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Notizie su Israele 205 - 31 ottobre 2003

1. Per i palestinesi è un «crimine contro l'umanità»
2. Israele discute la sorte di Netzarim
3. Ricordo di uno Yom Kippur di guerra
4. Servizi di assistenza svolti in Israele dall'IFCJ
5. L'eterno doppio gioco dell'Autorità Palestinese
6. Olanda: cresce l'antisemitismo
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Geremia 33:14-16. ”Ecco, i giorni vengono”, dice il SIGNORE, “in cui io manderò ad effetto la buona parola che ho pronunziata riguardo alla casa d’Israele e riguardo alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo, io farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia, ed esso eserciterà il diritto e la giustizia nel paese. In quei giorni, Giuda sarà salvato e Gerusalemme abiterà al sicuro; questo è il nome con cui sarà chiamata: SIGNORE nostra giustizia”.


1. PER I PALESTINESI E' UN «CRIMINE CONTRO L'UMANITA'»




Il «muro di Berlino» eretto da Sharon

Il muro della
disinformazione


di David Scebat


Israele ha cominciato, qual- che anno fa, a costruire una barriera di sicurezza attorno alla Cisgiordania al fine di impedire l’infiltrazione di terroristi in Israele. In sé questa decisione non dovrebbe scioccare nessuno, perché il terrorismo è unanimemente condannato, anche dall’Autorità Palestinese, o per lo meno questa è la sua versione ufficiale.
    Tuttavia, il mondo si agita intorno a questa costruzione, che il rappresentante dell’Autorità Palestinese all’Onu ha qualificato come “crimine contro l’umanità”, e che altri hanno ribattezzato il “muro dell’apartheid”. Mi sono chiesto in che cosa consiste esattamente questa costruzione controversa, ed è percorrendo l’informazione [presentata dai media] che sono andato ad urtare contro il muro... della disinformazione.
    Certi media “occidentali” veicolano un’immagine dell’impresa israeliana che mi è parsa strana... Un’immensa costruzione di cemento, tre volte più alta e venti volte più larga del muro di Berlino, che attraversa campi e uliveti, s’inserisce profondamente nei territori occupati, sfigura il paesaggio, separa villaggi e famiglie e priva parecchie decine di migliaia di palestinesi di lavoro e d’acqua potabile...
    Se quest’immagine riflettesse la realtà, mi sembra che si avrebbe il diritto di essere scioccati... ma la prima impressione che ho avuto è che questa versione dei fatti non è altro che il prodotto della classica propaganda anti-israeliana... la stessa che ha annunciato più di 500 morti a Jenin, prima che la stampa rivelasse che l’operazione aveva causato 38 morti palestinesi; la stessa ancora che presenta il conflitto come un “genocidio palestinese” (e ignora dunque appositamente quello che è successo in Ruanda, meno di due anni fa).
    In effetti, dopo aver scavato un po’, mi sono accorto che sui 170 chilometri di barriera già costruiti, solo un troncone di 7 chilometri è costituito da cemento, e inoltre si trova in territorio... israeliano; il rimanente 95% della barriera non è che una semplice barriera metallica elettronica mobile, che può facilmente essere spostata... Si è dunque lontani dal muro di Berlino!
    D’altra parte, la barriera (che non è più muro della rete metallica del mio giardino) non è ermetica, come i media ci fanno credere. Ci sono più di quaranta porte di passaggio nella sola parte nord della chiusura, porte che permettono agli agricoltori e agli studenti che si trovano, loro malgrado, dalla parte israeliana della barriera, di traversare la chiusura, perché a loro sarà consegnato automaticamente un permesso speciale (oltre che a un indennizzo, ma dell’una come dell’altra cosa i media non fanno caso).
    Quei fini disinformatori che sono l’Autorità Palestinese e i loro ripetitori francesi fanno anche circolare l’idea che il governo israeliano vuole approfittare del tracciato della barriera per imporre una frontiera al futuro Stato palestinese - cosa che naturalmente non manca di attizzare l’odio e il disgusto di una parte della popolazione occidentale mal disposta nei riguardi d’Israele. Tuttavia, questa idea esiste soltanto nell’immaginazione di quelli che la veicolano, perché il governo israeliano ha sempre affermato il carattere provvisorio della barriera.
    E’ vero che la chiusura di sicurezza ingloberà nel territorio israeliano circa 5.000 palestinesi, e capisco che questo possa scioccare; ma è indispensabile capire che non è a questa gente che Israele fa la guerra. Non è contro il popolo palestinese che queste misure sono dirette, ma contro i terroristi che silurano la loro causa.
    Credo che invece di sprecare le loro forze per far votare all’Onu risoluzioni inutili, i dirigenti palestinesi farebbero meglio a prendere loro stessi delle “buone risoluzioni” combattendo i nemici del loro popolo, che sono i terroristi.
    La vittoria dei palestinesi e degli israeliani sarà raggiunta il giorno che riusciranno a stabilire congiuntamente una situazione di fiducia che autorizzi Israele a smantellare la sua barriera di sicurezza e permetta ai palestinesi di vivere in uno Stato indipendente.
    
