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Notizie su Israele 201 - 11 ottobre 2003 |
1. Lettera aperta a Gerhard Schröder 2. La legale iniquità dell'Onu 3. Una famiglia di ebrei siriani e i rotoli della Torà 4. I tunnel tra l'Egitto e la striscia di Gaza 5. Francesco Cossiga invoca l'intervento militare in Medio Oriente 6. L'antisemitismo ecumenico dei buoni fa progressi 7. Musica e immagini 8. Indirizzi internet |
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1. LETTERA APERTA A GERHARD SCHRÖDER "Gerhard, immagina che..." di Andreas Dippel E' un capolavoro di commento giorna- listico quello che il noto editorialista Henryk M. Broder ha pubblicato in questi giorni su "Spiegel-Online". In una "lettera personale" critica aspramente Gerhard Schröder, che in una sua comparsa davanti alla stampa al Cairo aveva detto, riferendosi all'attacco di Israele al campo di terroristi in Siria, che «la sovranità di un altro stato era stata violata», e che una simile azione «non era accettabile». «Ero sicuro», scrive Henryk M. Broder nella sua Lettera a Schröder, «che tu intendevi l'attacco terroristico, perché la sovranità di uno Stato si esprime soprattutto nel fatto che il suo governo garantisce la sicurezza dei cittadini. Se la sicurezza è violata, per terrorismo interno o esterno, non si può più parlare di una sovranità. In quel caso regnano situazioni afgane o somale. Soltanto dopo aver letto due o tre volte il resoconto della conferenza stampa, la cosa mi è divenuta chiara: tu non intendevi l'attentato, ma la reazione israeliana, cioè il bombardamento del presunto campo-jihad in territorio siriano [...]» «Quello che ti tormenta è la preoccupazione per la sovranità violata di un paese che addestra e incoraggia i terroristi, che da parte loro si preoccupano della sovranità di altri paesi come Mohammed Atta del servizio a bordo dell'aereo che pilotava. [...]» Nel frattempo in Germania, scrive ancora Broder, si è diffusa l'opinione che è colpa degli israeliani se non possono più prendere l'autobus o sedersi in un bar senza temere per la loro vita. «Ma tutto questo, caro Gerhard, mio Cancelliere, non è affar tuo. A te interessa soltanto la sovranità violata della Siria. Perché tu ti preoccupi per la pace e la stabilità nel Medio Oriente, come il tuo Ministro degli Esteri, che tutte le volte parte per "la regione" con la bocca piena e torna indietro a tasche vuote. Mi chiedo come mai non è ancora riuscito a telefonare al suo amico Arafat e a dirgli: "Yossi, piantala di fare il guitto, smettila di prendere le distanze dagli attentati che fanno i tuoi uomini. Se non ci pensi tu a far smettere la tua gente col terrorismo, ci penseremo noi, il Cancelliere e io, a fare in modo che non ti arrivino più soldi dall'UE." Questo, caro Gerhard, sarebbe stato un provvedimento a favore della pace, e non le chiacchiere su una iniziativa europea per il Medio Oriente che non ci sarà mai. Per favore, siediti nella tua poltrona business-class, chiudi gli occhi e immaginati quello che segue:
(Israelnetz Nachrichten, 08.10.2003) 2. LA LEGALE INIQUITA' DELL'ONU Sul "diritto" internazionale di François Médioni Quando, come rappresaglia al crimine contro l'umanità di Haifa, Israele bombarda un campo di terroristi in Siria, la "comunità" internazionale si commuove, e parla di violazione del diritto internazionale. Il paese non arabo che esprime più violentemente la sua "indignazione" è naturalmente la Francia. Questa reazione della "comunità" internazionale, e soprattutto della Francia, è di una ipocrisia assoluta. In effetti, nel 1983, la Francia si è trovata davanti a una situazione identica quando dei terroristi di Hezbollah comandati dalla Siria hanno commesso un attentato contro la caserma Drakkar e assassinato cinquantotto soldati francesi. Immediatamente dopo questo crimine, Mitterrand aveva detto che l'assassinio dei soldati francesi non sarebbe rimasto impunito perché "Tutto quello che spetta alla legittima difesa rappresenta un fondamentale diritto dell'uomo". Qualche settimana dopo la Francia bombarderà una caserma di terroristi