che si inseguivano nel cielo sopra le alture del Golan. Quando tornai in Italia, i miei compagni di scuola non mi accolsero bene: alcuni mi guardarono come se non fossi più la stessa di prima, ma un nemico, una persona malvagia che presto sarebbe diventata un'imperialista. Stava per avvenire un grande cambiamento nella mia vita: allora non lo sapevo ancora, perché pensavo semplicemente che Israele avesse giustamente vinto una guerra dopo essere stato assalito e aver subito un numero incredibile di provocazioni e maltrattamenti. Ma presto mi accorsi che avevo perso l'innocenza dell'ebreo buono, di quell'ebreo speciale fatto secondo i loro desideri. Ora, in quanto ebrea, ero messa insieme con gli ebrei dello Stato di Israele, e lentamente, ma inesorabilmente, venivo esclusa da tutta quella nobile schiera di personaggi come Bob Dylan, Woody Allen, Singer, Roth, Shtetl e Freud che santificava il mio giudaismo agli occhi della sinistra. Ho cercato per molto tempo di riconquistare quella santificazione, e la sinistra ha cercato di ridarmela, perché gli ebrei e la sinistra hanno disperatamente bisogno gli uni dell'altra. Ma ora, dopo che l'odierno antisemitismo ha calpestato qualsiasi buona intenzione, le cose si sono fatte chiare. In tutti questi anni, anche persone che, come me, hanno firmato petizioni per il ritiro dell'esercito israeliano dal Libano, sono diventate dei "fascisti inconsapevoli", come mi ha scritto un lettore in una lettera piena di insulti. […] La ragione di questi e di molti altri insulti e critiche mi è stata spiegata da uno scrittore israeliano molto famoso. Un paio di mesi fa, mentre stavamo parlando al telefono, mi ha detto: "Sei davvero diventata una persona di destra". Cosa? Di destra? Io? Una vecchia femminista, attivista dei diritti umani, addirittura comunista in gioventù? Soltanto perché ho raccontato il conflitto arabo-israeliano nel modo più accurato che potevo, e perché talvolta mi sono identificata con i problemi di un paese continuamente attaccato dal terrorismo? E' un fatto davvero interessante. Perché nel mondo contemporaneo, il mondo dei diritti umani, se una persona viene definita di destra, è il primo passo verso la sua delegittimazione.
    Se sei un ebreo nato dopo l'olocausto impari subito un messaggio molto chiaro: il male, per gli ebrei, è sempre giunto dalla destra. […] Allo stesso tempo, la sinistra ha concesso la propria benedizione agli ebrei legittimandoli come la vittima "par excellence", un alleato sempre fidato nella lotta per i diritti dei deboli contro i più forti. Come ricompensa per il sostegno offertogli, possibilità di pubblicare libri e girare film, nonché per la reputazione di artisti, intellettuali e giudici morali che gli veniva riconosciuta, gli ebrei, persino durante le persecuzioni antisemite dell'Unione Sovietica, hanno dato alla sinistra il proprio appoggio morale, invitandola a unirsi a loro nel pianto davanti ai monumenti dell'Olocausto.
    Oggi il gioco è chiaramente terminato.
    La sinistra si è dimostrata la vera culla dell'attuale antisemitismo. Quando parlo di antisemitismo, non mi riferisco alle legittime critiche rivolte contro lo Stato di Israele, bensì all'antisemitismo puro e semplice, talvolta accompagnato anche da critiche: criminalizzazione, stereotipi e menzogne specifiche e generiche, che da menzogne sugli ebrei (cospiratori, assetati di sangue, dominatori del mondo) hanno ampliato il loro raggio e sono diventate menzogne su Israele Stato cospiratore e sfrenatamente violento), in modo violentissimo soprattutto a partire dalla seconda Intifada e assumendo una ferocia sempre maggiore dall'inizio dell'operazione Chomat Magen, "Muro difensivo".
