<- precedente | seguente --> | pagina iniziale | arretrati | indice |
Notizie su Israele 221 - 3 febbraio 2004 |
1. La legge sulla laicità in Francia 2. Commento del Ministro degli Esteri tedesco sulla Shoah 3. Un comitato della Knesset per i contatti con i cristiani 4. Culto della morte nel terrorismo islamico 5. Editorialista svizzero prende posizione contro il terrorismo 6. Le molte facce dell'antisemitismo 7. Primate cattolico contro la giudaizzazione di Gerusalemme 8. Musica e immagini 9. Indirizzi internet |
|
||
1. LA LEGGE SULLA LAICITA' IN FRANCIA
Non esitiamo più! Un gruppo di intellettuali francesi ha pubblicato sul giornale "L'Express" un appello che invita ad affrettare l'approvazione di una legge che garantisca il mantenimento della laicità e vieti l'uso del velo islamico nelle scuole. Ne riportiamo alcuni estratti. L'offensiva dei comportamenti dettati da spirito di appartenenza e neganti lo spazio repubblicano ha invaso la stessa scuola, e in questo modo ha manifestato una volontà di destabilizzare i principi laici e repubblicani. Coloro che credevano che si potesse accettare il velo islamico isolandolo da altre rivendicazioni integraliste si sono sbagliati. Diventa dunque chiaro, allo stato attuale dell'evoluzione degli spiriti, che l'abbandono di un progetto di legge sarebbe avvertito come un'incredibile ritirata sul principio di laicità e come un totale consenso agli sconfinamenti integralisti. Coloro che raccomandano di astenersi dal legiferare e avanzano l'idea secondo cui il trattamento dei problemi di laicità scolastica sarebbe soltanto di ordine sociale e di competenza di una politica di integrazione, si sbagliano di grosso. Che ci siano delle cause sociali alla base della crescita integralista, è indubitabile. Ma questa è ormai in grado di danneggiare a tal punto i valori comuni di laicità che occorre un trattamento specifico di questo problema, che implichi una riaffermazione netta della laicità stessa. Mettiamo in guardia coloro che adesso raccomandano l'abbandono del progetto di legge sulle gravi conseguenze che avrebbe questa ritirata, perché non sarebbe un semplice ritorno allo statu quo. Sarebbe un chiaro messaggio agli integralisti, ai quali si dice che fanno bene ad attaccare la laicità scolastica. Sarebbe anche, per la grave mancanza di coerenza dei vertici dello Stato, un brutto colpo portato alla democrazia repubblicana. [...] Poiché una legge è necessaria, ci auguriamo che sia senza ambiguità e in rottura con le attuali carenze della giurisprudenza. Ecco perché i parlamentari che insistono sulla nozione di «segno visibile» vanno nella direzione giusta. E' importante precisare che questo ritiro dei segni visibili deve riguardare ciò che appare sui vestiti, e deve imporre agli studenti l'obbligo di avere la testa scoperta a scuola. Inoltre, nella misura in cui si deve contrastare il mescolamento politico-religioso caratteristico degli integralismi, non vediamo per quale motivo la legge non corrisponderebbe a una tradizione di discrezione, sia politica che religiosa. Questa posizione non implica affatto un divieto nella scuola di scambi, di dialoghi sui problemi politici e religiosi. Infine, capiamo poco la paura manifestata dai responsabili religiosi su una qualsiasi minaccia per le libertà pubbliche. Il problema posto riguarda la scuola, la quale, per essere pubblica, non è lo spazio pubblico della strada o dei media. A questo proposito, sembra illogico accordare ai musulmani, nella scuola pubblica, quello che i cristiani hanno cessato di rivendicare. Questa esigenza di discrezione riguarda anche gli agenti di servizi pubblici nell'esecizio delle loro funzioni, cosa che il progetto di legge dimentica. Nessuno sogna, in Francia, di rimettere in questione la libera espressione delle convinzioni nello spazio pubblico della strada o dei media. La legge del 1905 non è minacciata. [...] Se si abbandona ogni angelismo, si deve riconoscere che lo stabilimento di giuste relazione tra le religioni e lo Stato laico provocherà inevitabilmente dei momenti di conflitto. Ma la laicità francese offre sufficienti possibilità per trattare nel miglior modo questi conflitti. Invitiamo quindi i parlamentari, nostri eletti, a una posizione chiara, massiccia, che corrisponda al desiderio, largamente maggioritario nella popolazione, di avere una legge che espliciti i principi di laicità nella scuola e nei servizi pubblici. Dei principi che fino a ieri erano accettati per tradizione, ma il cui richiamo oggi è indispensabile. I firmatari: Leïla Babès, professore di sociologia all'università cattolica di Lille. Elisabeth Badinter, filosofo. Soheib Bencheikh, mufti di Marsiglia, membro del Consiglio francese del culto musulmano. Ali Bouamama, direttore del dipartimento di studi arabi e islamici all'università Marc-Bloch a Strasburgo. Guy Coq, filosofo. Betoule Fekkar-Lambiotte, membro dimissionario del Consiglio francese del culto musulmano. Alain Finkielkraut, professore alla Scuola politecnica. Elisabeth de Fontenay, filosofo. Catherine Kintzler, filosofo. Paul Thibaud, scrittore. (da "L'Express", 2 febbraio 2004) 2. COMMENTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO SULLA SHOAH Testo dell´intervento del ministro Joshka Fischer alla conferenza internazionale della Fondazione Heinrich Böll del 28-30 gennaio 2004. Vedere l'Olocausto in atto |
di dodici anni, dicono: O Signore, vorrei diventare un martire". I sondaggi confermano che Yussra e Walla rispecchiano la stragrande maggioranza dei bambini palestinesi. Secondo tre diversi sondaggi d'opinione, tra il 70 e l'80 percento dei bambini palestinesi aspirano al martirio. Nel mondo arcaico era diffusa la convinzione che la divinita' volesse la morte di esseri umani come estrema forma di venerazione. La gente offriva i propri figli a Moloc e a Baal. Queste antiche credenze tornano oggi ad infestare il mondo. Il mondo ha dato per scontato che il terrorista suicida palestinese sia una persona che ha dovuto scegliere tra due "valori" opposti: uccidere ebrei o preservare la propria vita. Purtroppo non e' cosi'. Per il terrorista suicida, uccidere ebrei e' senz'altro un "valore", ma la morte per la divinita' e' a sua volta un valore in se stessa, un valore piu' importante della vita. Si va incontro alla shahada, al martirio, non per disperazione, ma per aspirazione. Come ha spiegato la madre che gioi' per la morte del figlio: "Io volevo il meglio per lui". ________________ (1) Notizie su Israele 219. (Jerusalem Post, 29.01.04 - israele.net) 4. EDITORIALISTA SVIZZERO PRENDE POSIZIONE CONTRO IL TERRORISMO Il terrorismo si avvicina. di Frank A. Meyer Per i nostri nonni, la Turchia era «da qualche parte laggiù». Ma «laggiù in Turchia», dove fu commesso il genocidio degli armeni, è un'espressione che non va più bene. Istanbul è qui vicino, lontana solo due ore e mezzo di volo. Anche i terroristi impiegherebbero tanto per arrivare in Svizzera. Impiegherebbero? Speriamo di non dover presto usare questo verbo al passato! Forse la vicinanza dell'orrore ha un effetto salutare, per esempio per quanto riguarda il nostro atteggiamento nei confronti di Israele: il terrorismo, che colpisce giornalmente la piccola e unica democrazia in territorio arabo, per noi in tanti ambienti viene visto come una comprensibile reazione agli interventi militari dell'armata israeliana nei territori palestinesi: se Israele la smettesse, anche il terrorismo avrebbe presto fine, secondo l'opinione comune. Questa argomentazione che spesso viene menzionata durante un pranzo o una cena al ristorante è il capovolgimento dei fatti reali: da decenni i palestinesi vengono tenuti consapevolmente nella miseria e nella povertà dai loro fratelli arabi. Lo scopo è quello di suscitare odio contro Israele da parte di sempre nuovi giovani che non vedono alcun futuro per la loro vita. Già i bambini del popolo palestinese vengono addestrati come cani da combattimento. Nel contempo, i potentati arabi del petrolio nuotano nella ricchezza e nel lusso. Il miglioramento della sorte sociale dei palestinesi sarebbe per loro uno scherzo, ma preferiscono finanziare piuttosto le organizzazioni terroristiche, con milioni di dollari, perché queste hanno scritto sulla loro bandiera il proposito di annientare Israele. E per questo può avere conseguenze mortali sedere in un ristorante di Haifa o salire su un autobus di Tel Aviv. Per i bambini già il bus della scuola rappresenta un rischio. Che succederebbe in Svizzera, se una linea di autobus, o una visita al ristorante o un qualsiasi evento della nostra vita privata quotidiana fosse minacciato da attentatori suicidi? Cercheremmo delle buone ragioni per scusare il fatto? Staremmo a riflettere per un minuto se non sia stata forse la nostra irritante ricchezza di svizzeri ad essere la reale causa scatenante e la colpa dell'esistenza del terrorismo? Non faremmo niente del genere, e avremmo ragione ad agire così. Cercheremmo di proteggerci a ogni costo e avremmo ragione. Alla fine, se non riuscissimo a dare uno stop al terrorismo, costruiremmo un muro. E avremmo ragione a farlo. Così saremmo. Così siamo. Ma viviamo ancora con la sensazione che il terrorismo islamico sia lontanissimo, non sia affatto destinato a noi, visto che ci comportiamo in modo tanto neutrale nei confronti del conflitto del mondo arabo contro Israele; noi, che con le nostre banche siamo tanto efficienti nel collaborare a moltiplicare la ricchezza perversa dei potentati arabi. Ma questo è il grande inganno: il terrorismo islamico, per quanto assurdo ci possa suonare, mira all'islamizzazione del mondo, tramite la destabilizzazione del mondo democratico. Il terreno culturale e religioso su cui cresce questa follia è la dottrina dell'Islam. L'estremismo islamico, con il suo terrorismo, è il frutto marcio di questo enorme albero. Per l'Islam arabo Israele è insopportabile: uno Stato democratico, uno Stato di diritto, uno Stato con una società aperta nel mezzo di un Medioevo religioso! Questo Stato deve scomparire! Esso tuttavia non si lascia distruggere dalle bombe né dagli attacchi militari. Israele è armato, è deciso a tutto. Perciò il terrorismo, dappertutto nel mondo, è sempre in collegamento con lo scopo di annientare Israele, deve distruggere le nostre democrazie: il triste destino dei palestinesi serve a trascinarci nell'odio contro Israele. Le immagini dei bambini palestinesi che lanciano pietre contro i carri armati israeliani, devono convincerci che Israele sia il brutale Golia e i palestinesi invece il tormentato Davide. Il mondo libero, un giorno, al più presto possibile, deve relativizzare il diritto di Israele all'esistenza e infine mettere in questione il senso di questo Stato. Per potere avere finalmente pace dal terrorismo islamico. Questa è la strategia che vuole conquistare le nostre menti. Pubblicisti e politici, cittadine e cittadini che farebbero volentieri un processo morale a Israele, dovrebbero andare più spesso in un ristorante a Haifa o salire più spesso su un bus a Tel Aviv. Potrebbero anche prenotare un viaggio più lungo a Istanbul, per passeggiare a volontà in quella meravigliosa città. La sensazione di timore potrebbe forse risvegliare in loro il senso della realtà. Israele è forse un tabù? La politica israeliana non è tabù neanche in Israele. Ci sono schieramenti contro e a favore di Sharon. La democrazia funziona. Con una situazione difficilissima, con la minaccia quotidiana del terrorismo, degli attentati suicidi a cui segue solo la disperazione, ma senza nessuna protezione efficace. Questa protezione è impossibile se non, forse, con la costruzione di un muro. Esso sarebbe il monumento della disperazione. Come deve difendersi la Turchia? Come si dovrà difendere fra un po' la Germania, o la Francia, o l'Italia? 0 noi? ("SonntagsBlick", 23 novembre 2003 - da "Chiamata di Mezzanotte") 5. LE MOLTE FACCE DELL'ANTISEMITISMO Tre intolleranze per un discorso che dura da secoli di David Bidussa L'antisemitismo è molte cose. Un tentativo di spiegazione del mondo a fronte dell'impossibilità di trovare un bandolo che dia ragione delle cose; la pretesa di individuare le origini del male e le cause del suo persistere in un soggetto dato; è la descrizione di un sistema di potere di cui ci si autodefinisce come vittime e di cui si indica negli ebrei il soggetto collettivo che ne incarnerebbe l'essenza. L'antisemitismo può prosperare anche senza che gli ebrei facciano qualcosa. Talora esiste anche senza ebrei. Nella Polonia del secondo dopoguerra a lungo è esistito un antisemitismo sostanzialmente senza presenza fisica degli ebrei. In quel contesto contava, e ha contato soprattutto all'indomani del 1968, scaricare su un nemico fisicamente non presente (come meglio dimostrare così la sua capacità di essere "invisibile" e dunque ancor più pericoloso?) le angosce e il timore di accerchiamento di un sistema di potere che si vedeva e si sentiva minacciato da qualsiasi cambiamento. Il potere comunista era allora antisemita comunque non solo in Polonia ma paradossalmente lo era anche una porzione rilevante della società civile anticomunista che vedeva nei comunisti al potere degli ebrei mascherati giunti o "ritornati" alla fine della Seconda guerra mondiale sui carri armati sovietici pronti a rivolere ciò che avevano perduto o che era stato rubato loro negli anni dell'occupazione nazista. Che l'antisemitismo sia scomparso dall'Europa dopo la Seconda guerra mondiale non è vero. Diciamo che si era eclissato ed era tornato ad assumere le vesti di un antigiudaismo non razzista, in cui tornavano a prosperare alcune delle credenze che hanno popolato l'immaginario collettivo cristiano nel corso del secondo millennio e in cui si sovrappongono come sostiene e dimostra Manfred Gerstenfeld molti paradigmi culturali e politici. Di destra, ma anche di sinistra. Questo è stato uno degli effetti della memoria della Shoah: l'assunzione dell'antisemitismo come pratica sistematica dello sterminio, dimenticandosi che l'antisemitismo moderno è stato solo una delle forme storiche dell'intolleranza nei confronti degli ebrei. Questo sentimento nel secondo dopoguerra è stato un fenomeno complicato, spesso non facilmente districabile e classificabile. Prima lo era meno. Che tipo di intolleranze hanno subito gli ebrei nel corso della storia? Almeno tre: una teologica; una politica; una socio-culturale. A lungo l'intolleranza nei confronti degli ebrei ha avuto un carattere teologico, attraverso l'accusa di deicidio, l'accusa di violare le ostie, di produrre pane azzimo per la Pasqua ebraica utilizzando il sangue dei bambini cristiani, una vera leggenda metropolitanaante litteram in nome della quale lungo tutte le strade d'Europa, dall'Inghilterra (Norwich 1144) passando per l'Italia (Trento 1475) e poi fino all'Ucraina all'inizio del Novecento (Odessa 1912-1913), è stato possibile scatenare pogrom e realizzare stragi di ebrei. In gran parte i pogrom che si verificano in Europa Centrale, in Francia - nel corso della mobilitazione per le crociate, ma anche le credenze che si diffondono in occasione delle grandi epidemie con l'accusa agli ebrei di avvelenare i pozzi e le riserve d'acqua - vedono incrociarsi una credenza antigiudaica che ha la sua origine in convinzioni religiose e motivazioni sociali. L'ebreo appare allora come un bersaglio facile, un vero e proprio capro espiatorio su cui è possibile scaricare tensioni sociali, frustrazioni, nonché indirizzare la mobilitazione sociale favorendo, al tempo stesso, il ricompattamento del quadro sociale. Il principio è quello della lotta allo straniero, all'estraneo inteso come figura perturbante, destabilizzante, comunque infida. E' un paradigma che ritorna frequentemente e che risulta spendibile all'interno di quadri sociali instabili. L'antisemitismo non è solo questo. E' stato nel tempo anche altro. Ha avuto, per esempio, un carattere politico, ovvero si è concretizzato nelle figure ossessive e paranoiche con cui si costruisce la figura astratta dell'oppositore, del nemico di classe, del perfido attore che trama nell'ombra, oppure del ricco speculatore che affama o che sfrutta le masse anonime della società industriale, senza peraltro permettere o lasciare il margine allo sviluppo. Alternativamente l'ebreo è così come la figura vampirica: vero succhiasangue della vitalità della società e del mondo del lavoro, impossessandosi delle sue energie e soggiogatore, schiavizzatore della possibilità di prosperità e felicità di un progresso equilibrato e di uno sviluppo equo, perché volto al puro arricchimento personale e strenuo oppositore a una possibile redistribuzione delle risorse. Una figura che popola l'immaginario ossessionato dell'occidente industrializzato, ma anche del mondo non industrializzato e che ritorna frequentemente nell'immaginario collettivo (un aspetto che si sposa con l'idea che i Rom rubino i bambini, o che gli arabi violentino le donne bianche, e via di seguito). Sotto questa veste l'ossessione per un ebreo intravisto come il "ricco" e dunque assunto come la figura e la quintessenza della disumanità, dell'interesse egoistico, si accompagna a una costruzione socio-culturale in cui l'ebreo è la figura che trama nell'ombra che contemporaneamente è il potere e il distruttore dei poteri tradizionali che trasformano una collettività in una vera e solidale comunità. Nel dispositivo de I Protocolli dei Savi anziani di Sion- testo che crea l'ebreo delle ossessioni mentali dei non ebrei - è riscontrabile sia la dimensione sovversiva di colui che vuol distruggere l'ordine del mondo quanto quella di colui che lo incarna. Il testo de I Protocolli - al di là della questione della sua falsità - è interessante proprio per il dispositivo che mette a nudo, per l'immagine del potere che le classi dominate hanno del potere che le domina, per l'immaginario di rivolta, ma non di eguaglianza con cui i ceti dominati pensano di invertire l'ordine sociale. Il testo de I Protocolli per quanto banale, rozzo, assolutamente risibile per l'immaginario economico che prospetta, costituisce uno dei dispositivi più efficaci e potenti che generano l'antisemitismo. La questione della falsità dimostrata de I Protocollinon ha impedito che milioni di individui abbiano continuato - e ancora oggi continuino - a prestare fede a un testo, peraltro spesso senza neppure averlo letto. Non sarebbe improprio osservare - d'altra parte - che il problema rappresentato dai documenti falsi non è risolto dimostrando la loro falsità, ma costituisce un'opportunità per indagare i livelli di credenza collettiva? Quanto è importante la datazione esatta della Sacra Sindone? Forse per questo milioni di individui smetteranno di andare a vederla? E questo fatto, cessa di essere rilevante o di ridursi a un mero evento di falsa credenza una volta che si sia dimostrata la falsa datazione della Sindone? Interrogare la