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Notizie su Israele 230 - 24 marzo 2004 |
1. L'eliminazione del capo dei terroristi di Hamas 2. Terroristi tra le forze di sicurezza di Arafat 3. Arabo cristiano ucciso in un attacco terroristico 4. Bambini israeliani e palestinesi uniti dallo sport 5. La Shoah e l'attuale situazione 6. Una manifestazione di «pacifisti» islamici in Francia 7. Musica e immagini 8. Indirizzi internet |
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1. L'ELIMINAZIONE DEL CAPO DEI TERRORISTI DI HAMAS
Vittima della dinamica da lui stesso creata da un articolo di Barry Rubin direttore del Middle East Review of International Affairs Journal Uccidendo il leader di Hamas Ahmad Yassin, Israele ha eliminato il piu' importante dirigente terrorista che gli abbia mai mosso guerra. Yassin ha sempre dichiarato apertamente che il suo obiettivo era distruggere lo Stato d'Israele e uccidere i suoi cittadini dovunque si trovassero. Ha seminato vento e ha raccolto tempesta. Yassin fondo' Hamas a meta' degli anno '80 come un gruppo estremista islamico contrario a qualunque compromesso e a qualunque pace con Israele. La Carta di Hamas e' un documento saturo di odio contro gli ebrei, formulato nel piu' classico linguaggio antisemita. Mentre fra i palestinesi Hamas si impegnava in opere educative e sociali per guadagnare adepti alla propria causa (e per individuare e manovrare psicologicamente giovani palestinesi affinche' si trasformassero in attentatori suicidi), nel frattempo la sua tattica politica si traduceva in puro terrorismo, volto a uccidere il maggior numero possibile di israeliani. A causa di queste sue attivita', Yassin venne incarcerato in Israele. Ma Yasser Arafat, il leader dell'Autorita' Palestinese che era contemporaneamente il piu' acceso rivale e il principale alleato di Yassin, si adopero' per il suo rilascio. "Lo conosco - diceva Arafat agli israeliani - Fara' appello per la cessazione delle violenze". Nel 1997, in pieno processo di pace di Oslo, nel quadro di un accordo tripartito con Giordania e Autorita' Palestinese Israele provo' a fidarsi di quanto diceva Arafat. Ma, mentre Arafat festeggiava la scarcerazione di Yassin, questi metteva subito in chiaro il suo totale sostegno alla guerra contro Israele e la sua totale opposizione a qualunque accordo di pace. Quando a Yassin venne permesso di recarsi all'estero, ando' in Arabia Saudita e in altri paesi a raccogliere fondi per la lotta armata. Persino l'Unione Europea condanno' le attivita' di Hamas in quanto terroristiche. Dopo il rifiuto di Arafat alle proposte di pace nell'anno 2000, Yassin si schiero' al suo fianco. Cio' che segui' furono quaranta mesi e piu' di guerra contro Israele, condotta facendo massicciamente ricorso allo strumento del terrorismo contro la popolazione civile. La decisione di lanciare e di continuare questa guerra, e la strategia utilizzata, hanno procurato grandi sofferenze e migliaia di vittime a entrambe le parti. Questa decisione ha in effetti ritardato la fine dell'occupazione israeliana in Cisgiordania e striscia di Gaza, ha provocato la distruzione delle infrastrutture palestinesi e ha cancellato una delle piu' concrete opportunita' di creare uno stato palestinese. Yassin era soltanto la "guida spirituale" di Hamas e guidava soltanto la cosiddetta "ala politica" del movimento, non la sua "ala militare"? E' vero che Hamas non e' organizzata secondo una rigida catena gerarchica. Evidentemente Yassin non progettava nei dettagli ogni singolo attentato terroristico. Ma era lui che dettava la politica, autorizzava le uccisioni, celebrava gli attentati. Yassin era capo di Hamas e responsabile del terrorismo di Hamas almeno quanto Osama bin Laden e' il capo di Al Qaeda e responsabile del terrorismo di Al Qaeda. Bisogna inoltre tenere