    L'idea fondamentale dell'antisemitismo, oggi come sempre, è che gli ebrei abbiano un animo perverso che li rende diversi e inadatti, in quanto popolo moralmente inferiore, a diventare membri regolari della famiglia umana. Ora questa ideologia dell'Untermensch si è estesa a Israele in quanto Stato ebraico: un'entità straniera, separata, diversa, fondamentalmente malvagia, la cui esistenza nazionale viene lentamente ma inesorabilmente svuotata di significato e privata di giustificazione. Israele, proprio come il classico ebreo cattivo, non ha, secondo l'antisemitismo contemporaneo, diritto di nascita, ma è macchiato da un "peccato originale" commesso contro i palestinesi. La sua storia di eroismo è stata rovesciata e trasformata in una storia di arroganza. […]
    Sulle prime pagine dei giornali europei abbiamo visto vignette che, ripetendo i classici stereotipi antisemiti, mostrano Sharon mentre divora bambini palestinesi e i soldati israeliani impegnati a minacciare culle di piccoli Gesù. Tutto questo nuovo antisemitismo, che si è materializzato sotto forma di una violenza fisica senza precedenti contro persone e simboli ebraici, nasce nel seno di organizzazioni che si dedicano ufficialmente alla salvaguardia dei diritti umani, e ha il suo centro propulsore nel summit delle Nazioni Unite tenuto a Durban. […]
Ma gli ebrei e in generale la comunità internazionale sono stati presi del tutto di sorpresa, e non hanno denunciato la nuova ondata di antisemitismo. Nessuno fa scoppiare uno scandalo se Israele viene giorno dopo giorno accusato, senza alcun motivo, di un eccesso di violenza, di atrocità e di crudeltà come nessun'altra nazione che si trovi in una situazione simile alla sua. […]
    Questo nuovo antisemitismo ha un volto che, come quello di Medusa, pietrifica chiunque lo osservi. La gente non vuole ammetterlo e neppure nominarlo perché in questo modo si svela sia l'identità dei suoi sostenitori sia il suo vero obiettivo. Persino gli stessi ebrei non vogliono chiamare un antisemita con il suo vero nome, temendo di frantumare vecchie alleanze. Perché la sinistra ha una propria idea molto precisa di cosa debba essere un ebreo, e se questi non segue le sue direttive, scatena autentica rabbia e furore. Come osi essere un ebreo diverso da come ti ho ordinato? Combattere il terrorismo? Eleggere Sharon? Ma sei pazzo? E qui la risposta degli ebrei e degli israeliani è sempre la stessa: siamo ancora molto timidi, molto desiderosi del vostro affetto. Perciò, preferiamo rimanere in una posizione speciale, invece di pretendere di diventare una nazione come tutte le altre, preferiamo stare al vostro fianco; persino quando tirate fuori centinaia e centinaia di affermazioni antisemite, preferiamo restare vicini a voi davanti a un monumento eretto in memoria dell'Olocausto, ascoltandovi deprecare il vecchio antisemitismo, mentre allo stesso tempo accusate Israele, e perciò gli ebrei, di essere dei killer razzisti.
    Facciamo un esempio che è diventato famoso in tutto il mondo: un noto giornalista italiano, già direttore del Corriere della Sera, è stato recentemente nominato presidente della Rai. E' un incarico di grande importanza, perché la Rai è un impero che modella l'opinione pubblica italiana e controlla miliardi di dollari. Il cognome del giornalista, Mieli, è ebreo. […] La stessa notte della sua nomina, la sede della Rai è stata imbrattata di graffiti […di chiara ispirazione antisemita…]. Sorprendentemente, o forse prevedibilmente, una così sfacciata manifestazione di antisemitismo ha suscitato pochissime reazioni sia da parte delle autorità italiane sia da parte della comunità ebraica italiana. […] [Un altro esempio è fornito da] una lettera di un gruppo di professori dell'università di Bologna, indirizzata ai "loro amici ebrei" e pubblicata con un altissimo numero firme a sottoscrizione. Eccone un passaggio: "Abbiamo sempre considerato il popolo ebraico come un popolo intelligente, sensibile, forte, forse, più di tanti altri