storia non riguarda l'individuazione della verità - questione che riduce l'indagine storiografica a un dossier di polizia - ma indagare e rendere edotti sui fenomeni sociali. Un fenomeno sociale esiste anche sulla base di una falsa credenza. Anzi per certi aspetti è oltremodo rilevante e illuminante se connesso a una questione di falsa credenza. In altre parole, il problema dei falsi non è dimostrare la loro falsità, ma cercare di spiegare perché pur nella loro dimostrata falsità, i falsi documenti continuano a funzionare e a "convincere". Gran parte del livello socio-culturale con cui si esprime oggi l'antisemitismo nell'ambito delle realtà sociali e politiche del Terzo mondo e in particolare del mondo arabo; l'uso e la diffusione in area islamica e araba de I protocolli (un aspetto e un fenomeno che non risalgono alla seconda Intifada ma che esistono da almeno un ventennio e che Pierre-André Taguieff aveva già descritto più di dieci anni fa), sono connessi a questo ambito di problemi. Così come nel mondo medievale e nella prima modernità l'intolleranza nei confronti degli ebrei nasceva sulla base di una loro presunta estraneità, assumendoli come nemici o come agenti e rappresentanti del nemico - non differentemente oggi questa convinzione si ripete. Con una sostanziale differenza: ancora fino alla prima modernità la lotta agli ebrei era la lotta a un nemico che poteva essere acquisito e conquistato e dunque convertito cessando così di esser un nemico oppure cacciato. L'eredità del lessico razzista del Novecento modifica la figura della lotta al "nemico": quella figura non è più sufficiente scacciarla, occorre, invece, eliminarla. Nel conflitto di civiltà ritornano aggiornati e "modernizzati" concetti e figure che apparentemente sembrano avere una lontana origine. Per esempio, l'espulsione degli ebrei quale è avvenuta nei paesi arabi o islamici negli anni '50 e poi ancora nel giugno del 1967 e poi nel corso degli anni ' 70 non risponde solo alla raffigurazione della purificazione di un territorio che deve rimanere incontaminato e dunque "puro" rispetto alla presenza dello straniero. Il linguaggio dell'antisionismo presenta aspetti, aggettivi, figure che hanno una stretta parentela con il linguaggio della non contaminazione dello spazio la cui matrice originaria denuncia origini razziste contemporanee, pur spesso alimentandosi di un linguaggio etnocentrico che usa e sfrutta molti concetti che preesistevano al linguaggio dei razzismi moderni. Quello stesso linguaggio, poi, innerva e struttura metafore, raffigurazioni, immagini, retoriche che hanno diffusione non marginale anche fuori dall'area mediorentale e rinnovano in forma propria linguaggi e culture che hanno costruito una figura dell'ebreo come nemico nel corso del secondo millennio. Un "nemico" che, in alcuni contesti, con lentezza è stato accolto, "emancipato" e parificato nei diritti nel corso della lunga rivoluzione democratica che ha preso le mosse dalle sale della Pallacorda a Versailles nel maggio-giugno 1789, in altre realtà (al prezzo di molte conflittualità e lacerazioni, come in Germania e nell'Europa centrale), il "nemico ebraico" ha maturato diritti; in altri luoghi ancora ha scommesso su un'ipotesi di riscatto sociale collettiva (è il caso della Russia sovietica, che tuttavia non sembra aver emancipato e integrato davvero il mondo ebraico nella "grande madre Russia"). Eppure il quadro che oggi noi abbiamo di fronte ci presenta il ritorno di forme di antisemitismo tradizionale al fianco di forme nuove ed emergenti in cui si combinano fattori sociali, culturali, vecchie immagini di ribellione e di diffidenza con nuove immagini e convinzioni di lotta contro il "potente" (presunto più spesso che non reale), antiche immagini in cui l'ebreo