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Notizie su Israele 269 - 1 dicembre 2004

1. Dichiarazione comune dei ministri del turismo israeliano e palestinese
2. Nel kibbutz Hazorea
3. Orgogliose madri di «martiri»
4. Quelli che raccolgono i frammenti dei corpi
5. Cattiveria o eccesso di zelo?
6. Meglio tardi che mai
7. Il 90% dei coloni si opporrà al ritiro da Gaza
8 Musica e immagini
9 Indirizzi internet
Ezechiele 37:11-14 . Egli mi disse: «Figlio d’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele. Ecco, essi dicono: “Le nostre ossa sono secche, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti!” Perciò, profetizza e di’ loro: “Così parla DIO, il Signore: Ecco, io aprirò le vostre tombe, vi tirerò fuori dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d’Israele. Voi conoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi tirerò fuori dalle vostre tombe, o popolo mio! E metterò in voi il mio spirito, e voi tornerete in vita; vi porrò sul vostro suolo, e conoscerete che io, il Signore, ho parlato e ho messo la cosa in atto, dice il Signore».
1. DICHIARAZIONE COMUNE DEI MINISTRI DEL TURISMO ISRAELIANO E PALESTINESE




Gerusalemme, 24 novembre 2004

Il Ministro del Turismo israeliano, Gideon Ezra, e il Ministro palestinese per il turismo e le antichità, Mitri Abu Aita, hanno sottoscritto mercoledì scorso uno storico accordo per la promozione del turismo in questa regione. E’ stato il
primo incontro di questo tipo da quattro anni.
Nella dichiarazione entrambe le parti sottolineano che «prenderanno iniziative concrete per garantire un traffico sicuro e senza intoppi dei pellegrini e di tutti gli altri turisti nei territori, e tra i territori, israeliano e palestinese.»
     «Siamo convinti che il turismo non ha soltanto un grande significato economico, ma contribuisce anche alla pace perché stabilisce ponti di fiducia tra i popoli nel Medio Oriente.
     Il prevedibile afflusso di turisti in Terra Santa per le vacanze di Natale 2004 è stato l’occasione per sottoscrivere questo accordo nel momento attuale. Per il rilancio del turismo in questa regione viene dato in questo modo un chiaro segno.
     Ezra e Abu Aita invitano tutti, e in special modo le comunità cristiane di tutto il mondo, a venire adesso in Terra Santa.

(Ambasciata d’Israele a Berlino, 24 novembre 2004)





2. NEL KIBBUTZ HAZOREA




I nuovi immigrati ringiovaniscono il kibbutz

Un quinto della popolazione del Kibbutz Hazorea sono persone che vi hanno frequentato l’ulpan.
     

di Eli Ashkenazi
     
Quindici adolescenti, provenienti da Inghilterra, Canada, Belgio, Messico, Stati Uniti, Olanda e Danimarca discutevano, insieme al loro insegnante, la fotografia che avevano davanti. Era una di quelle immagini, in cui si vede una donna giovane e carina ed una donna anziana, alternativamente, a seconda del punto di osservazione. “Prima del matrimonio” e “Dopo il matrimonio” stava scritto sui due lati della pagina.
     I quaranta giovani ebrei, che frequentano il 95° corso di ulpan del Kibbutz, si trovano tutti nella fase di “prima del matrimonio”, nel mezzo del processo di innamoramento nei confronti del kibbutz e di Israele. Persino il caldo opprimente della vallata e le stanze sparpagliate e vecchie di 30 anni, in cui vivono, non li disturbano. “Sì, sembra proprio la descrizione della vita di qui alla fine degli anni ’60 – inizio anni ‘70”, afferma Aliza Dvir, da poco in pensione, dopo essere stata per 16 anni la direttrice dell’ulpan dell’Agenzia Ebraica nel Kibbutz Hazorea. Dei 4.000 studenti che vi hanno finito l’ulpan, 80 hanno scelto di rimanere nel Kibbutz. Un sondaggio interno, condotto dal Kibbutz stesso, rivela che queste 80 persone rappresentano quasi un quinto della sua attuale popolazione.
     Gli studenti dell’ulpan rimangono nel Kibbutz per cinque mesi, nel corso dei quali dedicano metà della settimana allo studio dell’ebraico, a gite e a seminari, mentre l’altra parte della settimana viene dedicata al lavoro nel kibbutz. “I membri del Kibbutz Hazorea riconscono ancora il valore dell’inserimento degli immigrati e del Sionismo” – dice Aliza Dvir – L’esistenza di “famiglie adottive”, per esempio, indica che i membri del kibbutz sono ancora disposti ad invitare gli studenti dell’ulpan a bere un caffé il pomeriggio. Per tutti gli studenti dell’attuale corso di ulpan sono state trovate famiglie adottive”.
     La stessa Dvir arrivò all’ulpan da Washington, durante il periodo euforico del ’68. Si sposò con un membro del Kibbutz e rimase. Ora sta per cominciare a dirigere il Museo Wilfred Israel, ma non ha smesso di offrire appoggio ai giovani provenienti dall’estero ed è rimasta responsabile dei ‘soldati adottivi’ – giovani che hanno terminato l’ulpan ed hanno deciso di arruolarsi nell’Esercito Israeliano, rimanendo nel kibbutz come ‘soldati soli’ (militari i cui genitori non sono in Israele).
     Il successo della storia del Kibbutz Hazorea è unico. Secondo i dati dell’Agenzia Ebraica, molti degli ulpanim dei kibbutzim hanno chiuso i battenti negli ultimi anni, a causa dei processi di privatizzazione, che stanno rapidamente avanzando in molti kibbutzim. Per quanto l’Agenzia Ebraica ed il Ministero dell’Educazione forniscano i finaziamenti per le attività dell’ulpan, agli studenti viene ancora richiesto di lavorare, per coprire parte del loro corso di studi. Il calo di posti di lavoro disponibili nel kibbutz si è rivelato fatale per l’ulpan.
     Nel frattempo, però, l’ulpan di Hazorea continua le sue attività e serve da fonte per nuove reclute del Kibbutz. “Ad esempio, abbiamo una ragazza uzbeka ed un ragazzo francese, che hanno fatto coppia e vogliono stabilirsi nel Kibbutz. Un altro ragazzo, laureato all’Università di Berkley, si è appena arruolato nell’esercito”- dice Dvir con fierezza. Anche nella classe attuale vi sono alcuni studenti che rimarranno nel Kibbutz. Joseph Goldstein, ad esempio, un ventiduenne americano arrivato all’ulpan dopo una laurea ad Harvard in storia e filosofia. “Non è un caso che sia arrivato in kibbutz – spiega – mi sono specializzato in assistenza sociale e welfare e sono ebreo; quindi, che cosa ci può essere di più naturale che venire in kibbutz?”
     Ilan Rosenberg, di 20 anni, proveniente dalla Germania, ha deciso che questa era l’età giusta per “ricominciare da capo, dare un contributo ed aiutare Israele”. Al termine dell’ulpan, Ilan vuole arruolarsi e, dopo l’esercito, studiare medicina. Conta di rimanere in Israele e il kibbutz rappresenta per lui un’opzione reale.
     Chi ha preso il posto di Aliza Dvir alla direzione dell’ulpan è Hillel Yaron, il figlio di un ex-studente dell’ulpan, originario del Canada, che sposò una ragazza del kibbutz. “L’ho assorbito in casa – afferma Yaron – Ci sono cresciuto dentro e dopo avere insegnato quest’estate all’ulpan del Kibbutz Megiddo, qui vicino, ho fatto domanda di assunzione”.
 
(Haaretz, 1 novembre 2004 - da Keren Hayesod)





3. ORGOGLIOSE MADRI DI «MARTIRI»




Le madri di martiri Hezbollah: Siamo molto felici e vogliamo sacrificare altri figli

In occasione del “Giorno dei martiri”, la TV dell’Hezbollah Al Manar ha recentemente trasmesso le dichiarazioni di madri di vari martiri, fra cui l’intervista con Umm Said (“Madre di Said”). Le donne hanno espresso orgoglio e gioia per le azioni dei loro figli. La trasmissione è stata tradotta da MEMRI TV Monitor Project. Eccone alcuni brani: (1)


Umm Said: “Questo è un giorno benedetto, il giorno in cui mio figlio mi ha dato motivo di andare a testa alta”

Intervistatore
: “Non solo tu sei la madre di un martire, ma è accaduto che tuo figlio Said venisse martirizzato proprio questo giorno, “Il giorno dei martiri”. Cominciamo con poche parole che ti chiediamo di rivolgere a tutti i nostri telespettatori. Quali sono i sentimenti e le emozioni della madre di un martire ogni anno in questo giorno?”

Umm Said: “In nome di Allah clemente e misericordioso, sia lodato Allah per avermi concesso mio figlio in questo giorno benedetto. Non posso cominciare a spiegare cosa significa per me questo giorno, come sia grande e significativo, per me e per tutte le madri dei martiri. Io sto parlando delle madri dei martiri e di tutte le madri in Libano. Qualunque cosa possa dire di loro, non sarebbe abbastanza, soprattutto perché essi hanno pagato un prezzo di sangue, hanno liberato il Libano meridionale e ci hanno portato più vicino alla vittoria. Ci hanno concesso una grande ricompensa.

Sarebbe abbastanza che essi ci abbiano concesso il paradiso, la cosa più bella del mondo. Io auguro un buon anno a tutte le madri dei martiri e ai nostri figli, possa Allah onorarli. Allah sia lodato per averci concesso i nostri figli. Allah sia lodato”.

Intervistatore: “Tu pensi, come madre di un martire, di godere di una condizione speciale che è diversa da quella delle madri che non hanno avuto figli martiri?”

Umm Said: “Certamente, certamente …”

Intervistatore: “Come riesci ad affrontarlo?”

Umm Said: “Se sono in compagnia di altri avverto rispetto e orgoglio. Loro dicono: "Quella è la madre di un martire". Cosa significa questa parola? Per me molto. Cammino a testa alta. Sia lodato Allah, sia lodato Allah ogni ora e ogni minuto”.

Intervistatore: “Ci puoi dire come vengono commemorati i martire fra le loro famiglie, fratelli e parenti? Che cosa si lasciano dietro? Quando i martiri se ne sono andati, non è così? Cessano di esistere anche se solo nel pensiero e in spirito? O è il contrario e se ne sente ancor di più la presenza?”

Umm Said: “Al contrario, la loro presenza è ancora più grande e il loro ri`cordo è inciso nel nostro cuore. Noi stavamo seduti per celebrare il mese del Ramadan, possiamo godere tutti di un buon anno. Quando sediamo per il Ramadan, io guardo la sua foto così. Tutti pensano che io stia per recitare la benedizione “In nome di Allah clemente e misericordioso”, per cominciare il pasto che interrompe il digiuno. Io lo guardo e dico: “Avrei voluto che il mio giorno fosse giunto prima del tuo, che Allah ti benedica. Io avrei voluto che tu fossi qui con noi”. Ecco come gli parlo quando mi siedo per mangiare”.

Intervistatore: “Cosa ti dicono i suoi fratelli, i suoi figli e gli altri? Se Allah lo vuole, tu sarai sempre un modello di fermezza e di sopportazione”.

Umm Said: “Allah sia lodato. Al contrario, io sono molto felice, specialmente in questa occasione”.

Intervistatore: “… Naturalmente, la ricompensa di Umm Said e di tutte le madri dei martiri non è in vano. La pazienza, la forza di sopportare il dolore e l’esempio che ci danno. Non solo qui, questa è un’esperienza condivisa da tutte le società. Noi diciamo sempre - come hai ricordato prima - che Allah ti darà forza e sopportazione. Vorrei che tu concludessi con una nota ottimistica”.

Umm Said: “Allah sia lodato, io sono molto felice. Di più, piango di felicità. Questo è un giorno benedetto, il giorno in cui mio figlio mi ha dato motivo di andare a testa alta …”


Madri di altri martiri lodano le azioni dei loro figli

Madre n.2
: “Noi conserviamo la memoria del sangue del martire. Sono orgogliosa del martirio del mio figlio”.

Madre n.3: “Sono pronta a sacrificare la mia vita. Tutto quello che voglio è il martirio. Sono pronta a diventare martire per tutti i miei figli. Possa anche mio marito diventare un martire e se Allah lo vuole, possa anch’io morire da martire”.

Madre n.4: “In confronto ad altre quello che ho sacrificato io è nulla. E’ vero che ho sacrificato un figlio, ma altre ne hanno sacrificato due o tre. Spero che altri miei figli diventino martiri”.

Madre n.5: “Allah sia lodato. Io ringrazio Allah per tutto il bene che ci ha concesso. Ci ha benedetto col martirio. Se Allah lo vuole, anche noi moriremo da martiri come sono morti loro”.

Nota: 
(1) Al Manar TV (Libano), 11 novembre 2004.  

(The Middle East Media Research Institute, 26 novembre 2004)

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4. QUELLI CHE RACCOLGONO I FRAMMENTI DEI CORPI




I collaboratori dell’organizzazione Zaka
sono emozionalmente più stabili della media


LONDRA - I collaboratori volontari dell'organizzazione di soccorso Zaka, quelle persone che dopo gli attentati terroristici raccolgono le salme e i frammenti dei corpi, sono evidentemente dal punto di vista emotivo più stabili della media della popolazione. Questo si è ricavato da uno studio di uno scienziato britannico.
Soltanto il 2,1 per cento dei collaboratori Zaka soffrsono di gravi sintomi post-traumatici. Nella popolazione israeliana normale questa quota invece raggiunge il 9,4 per cento, secondo lo studio. I volontari dello Zaka dispongono quindi di una forza mentale perfino superiore a quella di altre simili forze di salvataggio in Israele o all'estero.
Come riferisce il quotidiano "Ha´aretz", Howard Fine, dell’Università Surrey in Gran Bretagna, ha eseguito lo studio per una tesi di dottorato. Un anno fa ha consegnato un questionario al direttore di Zaka, Yehuda Meshi Zahav. Ai collaboratori venivano poste 116 domande. Degli 820 collaboratori di Zaka, il 37,6 per cento ha riempito il questionario in modo anonimo. Secondo Fine, il 71,2 per cento dei casi ha mostrato di avere un basso rischio di sviluppare sintomi post-traumatici.


La convinzione religiosa protegge

Un fondamentale motivo risiede, secondo lo scienziato, nella convinzione religiosa dei collaboratori, che appartengono tutti, quasi senza eccezione, alla fede ortodossa. Con il loro lavoro i volontari adempiono un incarico religioso che li motiva, sostiene Fine. E’ di aiuto anche il clima sociale in cui i volontari vivono. Conducono tutti una attiva vita di famiglia e mantengono forti contatti all’interno degli Haredim (religiosi). Inoltre la maggior parte di loro ha un lavoro fisso, che svolge accanto all’attività volontaria. «E’ la combinazione di tutti questi fattori che favorisce la stabilità mentale, non uno solo di essi», sostiene Fine.

«Un altro studio dell’Istituto Giuridico della Polizia ha mostrato che tra i poliziotti quelli che sono stati mandati negli stessi posti in cui sono andati i membri di Zaka la percentuale di quelli che hanno avuto sintomi post-traumatici è più alta che nella normale popolazione», ha riferito Fine.


Severo esame prima dell’impegno

     Chi fa domanda di entrare nello Zaka deve superare un severo esame di ammissione, ha dichiarato Fine. Deve sottoporsi, tra l’altro, ad alcuni test psicologici e a lavorare con i cadaveri. Soltanto il 30% dei richiedenti riesce a superare l’esame. Un altro 10 per cento lascia l’attività dopo un anno. In contrasto con quello che si pensa generalmente, secondo lo studio il 71,8 per cento ha servito nell’esercito.
     Fine classifica i sintomi post-traumatici in tre categorie: ipersensibilità verso l’ambiente, l’evitare situazioni che ricordano l’accaduto traumatico, e incubi e allucinazioni provocati dal ricordo dell’accaduto. «Come succede ai figli dei sopravvissuti all’Olocausto, anche le mogli e i figli di collaboratori Zaka soffrono di sintomi post-traumatici», dice Fine. «Ho scoperto che molte mogli non volevano che i loro mariti andassero a lavorare per Zaka; ma poi, quando hanno cominciato il lavoro, sono state d’accordo».
     Un altro elemento che potrebbe essere di aiuto è l’«umorismo macabro»: «tutti fanno dell’umorismo nero e raccontano barzellette sui diversi fatti accaduti». Questo aiuta a rilassarsi. «Ma in Zaka si fa umorismo soltanto dopo che il lavoro è stato fatto, perché hanno rispetto dei morti quando stanno sul posto».

(Nachrichten aus Jerusalem, 17.11.2004)





5. CATTIVERIA O ECCESSO DI ZELO?




Uno scandalo alimentato dal pregiudizio
     
di Federico Steinhaus

Ho sentito in vari telegiornali, e letto su vari giornali, la notizia del musicista palestinese costretto da un soldato israeliano di guardia ad un checkpoint ad estrarre dalla custodia il suo violino ed a suonare alcune note per dimostrare che si trattasse di un violino vero, e non di uno strumento imbottito di esplosivo.
     Dobbiamo, a mio parere, inserire questo episodio nel giusto contesto per comprenderne le ragioni e per giudicarlo.
     Dalla fine degli anni 60 alla fine degli anni 90 mi è capitato molto spesso di partecipare a convegni e congressi ebraici che si svolgevano in Israele, non di rado in rappresentanza dell' ebraismo italiano e talvolta con funzioni di capo-delegazione.E spesso ho portato con me la mia macchina fotografica.
     In genere all' ingresso della sede in cui si svolgeva il congresso o convegno, che era spesso il palazzo dei congressi di Gerusalemme, tutti coloro che volevano entrare venivano perquisiti: si aprivano borse e cartelle, e chi come me aveva una macchina fotografica doveva scattare alcune fotografie per dimostrare che non si trattasse di una bomba o di un'arma.E non eravamo in epoca di intifada, né tanto meno di terrorismo suicida.
     Negli ultimi anni ogni bar ristorante supermercato ed albergo d'Israele si è munito di guardie private che verificano con cura quanto ogni avventore o cliente porta con sé. Ed è addirittura capitato che qualche israeliano, non venendo perquisito dalla guardia distratta o intenta a fumarsi una sigaretta la apostrofasse con indignazione e pretendesse la dovuta attenzione: in quel negozio o ristorante quell' israeliano non si sentiva sicuro, perché non era stato lui stesso perquisito.
     Mi rendo conto che la prassi applicata ad un musicista palestinese da quel militare possa essere percepita come una gratuita umiliazione, ma riflettendo su questo episodio con maggiore attenzione (e minore prevenzione) esso può essere facilmente ricondotto alla sua vera natura.
     Non voglio assolutamente ergermi a difensore "ad ogni costo e comunque" di quanto succede in Israele. Il profondo disgusto che ho provato leggendo di alcuni eccessi commessi da alcuni militari non viene mitigato in me dalla consapevolezza che essi sono opera di pochi, e che sono emersi perché i molti loro colleghi hanno voluto denunciarli alla generale ed incondizionata riprovazione, oltre che esporli al giusto processo penale.La forte omertà nostrana che copre i farabutti non ci dovrebbe consentire di ergerci a giudici di nefandezze che nessuno si assume la responsabilità di coprire, nascondere o sminuire.
     Ma dovremmo anche evitare di puntare il dito accusatore contro un militare che con zelo, forse pure con un eccesso di zelo ma senza cattiveria, fa il suo dovere di salvaguardare le vite di innocenti minacciate da civili mascherati da agnellini.
     Ed alla fine quel che in questa vicenda mi ha sconcertato maggiormente è stata la rapidità con cui le istituzioni militari israeliane si sono sentite in dovere di scusarsi per quel poco edificante - ma non grave - episodio.
     
(Informazione Corretta, 27.11.2004)





6. MEGLIO TARDI CHE MAI




Persino l'Onu condanna l'antisemitismo. Dopo 60 anni
     
di Dimitri Buffa

     Ci ha messo appena sessanta anni, ma alla fine ce l’ha fatta anche l’Onu a condannare l’antisemitismo come manifestazione di intolleranza religiosa e crimine contro l’umanità. La notizia è passata sotto silenzio in Italia, benchè risalga ormai allo scorso 23 novembre, perché altrimenti sarebbe stata dura per i giornali italiani non definirla a una vera e propria vittoria degli Usa e di Israele. Basti pensare che lo stato ebraico non aveva mai votato la risoluzione annuale contro le discriminazioni religiose negli ultimi anni dopo che per ben tre volte di seguito era stato bocciato l’emendamento che voleva includere l’odio contro gli ebrei tra le odiose discriminazioni religiose.
     Ma non c’era mai stato niente da fare. Anche perché tutti i paesi della lega araba e musulmana si erano sempre opposti trascinando spesso altri stati del terzo mondo nel politically correct anti israeliano. E anche questa volta, che è stata la prima, non sono state tutte rose e fiori nella terza commissione interna al Palazzo di Vetro. Siria, Egitto e Sudan volevano che fosse inglobata nella risoluzione da votare la famigerata dichiarazione di Durban in cui Israele veniva definito “stato colonialista e razzista”, Malesia e Indonesia hanno eccepito che nel caso degli episodi che hanno visto in Francia e in mezza Europa gli ebrei come vittime di aggressioni  si può al massimo parlare di razzismo ma non di discriminazione per motivi religiosi.
     Alla fine però le pressioni Usa sono state più forti di tutto e l’assemblea delle Nazioni Unite, all’unanimità (177 voti a favore e una decina di non partecipanti al voto, nessun astenuto e  nessun voto contrario) per la prima volta ha approvato un documento di portata storica soprattutto se si pensa che l’Onu è stato creato dopo che l’Olocausto era già stato tragicamente consumato.

(L’Opinione online, 27 novembre 2004)





7. IL 90% DEI COLONI SI OPPORRA' AL RITIRO DA GAZA




Lo rivelano stime della Difesa dello Stato ebraico

GAZA - Il 90 per cento dei coloni residenti negli insediamenti della Striscia di Gaza e nei quattro della Cisgiordania che verranno smantellati entro il prossimo anno si opporrà all'evacuazione. Lo affermano fonti della Difesa israeliana. Lo scorso giovedì il ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz, e i vertici delle forze di sicurezza hanno messo a punto i piani militari per il ritiro unilaterale dalla Striscia, promosso dal premier Ariel Sharon.
  L'evacauzione dei coloni dai 21 insediamenti della Striscia e dai quattro della Cisgiordania comincerà il prossimo 3 luglio e durerà almeno 12 settimane. Saranno circa 8.800 i coloni che dovranno lasciare le proprie case.
  Recentemente il governo israeliano aveva affermato con un certo ottimismo che almeno un terzo dei coloni avrebbe lasciato gli insediamenti volontariamente prima dell'inizio delle operazioni di sgombero, senza opporre resistenza, in cambio di un indennizzo.
  Secondo Raan Gissin, il consigliere del premier Ariel Sharon, le stime fornite dalla Difesa si riferiscono a un ipotetico scenario estremo. "Il premier ritiene che ci sarà un po’ di resistenza ma non così dura come previsto dai militari. Ma per garantire la sicurezza è bene prepararsi a fronteggiare le situazioni più difficili".

(Rai News 24, 29 novembre 2004)




8. MUSICA E IMMAGINI




Havanagila




9. INDIRIZZI INTERNET




Università Ebraica di Gerusalemme

Temple Store




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