(UPJF, 22.10.2003)





2. ISRAELE DISCUTE LA SORTE DI NETZARIM




"Non dobbiamo premiare il terrorismo, tuttavia e' ora che il governo discuta sul futuro di Netzarim". Lo ha dichiarato domenica il ministro della giustizia israeliano Yosef (Tommy) Lapid (del partito Shinui) dopo l'attacco palestinese che venerdi' scorso ha causato la morte di tre soldati in servizio presso il piccolo villaggio israeliano nella striscia di Gaza.
    Secondo un alto funzionario governativo, nella riunione di gabinetto di domenica Lapid non avrebbe chiesto un ritiro immediato delle Forze di Difesa israeliane dall'isolato insediamento israeliano, quanto piuttosto l'avvio di una riflessione seria e pacata in seno al governo. Secondo Lapid, infatti, sarebbe assurdo che un intero battaglione di soldati debba essere impiegato per garantire la sicurezza delle sessanta famiglie di Netzarim, con tutti i rischi che questo comporta. Avraham Poraz, ministro dell'interno (sempre del partito Shinui) avrebbe proposto di sgomberare i civili da Netzarim, trasformando l'area in una base militare. Cio', secondo Poraz, ridurrebbe i rischi e permetterebbe di lasciare sul posto un numero minore di soldati, evitando nello stesso tempo di lanciare il messaggio di una resa di fronte agli attacchi terroristici, cosa che indurrebbe un incremento degli attacchi stessi.
    Le discussione sulla sorte di Netzarim e' poi continuata al di fuori della riunione di governo. Il parlamentare laburista Ophir Pines-Paz ha affermatro che la materia dovrebbe essere discussa al piu' presto dalla Commissione esteri e difesa della Knesset.
    "L'attacco terroristico di venerdi' a Netzarim - scrive Ha'aretz (27.10.03) - rende evidente l'assurdita' di voler continuare a tenere la striscia di Gaza. Israele dovrebbe dichiarare che sgomberera' la sue truppe dalla striscia di Gaza per schierarle, insieme a una barriera difensiva, a difesa dei villaggi israeliani del Negev presso i confini con la striscia di Gaza. Israele dovrebbe offrire ai residenti civili sgomberati dalla striscia di Gaza appropriati compensi in denaro o in terreni. Certo - continua Ha'aretz - sarebbe meglio realizzare questo ritiro sulla base di un accordo con l'Autorita' Palestinese in riferimento alla sistemazione pacifica del conflitto. Tuttavia, dato che non si intravedono progressi diplomatici, non c'e' altra scelta che quella di decidere unilateralmente di lasciare la striscia. Il primo ministro Ariel Sharon ha sufficiente potere politico e sostegno nell'opinione pubblica per fare questo passo".
    "Ogni volta che c'e' un attentato nella striscia di Gaza - scrive invece il Jerusalem Post (27.10.03) - si levano voci che invocano un ritiro unilaterale e immediato dalla zona, sostenendo che rischiamo la vita di troppi soldati per difendere quella dei pochi israeliani che vivono laggiu'. E' una discussione che ricorda quella sul ritiro dalla fascia di sicurezza nel Libano meridionale, con la differenza che il territorio libanese non e' mai stato territorio conteso. Oramai e' dimostrato - continua il Jerusalem Post - che le concessioni unilaterali non portano nessun vantaggio, e che anzi non fanno che istigare guerra e aggressioni maggiori. La risposta non e' arrendersi, ma anzi raddoppiare gli sforzi militari e diplomatici per impedire una vittoria del terrorismo. Puo' darsi che molti israeliani ritengano che, in fondo, non abbiamo diritto di vivere in pace a Netzarim. Il problema e' che i nostri nemici sono convinti che noi non abbiamo diritto di vivere in pace nemmeno a Gerusalemme o a Tel Aviv. Questo e' il conflitto che deve essere risolto, e una resa unilaterale a Netzarim anziche' avvicinare la soluzione non farebbe che allontanarla ancora".

