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Notizie su Israele 256 - 8 settembre 2004

1. Tra i palestinesi regna l'anarchia
2. Il ruolo dei finanziamenti europei in Medio Oriente
3. Scrittori palestinesi fustigano i loro colleghi israeliani
4. Lo sciopero della fame di un musulmano moderato
5. Ancora una volta abbandonati
6. I soldati israeliani sono in sovrappeso
7. Richiamo della terra, richiamo della Torah
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Geremia 30:10-11. "Tu dunque, Giacobbe, mio servitore, non temere", dice il Signore; "non ti sgomentare, Israele; poiché, ecco, io ti salverò dal lontano paese, salverò la tua discendenza dalla terra di schiavitù; Giacobbe ritornerà, sarà in riposo, sarà tranquillo, e nessuno più lo spaventerà. Infatti io sono con te", dice il Signore, "per salvarti; io annienterò tutte le nazioni fra le quali ti ho disperso, ma non annienterò te; però, ti castigherò con giusta misura e non ti lascerò del tutto impunito".
1. TRA I PALESTINESI REGNA L'ANARCHIA




Occupato l'ufficio di un governatore

TEL AVIV - Mentre l'ambizioso progetto elettorale palestinese cerca di prendere quota fra difficoltà logistiche ed ideologiche, due nuovi episodi di anarchia armata sono avvenuti ieri [5 settembre] nella striscia di Gaza. Per alcune ore miliziani armati di al-Fatah hanno occupato l'ufficio del governatore di Khan Yunes (nel Sud della Striscia) allo scopo di essere indennizzati per la recente demolizione di abitazioni da parte dell'esercito israeliano.
    L'episodio si era appena concluso (senza vittime) quando dalla vicina città di Rafah si è appreso del rapimento di un responsabile del posto di valico internazionale. In seguito, fonti di Rafah hanno spiegato che l'uomo era stato prelevato da alcuni armati «per ragioni personali» e rilasciato.
    Questi episodi giungono mentre è giunta conferma che il ministro palestinese Nabil Shaath ha ricevuto minacce di morte (per aver incontrato in Italia il suo omologo israeliano Silvan Shalom) e mentre l'ex ministro addetto alla sicurezza interna Mohammed Dahlan rivela alla stampa araba di essere stato «in pericolo di vita» durante la sua recente visita a Ramallah, dove ha incontrato il presidente Yasser Arafat.
    Questa una parte della situazione che attende il ministro degli Esteri dell'Egitto Ahmad Abu al-Gheit e il capo dei servizi di intelligence, gen. Suleiman, che oggi a Ramallah discuteranno per l'ennesima volta con Arafat della necessità di apportare riforme ai suoi servizi di sicurezza. L'altra parte del quadro palestinese riguarda la accelerazione dei preparativi per lo svolgimento di elezioni municipali, legislative e presidenziali fra dicembre e primavera. Secondo il ministro palestinese Shobaki queste elezioni saranno un importante banco di prova per la comunità internazionale. Riferendosi alla necessità che osservatori indipendenti impediscano ad Israele di influire sull'esito del voto, Shobaki fa notare che la comunità internazionale insiste per una riforma democratica delle istituzioni palestinesi: «Questa è la occasione per verificare la credibilità di queste organizzazioni internazionali» ha rilevato.
    Ieri, in forma diversa, Hamas, la Jihad islamica e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina hanno chiesto ai loro sostenitori di impegnarsi nella tornata elettorale. Parlando a nome della Jihad islamica, lo sceicco Azzam ha anticipato che la sua formazione parteciperà solo alle elezioni locali «per dare alla popolazione servizi migliori». Analogo probabilmente l'atteggiamento di Hamas, che dice di aspirare a una società basata «sulla libertà, sulla stabilità e sulla giustizia», ma che non lesina bordate polemiche verso dirigenti palestinesi «troppo morbidi» verso Israele.
    In una lunga analisi diffusa da uno dei suoi siti internet, Hamas sostiene che sul piano morale non c'è una grande differenza fra gli uomini associati ad Arafat ed i riformisti vicini a Dahlan, in quanto «sono tutti corrotti». Secondo l'articolista di Hamas, la linea discriminante fra l'ala di al-Fatah legata ad Arafat e quella identificata con Dahlan è un'altra. Questi ultimi - per Hamas - «sono disposti ad accettare che la Autorità nazionale sia ridotta ad uno strumento di sicurezza per spezzare la resistenza palestinese», mentre Arafat non perde mai di vista la meta principale: la costituzione di uno Stato indipendente. Da Fatah, Hamas si attende che metta fine alle divisioni interne per poter così razionalizzare la lotta ad oltranza contro Israele.
    Pochi giorni fa gli strateghi di Hamas hanno indicato la via da percorrere facendo saltare in aria nella città israeliana di Beer Sheva due autobus civili.

(Il Giornale di Brescia, 6 settembre 2004)





2. IL RUOLO DEI FINANZIAMENTI EUROPEI IN MEDIO ORIENTE




Il rapporto 2004 dell'organizzazione internazionale "Funding For Peace Coalition" (FPC) evidenzia qual è stato, in questi anni, il vero ruolo degli aiuti economici europei destinati all'Autorità Palestinese (AP). La pessima gestione di tali fondi da parte dell'AP e la totale mancanza di efficaci controlli da parte dell'Unione Europea hanno generato infatti un sistema corrotto e violento che alimenta ruberie, nepotismi, terrorismo, incitamento all'odio. La FPC riporta dozzine di documenti di recente apertura, tra i quali molti di fonte araba, poco noti in Europa e in Occidente.

LONDRA – La Funding for Peace Coalition (FPC) ha pubblicato un nuovo Rapporto che illustra in dettaglio l'uso irregolare e il dirottamento, attraverso la corruzione e la violenza, di ingenti somme destinate all'aiuto economico della popolazione palestinese .
     Il Rapporto 2004 della FPC è intitolato "Managing European Taxpayers' Money: Supporting The Palestinian Arabs – A Study In Transparency" (La gestione del denaro dei contribuenti europei: gli aiuti agli Arabi Palestinesi). Il Rapporto pubblica documenti che evidenziano la profonda connessione tra i finanziamenti europei e i problemi del terrorismo e della corruzione palestinesi. Il rapporto evidenzia anche l'assoluta incapacità delle organizzazioni europee di monitorare la destinazione reale di tali fondi.
     Emergono malversazioni, furti, nepotismi, appropriazioni indebite da parte dell'Autorità Palestinese, rese possibili anche dall'incompetenza e dall' apatia delle Agenzie europee.
     Dal 1993, l'Unione Europea ha destinato oltre 2 miliardi di Euro direttamente e indirettamente all'Autorità Palestinese (AP). Gli Stati membri hanno donato nello stesso periodo ulteriori 2 miliardi di Euro.
     Il lavoro della FPC solleva le seguenti principali questioni, ognuna delle quali riguarda direttamente lo spirito e la lettera della Costituzione dell' Unione Europea:
  1. Gli aiuti europei non hanno raggiunto il vero obiettivo, ovvero il popolo palestinese. Questi fondi hanno invece alimentato la corruzione, il terrorismo e l'incitamento all'odio.
  2. A fronte delle ripetute smentite da parte di autorevoli esponenti politici europei, numerosi terroristi risultano invece presenti sul libro paga dell'Autorità Palestinese. Quest'ultimo include, in particolare, membri delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, i quali hanno pubblicamente rivendicato il loro ruolo diretto in numerose stragi e omicidi. I salari di questi assassini viene prelevato direttamente dai fondi forniti dal governo europeo, nonostante le Brigate Al-Aqsa siano state ufficialmente classificate tra le organizzazioni terroristiche anche dalla stessa Unione Europea.
  3. Il denaro dei contribuenti europei non è stato gestito in maniera trasparente in tutte le situazioni connesse agli aiuti economici destinati all'Autorità Palestinese e al popolo palestinese. I fatti sono stati spesso nascosti, e continuano ad essere nascosti, ai contribuenti europei.
  4. I metodi usati per finanziare l'Autorità Palestinese rasentano talvolta il riciclaggio di denaro.
     Lo studio della FPC non entra nel merito della questione dell'opportunità di aiutare o meno i palestinesi, né tanto meno quale livello di aiuti sia appropriato. La FPC è convinta che aiutare i palestinesi sia importante e necessario per la causa della pace.
     Il Rapporto della FPC è finalizzato a scoprire se gli aiuti provenienti dalle casse europee stiano raggiungendo davvero gli obiettivi prefissati dai donatori e se vi sia una reale trasparenza nella gestione di tali aiuti.
     Secondo il portavoce della FPC, David Winter, "Questo nuovo rapporto evidenzia una sconvolgente mancanza di controlli da parte delle autorità dell'Unione Europea. Le circostanze reali dei continui fallimenti dei massicci programmi di aiuti internazionali al popolo palestinese restano largamente ignorate. Il nostro Rapporto dimostra che ciò si deve al fatto che il guardiano dormiva mentre era al lavoro, e non alla mancanza di avvertimenti pubblici al riguardo." Il Rapporto della FPC fornisce un sostegno concreto alle crescenti richieste palestinesi che invocano la fine di una leadership corrotta che dura da decenni. L'ex Ministro degli Interni dell'Autorità Palestinese Mohammed Dahlan, in un'intervista pubblicata da "The Guardian" lo scorso mese, ha dichiarato che tutti i fondi che i vari governi hanno donato all'AP, per un totale di 5 miliardi di dollari "sono andati giù nelle fogne e non si sa dove siano finiti".
     Il portavoce Winter aggiunge: "Ogni singola informazione fornita nel nostro Rapporto è stata attentamente controllata. Un esteso corpo di note permette ai lettori di controllare e verificare ogni fatto presentato." Perché questo Rapporto è necessario? Winter sostiene che: "Noi crediamo che, portando il problema al centro dell'attenzione, sarà creata una guida politica che assicurerà che gli Arabi palestinesi traggano un effettivo beneficio dai miliardi di dollari in aiuti ricevuti dalle loro Autorità e istituzioni. Con una gestione appropriata di tali fondi, crediamo che si possa incoraggiare la tolleranza reciproca e, infine, raggiungere la pace nella regione. A quel punto, quelle ingenti risorse economiche potranno essere destinate a risolvere altre e spesso più pressanti emergenze umanitarie, quali quella in Sudan e in altri paesi." Alla domanda se la Commissione Europea abbia o meno fuorviato il Parlamento Europeo, Winter risponde: "Questo è un punto chiave della questione su cui il Rapporto della FPC fornisce varie risposte. Per esempio, ci sono state innumerevoli rassicurazioni circa gli accurati controlli effettuati sul libro paga dell'Autorità Palestinese. Sono infatti i donatori internazionali che pagano per questi impiegati. Invece su tale libro paga sono stati trovati stipendi pagati a nomi fittizi o a membri di gruppi ritenuti terroristici dalla stessa Unione Europea." Complessivamente, DIECI MILIARDI DI DOLLARI in aiuti sono stati destinati al popolo palestinese. Questi fondi pagati dai contribuenti europei hanno raggiunto le persone giuste? Sono stati gestiti in maniera accettabile? Il popolo palestinese ne ha beneficiato?

(da Carmine Monaco, 3 settembre 2004)

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Per scaricare il Rapporto "Managing European Taxpayers' Money: Supporting The Palestinian Arabs – A Study In Transparency" cliccare QUI.





3. SCRITTORI PALESTINESI FUSTIGANO I LORO COLLEGHI ISRAELIANI




Gli scrittori israeliani, figure di spicco della sinistra, si sono fatti violentemente attaccare dai loro colleghi palestinesi in un'intervista che questi ultimi hanno concesso al quotidiano britannico "The Guardian".
    Invece di apprezzare gli sforzi che conducono per il dialogo tra i due popoli e la creazione di uno Stato palestinese, si sono scagliati contro Amos Oz, David Grossman, A.B. Yehoshoua e gli altri, rimproverandoli di essere ipocriti nel loro combattimento per la pace. Sono arrivati a rinfacciare loro perfino il loro naturale attaccamento alla terra d'Israele.
    Una scrittrice di Ramallah, Llana Bader, critica per esempio il fatto che A.B. Yehoshoua crede ancora in "una politicizzazione della religione e in uno Stato d'Israele ebraico".
     Attacca anche Amos Oz e David Grossman: "Oz e Grossman si definiscono progressisti, ma sono bloccati nella loro mitologia collettiva". In particolare, la scrittrice contesta la loro visione dell'avvenire del sionismo. Secondo lei, la grande contraddizione di tutti questi autori israeliani è di far coabitare "la loro volontà per la pace e la democrazia con la loro incapacità di liberarsi del sionismo".
     Lo scrittore e traduttore Hassan Hadar, che pubblica la rivista letteraria "El Carmel", fa lo stesso discorso di Llana Bader. "Oz, conosciuto per essere un grande campione della pace, nelle sue opere presenta sempre gli arabi e i palestinesi in modo problematico". A Yehoshoua invece rimprovera di presentare delle soluzioni al conflitto "fittizie", in "contrasto con le posizioni politiche dichiarate.
     Il solo che trova grazia ai suoi occhi è David Grossman che mostra "sensibilità nel suo modo di abbordare i palestinesi" e ha saputo criticare l'"occupazione". E' perfino arrivato al punto di tradurre uno dei suoi libri in arabo. Ma, attenzione, sottolinea che non è questione di "simpatia".

