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Notizie su Israele 281 - 10 febbraio 2005

1. Che ruolo gioca Abu Mazen?
2. Ebrei osservanti e ebrei di sinistra
3. Un piano di ritiro alternativo
4. Il parere di uno storico su Ariel Sharon
5. I nuovi israeliani provenienti dall'ex Unione Sovietica (IV)
6. In Italia meno rischi di antisemitismo che in altri paesi
7. Responsabilità degli alleati nello sterminio degli ebrei
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 44:6-8. «Così parla il Signore, re d’Israele e suo salvatore, il Signore degli eserciti: Io sono il primo e sono l’ultimo, e fuori di me non c’è Dio. Chi, come me, proclama l’avvenire fin da quando fondai questo popolo antico? Che egli lo dichiari e me lo provi! Lo annunzino essi l’avvenire, e quanto avverrà! Non vi spaventate, non temete! Non te l’ho io annunziato e dichiarato da tempo? Voi me ne siete testimoni. C’è forse un Dio fuori di me? Non c’è altra Rocca; io non ne conosco nessuna.»
1. CHE RUOLO GIOCA ABU MAZEN?




Abu Mazen
Mentre i media riferiscono con entusiasmo, qualche volta misurato, il famoso incontro tra Ariel Sharon e Abu Mazen a Sharm el Sheikh, l'orientalista Yeshua Méiri fornisce un quadro piuttosto diverso della situazione.
    In effetti, ha rivelato in ebraico alla redazione di Aroutz Shéva che il nuovo capo dell'Autorità Palestinese è stato invitato recentemente a recarsi a Teheran. Ha aggiunto che Abu Mazen sperava di convincere i dirigenti iraniani a non porre più il loro veto "terroristico" sul processo diplomatico in corso nella regione. Gli iraniani hanno invitato Abu Mazen la settimana scorsa, e gli americani sono stati immediatamente informati di questa proposta.
    Per Méiri, Abu Mazen accarezza la speranza di arrivare a Washington fra qualche settimana avendo in tasca un messaggio delle autorità iraniane in cui si dichiarerebbero pronte ad accettare il proseguimento del processo nella regione. Abu Mazen spererebbe di evitare in questo modo tutte le tappe previste in partenza dalla Road Map per sottoporre Israele a delle pressioni internazionali.
    I punti essenziali del piano di Abu Mazen sono già stati trasmessi alle autorità iraniane la settimana scorsa attraverso l'intermediario dell'ambasciatore dell'Iran ad Amman. Dopo aver ricevuto il messaggio, gli iraniani hanno consentito alle organizzazioni terroristiche di cui dirigono le operazioni di accettare un "cessate il fuoco" di due mesi. Questa misura ha spinto l'amministrazione americana a pubblicare venerdì scorso un comunicato in cui annunciava che per il momento non aveva in programma delle offensive contro le installazioni nucleari dell'Iran.
    Abu Mazen arriverebbe allora a Washington con un'altra promessa di Teheran. I dirigenti iraniani potrebbero avviare dei pour parler sulla loro forza nucleare, ponendo come condizione che anche Israele sia sottomessa al controllo dei suoi reattori atomici. Questa esigenza sarebbe allora sostenuta da tutti i paesi arabi e dall'Unione Europea.
    Tutti i passi intrapresi da Abu Mazen concordano, sempre secondo Méiri, con il piano che ha esposto per la prima volta il 19 gennaio 1991 durante una conferenza della Lega Araba al Cairo. Secondo questo programma, "è possibile eliminare Israele con mezzi pacifici in 15 anni". La strategia iraniana messa in atto in questo momento si inscrive perfettamente nel quadro di questo piano. Ariel Sharon è considerato in questo contesto come "l'ultima cartuccia nel caricatore d'Israele".
    Durante un colloquio con Ahmed Bacher a Gaza, appena due settimane fa, nel corso di discussione su una tregua provvisoria (chiamata Hudna), Abu Mazen si è espresso così: «Non abbiamo alcuna chance contro Sharon se continuiamo gli attentati, perché su questo argomento ha tutto il mondo dalla sua parte. Dobbiamo cercare di traversare senza danni il periodo di Sharon e in seguito mettere in esecuzione il nostro grande piano». Abu Mazen avrebbe anche affermato: «Se mi lasciate seguire la via che ho proposto, fra 10 anni Israele non esisterà più». D.o non voglia!