libanesi a Baalbek. Sia ben chiaro, la Francia non si è mai accusata di violazione del diritto internazionale per il bombardamento di questo campo di terroristi, e nessuno stato ha condannato la Francia, neppure la Siria. Questo atteggiamento francese può essere analizzato nel quadro della "guerra" che la Francia conduce contro Israele al fianco dei suoi amici arabi, ma può essere analizzata anche ad un altro livello, quello del diritto e delle "istituzioni" internazionali. Ci viene detto che ci sarebbe un diritto internazionale intangibile che regge il mondo con la sua virtù e la sua giustizia, e che l'ONU sarebbe l'ordinatore di questo mondo idilliaco. La sua realtà però è del tutto diversa. L'ONU è diventato un forum in cui si condanna ritualmente Israele in modo ingiusto. Queste condanne non sono certo fondate su delle realtà, ma sono dovute al fatto che da una parte c'è Israele, paese di 6.5 milioni di abitanti, e dall'altra 1,2 miliardi di musulmani suddivisi essenzialmente in più di cinquanta paesi, compresi alcuni occidentali, come la Francia. Oltre a questo scarto demografico, c'è lo scarto economico, perché il mondo arabo è uno dei principali produttori di petrolio, che resta una materia primaria strategica. Questo scarso di potenza si traduce nel fatto che il blocco arabo musulmano ha i mezzi per ottenere delle decisioni sistematicamente ostili a Israele. Questo funzionamento iniquo è una perversione dell'istanza onusiana [dell'ONU], che non è capace di far applicare la sua propria filosofia e le sue proprie regole. Inoltre, l'ONU e il suo "diritto" internazionale non sono mai intervenuti per proteggere Israele dalle aggressioni arabe, mentre la filosofia onusiana è precisamente quella di regolare pacificamente e con giustizia i conflitti tra stati. Questo non intervento dell'ONU non si esplica soltanto per il cinismo di stati membri che agiscono per interesse, si esplica anche per il fatto che degli stati dittatoriali, bellicosi e imperialisti, ma la maggior parte dei paesi arabi, sono membri di questa organizzazione e non accettano la filosofia legalista dell'ONU. E' chiaro che se una parte dei paesi arabi fosse democratica e umanista, non sosterrebbe i paesi arabi terroristi e bellicosi. Il modo di funzionare dell'ONU è dunque inetto. Si può immaginare un organismo incaricato della lotta contro la criminalità internazionale che includa le Triadi cinesi e la Mafia siciliana? Si può immaginare un organismo di lotta contro la corruzione diretto da Arafat, Saddam o Chirac? La presenza in seno all'ONU di paesi che rifiutano la filosofia democratica e umanista rende questa istituzione inefficace e ridicola, al punto che dei paesi come la Libia possono presiedere la commissione dei diritti dell'uomo dell'ONU, che tra i suoi membri annovera il Sudan, che pratica la schiavitù dei neri e lo sterminio di una parte della sua popolazione. Il "diritto" internazionale come è definito oggi non è, in realtà, che il diritto del più forte. Il più forte come sedi all'ONU e il più forte come potenza politica ed economica. Questo "diritto" non è il diritto, perché il vero diritto riposa sulla giustizia, e in particolare sul principio fondamentale di ogni giustizia: la legge è uguale per tutti. Di conseguenza, che il bombardamento della Siria sia legale o no agli occhi dell'ONU e della "comunità" internazionale, cioè del diritto del più forte, non ha alcuna importanza. Israele è legittimamente nel suo diritto del più forte di far valere con le sue armi il suo legittimo diritto di poter vivere in pace e in sicurezza. Questo "diritto" internazionale che Israele tuttavia si sforza per quanto possibile di rispettare per essere nella legalità, non è meno illegittimo, e tale resterà fino a che sarà iniquo. (Guysen Israël News, 07.10.2003) 3. UNA FAMIGLIA DI EBREI SIRIANI E I ROTOLI DELLA TORÀ "Ho portato con me dalla Siria i Rotoli della Torà" di Shifra Paiken Gli abitanti d'Israele sono abituati alle gioiose celebrazioni che si svolgono a Simhat Torà, quando i sacri Libri vengono tolti dall'Arca nella sinagoga e portati nelle strade, accompagnati da un'allegra processione di fedeli, che ballano e cantano. Reuven Shimon, un abitante del quartiere di Katamon, a Gerusalemme, celebrerà la festa con la sua famiglia nella sua sinagoga abituale, felice dell'occasione di danzare in pubblico con i sacri Rotoli. Centinaia di altri ebrei marceranno con i quattro Rotoli della Torà che Reuven è riuscito a contrabbandare dalla Siria, dando prova di coraggio, forza d'animo e fede eccezionali. La storia cominciò quando, nella primavera del 1992, il presidente Assad annunciò che agli ebrei del suo paese sarebbe stato permesso di emigrare negli Stati Uniti. Come la maggioranza degli ebrei della sua comunità, Reuven Shimon, un giovane padre di famiglia con sei figli, di Aleppo, chiese il permesso di emigrazione per sé ed i suoi famigliari. Dopo sei mesi di ansiosa attesa, la richiesta fu accolta per Reuven e tre dei suoi figli. Dopo che altri tre mesi di estenuanti negoziati con il Ministero degli Interni si furono rivelati inutili, Reuven "regalò" un braccialetto d'oro all'impiegato di turno. Il giorno seguente, tutta la famiglia ricevette il permesso di emigrare. Reuven, tuttavia, non era tranquillo: "Mio padre mi aveva detto di andare solo in Eretz Israel, a Gerusalemme", e un piano cominciò a prendere forma nella sua mente. Si recò all'Ambasciata turca, richiedendo un visto di ingresso nel paese. "Lei ha il premesso di andare solo negli Stati Uniti", gli disse l'impiegato. Reuven chiese di vedere l'ambasciatore, al quale confidò: "Ho un fratello che se n'è andato in Turchia 15 anni fa. Ha sposato una cittadina turca e vorrei molto ritrovarlo". L'ambasciatore, con una certa riluttanza, gli concesse il visto, avvertendolo che "Lei è il primo e l'ultimo ebreo a cui dò un visto". Reuven andò a pregare nella sua sinagoga, i cui giorni di gloria sono passati da tempo, con l'assottigliarsi della comunità ebraica. Guardò i magnifici Rotoli della Torà, ciascuno dei quali aveva circa 140 anni e valeva una piccola fortuna. "Voglio portarne uno in Israele", pensò. Tornò quella notte stessa e con il silenzioso assenso del Hacham (Rabbino), estrasse un Rotolo dall'Arca. Prima di tutto, però, sfregò un po' di cera d'api su alcune lettere, per rendere il Libro "inadatto", dal momento che, secondo le norme religiose ebraiche, un Rotolo della Torà può essere spostato da un luogo all'altro solo in presenza di un minian, un quorum di dieci uomini. Si girò e rigirò per tutta la notte, convinto che Dio lo avrebbe aiutato. La notte seguente tornò e ripeté il medesimo procedimento, portando via un altro Rotolo della Torà. E ancora la notte successiva. E di nuovo la notte successiva. In quattro notti, si portò a casa quattro Rotoli della Torà. Imballò ciascun Libro in una valigia, avvolgendolo in vestiti nuovi che aveva comperato. Con un totale di 12 valigie, Reuven, sua moglie ed i loro sei figli si imbarcarono su un autobus diretto ad Istambul, lasciando il paese in cui le loro famiglie vivevano da secoli. Quando l'autobus raggiunse il confine turco-siriano, una delle guardia adocchiò Reuven con sospetto. Sdegnando le preghiere e la busterella che gli era stata offerta, insistette ed ordinò di aprire tutte le valigie. "Cominciai a tremare", ricorda Reuven. Una per una, la guardia aprì tutte le valigie e le perquisì da cima a fondo. Le valigie in cui erano nascosti i Rotoli, però, furono perquisite solo superficialmente. "Benedetto Colui che resuscita i morti", si disse in silenzio Reuven e diede con gioia alla guardia la bustarella, che quest'ultimo ora pretendeva. Dopo un viaggio di 35 ore in autobus, giunsero ad Istanbul. Era già notte fonda, ma appena ebbe sistemato la famiglia in un albergo, Reuven prese un taxi e andò al Consolato israeliano. "Ero abituato a vedere alla TV siriana la bandiera israeliana bruciata e/o calpestata ricorda per la prima volta nella vita, vedevo una bandiera israeliana intatta. Per un quarto d'ora rimasi semplicemente in piedi, a guardarla". Entrò nell'edificio, dirigendosi agli uffici consolari, ma tutto era buio e chiuso. Non realizzò quindi