(Arouts-7, 7 settembre 2004)





4. LO SCIOPERO DELLA FAME DI UN MUSULMANO MODERATO




Feras Jabareen: «Un gesto forte per fermare il nuovo nazismo»

di Magdi Allam


Un imam musulmano che indice uno sciopero della fame per protestare contro il terrorismo islamico. Succede per la prima volta in Italia. Proprio nel giorno dell'orrendo massacro di centinaia di bambini e vittime innocenti a Beslan. La coraggiosa iniziativa di Feras Jabareen, presidente della comunità musulmana della provincia di Siena e imam del Centro culturale islamico di Colle Val d'Elsa, segna un'altra tappa rilevante nel processo di maturazione di una società civile e di un islam moderato in Italia. Che fa seguito alla pubblicazione sul Corriere del «Manifesto contro il terrorismo e per la vita», di cui Feras è uno dei firmatari. Ebbene ora ha deciso di passare dalle parole ai fatti. Lo sciopero della fame è il suo modo di esprimere concretamente lo sdegno e la condanna di coloro che senza mezzi termini definisce «i nuovi nazisti, come e peggio di coloro che sterminarono gli ebrei». Parole più che significative dette da lui che è un palestinese speciale. Un arabo-israeliano, così viene indicato, perché palestinese nativo di Afula, cresciuto a Nazareth e detentore di un passaporto israeliano. Nella vita fa il fisioterapista ma è totalmente impegnato nell'opera di educazione religiosa a un islam tollerante e civile, con al centro il rispetto del valore della sacralità della vita: «La vita di tutti, siano essi ebrei, americani, iracheni o russi».
    La precisazione di Feras è più che mai doverosa e fondamentale in un contesto dove serpeggiano troppe ambiguità. È il caso di molti luoghi di preghiera islamici in Italia, dove si condanna il terrorismo in generale ma poi si legittimano gli attentati terroristici suicidi che mietono vittime tra gli ebrei in Israele e gli occidentali in Iraq. Così come è il caso di taluni esponenti di primo piano dei Fratelli musulmani, tra cui primeggia lo sceicco Youssef Qaradawi che negli scorsi giorni ha legittimato con una fatwa, un responso giuridico islamico, il massacro dei civili e dei militari americani in Iraq. Un personaggio assurto a leader spirituale delle comunità integraliste islamiche in Europa e che ha trasformato la nota televisione Al Jazira nel megafono dei suoi anatemi e della sua cultura della morte: «Io ho smesso di vedere Al Jazira, non ne posso più», taglia corto Feras.
    Un coraggio che ritroviamo anche nel direttore del più diffuso e quotato quotidiano internazionale arabo, Asharq al Awsat, il saudita Abdel Rahman al Rashed. Proprio ieri ha pubblicato un editoriale dal

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titolo «L'amara verità è che tutti i terroristi sono musulmani». Vi si legge: «Non tutti i musulmani sono terroristi ma tutti i terroristi sono musulmani. Questa è l'immagine spregevole che c'è di noi e la si può cambiare solo riconoscendo la realtà». Sono questi uomini sinceri e coraggiosi, saggi e lungimiranti, che con mille difficoltà stanno violando la cultura dello scontro, dell'odio e della morte che prevale un po' ovunque nel mondo musulmano. Per affermare in modo deciso e forte la cultura della vita. Ammettendo in modo inequivocabile che il marcio è dentro l'interpretazione estremistica e deviata dell'islam, dentro l'ideologia fanatica e violenta del panarabismo. Dicendo in modo esplicito che è giunto di momento di smetterla con l'addossare tutte le colpe del mondo sull'America e su Israele. Affermando il valore assoluto e universale della sacralità della vita.

(Corriere della Sera, 5 settembre 2004)





5. ANCORA UNA VOLTA ABBANDONATI




Il mondo è di nuovo in silenzio

di Shalom Freedman
    

    Uno degli elementi più importanti nel rendere possibile l'Olocausto (l'uccisione di oltre un terzo del popolo ebraico, la grande maggioranza degli ebrei d'Europa) è stato il silenzio del mondo.
    Molti degli ebrei uccisi avrebbero potuto essere salvati se vi fosse stata più resistenza e opposizione da parte dei maggiori poteri alleati, e da parte di molti governi ed individui che avrebbero potuto fare qualcosa per fermare il genocidio.
    Uno degli aspetti più dolorosi della Shoah che il popolo ebraico ha dovuto affrontare è stata la consapevolezza di essere stati abbandonati e traditi dall'umanità nel suo insieme, e soprattutto da coloro che combattevano per la libertà dell'umanità contro la malvagità nazista.
    Oggi, una parte del popolo ebraico, ben più di un terzo, il cuore stesso del popolo ebraico, è minacciato da una seconda Shoah. E il mondo è di nuovo in silenzio.
    Stavolta, la minaccia non è contro il popolo in sé, bensì contro lo Stato in cui esso vive. Ma la minaccia è tale - la minaccia di usare armi di distruzione di massa per annientare lo Stato - che la sua attuazione significherebbe la morte di centinaia di migliaia, o di milioni di ebrei.
    Tale minaccia viene fatta apertamente ogni venerdì nella moschea centrale di Teheran, dove si proclama che lo "stato Sionista" deve essere eliminato. Tale minaccia è stata fatta di frequente da vari leader iraniani, specie nel corso degli ultimi tre anni. Nei primi giorni del mese di agosto 2004 sia il Minstro iraniano della Difesa, sia il capo dell'ala politica che controlla militarmente l'Iran, la Guardia Rivoluzionaria Islamica, hanno affermato che l'Iran ha la capacità di colpire coi suoi missili ogni città israeliana, e di distruggere quindi lo Stato di Israele. Certo, hanno affermato che lo avrebbero fatto in risposta a qualsiasi tentativo di Israele di attaccare basi nucleari iraniane. Ma le loro minacce hanno alle spalle l'ideologia, apertamente diffusa, dello Stato Islamico Rivoluzionario, il quale dichiara che il suo obiettivo primario è quello di "cancellare completamente l'entità sionista dalla faccia della terra!".
    Tali minacce vengono riportate spesso dai media mondiali, e vengono sistematicamente ignorate.
    Certo, non ci si aspetta che siano i leader islamici a obiettare a tali affermazioni, dal momento che molti di loro condividono l'obiettivo iraniano. Non ci si aspetta nemmeno che lo facciano le dittature del terzo o quarto mondo, dato che in quei paesi la vita umana e la dignità non vengono affatto rispettati. Ma ci si aspetterebbe che le democrazie del mondo rispondessero con indignazione e rabbia. Ciò, però, non avviene. Francia e Germania sono preoccupate per i rifornimenti energetici e le relazioni commerciali con l'Iran, non certo per le minacce di genocidio. Più difficile da capire la mancanza di coraggio degli Stati Uniti nella difesa di uno dei loro più leali alleati. Il presidente ed i suoi alleati hanno preso nota delle minacce, ma non hanno risposto direttamente alla volontà di distruzione espressa solo contro Israele.
    Il silenzio del mondo libero di fronte a tutto questo deve essere compreso appieno, ma non solo in relazione a Israele e agli ebrei, e all'abbandonarli per salvarsi. Esso costituisce una violazione degli ideali di giustizia e di rispetto per la vita e la dignità umana.Il mondo libero tradisce se stesso in silenzio.
    E' tempo per i leader mondiali di agire con coraggio e decenza. Invece di nascondersi dietro vaghe affermazioni generiche, devono trovare il coraggio di venire fuori e dichiarare apertamente che tali minacce contro Israele sono minacce contro il mondo libero nella sua interezza. E che ogni attacco contro Israele verrà trattato come un attacco verso il mondo libero.
    Nulla di meno di questo avrebbe valore nel testimoniare che il mondo ha imparato qualcosa dalle sue manchevolezze durante la Shoah, e che non desidera vederla accadere di nuovo, nel cuore e nell'anima del popolo ebraico, ovvero nello Stato di Israele.

(Israelinsider.com, 26.08.2004 - da "Un cuore per Israele")





6. I SOLDATI ISRAELIANI SONO IN SOVRAPPESO




Più della metà dei soldati professionisti israeliani sono in sovrappeso, informa un rapporto dell'esercito.
    Il settimanale militare che ha pubblicato l'indagine, studiata accuratamente dall'esercito fin dal 1991, informa che il 57% dei soldati ha problemi di forma fisica e che statisticamente quelli più colpiti dal problema sono tra i 45 e i 54 anni.
    "I nostri soldati professionisti sono in pessime condizioni fisiche", dichiara Dorit Tekes, il dottore militare che si occupa di sottoporre i soldati a dei periodici esami medici.
    La maggior parte degli uomini israeliani presta il servizio di leva per un triennio, appena compiuti i diciotto anni; alcuni poi si iscrivono per far parte dell'esercito regolare e diventano militari di professione.
    Mentre degli studi sugli uomini israeliani mostrano come siano in molti ad ingrassare dopo il rilascio dall'esercito, l'Arma sta analizzando il fenomeno all'interno del mondo militare.
    "L'obesità non è un problema, è una malattia" spiega Tekes, "magari è divertente da contrarre, perché si tratta di mangiare tanta cioccolata, ma resta comunque una malattia in ogni senso del termine".
    Non tutti concordano con questa teoria; il dietologo dell'esercito, Liat Halpert, crede che gran parte del problema sia dovuto dal tipico cibo mangiato durante gli incontri tra militari, che consiste in biscotti, pasticceria e bibite gassate. "Ti resta l'impressione di non aver mangiato niente, perché sgranocchiare non equivale a mangiare. Quindi prendi qualche biscotto, un po' di bibite gassate e assumi moltissime calorie senza nemmeno rendertene conto".
    Il capo dello staff del militare israeliano, Moshe Yaalon, un cinquantaquattrenne in forma fisica perfetta, ha dichiarato guerra all'esercito flaccido, esortando i soldati ad occuparsi della loro forma fisica e sottoponendosi spesso a test di fitness. Per spronarli, Yaaron corre insieme alle reclute, per enfatizzare il concetto.
    Mentre stare a dieta, per un civile, può essere una scelta, il punto di vista militare è ben diverso: "Non credo che l'obesità sia una malattia. L'equazione è semplice: pesi quello che mangi. Deve essere una semplicissima questione di auto-disciplina", sostiene il Colonnello Yehuda Kushnir.
    
(Apcom, 6 settembre 2004)





7. RICHIAMO DELLA TERRA, RICHIAMO DELLA TORAH




Fanatica di Israele...