è alternativamente, il caprone, il perfido tentatore, l'uomo dalla dura cervice che spesso ha popolato l'iconografia e il lessico della retorica cristiana. E da tutto ciò nasce l'opportunità di confrontarsi con il fatto che alla fine l'antisemitismo è un dispositivo, una macchina che spiega l'oggetto, ed è forse uno dei peggiori contenitori di memoria e delle sue incrostazioni. Non c'è un antisemitismo meno efficace che è sostituito da uno più efficace. C'è la costruzione di un sistema esplicativo che rende coerente la credenza sull'antisemitismo e che soprattutto veicola, aggiorna e rende utilizzabili tutte le immagini e tutti i diversi significati che l'intolleranza antiebraica ha assunto nel lungo arco della storia del rapporto tra ebrei e non ebrei nelle società articolate dall'antichità a oggi. L'antisemitismo in questo senso non è un'ideologia compiuta, organica e coerente. E' invece una pratica discorsiva, ideologica e operativa che si costruisce nel tempo e che nel tempo si arricchisce. Una pratica che raccoglie molte cose lungo la strada e mai le perde, dotandosi di un vasto archivio sensibile alle trasformazioni del tempo, ma comunque disponibile ad essere rimobilitato in contesti e, talora, con scopi diversi e distinti. L'antisemitismo, letto da quest'angolazione, non è nemmeno un'ideologia coerente, ma è un discorso coerente, spalmato lungo l'asse destra-sinistra in forme, pratiche, discorsi, linguaggi diversi. Lo possiamo leggere a partire da diverse variabili culturali sulla scorta per esempio dei dati emersi nell'ultima inchiesta Eurispes, anche nell'ambito delle sue incertezze - come la questione non nuova dell'antisemitismo di sinistra e dei suoi rapporti con la questione israeliana come sottolineato da Shalom Lappin su uno degli ultimi numeri di "Dissent". In ogni caso l'antisemitismo prima ancora che pratica sociale, è oggi soprattutto, una forma del pensare e si colloca lungo tutto l'asse destra-sinistra . Rappresenta, in sintesi, una parte di un linguaggio collettivo con cui è bene fare serenamente e costantemente i conti. Negarlo o far finta di discuterne come fa "Il manifesto" in questi giorni con gli interventi di Marco Bascetta e di Stefano Chiarini e Maurizio Matteuzzi è solo una parte in commedia, quando addirittura non è tempo perso. Qualche indicazione bibliografica
Yves Chevalier, L'antisemitismo: l'ebreo come capro espiatorio, Ipl, Milano 1991. Gabriele Eschenazi - Gabriele Nissim, Ebrei invisibili: i sopravvissuti dell'Europa orientale dal comunismo a oggi, Mondatori, Milano 1995. Furio Jesi, L'accusa del sangue: mitologie dell'antisemitismo, Morcelliana, Brescia 1993. Pierre-André Taguieff, Les Protocoles des Sages de Sion, Berg Internationale, Paris 1992. (Morasha.it, 28.01.2004) 7. PRIMATE CATTOLICO CONTRO LA GIUDAIZZAZIONE DI GERUSALEMME Il patriaca Lufti Laham, primate dei cattolici romani nei territori palestinesi occupati, ha fatto un appello a mantenere l'identità araba della città occupata di Gerusalemme e a opporsi ai tentativi di giudaizzare la città santa. In un'intervista pubblicata sabato scorso [31 gennaio] sul quotidiano degli Emirati, Al-Khalij, il patriarca Laham ha affermato che Gerusalemme è una città araba e la capitale della fede dei musulmani e dei cristiani. Il patriarca ha invitato ad approfondire un dialogo costruttivo tra le civiltà e a intensificare l'interazione culturale e commerciale tra i paesi arabi e l'Europa. Ha anche messo in guardia contro i cristiani sionisti perché, ha affermato, sono dei sionisti, non dei cristiani. Ahmad F. Zahra (SANA-Official Syrian News Agency - IMRA, 31.01.2004) 8. MUSICA E IMMAGINI Frailahk 9. INDIRIZZI INTERNET Ambasciata di Israele a Roma Vision for Israel Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |