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Notizie su Israele 242 - 5 giugno 2004

1. Caccia agli attentatori suicidi e ai loro mandanti
2. Musica e immagini
3. Indirizzi internet
Amos 5:4. Così dice il Signore alla casa d’Israele: «Cercatemi e vivrete».
1. CACCIA AGLI ATTENTATORI SUICIDI E AI LORO MANDANTI




I soldati dell'unità scelta israeliana Orev danno la caccia agli attentatori suicidi palestinesi e ai loro mandanti. Per la prima volta si lasciano accompagnare da un reporter del quotidiano tedesco "Die Zeit", che in realtà non si limita a riportare i fatti osservati, ma li inserisce in una sua visione del conflitto mediorientale che il lettore non farà fatica a riconoscere.


Pattuglie in agguato

di Reiner Luyken

Il punto d'appoggio militare israeliano di Migdalim  
Quattro soldati stanno accovacciati e immobili, di notte, dietro un muro di pietre che confina con l'insedia- mento ebraico Migda- lim. I loro apparecchi a raggi infrarossi e i loro binocoli notturni sono diretti verso un vil- laggio palestinese di fronte. Osservano ogni movimento. I raggi dei fari delle auto s'infilano tra le case. Un asino avanza lungo la strada. Per il resto tutto tace. Ogni tanto il coman- dante del gruppo dice qualcosa di poco com- prensibile nel suo apparecchio radio. A un certo punto risuona ripetutamente il grido dei Muezzin, prima da Yurish, poi da Kusra: "Allahu Akbar", "Allah è grande". Pausa. Poi di nuovo: "Allah Akbar". I quattro soldati non si muovono. Aspettano la loro vittima.
    L'uomo a cui mirano non si fa vedere. Nelle ultime settimane ha continuato a bruciare vecchi pneumatici. Prima a una certa distanza, poi sempre più vicino a quell'alta staccionata che racchiude il villaggio Migdalim a sud di Nablus. Era una protesta? O dietro a quei fuochi si nascondeva qualcos'altro? Forse un'unità di lotta palestinese vuole tastare le reazioni degli occupanti. Ieri sera, evidentemente lo stesso uomo ha dato fuoco a un palo della luce, il che potrebbe essere un tentativo di bloccare il rifornimento di energia. E' forse il segno di un imminente attacco?
    Sono passate appena quattro settimane da quando l'aviazione israeliana ha ucciso il leader di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin. In seguito a questo Hamas ha annunciato che con il suo ordine dell'attentato il Primo Ministro Ariel Sharon aveva aperto la "porta per l'inferno". Dopo di che il Premier ha ordinato anche l'eliminazione del successore di Yassin, Abdel Asis Rantisi, che la settimana scorsa alla fine è stato liquidato. Dopo l'attentato allo sceicco Yassin, l'esercito israeliano è in alto stato di allarme. Tutti si aspettano una reazione.
    Per il momento la Cisgiordania è ancora calma. A quel che sembra Migdalim è un posto tranquillo. Ai piedi della collinetta ogni mattina un contadino ara con il suo asino la terra scura gridando: "Hu, hu, ho!" Lo sguardo va oltre le terrazze di boschetti di ulivi, oltre i pini, i verdi campi primaverili, le moschee e i villaggi, e arriva fino ai monti di là della valle del Giordano.
    Migdalim è un villaggio isolato con circa novanta coloni e ben cinquanta soldati. I soldati vivono - sarebbe meglio dire "sono accampati" - in tre baracche sbiadite dal sole e una mezza dozzina di container. Fuori crescono rigogliosamente cereali selvatici e erba alta fino ai fianchi. Dentro regna una terribile confusione. Uniformi parzialmente rammendate e rattoppate, giubbotti antiproiettile, caschi, borse di roba sporca, sacchi a pelo e fucili disseminati su tavolacci a due piani di metallo. Musica a tutto volume viene fuori da apparecchi stereo appoggiati su casse di munizioni; a sinistra rimbomba musica pop israeliana, a destra Elvis Presley. Ciò nonostante, alcuni soldati dormono come sassi sui loro letti, altri divorano patatine fritte e cioccolata.