presente che il titolo di "guida spirituale" viene normalmente attribuito anche al dittatore dell'Iran e al capo del gruppo libanese Hezbollah. Perche' Israele ha colpito Yassin? Vi sono due ragioni principali. Primo, nel momento in cui Israele intende ritirarsi dalla striscia di Gaza vuole mostrare che cio' non significa una rotta o una resa. Per garantirsi il consenso interno alla manovra e per dimostrare agli estremisti palestinesi che la manovra non e' un invito a incrementare il terrorismo, e' necessario che Israele colpisca e continui a colpire coloro che lo aggrediscono. Secondo, Yassin era l'unico leader carismatico capace di garantire l'unita' di Hamas. Senza di lui l'organizzazione e' a forte rischio di spaccature, con conseguente incapacita' di un'efficace azione politica, anche se tutti sanno che puo' ancora realizzare attentati. In gran parte a causa del fatto che Arafat non si e' curato di imporsi sui suoi, il potere di Hamas sta crescendo. Con Yassin alla guida, Hamas aveva buone possibilita' di prendere il controllo della striscia di Gaza. Ora, nonostante tutti gli slogan, le manifestazioni e le minacce che Hamas puo' sfoggiare immediatamente dopo la morte di Yassin, in realta' l'organizzazione fondamentalista ne risultera' indebolita. Difendendosi nel corso degli ultimi tre anni, Israele ha dovuto fare i conti con il fatto di trovarsi in una situazione assai atipica e dunque per tutti gli altri difficile da capire. Il diritto internazionale si basa sull'esistenza di autorita' determinate ad esercitarlo. Ma cosa puo' fare un paese quando il suo vicino non solo si rifiuta di fermare o arrestare i terroristici che lo attaccano quotidianamente, ma in effetti li incoraggia e li sostiene? Non esistono molte alternative alla scelta di agire direttamente contro tali santuari. Allo stesso modo, la diplomazia internazionale presume in generale che qualunque contenzioso sia in fondo risolvibile con un negoziato e un compromesso. Ma cosa puo' fare un paese quando la controparte (Hamas, anche a voler credere che Arafat possa mai fare la pace) esprime apertamente la sua intenzione di distruggerlo e persegue concretamente tale obiettivo? Un altro assunto internazionalmente accettato e' che, prendendo di mira i capi terroristi, Israele provocherebbe i loro attacchi. In realta' essi non hanno bisogno di alcun incoraggiamento. Gli attacchi terroristici continuerebbero in ogni caso e sarebbero soltanto piu' efficaci in presenza di una dirigenza che godesse di totale impunita' per le proprie azioni. Infine, non bisogna dimenticare che Israele ha gia' tentato la strada che gli viene raccomandata dagli altri paesi e da tanti leader politici, esperti e opinionisti. Per ben sette anni Israele ha tentato di arrivare a un accordo di compromesso, negoziato pacificamente. Il risultato e' stata la nascita di un'Autorita' Palestinese come un santuario sicuro che istiga, finanzia, organizza e permette attentati terroristici contro Israele. Nel tentativo di moderare Hamas, Israele aveva anche scarcerato lo stesso Yassin, e questi si e' subito messo alla testa di una ancora piu' intensa campagna terroristica anti-israeliana. Che fosse o meno la cosa giusta da fare in questo momento, l'eliminazione di Yassin e' un atto legittimato dalla situazione che Yassin stesso ha contribuito a creare. (Jerusalem Post, 22.03.2004 - israele.net) ----------------------------------- RIFERIMENTO STORICO - Anni fa, in una terra lontana da Israele e dai territori che ora sta occupando, un'altra guida spirituale, un uomo di appassionata fede che con la sua vibrante parola aveva saputo infondere nel suo popolo un profondo e religioso amor di patria, trovò prematuramente la morte, ucciso non per mano diretta del nemico, ma spinto al suicidio dalla disperazione provocata dagli eserciti stranieri che in quel momento occupavano militarmente il suo paese. Il fatto avvenne il 1° maggio 1945. La guida spirituale si chiamava Paul Joseph Goebbels. 