(Arouts-7, 8 febbraio 2005)





2. EBREI OSSERVANTI E EBREI DI SINISTRA




Perché invidio i coloni

di Larry Derfner

Da israeliano di sinistra, vado nella direzione opposta a quella del movimento dei coloni. Non mi interessa la loro ideologia di supremazia ebraica, il loro estremismo politico e religioso, la loro tendenza naturale per teorie del complotto e violenza.
    Non parlo naturalmente di ogni individuo in tale movimento - parlo dei tratti di personalità dominanti del movimento in toto.
    Ma queste mie critiche sono dirette solo al loro credo politico e religioso. Quando devo giudicare quei veri credenti sulla base del modo in cui vivono le loro vite quotidiane, dal tipo di società e comunità che hanno costruito insieme, allora, da persona di sinistra, non posso che ammirarli. Dirò di più: li invidio.
    In così tanti campi importanti, i coloni ideologici vivono secondo principi che la sinistra dice di appoggiare, mentre la vita quotidiana della "comunità" di sinistra è una presa in giro dei suoi principi che dovrebbe seguire.
    Io mi chiedo: se mi trovassi bloccato nel deserto con una sola macchina che passa, chi preferirei trovarci: una famiglia di coloni religiosi di Bet El, o un post-sionista candidato al dottorato dall'Università di Tel Aviv? Non ho alcun dubbio.
    Quando si tratta di farsi in quattro per aiutare gli altri, i coloni sono semplicemente campioni del mondo, mentre i "sinistri" vivono le proprie vite, sono individualisti, attaccati alla propria privacy pensando i propri pensieri.
    Dare di se stesso per aiutare il prossimo dovrebbe essere uno dei valori centrali della sinistra. Chi lo vive veramente e chi no?
    E che cosa dire del materialismo e della caccia alla posizione? La sinistra dovrebbe essere quella che ha un'alternativa all'ossessione materialista occidentale con "gli oggetti", l'ossessione con il gusto, sempre arrampicandosi da qualche parte, e quell'alternativa dovrebbe essere basata sul dimenticarsi un po' del vecchio ego, e dedicare la propria vita a principi più grandi e meno egocentrici. Dove si trovano questi valori?... A Ofra o a Ramat Ha-Sharon?
    Poi - Che dire della madre di tutti gli ideali contemporanei della sinistra - il multiculturalismo, conosciuto anche come "inclusione"?... Andate ad una manifestazione di Pace Adesso, e tutto ciò che vi troverete sono Ashkenaziti, "bianchi", - al 99%, senza esagerazione. Il tipo universitario, tutti.
    Non è - D-io ce ne scampi e liberi - che gli ebrei "orientali" della classe lavoratrice non sono i benvenuti - In realtà, se un contingente da Shlomi o Yerucham volesse venire in Piazza Rabin, sono sicuro che Pace Adesso affitterebbe elicotteri per portarceli e riportarli a casa. Ma il fatto resta che solo i borghesi ben istruiti e Ashkenaziti vanno a queste cose.
    Ora, fatevi una passeggiata fra le folle dei coloni dell'accampamento di tendoni davanti alla Knesset. Ci vedrete quasi solo ebrei osservanti, ma in questo comunità di ebrei di destra e osservanti non c'è una sola classe o gruppo etnico. Ci sono Ashkenaziti e Orientali, ci sono anche Etiopi, gli ebrei israeliani più poveri, che non vedrete MAI ad una manifestazione della sinistra. Quanto a classe, alcuni di questi hanno l'aria raffinata, altri sembrano rozzi.
    Là troverete la stessa "inclusione multiculturale" vista in ogni manifestazione gigantesca della destra. Vero: la folla è quasi tutta osservante, e non ci sono arabi. Ma neppure nelle manifestazioni per la pace ci sono arabi, eccetto per quelli invitati a fare discorsi, e quasi tutti sono laici.
    Quindi, dove vai se vuoi vedere un'immagine veramente di sinistra dal punto di vista demografico - l'arcobaleno della nazione, il mosaico umano, Il Popolo? Vai a Gerusalemme o a Ramat Aviv?
    Una volta la sinistra aveva dalla sua lavoratori e contadini; adesso tutto quello che ha sono intellettuali. La sinistra una volta aveva la sua versione delle colonie - un modello vivente di comunità semplice, un modello di vita costruito su principi di sinistra.
    Si chiamava il Movimento dei Kibbutz, e nell'ultima generazione non c'è stato una comunità più demoralizzata in tutto il paese. I kibbutzim hanno abbandonato il "noi" per il "me" con una fretta ineguagliata al di fuori delle ex repubbliche sovietiche!
    I kibbutznikim non cantano e ballano più intorno ai falò. Se vuoi cantare e ballare devi andare nelle "colonie" di Giudea, Samaria e Gaza, devi andare a Gerusalemme, agli incontri dei religiosi. Lì è dove sentirai lo spirito, il calore, l'unità la vicinanza - non nei circoli elitisti degli accademici e liberi professionisti della sinistra.
    Sono gli ebrei osservanti di destra che sono le vere masse israeliane!
    Oggi, sono essi che fanno un rumore che ha il suono del pianto dell'umanità. Il solo rumore che i sinistri fanno è quello delle chiacchiere da ristorante.
    Nella battaglia per il futuro d'Israele, quest'anno, la destra sarà una presenza multiculturale e inclusiva nelle strade, mentre la comoda sinistra Ashkenazita sarà in-doors. Lasceremo che l'esercito e la polizia si occupino di tutto ciò...
    Tuttavia, nonostante tutto, non voglio che mi si fraintenda - non sto cambiando parte, affatto. Quel che è giusto è giusto e quel che è sbagliato è sbagliato, e il movimento dei settler è sbagliato, distruttivo, e non possiamo continuare così. Spero sinceramente che un sacco di colonie alla fin fine sia distrutto e che l'ideologia del loro movimento sia sconfitta.
    Ma se succede, spero anche che lo spirito umano e comunitario dei settlement viva e cresca - da questa parte, a sinistra della Linea Verde. Se i coloni vogliono trasferirsi e ridedicare se stessi all'interno dei confini di uno stato democratico, ebraico, io, come israeliano di sinistra, non li vedrò più come un ostacolo per nulla.
    Al contrario: li vedrò come un esempio da seguire, un'ispirazione. Persino come eroi.

(Jerusalem Post, 13 febbraio 2005 - da Ebraismo e dintorni)





3. UN PIANO DI RITIRO ALTERNATIVO




SDEROT - Un'organizzazione ebraica ha presentato una proposta-alternativa al piano di ritiro del Primo Ministro Ariel Sharon. Si tratterebbe, secondo questa proposta, non di cacciare gli ebrei dai territori palestinesi, ma gli arabi da Israele.
    Lo chiamano "Piano biblico" e vedono in esso un'alternativa al piano del governo, noto come "Piano di separazione" o "Piano di ritiro". L'organizzazione indipendente "Mishalot Jisrael" ("Preghiere d'Israele") sta attirando in questi tempi l'attenzione su questo piano attraverso un'inchiesta.
    Secondo questo "Piano ebraico alternativo di ritiro", i territori palestinesi dovrebbero essere annessi a Israele; gli arabi che vi abitano dovrebbero essere espulsi. Ben Ja´akov, uno dei responsabili dell'organizzazione, è convinto del piano: anche questo piano di ritiro, come quello di Sharon, persegue lo stesso obiettivo di separare tra di loro arabi ed ebrei. Solo che ad essere cacciati non sarebbero gli ebrei, ma gli arabi. "Però la nostra proposta-alternativa non manda via gli arabi solo perché sono arabi, ma perché si rifiutano di giurare lealtà nei confronti di Israele", spiega Ben Ja´akov.
    Gli organizzatori hanno avviato un'inchiesta nella città di Sderot. Hanno distribuito 6.500 foglietti, "uno per ogni nucleo familiare". Su questi foglietti gli abitanti possono esprimere quello che pensano del piano alternativo di ritiro. "Abbiamo cominciato da Sderot perché i primi ad essere interessati al piano di ritiro devono anche essere i primi a votare. La cosa migliore sarebbe che ogni ebreo nel mondo potesse esprimere la sua opinione su questa cosa", sostiene Ben Ja´akov.
    Hanno anche messo a disposizione una pagina web in cui i visitatori possono votare: http://www.mishal.org/eng. "E' favorevole al piano di ritiro di Sharon e Peres?", si chiede in quella pagina. Quel piano prevede il trasferimento di Gaza e di parti della Cisgiordania sotto il controllo palestinese, e di conseguenza gli ebrei che vivono lì dovranno lasciare il paese. "O è favorevole al piano ebraico alternativo di ritiro", cioè all'annessione dei territori dell'Autonomia e all'espulsione degli arabi?
    Alla domanda di un giornalista, se con questo piano non si proponga un'apartheid, Ben Ja´akov ha risposto: "Io non voglio un'apartheid degli arabi. Quando Ariel Sharon vuole separare gli ebrei dagli arabi, questa è apartheid." Per quel che riguarda lui, "gli arabi che sono leali potrebbero rimanere senza problemi nei nostri territori".
    Il consiglio dei coloni continua sì a protestare contro il piano di ritiro, ma non propone nessuna alternativa, critica Ben Ja´akov. Se si facesse realmente un referendum pro o contra il piano di ritiro, prevede che Sharon otterrebbe certamente la maggioranza. "Il motivo sta nel fatto che gli israeliani desiderano stare il più lontano possibile dai palestinesi." Anche il suo piano vuol mettere più distanza fra i due popoli, ma non infrange né la Torah né la democrazia. Il piano di Sharon invece calpesta tutt'e due, dice l'attivista. "E' razzista, come più non si può essere."

(Israel Nachrichten, 8 febbraio 2005)





4. IL PARERE DI UNO STORICO SU ARIEL SHARON




Ariel non è la destra, si ispira a Ben-Gurion

Preferisce il pragmatismo all’ideologia e vuole dominare il centro politico del Paese.

di Davide Frattini

«Provate a immaginare migliaia di studenti americani, intellettuali, celebrità di Hollywood che manifestano in sostegno di George W. Bush. Solo così comincerete a capire la sinistra israeliana che scende in piazza sbigottita per appoggiare Ariel Sharon». Michael Oren ha raccontato sul settimanale progressista The New Republic il paradosso che da oltre un anno anima Israele, da quando nel dicembre del 2003 il primo ministro conservatore del Likud ha annunciato quello che i laburisti avrebbero sempre voluto attuare senza mai riuscirci: lo smantellamento di tutti gli insediamenti nella Striscia di Gaza e di alcuni in Cisgiordania. Oren, storico militare (La guerra dei sei giorni, tradotto da Mondadori) e studioso dello Shalem Center (vicino alla destra), sostiene che i liberal siano i più sconcertati dalla sorpresa Sharon. «Basta leggere gli editoriali di un quotidiano di sinistra come Haaretz: ora sono entusiasti del vecchio arcinemico - commenta da Gerusalemme -. La destra invece ha sempre saputo che Ariel in realtà incarna l’autentico Mapainik, un rappresentante di quel Partito dei lavoratori d’Israele (Mapai), sionista-socialista, che ha dominato nei primi decenni dopo l’indipendenza. Come il Mapainik per eccellenza, David Ben-Gurion, Sharon dà sempre la precedenza al pragmatismo sull’ideologia, sa quando accettare un compromesso e quando consolidare i propri guadagni in vista di espanderli in futuro».

Lei scrive che il premier non è cresciuto nella tradizione conservatrice del Likud.
«Quando nel 1977 fondò Shlomtzion, il suo partito, scrisse nella piattaforma che Israele avrebbe dovuto esser sempre pronta a cedere terra in cambio di pace e a negoziare con qualunque organizzazione palestinese (anche l’Olp di Yasser Arafat) disposta a riconoscere lo Stato ebraico. Solo quando non riuscì a formare una coalizione con i laburisti e con i centristi dello Shinui, si avvicinò a Menachem Begin e finì con lo spalleggiarlo alla destra».

Come ministro dell’Agricoltura di Begin, è stato lui a spingere per la costruzione di dozzine di insediamenti in Cisgiordania e a Gaza.
«E’ vero. Durante le trattative di pace con l’Egitto giurò che Israele non avrebbe mai ceduto parte della sua patria storica. Eppure proprio in quei negoziati appoggiò la restituzione dei territori conquistati all’Egitto. E nell’aprile del 1982, gli ultimi coloni israeliani vennero sgomberati dal Sinai su ordine di Ariel Sharon. Dicendo cose di destra ma agendo in modo pragmatico, Sharon aderiva alla classica tradizione del Mapai».

Che cosa comporta questa strategia nelle trattative con il presidente palestinese Mahmoud Abbas?
«Il ritiro da Gaza consente a Sharon di mettere alla prova la volontà e l’abilità di Abbas nel combattere il terrorismo prima che Israele si trovi a negoziare sulla Cisgiordania o su Gerusalemme. Se i palestinesi dimostreranno di poter garantire la sicurezza, troveranno un partner serio in Sharon».

La tregua annunciata in Egitto dovrebbe porre fine ai quattro anni di violenza della seconda Intifada. Come esce Israele dal conflitto?
«E’ stata la vittoria militare più importante per la storia del Paese assieme a quella nella Guerra dei sei giorni perché era uno scontro per la sopravvivenza».

Reggerà la coalizione con i laburisti?
«La sinistra è consapevole che Sharon è l’unico a poter realizzare il ritiro da Gaza. E il premier vuole dominare il centro politico del Paese: se il centro vuol andarsene dalla Striscia, lui lo farà».

Lo sgombero degli insediamenti apre una frattura nella società. Come può il governo evitare i danni maggiori?
«Il ruolo dei militari nell’evacuazione dev’essere minimo. Tsahal è un simbolo nazionale che non va intaccato, è fondamentale che l’esercito resti l’esercito di tutto il popolo. Come ho scritto su The New Republic, nei prossimi mesi Israele avrà bisogno del realismo a muso duro di Ben-Gurion e del senso democratico di Begin: un referendum nazionale sul ritiro da Gaza o le elezioni sono essenziali per ridurre il trauma. Per proteggere l’integrità dello Stato ebraico, Sharon dovrà essere non solo l’ultimo Mapainik ma anche l'ultimo Likudnik».

(Corriere della Sera, 9 febbraio 2005)





5. I NUOVI ISRAELIANI PROVENIENTI DALL'EX UNIONE SOVIETICA (IV)




Quindici anni dopo l’apertura delle porte dell’Unione Sovietica, che rese possibile l’alià in Israele di un milione di nuovi immigrati, Keren Hayesod presenta una vasta panoramica in quattro parti, scritta da due noti giornalisti, Sever Plozker e Natasha Mosgovia e recentemente apparsa sul più diffuso quotidiano israeliano, Yediot Aharonot.


Fatti e cifre
Yediot Aharonot" e l’Istituto di Ricerca Dachaf

Sono passati 15 anni da quando l’URSS ha aperto le porte. La stragrande maggioranza ha deciso di rimanere in Israele. Gli israeliani all’inizio erano ostili, ma oggi dicono: questa ondata di immigrazione era essenziale. La storia della più grande ondata di immigrazione della storia di Israele.

prosegue ->
Statistiche relative all’Alià
  • Quasi un milione (957,736) di nuovi immigrati è arrivato in Israele dai paesi dell’ex URSS tra gli anni 1989 e 2004.
  • Essi formano il più numeroso gruppo etnico in Israele (seguito da quello marocchino).
  • Una famiglia di immigrati ha in media 1.7 figli.
  • Il 35% ha meno di 24 anni.
  • Circa 30,000 adolescenti sono immigrati da soli.
  • 14,200 scienziati sono arrivati in Israele nell’ultima ondata immigratoria e più della metà (52%) possiede dei titoli accademici. Per questo motivo, Israele detiene la più alta percentuale di scienziati nel mondo, relativamente alla sua popolazione.
  • Un terzo dei lavoratori nell’high-tech è costituito da nuovi immigrati dall’ex URSS.
  • 73,000 ingegneri sono immigrati in Israele – il doppio di quelli israeliani.
  • 15,200 medici e dentisti sono immigrati in Israele. Tuttavia, molti di loro hanno dovuto rinunciare alla loro professione.
  • Soltanto il 20% dei nuovi immigrati è impiegato nella propria professione. Il 27% circa è impiegato in "lavori manuali".
  • Oltre metà ha dichiarato di aver sperimentato atti di discriminazione a motivo del loro paese di origine.
  • Soltanto il 21% ritiene che il Popolo Ebraico sia un Popolo Scelto.
  • 60 su 70 pubblicazioni in lingua russa sono stampate in Israele, inclusi 7 quotidiani nazionali.
  • Gli immigrati dall’ex URSS costituiscono un quarto del numero di soldati nelle unità di combattimento.
  • Il 20%  ha riferito di crisi matrimoniali dopo l’immigrazione in Israele.
  • 140 immigrati che sono arrivati negli ultimi 15 anni operano nei locali consigli comunali.
  • Soltanto l’1% parla ebraico a casa.
  • Un ottavo, (soprattutto i più anziani) ritiene che non ci sia bisogno dell’ebraico per vivere  in Israele.
  • 1,738 immigrati sono reclusi nelle carceri israeliani. 61 sono stati condannati all’ergastolo, 2 sono stati dichiarati colpevoli di crimini contro lo Stato, 85 stanno scontando attualmente un quarto della loro pena detentiva.
  • Circa il 7% ha deciso di lasciare Israele – o per fare ritorno al proprio paese di origine o per emigrare altrove.
  • 18 dei 36 atleti della compagine israeliana alle Olimpiadi di Atene 2004 erano nuovi immigrati dai paesi dell’ex URSS.
  • Delle tre maggiori città, Haifa presenta la maggiore presenza di nuovi immigrati. Il 21% dei suoi abitanti sono olim dall’ex URSS (in confronto al 10% di Tel Aviv e al 4.5 di Gerusalemme).
  • Si calcola che un quarto dei nuovi immigrati dall’ex URSS non sia di religione ebraica (secondo la Halachà).
  • Soltanto l’ 8.4% legge regolarmente la stampa israeliana, mentre meno del 5% legge letteratura in ebraico.
  • Un ottavo degli immigrati ha riferito di avere una relazione romantica con un partner nato in Israele.
  • Un quinto degli immigrati preferirebbe che i loro figli si sposassero con gente di altri gruppi etnici (non russi).

L’opinione degli immigrati

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SIAMO ISRAELIANI

Ti senti parte della società israeliana?

Intero campione      Sì   68%
  No 31%
Arrivati 1990-1994 71%
  No 28%
Arrivati 2000-2004 53%
  No 46%


I tuoi figli si sentono parte della società israeliana?

Intero campione      Sì   90%
  No 5%
Arrivati 1990-1994 94%
  No 1%
Arrivati 2000-2004 60%
  No 26%

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RIMANIAMO QUI

Pensi di restare in Israele?

Intero campione      Sì   85%
  No 15%
Arrivati 1990-1994 87%
  No 10%
Arrivati 2000-2004 67%
  No 33%

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SIAMO SODDISFATTI

Sei soddisfatto della tua situazione in Israele?

Intero campione      Sì   63%
  No 36%
Arrivati 1990-1994 67%
  No 31%
Arrivati 2000-2004 60%
  No 39%

I tuoi figli sono soddisfatti  in Israele?

Intero campione      Sì   81%
  No 8%
Arrivati 1990-1994 85%
  No 7%
Arrivati 2000-2004 58%
  No 13%


L’opinione degli israeliani di nascita

Quanto è vitale per Israele l’immigrazione dall’ex URSS?

Molto 72%
Abbastanza     17%
Per niente 10%

I risultati delle opinioni si basano sulle risposte di 465 nuovi immigrati – un campione rappresentativo di immigrati dall’ex Unione Sovietica e sulle risposte di 403 veterani – un campione rappresentativo della popolazione ebraica veterana (in Israele già prima del 1990). Massimo 4.5% di errore campionario. Nelle tabelle che non raggiungono il totale del 100%, le percentuali mancanti sono riferite agli intervistati che si sono rifiutati di rispondere.

(Keren Hayesod, 25 febbraio 2005)





6. IN ITALIA MENO RISCHI DI ANTISEMITISMO CHE IN ALTRI PAESI




GERUSALEMME - L'Italia, tra i Paesi europei, "e' uno dei meno esposti al rischio di una recrudescenza dell'antisemitismo, preoccupante invece in Paesi come Francia, Belgio, Inghilterra e Germania". Ad affermarlo e' Leone Paserman, presidente della Comunita' ebraica romana, che in questi giorni a Gerusalemme partecipa alla commemorazione di Giovanni Palatucci, il questore di Fiume che salvo' dalla deportazione migliaia di ebrei.
   "Un fenomeno tutto italiano - ammette Paserman - e' piuttosto quello del ricongiungimento degli estremi, per cui ad un antisemitismo di tipo razzistico tipico dell'estrema destra si va saldando un antisemitismo, tipico dell'estrema sinistra, originato pretestuosamente dalla critica della politica di Israele. Nel nostro Paese non ci sono stati per fortuna episodi di violenza, ma e' comunque bene non abbassare la guardia perche' tempo fa un sondaggio rivelava ad esempio che anche da noi sopravvivono pregiudizi antisemiti in un buon 20% della popolazione".
   Il presidente della Comunita' ebraica romana, insomma, non vede il rischio di un "antisemitismo serio, grazie anche e soprattutto alla grande attenzione che il governo sta dedicando a questi temi. Apprezzo molto, ad esempio, la volonta' del ministro Pisanu di venire qui a Gerusalemme a commemorare il sessantesimo anniversario della morte di Palatucci, figura fulgida di funzionario che ha saputo obbedire alla propria coscienza prima ancora che al proprio governo, riconoscendo l'immoralita' di certe leggi e spingendo fino al sacrificio della propria vita".

(AGI, 8 febbraio 2005)





7. RESPONSABILITA' DEGLI ALLEATI NELLO STERMINIO DEGLI EBREI




Gli ebrei erano di secondaria importanza

di Dorothea Hahn

Una giornalista del quotidiano tedesco "Die Tageszeitung" intervista lo storico francese David Douvette. Il tema riguarda la responsabilità degli alleati nello sterminio degli ebrei e il rifiuto dell'Europa ad accettare questa parte della storia.

die tageszeitung: Non ci sono mai stati così tanti festeggiamenti ad Auschwitz come quest'anno. Perché?
David Douvette: Gli ultimi testimoni e protagonisti fra poco scompariranno. C'è quindi la volontà di sacralizzare il passato in una monumentale ripresa per poi chiudere il libro della storia.

D. Che cosa la disturba in tutto questo?
R. Abbiamo appena cominciato a rompere il muro del silenzio; la storia dell'orrore è ancora tutta da scrivere. Ci sono domande ancora aperte: Chi ha reso possibile a Hitler di andare al potere? In che cosa è consistita la complicità parzialmente attiva degli alleati?

D. Che cosa sapevano gli alleati del genocidio?
R. Nel dicembre 1941 il governo polacco in esilio a Londra ha esibito un piano di massacro delle popolazioni divili. Con disegni dettagliati, progetti, foto e dichiarazioni di testimoni. E c'erano anche altre relazioni. Tutti lo sapevano.

D. Perché non sono stati bombardati i campi di concentramento?
R. Ufficialmente per non uccidere persone. Ma Dresda e Hiroshima furono anche bombardate, nonostante che centinaia di migliaia di persone rimanessero poi uccise. Il fatto che diversi milioni di SS e altri tedeschi, lettoni, ucrani, ecc. fossero attivi nella macchina di annientamento significava anche molti soldati tedeschi in meno al fronte. A questo si aggiunge il secolare antisemitismo cristiano. Gli ebrei non erano importanti.

D. Perché i movimenti di resistenza non hanno tentato di impedire la deportazione?
R. Il loro obiettivo strategico era di combattere i collaboratori. Gli ebrei erano di secondaria importanza. Dappertutto in Europa c'è un rifiuto della storia. In Francia si va fieri di Giovanna d'Ardo e di Napoleone. Ma gli anni '40 si vorrebbe cancellarli. Si vuol mantenere quello che è glorioso e mettere da parte quello che disturba.

D. Il Presidente Jacques Chirac ha riconosciuto nel 1955 una responsabilità francese.
R. La responsabilità del regime di Vichy. In effetti ci sono stati parecchi francesi che hanno partecipato e si sono arricchiti. Ci sono più di quattro milioni di lettere di denuncia. Contro ebrei, comunisti, resistenti. Non si può dire questo? In nome della riconciliazione?

D. I politici hanno ricordato la "liberazione dei lager".
R. Questa parola è fuori luogo. E' accertato che ci fu una strategia militare per la liberazione dei campi di concentramento, ma questa fu soltanto per la liberazione dei prigionieri di guerra. Loro avevano la precedenza. Ma nessun esercito ha liberato i campi di concentramento. Il 17 gennaio 1945 le SS ad Auschwitz hanno potuto spingere alle marce della morte tutti quelli che potevano camminare. Hanno lasciato indietro 7 o 8 mila prigionieri, fra donne, bambini, malati e vecchi, perché mancava il tempo per ucciderli. I sovietici erano distanti nemmeno un chilometro dal campo di concentramento, e sono arrivati lì soltanto il 27 gennaio. Dieci giorni più tardi. E nel frattempo molti sono morti.

D. Come furono ricevuti i deportati al loro ritorno in Francia?
R. A Parigi furono messi nell'Hotel Lutetia. A chi poteva camminare fu dato un biglietto della metropolitana per andare a casa. I deportati potevano pesare 28, 25 o 40 chili, tornavano dai campi di sterminio. Nessun paese li voleva sentire. Solo il processo ad Eichmann ha reso possibile che i loro racconti fossero ascoltati.

D. Ci sono state controversie in Francia sulle cerimonie del 60mo anniversario?
R. C'è un generale consenso a nascondere la storia. Sono tutti d'accordo: alleati, carnefici e vittime. Si dice soltanto quello che è strettamente necessario, Si diminuisce la responsabilità degli alleati e ci si accontenta di condannare i criminali nazisti. Ma i crimini hanno raggiunto una tale misura - fino a 6 milioni di morti fra gli ebrei e 56 milioni in tutto il pianeta - perché c'è stata una tacita e attiva complicità. Già nel 1935 un "Libro Bianco" aveva descritto le condizioni nei campi di concentramento di Oranienburg, Sachsenhausen, Buchenwald e Ravensbruck. E tuttavia la Francia chiuse i profughi tedeschi in campi di internamento. Più di 10.000 ebrei e avversari del regime. Furono i primi ad essere deportati.

D. Non si preoccupa al pensiero di poter relativizzare in questo modo la responsabilità dei criminali nazisti?
R. Quando un tribunale giudica l'imputato principale di un delitto, cerca anche i complici. Gli alleati occidentali non hanno soltanto lasciato agire i criminali, hanno anche collaborato. E approfittato. E' stata l'IBM che dal 1937 ha fabbricato le macchine per la registrazione degli ebrei che dovevano essere annientati. E in Francia la ditta "Ugine" ha spedito in Germania, nel maggio 1944, 40 tonnellate di Zyclon-B. Chi constata queste cose, non diminuisce la responsabilità di coloro che hanno buttato la gente nelle camere a gas.

(Die Tageszeitung, 9 febbraio 2005)




MUSICA E IMMAGINI




El Shaddai




INDIRIZZI INTERNET




Referendum for Israel

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