Un ufficiale porta i calzoni come uno skateboarder

Qui non si riesce a distinguere facilmente un soldato da un ufficiale. Dopo il pranzo sia gli uni che gli altri lavano piatti e posate. Il saluto militare non esiste. Uno, che più tardi si rivela essere un ufficiale, porta i calzoni abbassati a metà come uno skateboarder; tra i calzoni e la giacca fanno capolino i boxer shorts. Se non fosse un posto di combattimento, si direbbe di essere capitati in un campo ferie per bambini di città.
    "Può sembrare molto informale", ammette il sottotenente Matan, "ma tuttavia siamo un esercito!" Agli occhi di molti esperti militari, è perfino il più forte esercito del mondo. Il capitano Asman, comandante della truppa, crede di più alla superiorità dell'ideale ateistico di libertà che al "disciplina e ordine" degli eserciti spartani. Asman, con i suoi spessi occhiali da vista, sembra un intellettuale. I giovani appartengono all'unità scelta israeliana Orev, che per la prima volta ha permesso a un reporter di accompagnarli giorno e notte.
    Orev è una parola mista formata da "cornacchia" e "imboscata". Tutti si sono presentati al reparto come volontari e hanno dovuto superare una durissima prova di ammissione: tre giorni e tre notti nel deserto, per ore sono stati istigati e tormentati, per verificare la loro capacità di resistenza fisica e mentale. Da due mesi stazionano adesso a Migdalim.
    La truppa è specializzata nella caccia agli attentatori suicidi palestinesi e ai loro mandanti. Dalle cinque del pomeriggio il capitano Asman siede nel suo container davanti alle carte e alle fotografie aeree della città di Nablus. I servizi di informazione israeliani hanno identificato due indirizzi di case in cui questa notte due sospetti devono essere arrestati: un potenziale attentatore suicida e un mandante di terroristi.
    Il servizio segreto per l'interno, Shin Bet, e il servizio di controspionaggio sono riusciti a ricoprire la società palestinese con una fitta rete di collaboratori. Vengono reclutati con i soliti sistemi: soldi, privilegi, anche ricatti. Alcuni possono anche essere convinti che i gruppi terroristici Hamas o Jihad islamica portano alla rovina il popolo palestinese.
    Per ognuno di quelli che forniscono informazioni agli israeliani non c'è possibilità di tornare indietro. Chi viene scoperto, di regola paga con la vita. Dall'inizio dell'intifada, nel settembre 2000, sono stati giustiziati, soprattutto dalle Brigate Al-Aqsa, una filiale del movimento Fatah di Yasser Arafat, più di ottanta agenti che collaboravano con Israele. Alcuni di loro sono stati linciati; 17 condannati a morte dai tribunali aspettano la loro esecuzione. Le valutazioni sul numero dei collaboratori attivi oscillano tra alcune migliaia e parecchie decine di migliaia.
    Gli uomini del capitano Asman sanno abbastanza bene quello che li aspetta durante la loro missione. Le informazioni che ricevono in anticipo sono quasi sempre dettagliate e precise: "Noi sappiamo già se l'uomo in questione è armato o no. Qualche volta dobbiamo cercare le armi, qualche volta no. Qualche volta possiamo lasciar passare del tempo, altre volte dobbiamo muoverci il più presto possibile".
    Le fotografie aeree mostrano ogni dettaglio della vita quotidiana: il traffico stradale, l'andare e venire delle persone, i precisi contorni delle case, le postazioni difensive, tutto questo si può vedere. Le fotografie vengono riportate su CD. I soldati che durante la missione siedono al volante questa notte mettono i CD nel computer e studiano continuamente sullo schermo il percorso verso l'obiettivo. Le posizioni pericolose vengono ingrandite e si stabilisce dove bisogna fermarsi e quali precauzioni bisogna prendere.
    La guerra contro la rivolta dei palestinesi, spiega il capitano Asman, si trova in una nuova fase. Subito dopo l'inizio dell'intifada, l'esercito israeliano circondava le città palestinesi. Dal punto di vista israeliano la tattica si è rivelata un insuccesso, perché non è stata in grado di bloccare gli attentati suicidi a Tel Aviv e a Gerusalemme. Il 3 aprile 2002, in un attentato all'Hotel Netanya, sono morte 28 persone appartenenti a una grande famiglia mentre celebravano la loro cena di Pessach. A questo attentato ha fatto seguito l'operazione "Scudo difensivo", che implicava la rioccupazione delle città sgombrate dopo l'accordo di Oslo e la distruzione del campo profughi in Jenin, che allora era il più grande centro di organizzazione del terrorismo. La continuazione dell'occupazione non era possibile, nelle città l'odio cresceva sempre più. Oggi l'esercito fa irruzione nelle città e nei villaggi palestinesi soltanto con rapidi attacchi. "Pungere come un'ape", dice il capitano Asman per spiegare la nuova tattica, citando il motto dell'ex pugile Mohammed Alì.
    La sera, alle otto, discussione strategica in mensa con tutti quelli che questa notte devono partecipare all'azione prevista. Ognuno può parlare, fare proposte, criticare i piani. Dopo di che la truppa aspetta altre istruzioni nella sala della televisione. I soldati si vedono Mosè, una melodrammatica versione-Walt-Disney dell'Antico Testamento, la liberazione dalla schiavitù, la fuga dall'Egitto. Su un altro canale trasmettono la sensazionale vittoria del Deportivo de la Coruña sul AC Milan nella Champions League. Questa trasmissione però non provoca nemmeno la metà dell'interesse che suscita invece la partecipazione alle eroiche apparizioni di Mosè davanti agli oppressori egiziani del popolo ebraico. Soltanto nelle pause di propaganda si cambia canale per vedere a che punto sta la partita.
    La partenza viene rinviata. Una volta, due volte. Il sottotenente Matan, che non è ancora riuscito a togliersi del tutto dalla faccia i colori di mimetizzazione che si era spalmato per la missione del pomeriggio, sembra stanco. Oppure è tensione? Quando la settimana scorsa i soldati sono penetrati a Nablus, una bomba è esplosa vicino alla Jeep, senza del resto fare danni. Fino ad ora l'unità ha avuto molta fortuna. Nessuno vuol dire il numero esatto delle persone sospette che fino ad ora hanno arrestato: "da uno a duecento". Si dice invece che fino ad ora nelle azioni di combattimento non si è perso nessun soldato. Uno soltanto ha subito una grave ferita alla mano e ha dovuto lasciare il servizio.
    Dopo mezzanotte arriva l'ora. Ventidue soldati indossano i loro giubbotti antiproiettile, prendono apparecchi radio, strumenti di osservazione notturna, fucili, caricatori di riserva e bombe a mano. Un autista ripassa ancora una volta sul computer la strada da fare, mentre sgranocchia una fetta di pane non lievitato di Pessach. "Siamo un esercito kosher", commenta qualcuno ironico. Dopo di che i soldati, pesantemente equipaggiati, salgono su due jeep e un camioncino.
    In viaggi come questo, commenta il maresciallo Uzi, ci sono sempre momenti di paura. Nello stesso tempo definisce questi giri notturni come "lavoro", parla del "lavoro importante che facciamo". "Per esempio, dice, abbiamo preso i responsabili dell'attentato a Netanya". A Hebron e a Betlemme il loro lavoro è meno pericoloso, dice Uzi. Là i terroristi abitano, di solito isolati, in vicinanza di persone che non sono interessate alla violenza. A Jenin è peggio, e Nablus è il terreno più pericoloso in tutta la Cisgiordania. Il capitano Asman definisce la città come "il centro del terrorismo". I vicoli della città vecchia sono imbottiti di esplosivi, e dalle case circostanti spesso si spara.