2. TERRORISTI TRA LE FORZE DI SICUREZZA DI ARAFAT di Arnon Regular La cellula terroristica di Fatah-Tanzim della zona di Betlemme, responsabile tra l'altro degli attentati avvenuti poco tempo fa sugli autobus nr.14 e 19 a Gerusalemme, era costituita in gran parte da membri delle forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese . Diversi arresti hanno contribuito a dimostrare che i terroristi della zona di Betlemme che hanno compiuto i recenti attentati suicidi e attacchi sulle strade, appartengono all'apparato di sicurezza dell'Autorità Palestinese (AP). Gli attentati avvenivano nello stesso periodo in cui altri funzionari dello stesso ramo dell'apparato di sicurezza quasi ogni giorno avevano colloqui di coordinamento con i militari israeliani. Due attacchi sono stati opera di poliziotti dell'AP provenienti dalla zona di Betlemme. A novembre Yabbar Alaharas, un poliziotto dell'apparato di sicurezza AP, ha ucciso due soldati dell'esercito israeliano in un attacco ad una postazione dell'esercito sulla strada del tunnel fuori Gerusalemme. Anche Ali Ya'ara, che ha compiuto l'assalto terroristico al bus nr.19 a Gerusalemme, era un poliziotto dell'AP. Due capi della cellula teorristica di Betlemme appartenevano al ramo della polizia dell'AP. Aza din Hamara, per esempio, era un avvocato delle "forze speciali", che erano collegate con l'apparato di sicurezza nazionale. Hanno cominciato ad operare in Betlemme l'anno scorso, quando la responsabilità della sicurezza della regione è passata all'AP. Hamara abita a Hussan, un villaggio a ovest di Betlemme. Anche l'esecutore dell'attentato compiuto l'anno scorso sul bus nr.14 abitava lì. Di Hamara è anche noto che mantiene strette relazioni con Hamas. Un altro esempio è Abed Makdadi. Anche lui è membro della cellula terroristica di Betlemme. Lavora come tecnico delle telecomunicazioni per il servizio di sicurezza nazionale AP a Betlemme. Questa settimana è stato accertato che due agenti di Fatah, Ahmed Mugrabi, adesso in prigione per 18 mesi a Napha, e Jihad Ja'arat, che a causa dell'assedio alla chiesa della natività nel maggio 2002 era stato espulso, hanno una forte influenza sull'attuale cellula terroristica di Betlemme. Mugrabi era responsabile del reclutamento delle terroriste che hanno compiuto un attentato nel supermercato del quartiere Kiryat Yovel in Gerusalemme. Ja'ara è uno zio dell'attentatore suicida che si è fatto saltare in aria nel bus nr.19 a Gerusalemme. Sia Mugrabi che Ja'ara sono accusati di essere dietro una serie di attacchi compiuti a Betlemme già nella fase iniziale dell'intifada. E tutti e due erano poliziotti dell'AP. Il primo lavorava per l'apparato del servizio segreto, il secondo apparteneva all'apparato di sicurezza preventivo. (Ha´aretz, 19.03.2004) 3. ARABO CRISTIANO UCCISO IN UN ATTACCO TERRORISTICO
George Khoury, studente al secondo anno presso la vicina Università Ebraica di Gerusalemme, aveva preso lautomobile della madre e si era recato a non più di due chilometri da casa sua, per labituale jogging del venerdì sera a French Hill. Verso le 19.20, mentre correva per via Hahayil, è stato colpito a morte da terroristi che hanno sparato da una macchina in corsa. Gli attentatori si sono poi dileguati attraverso ladiacente quartiere arabo di Isawiya, in direzione di Ramallah. George, figlio mediano della famiglia Khoury, era diplomato alla Anglican International School di Gerusalemme, praticava vari sport e suonava il pianoforte, rappresentando anche la sua scuola in varie occasioni, in competizioni musicali internazionali. Come suo padre e suo nonno, Geroge cercava di promuovere la coesistenza arabo-ebraica, partecipando a incontri di dialogo interreligioso in Germania e Inghilterra. Studiava economia e relazioni internazionali allUniversità Ebraica di Gerusalemme e sognava di seguire le orme del padre, diventando un avvocato. Suo cugino lo descrive come atletico ma anche intellettuale, amante dei libri e dei film. Il padre di George, Elias Khoury, è un prominente avvocato di Gerusalemme est, e ha rappresentato davanti alla corte numerose figure politiche palestinesi e anche arabi israeliani. Suo nonno, Daoud Khoury, fu ucciso in un attacco terroristico in piazza Sion, a Gerusalemme, nel luglio del 1975. Ibrahim Kandalaft, consigliere di Arafat per gli affari cristiani, ha elogiato Khoury a nome del presidente dellANP, definendolo uno shahid (martire) della causa palestinese. Ma la madre della vittima lo ha interrotto dichiarando che suo figlio è un angelo, non uno shahid. George Khoury è stato sepolto nel cimitero cristiano del Monte Sion. Lascia i genitori, un fratello maggiore e una sorella più piccola. (Ambasciata d'Israele a Roma, 19.03.2004) 4. BAMBINI ISRAELIANI E PALESTINESI UNITI DALLO SPORT a cura di Daniel Ben-Tal Ahmed Sabri ricordera' sempre il giorno in cui, per la prima volta, ha giocato a calcio con i suoi coetanei israeliani. "Sono fiero della mia uniforme e di essere bravo come i ragazzi israeliani", dichiara il tredicenne di Sur Bahir, quartiere arabo di Gerusalemme. Sabri e' uno degli oltre duecento ragazzi palestinesi e israeliani, di eta' compresa tra i 9 e i 15 anni, che hanno partecipato a fine febbraio in Israele alla sessione bilingue di allenamenti calcistici, conclusasi con partite fra squadre di giocatori misti. E' difficile determinare chi sia israeliano e chi palestinese quando i ragazzini nelle loro belle tenute affollano il campo da calcio di Kiryat Ekron, appena fuori dalla citta' israeliana di Rehovot. Muhamad Amin-Halaf, dodicenne di Issawiya (Gerusalemme est), tifa per la spagnola Real Madrid. Kim Hazan, undicenne israeliano di Bney Ayish, tiene invece per la squadra inglese del Manchester United. "Sono esattamente come noi, parlano soltanto una lingua diversa", dice Hazan ad "Israel21c" durante una pausa tra le partite. "Ci e' difficile parlare ed e' un peccato, perche' alcuni di loro sono davvero bravi giocatori". "I bambini di questa eta' non vogliono sentir parlare di politica, lasciateli giocare assieme", afferma il padre orgoglioso di Kim, Avraham Hazan, mentre distribuisce panini e coca-cola ai giovani calciatori affamati. "Inshallah (con l'aiuto di Dio), qualcosa di buono ne verra' fuori". Il programma "Twinned Sports Schools", sponsorizzato dalla ONG Peres Center for Peace, e' stato lanciato nel 2002 con il gemellaggio pilota tra le due scuole di Issawiya e Sderot. Nel corso del corrente anno accademico, altre otto "scuole" di calcio e quattro scuole di basket femminile sono state create in comunita' israeliane e palestinesi economicamente deboli, grazie al supporto di Right to Play, Development Cooperation Ireland, Pratt Foundation e Laureus Sports For Good Foundation. Oltre a nutrire le aspirazioni sportive dei giovani, le scuole offrono sostegno supplementare in materie quali matematica, inglese, ebraico per i palestinesi e arabo per gli israeliani. Stando a Gal Peled, coordinatore del progetto per il Centro Peres, l'obiettivo consiste nel richiamare l'attenzione dei piu' giovani sugli aspetti della vita che essi condividono. "Lavorando assieme, i bambini si rendono conto di quanto abbiano in comune, piuttosto che concentrarsi sulle loro differenze. Una volta divisi in squadre miste, infatti, e' difficile capire chi sia israeliano e chi palestinese. Non c'e' dubbio che tutti loro condividano obiettivi e aspirazioni comuni", ha dichiarato Peled. Gli atleti in fiore si ritrovano una volta al mese per praticare attivita' comuni, sebbene non manchino severe misure di sicurezza precauzionali. Una sessione di allenamenti a Sderot si e' tenuta appena 20 minuti dopo che dei razzi Qassam lanciati dalle vicinanze di Gaza erano atterrati sul campo di calcio della citta'. A fine febbraio, mentre le giocatrici entusiaste di Issawya e di altri villaggi dell'area di Gerusalemme, Jerico e Kiryat Ekron si mescolavano, la palestra del liceo Ben Zvi situata vicino al campo da calcio di Kiryat Ekron, risuonava di un vociare misto di ebraico e arabo. L'ex capitano della nazionale israeliana di basket Aluma Goren fischia la fine di altri cinque minuti di partita tra squadre miste israeliane e palestinesi. Ottanta ragazze attendono ansiose il loro turno di gioco. Uscendo di campo, Racheli Kadosh mostra una ferita sull'avambraccio. "E' successo in una zuffa per una palla alta con una ragazza araba. Non ho detto nulla, fa parte del gioco", afferma la quattordicenne di Ofakim con un'alzata di spalle. "In campo comunichiamo a gesti - spiega Lian Abargil - Le ragazze arabe sono piu' o meno della nostra statura e non sono piu' grosse di noi". "Alcuni dei nostri genitori si sono preoccupati quando hanno sentito che ci saremmo allenate con ragazze arabe. Hanno voluto sapere |
esattamente chi fossero, ma alla fine ci hanno tutti permesso di venire", racconta Abargil. Peleg spiega che le squadre vengono sempre formate da gruppi misti di israeliani e palestinesi. "Le attivita' svolte in comune non mettono in competizione i palestinesi contro gli israeliani, al contrario, danno loro la possibilita' di giocare in squadre miste per incontrare bambini dell'altra parte - racconta - Queste squadre miste si sono dimostrate utili per insegnare ai bambini il gioco di squadra. I giovani si sono resi conto, infatti, che a vincere e' la squadra che raggiunge il piu' alto livello di cooperazione". Se da un lato le partite di basket a squadre miste offrono l'opportunita' di rompere il ghiaccio, dall'altro sono pero' troppo brevi per costruire rapporti d'amicizia, dice la quindicenne Rasan Rhabba di Issawiya. "I miei genitori sono molto felici che io incontri altre ragazze della mia eta' - continua - Sto imparando a giocare a basket e mi diverto". Meital Abutbul, undicenne di Sderot, e' la piu' alta della sua scuola. "Oggi ho imparato qualche nuovo trucchetto di gioco e ho conosciuto due ragazze di Gerusalemme est. Se i miei genitori me lo consentiranno, un giorno andro' a trovarle". Il consulente speciale per lo sport delle Nazioni Unite ed ex presidente della Svizzera, Adolf Ogi, segue i giovani atleti mediante interpreti di ebraico e arabo. "Lo sport e' una grande scuola nella vita. Dallo sport si imparano solidarieta', disciplina, spirito di squadra, come vincere e come perdere. Voi siete un esempio per il mondo intero", ha dichiarato in un crescendo di applausi. Venti dei previsti sessanta partecipanti arabi della Gerusalemme est non si sono presentati a causa dell'opposizione dei genitori, riferisce l'insegnante Amira Jaber mentre i giovani palestinesi si apprestano a salire sugli autobus che li riportano a casa. "Questa e' la prima volta che molti di loro hanno incontrato ragazzini israeliani della loro eta'. Non e' facile per i bambini giocare assieme agli israeliani. La lingua si pone d'ostacolo tra loro, ma lo sport e' un linguaggio comune. E' bene che sentano che i fatti possono volgersi in direzione positiva". "Mi chiedo quanto ci vorra' perche' i genitori israeliani possano mandare i loro figli da noi senza temere. Dovremo essere tutti pazienti, ci vorra' tempo perche' la situazioni si normalizzi", sospira Jaber. (Israel21c, 1.03.2004 - israele.net 19.03.2004) 5. LA SHOAH E L'ATTUALE SITUAZIONE Sionismo: un progetto per il futuro? di Andrea Jarach Presidente della Federazione Associazioni Italia-Israele Mentre assistiamo alla rinascita dell'antisemitismo in tutta Europa e alla sua esplosione nel mondo arabo ci troviamo a riflettere sul futuro del sionismo. Questo movimento miracoloso (si dice essere l'unico ismo nato nel diciannovesimo secolo che abbia visto il compimento dei suoi obiettivi) si trova oggi in una crisi di riflessione che porta molti studiosi a concludere che esso abbia perso la sua funzione. Il mio contributo oggi vuole dimostrare che il sionismo, ben lungi dall'essere privo di funzioni, è il vero collante del popolo ebraico e ne è una garanzia di sopravvivenza. Vorrei innanzitutto prendere in esame un parallelismo inquietante. Quello tra La Shoah e l'attuale situazione. La Shoah si sviluppò attraverso le seguenti fasi: emarginazione sociale, emarginazione per legge, persecuzione e infine sterminio. Quando si arrivò alla fase dello sterminio (dal 1941/42) gli ebrei trovarono ben poco aiuto negli "altri". Il terreno era stato preparato a puntino. Adesso portiamoci all'epoca contemporanea e ci sarà facile sostituendo alla parola ebrei la parola Israele riconoscere le fasi sopra elencate. Dalla sua nascita Israele è stato combattuto in tanti modi dai suoi nemici, ma il più riuscito è senza dubbio quello della propaganda ossessiva. Tanto è stato demonizzato lo Stato di Israele, che, per molte persone nel mondo, esso rappresenta acriticamente il male assoluto. Uno Stato di fanatici vestiti di nero con le treccine e di soldati (senza pietà), questa l'iconografia popolare del moderno ebreo. Uno Stato cattivo che combatte con i carri armati e gli aerei contro i bambini. Uno Stato che chiude dietro un muro il popolo dei diseredati senza patria. Uno Stato che quella patria nega senza motivo se non la volontà di potenza. Contro questo Stato negli anni 70 si passò alla fase di emarginazione per legge (Sionismo uguale razzismo alle Nazioni Unite). Decine di risoluzioni dell'Assemblea dell'ONU contrarie a Israele passano ogni anno puntualmente con il voto di una maggioranza di Stati antidemocratici. La persecuzione la viviamo tutti i giorni da almeno tre anni con il terrorismo suicida che uccide ebrei. La morte arriva in Israele o all'estero come in quella fase della Shoah definita delle eliminazioni caotiche (1941) durante la quale circa 1 milione e mezzo di ebrei vennero massacrati dagli Eisatzgruppen. Viene ora da interrogarsi e lo sterminio? E' davvero inconcepibile oggi un tentativo di sterminio degli ebrei di Israele? Purtroppo il ragionamento di poc'anzi mi porta a concludere che essendo la strategia di lungo periodo dei nostri nemici la stessa applicata dal nazismo nella Shoah, ed avendo seguito fino ad oggi le stesse fasi, non sia assolutamente da escludere che essa contempli ancora una volta il tentativo di sterminio. Cosa me lo lascia pensare? Innanzitutto la preparazione del terreno: nel mondo arabo l'antisemitismo più terribile presenta gli ebrei come dei mostri assetati di sangue, in occidente invece gli ebrei sono visti come degli eterni rompiscatole che farebbero meglio a levarsi di torno (lascino pure i loro libri e la loro cultura che ci piace, ma la smettano di avanzare la pretesa di sopravvivere come popolo). Sono indicative di questo pensiero diffuso sia la leggenda diffusasi dopo l'attentato delle Torri Gemelle che gli ebrei si erano messi in salvo avvisati preventivamente di quanto stava per accadere, che il risultato del famigerato sondaggio dell'Unione Europea che vedeva Israele come potenziale causa di una guerra mondiale. La mia esperienza di studio della Shoah mi ha fatto rabbrividire quando quel sondaggio fu diffuso. Vedo davanti ai miei occhi Adolf Hitler nel 1939 e ricordo le sue funeste parole di avvertimento. "Se la razza giudaica porterà ancora il mondo ad una guerra, allora questo significherà per essa lo sterminio (vernichtung)" Promessa mantenuta, anche se la premessa era errata e volutamente falsata. Ma questo discorso non lo avete sentito forse anche oggi pronunciato dal primo ministro malese, e quante volte lo sterminio rieccheggia negli editti dei capi religiosi musulmani. La mia convinzione è che anche oggi molti volterebbero le spalle di fronte ad un "problema ebraico" in via di risoluzione violenta, "soluzione finale" appunto. E dunque cosa ci resta per non cadere preda di una depressione determinata dal fato che ci aspetta ineluttabile? Ci resta il sionismo e il sogno di una patria ebraica sempre più forte che, grazie al numero dei suoi cittadini, renda impensabile il disegno criminale dello sterminio e, grazie alla sua forza, lo renda penalizzante per chi lo tenti. E la crescita sempre più intensa dell'economia israeliana che porterà il benessere alle popolazioni confinanti potrà essere quella variabile della storia che questa volta vedrà trionfare la vita. Il sionismo oggi per me è questo. E i suoi ideali significano sicurezza e speranza, due parole che prima di Israele erano per gli ebrei offerte solo dalla fede religiosa o dall'illusione di una integrazione sempre negata. (KESHER Le newsletter di Morasha.it, 22.03.2004) 6. UNA MANIFESTAZIONE DI «PACIFISTI» ISLAMICI IN FRANCIA «Giustizia in Palestina, se no... » Testimonanza personale di quello che è avvenuto e di quello che potrebbe avvenire. Una settimana fa mio padre ha avuto un incidente abbastanza grave e quindi è stato costretto a venire a vivere a casa mia. Oggi sono andato a ricuperare la sua chiave presso i suoi vicini e a prendere qualcosa a casa sua. Poi, verso le quattro del pomeriggio, ho ripreso l'autobus per Lille. L'autobus si è trovato incastrato in rue Royale e si è immobilizzato all'altezza della chiesa Saint-André, dietro un altro autobus, fermo anche lui. La conducente è scesa dall'autobus, è andata ad informarsi su quello che bloccava il passaggio e ci ha annunciato che a seguito di una manifestazione eravamo bloccati per un tempo indeterminato. Poiché mio padre non può più alzarsi, né coricarsi senza aiuto, avevo fretta di tornare a casa. Sono quindi sceso dall'autobus e - tanto peggio per il mio euro e quindici di biglietto - ho continuato il mio cammino a piedi. Ho superato due o tre poliziotti che sbarravano la strada alle vetture, poi uno sbarramento di transenne mobili, poi altri poliziotti in tenuta antisommossa, e mi sono ritrovato in coda al corteo, sul marciapiede, mentre i manifestanti occupavano la carreggiata. Era una sfilata per l'anniversario della guerra in Iraq. C'era qui un drappello di verdì, là quello della "Ligue Communiste Révolutionnaire", più in là ancora quello del sindacato Sud. Certi pannelli mi erano familiari, li avevo visti alle manifestazioni per la pace un anno fa, e già allora mi avevano messo a disagio. C'erano delle fotocopie di kalaschnikov con lo slogan: «Viva la resistenza irachena!». Mi era sembrato strano che dei pacifisti andassero in giro con quei pannelli, quando ci si sarebbe potuto aspettare piuttosto un disegno di colomba. Ma avevo l'impressione che quei burloni brandissero le loro armi di carta nell'impossibilità di brandire armi vere, e che avrebbero volentieri sparato qualche raffica. Tra i due portatori di "kalash" di carta c'era una specie di hippy bisunto, dall'aspetto un po' sballato, che portava in giro una bandiera arcobaleno con la parola PACE cucita sopra, in non so più quale lingua. La scena aveva qualcosa di surrealista. Non era l'unico aspetto strano della manifestazione. In coda al corteo, dagli altoparlanti che una macchina portava sul tetto usciva una voce che salmodiava sbraitando: «Fanno la guerra, uh! - per il petrolio, uh!» A questo punto, e a mano a mano che risalivo la piccola folla, ho guardato con più attenzione i pannelli e gli striscioni portati dai manifestanti: da nessuna parte si parlava di petrolio, appena un po' di Iraq, e molto di Israele, Sharon e Palestina. A dire il vero, quella gente poteva difendere la causa che voleva, personalmente me ne infischio dell'Iraq, d'Israele e della Palestina. Ma mi ha colpito soprattutto il contrasto tra le parole e gli slogan, che camminavano come su strade parallele senza incontrarsi né farsi eco, così come il contrasto tra i kalaschnikov e la bandiera pacifista. Ho continuato a camminare, e a mano a mano che mi avvicinavo alla cima della sfilata, ho notato che c'erano sempre meno francesi sempre più uomini e donne di immigrazione. Per le donne, lo chador non era proprio di rigore, ma quasi. Una islamista aveva perfino messo dei guanti, e le pudiche fino alla radice dei capelli abbondavano. A metà corteo alcune agitavano una bandiera palestinese, e a partire di lì l'Iraq era dimenticato. Non c'era altro che Israele e Palestina, con una bandiera del sindacato Sud per mettere un po' di colore. Sono arrivato in cima al corteo più o meno tra la rue Négrier e la rue d'Angleterre, e lì la cosa è diventata francamente disgustosa. C'era una folla d'islamisti in grande tenuta che tenevano uno striscione, mentre un tipo teneva un microfono e un altro portava l'altoparlante. Ed ecco che la guida intona: - «GIUSTIZIA IN PALESTINA, SE NO...» E tutte le piccole musulmane in chador, in hijab o non so che cosa, che si trovavano all'inizio del corteo, rispondono in coro: - «ESPLODERA'!» [ça va péter!]. Avevo nausea e rabbia. Era veramente la parola di troppo, la parola immonda [in francese "péter" significa anche "scoreggiare", n.d.t.]. Quelle persone sono intelligenti. Sanno esattamente quello che dicono, e nel contesto attuale non possono ignorare che la parola non è neutra. Era un'allusione appena velata - se così posso dire - agli attentati, un grido d'approvazione, un rallegrarsi. - «... SE NO ... » - «ESPLODERA'!» Il corteo andava avanti, e le musulmane continuavano a urlare lo slogan. La gente si fermava, le guardava, incredula. Una vecchia coppia di francesi aveva l'aria costernata. Le musulmane, loro, esultavano, ridevano, un sorriso illuminava il loro viso! Bisognava vederli, quei sorrisi, mentre urlavano per la decima o la quindicesima volta: - «ESPLODERA'!» Oh! Sapevano bene quello che gridavano e se la godevano. Dicevano: "m..." a tutti. Ci sputavano in faccia... Ostentavano senza complessi la gioia che avevano per quello che era successo la settimana prima a Madrid. Era apologia aperta del terrorismo. Loro lo sapevano e noi, i passanti che le guardavamo, lo capivamo bene. Quello slogan non era una rivendicazione, era una minaccia. Aperta. - Ragazzini frantumanti dalla dinamite, - madri e padri che agonizzano, - membri feriti, mutilati, strappati, - corpi che sanguinano, - vite massacrate, - persone che muoiono, - sangue che cola e che non smette di colare... MADRID E chi saranno le vittime quando «esploderà»?... Chi? - Io? Tu? Noi? Voi? - Il bambino che entra nella pasticceria all'angolo? - Il ceramista che vende i suoi vasi nel negozio vicino alla rue Basse? - Il ragazzo alla moda che beve una birra al "Balatum"? - La ragazzetta che fa un salto al caffe letterario? - Io, un passante? - Tu, un lettore? Stomacato, ho superato il gruppo e mi sono allontanato il più in fretta possibile verso Place du Général de Gaulle, mentre alle mie spalle sentivo il musulmano che continuava a sbraitare nel suo microfono: - «... SE NO ...» E la folla che gli rispondeva: «ESPLODERA'!» (UPJG.org, 23 marzo 2004) 7. MUSICA E IMMAGINI Dance Like David 8. INDIRIZZI INTERNET Take a Pen (anche in italiano) Jerusalem Center for Public Affairs Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |