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Notizie su Israele 210 - 24 novembre 2003

1. Palestinesi salvano una famiglia di ebrei
2. L'ebraismo americano fra solidarietà e alià
3. Scoperta una scritta del Nuovo Testamento sulla tomba di Absalom
4. «Gli islamici progettano un genocidio»
5. I libri palestinesi incitano alla jihad e al martirio
6. La UE ha nascosto in un cassetto il suo rapporto sull'antisemitismo
7. I colloqui di «pace» come sono intesi dall'Autorità Palestinese
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Ezechiele 37:11-13. Egli mi disse: «Figlio d’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele. Ecco, essi dicono: “Le nostre ossa sono secche, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti!” Perciò, profetizza e di’ loro: “Così parla DIO, il Signore: Ecco, io aprirò le vostre tombe, vi tirerò fuori dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d’Israele. Voi conoscerete che io sono il SIGNORE, quando aprirò le vostre tombe e vi tirerò fuori dalle vostre tombe, o popolo mio!”


1. PALESTINESI SALVANO UNA FAMIGLIA DI EBREI




La famiglia Dickmann salvata dai palestinesi.

«Soltanto quando mi sono visto davanti un cartello in lingua araba mi sono reso conto che ci eravamo persi», ha detto Shlomo Diskmann, che nell'ottobre scorso improvvisamente si è ritrovato, insieme con la moglie Hana e la figlia Sara, nel campo profughi palestinese Kalandia, vicino a Ramallah. «I palestinesi sulla strada si sono subito accorti di noi e immediatamente la nostra macchina è stata presa a sassate.» Shlomo Dickmann ha anche riferito che una coppia di palestinesi, marito e moglie, sono venuti in loro soccorso quando si sono trovati in un vicolo cieco e non sapevano più come venirne fuori. Prima gli hanno offerto da bere e poi li hanno invitati a casa loro, per proteggere la famiglia di ebrei di Bet Shemesh dalla folla palestinese. La donna palestinese ha detto di essere insegnante e suo marito medico.
    Un'autentica sorpresa è stato il fatto che il capo dei terroristi Fatah-Tanzim di Kalandia, Jamal Abu Lijl, si è impegnato in difesa dei Dickmann. Anzitutto ha tenuto lontani gli infuriati palestinesi dalla famiglia ebraica, poi ha mandato alcuni suoi uomini al più vicino posto di blocco israeliano al di fuori del campo profughi a chiedere aiuto ai soldati israeliani. «Per salvare la famiglia dal linciaggio, ho proposto che dei soldati israeliani andassero a prendere la famiglia nel campo profughi e la portassero fuori nelle loro jeep blindate, mentre noi li avremmo seguiti con la loro macchina», ha detto al quotidiano israeliano Yediot Aharonot il capo Tanzim Abu Lijl, ricercato da Israele. «Noi continuiamo la nostra rivolta intifada, ma un'innocente famiglia che si è persa nel nostro campo profughi non ha niente a che vedere con la rivolta.»
    La famiglia ha ringraziato la coppia palestinese e il capo Tanzim per avergli salvato la vita. «Se questi palestinesi non ci avessero aiutato, non ci sarebbe stata una happy end», ha detto Shlomo Dickmann, che solo un anno fa è immigrato dall'America in Israele con la sua famiglia.

(NAI-israel heute, novembre 2003)




2. L'EBRAISMO AMERICANO FRA SOLIDARIETÀ E ALIÀ




Ripreso da un articolo pubblicato su Yediot Aharonot il 17.11.2003.

    Gli israeliani, ed in modo particolare i gerosolimitani, erano stati preavvisati dell’approssimarsi di un’invasione di 4.000 ebrei provenienti dagli Stati Uniti, nel corso dei preparativi fatti dal United Jewish Communities [UJA, l’organizzazione centrale degli ebrei americani] in vista dell’annuale GA (Assemblea Generale), tenutasi quest’anno in Israele, fra il 16 ed il 19 novembre. La maggioranza di essi, probabilmente, non aveva capito che cosa fosse un ‘GA’ e che significato avesse l’avvenimento. Quando è arrivato il momento, però, quando sono stati acquistati 4.000 biglietti dell’El Al, 4.000 (più o meno) camere d’albergo sono state prenotate, i taxi erano continuamente occupati, i ristoranti, le strade, i centri commerciali ed i negozi si sono riempiti di consumatori iper-attivi, i notiziari notturni riferivano i fatti del giorno e personaggi di primo piano della politica israeliana parlavano quotidianamente dal podio del GA, i gerosolimitani hanno cominciato a capire la portata ed il significato di 4.000 ebrei americani che arrivano in Israele.  Sono venuti perché hanno un profondo interesse e sono largamente coinvolti nella vita ebraica – nelle loro comunità e in Israele. Sono venuti per discutere i grandi temi all’ordine del giorno ebraico e israeliano. Sono venuti per dimostrare la loro solidarietà e per ‘fare differenza’.
    Chiaramente, l’alià ha rappresentato uno dei più importanti temi di discussione. Mentre l’alià dall’ex-Unione Sovietica è in calo, l’alià dai paesi occidentali, Stati Uniti compresi, sta aumentando. Nel corso di quest’anno soltanto, sono arrivati dagli Stati Uniti 1.600 immigrati, dopo diversi anni di tassi di alià molto bassi. Questi olim americani non si lasciano intralciare o intimorire dalla situazione della sicurezza o dell’economia in Israele. Di fatto, tali realtà sembrano renderli ancora più determinati a venire, quasi fossero delle uova, che più le fai bollire e più si induriscono.
    Fra gli immigrati di recente dagli Stati Uniti vi sono i Johnson, di San Diego (California). Jamie (30 anni) e Debby (25) sono arrivati in Israele il 9 luglio 2003, con i loro figli Jaden (7 anni) e Gianna (3) e si sono sistemati in un appartamento d’affitto a Karmiel, nel nord. Jamie lavora al rivestimento dei finestrini delle automobili, mentre Debby fa la mamma a tempo pieno. Tutti e due studiano l’ebraico in un ulpan. Jamie ha in programma di aprire un chiosco per la vendita di caffé – che ha portato con sé dagli Stati Uniti – in uno spazio pubblico.
    Jamie spiega le ragioni che lo hanno portato a venire in Israele, dicendo che “uno che è nato in Israele non può capire che cosa significhi essere ebrei all’estero. Ti sembra sempre di trovarti in un posto che non è veramente tuo.  Di fatto, quando in Israele è scoppiata l’attuale intifada, ho cominciato ad interessarmi di più di quello che stava succedendo qui e per il mio compleanno mi sono comperato un biglietto per Israele. Era la prima volta che venivo. Sono stato per la maggior parte del tempo a Gerusalemme e me ne sono perdutamente innamorato. Quando sono tornato in California, tutte le volte che qui accadeva qualcosa, mi sentivo colpevole, come se avessi abbandonato la mia famiglia in Israele”. Afferma inoltre di trovare che “Israele è più sicura di San Diego. Laggiù, tanti bambini vengono rapiti. Mettiamo delle spie elettroniche ai nostri figli, in modo da sapere dove si trovano, quando sono per strada o nel centro commerciale. Gli attentati non mi spaventano. Per lo meno qui sai da che cosa devi guardarti”.
    Sono stati molto contenti di scoprire che la gente qui è molto generosa e disposta ad aiutare. “Si preoccupano di noi. Un vicino ci ha prestato il suo cellulare di riserva, finché ci siamo organizzati; un altro ci ha dato una vecchia lavatrice; altri ci accompagnano in macchina al centro commerciale, a scuola e all’asilo. Anche l’Agenzia Ebraica è stata molto d’aiuto e si è preoccupata di noi, esattamente come la gente per strada. Abbiamo scoperto che gli israeliani possono essere ruvidi all’esterno, ma dentro sono persone gentili, buone e simpatiche, che sono sempre pronte a dare una mano”.
    I Johnson non erano molto preparati a ciò che avrebbero trovato in Israele. Pensavano che il panorama fosse più desertico e che la gente fosse più scura, come i beduini. Dicono che quello che hanno trovato qui è che “tutto è così moderno e occidentale, che viene fatto di pensare di essere ancora negli USA”. Jamie aggiunge di essere rimasto sorpreso dall’aspetto pieno di salute della gente: “Qui il cibo è più naturale, anche se trovo ancora buffo il fatto che il latte sia venduto in sacchetti e non in cartoni da cinque litri”.
    I nuovi arrivati sono molto soddisfatti di ciò che hanno trovato in Israele, ma da osservatori provenienti da un’altra cultura, hanno alcune osservazioni da fare. Dicono che gli israeliani discutono su tutto ciò che ha a che fare con i soldi, che importano troppa cultura e troppa moda dagli Stati Uniti e dall’Europa e così non sono abbastanza autentici, e che vi è troppo sesso e promiscuità nei programmi televisivi destinati ai bambini.
    Israele è un paese giovane e dinamico. L’alià che continua da tutto il mondo, paesi occidentali compresi, ha un’influenza positiva e rafforza il paese, così come ci rafforza la solidarietà e la presenza di 4.000 ebrei americani sulle nostre spiagge.
    
(Keren Hayesod, 21.11.2003)




3. SCOPERTA UNA SCRITTA DEL NUOVO TESTAMENTO SULLA TOMBA DI ABSALOM




GERUSALEMME - Alcuni scienziati hanno scoperto a Gerusalemme, sul monumento ad Absalom, una scritta del Nuovo Testamento. Sulla tomba nella valle del Cedron, tra la Gerusalemme vecchia e il Monte degli Ulivi, hanno trovato un versetto del vangelo di Luca.
    Su sei righe verticali si può leggere: “A Gerusalemme viveva un uomo di nome Simone. Era un uomo giusto e pio e aspettava la salvezza di Israele e lo Spirito Santo era su di lui”.
    L’antropologo israeliano Joe Zias e l’esperto di Scritture Emile Puech hanno constatato che il testo proviene da Luca 2.25 e coincide con il Codice Sinaitico del quarto secolo, la copia completa più antica del Nuovo Testamento.
    Già da molto tempo i due ricercatori stanno lavorando in questa parte della valle del Cedron, detta anche “Valle dei Re”. Zias aveva già trovato un’altra scritta da cui si può dedurre che in quel posto è sepolto il sacerdote Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, secondo quanto riporta il vangelo di Luca.
    Queste scritte sono state scoperte solo adesso perché, essendo molto logorate dal tempo atmosferico, erano visibili soltanto in estate e al calar del sole. Gli scienziati si sono accorti del testo grazie a una fotografia che era stata scattata in condizioni di luce particolarmente adatte. Ne hanno fatto una copia e in questo modo hanno potuto decifrare il testo greco.
    
(israelnetz.de 21.11.2003)





4. «GLI ISLAMICI PROGETTANO UN GENOCIDIO»




Il prof. Yehuda Bauer


A colloquio con Yehuda Bauer


Yehuda Bauer (77) è professore emerito all'Università Ebraica di Gerusalemme. Lo storico lavora all'Istituto Internazionale per le Ricerche sull'Olocausto (International Institute for Holocaust Research) al memoriale Yad Vashem, di cui è stato direttore fino al 2000, ed è membro dell'Accademia Israeliana della Scienza. Recentemente il prof. Bauer ha concesso un'intervista al quotidiano tedesco «Die Welt». Ne riportiamo, con autorizzazione, il riassunto in italiano fatto dalla rivista «Chiamata di Mezzanotte».


Die Welt: Signor Bauer, dietro attacchi come quello recente di Giacarta Lei presume un'ideologia che definisce «islamismo radicale». Che cosa intende con tale progetto?
Yehuda Bauer: L'islamismo radicale è un movimento religioso che cerca il dominio mondiale e persegue un'ideologia di genocidio.

D. Quali differenze ci sono fra «islamismo», «fondamentalismo islamico» e «islamismo radicale»?
R. Il fondamentalismo è un'ideologia che si presenta in tutte le religioni: cristianesimo, giudaismo, buddismo, eccetera. Questo concetto fu coniato da un sacerdote inglese a metà del XIX secolo, il quale cercò di convincere i protestanti in America che bisognava interpretare le Scritture letteralmente e cercare di vivere secondo di esse. [...] Ancora oggi è questo il concetto corrente di fondamentalismo, tuttavia non solo nell'Islam. L'islamismo radicale è anche fondamentalista, ma questa non è la sua caratteristica principale. Si tratta di una religione che in realtà ha un aspetto politico, così come il nazionalsocialismo o il comunismo erano, o meglio sono, religioni politiche. Per questo affermo che l'islamismo è una mutazione dell'Islam, così come il cristianesimo radicale o il giudaismo ultraortodosso sono mutazioni delle altre rispettive confessioni di fede.

D. Ma non esiste il pericolo di generalizzare affrettatamente, in attentati come ad esempio quello di Giacarta, quindi di presupporre un'ideologia mentre invece erano solo dei singoli ad agire?
R. No. E’ chiaro che si tratta della stessa organizzazione. Si può essere lontani migliaia di chilometri e accorgersi subito che si tratta delle stesse armi, degli stessi orientamenti e obiettivi. Che l'organizzazione si chiami Jemaah Islamiyah o in altro modo, è completamente ininfluente, poiché l'ideologia resta la stessa.

D. Come si combatte l'islamismo radicale?
R. La maggioranza dell'1,2 miliardi di musulmani nel mondo non ha tendenze radicali, poiché l'Islam è una grande religione universalista. Pertanto è possibile osteggiare l'islamismo radicale nel mondo. Tuttavia lo possono fare solo i musulmani, non noi. Ci sono milioni di loro che comprendono che l'islamismo radicale vuole cercare di convincerli, altrimenti cercherà di annientarli.

D. La prontezza a combattere presuppone tuttavia la consapevolezza del pericolo.
R. Si devono istituire alleanze con i musulmani non radicali. Essi rappresentano l'obiettivo più immediato dell'islamismo radicale. In secondo luogo, esso si dirige contro tutti gli stati islamici, e in terzo luogo contro il nazionalismo. E’ un errore ritenere che l'Islam radicale sostenga il nazionalismo arabo.

D. Quali scopi hanno ancora gli islamisti radicali?
R. A seguito dell'abolizione degli Stati arabi esistenti, vogliono raggiungere soprattutto l'obiettivo di sterminare tutti gli ebrei. Questo proposito è scritto nero su bianco e viene ad esempio diffuso su Internet. Naturalmente, questa ideologia si dirige principalmente contro l'America e l'Occidente. Alcune settimane fa, una di queste persone ha dichiarato in Internet che bisognerebbe uccidere almeno quattro milioni di americani, aggiungendo che due di essi dovrebbero essere bambini.

D. Il mondo occidentale non ha ancora riconosciuto sufficientemente questo pericolo?
R. Ritengo che l'Occidente non lo comprenda. Gli USA tentano di risolverlo con le armi, ma non funziona così. Non si può lottare contro un'ideologia solo con mezzi militari. Bisogna opporvi un'altra ideologia. Anche il mondo occidentale è responsabile di questa mutazione.

D. In che misura?
R. Perché l'imperialismo occidentale ha annullato la possibilità di uno sviluppo che porti a una società capitalistica e democratica basata sull'individualismo, identificandosi con l'autocrazia e l'establishment religioso conservativo, a proprio favore, ovviamente. Ci dev'essere una campagna economica organizzata a grande livello, che si rivolga ai consumatori, non ai governi corrotti, per rivolgersi alla temibile miseria e disperazione.

D. Chi può dare l'avvio a un simile progetto? Gli USA?
R. L'avvio può essere dato da una mente accademica: musulmani e altre personalità dall'influenza politica, i famosi «Think-Tank», in grado di influenzare i governi. Il problema dev'essere discusso con molto pragmatismo, non con l'idealismo, in modo che si comprenda il tremendo pericolo che ci minaccia, da combattere con mezzi intelligenti, ad esempio con l'istruzione e l'ideologia. I musulmani dovrebbero farlo da soli, nel loro stesso interesse. ...

D. Quando e dove è nato l'islamismo radicale?
R. Intorno al 1950, soprattutto tramite un ideologo denominato Sajjid Qutb. Questi fu impiccato nel 1966 dal regime di Abdel Nasser, poiché si opponeva al nazionalismo arabo. Diciassette anni prima della conquista della Cisgiordania, Qutb aveva scritto un opuscolo dalle tendenze radicali e inneggianti al genocidio degli ebrei.

D. L'islamismo radicale è quindi di origine egiziana?
R. Ovviamente. La maggior parte degli ideologi sono egiziani, come ad esempio il vice di Osama bin Laden, un pediatra di nome Ajman al-Sawahiri, l'ideologo di Al Qaeda.

D. Quale ruolo gioca l'Arabia Saudita?
R. Si tratta di una dittatura fondamentalista, basata su un'ideologia radicale e puristica dell'Islam risalente al XVIII secolo, il wahhabismo. [...] Ma i cinquemila membri della famiglia reale non conducono un'esistenza propriamente puritana. La corruzione e gli abusi hanno fatto sì che l'unica alternativa a questa dittatura siano gli islamisti. Ecco perché l'Occidente si trova in una posizione scomoda, visto che quest'alternativa non è davvero la migliore.

D. La rete degli islamisti radicali è realmente così estesa a livello mondiale?
R. Sì, persino in America. Dei 18 milioni di musulmani in Europa, solo una piccola minoranza ha tendenze radicali islamiche, ma è sufficiente. Non bisogna ignorare i fenomeni marginali.

(Chiamata di Mezzanotte, ottobre 2003)





5. I LIBRI SCOLASTICI PALESTINESI INCITANO ALLA JIHAD E AL MARTIRIO




In seguito agli accordi di Oslo, l’Autorità Palestinese cominciò a preparare nuovi testi scolastici che indicavano un relativo mutamento di rotta nel contenuto e nell’orientamento. Dallo studio effettuato da MEMRI per il 2001, “Descrizione del nazionalismo palestinese”, era emerso che i testi pubblicati dopo Oslo riflettevano un tentativo generale di attenuare la virulenza del veleno antiisraeliano: l’incitamento diretto diminuiva sensibilmente, mentre si riscontrava un serio sforzo per sottolineare invece valori quali la democrazia e la libertà. (1)
    Nel 2003 invece, un testo recentemente pubblicato dal Ministero dell’Istruzione dell’Autorità Palestinese, intitolato “Cultura Islamica” dedicato agli studenti dell’11° classe, mostra che si ritorna a incitare alla jihad e al martirio. (2). Presentiamo alcuni brani di questo testo:



Il ruolo dello stato nell’Islam

(pag. 98) - “[Uno dei] compiti dello stato è rafforzare i legami tra il popolo e il suo Creatore …. difendere la religione e proteggerla contro innovatori e scettici [eretici] … preparare il paese alla jihad e difenderlo dai nemici … accrescere il livello di conoscenza della nazione … perché l’adempiere i doveri religiosi e il conoscere i necessari precetti richiede una buona quantità di conoscenze e di istruzione.”

(pag. 104) - “La nazione dovrebbe sostenere i governanti in ogni


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paese dovrebbe contribuire] con la jihad, mentre in campo nazionale dovrebbe farlo con la ripresa industriale, agricola, morale e sociale … e con la fedeltà alle leggi religiose …”


La jihad e la diffusione dell’Islam

(pag. 208) - “L’Islam è la religione di Allah per tutti gli esseri umani. Si dovrebbe diffonderla e invitare la gente ad aderirvi saggiamente e con un’appropriata predicazione e amichevoli discussioni. Tuttavia tali metodi potrebbero incontrare resistenza e ai predicatori potrebbe essere proibito di compiere il loro dovere … in tal caso diventa inevitabile la jihad e l’uso della forza fisica contro i nemici …”

Jihad è un termine islamico che corrisponde alla parola guerra in altre lingue. La differenza è che la jihad persegue nobili scopi ed elevati fini ed è condotta solo per Allah e la sua gloria … [Per contrasto] le guerre delle altre nazioni sono per lo più condotte per malvagità, aggressione, sete di dominio, influenza strisciante, saccheggio di proprietà, assassinio, e il perseguimento di ambizioni e desideri, come la guerra sferrata dai paesi occidentali per sfruttare le terre islamiche per fini imperialistici, per controllare i musulmani e rapinare le loro risorse e ricchezze …”

(pag. 209) - “Alla Mecca, il Messaggero di Allah faceva proseliti usando come arma prove e dimostrazioni … A quello stadio, per diffondere il messaggio dell’Islam a lui e ai suoi seguaci bastavano la perseveranza e la moderazione. Dopo la fuga del Profeta a Medina e l’emergervi di una società islamica, non fu più possibile evitare la lotta contro l’aggressione e il politeismo … Da quel momento il dovere della jihad fu imposto a tutti i musulmani …”

“Il Messaggero di Allah ricorse alla jihad durante il suo soggiorno a Medina, i suoi compagni e i suoi seguaci seguirono le sue orme.

“Ma la jihad è un dovere personale (Fardh ‘Ein) che ogni musulmano è tenuto a compiere personalmente, o è un dovere collettivo (Fardh Kifaya)? E’ probabilmente un dovere collettivo. Se qualche musulmano lo adempie, allora non lo si richiede più agli altri per tutto il tempo che [l’azione compiuta] è stata sufficiente … [tuttavia] se nessuno pratica la jihad, allora tutti i musulmani si rendono colpevoli di negligenza.”

“La jihad diventa un dovere personale nei tre casi seguenti:
Quando i musulmani sono attaccati. Quando il nemico è presente sul suolo musulmano, i musulmani di quel paese hanno il dovere di combattere il nemico e cacciarlo. Se essi non sono in grado di farlo, allora l’obbligo personale della jihad passa ai loro vicini, fino a che il nemico è sconfitto e annientato …”
In caso di mobilitazione generale. Quando un governante musulmano chiama, o chiama un particolare gruppo, è dovere del musulmano rispondere alla chiamata …”
Chiunque partecipi a una battaglia, ha il preciso dovere di combattere il nemico e condividere la lotta e non essere delinquente …”

(pagg.210-211) - “Tipi di jihad”.
“La jihad fisica – Partecipazione alla battaglia contro il nemico. Combatterlo concretamente con le armi e con la effettiva partecipazione in battaglia e col martirio per amore di Allah. Questo è l’estremo requisito per un credente. A colui che prende parte personalmente alla jihad per amor Suo, Allah ha promesso il Paradiso ovvero il ritorno sano e salvo alla sua famiglia con grande bottino.”
“La jihad materiale – Chi combatte questo tipo di jihad dà parte del suo denaro per rifornire gli eserciti musulmani di armi, dell’equipaggiamento necessario, di trasporti terrestri, marittimi, aerei, e tutto quanto occorre a quelli che combattono la jihad per sconfiggere il nemico, per celebrare il nome di Allah e rafforzare la fede in Lui. Questa jihad materiale comprende la costruzione di installazioni militari, fortificazioni, roccaforti, aeroporti, porti che servono per gli eserciti musulmani, nonché centri di cura e ospedali per i soldati e le loro famiglie, e offerte di denaro a quelli che attuano la jihad e alle loro famiglie.”
“La jihad ideologica – E’ quella che si combatte con la parola e con gli scritti, fornendo prove irrefutabili contro i nemici e invitandoli a riconoscere Allah. E’ una jihad che comprende la predicazione, gli scritti, il canto e altro …”
“La jihad realizzata col … collegamento con i combattenti della jihad e con la partecipazione ad atti connessi con la jihad, come trasportare soldati e approvvigionamenti, rifornirli di acqua e cibo, curare i feriti e difendere posizioni militari.”

“La nazione islamica oggi ha assoluta necessità di far rivivere lo spirito della jihad nei suoi figli partecipando a tutti i tipi di jihad, e di concentrare tutte le sue forze per consolidare la religione di Allah e costringere i suoi nemici ad arrendersi.”

(pag. 214) - “La jihad è una delle necessità della vita. Una nazione non può difendere la sua religione e sostenere il suo onore e la madrepatria se non ha il potere di farlo. Ecco perché l’Islam ha imposto il dovere della jihad alla nazione musulmana quando a Medina emersero una società e uno stato musulmani …”


La predicazione dell’Islam

(pag.214) - “Allah ha insegnato ai musulmani a convincere la gente col messaggio dell’Islam, in modo saggio, con giusta predicazione e amichevoli discussioni, in modo che la diffusione dell’Islam si realizzi con persuasione mentale, intima gratificazione e serenamente, e non attraverso la coercizione, come Allah ha detto: ‘Non c’è coercizione nella religione …’ [Corano 2: 256]”

“[Tuttavia], quando i despoti si oppongono alla predicazione religiosa, impediscono ai predicatori di portare la buona novella dell’Islam al popolo, frappongono blocchi e ostacoli sulla via dei predicatori, e impediscono alla parola di raggiungere il popolo, allora in quel caso la jihad diviene l’unico mezzo per rimuovere questi ostacoli che privano la gente della loro libertà di scelta e impediscono la diffusione dell’Islam. Il Messaggero di Allah ha insegnato a quelli che intraprendono la jihad di non cominciare la guerra contro i nemici come prima opzione, ma di offrire invece loro l’Islam, e se essi rifiutano propone di far pagare loro la jizya (tassa imposta ai non musulmani che vivono sotto il governo musulmano) … e se essi rifiutano ancora, infine combatterli.”

“La jihad è considerata una via per rafforzare la nazione e assicurarne la vittoria in un conflitto armato quando fa ricorso tutte le sue risorse, sforzi e potenziale per la sua causa … La jihad è anche considerata una fonte di benessere e prosperità per tutti i musulmani. Dopo aver conseguito la vittoria, colui che ha intrapreso la jihad fa ritorno alla sua famiglia con alte aspirazioni e a testa alta, ringraziando Allah per la sua grazia. Se invece è benedetto da Shahada (martirio) e onore, la sua anima ritorna al Creatore per vivere una differente vita, pago delle ricompense e dell’onore elargiti, una vita di grazia grazie ad Allah, come dice il Corano [3: 169-170]: ‘Non considerare morto chi è morto per la causa di Allah, ma piuttosto vivo e beneficiati dal loro signore.”

(pag. 215) - “La nazione islamica ha bisogno di diffondere lo spirito della jihad e l’amore per il martirio [Shahada] fra i suoi figli nel corso delle generazioni. E ciò è vero particolarmente quando prevale il materialismo nella mente della gente e quando si abbandona la jihad mentre i nemici non vogliono altro che sfruttarli … E’ chiaro che il rispetto e il potere della nazione islamica sono legati alla conservazione di un forte spirito della jihad. Quando questo spirito vien meno e la nazione non ha il potere di aiutare i suoi elementi più deboli e di difendersi dai nemici, allora essa viene attaccata dall’esterno, gli aggressori la bramano, la umiliano, ne saccheggiano le risorse, uccidono la sua gente, conquistano il paese e vivono là nell’immoralità.”


I rischi che comporta il non aderire alla jihad

(pag. 304) - “A. Il nemico occupa le terre musulmane, le loro risorse sono saccheggiate, il loro sangue è versato, il loro onore macchiato e come risultato i musulmani vivono un’esistenza di disonore e oppressione. B. La perdita della grande ricompensa che Allah ha promesso a coloro che affrontano la jihad e la Shuhada (martiri) . C. Grave punizione nel Giorno del Giudizio.”

(pag. 305) - “Allah ha insegnato al fedele di prender parte alla jihad in ogni circostanza, sia essa facile o difficile, quando si è in tanti o in pochi, nel momento della prosperità o del bisogno, quando si è forti o quando si è deboli. La loro jihad avverrà per mezzo del sacrificio o dell’aiuto materiale per la gloria del nome di Allah. Questo è il modo di godere di questo mondo e di aver successo in quello a venire.”


Il castigo per l’abbandono dell’Islam

(pag. 155) - “La ragione logica per giustiziare chi ha abbandonato l’Islam è la seguente: Non c’è nulla nell’Islam che sia in contrasto con la natura umana. Chiunque aderisca all’Islam e, dopo averne riconosciuto la verità e averne assaporato la dolcezza, l’abbandona, è di fatto un ribelle contro la verità e la logica. Come ogni altro regime, l’Islam deve proteggere se stesso, pertanto questo castigo (l’esecuzione) incombe sulla persona che l’abbandona, perché diffonde il dubbio sull’Islam …”

“L’abbandono dell’Islam è un crimine che giustifica una punizione esemplare … [Le fasi del castigo sono]:
“Spingere il peccatore ad abiurare immediatamente …”
“Renderlo consapevole delle conseguenze che avrà se persiste nell’abbandono dell’Islam, anzi informarlo che verrà giustiziato.”
“Giustiziare il peccatore se persiste nella sua decisione di abbandonare l’Islam …”


Attività dei missionari cristiani

(pag. 252) - “I missionari sono una delle istituzioni occidentali finalizzate all’invasione ideologica del mondo musulmano. Essi hanno cercato di allontanare dall’Islam i musulmani indebolendone la fede nel cuore e facendo loro accettare il modo di vivere occidentale. Apparentemente essi si adoprano perché adottino la religione di Gesù, ma in realtà cercano di spianare la strada all’invasione spirituale dei paesi islamici da parte dell’occidente … Le organizzazioni missionarie in tutto il mondo islamico hanno cercato di indebolire la fede dei musulmani, di diffondere idee secolari che si sostituiscano all’ideologia islamica e di favorire l’occupazione dei paesi islamici e a rafforzare l’imperialismo …”

“Il movimento missionario ha lasciato tracce profonde nella vita islamica, quali:”
“Ammirare e adottare i modi di vivere degli occidentali … Criteri e valori materialistici, basati sullo sfruttamento, e la loro concezione di vita erano diffusi al punto tale che molti musulmani anelavano ad essi e si sono rivolti alla cultura e alla letteratura occidentale.”
“Svigorire lo spirito islamico delle giovani generazioni come risultato dell’indebolimento della fede nel loro cuore, e quindi accettare idee e principi occidentali contagiosi. Idee capitaliste, comuniste e ateiste diffuse fra i musulmani …”
“Infondere nel sistema scolastico dei paesi islamici un sapore occidentale. I missionari, con il sostegno dell’imperialismo, riuscirono a trasformare la loro filosofia e cultura in fondazioni culturali in molti paesi islamici. La storia e la civiltà occidentale divennero la principale fonte di istruzione e insegnamento delle scienze per i bambini musulmani …”
“Diffamare la storia islamica e le biografie dei Califfi musulmani, presentando la storia islamica come una serie di guerre, conflitti, lotte civili, rivoluzioni, battaglie per il potere, repressione degli abitanti …”
“Incolpare l’Islam, il suo Messaggero e la verità delle sue profezie e propagare idee mistificatorie, come la pretesa che l’Islam si è diffuso con la spada e la repressione. Inoltre criticare le leggi sul divorzio e la poligamia e dipingendo le punizioni giuridiche islamiche come disumane.”




Note:
(1) Si veda MEMRI Special Report No. 6, 2 dicembre 2001
(2) Cultura islamica per l’11° classe, pubblicato dal Ministero dell’Istruzione dell’Autorità Palestinese e approvato dal Ministero dell’Istruzione giordano, 2003.

(The Middle East Media Research Institute, 21.11.2003)




6. LA UE HA NASCOSTO IN UN CASSETTO IL SUO RAPPORTO SULL'ANTISEMITISMO




L'osservatorio europeo sul razzismo ha evitato di pubblicare un proprio rapporto sull'antisemitismo i cui risultati indicavano che gruppi musulmani e pro-palestinesi sono dietro a molte delle manifestazioni di antisemitismo esaminate. Lo riferisce domenica il Financial Times.
    Secondo quanto riferisce il quotidiano, nello scorso febbraio l'EUMC (European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia), con sede a Vienna, ha deciso di non pubblicare uno studio di 112 pagine sull'antisemitismo, dopo uno scontro con gli autori della ricerca sulle loro conclusioni. Infatti, quando nell'ottobre 2002 i ricercatori presentarono i frutti del loro lavoro, i dirigenti del Centro avanzarono una serie di obiezioni alla definizione stessa di antisemitismo utilizzata dagli studiosi, giudicando troppo "pericolosa" l'attenzione posta dalla ricerca sulle manifestazioni di antisemitismo registrate in Europa ad opera di musulmani e filo-palestinesi.
    In un estratto del rapporto ottenuto dal Financial Times si legge: "Si puo' concludere che le manifestazioni di antisemitismo durante il periodo preso in considerazione furono opera soprattutto di estremisti di destra e islamici o giovani musulmani".
"Quella di non pubblicare il rapporto e' stata una decisione politica - sostiene una fonte vicina all'osservatorio, citata dal Financial Times - Ne emergeva una tendenza verso l'antisemitismo islamico, mentre a sinistra c'e' una mobilitazione contro Israele che non e' sempre scevra da pregiudizi. Affermare semplicemente che gli esecutori sono francesi, olandesi o belgi non rende giustizia al quadro d'insieme".
    Nel luglio scorso il congressista americano Robert Wexler chiese formalmente all'Unione Europea di rendere noto il rapporto. La direttrice del Centro europeo di monitoraggio, Beate Winkler, ha detto che il rapporto e' stato respinto perche' il periodo di tempo considerato e' stato giudicato troppo breve e poco rappresentativo. "C'erano anche problemi circa la definizione di antisemitismo - ha detto la direttrice - Si tratta di una faccenda complicata".

(Jerusalem Post, 23.11.03 - israele.net)




7. I COLLOQUI DI "PACE" COME SONO INTESI DALL'AUTORITA' PALESTINESE




Abu Ala: «Pace con israele possibile entro sei mesi»

RAMALLAH, 21 nov. - Ostentando un ottimismo davvero insolito alle latitudini mediorientali, il neo-premier palestinese Ahmed Qurei, alias Abu Ala, ha affermato che la pace con Israele, di cui incontrera' il primo ministro Ariel Sharon la settimana prossima, e' fattibile entro sei mesi. "Sono disposto a parlare con Sharon per concludere con lui un accordo, se possibile", ha dichiarato il capo del governo dell'Autorita' Nazionale Palestinese in un'intervista alla televisione norvegese. "Se lo vogliamo", ha aggiunto Abu Ala, "siamo ormai pronti. Possiamo farlo in brevissimo tempo, e possiamo farlo una volta per tutte. Io ritengo che nel giro di sei mesi saremo in grado di raggiungere quell'accordo, e di porre fine al conflitto", ha insistito. L'incontro tra il premier dell'Anp e quello ebraico sara' il loro primo faccia a faccia da quando, il 12 novembre scorso, lo stesso Abu Ala e il suo esecutivo si sono insediati anche formalmente.

(Yahoo!Notizie, 21.11.2003)



NOTA DI COMMENTO - Per raggiungere l'obiettivo della "pace" con Israele,il primo ministro palestinese si è consultato con un personaggio di grande prestigio tra i palestinesi: lo sceicco Ahmed Yassin, capo "spirituale" del gruppo terroristico Hamas. Quello su cui i due leader palestinesi si sono trovati d'accordo è espresso bene dall'immagine fotografica che hanno offerto generosamente alla stampa. Tra i due compare, ben visibile, una tavola che rappresenta l'intera "Palestina" come loro l'intendono, cioè dal Giordano al mare, coperta dalla bandiera palestinese. Evidentemente la pace a cui aspirano, e per ottenere la quale sono disposti anche a intavolare trattative e a proclamare un'altra "tregua", è quella che si ottiene eliminando uno dei due contendenti, cioè facendo sparire lo Stato d'Israele dalla faccia della terra. M.C.


Abu Ala e Ahmed Yassin intorno alla bandiera che rappresenta tutta la "Palestina" come loro l'intendono: dal Giordano al mare.




MUSICA E IMMAGINI




Jessica




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Jerusalem Center for Public Affairs

Christian News Reported from the White House Focused on Israel




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