(Jerusalem Post, Ha'aretz, 27.10.03 - israele.net)





3. RICORDO DI UNO YOM KIPPUR DI GUERRA




Segnato per sempre

di Marc Haviv


Era il sabato 6 ottobre del 1973, quel Kippur di trent’anni fa. Mi trovavo a Netanya, in un albergo sul bordo del mare, luogo in cui tutti gli anni i francofoni della città organizzavano la loro sinagoga per le feste di Tichri.
    Verso le 13 vidi, e vi posso garantire che essendo un ragazzo di 15 anni nessun dettaglio mi sfuggiva, delle ondate di aerei da caccia “Phantom” che probabilmente volavano appena a qualche decina di metri dalla superficie del mare, tanto che avevo quasi l’impressione di poterli toccare stendendo la mano.
    Tutti si chiedevano che cosa stava succedendo, e nonostante questo il Servizio continuava. Fu soltanto quando il custode dell’albergo accese il suo transistor, preceduto di qualche minuto da una sirena che ci ha inchiodati sul posto, che capimmo che lo Stato d’Israele era rientrato in guerra, una volta ancora, contro i suoi vicini.
    Che dovevamo fare? Le donne, le madri, i ragazzi erano tutti rimasti a casa. Come avrebbero reagito? Bisognava “rompere” il giorno di Kippur? Telefonare? Rientrare a casa in macchina?
    Prima che potessimo trovare una soluzione a questi problemi vedemmo parcheggiare davanti all’albergo due jeep e un camion dell’esercito. Dei soldati scesero, entrarono nella sinagoga e chiamarono diversi nomi. Ogni uomo che rispondeva all’appello piegava il suo tallith, e senza avere nemmeno il tempo di avvisare i
Artiglieria israeliana sul fronte siriano
suoi familiari spariva dentro i camion con la copertura di telone che stazionavano vicino all’albergo.
    La guerra del Kippur era cominciata.
    Ricordo l’emozione intensa che suscitava quell’atmosfera surrealista.
    Ricordo che a 15 anni ero diventato di colpo un adulto su cui si doveva contare, perché ogni uomo oltre i 18 anni stava difendendo il paese.
    Ricordo i secchi di vernice blu che la marina ci aveva fornito per mascherare tutto quello che da vicino o da lontano assomigliasse a una lampada: fari di vetture, entrate di edifici, illuminazione pubblica, nessuna luce doveva più essere visibile dal cielo.
    Ricordo i rifugi e i pianti dei bebè.
    Ricordo le centinaia di chilometri di carta adesiva che applicavamo alle finestre.
    Ricordo, la sera, i fischi della Difesa Passiva, ogni volta che un filo di luce usciva da un appartamento.
    Ricordo i sacchi di posta che dovevo distribuire per sostituire il postino.
    Ricordo la raccolta delle arance che ho dovuto fare affinché il raccolto non andasse perduto.
    Ricordo lo scavo delle “buche di sicurezza” che dovevamo scavare e circondare di lamiera ondulata per mettervi i potenziali dispositivi di trappola.
    Ricordo le migliaia di panini che abbiamo preparato per i soldati che transitavano dal nord verso il sud per il cambio di fronte.
    Ricordo l’incrocio strategico di Beit Lid, vicino a Netanya, dove si prendevano di mira i camion di trasporto delle truppe, e i suoi soldati che ci lanciavano dei pezzi di carta: “Chiama mia madre, mia moglie, dille che va tutto bene, che sono vivo”. Non potevano nemmeno fermarsi e noi gli lanciavamo i panini dietro ai camion.
    Ricordo i nomi di amici, di conoscenti, che cominciavano ad arrivarci: “Morto in battaglia”.
    Ricorderò fino alla fine dei miei giorni i soldati che abbiamo recuperato, prigionieri di guerra, che erano salutati da tutta la città in festa.
    Ricorderò per tutta la vita l’aula dell’ultimo anno del mio liceo che avevamo trasformato in memoriale, in ricordo degli studenti dell’ultimo anno che erano morti in guerra.
    Ricorderò fino al mio ultimo sospiro il viso dei feriti di guerra, mutilati, rotti, e che nonostante questo continuavano a sorridere.
    Non dimenticherò mai le immagini dell’urto folgorante di Sharon contro la terza armata egiziana.
    Non dimenticherò mai le immagini delle negoziazioni al km 101, e della restituzione degli egiziani.
    Ma non dimenticherò mai neppure le immagini delle truppe egiziane che superavano la linea Bar Lev ed esibivano la bandiera d’Israele.
    Non dimenticherò mai le parole di propaganda degli arabi quando dicevano che le loro truppe vittoriose erano arrivate a Tel Aviv e stavano massacrando donne e bambini.
    E’ in questo periodo che ho capito che sono ebreo, che sarò per sempre attaccato alla terra d’Iraele, che ogni soldato è mio fratello, mio figlio, e che loro sono i custodi di tutto un popolo.
    Ma trent’anni dopo, ora che gli archivi cominciano ad aprirsi e vengono alla luce le enormi carenze di quell’epoca, ho capito che in un piovoso Sabato mattina, giorno di Kippur, 6 ottobre 1973, Israele ha corso il rischio di essere eliminato. E certamente è stato il Guardiano Supremo che ha impedito la distruzione del suo popolo.