perché selezionato nella sofferenza e nelle persecuzioni, nelle umiliazioni subite per secoli, nei pogrom e, per ultimo, nei campi di sterminio nazisti. Abbiamo avuto compagni di scuola amici ebrei, colleghi di lavoro da noi stimati, anche allievi israeliani a cui abbiamo trasmesso i nostri insegnamenti portandoli alla laurea, e che oggi esercitano la loro professione in Israele. Siamo spinti a scrivervi perché sentiamo purtroppo che la nostra stima il nostro affetto per voi, per il popolo ebraico, si sta trasformando in dolorosa rabbia… tante altre persone, dentro e fuori la nostra università, che hanno stima per il vostro popolo oggi provano i nostri stessi sentimenti. E' necessario che vi rendiate conto che oggi state facendo ai palestinesi quello che a voi è stato fatto nei secoli passati… possibile che non vi accorgiate che state fomentando contro voi stessi un odio immenso?". Questa lettera è un perfetto riassunto di tutte le caratteristiche del nuovo antisemitismo. C'è la definizione pre-sionista del popolo ebraico come di un popolo che soffre, anzi che deve soffrire per sua stessa natura; un popolo destinato a sopportare le più terribili persecuzioni senza nemmeno alzare un dito e che, perciò, è degno di compassione e solidarietà.
    E' ovvio che uno Stato di Israele solido, democratico, militarmente forte ed economicamente prospero è l'antitesi di questo stereotipo. Il "nuovo ebreo", che cerca di non soffrire e che, soprattutto, può e vuole difendersi, perde immediatamente tutto il suo fascino agli occhi della sinistra. Ma fino a quando la mappa del Medio Oriente non è stata colorata di rosso dalla Guerra fredda e Israele non è stato dichiarato la longa manus dell'imperialismo americano, la situazione era diversa. Il nuovo Stato di Israele, fino alla guerra del 1967, era costruito sulla base di un'ideologia che permetteva o addirittura obbligava la sinistra a essere orgogliosa degli ebrei e gli ebrei a esserlo della sinistra, anche quando gli israeliani stavano combattendo e vincendo aspre guerre.
    Gli ebrei che erano sopravvissuti alla persecuzione nazifascista, la persecuzione della destra, avevano fondato uno Stato socialista ispirato ai valori della sinistra, il lavoro e il collettivismo, e in questo modo avevano nuovamente santificato la sinistra come il rifugio di tutte le vittime. […]
    [A Durban], i movimenti dei diritti umani […] hanno scelto Israele come nemico e obiettivo primario. Questa scelta rappresenta un grande successo per la propaganda palestinese, ma anche un grave segnale di debolezza da parte di questi stessi movimenti. L'immagine che risulta è quella di una sinistra ideologicamente e politicamente all'angolo, che ha scelto di adottare come universale una battaglia molto controversa specifica, pesantemente contrassegnata dal terrorismo. Una sinistra che invece di affrontare il sistema di globalizzazione capitalistico, prende come suo principale obiettivo lo Stato di Israele. In parole povere, la sinistra ha deciso di far pagare a Israele ciò che a suo giudizio dovrebbe pagare l'America. Non è una cosa da veri codardi? […] Denunciare questo nuovo antisemitismo dei diritti umani è un compito psicologicamente difficilissimo per Israele e per gli ebrei della Diaspora. E lo è tanto di più perché quello tra gli ebrei e la sinistra è un divorzio che quest'ultima non desidera affatto. La sinistra vuole continuare a essere considerata il paladino dei buoni ebrei. Pretende di piangere per gli ebrei uccisi nella Shoah, spalla a spalla con gli ebrei. E lo fa perché questo le dà l'autorizzazione morale per parlare delle "atrocità" di Israele. […] Fino a quando non romperemo il silenzio, noi ebrei daremo alla sinistra l'autorizzazione di negare il nostro diritto a una propria nazione, e a difendere il nostro popolo da un antisemitismo senza precedenti.


