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Notizie su Israele 231 - 29 marzo 2004

1. Intervista al sindaco di un insediamento ebraico in Giudea
2. Arafat impressionato dal film di Mel Gibson
3. «Smettetela con i pellegrinaggi da Arafat»
4. La difesa d'Israele contro il terrorismo e contro l'Onu
5. «Aiutate Bush nella lotta contro il terrorismo!»
6. Vittima del terrorismo si rimette presto in piedi
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 26:9-10. Con l’anima mia ti desidero, durante la notte; con lo spirito che è dentro di me, ti cerco; poiché, quando i tuoi giudizi si compiono sulla terra, gli abitanti del mondo imparano la giustizia. Se si fa grazia all’empio, egli non impara la giustizia; agisce da perverso nel paese della rettitudine e non considera la maestà del Signore.
1. INTERVISTA AL SINDACO DI UN INSEDIAMENTO EBRAICO IN GIUDEA




Eitan Golan è sindaco di Efrat, un insediamento ebraico a pochi chilometri a sud di Betlemme, nei monti della Giudea. L'insediamento è stato fondato nella primavera del 1983, e oggi a Efrat vivono 7.500 persone. Eitan Golan è nato nel 1940 a Gerusalemme. Non ha mai conosciuto i suoi nonni. Sono
Eitan Golan, sindaco di Efrat
stati uccisi nella Shoah. I pochi membri della sua famiglia che sono sopravvissuti - tra cui i suoi genitori - sono emigrati negli anni '30 in Palestina, allora Mandato Britannico. Dopo aver terminato la sua formazione come agricoltore, è stato per undici anni ufficiale di carriera, ha studiato giurisprudenza e ha fatto carriera nella polizia israeliana. Dopo essere andato in pensione, è stato per due anni sostituto Direttore Generale nell'ufficio del Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Nel 2000 è stato eletto sindaco di Efrat, suo luogo di residenza. Da molti anni Eitan Golan e sua moglie Ruti sono attivi nel movimento dei coloni ebrei-ortodossi. Il colloquio con Eitan e Ruti Golan è stato tenuto da Johannes Gerloff, corrispondente di "israelreport".

israelreport: Come giudica la decisione del governo Sharon di sgomberare gli insediamenti ebraici nel quadro di una separazione unilaterale dai palestinesi?
Eitan Golan: Io sono stato tra quelli che nel maggio 2000 hanno caldeggiato il ritiro unilaterale dal Libano. Lì noi avevamo occupato una terra su cui non avevamo alcun diritto. Con i libanesi non avevamo mai avuto contrasti di frontiera. Eravamo scivolati troppo addentro in una situazione che da tempo avremmo dovuto concludere. A parer mio era necessaria una decisione coraggiosa per portare a casa il nostro esercito. Allora eravamo partiti dall'idea di fare una cosa giusta ritirandoci entro le frontiere internazionalmente riconosciute, e che anche gli arabi avrebbero visto con favore tutto questo. Il nostro problema è che non abbiamo pensato al fatto che la cultura araba ragiona in modo diverso da quella occidentale.

israelreport: Che cosa intende con questo?
Eitan Golan: Gli arabi hanno interpretato il nostro ritiro dal Libano come debolezza. La conseguenza è stata l'intifada Al-Aqsa, un tentativo di "libanizzare" la Giudea-Samaria. Gli arabi si sono detti: Come abbiamo cacciato gli israeliani dal Libano, adesso li cacceremo dalla Giudea-Samaria. Nella prima fase. In un secondo momento li cacceremo anche da Tel Aviv, Haifa e da tutti gli altri posti in Israele. Il "Mene-Tekel" è scritto alla parete [riferimento al libro di Daniele, 5:25, n.d.t.]. Se i palestinesi oggi ottengono un ritiro unilaterale d'Israele, il prossimo passo è già preannunciato.

israelreport: Come è arrivato alla decisione di trasferirsi in un insediamento?
Eitan Golan: La decisione è avvenuta una sera dell'anno 1977. Sedevamo nel nostro soggiorno in Givatajim, un sobborgo di Tel Aviv, dove conducevamo una vita bella, ordinata e tranquilla. Ruti ed io ci siamo chiesti: "Che cosa abbiamo fatto noi per il popolo d'Israele?"
Ruti Golan: A quel tempo il pensiero di un insediamento in Giudea, in Samaria, o nella striscia di Gaza era del tutto nuovo. "Se non partecipiamo attivamente adesso, un giorno potremmo pentirci, se il tentativo non riesce", pensavamo. Così ci siamo decisi. Non volevamo limitarci a fare una "politica da salotto", ma modificare la nostra vita, alzarci e fare qualcosa, senza badare a quello che sarebbe costato.