di Liza Cohen


Fanatica di Israele, fin dalla mia più giovane età ho saputo che la mia vita era laggiù e da nessun'altra parte. Questo paese che avevo posto su un piedistallo, perennemente in guerra fin dalla sua creazione, era diventato il mio rifugio di pace.
    Provavo un immenso piacere soltanto ad ascoltare quelle musiche venute direttamente di laggiù, quei ritmi invitanti dell'Oriente, quelle arie languide delle canzoni hassidiche, quegli inni alla gloria di Hachem [il Nome], e quelle parole che non sono mai così belle se non quando sono pronunciate in ebraico. Quella dolce melodia aveva il dono di trascinarmi via, lontano dalla mia città natale, Parigi.
    Il mio obiettivo si faceva ogni giorno più preciso: io mi dovevo riunire al mio popolo, condividere le sue gioie e le sue pene, vivere sulla Terra che Hachem ha dato ai nostri patriarchi molto tempo fa. Compivo in quel tempo i miei diciassette anni in una meravigliosa spensieratezza.
    A quindici giorni dalla partenza cominciai ad avere terribili dubbi. La sera, quando mi ritrovavo sola con me stessa e con la mia scelta da adulta, piangevo. Mi rivolgevo a Hachem, esitante e patetica. Perché patetica? Per la semplice e buona ragione che andavo a vivere nella Terra promessa e questo mi faceva venire le lacrime agli occhi! Che tragedia favolosa!
    Ricordo quel sabato sera come se fosse ieri, la vigilia della mia partenza. L'eccitazione e la paura combattevano nel mio spirito. Le mie valigie erano state ormai chiuse, felici di involarsi verso il nuovo orizzonte di Israele. I muri della mia stanza sembravano più nudi che mai, spogliati dei poster con le immagini dei nostri coraggiosi soldati, e anche della bandiera con i colori dello Stato ebraico che si stendeva in tutto il suo splendore su un'intera parete della mia camera...
    A quell'epoca la mia relazione con l'ebraismo non era ancora molto sviluppata, ma nel fondo del mio essere sentivo ben presente una forza spirituale.
    Sta scritto nella Torah che non esiste il caso e tutto viene dall'alto ("Hakol min Achamaim" [la voce dal Cielo]). Eccomi dunque davanti a un libro della Torah che tratta la paracha [il brano settimanale della Torah] dello Shabbat che stava per terminare. Si trattava della paracha "Leh-Leha" ["Va' via"]... Il testo comincia così: "L'Eterno disse ad Abramo: Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò". La lettura di questo testo calmò le mie ultime paure e i miei ultimi dubbi.
    In quel preciso istante ho saputo che Hachem era al mio fianco. Tutte le mie inquietudini svanirono e mi sentii più che mai confortata nella mia scelta.
    Richiamo del paese, richiamo della terra, richiamo della Torah, richiamo di Hachem... Tutti questi richiami non hanno fatto altro che attizzare la mia voglia bruciante di Ritorno in Israele, là dove il mito dell'ebreo errante trova fine... Definitivamente...
    Gli ingredienti necessari alla riuscita di una alià sono: un grano di follia, una buona dose d'incoscienza e un ideale sionista obbligatorio. In altri termini, si tratta di una vera passione che, diversamente dalle altre, non si spegne mai... o quasi...
    E' questa tutta la storia della mia alià, una storia di passione, una legge imprescindibile a cui mi sono dovuta sottomettere, molto volentieri...
    Scandendo la parola "Israele" si comprende la profondità dalla chiamata che si presenta a colui che la sa accogliere:
    "Yashar El", che letteralmente significa "diritto verso Hachem".
    Com'è possibile, dopo di ciò, chiudere gli occhi davanti a questo messaggio straordinario???
    Oggi ho vent'anni, ho "accolto" la mia nazionalità israeliana con profonda gioia e con il sentimento di essere nata di nuovo, di aver dato un nuovo inizio alla mia vita di Bat Israel [figlia d'Israele].
    "Sei inconsciente???", è la domanda più frequente che mi hanno fatta le persone che vivono in Francia prima che facessi la mia alià. E' una reazione che può essere considerata normale, e che io stessa ho avuta nelle mie ore vuote. Ma vedete, io amo questo paese, amo la diversità del suo popolo, amo la bellezza inalterabile dei paesaggi, la purezza del cielo e la keducha [santità] che regna nelle vie della sua capitale, Città d'Oro e di luce, Gerusalemme.
    Adesso che sono definitivamente insediata qui, in Israele, sento ogni giorno il peso smisurato delle responsabilità. Mi avevano avvertito della durezza della vita, ma ero quattromila chilometri distante (Parigi-Tel Aviv!) dall'immaginare un tale cambiamento!
    Israele è una formidabile scuola di vita, dove i giovani come me imparano molto presto la realtà che c'è qui. La parola d'ordine è PAZIENZA (savlanout), la chiave della riuscita è VOLONTA' (ratson). Israele non garantisce (ancora) la sicurezza, checché ne dicano i nostri cari dirigenti politici! Il rischio di perdere la vita fisica esiste, ma le possibilità di guadagnarla spiritualmente sono più grandi.
    Siamo il popolo ebraico, il Popolo Eletto da Hachem. Ci siamo sempre battuti per mantenere intatta la nostra unità al prezzo inestimabile di numerose nechamots [anime]. Abbiamo lottato fianco a fianco, tutti insieme, perché lì sta il segreto della nostra forza e della nostra capacità di superare gli ostacoli all'ultimo momento.
    Se esiste anche la minima speranza di avervi portato a condividere quello che si chiama AHAVAT ISRAEL [amore per Israele], ho raggiunto il mio obiettivo.

(Guysen Israël News, 23.03.2004)




7. MUSICA E IMMAGINI





Ma Avrech




8. INDIRIZZI INTERNET




Mamash (in italiano)

Lion and Lamb Ministries




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