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Notizie su Israele 203 - 21 ottobre 2003

1. I pericoli incombenti del terrorismo internazionale
2. Il muro di sicurezza e l'ipocrisia della comunità internazionale
3. Notizie in breve
4. Convegno di evangelici su Israele
5. Musica e immagini
6. Indirizzi internet
Zaccaria 12:1-2. Oracolo, parola del SIGNORE, riguardo a Israele. Parola del SIGNORE che ha disteso i cieli e fondata la terra, e che ha formato lo spirito dell’uomo dentro di lui. «Ecco, io farò di Gerusalemme una coppa di stordimento per tutti i popoli circostanti; questo concernerà anche Giuda, quando Gerusalemme sarà assediata.»


1. I PERICOLI INCOMBENTI DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE




L’«International Association of Jewish Lawyers», associazione internazionale dei giuristi ebrei, nei giorni 15-19 ottobre ha tenuto a Parigi un convegno dal titolo “Terrorismo internazionale, razzismo, antisemitismo. Quale risposta al male?» Riportiamo l’intervento inaugurale della presidentessa Hadassa Ben Itto, nel servizio che ne ha fatto Veronique Chemla su Guysen Israel News.


René Cassin
L’associazione internazionale dei giuristi ebrei è stata creata nel corso di un congresso internazionale a Gerusalemme nell’agosto 1969. I suoi fondatori furono tre uomini notevoli che condividevano una visione comune: il giudice israeliano Haim Cohn, il giudice americano Arthur Goldberg e il francese, premio nobel per la pace, René Cassin. Non erano soltanto brillanti giuristi, erano anche difensori di ogni causa cruciale per l’esistenza di una società liberale, giusta e umana. Avevano vissuto uno dei più oscuri periodi della storia dell’umanità, erano stati testimoni degli orrori della seconda guerra mondiale e della Shoah, ma erano anche stati i testimoni dell’emergere di un’era nuova. Hanno condiviso con il resto dell’umanità la speranza che un nuovo ordine internazionale avrebbe offerto un mondo migliore alle generazioni future.
    Dopo aver capito quello che l’uomo poteva fare, hanno dedicato la loro vita alla creazione di un mondo migliore. Hanno creduto alla santità della vita, alla promozione degli ideali dei diritti dell’uomo, alla creazione di un nuovo ordine del mondo fondato sul fermo impegno ad evitare la ripetizione di quello che era accaduto durante la loro vita.
    E’ per questo che tutti e tre fondavano tante speranze sul fatto che le Nazioni Unite, da poco create, basate sulla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, avrebbero unificato le nazioni di questo mondo, grandi e piccole, povere e ricche, vecchie e nuove, in un comune desiderio di creare una vita migliore per i loro popoli, di dividere equamente le loro ricchezze, di proteggerli insieme dalle catastrofi, di dare ad ogni persona, ovunque vive, dei diritti fondamentali e la speranza di un avvenire migliore.
    L’apporto di ciascuno di questi tre grandi uomini resterà scritto nella storia. I loro nomi figureranno per sempre sulla tabella d’onore dei grandi giuristi che credevano che la legge non è lì soltanto per mantenere l’ordine in seno alle società. Credevano che la legge è uno strumento potente che deve essere utilizzato per lo stabilimento di questo nuovo ordine mondiale. Credevano che gli uomini e le donne di legge hanno il dovere di usare la loro capacità professionale, la loro esperienza, la loro posizione elevata in seno alle loro rispettive comunità, per contribuire alla creazione di una società migliore. Ma la loro visione non era soltanto universale. Erano anche dei grandi ebrei, dolorosamente coscienti di quello che era stato fatto al loro popolo nel corso della loro vita. Ecco perché non si sono accontentati di promuovere obiettivi universali, hanno giurato che dopo l’annichilimento d’un terzo del loro popolo, si sarebbero sforzati di fare in modo che niente di simile potesse mai più accadere. E’ questa la ragione per cui hanno fermamente appoggiato lo stato ebraico recentemente creato. E’ questa la ragione per cui hanno creduto che era necessario riunire Gerusalemme, ed è questa la ragione per cui hanno deciso di creare questa associazione di giuristi ebrei, perché erano persuasi che per la loro generazione, e certamente per le generazioni a venire, gli ebrei dovevano avere in comune un dovere di protezione del loro popolo e una responsabilità comune nella preservazione della loro grande eredità.