(Guysen Israël News, 5 ottobre 2003)


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4. SERVIZI DI ASSISTENZA SVOLTI IN ISRAELE DALL'IFCJ




L’International Fellowship of Christians and Jews (IFCJ), presieduta dal Rabbino Yechiel Eckstein, continua la sua opera di servizio e sostegno finanziario in Israele, anche in collaborazione con altre associazioni.


a)  Circa 50 donne immigrate dall’Etiopia hanno da poco terminato a Netanya un programma di addestramento per badanti di anziani. Per molte di queste donne si è trattato della prima esperienza in una struttura educativa formale. I primi quattro mesi di corso comprendevano un apprendimento teorico, a cui ha fatto seguito un addestramento pratico. Il corso, un sforzo congiunto dell’International Fellowship of Christians and Jews (IFCJ), Eshel (l’Associazione per la Pianificazione e lo Sviluppo dei Servizi per gli Anziani in Israele) e Matav (un’associazione specializzata in servizi a domicilio), è stato un’iniziativa della IFCJ, che lo ha anche finanziato. La IFCJ, presieduta dal Rabbino Yechiel Eckstein, che è anche un membro dell’Esecutivo del Keren Hayesod, si è data da fare per offrire soluzioni di lavoro ai membri della comunità etiopica in Israele. Il tasso di disoccupazione delle donne di origine etiopica è di circa il 65%.
 
b)  La IFCJ ha annunciato una donazione in favore dell’Esercito israeliano, destinata alle particolari necessità di welfare dei militari combattenti. I soldati nuovi immigrati senza famiglia in Israele, si trovano in situazioni spesso molto pressanti, sia economiche che di altro genere, nel corso del servizio militare. La crisi economica in Israele, inoltre, ha seriamente colpito un numero sempre maggiore di famiglie israeliane, molte delle quali hanno figli che prestano servizio nelle unità combattenti dell’esercito. Molti soldati si sono trovati nella situazione di dovere prestare servizio, sotto il crescente assillo delle difficoltà economiche delle famiglia. Grazie ad un contributo della IFCJ di 785.000 $, ogni soldato avrà diritto a buoni fino a 270 $ all’anno, per acquistare cibo, vestiario ed altri generi di prima necessità, alleggerendo così il fardello economico del soldato durante il servizio di leva. I buoni saranno consegnati in maniera discreta, sulla base del livello di indigenza.

(Keren Hayesod, 20.10.2003)




5. L'ETERNO DOPPIO GIOCO DELL'AUTORITA' PALESTINESE




E' finita l'intifada?

di Federico Steinhaus


Sembra che quando non vi sono attentati terroristici il problema del conflitto israelo - palestinese si riduca alla innata malvagità di Sharon, alla quale i media amano dedicare sempre ampio spazio. Ma non è così, purtroppo. Proviamo solamente a scorrere alcuni articoli pubblicati di recente sul quotidiano ufficiale dell'Autorità Palestinese Al Hayat Al Jadida, ed alcuni avvenimenti completamente ignorati da chi dovrebbe fornire sempre informazioni obiettive e complete. Il monitoraggio è fatto dal noto commentatore politico Itamar Marcus e dal Palestinian Media Watch.
    Poco più di un mese fa, alla fine di settembre, un torneo di calcio che ha coinvolto 24 squadre palestinesi è stato sponsorizzato ufficialmente da Yasser Arafat e da 13 fra i suoi più stretti collaboratori di governo. Bene, finalmente pensano a qualcosa che non siano le bombe, potrà pensare qualcuno. Ma non è così, purtroppo. Ognuna delle 24 squadre partecipanti era stata denominata con il nome di un terrorista o di uno shahid: Yechia Ayash, l'"ingegnere" di Hamas che ha avviato la strategia delle cinture esplosive; Dalal Mughrabi, che nel 1978 ha assassinato 38 civili; Abu Ali Mustafa, capo del Fronte Popolare; Az Adin Al Kassam, al quale si richiama anche l'ala terrorista di Hamas; Raid Carmi, capo dei terroristi suicidi del Fatah a Tulkarem; Hassan Salame, esponente di quel Settembre Nero che commise il massacro alle Olimpiadi di Monaco; Abu Jihad, leader dell'OLP; ThabitThabit, capo dei Tanzim a Tulkarem; Jamal Mansour di Hamas; Salah Khalif dell'OLP; Salah Drowza di Hamas; Kamal Adwan dell'OLP. Non si è trattato di un episodio isolato. Già in passato avevamo segnalato analoghi accostamenti dei nomi di terroristi ad esperienze giovanili e scolastiche, e nello scorso gennaio l'Autorità Palestinese aveva organizzato un altro torneo di calcio destinato ai bambini di 12 anni e che era stato intitolato al nome di Abd Al Baset Odeh, il terrorista che aveva assassinato 30 persone riunite per la cena pasquale nell'aprile del 2002. Filmati che mostrano con compiacimento i militari americani uccisi in Iraq o gli israeliani uccisi negli attentati, collegando queste immagini alla lettura di brani od a canzoni che esaltano la violenza e l'uccisione dei nemici sono pratica pressoché quotidiana della emittente televisiva ufficiale palestinese. Infatti, l'odio per gli Stati Uniti e quello per Israele non inscindibili nella propaganda politica e nel linguaggio mediatico palestinesi. Lo scorso 25 ottobre, ad esempio, il quotidiano palestinese Al Hayat Al Jadida, portavoce ufficiale, ha pubblicato un ampio commento dal quale estrapoliamo alcuni passaggi:
    In questi momenti della storia è estremamente importante adottare una posizione diretta e decisa riguardo all'imperialismo, e specialmente riguardo all'entità sionista.
Da notare: perfino il nome dello stato d'Israele non viene pronunciato, in segno di disprezzo e di rifiuto della sua esistenza!
    Non vi è altra opzione che la resistenza all'imperialismo... Vi è la necessità di cristallizzare una posizione nei confronti del progetto imperialista - sionista nella regione araba. La resistenza - e con ciò si intende l'espulsione degli occupanti americani dall'Iraq - dovrebbe essere sostenuta con ogni mezzo. Lo stesso vale per la lotta contro l'entità sionista fino a quando il progetto sionista sia stato sconfitto, la sua entità eliminata,
da notare: si chiede formalmente l'annientamento di Israele
    ed una Palestina araba libera sia stata costituita come primo passo verso l'unità della patria araba... Non vi sono altre soluzioni sostanziali al problema arabo all'infuori di questa... La soluzione di due stati, uno stato binazionale, o perfino uno stato democratico al di fuori della dimensione araba non potranno eliminare il contrasto fra le masse arabe ed il progetto sionista-imperialista nella regione araba... Non esistono "israeliani progressisti". Ogni singola persona che sia parte del progetto sionista-imperialista, anche se è un "oppositore" della politica sionista, è parte della struttura di "Israele"
nota: le virgolette sono del testo originale
    ... Una persona non può essere simultaneamente progressista e parte dell'entità sionista... Israele è uno stato illegittimo. Questa definizione vale per le organizzazioni e gli individui che rappresentano o riconoscono questo stato... la normalizzazione con i sionisti dovrebbe essere contrastata a livello mondiale, non solo nella patria araba... Non vi è altra opzione che l'eliminazione del progetto imperialista-sionista...".
Non molto diverso è il messaggio che viene proclamato dalle moschee. Una omelia del venerdì trasmessa dalla televisione ufficiale palestinese affermava che:
    Maometto è stato assediato da due potenze, la Persia ad est e Roma ad ovest. La Persia rappresenta la Russia, l'America si è sostituita a Roma. La Persia cadde per prima, come la Russia è crollata per prima ad est. E l'America cadrà, per volere di Allah, proprio come è crollata Roma.
Lo scorso 10 ottobre Sheikh Ibrahim Madiras, nel suo sermone del venerdì trasmesso dalla televisione palestinese, ha affermato:
    Noi sentiamo affermazioni del piccolo presidente americano, affermazioni oppressive. Egli dice che Israele ha il diritto di difendersi. Queste affermazioni porteranno alla distruzione della stessa America...Noi ammoniamo il popolo americano che il loro presidente li trascina nell'abisso. Allah porterà la vendetta sui vostri nemici, sui nostri nemici, i nemici della religione".
Tutti i media palestinesi presentano la guerra contro Israele in termini di scontro globale, nel quale gli Stati Uniti guidano una coalizione che richiede una opposizione panislamica. Nel corso della guerra contro l'Iraq Al Hayat Al Jadida si è schierato con forza con Saddam Hussein, auspicando che l'Iraq potesse divenire il cimitero degli americani, e quando un terrorista suicida uccise 4 militari americani l'Autorità Palestinese modificò il nome di una piazza del campo profughi di Jenin rinominandola Ali Jafar Al-Na'amani, in onore appunto del terrorista.
    Un recente sondaggio ha constatato che l'87 % dei palestinesi ritiene che o gli Stati Uniti o Israele siano la peggiore minaccia per la pace nel mondo (il 51% ha risposto Israele, il 36% ha risposto Stati Uniti). Ci sembra utile ricordare che i territori dell'Autonomia Palestinese sono governati - come si è evidenziato nella sorte travagliata dei due governi presieduti da Abu Mazen ed Abu Ala - con pugno di ferro e controllo assoluto da Arafat, e che questa constatazione pone seri e legittimi interrogativi sulla serietà delle intenzioni pacifiche che lo stesso Arafat, ma solo in lingua inglese, ammannisce da dieci anni ad un Occidente che vorrebbe poter credere alla sua sincerità e spesso chiude gli occhi dinanzi alle prove della sua cinica doppiezza.

(Informazione Corretta, 29.10.2003)





6. OLANDA: CRESCE L’ANTISEMITISMO




I professori hanno paura a parlare di Olocausto in classe

Il conflitto israelo-palestinese si manifesta anche in Olanda. L’odio contro gli ebrei in Olanda cresce: insegnanti del ginnasio dichiarano che spesso hanno paura a parlare in classe di Olocausto per le minacce di scolari, che si sono manifestate con telefonate terroristiche e tagliando le gomme dell’auto. Un membro del Consiglio comunale di Amsterdam: “Mi arrivano resoconti sempre più inquietanti, anche di insegnanti e studenti ebrei che non osano andare a scuola”.

di Sarit Sardes-Trottiino, Yediot Aharonot

In quest’ultimo anno in Olanda si è verificato un fenomeno nuovo: a scuola gli insegnanti si sentono minacciati da atteggiamenti antisemiti presenti nella classe, al punto che non osano - nel quadro dell’insegnamento della storia - parlare della persecuzione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Il fenomeno si è presentato soprattutto nei ginnasi di Amsterdam, Rotterdam e Haag, dove c’è una concentrazione particolarmente grande di musulmani.
    Il Ministero dell’Istruzione ha ricevuto una denuncia ufficiale per interruzione dell’insegnamento sull’Olocausto. La fonte da cui è venuto il reclamo è sorprendente: un membro musulmano del Parlamento, una donna di provenienza somala che si è detta turbata dalla situazione.
    L’odio per gli ebrei ha superato la soglia delle punzecchiature e delle barzellette. Alla fine l’olandese «Associazione Anna Frank», a cui compete l’incarico di mantenere la casa di Anna Franck e ha sviluppato programmi di insegnamento su temi come antisemitismo, razzismo e diritti umani, si è impegnata nella questione.
    Si è accertato che gli studenti musulmani tendono a negare i fatti storici che riguardano l’Olocaussto degli ebrei in Europa.
    Negli ultimi anni gli studenti musulmani del paese sono sotto osservazione perché si è scoperto che incentivano l’odio contro gli ebrei e contro l’occidente. Nel suo rapporto annuale, il servizio segreto olandese ha dichiarato che estremisti musulmani reclutano dei giovani nelle comunità musulmane dell’Olanda.
    - Particolarmente grande è l’influenza degli estremisti tra i giovani marocchini che sono nati e cresciuti in Olanda.
    - L’Ufficio Centrale di Statistica ha annunciato questa settimana che negli ultimi anni in Olanda la comunità musulmana si è raddoppiata e oggi conta quasi un milione di membri, cioè il 5,7% della popolazione del paese.
    
(Nahost Focus, 25.10.2003)




MUSICA E IMMAGINI




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Israele-palestina.info

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