La parola d'ordine

Proprio nello stesso momento in cui maledice Israele, la sinistra dei diritti umani, del pacifismo, della protesta contro la pena di morte, la guerra e le discriminazioni razziali o sessuali, elogia anche i terroristi suicidi e si compiace per caricature di Sharon degne dello Sturmer. Ma nessuno dei suoi esponenti verrà mai in Israele per fare lo scudo umano seduto in un bar o a bordo di un bus. […] Se vogliamo ottenere qualcosa, se decidiamo che è giunto il momento di combattere, dobbiamo sbarazzarci delle imposture e degli inganni "liberali". Dobbiamo saper dire che la libera stampa fallisce la sua missione quando mente, e che sta effettivamente mentendo. Dobbiamo dire che tutti i diritti umani sono violati quando a un popolo è negato il diritto all'autodifesa, e che questo diritto è effettivamente negato. I diritti umani sono calpestati anche quando una nazione viene sottoposta alla diffamazione sistematica e resa automaticamente un obiettivo legittimo per i terroristi. Non dobbiamo più accettare ciò che abbiamo accettato fin dal giorno in cui è nato il nostro Stato, vale a dire che debba essere considerato come uno Stato diverso e a sé stante all'interno della comunità internazionale.
    Un punto molto importante: tra le varie forme di antisemitismo oggi in voga, una riguarda la confusione tra "israeliano" ed "ebreo". Apparentemente, è sbagliato insinuare che gli ebrei agiscano nell'interesse dello Stato di Israele e non in quello dello Stato in cui vivono. Più un paese confonde i due termini, più è considerato antisemita, e quindi ci si immaginerebbe che gli ebrei combattano questo pregiudizio. Ma è un grave errore. Poiché lo Stato di Israele, e insieme a esso gli ebrei, sono stati vittime del peggior genere di pregiudizi, gli ebrei dovrebbero considerare apertamente il loro essere identificati con Israele come un prestigio e un onore. […] Se è vero che Israele è l'obiettivo principale degli attacchi antisemiti, è proprio qui che dobbiamo concentrare la nostra attenzione. Dobbiamo giudicare il carattere morale della persona con la quale stiamo parlando in base a questo test: se menti su Israele, se lo ricopri di pregiudizi, sei un antisemita. Se sei prevenuto nei confronti di Israele, sei contro gli ebrei. Naturalmente questo non significa che sia proibito
criticare Israele e le sue politiche. […]
    Israele e gli ebrei oggi hanno una sola certezza: ora che dispongono di propri mezzi di difesa, una nuova Shoah non è più possibile. Tuttavia, dobbiamo passare dall'idea di una possibile eliminazione fisica degli ebrei a quella di una loro possibile eliminazione morale. L'unico modo per affrontare questa minaccia è combattere senza paura, sul nostro stesso terreno, usando tutte le armi storiche ed etiche che Israele possiede. Nessuna vergogna, nessun timore e nessun senso di colpa. Israele ha la possibilità di dimostrare ciò che è veramente: l'avamposto nella lotta al terrorismo e il baluardo della democrazia. Non è una cosa da poco. Ma noi ebrei ci comportiamo come vittime e non cogliamo questa possibilità perché significherebbe metterci in conflitto con i nostri vecchi alleati, rinunciando alla loro legittimazione. Dobbiamo renderci conto che questa legittimazione si trova nelle nostre mani, anche se non l'abbiamo mai fatta valere.
    La parola d'ordine degli ebrei dovrebbe essere "orgoglio ebraico", nel senso di orgoglio per la nostra storia e per la nostra identità nazionale, ovunque ci troviamo. Orgoglio ebraico significa che dobbiamo reclamare l'esclusiva identità del popolo ebraico e suo diritto di esistere. Dobbiamo comportarci come se questo diritto non ci fosse mai stato riconosciuto perché oggi, ancora una volta, non lo è più. […] Nessuna sinistra e nessuna destra. Non daremo alla sinistra il potere di decidere dove dobbiamo stare. Decideremo le nostre alleanze da soli, in base alla situazione concreta dei nostri potenziali.

(Il Foglio - ripreso da Morashà.it, 15.07.2003)



UNITÀ DI FATAH STA PROGRAMMANDO ATTENTATI TERRORISTICI



RAMALLAH - Una unità delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, un sottogruppo del partito Fatah, appartenente al capo dell'OLP Yasser Arafat, sembra che stia preparando un doppio attentato suicida nel centro di Israele. Secondo informazioni del servizio segreto israeliano per l'interno Shabak, quelli che tirano i fili si trovano nel quartier generale di Arafat.
    Secondo un rapporto del quotidiano "Yediot Ahronot", in una delle prossime settimane due donne palestinesi si faranno saltare in aria in un night club di Tel Aviv o di Netanya. Questo ha detto durante un interrogatorio un attivitsta arrestato di quella unità. Stando alle sue parole, le attentatrici dovranno venire da Nablus a Ramallah e lì ricevere le loro cinture esplosive, che sono state già portate nella città dell'Autonomia da un altro attivista.
    Secondo le dichiarazioni dell'uomo arrestato, al vertice dell'unità si trova un 26enne palestinese ricercato, che da Mukata dirige azioni contro israeliani, come attacchi armati o attentati suicidi. Il gruppo è responsabile dell'assassinio di tre israeliani, uccisi durante scontri a fuoco nelle vicinanze di Ramallah. La settimana scorsa avrebbe depositato dell'esplosivo a Tulkarm, una città dell'Autonomia.
    Durante l'interrogatorio l'attivista arrestato ha detto che la sua unità si oppone alla temporanea cessazione del fuoco ("hudna"), che invece è stata accettata dalla radical-islamica Hamas, da Jihad al-Islam e da Fatah. Il gruppo è finanziato con fondi iraniani che arrivano nei territori palestinesi attraverso il Libano. Il 30enne ha inoltre riferito che a Ramallah si trova una fabbrica di esplosivi in cui viene prodotto materiale esplosivo e cinture per attacchi terroristici.
    Secondo dichiarazioni dello Shabak, le forze di sicurezza israeliane hanno più volte trasmesso queste informazioni alle autorità dell'Autonomia Palestinese, l'ultima volta lo scorso fine settimana. L'apparato di sicurezza palestinese non ha né arrestato, né interrogato, né ammonito il leader del gruppo. Di conseguenza lo Shabak ha deciso di rendere pubblico il suo materiale. Rappresentanti dell'Autorità Palestinese negano invece di aver ricevuto simili informazioni da parte israeliana.
   
(Israelnetz.de, 28.07.2003)



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