    Sta lì, secondo loro, la responsabilità degli ebrei di tutti i paesi. Tuttavia, secondo i regolamenti della nostra associazione, ad essa può aderire ogni persona non ebrea che condivida i nostri scopi e il nostro programma.
    Se questi tre fondatori fossero stati qui presenti fra noi oggi, non crederebbero a quello che è successo al mondo. Naturalmente potremmo abbandonarci alla disperazione e dire che i loro sogni erano soltanto ingenui, che non c’è nessuna speranza di realizzare la loro visione. Ma alcuni tra di noi sono convinti che se noi oggi abbandoniamo, non ci sarà avvenire per i nostri figli.
    Non siamo un’associazione politica e non abbiamo programmi politici. I nostri membri sono spesso in disaccordo su molti argomenti e non pretendiamo di avere delle soluzioni ben confezionate per tutti i mali che affliggono l’umanità, sia sulla scena mondiale, sia nel nostro piccolo angolo del mondo.
    Ma rimaniamo attaccati con perseveranza alle questioni che ci sembrano cruciali per l’avvenire dell’umanità, delle questioni sulle quali dobbiamo tutti metterci d’accordo se vogliamo continuare a vivere. Non pretendiamo di risolvere tutti i problemi di povertà, carestia, epidemia che colpiscono interi continenti, i problemi delle armi di distruzione di massa che potrebbero mettere in pericolo l’esistenza stessa del nostro globo, i pericoli dell’ambiente.
    Per questa conferenza abbiamo scelto di trattare alcune questioni che a nostro avviso devono figurare in testa ai programmi mondiali.
    E’ per questa ragione che parleremo di terrorismo internazionale, per questo dovremo trattare il problema del razzismo e più specificamente le nuove forme di antisemitismo che mettono in pericolo non solo gli ebrei, ovunque vivano, ma anche lo Stato ebraico, che è stato creato mediante una risoluzione della comunità internazionale per preservare il diritto della nostra nazione al nostro proprio paese e per assicurare che ci sarà una porta che non sarà mai chiusa agli ebrei, come furono le porte serrate, una dopo l’altra, sul naso dei profughi ebrei che fuggivano dalla bestia nazista.
    Il terrorismo non è nuovo nella società umana. Ci sono sempre stati atti isolati di terrorismo, ci sono sempre stati degli individui pronti ad ucciderne altri perché credevano di servire una buona causa. Ci sono sempre stati dei dirigenti che hanno utilizzato il terrorismo per raggiungere i loro scopi.
    Ma quello che oggi il mondo deve affrontare, non sono atti isolati di terrorismo, oggi abbiamo un mondo terrorizzato, siamo davanti a una nuova arma più pericolosa di tutte le armi conosciute, perché è un’arma che non può essere individuata e contenuta. Siamo davanti a un mondo che non ha trovato sempre gli strumenti per difendersi da questa nuova arma, che non ha ancora del tutto compreso l’estensione del danno per la società, dappertutto nel mondo.
    Purtroppo, per descrivere questo fenomeno continuiamo ad usare delle parole che non quadrano con la definizione originale, e così facendo riduciamo, e perfino banalizziamo, questo fenomeno. E’ un processo pericoloso, perché non si tratta soltanto di linguistica o di definizioni. E’ un processo che trasforma gli orrori di ieri in espressioni banali di oggi. Sessant’anni fa, dopo aver visto le immagini di Auschwitz, il mondo intero ha imparato quello che significa la Shoah. Non c’era alcun bisogno di una definizione. Utilizzando questa parola per descrivere altre catastrofi che hanno colpito l’umanità, alcune immense e assolutamente orribili, ma anche altre di minore gravità, l’orrore della Shoah, che era incomparabile, è stato sminuito.