israelreport: Che cos'è che la lega al suo luogo di residenza, Efrat? Che diritto ha di abitare qui?
Eitan Golan: Otto volte viene citata Efrat nelle Sacre Scritture. Qualche tempo fa è venuto da me un giornalista giapponese che non aveva nessuna idea della Bibbia e della storia del popolo ebraico. Gli ho fatto semplicemente vedere quei passi biblici. E con ciò è detto tutto. Io abito qui, ai confini di Betlemme. Efrat è Betlemme. Viviamo nel luogo in cui hanno vissuto e sono sepolti i nostri padri. Con la violenza i romani ci hanno cacciati dalla nostra patria. Per duemila anni abbiamo vagato per il mondo, siam stati continuamente perseguitati, cacciati e sterminati in massa. Da ogni parte nel mondo io sono uno straniero. Soltanto qui è casa mia. C'è soltanto un posto al mondo che appartiene veramente al popolo ebraico: la terra d'Israele.

israelreport: Ma gli arabi che vivono qui...?
Eitan Golan: Dagli arabi io mi aspetto che riconoscano i miei diritti, come io riconosco i loro. Io rispetto il diritto di ogni persona a vivere come persona. Io onoro la proprietà di ogni persona. E mi aspetto dai miei vicini arabi che facciano altrettanto. So bene che gli arabi dicono che non vogliono cedere "neppure un centimetro e neppure un granello di sabbia". E' molto difficile bilanciare i diritti l'uno con l'altro. Tuttavia insisto: hanno il diritto di vivere qui. Ma anche noi abbiamo il diritto di vivere qui.

israelreport: Come spiega che i suoi connazionali israeliani in Eilat, Haifa o Tel Aviv vedono nei coloni ebrei in Cisgiordania il principale ostacolo alla pace? E' perché anche loro credono molto poco alla Bibbia, come molti europei, che contestano il vostro diritto a vivere qui?
Eitan Golan: Non ci si può sbarazzare così facilmente della Bibbia.
Ruti Golan
Ruti Golan: Fin dal maggio 1948 ci sono state qui, nell'insediamento Gush Etzion, delle località ebraiche. Sono state annientate dagli arabi. Gli abitanti di Kfar Etzion non sono stati nemmeno cacciati. Non hanno avuto nessuna possibilità di fuggire. Sono stati uccisi. Sono sopravvissuti soltanto i bambini, che pochi giorni prima dell'ultima battaglia sono stati portati a Gerusalemme. Soltanto nei diciannove anni dell'occupazione giordana - dal 1948 al 1967 - non ha potuto vivere qui nessun ebreo. Nel 1967 Israele ha di nuovo conquistato questo territorio nella guerra dei sei giorni. Da trentasei anni siamo di nuovo qui, siamo tornati nella nostra terra. I primi che si sono di nuovo insediati qui dopo il 1967 sono i bambini di Kfar Etzion.

israelreport: Supponiamo per un momento che lei rinunci ai suoi diritti biblici e storici. Ci sarebbe pace se tutti gli insediamenti ebraici fossero eliminati e Israele si ritirasse dietro la linea di armistizio del 1967?
Ruti Golan: I nostri interlocutori nelle trattative non sono né svizzeri né austriaci, ma arabi. Parliamo lingue diverse. I nostri vicini arabi vedono una concessione non come un gesto di buona volontà, ma come una debolezza. Da un'altra parte potrebbe anche essere una questione di dare e avere. La questione non è: "Dateci Gush Etzion e dopo finalmente ci sarà la pace!" Le pretese arabe non hanno limiti.

israelreport: La nuova, non ufficiale iniziativa di pace di Yossi Beilin e Yasser Abed-Rabbo, la cosiddetta "Iniziativa di Ginevra", prevede lo sgombero della vostra località di Efrat. Come avete reagito?
Eitan Golan: Il materiale dell'"Iniziativa di Ginevra" è stato distribuito in tutte le case d'Israele. Quindi l'ho trovato anch'io nella mia buca delle lettere. Non ho nemmeno aperto la busta. Tuttavia so quello che c'è. Insieme a tutta una serie di altre buste non aperte l'ho rimandata al mittente con questa scritta: "Chi vi ha eletti? Chi vi ha nominati? Chi vi ha mandati? Chi vi ha dato il diritto di parlare a nome dello Stato d'Israele? La vostra iniziativa è un tradimento, ai limiti dell'azione criminale".

israelreport: Andrebbe via se questo governo decidesse di sgomberare Efrat?
Ruti Golan: No way! Mai!
Eitan Golan: Dovrebbero portarmi via a braccia!

israelreport: Com'è il suo rapporto con i suoi vicini palestinesi?
Eitan Golan: Ottimo. Se voglio, posso andare oggi nei villaggi arabi vicini del tutto disarmato e mi sento completamente sicuro. Non mi sono invece sentito bene quando sono stato costretto a bloccare Efrat agli operai palestinesi, quando due anni fa - una volta al Purim e poi a Pessach - sono stati commessi due attentati suicidi.

israelreport: Quali soluzioni alternative vede per il conflitto palestinese-israeliano? Considera possibile un futuro pacifico per ebrei e arabi nella terra d'Israele?
Eitan Golan: Naturalmente!
Ruti Golan: Non durante la nostra vita!
Eitan Golan: Vedo la soluzione nel fatto che ognuno dei due popoli che hanno un legame con questa terra possa vivere qui secondo il suo modo.

Eitan Golan, indicando Efrat: «Un solo posto al mondo»

(israelreport, 1/2004)




2. ARAFAT IMPRESSIONATO DAL FILM DI MEL GIBSON




RAMALLAH - Il capo dell'OLP, Yasser Arafat, ha visto il film "La passione di Cristo", del regista e attore americano Mel Gibson, nel suo ufficio a Ramallah, insieme con un gruppo di cristiani americani, canadesi e britannici, e con dei religiosi musulmani. Dopo la proiezione ha detto che il film è "impressionante e storico". Il suo consigliere, Nabil Abu Rudeneh, ha paragonato le sofferenze di Gesù Cristo con quelle dei palestinesi. "I palestinesi sono tutti i giorni esposti alle sofferenze a cui Gesù è stato esposto durante la sua crocifissione", ha detto Rudeneh.

(Israelnetz Nachrichten, 24.03.2004)




3. «SMETTETELA CON I PELLEGRINAGGI DA ARAFAT»




L'ex parlamentare arabo israeliano Wahab Darawshe ha fatto appello ai parlamentari arabi israeliani perche' cessino la pratica dei "pellegrinaggi" alla Muqata, il quartier generale di Yasser Arafat a Ramallah, e cessino di glorificare Arafat in pubblico.
    Darawshe ha dichiarato al settimanale Kul el Arab che i suoi colleghi dovrebbero cercare di riequilibrare il loro impegno politico, pensando piuttosto i loro doveri versi le comunita' che li hanno eletti e impegnandosi per aiutarle a risolvere i loro problemi di vita quotidiana. Le attivita' politiche sul fronte del conflitto arabo-israeliano, ha spiegato Darawshe, non danno alcun frutto positivo sulla situazione concreta e nello stesso tempo non hanno alcuna influenza sulle decisioni politiche dei dirigenti palestinesi ne' su quelli israeliani.
    Darawshe e' da tempo un attivo promotore della pace. Nel 1997 organizzo' un incontro tra l'allora ministro delle infrastrutture israeliano Ariel Sharon e l'allora numero due dell'Olp Mahmoud Abbas (Abu Mazen), per cercare di superare l'impasse nei colloqui di pace. Nel 1999 si e' dimesso dalla Knesset dicendo che dopo alcune legislature e' meglio lasciare il posto a forze fresche, e di voler dare l'esempio in questo senso ai colleghi parlamentari sia arabi che ebrei. Di recente si e' impegnato nella battaglia contro gli "omicidi d'onore" e nella promozione dell'istruzione nel settore arabo della societa' israeliana.
    Le ultime dichiarazioni di Darawshe giungono a ridosso della pubblicazione sul quotidiano dell'Olp Al-Ayyam di un appello firmato da sessanta autorevoli esponenti e intellettuali palestinesi (tra i quali Hanan Ashrawi e Abbas Zaki) in cui si chiede ai palestinesi di abbassare le armi, ricorrendo piuttosto a mezzi pacifici di protesta, e di non vendicare l'uccisione del capo di Hamas Ahmed Yassin, dicendo che cio' non farebbe che provocare un ulteriore spargimento di sangue a tutto danno delle aspirazioni d'indipendenza palestinesi.

(Jerusalem Post, 26.03.2004 - israele.net)




4. LA DIFESA D'ISRAELE CONTRO IL TERRORISMO E CONTRO L'ONU




Non ci può essere pace e terrorismo,
Non ci può essere pace e Hamas.


Dichiarazione dell’Ambasciatore Dan Gillerman,
Rappresentante permanente d’Israele alle Nazioni Unite,
di fronte al Consiglio di Sicurezza dell'Onu.


Signor Presidente,
    In tre anni e mezzo di attacchi terroristici, che hanno ucciso centinaia di civili israeliani inermi e ferito molte altre migliaia, questo Consiglio non si è riunito nemmeno una volta per esprimere la condanna anche ad un solo attentato. Non una risoluzione, non una dichiarazione presidenziale è stata adottata da questo Consiglio per denunciare specificatamente il massacro deliberato dei nostri civili inermi. Nemmeno due mesi fa, quando 11 cittadini sono stati assassinati in un orribile attentato omicida in un autobus nel centro di Gerusalemme, il 29 gennaio. Nella nostra tragedia, i nostri sforzi di ottenere una qualche reazione da questo Consiglio non sono stati compensati nemmeno da una dichiarazione della Presidenza.
Eppure oggi, seguendo un triste modello ormai famigliare, il Consiglio si riunisce. Perché? Non per condannare il terrorismo, non per onorare la memoria delle centinaia di assassinati, ma per difendere uno dei principali perpetratori, il padrino del terrorismo. Questo non è un messaggio di cui questo Consiglio possa andare fiero.
    In verità, è un oltraggio.
    Finché fingeremo che la reazione al terrorismo sia più grave del terrorismo stesso, ne procureremo sempre di più. Se vogliamo dare un’occasione al processo di pace – il tipo di terrorismo che Sheikh Ahmed Yassin ha diretto e perpetrato, e che ha giurato di continuare senza soste, non può essere placato a mezzo di concessioni, deve essere sconfitto. Deve essere sconfitto non solo per il nostro bene, ma per il bene di tutto il mondo libero.

Signor Presidente,
    Sebbene il Consiglio di Sicurezza non si sia mai riunito per dibattere degli attentati di cui Sheikh Yassin è responsabile, tale lista è spaventosa e sconvolgente. Conferirgli il carattere di leader spirituale è come tentare di dire che Osama Bin Laden è Madre Teresa. Sotto le sue mentite spoglie sacerdotali, Sheikh Yassin è un vero pioniere dello spietato assassinio di innocenti. Sotto la sua guida diretta, per sua ispirazione ed istruzione, il Hamas – un’organizzazione conosciuta nel mondo per il suo terrorismo brutale – ha commesso oltre 425 attentati, in cui sono stati uccisi 377 israeliani e feriti altri 2076, in meno di tre anni e mezzo di violenze. Egli era alla testa di una struttura gerarchica e controllata, dedita alla distruzione di Israele. Se Sheikh Yassin non era un arciterrorista, significa che una cosa del genere non esiste.
    Ho in mano 187 pagine, che documentano le orribili dimensioni e l’orribile estensione del terrorismo del Hamas, che ha seminato un’angoscia indicibile nella vita dei cittadini d’Israele. Fra i 425 attentati, perpetrati dal Hamas dal settembre 2000, l’organizzazione ha commesso non meno di 52 attentati suicidi separati, in cui sono stati assassinati 288 israeliani e 1.656 sono stati feriti. Ne ricorderò solo alcuni, per darvi un’idea del male rappresentato da questo uomo e degli orrori che l’organizzazione da lui comandata ha inflitto, mentre egli ne rivendicava orgogliosamente la responsabilità.
    Ogni volta di nuovo, mentre le madri israeliane, nella più atroce sofferenza, seppellivano i loro piccoli e le vedove piangevano i loro mariti, la faccia giubilante di Sheikh Yassin appariva su tutti gli schermi televisivi, per esaltare gli assassini, chiamandoli martiri. Quella che sto per leggervi è una breve lista del suo spaventoso e sanguinoso curriculum:
  • Il 1° giugno 2001, attentato suicida alla discoteca del Dolfinario di Tel Aviv, in cui sono state assassinate 21 persone e altre 120 sono state ferite, quando un terrorista del Hamas si è fatto

  • esplodere in mezzo ad un numeroso gruppo di adolescenti in attesa di entrare nel locale;
  • Il 9 agosto 2001, attentato suicida in un ristorante di Gerusalemme, in cui sono state assassinate 15 persone e 130 sono state ferite;
  • Il 1° dicembre 2001, doppio attentato suicida all’isola pedonale di Ben Yehuda St. a Gerusalemme, in cui 11 persone sono state assassinate e 188 sono state ferite;
  • Il 2 dicembre 2001, attentato suicida in un autobus della linea 16 a Haifa, in cui 15 persone sono state assassinate e 40 sono state ferite;
  • Il 9 marzo 2002, attentato in un bar-ristorante di Gerusalemme, in cui 11 persone sono state assassinate e 54 sono state ferite;
  • Il 27 marzo 2002, prima sera di Pesach, attentato suicida nella sala da pranzo dell’Hotel Park, nella città costiera di Natania, in cui 30 persone sono state assassinate e 140 sono state ferite.
  • Il 18 giugno 2002, attentato suicida in un autobus doppio della linea 32 a Gerusalemme, in cui 19 persone sono state assassinate 74 sono state ferite. L’autobus, andato completamente distrutto, trasportava molti ragazzi diretti a scuola.
  • Il 4 agosto 2002, attentato suicida in un autobus della linea 361 all’incrocio di Meron, in cui 9 persone sono state assassinate e 50 sono state ferite;
  • Il 21 novembre 2002, attentato suicida in un autobus della linea 20 a Gerusalemme, in cui 11 persone sono state assassinate e 50 ferite;
  • Il 5 marzo 2003, attentato suicida in un autobus della linea 37 a Haifa, in cui 17 persone sono state assassinate e 53 sono state ferite;
  • Il 18 maggio 2003, attentato suicida in un autobus della linea 6 a Gerusalemme, in cui 7 persone sono state assassinate e 20 sono state ferite;
  • L’11 giugno 2003, attentato suicida in un autobus della linea 14 A a Gerusalemme, in cui 11 persone sono state assassinate e oltre 100 sono state ferite;
  • Il 19 agosto 2003, attentato suicida in un autobus della linea 2 a Gerusalemme, in cui 23 persone sono state assassinate e oltre 130 sono state ferite;
  • Il 9 settembre 2003, attentato suicida in un bar di Gerusalemme, in cui 7 persone sono state assassinate e 70 sono state ferite;
  • Il 29 gennaio 2004, attentato suicida  in un autobus della linea 19 a Gerusalemme, in cui 11 persone sono state assassinate e 44 sono state ferite;
  • E ancora solo la scorsa settimana, il 14 marzo 2004, al porto di Ashdod, in cui 10 persone sono state assassinate e 16 sono state ferite.
Le sue mani erano immerse nel sangue degli innocenti. Lo Sheikh Yassin istigava personalmente e autorizzava specificatamente gli attacchi omicidi, incoraggiava i singoli, uomini e donne, a diventare attentatori suicidi, dava ordine di lancio dei missili Kassam contro i centri israeliani, coordinava azioni congiunte con altre organizzazioni terroristiche e raccoglieva fondi per il terrorismo,  con una campagna organizzata in tutto il mondo arabo per raccogliere i milioni di dollari necessari a migliorare le capacità terroristiche del Hamas. 
    Con le sue parole ha fomentato un’ideologia di odio, incitamento e assassinio, glorificati come se fossero martirio. In numerose apparenze pubbliche, Sheikh Yassin ha chiesto ripetutamente l’intensificazione della “lotta armata” contro gli israeliani e gli ebrei “in ogni luogo”. Solo un giorno prima degli attentati gemelli al Café Hillel a Gerusalemme e alla fermata dell’autobus di Tzrifin, l’8 settembre 2003, che hanno fatto 17 vittime, Sheikh Yassin aveva chiesto al Hamas di attaccare i civili israeliani senza restrizioni, dicendo: “Non limiteremo il comando militare, i battaglioni o le fazioni”. E’ vero, non conosceva alcun limite.
    La lunga mano assassina di Sheikh Yassin non arrivava solo alle strade di Gerusalemme e Tel Aviv, ma anche alle strade di tutto il mondo. Era un arciterrorista con obiettivi internazionali e legami internazionali. Ha fatto appello perchè fossere commessi attacchi suicidi contro le forze americane ed inglesi in Irak e lodato Osama Bin Laden, augurandosi che Allah gli concedesse la possibilità di continuare a combattere contro gli Stati Uniti.
    Questo è l’uomo per il quale viene richiesta la difesa del Consiglio. Alle sue vittime è stata negata l’attenzione di questo Consiglio. Darete voi ora tale attenzione all’uomo sulle cui spalle grava la responsabilità diretta del loro assassinio?

    Signor Presidente, Membri del Consiglio,
In termini di paragone, il numero degli innocenti deliberatamente assassinati dai terroristi palestinesi al marzo 2004, corrisponde a 22.499 cittadini russi; a 43.136 cittadini statunitensi o a 58.963 cittadini dell’Unione Europea. Vi possono essere dubbi su che cosa avrebbero fatto i vostri paesi – e in alcuni casi hanno già fatto – di fronte ad un terrorismo di così vasta ampiezza e proporzioni? Chiedo a coloro che partecipano oggi a questo dibattito: potreste starvene in silenzio e con le mani in mano e aspettare che il prossimo attentatore omicida compaia alla vostra porta?
    Secondo ogni ragionevole livello di interpretazione della legge internazionale, Israele ha un diritto legittimo, o meglio un dovere, di difendersi contro tali combattenti illegali ed i loro comandanti, dediti all’assassinio del maggior numero possibile dei suoi civili. La leadership palestinese ha provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, di non avere intenzione di intraprendere anche una sola azione per combattere il terrorismo, com’è suo dovere fare, legalmente e moralmente. Questo assassino di massa, Sheikh Yassin, ha per anni vissuto ed agito non solo in libertà, ma sotto l’autorità protettiva ed il porto sicuro dell’autorità palestinese, in violazione delle norme internazionali più basilari. Che cosa volete che facciamo?
    Aspettare senza alzare un dito che Yassin e la leadership palestinese sottoscrivano la condanna a morte di altri civili inermi?  E’ dovere basilare del Governo d’Israele – come di ogni altro governo – di proteggere la vita dei propri cittadini dalla minaccia del terrorismo. Diversamente dai terroristi che affrontiamo, facciamo ogni sforzo, ed in condizioni terribilmente difficili, per ridurre al minimo i danni ai civili. Riconosciamo di avere delle responsabilità. Ma non negozieremo di giorno, per poi seppellire i nostri morti di notte. Eliminando Sheikh Yassin dalla scena internazionale, inviamo un messaggio molto deciso ai terroristi: uccidendo i nostri civili, non rimarrete immuni.
    
Signor Presidente,
    l’operazione di ieri costituisce un importante passo avanti nella nostra marcia contro il terrorismo fondamentalista nella nostra regione, consentendo un ritorno al processo di pace. Sheikh Yassin è stato uno dei grandi ostacoli alla cessazione delle ostilità ed alla ripresa dei negozioati. Un blocco stradale sull’itinerario verso la pace. Da quando, nel 1987, fondò il Hamas dai ranghi dei Fratelli Musulmani, l’organizzazione si è opposta ai colloqui di pace con Israele, ed ha tentato contrastare ogni singola iniziativa di pace. Così la domanda non dovrebbe essere “perché adesso?” La domanda dovrebbe essere “perché non prima?”
    Non ci può essere pace e terrorismo. Non ci può essere pace e Hamas. La Road Map richiede esplicitamente l’eliminazione del Hamas e delle altre organizzazioni terroristiche, chiede la cessazione dei finaziamenti e del sostegno ai loro sforzi e riconosce che la pace è impossibile mentre a tali messaggeri di morte è consentito di prosperare.
    Israele resta impegnato alla pace. Continueremo a sperare che emerga un interlocutore di pace, così da poter arrivare ad una soluzione politica, basata sull’applicazione della Road Map. Nel frattempo, il Primo Ministro Sharon ha annunciato i piani per delle coraggiose misure di separazione, che hanno il potenziale di ridare energia al processo.
    La leadership palestinese ha una scelta. Può continuare ad allearsi con terroristi e tiranni. Può continuare nella sua strategia moralmente depravata di omicidio e terrorismo e così facendo, continuare a portare sofferenze e disperazione al popolo israeliano e  a quello palestinese. Ma può anche scegliere una via diversa. Può provare al mondo di essere pronta ad assumersi responsabilità, non solo privilegi. Può mostrare di essere pronta a formare una società democratica, che rispetti i diritti del proprio popolo e quelli dei suoi vicini, e non solo ad essere un’altra dittatura terrorista nel cuore del Medio Oriente. Israele è pronto, come sempre, ad essere il partner di una leadership di questo tipo.
    Anche il Consiglio di Sicurezza ha una scelta. Non è obbligato a continuare a mandare messaggi, che mettano sotto processo la risposta al terrorismo, invece del terrorismo stesso. Non è obbligato ad appoggiare iniziative che difendono il terrorismo, piuttosto che le sue vittime.
Sulla scia delle risoluzioni 242, 338 e 1373, questo Consiglio può anche inviare un altro messaggio: un messaggio di speranza e di pace. Un messaggio che non finga che si tratti di un conflitto in cui una parte ha il monopolio dei diritti e delle vittime. Un messaggio che respinga senza compromessi il terrorismo.
    Che messaggio invierete, oggi, alla nostra regione ed al resto del mondo?
    Grazie, Signor Presidente.

(Keren Hayesod , 23 marzo 2004)




5. «AIUTATE BUSH E SHARON NELLA LOTTA AL TERRORISMO!»




Abbiamo ricevuto per posta elettronica il testo della seguente lettera, inviata dalla California al governo degli Stati Uniti.

Gentile Governo ufficiale,
    Molti dei nostri giornali nazionali sono stati così bravi da riuscire a riassumere in una sola frase i veri propositi di Hamas. “Hamas vuole distruggere lo stato ebraico e sostituirlo con uno slamico” (Palo Alto Daily, 3/23/04, tra gli altri). Caspita! Hanno colpito nel segno.
    Hamas vuole semplicemente cancellare Israele e sterminare i suoi 5.6 milioni di ebrei. Vi suona familiare? E’ quello che gli arabi sudanesi stanno facendo da 20 anni per annullare i cristiani africani e gli animisti sudanesi, per arrivare al totale complessivo di circa due milioni di vittime fino ad oggi.
    Hussein Massawi, ex leader di Hezbollah, ha detto con parole di entusiasmo: “Israele, noi non ti combattiamo perché vogliamo qualcosa da te, ma ti combattiamo perché vogliamo distruggerti”(citato in "Fouad Ajami, Dream Palaces of the Arabs"). Abdul Azziz Rantisi (attuale capo di Hamas) ha detto qualcosa di simile: “Non c’è posto per uno stato ebraico in Palestina.” E nel caso ci fosse qualche dubbio sulle intenzioni, il deceduto sceicco in persona ha profetizzato: “Distruggeremo Israele…, anche se dovessimo farlo un ebreo alla volta.”
    Ora i critici sostengono che l’esecuzione di Yassin ritarda le negoziazioni. Dove pensate che possano cominciare le negoziazioni? Dovrebbe forse Israele proporre ai terroristi arabi di uccidere soltanto metà degli ebrei?
    Alcuni commentatori sostengono che le esecuzioni non faranno altro che generare altro odio? Hamas vuole già ogni ebreo morto. Che cosa vuol dire altro odio? Ucciderli due volte?
    Altri lamentano che “... questo non farà avanzare la causa della ... pace"? Non c’è nessuna “causa della pace”, se tutto Hamas vuole la totale distruzione d’Israele.
    Alcuni "senior law enforcement agents" pensano che prima di adesso Hamas non ha mai avuto di mira gli Stati Uniti. Falso. Vi ricordate i tre agenti della CIA che rimasero uccisi quando la loro macchina andò a sbattere contro una mina mentre accompagnavano a Gaza una scolaresca di adolescenti di Fulbright? Vi ricordate la dozzina di americani, fra turisti, studenti e residenti d’Israele, ammazzati insieme agli israeliani nei 18.000 attacchi terroristici dal 9/13/93? Vi ricordate l’infocatissimo discorso retorico di Yassin dalla sua quadriplegica sedia a rotelle, nel lontano 1996: “Quando avremo finito con Israele, cominceremo con gli Stati Uniti!”
    Qualcuno pensa forse che i capi mondiali hanno ragione a condannare Israele per aver ucciso due terroristi palestinesi con le mani sporche del sangue di centinaia di persone? Ogni altra nazione, comprese l’America e l’Ingilterra, fa le stesse cose in tempo di guerra a quelli che sono considerati nemici dello Stato. Gli Inglesi assassinarono i nazisti dopo la seconda guerra mondiale, ed eliminarono l’IRA che operava nell'Irlanda del Nord. Gli Stati Uniti usarono un aereo telecomandato per uccidere sei terroristi di Al-Qaeda nello Yemen, nel novembre 2002. Quando venne confermata la complicità della Libia negli attacchi di Lockerbie, il Presidente Reagan diede ordine di bombardare il palazzo di Gheddafi nell'aprile dell'86. Lui non venne colpito, ma fu uccisa sua figlia appena nata. Riguardo a quella bomba, il Presidente Reagan disse: “Come autodifesa, ogni nazione vittima del terrorismo ha un diritto innato di rispondere con la forza, come deterrente contro altri atti di terrorismo…(mostrando così)… che si deve pagare un prezzo per un comportamento di quel tipo” (Washington Post, 4/86).
    Ora, per dirla in breve: l'appeasement rinforza l'aggressore.
    Gli ipocriti e gli uomini di vista corta che accusano Israele tranquillizzano gli aggressori, condannano la vittima, e appoggiano coloro che cercano di portare a compimento quello che Hitler ha iniziato.
    Per favore, aiutate il Presidente Bush ed il Primo Ministro Sharon nella loro guerra contro il terrorismo, in Israele e nel mondo.

David Meir-Levi
Director: Research and Education
Menlo Park, CA 94025




6. VITTIMA DEL TERRORISMO SI RIMETTE PRESTO IN PIEDI




ASHDOD - Tra gli israeliani che sono stati gravemente feriti due settimane fa nell'attentato suicida di Ashdod, c'era anche lei. Ma con grande sorpresa dei medici, Michal Koplowitz può già stare sulle sue gambe, e per nessuna ragione vuole rinviare il suo matrimonio, fissato fra due mesi.
    Quando, il 14 marzo scorso, la ventisettenne Michal aveva finito il suo lavoro nella ditta di container al porto di Ashdod, improvvisamente udì un'esplosione. Insieme con le sue colleghe informò le forze di soccorso e la polizia. «E poi, quando siamo uscite fuori, c'è stata improvvisamente una seconda esplosione», ha raccontato Koplowitz al quotidiano "Yediot Aharonot". «L'esplosione mi ha fatto volare in aria. Sono stata ferita in tutto il corpo, alle mani, al collo e ai piedi. Ero scioccata».
    Degli amici hanno aiutato la giovane donna a raggiungere un'autoambulanza. E' stata portata in fretta all'ospedale Tel HaSchomer. I medici hanno considerato gravi le sue ferite, ed essendo in pericolo di vita l'hanno portata alla stazione di trattamento intensivo. Aveva schegge nelle vie respiratorie, nelle braccia e nelle gambe. Nel frattempo il suo fidanzato, Rimon Yadidi di Aschkelon, la stava cercando dappertutto, e dopo diverse ore riuscì a trovarla nell'ospedale.
    Con sorpresa dei medici, dopo soli due giorni Koplowitz stava già molto meglio. «Quello che mi ha dato la forza per guarire è stato il fatto che c'era il nostro matrimonio, e Rimon ha insistito che avvenisse alla data stabilita», ha detto. Il fidanzato è rimasto tutto il tempo vicino a lei. Secondo il parere dei medici, sono stati il suo ottimismo e la sua forza morale a permetterle di guarire così presto.
    «Abbiamo ricevuto in dono nostra figlia», ha detto suo padre, Baruch Koplowitz. «Che posso dire? E' un miracolo. Adesso per Michal ci saranno due feste di compleanno: il giorno della sua nascita, ventisette anni fa, e il giorno in cui è nata un'altra volta dopo l'attentato. Abbiamo passato brutti giorni, ma adesso va meglio: sta sulle sue gambe e sta a casa con noi.»
    Davanti alla paziente c'è ancora un lungo tempo di riabilitazione. Ma i medici sono fiduciosi, e sono convinti che se la caverà facilmente.
    Nel frattempo Michal Koplowitz è occupata con i preparativi del matrimonio, che secondo quanto stabilito avverrà il 17 maggio ad Ashkelon.
    
(Israelnetz Nachrichten, 25.03.2003)




7. MUSICA E IMMAGINI




Sunrise, Sunset




8. INDIRIZZI INTERNET




The Jewish Community of Hebron

Messianic restoration of the Kingdom




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