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Notizie su Israele 204 - 27 ottobre 2003

1. Considerazioni di un soldato israeliano
2. Diritto internazionale e terrorismo
3. Un articolo che contesta la santità di Gerusalemme per l'Islam
4. Sondaggio sul terrorismo
5. Notizie in breve
6. Musica e immagini
7. Indirizzi internet
Isaia 46:3-4. «Ascoltatemi, o casa di Giacobbe, voi tutti, residuo della casa d'Israele, voi di cui mi sono caricato dal giorno che nasceste, che siete stati portati fin dal seno materno! Fino alla vostra vecchiaia io sono, fino alla vostra canizie io vi porterò; io vi ho fatti, e io vi sosterrò; sì, vi porterò e vi salverò.»


1. CONSIDERAZIONI DI UN SOLDATO ISRAELIANO








Per l'onore di Tsahal

di Laurent Schang





Mi chiamo Moshe. Moshe, come Moshe Dayan. Sono nato nel 1982 a Tel Aviv. Da civile studio medicina, ma oggi prendo la parola indossando l’uniforme regolamentare di Tzahal, l’esercito israeliano. I miei genitori, tutti e due di origine francese, si sono conosciuti a Parigi, dove si sono sposati. E’ soltanto più tardi che, incoraggiati da alcuni cugini di mio padre, si sono decisi a venire a vivere qui, in terra d’Israele. Né l’uno né l’altra sono militanti sionisti. Mia madre ha pianto molto la sera dell’assassinio di Yitzhak Rabin, e per molto tempo conserverò nella memoria il viso di mio padre, di solito così pacifico, sfigurato dalla collera e dal dolore davanti alla televisione. I miei genitori aspettavano la nascita del mio fratello più piccolo; di comune accordo l’hanno chiamato Yitzhak, in omaggio al combattente clandestino diventato comandante di guerra e poi uomo di pace. Nessuno, tra le persone intorno a me, ha applaudito quando i nostri blindati hanno occupato Jenin, Nablus e Ramallah. Semplicemente, nella mia famiglia servire Israele è un dovere e un onore. Quanto a me, che ci sono nato, è una questione di fierezza.
    Che cosa non si è detto su Israele! Tutto e il contrario di tutto. Un giorno Davide, il giorno dopo Golia, ci accusano di tutti i mali. Tendiamo le mani ai palestinesi, e la “comunità internazionale” ci rimprovera di sabotare le trattative di pace con condizioni considerate inaccettabili. Dei terroristi ci attaccano sul nostro territorio, il Mossad localizza le loro basi, e subito la medesima comunità internazionale ci rimprovera per la brutalità sproporzionata della nostra risposta. Ariel Sharon accetta di riconoscere l’esistenza dell’Autorità Palestinese sulla Cisgiordania, e che gli risponde Yasser Arafat? Che da parte palestinese gli accordi di Oslo non significano l’arresto delle violenze, per cieche che possano essere. Sembrerebbe che i media occidentali non si prendono mai la pena di verificare le fonti delle informazioni. Sanno che in Palestina ci sono due popoli che si fiancheggiano e soffrono in parti uguali: gli ebrei e gli arabi? e che Israele non è tanto la causa dei problemi del Medio Oriente quanto la vittima che ne subisce e ne patisce le conseguenze? Dopo lo scoppio e la repressione della prima intifada, nel 1987, i giornalisti occidentali hanno parlato di “generazione perduta” per i giovani palestinesi arabi. Si sono interessati un solo istante alla sorte degli israeliani mobilitati in questo periodo, agli innumerevoli traumi avvenuti, alle loro conseguenze una volta ritornati in civile? E per quelle e quelli della mia età che sono cresciuti in uno stato d’assedio, in preda alla paura quotidiana, non si può parlare anche di generazione perduta?
    Dalla sua creazione, nel 1948, lo Stato d’Israele non ha mai smesso di dare prove di buon funzionamento democratico delle sue istituzioni. La nostra diplomazia è internazionalmente riconosciuta e le nostre ambasciate rappresentano gli interessi d’Israele nel mondo intero. I nemici d’Israele dipingono un popolo razzista e settario. Sanno che nella Knesset, il nostro Parlamento, siedono in permanenza degli israeliani d’origine araba? Li sfido a trovare qualcosa di simile nei paesi arabi in cui risiedono delle comunità ebraiche. E’ un fatto che la nazione israeliana è sempre di più ebrea e sempre meno sionista. L’afflusso, in questi ultimi vent’anni, di un numero crescente di ebrei della diaspora, provenienti dall’Etiopia come dalla Russia, ha modificato il nostro rapporto nell’unità nazionale. La società israeliana è diventata, per un’improvvisa accelerazione della storia, una società pluralistica. Così forse per la prima volta abbiamo riconciliato la nostra apertura all’universale con il nostro bisogno di radicamento.
    Spaventati da questo successo imprevisto, i teorici del “fino alla fine”, fanatici rifugiati in Siria e in Iran, hanno fatto risorgere lo spettro di un grande Israele, dal Nilo al Tigri e all’Eufrate, dal Golfo Persico al Mar Rosso. Propaganda. Se anche fosse, si crede realmente che Israele ha i mezzi per una tale politica? Tutto quello che noi israeliani reclamiamo è il diritto alla sicurezza, per noi e per i nostri cari. Gli arabi, loro, dicono di volere la pace. La “mutua coesistenza”. Quello che non dicono, però, è che vogliono la pace, certo, ma nella vittoria. Dal 1948 al 1973 i paesi arabi hanno creduto che Israele non avrebbe resistito ai loro assalti. I loro dirigenti pensavano che fare la pace era inutile. A tre riprese, è stato necessario disilluderli. L’OLP e i paesi vicini d’Israele, hanno finito per riconoscere lo Stato ebraico. E tuttavia Israele resta il nemico ufficiale della Siria e del Libano, dell’Iran e dell’Iraq, della Libia e dell’Egitto. Tutti hanno giurato la totale distruzione d’Israele. I governi occidentali ci ingiungono di non cedere al complesso dell’assedio. Di uscire dalla nostra logica dell’accerchiamento. Ad ogni negoziazione gli arabi esigono, come contraportita della normalizzazione delle nostre relazioni, che gli restituiamo l’integralità dei territori occupati? Come mai tanta premura? Perché gli arabi sanno che se ci ritiriamo da Gaza e dalla Cisgiordania, dal Sinai e dal Golan, noi rinunciamo in un colpo solo a difendere il più “piccolo Israele”. Si può immginare che non ne approfitteranno? In realtà, la guerra israelo-araba, cominciata nel 1948, non è ancora terminata.
    La missione storica del sionismo è stata di fondare uno Stato ebraico in Palestina. Questo è ormai cosa fatta. Ma bisogna vedere a quale prezzo! A scuola i professori ci hanno insegnato ad apprezzare e ad amare la nostra libertà. Tutti erano mobilitati o avevano già avuto il battesimo del fuoco. Mi hanno mostrato le fotografie dell’arrivo del generale Dayan vittorioso ai piedi del Muro del Pianto, nel 1967. In quel momento, e per tutto un popolo, due millenni d’umiliazione e di martirio sono stati spazzati via. Dopo venti secoli d’interruzione, Israele riprendeva il corso normale della sua storia. Finalmente eravamo a casa nostra. Assediato dal mondo arabo che gli è ostile, le spalle al mare, Israele continua a resistere perché non abbiamo nessun altra parte dove andare, e perché abbiamo costruito questo paese con le nostre mani. Sono cresciuto con il sentimento che un giorno anch’io sarei stato chiamato a servire sotto la bandiera. Allo stato attuale delle cose non ci sono trattative possibili con Arafat. Se domani gli concediamo Gaza e la Cisgiordania, con Al Quds (la parte est di Gerusalemme) come capitale, chi ci dice che in seguito non esigerà tutta Gerusalemme est? E perché non la spianata delle Moschee - o monte del Tempio?
    Già, l’Autorità Palestinese fa finta di rivolgersi soltanto ai suoi interlocutori americani. Ci dicono che siamo gli alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente. In realtà, noi conosciamo fin troppo bene la doppiezza della diplomazia americana. Tra gli attentati e il petrolio, il loro cuore oscilla. Una prima volta Bill Clinton ci ha ingannati durante le trattative di Camp David del 2000. Le lamentele dell’amministrazione americana erano intollerabili, e tuttavia abbiamo firmato gli accordi. Clinton sognava di intascare il premio Nobel per la pace. Non aveva fatto mistero con nessuno della sua ambizione e contava di potersi servire del regolamento del conflitto israelo-arabo per facilitare il procedimento. Quello che Israele ci ha guadagnato da queste operazioni: qualche settimana dopo la stretta di mani tra Barak e Arafat, i terroristi hanno ripreso i loro tiri di disturbo sulle nostre colonie.
    Come soprendersi, quando si sa che dietro il Fatah, il partito di Yasser Arafat, si attivano una semidozzina di gruppi armati (FPLP, Hamas, Jihad islamica, Hezbollah), a cominciare dai “Martiri di Al-Aqsa”, ramo militare non ufficiale del Fatah, la cui supposta autonomia non basta a sollevare Arafat da ogni responsabilità. Per loro, come per lui del resto, la Jihad continua. La verità è che i negoziatori non hanno di fronte un capo di Stato legittimo, ma un capo-clan, più indaffarato a dividere il suo campo per regnare, che a dialogare in vista di una soluzione ragionevole del conflitto. Non è forse ricco a milioni? Non sono io che lo dico, ma è un analista francese che lo afferma in un libro. Secondo lui, la fortuna di Arafat arriverebbe a dieci miliardi di dollari, tre volte il PNB di Gaza e Cirgiordania messe insieme. Un’imposta rivoluzionaria, senza dubbio... In queste condizioni, uno Stato palestinese alle porte d’Israele - peggio, a strapiombo su Israele - sarebbe un’aberrazione che nessuna frontiera a tenuta stagna potrebbe sopportare.
    Secondo gli osservatori europei, il miglior modo che avrebbe Israele di manifestare la sua buona volontà sarebbe di acconsentire alla richiesta del ritorno dei “profughi” in Palestina. Si ha soltanto l’idea del danno che ci farebbe correre l’arrivo massiccio di tre milioni e mezzo di palestinesi in Israele? Mentre gli attentati si susseguono nei nostri cinema, nei nostri supermercati e nei nostri autobus, mentre i terroristi bombardano la colonia di Gilo, a Gerusalemme est, noi corriamo il rischio di essere sommersi. Ricordiamo anche che, per quel che riguarda i “profughi”, non si tratta di un esilio o di un’espulsione, ma di un esodo volontario. I nuovi storici possono scrivere quello che vogliono, l’esodo non fu pianificato dagli ebrei, ma dalle stesse autorità arabe.
    Ci ripetono sempre il ritornello dell’anteriorità degli arabi sugli ebrei. Risponderò solo questo: la Bibbia, Giuseppe Flavio e gli storici romani menzionano il nome di Eretz Israel molto prima che l’imperatore romano Adriano decida, nel secondo secolo dell’era cristiana, di ribattezzare questa terra indocile chiamandola “Palestina”. Ci si venga a riparlare, dopo tutto questo, del complesso di Masada! Meno male che l’abbiamo coltivato, il nostro spirito di resistenza, quando nel 1973, cioè esattamente 1900 dopo la caduta di Masada, abbiamo dovuto combattere su tre fronti contro gli eserciti arabi coalizzati. Ariel Sharon era già al comando di Tzahal in quell’epoca. Ed è ancora lui che porterà a compimento l’operazione “Pace in Galilea”, nel 1982, a Beirut. Così, quando la seconda intifada è scoppiata, è verso di lui che tutti gli occhi si sono diretti, sostenitori del compromesso e coloni, per domare la rivolta. Tutti i grandi uomini politici israeliani sono passati per Tzahal, a destra come a sinistra. Benyamin Netanyahu ha servito nei commandos prima di essere capo delle file di Likud. Ehud Barak, nostro precedente primo ministro laburista, fu ufficiale della Sayereth Mathkal, le SAS israeliane, e comandante in capo delle forze armate. Sola contro tutti, la nazione israeliana sa che in ogni circostanza può contare sul suo esercito. Perché Tzahal non è un esercito di mestiere, ma un popolo in armi che lotta per la sopravvivenza, e nient’altro. E’ per questo che le accuse di epurazione etnica, di trasferimento di popolazioni non reggono. Certo, ci sono delle deviazioni. Tzahal è un esercito moderno, che ha imparato la guerra convenzionale, non la guerriglia urbana. La casba di Nablus, dove dobbiamo penetrare per stanare i terroristi, non è né il Golan né il Sinai. Nelle stradine scure dove i blindati non entrano, la paura ci attanaglia. I francesi che ci criticano farebbero meglio a sfumare i loro giudizi, loro, che continuano a intenerirsi sulla tortura “ordinaria” dei richiamati d’Algeria.
    A questo proposito, ho letto che a Parigi si è costituito un collettivo di sinistra “Per una pace giusta e immediata in Medio Oriente”. Molti artisti di orgine ebraica ne fanno parte. Che vengano dunque a vivere in Israele con la loro famiglia, questi Bedos, Bacri, Kassovitz, Jaoui, Piccoli, Ben Jelloun e altri bettolieri. Siete strani, però, voi francesi. Voi non amate gli arabi che sono a casa vostra, ma ancora meno amate gli ebrei che sono dall’altra parte del Mediterraneo. Quanto ai militanti anti-globalisti venuti a provare qualche brivido a Betlemme, che vadano a passeggiare dalle parti di Damasco o di Beirut, la sera. Si vedrà se le autorità locali faranno differenza tra loro e noi.
    Da sempre il popolo ebraico è stato tenuto a distanza dalle altre nazioni. Quanto più ci ghettizzano, tanto più ci accusano di metterci “a parte”. Razza di usurai, di banchieri senza patria... Poiché siamo il popolo del Libro, ci considerano come uno dei grandi popoli dell’umanità. Allora, a tutti quelli che l’esistenza d’Israele impedisce di dormire vorrei dire una cosa: sappiano che Israele, gli israeliani, se ne infischiano dell’opinione pubblica internazionale. Meglio, dirò che più è cattiva, più si rinforza la loro determinazione. Gli israeliani che si rifiutano di servire nei territori occupati sono degli idioti, come idioti sono quelli che, parlando di Tzahal, dichiarano che questo esercito non è più il loro.
    No, Israele non è una creazione colonialista. No, la società israeliana non è una società coloniale. Israele deve vivere.
    
(UPJF, 22.10.2003)




2. DIRITTO INTERNAZIONALE E TERRORISMO




Per combattere il terrorismo omicida, il diritto internazionale concede a Israele di fare tutto il possibile: cioè niente. La spiegazione dei modi viene offerta da questo articolo del Jerusalem Post, presente in traduzione italiana su "Ebraismo e dintorni".
    
Il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder si e' affrettato, una settimana fa, a condannare l'operazione aerea israeliana contro una base d'addestramento usata da terroristi della Jihad Islamica in Siria. "La violazione della sovranita' di un paese terzo - ha dichiarato durante una visita di stato in Egitto - non e' accettabile". La Francia si a' aggiunta al coro: "Inaccettabile"; la Gran Bretagna pure; il Canada ha stigmatizzato la "escalation" e cosi' via.
    Non e' che la comunita' internazionale (mettendo da parte gli Usa) vieti ad Israele di esercitare il suo diritto alla legittima autodifesa. Semplicemente la comunita' internazionale e' convinta che "la lotta contro il terrorismo deve svolgersi nell'ambito delle regole del diritto internazionale", per dirla con le parole del rappresentante dell'Unione Europea Javier Solana.
    Secondo tali regole, Israele non puo' imporre la chiusura alle citta' palestinesi perche' facendolo danneggia anche la popolazione innocente.
    Per lo stesso motivo, Israele non puo' demolire le abitazioni usate dai terroristi suicidi ne' mandare al confino i famigliari che hanno aiutato o coperto i terroristi suicidi.
    Non puo'incarcerare persone accusate di attivita' terroristiche senza riconoscere loro tutte le prerogative di cui godono i cittadini di una normale societa' in pace e senza terrorismo.
    Israele non puo'adottare la strategia di fermare e, se necessario, uccidere I terroristi e i loro mandanti perche' si tratta di esecuzioni "extra-giudiziali".
    Non puo' schierare i suoi soldati nelle citta' palestinesi, ne' arrestare le persone accusate di attivita' terroristiche, ne' chiudere le officine dove si fabbricano bombe e cinture esplosive, o i tunnel usati per introdurre illegalmente armi da guerra, perche' si tratta di azioni da occupazione militare.
    Non puo' erigere una barriera difensiva perche' e' un atto razzista e perche' farlo comporta l'esproprio di terre palestinesi.
    Non puo'costruire strade alternative per garantire spostamenti meno rischiosi agli israeliani che vivono nei territori perche' quegli israeliani non dovrebbero nemmeno essere dove sono e dunque sono un bersaglio "legittimo" dei terroristi. Israele non puo' attaccare le basi dove i terroristi si addestrano a massacrare civili innocenti perche' quelle basi si trovano in paesi terzi, come la Siria, e dunque colpirle significa violare la loro sovranita'. Per lo stesso motivo non puo' nemmeno sorvolare senza permesso paesi terzi, come il Libano, per monitorare le attivita' potenzialmente

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devastanti di gruppi terroristici ostili. Naturalmente Israele non puo' possedere armi nucleari e non puo' attaccare paesi apertamente ostili che cercano di dotarsi di armi nucleari.
    Israele non puo' fare nulla di tutto questo.
    Sarebbe utile che i nostri amici europei e canadesi si degnassero di indicarci piu' esattamente che cosa Israele potrebbe fare per combattere il terrorismo "nell'ambito delle regole del diritto internazionale". [...]
    Non siamo pregiudizialmente scettici verso il diritto internazionale. Ma siamo risolutamente contrari a un'interpretazione del diritto internazionale che non lascia a Israele nessuna concreta possibilita' di difendersi dall'aggressione terroristica. Siamo contrari all'invocare il diritto internazionale sempre e solo contro la parte che sta cercando di esercitare il proprio diritto di legittima autodifesa. Siamo contrari a leggi internazionali che le nazioni occidentali non applicherebbero mai a se stesse se si trovassero a subire un attacco terroristico come quello che subisce Israele.

(Jerusalem Post, 9.10.03, ripreso da "Ebraismo e dintorni")




3. UN ARTICOLO CHE CONTESTA LA SANTITA’ DI GERUSALEMME PER L’ISLAM




Il 5 agosto 2003 Ahmad Muhammad 'Arafa, un giornalista del settimanale egiziano Al-Qahira, che è pubblicato dal Ministero della Cultura Egiziano, ha scritto un articolo che confuta la credenza accreditata nell'Islam che il celebre "Viaggio Notturno" del Profeta Maometto (Corano 17:1) lo abbia portato dalla Mecca a Gerusalemme. 'Arafa, presentando una nuova analisi del testo coranico, afferma che il Viaggio Notturno nella Surat Al-Isra' (cioè "la Sura del Viaggio Notturno") nel Corano non si riferisce a un viaggio miracoloso dalla Mecca a Gerusalemme, ma all'emigrazione del Profeta dalla Mecca a Medina (Egira). Due settimane più tardi 'Arafa ha scritto - nello stesso settimanale - un nuovo articolo [1], in cui contesta la santità di Gerusalemme per l'Islam. Seguono alcuni brani scelti di quest'articolo:


Il cambiamento della 'Qibla' significa che Gerusalemme ha perso la sua precedente priorità nell'Islam

"...La Palestina fu conquistata [dai musulmani] nell'anno 17 dell'Egira [638 d.C.] al tempo di 'Umar Ibn Al-Khattab, quando il popolo della Palestina stava cominciando ad adottare l'Islam. Perciò, come avrebbe potuto esistere in Palestina, al tempo del Profeta [cioè prima che la Palestina fosse conquistata dall'Islam], una moschea, chiamata 'la più distante' [in arabo: al-aqsa]...?"

"Perciò la moschea conosciuta oggi come la Moschea Al-Aqsa non è quella cui fanno riferimento le parole coraniche: 'Dalla Moschea Al-Haram [Mecca] alla moschea più distante (al-aqsa).' È vero che il Profeta si rivolse in preghiera, secondo le indicazioni di Allah, verso Iliya [cioè Aelia] - il nome di Gerusalemme a quel tempo - per 17 mesi e poi, istruito da Allah, si rigiró verso la Moschea Al-Aram alla Mecca. Aelia era il centro di culto per gli Ebrei e continua ad esserlo. Questo significa che, per un certo tempo, il Profeta ha condiviso con loro la direzione della preghiera (qibla), e poi si è rivolto verso un'altra qibla..."

"Il cambiamento della qibla da Gerusalemme verso la Moschea Al-Aram [alla Mecca] significò che Gerusalemme non era più il centro di culto per i seguaci di Maometto e che non meritava di essere rispettata dai musulmani più di quanto meritasse qualsiasi città storica sotto il loro dominio. Se questo non viene compreso in tal senso [il cambiamento della qibla significa che Gerusalemme ha perduto il suo precedente stato religioso], allora il cambiamento della qibla non ha significato..."


La Moschea Al-Aqsa fu costruita e propagandata nel contesto di rivalità politiche

"Quando 'Abd Al-Malik Ibn Marwan divenne califfo e [il suo rivale] Ibn Al-Zubayr mantenne il controllo di Hijaz, il primo temette che il popolo sarebbe stato favorevole a Ibn Al-Zubayr durante il pellegrinaggio [alla Mecca], poiché l'unico modo di entrare alla Mecca e a Medina era con il permesso e sotto il controllo di Ibn Al-Zubayr. E se costui li riceveva cortesemente... avrebbe conquistato la fedeltà di molti di essi... Perciò 'Abd Al-Malik vietò al popolo di fare pellegrinaggi fino alla sconfitta di Ibn Al-Zubayr e alla fine della guerra. 'Abd Al-Malik cominciò a costruire una grande moschea a Gerusalemme, che era stata la prima qibla. È da questo punto in poi che alcuni di coloro che tramandano le tradizioni cominciarono a favorire il significato religioso di questa moschea e a trasformarla nella 'terza dopo le due moschee sacre [della Mecca e di Medina]' [2]..."

"La nuova moschea [di Gerusalemme] venne dapprima chiamata 'la Moschea di Aelia', e furono inventate tradizioni profetiche che mezionavano questo nome [per conferirle un valore islamico]. Allora le venne dato il nome 'Al-Aqsa' [dalla moschea di Medina] perché questa [la moschea di Aelia] era la più distante dalla Mecca e da Medina. Fu affermato che l'espressione coranica 'la moschea più distante' si riferiva a essa [la moschea di Aelia] perché la moschea del Profeta [a Medina] non era né 'distante' né 'molto distante' per la gente di Medina... [3] "

"In conclusione, la moschea di Gerusalemme, nota come Moschea Al-Aqsa, cominciò ad essere costruita nell'anno 66 dell'Egira al tempo di 'Abd Al-Malik Ibn Marwan e la costruzione fu completata nell'anno 73 dell'Egira. La connessione religiosa dei musulmani con Gerusalemme finì con il cambio della qibla da Gerusalemme alla Mecca. Quando 'Abd Al-Malik Ibn Marwan - per un certo numero di anni - proibì i pellegrinaggi ai popoli della Siria e dell'Iraq, perché questi non divenissero favorevoli a Ibn Al-Zubayr e cominciò a costruire una grande Moschea in Aelia, apparvero delle tradizioni religiose che glorificavano questa moschea e il Duomo della Roccia. Ciò che facilitò [il cambiamento del nome Al-Aqsa] è che la gente di Medina non chiama [la propria moschea] 'distante' o 'più distante', dato che si tratta di un termine geografico [per loro irrilevante]... Abbiamo ereditato queste [tradizioni che promuovono la santità di Gerusalemme] come se facessero parte della religione [islamica]."

Note:
  1. Al-Qahira (Egitto), 19 agosto 2003
  2. L'autore ripete una particolare teoria, enunciata da I. Goldziher nel 1890 (si veda Muhammedanische Studien, II, pagg. 35-37; traduzione inglese: Muslim Studies II, pagg. 44-45), che nella costruzione del Duomo della Roccia e della Moschea Al-Aqsa, 'Abd al-Malik era motivato dal desiderio di trasferire il Pellegrinaggio dalla Mecca a Gerusalemme, come parte della sua campagna contro Ibn al-Zubayr. Questa teoria, largamente accettata, è stata accreditata da testi della storia islamica. Va, tuttavia, rilevato che questa teoria è stata riesaminata e confutata da S. D. Goitein (si veda "The Sanctity of Jerusalem and Palestine in Early Islam," nei suoi "Studies in Islamic History and Institutions", Leiden, 1966, pagg. 135-137) e non è più accettata nella dottrina moderna. 'Arafa inizia questo articolo con una citazione da Al-Uns al-jalil bi-ta'rikh al-quds wa'l-khalil, di Mujir al-Din 'Abd al-Rahman al-'Ulaymi al-Hanbali al-Maqdisi (810/1456-928/1522), che afferma che il califfo Ummayad 'Abd Al-Malik Ibn Marwan decise di costruire il Duomo della Roccia e la Moschea Al-Aqsa per sottrarre il pellegrinaggio dalla Mecca - a quel tempo controllata dal suo rivale Ibn al-Zubayr - [e portarlo] a Gerusalemme, che ara sotto il suo controllo e vicina a Damasco, la sua capitale. 'Arafa fa presente di avere preso questa citazione da un articolo di Ahmad 'Uthman sulla disputa sui luoghi santi di Gerusalemme 'Awda ila 'l-khilaf 'ala muqaddasat al-aqsa, al-ha'it wa'l-masjid, pubblicato il 19 novembre 2000 nel [giornale] Al-Sharq Al-Awsat
  3. L'autore spiega che in passato il nome Al-Aqsa fu preso per la moschea di Gerusalemme e che questo nuovo nome fu incluso in varie tradizioni diffuse per promuovere il significato islamico di Gerusalemme.
(Middle East Media Research Institute, 7 ottobre 2003)




4. SONDAGGIO SUL TERRORISMO




Il 59% dei palestinesi si dice convinto che Hamas e Jihad Islamica dovranno continuare la lotta armata contro Israele anche dopo che Israele avra' lasciato tutti i territori di Cisgiordania e striscia di Gaza, compresa Gerusalemme est, e dopo che sara' stato creato uno stato palestinese indipendente. Circa l'80%, inoltre, afferma che, nelle stesse circostanze, i palestinesi dovranno continuare ad insistere sul cosiddetto "diritto al ritorno" (dei profughi e di tutti i loro discendenti all'interno dello stato di Israele). E' quanto emerge da un sondaggio diffuso mercoledi' a Washington, condotto dalla Public Opinion Research of Israel e dal Palestinian Center for Public Opinion. Il sondaggio ha interpellato palestinesi e israeliani sul loro atteggiamento verso il terrorismo. Il 96% degli israeliani intervistati definisce terroristi i dirottatori dell'11 settembre, contro il 37% dei palestinesi. Poco piu' di un palestinese su quattro (26%) e' convinto che gli attentati dell'11 settembre siano stati organizzati dagli israeliani. Il 41% dei palestinesi e il 61% degli arabi israeliani si dicono a favore di coloro che attaccano gli americani in Iraq, contro lo zero per cento degli ebrei israeliani. Secondo Itamar Marcus, fondatore del Palestinian Media Watch, questi risultati "non saltano fuori dal niente" e dimostrano "un nesso preciso tra cio' che passa sui media e nel sistema scolastico palestinesi e le convinzioni dell'opinione pubblica palestinese".

(israele.net, 23.10.2003)




5. NOTIZIE IN BREVE




"Giustizia" palestinese.

Terroristi palestinesi con il volto coperto hanno ucciso giovedi' due palestinesi accusati di "collaborazionismo" (addebito usato anche per reprimere forme di dissidenza politica) e hanno esposto i corpi delle vittime crivellati di colpi nella piazza centrale del campo palestinese di Tulkarem per almeno un quarto d'ora, mentre nella zona passavano bambini diretti a scuola e adulti diretti al lavoro. I due uccisi erano stati sequestrati un paio di settimane fa, insieme ad altri sei palestinesi, e "interrogati" da uomini delle Brigate Al Aqsa (affiliate al Fatah di Arafat) e della Jihad Islamica (finanziata dall'Iran). Una fonte delle Brigate Al Aqsa ha dichiarato che l'esecuzione e' stata compiuta dai due gruppi congiuntamente per "condividerne l'onore".

(israele.net, 23.10.2003)

*

I terroristi islamici usano gli ospedali come basi operative.

Stanotte [26 ottobre] dei soldati israeliani hanno fatto dei raid in 2 ospedali di Shkhem (Nablus).
    All' ospedale di Rafidiyah hanno arrestato Jawad Ishtayeh, 27 anni, (membro del gruppo terroristico Martiri di Al Aqsa, alle dirette dipendenze di Yasser Arafat) armato, e del tutto sano che usava l'ospedale come base operativa.
    All'ospedale anglicano di Shkhem hanno arrestato Khaled Hamed, 25 anni terrorista di hamas, ferito nell' esplosione di bombe da lui preparate. (Hamed é il responsabile degli ultimi 2 attentati ad Ariel, dove furono assassinati 5 israeliani). Nell'esplosione il terrorista ha perso 2 dita ed è rimasto leggermente ustionato e secondo il medico palestinese ha subito un emorragia cranica. I soldati israeliani lo hanno prelevato e trasportato in ambulanza in un ospedale israeliano.

(Honest Reporting Italia, 26.10.2003)

*

Francia e Belgio implicati nel documento di Ginevra.

La Svizzera non è il solo paese implicato nell’accordo di Ginevra. Anche la Francia e il Belgio hanno contribuito al sostegno finanziario di questo progetto elaborato da qualche uomo della sinistra israeliana e da palestinesi. Il ministro israeliano degli Affari Esteri, Sylvan Shalom, ha dichiarato domenica, nel corso del consiglio dei ministri, che i suoi omologhi francese e belga hanno proposto a Yossi Beilin la somma di sette milioni di dollari per promuovere la “commercializzazione dell’iniziativa di Ginevra”. Shalom ha aggiunto che Israele ha protestato, per vie diplomatiche, contro l’ingerenza di questi Stati, ma ha precisato che i suoi dirigenti s’asterrano tuttavia da ogni protesta ufficiale.

(Arouts 7, 27.10.2003)




6. MUSICA E IMMAGINI




Match maker




7. INDIRIZZI INTERNET




National Unity Coalition for Israel

All4Israel




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