    Dicendo “nazista”, una volta non c’era bisogno di definizione. Sapevamo che cosa sono stati i veri nazisti e che cosa hanno fatto. Sapevamo qual era il loro vero programma. L’utilizzazione di questi termini per criticare certe azioni di oggi, anche le più condannabili, sminuisce e banalizza quello che i nazisti hanno fatto, sminuisce e banalizza questo terribile mostro che rivela ancora oggi la sua orrida faccia in diversi angoli dell’universo. Tutto questo riduce il significato di una parola che dovrebbe restare per sempre il ricordo di quell’orrore unico nella storia dell’umanità.
    Il semplice fatto che questi termini siano utilizzati oggi da persone che perseguono scopi ben definiti, dimostra che sono coscienti di questo processo di banalizzazione, e che questo serve ai loro disegni.
    La stessa cosa vale anche per la parola terrorismo, che a parer mio non ha bisogno di definizione, ma ci sono persone che spezzano sempre il capello in quattro e creano assurde differenze tra varie forme di terrorismo.
    In realtà, il mondo è diviso in due tipi di paesi: quelli che possono permettersi il lusso di discutere di terrorismo, ivi compreso il terrorismo internazionale, da un punto di vista distaccato e intellettuale, anche se hanno subito degli attacchi terroristici isolati all’interno delle loro frontiere; e gli altri paesi, come Israele, dove il terrorismo detta la nostra esistenza quotidiana.
    Noi ci svegliamo la mattina per sapere dai giornali i dettagli dell’ultimo attacco suicida; abbiamo paura di accendere la televisione, per evitare che i nostri figli abbiano a vedere corpi smembrati e fiumi di sangue; il giorno dopo un’esplosione nei mezzi di trasporto diciamo ai nostri ragazzi di non prendere l’autobus, per venire poi a sapere che sono andati con i loro amici in un ristorante del quartiere, ed era proprio quello il nuovo obiettivo.
    Peggio ancora, abbiamo imparato a convivere con parole come Jihad e Chadid, parole che ormai fanno parte del nostro linguaggio quotidiano. Come dice Bernard Lewis, il più grande esperto di Islam, quelli che lottano per la Jihad saranno ricompensati nei due mondi: il bottino in questo mondo, il paradiso e la felicità eterna nell’altro. Noi non possiamo impedire niente per quel che riguarda la felicità promessa per l’altro mondo, ma dobbiamo dire con voce ferma e chiara che quelli che promettono dei bottini in questo mondo si fanno complici del terrorismo e devono essere considerati come tali dalla comunità internazionale.
    Parlando apertamente alla televisione ufficiale palestinese, il 4 maggio scorso la direttrice dell’associazione palestinese “Children's aid Association”, un organismo la cui funzione è proprio quella di aiutare i ragazzi, ha detto che la politica educativa dei palestinesi è di insegnare ai loro ragazzi ad aspirare alla morte per Allah, la Chahada.
    Intervistata dal giornalista Samir Chahin, la signora Firial Hillis, direttrice di “Children's aid Association”, ha detto: “I ragazzi volevano una cosa sola: uscire da scuola e gettare pietre ai soldati israeliani, e ottenere la Chahada. La loro principale priorità è un’aspirazione alla Chahada”.
    Quando le è stato chiesto se a suo parere i ragazzi palestinesi comprendono il concetto di Chahada, ha risposto: “Il concetto di Chahada per un ragazzo significa l’appartenenza alla patria come fatto religioso. Il sacrificio per la patria, arrivare alla Chahada per ottenere il paradiso e incontrare Dio, è quanto c’è di meglio. Noi insegniamo ai ragazzi a proteggere la patria e a raggiungere la Chahada”.
    C’è un’abbondanza di esempi simili. Non abbiamo mai sentito una condanna chiara e netta a questo riguardo dai cosiddetti organismi internazionali per la difesa dei diritti dell’uomo.
    Noi, in Israele, siamo ormai condizionati dal terrorismo nella nostra vita quotidiana. Altri, nel mondo, devono soltanto pazientemente adattarsi ai disagi dei controlli di sicurezza nei negozi e alle lunghe file d’attesa negli aeroporti. Aprono i loro giornali la mattina e leggono articoli su un altro attacco suicida a Gerusalemme o nel Cachemir o a Bali, e continuano a vivere la loro vita come sempre, perché il terrorismo è riuscito ad essere incluso nelle nostre vite, è diventato parte della nostra esistenza e ha reso il mondo non soltanto più pericoloso, ma anche un luogo in cui le persone non si sentono più sicure. E se si sentono sicure, in realtà non dovrebbero esserlo.
    E' impossibile descrivere il pericolo con parole più forti di quelle usata da Hélèna Bonner, la vedova di Andreè Sacharov, anche lei una personalità ben conosciuta nell’ambiente dei diritti dell’uomo. In un appello a tutti i cittadini del mondo che ha pubblicato nell’aprile 2002, ha scritto: “I terroristi suicidi hanno messo al mondo una nuova forma di armi di distruzione di massa, a buon mercato e facile da trasportare. Senza ombra di dubbio, essa si estenderà a tutto il pianeta, non solo per raggiungere gli obiettivi politici dei diversi gruppi estremisti, ma anche per risolvere i problemi personali di decine e centinaia di persone psicologicamente instabili. Se qualcuno oggi pensa che questo nuovo tipo di arma - un ordine di uccidere eseguito da un terrorista suicida - potrebbe essere circoscritto in un territorio specifico grazie a un sostegno tacito agli assassini suicidi, si sbaglia. E’ assolutamente evidente che se non si fa nessuno sforzo per arrestare questa nuova arma, ci avvicineremo al momento in cui queste persone si faranno esplodere in posti diversi da Gerusalemme. Si faranno saltare ai Campi Elisi, sulla piazza rossa, a Broadway, a Picadilly, nelle strade di Pechino, del Cairo, di Bagdad, di Damasco [e di Roma, aggiunta del traduttore], in funzione di colui che avrà ordinato e pagato per l’esplosione, al fine di raggiungere i suoi propri scopi.
    I terroristi assassini suicidi commettono dei crimini, senza alcun dubbio. Ma un crimine ancora più grande, un crimine che dovrebbe essere qualificato come crimine contro l’umanità, è quello commesso da coloro che li guidano, che ordinano questi crimini. Anche se dall’esterno potrebbero sembrare atti volontari, le azioni dei terroristi assassini suicidi sono sempre eseguite sotto la forza, la pressione. La responsabilità di questi atti dovrebbe essere fatta ricadere interamente su quelli che hanno dato gli ordini, su quelli che manipolano ideologicamente questi terroristi, molto spesso minorenni, su quelli che li armano e poi portano il lutto. Se l’epidemia provocata dai terroristi suicidi non è fermata oggi, allora ben presto, dopo essere stata incoraggiata dagli allegri petrodollari che riempiono le borse degli assassini suicidi e impinguano le pensioni dei loro genitori e danno altre rendite, questa epidemia sommergerà tutta la terra. In questo caso, molto verosimile, le esplosioni nelle strade di tutte le città del mondo, Bruxelles Dehli, Mosca e Berlino, Amman e Islamabad, diventeranno fatti quotidiani. Musulmani e cristiani, confuciani e induisti, cattolici e ortodossi, buddisti e protestanti, nessuno potrà essere al sicuro da un’esplosione che lo dilanierà.
    La morte improvvisa diventerà una pratica corrente, come la paura che la precede. La convinzione che quest’arma sarà utilizzata soltanto contro certi stati e non contro altri, è temporanea e illusoria. E’ ciò di cui hanno dovuto accorgersi, con enorme ritardo, quelli che hanno firmato gli accordi di Monaco nella speranza che avrebbero portato la pace. Al contrario, hanno fatto scoppiare la seconda guerra mondiale.
    Bonner avverte che la pratica degli attentati suicidi è stata messa in cantiere su grande scala, e che ancora una volta la responsabiità sarà fatta ricadere sugli ebrei. Conoscendo la storia della Russia, lei ha avvertito che l’Europa e l’America stanno rotolando mortalmente verso qualcosa che fa pensare al vecchio slogan dei Cento-Neri della Russia zarista: “Colpiamo gli ebrei e salviamo la Russia”. Parole spaventose come non mai, pronunciate da un combattente non ebreo per i diritti dell’uomo.
    Eravamo molto contenti dell’idea del villaggio globale quando abbiamo effettuato la rivoluzione della comunicazione, del trasporto e del commercio. Dopo l’11 settembre prendiamo coscienza del lato oscuro di questo villaggio globale. Se cinque uomini armati di coltelli giapponesi possono demolire le torri gemelle e assassinare migliaia di persone, se una giovane donna elegante e colta può entrare con nonchalance in un caffe superaffollato e far esplodere una cintura esplosiva, annientare   l’esistenza di intere famiglie, tre generazioni d’una    stessa     famiglia,    come è avvenuto recentemente a Haifa ( Notizie su Israele 200), se un giovane uomo può salire a bordo di un aereo o di un autobus pieno di ragazzi e spingere un bottone per ammazzarli tutti, nessuno è più sicuro, da nessuna parte.
    Questo deve essere detto e ridetto continuamente: nessuno è più sicuro, da nessuna parte. Noi tutti, individui, gruppi e dirigenti, diciamo di condannare questi omicidi brutali. Ma non siamo più scioccati, condanniamo, diciamo parole convenzionali che a forza di essere usate hanno perduto il loro senso. Sentiamo delle condanne uscire dalla bocca di persone che hanno mandato i terroristi a commettere i loro atti e li ringraziamo delle loro parole vuote.
    Ma non è soltanto il pericolo fisico quello in cui viviamo. Questo nuovo tipo di terrorismo ha distrutto la nostra fede nei vicini. Il nemico non è più avvertito come un esercito straniero in un paese lontano. Può essere uno qualsiasi intorno a noi: l’uomo seduto nella poltrona accanto nell’aereo, la donna della fila davanti alla cassa di un supermercato, lo studente che porta i suoi libri in uno zaino... Diventiamo sospettosi, e quando ci rendiamo conto che quelli che commettono questi attacchi suicidi hanno in comune delle caratteristiche nazionali, etniche e religiose, chi può rimproverarci se creiamo degli stereotipi? Dopo aver visto ogni volta in televisione l’assassino suicida che si vanta della sua prossima missione omicida, è contro natura chiederci di restare neutri, di non utilizzare degli stereotipi, di non guardare certe persone con maggiore sospetto. E’ una china scivolosa, che alla resa dei conti creerà più divisione, più discriminazione, più odio, più violenza.
    A poco a poco stiamo cambiando non soltanto le nostre percezioni, ma anche le nostre leggi. Quello che era politicamente corretto, ora non lo è più quando si tratta di salvare delle vite. La protezione assoluta della libertà e della vita privata dell’individuo è sostituita da nuove leggi che gli stati devono votare e far valere per proteggere non solo i loro cittadini, ma anche qualche volta la stessa esistenza nazionale. Questo compito non spetta soltanto ai legislatori, ma anche ai tribunali, come vedremo nel corso di questa conferenza.
    Allora ci chiediamo: qual è la risposta al male?
    So che non c’è bisogno di fare troppe domande, ma fino a quando la comunità internazionale non riconoscerà il pericolo, fino a quando non ci si metterà d’accordo su delle soluzioni possibili, dobbiamo aspettarci un futuro molto scuro.
     Ci compete dunque di esaminare attentamente la comunità internazionale, rappresentata dalle delegazioni ufficiali negli organismi internazionali e regionali, ma nello stesso tempo anche nelle migliaia di organizzazioni non-governative che diventano sempre più influenti, e certamente anche nei media.
     C’è da aspettarsi che paesi diversi e diverse società avranno differenti approcci alla soluzione. Dopo tutto, sono decisioni difficili. Ma queste decisioni devono essere fondate su dei fatti. Certi fatti possono essere discussi, o essere onestamente oggetto di interpretazioni differenti, ma ci sono anche dei fatti irriducibili, e fino a che questi fatti sono deformati in modo così flagrante, non ci possono essere vere discussioni sulle soluzioni. Bisogna anzitutto ristabilire la realtà dei fatti.
     Fino a che saremo i testimoni dell’ipocrisia flagrante dei discorsi internazionali, della distorsione dei fatti stabiliti, d’un incontestabile sistema di due pesi e due misure, allora la credibilità, e dunque

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l’efficacia, di questi organismi internazionali è contaminata e danneggiata.
     Il risultato è disastroso: ogni paese che ha la sensazione di essere ingiustamente giudicato dagli organismi ufficiali e, cosa ancora più importante, dall’opinione pubblica mondiale attizzata dai media partigiani, non ha davvero altra scelta che fare le cose a modo suo e prendere le sue proprie decisioni per assicurare la sua sopravvivenza e la protezione dei suoi cittadini.
     E’ un’accusa grave, ma è fondata su fatti precisi che ci proponiamo di presentare nel corso di questa conferenza.
     Il tema del terrorismo è strettamente collegato a un altro tema che ci auguriamo di poter discutere qui: l’emergere e lo svilupparsi di una nuova ondata di antisemitismo, sia sotto la forma tradizionale di persecuzione degli ebrei, sia sotto la forma di isolamento di Israele, lo stato ebraico, come il più pericoloso autore di tutto ciò che va male nel mondo di oggi.
     Avrò occasione di dire qualcosa di più a questo riguardo quando, venerdì sera, presenterò i protocolli dei savi di Sion. Poiché diverse eminenti personalità tratteranno questo argomento, non entrerò nei dettagli. Dirò soltanto che l’antisemitismo, sotto tutte le forme, non è soltanto un pericolo per gli ebrei. E’ stato ampiamente provato che si tratta di un cancro che distrugge il corpo di ogni società. Noi, gli ebrei, non possiamo far altro che occuparcene, ma, come diceva spesso Peer Ahlmark, ex vice Primo Ministro di Svezia e infaticabile combattente contro l’antisemitismo: “è una malattia della società non ebrea, ed è per questo che sono anzitutto i non ebrei che hanno il dovere di combatterla”.
     Spero che questa conferenza invierà al mondo un messaggio, e che questo messaggio non sarà ignorato.
     Il fatto che questa conferenza si tenga al palazzo di giustizia a Parigi, e che personalità così importanti abbiano prestato il loro nome e il loro patrocinio, dovrebbe assicurare che il nostro messaggio sarà ascoltato. Li ringraziamo tutti del loro sostegno e di aver prestato il loro nome e il loro prestigio a una causa così importante.
     Mi rendo ben conto che una conferenza come questa può servire soltanto a risvegliare una presa di coscienza pubblica, e che è una goccia d’acqua nell’oceano. Ma è necessario, in coscienza, versare goccia su goccia nella speranza che il mare non ci inghiottisca tutti.

(Guysen Israel News, 16.10.2003)




2. IL MURO DI SICUREZZA E L'IPOCRISIA DELLA COMUNITA' INTERNAZIONALE




Una barriera legittima e opportuna

Da un articolo di Evelyn Gordon

    L'ipocrisia della comunita' internazionale riguardo a Israele non e' una novita', ma ha superato se stessa sulla questione della barriera di sicurezza che Israele sta costruendo nel tentativo di proteggere i propri cittadini dagli attentati suicidi, e che si e' attirata condanne da tutto il mondo sulla base fondamentalmente di tre argomenti, tutti e tre infondati.
    Il primo argomento, citato la settimana scorsa da Javier Solana, responsabile della politica estera dell'Unione Europea, sostiene che la barriera "non e' conforme al diritto internazionale" perche' comporta la confisca di proprieta' private in Cisgiordania. Tutti convengono sul fatto che la legge internazionale da applicare in Cisgiordania e' la Quarta Convenzione di Ginevra (1949). Israele non e' d'accordo (la Cisgiordania non e' territorio "occupato", perche' non e' stato sottratto a una sovranita' straniera, bensi' territorio "conteso", dalla sovranita' non ancora definita), ma ha accettato per proprio conto di applicare in Cisgiordania le clausole umanitarie previste dalla Convenzione. Ebbene, la Convenzione di Ginevra non vieta categoricamente la confisca di terre nel territorio occupato. Essa vieta solo la "distruzione e l'appropriazione di beni non giustificate da necessita' militari" (art. 147) e anzi permette esplicitamente alla potenza occupante di "assoggettare la popolazione del territorio occupato a disposizioni che siano indispensabili per permetterle di garantire la sicurezza della potenza occupante, dei membri e dei beni delle forze o dell'amministrazione d'occupazione, nonche' degli stabilimenti e delle linee di comunicazione da essa utilizzate" (art. 64). E' difficile sostenere che proteggere la propria popolazione civile da spietati attentati terroristici non sia un legittimo obiettivo militare. In effetti la protezione della propria popolazione civile e' universalmente considerata il piu' legittimo di tutti gli obiettivi militari (ad eccezione, per qualche misteriosa ragione, della difesa dei civili israeliani). L'argomento e' ancora piu' debole se si considera che una delle principali "rientranze" della barriera entro la Cisgiordania ha lo scopo di tenere l'aeroporto Ben Gurion, dove passa il 99 per cento del traffico aereo israeliano, fuori dalla portata di terroristi armati di missili anti-aerei da spalla. E' difficile immaginare un qualunque paese che non consideri una vitale necessita' militare la difesa del proprio aeroporto internazionale.
    Il secondo argomento, ripetuto spesso dal segretario di stato americano Colin Powell, e' che Israele sta costruendo la barriera su territorio che appartiene al futuro stato palestinese. Ora, l'unico documento di diritto internazionale vincolante che abbia mai attribuito una sovranita' a questo territorio e' il Mandato sulla Palestina della Lega delle Nazioni del 1922, che assegnava tutto cio' che oggi viene chiamato Cisgiordania al futuro stato ebraico. Non esiste un solo documento vincolante di diritto internazionale che attribuisca quel territorio a una sovranita' palestinese. La risoluzione di spartizione del 1947 prevedeva effettivamente uno stato arabo (palestinese) in quest'area, ma non e' vincolante per due motivi: perche' e' una risoluzione dell'Assemblea Generale e non del Consiglio di Sicurezza, e perche' gli stessi palestinesi l'hanno inequivocabilmente rifiutata, privandola di ogni valore legale.
    Per quanto riguarda la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, approvata dopo che Israele aveva conquistato la Cisgiordania nel 1967, essa prescrive che Israele si ritiri "da territori occupati nel recente conflitto". Significativamente essa non dice "dai territori": una formulazione tutt'altro che casuale, deliberatamente scelta dagli estensori del testo (britannici e americani) per lasciare la possibilita' a Israele di trattenere parte di quei territori nel quadro di un futuro accordo di pace [si veda: Per una corretta lettura della risoluzione Onu 242]. Inoltre la 242 non dice chi debba ricevere la sovranita' di qualunque parte di Cisgiordania da cui Israele si fosse ritirato. In effetti all'epoca quei territori non avevano alcuna sovranita' definita giacche' prima di essere conquistati da Israele erano stati occupati dalla Giordania, e solo due paesi in tutto il mondo (Gran Bretagna e Pakistan) avevano riconosciuto l'annessione del territorio da parte della Giordania. Pertanto sostenere che questo territorio e' stato riconosciuto come territorio palestinese non ha alcun fondamento nel diritto internazionale.
    Infine c'e' l'argomento, anche questo usato da Powell, secondo cui la costruzione della barriera "pregiudicherebbe i futuri negoziati" sui confini dello stato palestinese a venire. Potrebbe essere un argomento valido, se tutto il mondo non avesse gia' pregiudicato i negoziati dichiarando che tutto quel territorio deve essere palestinese. Israele non ha mai nascosto il fatto che, con qualunque accordo, intende trattenere una piccola porzione di Cisgiordania comprendente i maggiori blocchi di insediamenti, fra i quali figura Ariel, dove corre la parte piu' contestata della barriera. Anche il primo ministro Ehud Barak, che pure era pronto a cedere a tutte le richieste palestinesi su Gerusalemme, tenne fermo questo punto, ed e' difficile immaginare un suo successore piu' accomodante di lui. Anche la proposta di compromesso di Bill Clinton del dicembre 2000 assegnava questi terreni a Israele e, a quanto e' dato sapere, i palestinesi accettarono questo punto (i colloqui, infatti, non fallirono sulla questione dei confini, bensi' sulla pretesa palestinese del cosiddetto "diritto al ritorno" dei profughi e sul loro rifiuto di riconoscere un legame ebraico con il Monte del Tempio in cambio del pieno controllo sul sito). Eppure adesso l'Europa e lo stesso Powell insistono che tutta la Cisgiordania e' territorio palestinese, talche' uno stop di Israele alla costruzione della barriera equivarrebbe ad ammettere che tutti questi territori sono parte del futuro stato palestinese (rendendo inutile qualunque negoziato). Viceversa, costruire la barriera non pregiudica niente dal momento che essa puo' sempre essere rimossa in seguito a un accordo di pace, come Israele ha dimostrato smantellando gli insediamenti nel Sinai dopo l'accordo con l'Egitto. Dunque il mondo ha creato una situazione nella quale la non costruzione della barriera pregiudicherebbe il risultato di (autentici) negoziati molto piu' di quanto non faccia la sua costruzione.
    Comunque, nessuna delle considerazioni fatte qui ha la minima probabilita' d'essere menzionata nel dibattito internazionale sulla barriera difensiva. Quando si tratta di Israele, il mondo non sembra preoccuparsi molto del diritto e dei dati di fatto.

(israele.net, 16.10.2003 - dalla stampa israeliana)




3. NOTIZIE IN BREVE




Famiglia libanese chiede asilo politico a Israele

BEIRUT - Una famiglia del sud del Libano ha varcato martedì scorso [14 ottobre] la frontiera con Israele nei pressi della città di Qiryat Shemona. Ha chiesto asilo a Israele perché è perseguitata dai radical-islamici hezbollah (“Partito di Allah”). Secondo quello che riferisce il quotidiano Yediot Aharonot, i genitori si sono rivolti con i loro quattro figli ai soldati, non appena hanno raggiunto il territorio israeliano. Hanno detto che vogliono fare domanda di asilo politico. Secondo fonti militari, i libanesi verranno consegnati alle autorità di sicurezza israeliane. Queste verificheranno se il padre ha combattuto nell’esercito sudlibanese pro-israeliano durante la guerra civile e indagheranno i motivi la famiglia viene perseguitata da hezbollah. Dal ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano nel maggio 2000, ci sono stati 80 tentativi simili di entrare in Israele dal Libano. Una parte dei libanesi hanno chiesto asilo politico.

(Israelnetz Nachrichten, 16.10.2003)

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Beduini denunciano le loro mogli alla polizia

Dall’inizio dell’anno ci sono stati tredici uomini beduini che hanno denunciato le loro mogli alla polizia. Dicono di essere stati picchiati dalle loro mogli perché non permettono loro di lavorare fuori casa e non partecipano ai lavori di pulizia in casa. Di solito, per cose simili i beduini non si lamentano con la polizia, perché questo danneggia il loro “ego”. Ma evidentemente per questi uomini le cose sono andate troppo avanti, al punto che soltanto con l’aiuto della polizia hanno potuto contenere il femministico atteggiamento delle loro mogli.

(Nai - Stimme aus Jerusalem, 17.10.2003)

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Il diabolico sangue freddo di una terrorista

La terrorista Hanadi Jaradat, che ha commesso l’attentato suicida al ristorante Maxim, ha consumato lì il suo ultimo pasto e ha anche pagato il conto. E’ quello che ha rivelato venerdì mattina [17 ottobre] il quotidiano Yediot Aharonot. In quel terribile attentato sono state distrutte famiglie intere, 21 persone sono state assassinate.
    Hanadi Jaradat, che è partita da Jenin, ha potuto arrivare a Haifa senza incontrare il minimo ostacolo per strada. Circolava a bordo di un veicolo che portava la targa israeliana e non è nemmeno stata controllata al punto di passaggio. Arrivata nella città portuale, ha deciso di fermarsi a fare colazione e ha messo gli occhi sul ristorante Maxim. S’è attaccata la sua cintura esplosiva e ha preso il suo ultimo pasto in compagnia delle sue future vittime. Gli inquirenti dello Shin Bet in un primo momento si sono rifiutati di credere che la terrorista abbia potuto agire così, ma dopo aver visto lo scontrino registrato alla cassa del ristorante, non era più possibile alcun dubbio.
    Secondo le investigazioni svolte dopo il dramma, è risultato che il ristorante all’inzio non era l’obiettivo della terrorista, che aveva l’intenzione di commettere un mega-attentato all’ospedale della città, Rambam. La Jihad islamica, che l’ha inviata, voleva un’esplosione esemplare, che doveva suscitare una risposta violenta di Israele e provocare «l’anarchia totale in Giudea-Samaria e nella striscia di Gaza».
    
(Arouts 7, 17.10.2003)


Hadar Bahat
Notizia aggiuntiva. Hadar Bahat, un bambino di tre anni che nell’attentato terroristico al ristorante Maxim è stato colpito da tre schegge metalliche penetrate nella scatola cranica, e' ancora in coma e soffre di una grave infezione perche' i terroristi islamici usano infettare le parti metalliche che inseriscono nelle loro bombe. Recentemente e' stato staccato dal respiratore artificiale e respira autono- mamente. Il padre di Hadar, Ziky Bahat, e' stato ucciso nell'attentato. La mamma Tova Bahat e la sorella Inbar, che sono state ferite leggermente, chiedono a tutti di pregare per il bimbo. (Y. Tiles)

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La maggioranza dei palestinesi appoggia gli attacchi suicidi

RAMALLAH, Cisgiordania - Il 75% dei palestinesi approva l'attentato suicida in un ristorante israeliano che due settimane fa ha provocato la morte di 21 persone - compresi 4 bambini. Lo rivela un sondaggio i cui risultati sono stati diffusi oggi.
    Il sondaggio, condotto dal Centro palestinese per ricerche di politica e sondaggi che ha intervistato 1.318 persone in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, rivela anche che l'85% dei palestinesi è a favore di una "reciproca cessazione della violenza da entrambe le parti".
    Il sondaggio rivela che esiste un forte sentimento anti-americano tra i palestinesi. Oltre il 95% degli intervistati ha detto che gli Stati Uniti sono "insinceri" quando dicono di voler stabilire uno Stato palestinese accanto a Israele.
    Alla domanda se approvassero o meno l'attentato del 4 ottobre nella città settentrionale di Haifa, il 75% ha risposto di appoggiarlo o di appoggiarlo fermamente.
    Il 17% ha detto di disapprovarlo, e il 4,4% di disapprovarlo con fermezza.
    Quasi il 97% ha detto che gli Stati Uniti - principali alleati di Israele - hanno un pregiudizio a favore dello Stato ebraico.
    
(Yahoo! Notizie, 19.10.2003)




4. CONVEGNO DI EVANGELICI SU ISRAELE




L'associazione "Evangelici d'Italia per Israele", fondata a Roma lo scorso 8 marzo, ha organizzato il 2° Convegno su Israele, che si terrà a Frascati nei giorni 6-8 dicembre 2003.
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5. MUSICA E IMMAGINI




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6. INDIRIZZI INTERNET




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