immediatamente che qualcuno stava osservandolo. All'improvviso, si aprì una finestrella ed una voce chiese: "E Lei chi é?" "Sono un ebreo e sono appena arrivato dalla Siria", rispose. Il console, attonito, uscì e gli chiese di recitare una preghiera. Reuven recitò Shemà Israel, ma il console, sempre sopettoso, gli chiese di dirne un'altra. "Elokai neshamà sheyatzarta bi tehorà hi" (Mio Dio, l'anima che hai creato in me è pura), rispose Reuven. Solo dopo che ebbe riconosciuto la Mezuzà, il console si dichiarò soddisfatto e lo invitò ad entrare. Reuven gli raccontò la storia della sua fuga miracolosa e gli disse di avere dei parenti a Kiryat Ata (vicino a Haifa). Disse di volere andare a Gerusalemme. Il console gli diede un po' di denaro e gli disse di tornare in albergo. Dopo un po', il console lo ricontattò e gli comunicò che erano stati fatti degli arrangiamenti per Kiryat Ata. Reuven fu irremovibile: "Solo Gerusalemme". Dopo diversi giorni di incerta attesa, uno dei parenti di Reuven in Israele prese contatto con uno dei membri del personale dell'Agenzia Ebraica, Yona Betzaleli, capo del sindacato dei lavoratori dell'Agenzia, raccontadogli del problema della famiglia. Appena udita la storia, Yona fece i passi necessari, affinché la famiglia di ebrei sirani fosse ricevuta al centro di assorbimento gestito dall'Agenzia Ebraica a Mevasseret Zion, ai bordi di Gerusalemme. Arrivando all'aeroporto Ben Gurion, Reuven fu avvicinato da un estraneo, che aveva sentito dell'avventuroso salvataggio dei Rotoli della Torà. "Voglio comperarli disse a Reuven, porgendogli un assegno firmato e in bianco Mi dica quanto vuole". "Non prendo soldi per i Libri rispose Reuven Essi appartengono a Dio. Se li vendessi a lei, Egli potrebbe riprendersi indietro il denaro in un momento. Se vorrà darmi una fortuna, lo farà". Dopo una fase iniziale di inserimento, Reuven cominciò a preoccuparsi. Orologiaio di professione, le sue capacità erano totalmente inutili in un periodo in cui gli orologi costano 10 dollari l'uno. Ancora una volta la salvezza giunse tramite Yona Betzaleli. "Quando ero ancora in Turchia, sentii dai miei parenti che Yona si prendeva cura dei nuovi immigrati. Sebbene non lo conoscessi, gli telefonai, ed egli mi trovò un posto di cuoco al campus dell'Agenzia Ebraica a Kiryat Morià (Gerusalemme). Dio lo ha mandato a me come un angelo dal cielo". Con l'aiuto dell'Agenzia Ebraica, Reuven ha potuto acquistare un appartamento e stabilirsi a Gerusalemme. Il figlio maggiore spera di cominciare la facoltà di Giurisprudenza, mentre i due successivi studiano per diventare dayanim, giudici dei tribunali rabbinici. I figli più giovani sono ancora a scuola. Anche i Rotoli della Torà hanno trovato una nuova dimora in Israele. Reuven li ha donati al capo della comunità siriana in Israele, Hacham Edmond Cohen, che li ha distribuiti in varie sinagoghe a Bnei Berak e a Gerusalemme. (Keren Hayesod, 08.10.2003) 4. I TUNNEL TRA L'EGITTO E LA STRISCIA DI GAZA Traffico d'armi sulla strada "Filadelfia" di Aviel Schneider, direttore di "Nai-Israel heute" e soldato di riserva dell''esercito israeliano. Sulla linea di frontiera internazionale tra Israele e l'Egitto corrono tunnel sotterranei che collegano la palestinese Rafah, che si trova al sud della striscia di Gaza, con la parte egiziana. Nell'esercito |
israeliano questa strada di frontiera viene chiamata "Filadelfia". Nei tunnel lunghi fino a 500 metri i palestinesi contrabbandano armi dall'Egitto a Gaza e aiutano i terroristi ricercati da Israele a fuggire verso l'Egitto. L'entrata dei tunnel sotterranei si trova sempre dentro qualche casa, nascosta agli occhi dei soldati israeliani. In agosto il generale Moshe Ya'alon ha riferito al Consiglio di Sicurezza israeliano che perfino alcuni ufficiali di frontiera egiziani si sono lasciati corrompere e aiutano i palestinesi nel loro contrabbando. «Non appena scopriamo un tunnel sotterrano e lo facciamo saltare in aria, vediamo da entrambe le parti da quale casa esce il fumo. Dalla parte egiziana spesso la colonna di fumo esce da edifici di frontiera», ha detto Moshe Ya'alon. La striscia di frontiera lunga quattro chilometri tra l'Egitto e la palestinese Rafah è la zona di combattimento più calda per Israele. «Questa stretta striscia di frontiera è larga soltanto da 70 a 100 metri, ma lì avvengono il 50% di tutte le azioni militari, sia nella striscia di Gaza che in Giudea e Samaria!» ha detto la portavoce Sharon Feingold al giornale "Israel heute". Come soldato di riserva, che ho fatto il mio servizio sulla strada "Filadelfia", posso testimoniare che lì si spara più che da qualsiasi altra parte. Dalla parte israeliana le ruspe dell'esercito scavano alla ricerca di tunnel non troppo profondi. Tutti i giorni i soldati israeliani vengono presi di mira a colpi di fucile dai palestinesi, che a tutti i costi vogliono proteggere i loro tunnel sotterranei dagli esplosivi israeliani. «Dal 2001 abbiamo scoperto una settantina di tunnel sotterranei ad una profondità fino ad 80 metri: 5 nell'anno 2001, 32 nel 2002, e negli ultimi otto mesi di quest'anno siamo già arrivati a
Secondo quanto riferito dalla portavoce dell'esercito, i tunnel sotterranei costituiscono un fiorente affare controllato da ricche famiglie palestinesi di Rafah, come per esempio le famiglie Abu Samhadna e Abu Rish Per ogni export o import di armi, pezzi per razzi Qassam, terroristi, sigarette, prostitute straniere e molte altre cose, queste famiglie palestinesi richiedono alti compensi. «Non appena distruggiamo un tunnel, immediatamente salgono i prezzi degli altri tunnel», ci ha detto sorridendo l'ufficiale. Perfino membri dell'Autorità Palestinese fanno uso dei tunnel, tra cui il palestinese ex Ministro della sicurezza Mohammed Dahlan, che nel passato ha aiutato dei terroristi ricercati da Israele a fuggire in Egitto attraverso questi tunnel. L'Autorità Palestinese fino ad ora non ha fatto niente di serio per impedire questo contrabbando sotterraneo di armi e terroristi. (NAI - Israel heute, settembre 2003) 5. FRANCESCO COSSIGA INVOCA L'INTERVENTO MILITARE IN MEDIO ORIENTE Riportiamo un significativo articolo dell'ex Presidente della Repubblica pubblicato qualche giorno fa su "La Stampa". Segue un commento di "Notizie su Israele". «Basta utopie, la pace si può imporre soltanto con la forza» di Francesco Cossiga L'ATTENTATO di una giovane kamikaze palestinese ad Haifa, alla vigilia della tradizionale festa religiosa e civile ebraica dello Yom Kippur, attentato che ha causato venti morti tra cui bambini dai due mesi ai nove anni, ha innescato l'immediata reazione militare del governo israeliano, portando cacciabombardieri ad attaccare con missili un villaggio in territorio siriano non lontano da Damasco, dove si afferma esservi una base di stazionamento e di addestramento degli Hezbollah da cui partirebbero gli attacchi ai territori israeliani. Così per la prima volta dopo molti anni sono stati coinvolti dall'azione di Israele obiettivi situati al di fuori della Palestina storica. Questi tristi avvenimenti pongono in luce il conflitto flagrante tra utopia e realismo in questa autentica tragedia politica e umana. Antifascista e antinazista fin dalla mia educazione giovanile e quindi schierato non solo a favore degli ebrei, ma da sempre anche a favore della costituzione dello Stato di Israele, unico modo possibile di compensazione alla vigliaccheria dell'Occidente, e allo stupefatto silenzio delle Chiese durante la persecuzione; cristiano che considera gli ebrei suoi «fratelli maggiori» e che ama tuttora considerare il popolo ebraico il «Popolo dell'Alleanza» cui Iddio un giorno donò come luogo fisico per la Rivelazione i territori palestinesi, ho sempre però riconosciuto anche il diritto di quegli arabi che - in forza del nome adottato per questi territori dall'Impero britannico che ne fu mandatario dopo il primo conflitto mondiale: «Palestina» - sono chiamati attualmente con il nome di «palestinesi», e cioè gli arabi che dimoravano nel 1920 in quel territorio. Da presidente di turno del Consiglio europeo di Venezia nel 1980 feci adottare dallo stesso, non senza molte difficoltà, la prima dichiarazione a favore del riconoscimento della identità specifica palestinese, da realizzarsi in uno Stato indipendente, come tra l'altro già deciso dalle Nazioni Unite nel momento nel quale decisero la spartizione della Palestina e diedero il via alla costituzione dello Stato di Israele, prevedendo altresì però la costituzione dello Stato arabo-palestinese. E' proprio per questi due sentimenti - che peraltro non sento in me contraddittori né come cristiano né tanto meno come democratico - che considero utopico, e perfino venato di cinismo politico, ogni disegno di soluzione non militarmente interventista della questione palestinese-israeliana, così come coltivato anche ultimamente con il cosiddetto ulteriore velleitario progetto della «Road map», in via di totale fallimento. Su questi progetti pesa da un lato l'esclusivismo americano, che non vuole permettere che altri soggetti politici si ingeriscano nella soluzione della tragica situazione, e dall'altro l'atteggiamento declamatorio e imbelle in un'Europa che non esiste. Atto grave di terrorismo quello della ragazza palestinese che ha sacrificato a una tremenda idealità i suoi ventotto anni; atto di terrorismo che però non può non considerarsi atto di guerra, perché è proprio delle entità politiche minori - così come lo fu nei Paesi europei occupati dalla Germania nazista durante la Resistenza -, non potendo disporre di forze militari di linea (aerei, navi, carri armati e cannoni), usare le uniche armi possibili e cioè quelle proprie degli attentati individuali o di massa: e cioè il terrorismo. «Terrorista» fu certo in senso militare la Resistenza europea al nazismo, salvo quella della Jugoslavia di Tito, che schierò forze militari tradizionali contro gli italo-germanici. E così non può che essere terrorista la lotta del popolo palestinese contro Israele. Così come non si può parimenti negare il carattere «terrorista di Stato» alla peraltro legittima reazione di Israele, che non trovandosi di fronte obiettivi militari tradizionali ben individuabili, ma solo uno sfuggevole fronte di resistenza articolato non solo in centri, ma anche in gruppi minimi di resistenza, in singoli individui, così reagisce. E infatti in questa situazione è utopico pensare che il governo di Israele possa reagire in modo diverso da quello tremendo - ma io ritengo almeno eticamente legittimo - in cui reagisce alla indiscriminata e terrorista uccisione dei suoi cittadini, non solo militari, ma anche civili. Ed è utopico (e forse neanche voluto!) che l'Autorità nazionale palestinese possa imporre ai molteplici gruppi della resistenza palestinese non dico la pace, ma anche solo una tregua militare nei confronti di Israele. Pensare il contrario e cercare una soluzione sulla base di un accordo tra le due autorità e su un regime concordato di pace anche militare è o un'utopia o un tragico inganno o un perverso disegno. La pace a israeliani e palestinesi, è chiaro ormai, può essere imposta solo con la forza: cioè da una forza multinazionale di interposizione, pronta e legittimata a usare gli strumenti militari nei confronti sia di Israele che della Anp. Questo compito certo spetterebbe propriamente alle Nazioni Unite, che sono formalmente la fonte di legittimità sia dello Stato di Israele sia del futuro Stato arabo della Palestina. Ma di fronte all'impotenza e alla sperimentata incapacità a decidere di questa ormai inutile, anzi talvolta dannosa, organizzazione internazionale, solo rinunziando gli Stati Uniti alla funzione primaziale esclusiva nei confronti della questione israelo-palestinese dovrebbe essere l'Europa, tutta l'Europa, Federazione Russa compresa, a intervenire militarmente. Ma per poter far questo in un ambiente di legittimità internazionale, anche se forse non compiutamente formale, nel quale si possano applicare i tradizionali principi del diritto consuetudinario di pace e di guerra e le norme fondamentali dell'etica internazionale (anche nella forma più recentemente acquisita dalla coscienza comune anche religiosa dell'intervento umanitario), è necessario che, rotto ogni indugio, almeno i Paesi dell'Unione europea, anzi di tutta l'Europa, riconoscano preliminarmente e unilateralmente popolo e territorio palestinesi sotto il governo dell'Anp quale Stato indipendente e sovrano. Così le situazioni conflittuali tra Israele e Palestina araba, anche nelle loro manifestazioni di violenza, cadrebbero sotto la disciplina e l'imperio del diritto internazionale; perché a tutt'oggi non esiste, al di fuori dell'unilateralismo anglo-americano, un effettivo potere internazionale su e contro il terrorismo, anche di guerriglia e di Stato. Ma per far questo occorre realismo storico e coraggio politico. E, salvo la Federazione Russa, perché erede della gloriosa tradizione politica e militare dell'Urss, e il Regno Unito, per la sua tradizione di potenza imperiale, non mi sembra - anche alla luce del fallimento, benché provvido, del primo vertice della Conferenza intergovernativa europea! - che questo potrà accadere in tempi brevi. Noi cristiani, e gli ebrei da ebrei, e i musulmani da musulmani, tutti uniti nella fede nello stesso Dio onnipotente e misericordioso, non possiamo quindi che sperare in un miracolo: ma di miracoli la Storia, a cagione del peccato originale, ne ha conosciuti ben pochi! (La Stampa, 07.10.2003) 6. L'ANTISEMITISMO ECUMENICO DEI BUONI FA PROGRESSI L'articolo di Francesco Cossiga riportato sopra contiene interessanti spunti di riflessione. E' un'altra espressione di quell'«antisemitismo ecumenico dei buoni» ( Notizie su Israele 156) che è l'ultima forma di accanimento antiebraico della società occidentale e conferma alcune linee di tendenza del pensiero, prima ancora che della politica, che manifestano l'avvicinarsi del compimento delle profezie bibliche. La pace a israeliani e palestinesi può essere imposta solo con la forza, dice Cossiga. Che il "processo di pace" sia un'utopia, è una valutazione realistica a cui si sarebbe dovuti arrivare già da molto tempo. Anche senza far ricorso a profezie bibliche, la semplice e sobria analisi della realtà così come si presenta avrebbe dovuto far capire che in Medio Oriente non si avrà mai una pace per evitare la guerra, ma soltanto una pace dopo la guerra. In Europa abbiamo avuto più di cinquant'anni di pace militare soltanto perché è stata vinta una guerra. Tutte le altre "paci" che l'hanno preceduta (si pensi a Monaco) non hanno prodotto niente. Dovrebbe essere l'Europa, tutta l'Europa, Federazione Russa compresa, a intervenire militarmente, dice sempre Cossiga. Chi studia le profezie bibliche sa da molto tempo che i paesi dell'antico impero romano, cominciando dai paesi europei, e in modo particolare quelli dell'est europeo, negli ultimi tempi riprenderanno una posizione di primaria importanza nella guerra contro Israele. Cossiga forse è un profeta inconsapevole. La guerra contro Israele sarà fatta nel nome della pace. Non si presenterà quindi come una guerra di distruzione, come durante il nazismo o nella prima guerra arabo-israeliana, ma come un'operazione di chirurgia internazionale per togliere un bubbone che rischia di infettare tutta la comunità mondiale. Non saranno le invelenite e retrograde nazioni arabe a portare a compimento il loro progetto di annientamento dello Stato ebraico, ma sarà la civile e progredita società occidentalizzata a imporre il rispetto dell'ordine mondiale minacciato dalla riottosità dei contendenti. Il cattolico liberale Cossiga, antifascista, antinazista, amico degli ebrei e difensore dei diritti dei palestinesi, ha tutte le carte in regola per esortare la vecchia Europa a mettersi alla guida delle nazioni per «applicare i tradizionali principi del diritto consuetudinario di pace e di guerra e le norme fondamentali dell'etica internazionale», e imporre la pace con la forza. Poiché le prossime guerre del mondo globalizzato dovranno essere fatte sempre nel nome della pace, gli eserciti delle nazioni che si raduneranno contro Israele saranno chiamati «una forza multinazionale di interposizione, pronta e legittimata a usare gli strumenti militari nei confronti sia di Israele che della Anp», come appunto fa Cossiga. Ma poiché in quella regione esiste soltanto un esercito, quello israeliano, e poiché Israele ha detto più volte che rifiuta queste cosiddette "forze di interposizione", non a caso sempre richieste da Arafat e compagni perché nel passato si sono chiaramente rivelate come "forze di contrapposizione" a danno esclusivo di Israele, è ovvio che l'auspicio di Cossiga è un modo addolcito ed ecumenico per dire che le nazioni, con in testa quelle europee, dovranno muovere guerra a Israele. Sarà una guerra del dio delle nazioni contro il Dio d'Israele. Tutti i popoli che si sono scagliati contro Israele o contro gli ebrei l'hanno fatto sempre nel nome di qualche divinità, più o meno esplicitamente invocata. Gli ultimi dei, in ordine di tempo, sono stati gli dei pagani del nazismo e il dio dell'Islam. La guerra decisiva contro Israele però non sarà condotta nel nome di quel dio che dice: "Oh musulmano, oh servo di Allah, dietro di me si è nascosto un ebreo, vieni e uccidilo". Nonostante il terrore che questa religione può suscitare, non sarà nel nome di quel dio che si cercherà di distruggere Israele. L'aggressività e la violenza di molti suoi seguaci servirà anzi ottimamente come piattaforma da cui far emergere la necessità di porre fine, una volta per tutte, alla litigiosità provocata da queste divinità nazionalistiche e violente. Il dio invocato sarà più presentabile, più universale, più ecumenico. Sarà il dio della pace, il dio dell'umanesimo religioso, il dio buono, aperto, comprensibile, amorevole, che accoglie i fedeli di ogni tipo perché tutti hanno la loro fetta di verità e nessuno deve ravvedersi, sarà il dio sotto il quale gli uomini di tutte le fedi potranno raccogliersi, con lo sguardo rivolto a Roma, per costruire insieme la pace. E' in questo anelito ecumenico alla pace universale che Cossiga si rivolge con parole accorate ai seguaci delle cosiddette "tre religioni monoteiste": «Noi cristiani, e gli ebrei da ebrei, e i musulmani da musulmani, tutti uniti nella fede nello stesso Dio onnipotente e misericordioso non possiamo che sperare in un miracolo". Il "miracolo" avverrà quando il dio invocato da Cossiga spingerà le nazioni ad unirsi per andare a prendere con la forza la piena signoria su quella terra che alcuni si ostinano a dire che Dio l'ha data agli ebrei. Il dio delle nazioni non vuole che quella terra sia data agli ebrei perché - dice - in questo modo si turba la pace mondiale. Affinché nel mondo regni la pace è necessario che quella terra sia sottratta al culto particolare del Dio d'Israele e consegnata al culto del dio delle nazioni. Su quella terra si dovrà onorare il dio della pace, quello che accoglie gli idoli di tutti i popoli e vuole che tutti gli uomini siano uniti e concordi, al di là delle differenze di lingua, cultura e religione. E il fatto che la Bibbia chiami questo culto "idolatria" è una conferma che Israele, con il suo Dio geloso ed esclusivo, che insiste a scegliere un popolo particolare per raggiungere i suoi scopi, è un ostacolo perenne alla pace universale, un intoppo che rischia di vanificare il grandioso progetto di costruzione di un'ordinata società mondiale globalizzata in cui regni la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Un progetto simile devono averlo avuto anche gli operosi uomini che lavoravano con tecniche avanzatissime nella pianura di Scinear quando si apprestavano a costruire la torre di Babele «per acquistarsi fama e non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra» (Genesi 11:1-9). Il grandioso progetto di pace mondiale fu vanificato da un intervento del Dio della Bibbia che a un certo momento disse: "Orsù, scendiamo..." E sappiamo com'è andata a finire. La scena si ripeterà, anche se non nello stesso modo e con la stessa conclusione. Dio dirà di nuovo: "Orsù, scendiamo...", e i risultati saranno molto dolorosi per i nemici d'Israele, esterni e interni. Il Dio d'Israele, l'unico vero Dio che ha creato i cieli e la terra, vincerà la guerra delle nazioni contro Israele. Dopo di che ci sarà la pace. Quella vera. Marcello Cicchese
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