E' importante non scambiare alcuna parola con i sospettati

Questa volta funziona tutto secondo il piano. Parte un colpo a vuoto, ma del resto non accade nulla di imprevisto. In 40 minuti quattro "catturatori" prendono i due ricercati nelle loro case, li caricano, con gli occhi bendati e le manette ai polsi, sulle loro macchine e li consegnano al quartier generale della brigata, all'incrocio di Tapuah. Durante il tragitto vige il principio: non dire una parola ai sospettati, non toccarli!
    Secondo i loro dati, l'esercito israeliano arresta ogni settimana tra i 100 e i 150 sospetti terroristi. Ogni interrogatorio fornisce informazioni per altri arresti. Dagli interrogatori si deduce, così dicono, che le organizzazioni terroristiche lavorano sempre più a stretto contatto. Un alto pagamento sostituisce sempre di più l'ideologia come incentivo. E' soprattutto l'Iran che, attraverso il libanese Hezbollah, fornisce di mezzi finanziari Hamas, le Brigate Al-Aqsa e la Jihad islamica. L'esecuzione di un attentato suicida riuscito procura al relativo mandante una somma tra i 3.000 e i 10.000 shekel, secondo il numero delle vittime, cioè tra i 500 e i 1.800 euro. Un mucchio di soldi negli impoveriti territori palestinesi. Soltanto gli attentatori suicidi - "i gradini più miserabili della gerarchia", dice un soldato dell'unità - vengono preparati con promesse del paradiso celeste.
    Il maresciallo Yair, robusto, sottili occhi blu, barba irsuta, lavora come "catturatore". Di tutta la truppa, è quello che rassomiglia di più a un rambo. Il ventunenne figlio di un uomo d'affari rimasto in Turchia ricorda di essersi sentito "sporco e meschino" le prime volte che ha fatto irruzione in case palestinesi. "Io, un giovane, entro a forza nella sfera privata di altre persone. Ordino loro di fare questo e quest'altro. I bambini hanno paura, le donne hanno paura, tutti sono spaventati... E' difficile in questi casi mantenere la propria umanità".
    L'addestramento militare non l'ha preparato ai suoi compiti?
    "Dal punto di vista psicologico assolutamente no", dice Yair. "La nostra formazione avviene sotto una campana di vetro. Con la realtà dobbiamo cavarcela da soli."
    Come si svolge la cosa? Di nuovo Yair parla vagamente della necessità di mantenere l'"umanità". Da come lo dice, sembra quasi un'autoflagellazione. "Vedo bene che i palestinesi sono uomini come noi. Vedo come i loro visi si trasformano in maschere. Vedo come cresce in loro la collera. Anche nel terrorista posso vedere la persona. Ma il lavoro deve essere fatto."
    Qualche volta Yair pensa che la routine e il servizio continuato, ormai sono 28 giorni di fila, lo butteranno a terra. Vorrebbe smettere di fumare. "Ma spesso penso soltanto al fumo". L'esercito ha cambiato la sua personalità? Sorride: "Lo saprò soltanto quando uscirò fuori di qui".
    Tutti gli israeliani, ad eccezione degli arabi israeliani e degli ebrei ultra-ortodossi, che rifiutano lo stato d'Israele e la sua ideologia secolare, alla fine della scuola devono fare tre anni di servizio militare, di cui un anno di formazione di base, o al fronte o nell'amministrazione. Per questo ricevono soltanto 700 shekel, qualcosa di più di 100 euro al mese. Anche il maresciallo Ohad avrebbe potuto essere esentato dal servizio. Lui è venuto al mondo in Israele, è cresciuto negli USA ed ha una doppia cittadinanza. Ma a 19 anni è tornato indietro "perché qui la vita è molto più intensa. Mi piace il sentimento israeliano di patriottismo. Io amo Tel Aviv, una città per l'uomo moderno." Ma quando il maresciallo deve spiegare perché si è offerto come volontario per il servizio militare, usa un'espressione sorprendentemente antiquata: "Volevo essere un guerriero".
    D'altra parte Ohad è tutt'altro che un fanatico. Non si fa illusioni sui lati oscuri della società israeliana, sui pregiudizi verso i palestinesi e sulle riserve che gli ebrei del nord hanno verso gli ebrei di provenienza meridionale. Lui stesso proviene dal matrimonio misto di una madre settentrionale con un padre di provenienza marocchina. Non ha neppure niente di militaresco. D'un tratto diventa serio. I suoi occhi scuri sembrano quasi malinconici. Parla a bassa voce, con frasi ben ponderate. Poi diventa di nuovo un intrattenitore e imita su due piedi il comico inglese Ali G. Dice che prima o poi diventerà un attore.


Dopo il servizio militare vogliono fare tutti un viaggio per il mondo

Fra due settimane il suo servizio nell'esercito israeliano finirà. Dopo di che Ohad si cercherà un lavoretto e alla fine farà un viaggio in Sud America. Quasi tutti i suoi compagni hanno questo desiderio. Dopo il servizio militare un anno di vagabondaggio per il mondo, in India, in Australia, in Nuova Zelanda. Un atto di individuale liberazione, di sollievo o - come l'ha espresso Ohad - per vivere finalmente "come tutti gli altri giovani al mondo".
    Ha mai rimpianto la sua decisione di entrare nelle forze di combattimento israeliane? "No. Il servizio militare e questa unità", dice, "mi hanno dato molto. Uno strumento di lavoro per la vita." Se gli si chiede qual è il momento che più l'ha impressionato nel suo periodo di servizio, gli viene in mente anzitutto - in modo molto poco guerresco - il momento in cui una pallottola ha mancato per un soffio la sua testa. "Quando è successo", ricorda Ohad, "non è stato così brutto. Ma dopo!"
    Anche tre soldatesse appartengono all'unità del capitano Asman. Fra qualche giorno riceveranno l'ordine di andare a Migdalim. La ventenne Reut è una di loro. Si viene a sapere che è responsabile per "Formazione e cultura". Organizza gite e concerti e si occupa anche di preparare l'iniziazione delle reclute che si tiene ogni anno a novembre sulla collina Anuv, nel deserto in vicinanza di Arad. Reut mantiene i contatti con le famiglie dei dieci membri della truppa che sette anni fa sono rimasti uccisi per lo scontro di due elicotteri.
    Quando Reut entra nell'alloggiamento i visi dei soldati si illuminano. Le tremolanti immagini della televisione non interessano più nessuno. Nella sua uniforme non particolarmente graziosa, e senza pensare all'effetto, Reut irradia una rinfrescante femminilità. In modo conforme reagiscono i giovani, non con allusioni o tentativi di aggancio, ma come incantati. E' una di loro, una compagna di lavoro, e ha qualcosa che ai colleghi maschi manca: una sicura capacità di giudizio. E' una di loro, ma li osserva come una che sta all'esterno. Non si dà delle arie. "I giovani", dice Reut, in effetti pensano che stanno facendo soltanto il loro lavoro. Io temo però che il loro servizio li danneggi internamente. Loro non lo notano. Questo non avviene in superficie, ma dentro, nel profondo. Vedo questo in un mio amico. Sta nelle forze speciali. E' cambiato, è diventato più vecchio, ha perso la sua giovinezza."
    Reut osserva come i soldati affrontano la paura: con scariche di adrenalina, come succede dopo l'uso della violenza. "Conducono due vite separate, una nell'esercito e una a casa. A casa non parlano

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della loro vita nell'esercito. Nell'esercito si stringono sempre più strettamente fra di loro. Si vogliono bene come fratelli, veramente, si amano dal profondo del cuore."
    Poiché i soldati a casa non parlano di quello che fanno nelle missioni, passano insieme ai loro compagni anche i fine settimana liberi. Escono insieme, vanno insieme nei locali notturni e a ballare. Non sono certo queste le condizioni ideali per una relazione amorosa. "Come ragazza", dice Reut, "si deve essere molto forte per tenere in piedi una simile relazione. Ci si vede al massimo due volte al mese per due giorni. D'altra parte, avere un amico che cattura i terroristi a Nablus con la truppa Orev, è una cosa che procura un prestigio favoloso. E' ben diverso dall'avere come amico un soldato che svolge un qualsiasi lavoro di amministrazione a Tel Aviv. Sa come chiamiamo una ragazza così? Una girl."


Ottocento bombaroli suicidi vogliono farsi saltare in aria contemporaneamente

Le Forze Speciali israeliane e l'aviazione hanno ucciso fino ad oggi 168 membri della rivolta palestinese. Molti leader dell'intifada sono morti, altri, come Marwan Barghuti, sono in carcere. La perdita di leader che pensano strategicamente ha come conseguenza un sempre maggiore squilibrio militare a sfavore dei palestinesi. E' un'impressione che in ogni caso si ottiene quando si accompagnano i soldati dell'Orev nei loro pattugliamenti e nelle loro azioni. Oggi essi dispongono di una libertà di movimento praticamente illimitata.
    Durante la guerra nell'Irlanda del Nord, la piccola IRA ha rappresentato una minaccia incomparabilmente maggiore per l'esercito britannico. C'erano zone che per i britannici erano inaccessibili, anche con veicoli corazzati. Gli israeliani controllano il terreno quasi a loro piacimento. Le sole armi efficaci dei palestinesi sono gli attentati suicidi negli autobus e nei bar. Dei 943 israeliani morti dal settembre 2000, 402 sono morti in attentati di questo tipo. Tuttavia gli attentati suicidi sono un'arma della debolezza, un'arma della disperazione.
    Hamas, per lo meno la direzione residente a Damasco, sembra che lo riconosca. In un'intervista dell'emittente hezbollah Radio Nur, fatta dopo l'uccisione di Yassin, l'uomo di collegamento residente in Libano faceva capire ai suoi colleghi in Cisgiordania e a Gaza che "singoli martiri hanno ottenuto grandi successi, ma adesso che siamo prossimi a una decisione, dobbiamo applicare una tattica che porta a risultati decisivi. Dobbiamo assestare un colpo concertato e perfettamente orchestrato". "700 o 800 attentatori suicidi", ha aggiunto, "dovrebbero bastare per procurare al nemico uno choc di enorme grandezza strategica. Dovrebbero farsi saltare in aria contemporaneamente nei punti di addensamento delle città del nemico. Non sciupate le vostre risorse in piccole operazioni. Siate pazienti e scegliete il momento più opportuno per il piano".
    Che riescano a realizzare un simile progetto di gigantesco attacco, è più che improbabile. Sempre meno attentatori suicidi raggiungono l'obiettivo. Nel primo trimestre del 2002 i gruppi di combattimento palestinesi hanno eseguito 40 attacchi in Israele. Nel primo trimestre 2004 gli attentati sono stati in tutto 5. Nella primavera del 2002 l'esercito israeliano, stando ai suoi dati, ha sventato uno su tre tentativi di attacco. Negli ultimi mesi sono andati in porto soltanto da uno a due attentati suicidi su dieci.
    A sud di Migdalim passa una strada molto ben attrezzata che in direzione ovest porta in Israele e in direzione est arriva fino a Ramallah e a Gerusalemme. Soltanto gli israeliani possono usarla liberamente, i palestinesi hanno bisogno di un permesso dell'amministrazione militare. Quasi tutte le vie che dai villaggi palestinesi conducono alla strada sono state interrate. Proveniente dal nord, c'è una sola strada ghiaiosa aperta, ed è l'unica possibilità di andare da Nablus verso sud senza passare da un posto di blocco.
    La maggior parte delle cinture esplosive viene fabbricata a Nablus e di lì trasportata di contrabbando in Israele. Secondo tutte le regole, la merce viaggia separata dagli attentatori suicidi. A questi, le ben fatte cinture vengono allacciate sul posto soltanto poco prima dell'attentato. Le vie del contrabbando [da Nablus] verso il nord e verso l'ovest sono oggi in buona parte bloccate dal famigerato muro. In direzione sud si esce da Nablus soltanto attraverso posti di blocco pesantemente sorvegliati. Il tempo d'attesa dei palestinesi che si recano al lavoro in Israele può arrivare fino a tre ore. E cominciano a mettersi i fila già dalle quattro del mattino.
    Resta aperta la strada ghiaiosa. Alle sette del mattino arriva, via radio, dal quartier generale di Tapuah, l'ordine di sbarrare la strada per Migdalim. Nessuna persona di sesso maschile tra i 15 e i 35 anni deve passare. Il servizio segreto ha annunciato che una persona sospetta tenta di penetrare al sud. Poco dopo una jeep con quattro soldati sfreccia, attraverso boschetti di ulivi e campi di verde grano primaverile, nel cuore del territorio palestinese. Si ferma poco prima di Aqraba, in un posto dove poco prima due uomini sono saltati giù da un taxi in vicinanza di un posto di blocco e nel fuggire hanno perso una cintura esplosiva.
    Due giorni prima un reparto di un'altra unità aveva ucciso ad Aqraba un membro di un gruppo terroristico. Hanno detto che un uomo si era rifiutato di aprire la porta quando i soldati israeliani nelle prime ore del mattine volevano introdursi nella casa di una famiglia. Avevano visto movimenti sospetti dietro le finestre, persone con il cellulare, e quindi i soldati avevano sparato colpi di avvertimento contro la parete della casa. Una pallottola, secondo il non del tutto convincente resoconto fatto in seguito dai militari, aveva passato il muro e colpito il ricercato.
    Ieri una forte pattuglia di sei uomini a piedi partita da Migdalim si era avvicinata di soppiatto ad Aqraba. Tutto sembrava tranquillo. I soldati hanno interrogato un pastore di pecore. Hanno bloccato un padre di famiglia che andava in macchina su una strada che era stata sbarrata. E' sembrato anche a loro così poco sospetto che l'hanno lasciato proseguire. Adesso si avvicina un taxi. Il guidatore scende e senza neppure che gli sia richiesto si alza la camicia. Poi arriva un camioncino, poi di nuovo un taxi, poi una grossa mercedes che si mette subito in cima alla fila. Tutti hanno un motivo per essere lasciati passare. Il maresciallo Itay verifica i documenti, li confronta con una lista di persone ricercate. Con un anziano signore che vuole andare a trovare suo figlio in un villaggio a sud della strada principale ma non ha il permesso, Itay chiude un occhio. Anche un taxi con licenza viene fatto passare. "Bisogna essere flessibili", dice, "bisogna metterci un po' d'intelligenza."
    Improvvisamente diventano troppi quelli che si fanno avanti. "Indietro, indietro", grida Itay. "Tutti in macchina. Parlerò con tutti, ma prima devono rientrare tutti in macchina." Gli arrivano sguardi pieni di odio. Passa un buon quarto d'ora prima che i palestinesi si decidano a osservare il suo ordine.
    Una scena quotidiana in cui si rispecchia la maledizione dell'occupazione israeliana. Quello che dal punto di vista palestinese sembra arbitrio, per i soldati sono semplici misure di sicurezza. Per questo mandano via un pastore con il suo gregge che pascola troppo vicino al bordo della strada. "Potrebbe raccogliere informazioni e trasmetterle a Hamas". Minacciano un contadino di confiscargli la targa del suo camioncino perché è israeliana invece che palestinese. "Potrebbe trasportare bombe". Rimandano indietro un giovane storpio che si appoggia a una stampella. "Viene da un villaggio malfamato".
    Checkpoint Sundrom è il titolo di un libro uscito nel novembre scorso. L'autore, Liran Ron Furer, racconta come l'impegno come militare al valico Erez per Gaza ha fatto di lui "un ladro, un criminale, una persona violenta". Confessa di aver picchiato un palestinese che gli aveva mancato di rispetto, di aver sparato alle gomme di un'auto perché il conducente teneva la radio troppo alta, di aver preso a calci un giovane ritardato mentale di 16 anni e di essere stato fiero di essersi comportato come un tipo duro.
    Furer è convinto che il suo caso non è insolito, ma rappresenta il destino collettivo della gioventù israeliana nel servizio militare. E scrive: "Non appena diventiamo consapevoli della nostra forza, spostiamo sempre di più i limiti. Tutti i possibili arbitrii diventano normali. Si comincia con la 'raccolta di souvenir', la confisca di sigarette e collanine. Poi vengono i giochi di forza. Dall'alto, dalla direzione militare, ci viene trasmesso il sentimento che sia nostro compito intimidire gli arabi".
    A Migdalim i soldati del capitano Asman sostengono di aver sentito parlare di simili prepotenze, ma di non averle mai viste. Per ogni situazione ci sono dettagliate istruzioni di servizio. Le infrazioni non sono tollerate. Ogni militare porta con sé un foglio di istruzioni con direttive etiche. E' grande come una scatola di sigarette. Vero è che le direttive non vengono molto lette. Il capitano Asman dice: "Il mio primo compito consiste nel proteggere la vita di cittadini israeliani. Il mio secondo compito è di non infastidire i palestinesi più del necessario. In quest'ordine."
    Il tenente colonnello Yoram, che comanda la Brigata Nahal, è convinto che i suoi militari siano in grado di mantenere in ogni momento i valori umani. E' sicuro che le uccisioni mirate di persone come Yassin o Rantisi non trasformano i suoi soldati in persone a cui piace sparare. Le truppe Orev fino ad ora hanno ucciso soltanto due palestinesi. Uno gettava una bomba, l'altro stava sparando su un soldato. E anche il capitano Asman ripete: "La mia unità non ha il compito di uccidere, ma di arrestare i terroristi".
    Ogni pomeriggio, all'una e mezza, è fissato un briefing, una specie di lezione scolastica all'aperto. I soldati si siedono sull'erba davanti alla mensa. Il capitano Asman rimprovera un ritardatario con queste parole: "Cerca un po' di sbrigarti." Il tema ricorrente è l'uso della violenza: "Se il lancio di sassi non procura danni, non reagire. Se rappresenta un pericolo, inseguire e arrestare, ma sparare solo in aria. Se un'auto sfonda una barriera, si può sparare solo se dall'auto si spara. A terroristi o a sospetti che si avvicinano al campo, sparare solo alle gambe, a meno che abbiano un'arma in mano."
    Specifici "ordini di sparo" vengono fissati prima di ogni missione. Le particolari situazioni sono troppo diverse perché possa valere una regola generale, dicono. Che fare se una donna apparentemente disarmata non ubbidisce all'ingiunzione di fermarsi? Se si ha il sospetto che porti una cintura esplosiva, ma non se ne è certi? Si devono necessariamente prendere decisioni rapide che a posteriori possono dimostrarsi sbagliate. Asman cita l'esempio di un terrorista che saltava i muri come un atleta di corse a ostacoli. Naturalmente i suoi uomini hanno sparato soltanto alle gambe. Ma chissà se riesce?
    Una volta il discorso è andato sulla decisiva risoluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi. Non si dovrà forse un giorno andare oltre i propri limiti e facilitare ai terroristi l'inserimento nella società civile e trattarli con rispetto, come hanno fatto i britannici nell'Irlanda del nord? "Beh, con Arafat abbiamo già provato, ma senza successo." "Anche con Menachem Begin ci abbiamo provato", risponde qualcuno. Il gruppo terroristico Irgun guidato da Begin uccise nel 1948 254 civili nel villaggio palestinese Deir Yasin e fece un attentato all'Hotel King David a Gerusalemme. Nel 1977 Begin divenne Primo Ministro.


La cultura palestinese è completamente estranea al capitano

Il capitano Asman tace. Non gli riesce di mettersi nei panni dei palestinesi. La loro cultura, dice, gli è completamente estranea. Soprattutto il loro atteggiamento verso i bambini, il fatto che non li tengano lontani dai combattimenti contro l'esercito israeliano, che addirittura li mandino a morire con le cinture esplosive.
    500 minorenni palestinesi sono morti fino ad ora in questa guerra. Dieci adolescenti tra i 16 e i 17 anni si sono fatti saltare in aria. Il 16 marzo 2004 i militari israeliani hanno fermato al checkpoint Hawara, non lontano da Migdalim, un undicenne che portava in tasca una bomba. Probabilmente lui non ne sapeva niente. Il 24 marzo arrivò allo stesso checkpoint un sedicenne. Superò la fila e si avvicinò ai soldati. Questi si rifugiarono dietro le postazioni fortificate e gli ordinarono di togliersi la camicia. Venne fuori un giubbotto grigio. Sulla faccia del giovane era dipinta la paura. Non voleva saltare in aria, gridò ai soldati. Ma non riusciva a staccarsi la cintura esplosiva. Chiamarono un'unità specializza che pilotò un robot con le forbici, e alla fine il giovane fu liberato dalla bomba. No, per il suo sbalordimento davanti al coinvolgimento di minorenni nella rivolta, ad Asman non viene in mente altro che dire che palestinesi e israeliani sono essere diversi tra loro come uomo e donna. "Abbiamo atteggiamenti di vita completamente diversi".


Le finestre della camera da letto sono protette da spesso acciaio

Con la stessa incomprensione del resto i militari si relazionano anche con i coloni, "di solito fondamentalisti americani e francesi". Una volta ha superato la pattuglia un ebreo ultra-ortodosso. Come una figura biblica, camminava solo sul bordo della strada, del tutto tranquillo. I pericoli della guerra sembravano non interessarlo. "Questo va al di là della mia capacità di comprensione", dice uno dei militari che siede con elmetto e giubbotto antiproiettile su una jeep corazzata. "La settimana scorsa un terrorista ha ucciso un altro colono, non lontano da qui. Il giorno dopo sua moglie è comparsa in televisione e con tutta calma ha detto che la morte di suo marito è volontà di Dio".
    Nel 1980 Migdalim serviva in un primo tempo come punto d'appoggio militare. Nel 1985 il ministero della difesa ha trasformato la terra confiscata - dal punto di vista puramente legale appartiene ancora a contadini palestinesi - per trasformarla in una colonia. L'unico collegamento con il vicinato arabo è un giardiniere di Qusra che lavora qui. Nei primi mesi di quest'anno ogni tanto c'erano sparatorie. Due carri armati giravano continuamente intorno all'insediamento su una strada sterrata.
    Migdalim è diventata una città fantasma. Dodici spaziose case costruite negli ultimi anni sono vuote. In un primo momento furono offerte a 100.000 euro, poi a 80.000. Adesso si possono avere con 60.000 euro. Nessuno le vuole, nessuno ci va ad abitare. Non ci sono negozi, non ci sono asili, nessuna occupazione. Il quotidiano viaggio per andare al lavoro o a scuola, una qualsiasi compera, ogni visita dal medico costringe a passare per un territorio in cui le auto vengono continuamente prese a sassate o a colpi d'arma da fuoco.
    Emanuel Klein vuole andare via da Migdalim. Ha 58 anni ed è l'abitante più anziano dell'insediamento. I suoi nipoti che vivono in Israele, racconta, non vengono più a trovarlo. Hanno paura. Klein era l'unico frequentatore della sinagoga, dopo due colpi apoplettici adesso è sulla sedia a rotelle. Ora anche la sinagoga è vuota. "Raccolgo soltanto francobolli", dice di sé. La sua camera da letto è protetta da finestre di acciaio spesso qualche centimetro. Per lui non è mai troppo presto per lasciare l'insediamento. Vuole ritornare con sua moglie nel vero Israele. Ma lui può permetterselo solo se il governo gli finanzia il trasloco. Fino al ritiro ufficiale degli israeliani, Klein è prigioniero in casa sua. Ma è fiducioso: "Fra un anno o due ce ne andremo".
    Nel paese fantasma in Cisgiordania, militari e coloni vivono insieme in uno spazio ristretto, e tuttavia completamente separati gli uni dagli altri. In pratica, tra loro non c'è nessun contatto. Che cosa fanno allora qui i soldati? Né il sottotenente Matan, né il capitano Asman si sentono soldati d'occupazione. Asman si vede piuttosto come un poliziotto: "Io proteggo cittadini israeliani. Fino a che il governo permette loro di abitare qui in Cisgiordania, questo è il mio compito." E il sottotenente Matan aggiunge: "Io non ho alcuna distanza, come per esempio un americano GI, che vola dieci o dodici ore per arrivare al luogo di missione in un continente straniero. Io sono cresciuto in un kibbutz che è dieci minuti a nord di Jenin. La Cisgiordania è anche la mia patria."

(Die Zeit, 22 aprile 2004)

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NOTA DI COMMENTO - Il racconto dei fatti osservati dal reporter è interessante e verosimile, ma le conclusioni implicite che ne derivano non scaturiscono dai fatti raccontati ma dalla visione politica del giornalista. In sostanza, l'articolista fa capire che la colpa di tutto quello che sta avvenendo in Israele, con gli attentati suicidi palestinesi da una parte e le prepotenze dei militari israeliani dall'altra, è dei coloni e del governo israeliano. I guai che sono descritti, e tutti gli altri, sono il frutto della "maledizione dell'occupazione israeliana". Sta lì, secondo il giornalista, la radice di tutti i mali. Evidentemente ne era convinto fin dall'inizio, ma con il suo reportage, reso possibile dallo Stato d'Israele, è riuscito a mettere in cattiva luce il governo dello Stato d'Israele. E' una cosa che succede spesso negli Stati democratici. E solo in quelli. M.C.





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