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Notizie su Israele 287 - 19 marzo 2005

1. Un veicolo cibernetico pattuglierà il «muro» di Israele
2. Cooperazione medica tra israeliani e palestinesi
3. Il punto di vista di un neo-conservatore
4. Cala il consenso dei palestinesi al terrorismo
5. «Giustizia» palestinese contro il processo di pace
6. Conferenza di omosessuali a Gerusalemme
7. Rivoluzione sessuale a fatti, o soltanto a parole?
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Geremia 6:16. Così dice il Signore: «Fermatevi sulle vie e guardate, domandate quali siano i sentieri antichi, dove sia la buona strada, e incamminatevi per essa; voi troverete riposo alle anime vostre!» Ma quelli rispondono: “Non c'incammineremo per essa!”
1. UN VEICOLO CIBERNETICO PATTUGLIERÀ IL «MURO» DI ISRAELE




Operano con determinazione in qualsiasi condizione atmosferica, non si perdono mai, restano in stato di massima vigilanza anche dopo turni massacranti e di fronte a situazioni di emergenza reagiscono in un attimo:
 
quale generale non vorrebbe disporre di militari siffatti per i pattugliamenti? In un futuro non lontano basterà ordinarli. Perché nei laboratori israeliani si lavora fin d'oggi a "ciber-mostri" che, secondo il quotidiano Yediot Ahronot, potrebbero essere mandati in pattugliamento lungo la barriera di separazione in Cisgiordania per impedire infiltrazioni di terroristi.
    Due sono i principali prototipi: "Avidor-2004" e "Guardium" (nella foto). Il primo ha già mostrato di essere un "duro" quando l'anno scorso ha partecipato in California ad un esperimento con cui il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti voleva verificare se esistesse già una tecnologia capace di consentire ad un veicolo con guida totalmente autonoma (ossia senza alcun intervento umano dal momento della partenza in poi) di superare 230 chilometri di zone desertiche. Alla gara si erano iscritti 110 robot con le ruote, 25 sono giunti alla finale e quello israeliano si è piazzato al secondo posto dopo aver percorso in quattro ore 12 chilometri infernali cosparsi di buche, dune, reticolati ed altri ostacoli.
    Prodotto dalla Sci Automics assieme con la israeliana Elbit, Avidor-2004 dispone di un sistema di orientamento satellitare che gli consente in ogni momento di studiare il percorso ottimale. La sua guida è totalmente indipendente anche se, in caso di necessità, si può attivare un controllo a distanza. Monta inoltre telecamere video, sensori, apparecchi laser e un radar capace di scoprire impedimenti vari.
    Molto simile nel concetto è il suo principale rivale: il Guardium della Industria aerea israeliana, un'elaborazione locale dei veicoli Tomcar. Guardium è stato concepito con tre finalità: come forza di pattuglia lungo perimetri, strumento per imboscate, veicolo capace di reagire ad eventi inaspettati con grande velocità (fino ad 80 chilometri l'ora).
    I costruttori ipotizzano un comando centrale incaricato di controllare contemporaneamente diverse unità di Guardium: veicoli dotati di sensori, telecamere video e termiche, microfoni molto sensibili, altoparlanti, apparecchi radio e 300 chilogrammi di munizioni di vario genere. Malgrado la sua sofisticazione, il Guardium non è comunque autorizzato ad aprire il fuoco: per ora questa incombenza resta affidata a mani umane, all'interno del comando centrale. Adesso per i due ciber-mostri si avvicina la prima sfida. Presto saranno mandati in missione sperimentale, seguiti dai responsabili alla difesa. Dovranno assolutamente dare il meglio di sé perché il premio è molto ambito: una vita di continui pattugliamenti, lungo la Barriera di separazione.

(Newton Italy, 11 marzo 2005)





2. COOPERAZIONE MEDICA TRA ISRAELIANI E PALESTINESI




Curare bambini palestinesi e favorire il dialogo tra israeliani e palestinesi: si chiama ''Saving Children'' l'accordo promosso dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Fondazione Shimon Peres. Stanziati 1,2 milioni di euro in tre anni.


BOLOGNA - Curare bambini palestinesi e favorire, al tempo stesso, il dialogo tra israeliani e palestinesi: è “Saving Children”, accordo promosso dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Fondazione Shimon Peres, in cui l'Azienda Usl di Bologna ha l'incarico della gestione. La Regione parteciperà, nell'arco di tre anni, con uno stanziamento di 1.200.000 euro sia al finanziamento delle cure - 1.110.000 euro - sia al progetto di formazione e scambio per pediatri palestinesi, israeliani e italiani (90.000 euro). L'accordo è stato firmato in questi giorni da Vasco Errani, presidente della Regione Emilia-Romagna, e Dan Shanit, direttore del dipartimento di Medicina della Fondazione Peres. “Saving Children - sottolinea Vasco Errani - non è solo un importante progetto di emergenza sanitaria, ma un doveroso gesto politico: garantire vita e futuro ai bambini è tra i fini più nobili della politica”. Per Franco Ribaldi, direttore generale dell'Azienda Usl di Bologna, “il punto più interessante del meccanismo di finanziamento consiste nel fatto che il rapporto è diretto con gli ospedali israeliani che eseguono i ricoveri; la nostra regione contribuisce al pagamento del 50% della tariffa dell'ospedalizzazione mentre l'altro 50% viene offerto dall'ospedale israeliano che esegue la cura”.
    Il progetto “Saving Children” è nato nell'estate del 2003 dall'incontro tra la Fondazione Shimon Peres, l'ospedale Meyer di Firenze e la Regione Toscana: obiettivo, mettere fianco a fianco medici palestinesi e israeliani per lavorare insieme in ospedali israeliani a favore dei bambini palestinesi. Un altro aspetto importante del progetto è quello di favorire la vicinanza di familiari israeliani e familiari palestinesi accanto al bambino malato: il dialogo, in questo caso, è immediato. In Palestina, in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, vivono tre milioni e mezzo di persone, la metà di loro sono bambini sotto i quindici anni: 750 bambini palestinesi provenienti dalla West Bank e da Gaza, grazie a “Saving Children”, sono stati curati negli ospedali di Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme, tra il 2003 e il 2004. Dei 750 bambini curati nel primo anno di progetto, 200 sono stati sottoposti a interventi chirurgici, per problemi di natura cardiologica, neurochirurgica, ortopedica e ricostruttiva dalle ustioni. “Si tratta di un'esperienza che consente di mettere a disposizione di un fine alto la nostra professionalità e cultura: non solo sono importantissime in sé le cure ai bambini, ma con questo progetto si favorisce il dialogo tra persone che vorrebbero parlarsi ma che non sempre ci riescono - dice Fabrizio Sandri, pediatra neonatologo dell'Unità operativa di Neonatologia del Policnico S. Orsola Malpighi, uno dei quattro pediatri italiani che si occuperà di formazione e scambio con i pediatri israeliani e palestinesi sia sui protocolli scientifici sia sugli aspetti medico-organizzativi - . Entriamo in un progetto in corso e già ne vediamo i primi frutti”.

(Agenzia Redattore Sociale, 11 marzo 2005)





3. IL PUNTO DI VISTA DI UN NEO-CONSERVATORE



In Medio Oriente, potrebbero terminare le buone notizie

di Daniel Pipes

Non ho mai capito esattamente quali siano i criteri per definire qualcuno un neo-conservatore, e se io lo sia o meno, ma molto tempo fa altri hanno deciso ciò al posto mio. I giornalisti mi descrivono come un "neo-conservatore", gli editor includono i miei scritti in un'antologia neo-conservatrice, i critici scandagliano le mie opinioni cercando di inserire i miei punti di vista nel mondo più vasto del pensiero neo-conservatore e i conduttori televisivi mi invitano per rappresentare il punto di vista neo-conservatore.
    Dal momento che alcuni dei miei amici di vecchia data e dei miei più stretti alleati vengono definiti neo-conservatori, accetto di buon grado questo appellativo. Anzi, ciò sta a indicare un certo prestigio, dato che non più di 50 americani sono stati chiamati neo-conservatori, eppure, a quel che si dice, siamo noi a guidare la politica estera statunitense.
    Menziono tutto questo poiché negli ultimi due mesi le politiche neoconservatrici in Medio Oriente sono state considerate abbastanza buone, come si dilunga Max Boot in una column titolata "I Neocon Potrebbero Farsi le Ultime Risate":

  • Il 9 gennaio, gli elettori palestinesi si sono recati alle urne e hanno votato Mahmoud Abbas, che proclama il suo intento di porre fine alla lotta armata contro Israele.
  • Il 30 gennaio, 8 milioni di elettori iracheni hanno sfidato bombe e proiettili per assegnare il loro voto.
  • Il 10 febbraio, l'Arabia Saudita ha tenuto le sue prime elezioni municipali, assestando così un duro colpo all'autorità assoluta della famiglia reale.
  • Il 26 febbraio, il presidente egiziano Husni Mubarak ha inaspettatamente annunciato che alle prossime elezioni presidenziali si presenteranno altri candidati oltre a lui.
  • Il 28 febbraio, 10.000 manifestanti scesi in piazza a Beirut hanno costretto il governo filosiriano del primo ministro Omar Karami a dare le dimissioni.
  • Se i libanesi riusciranno a ottenere l'indipendenza, ciò potrebbe sancire la fine di Bashar Assad e del regime baathista di Damasco.
    
Questi sviluppi rendono quasi euforici alcuni neo-conservatori. Rich Lowry del National Review li definisce "una meravigliosa cosa". Charles Krauthammer del Washington Post scrive che "in Medio Oriente siamo all'alba di un momento glorioso, delicato e rivoluzionario".
    Accetto davvero di buon grado questi sviluppi, ma con estrema cautela. Il fatto di aver studiato bene la storia del Medio Oriente probabilmente mi rende più consapevole di ciò che può andare storto:
  • Sì, è vero, Mahmoud Abbas desidera porre fine alla lotta armata contro Israele ma il suo appello a un maggiore jihad contro "il nemico sionista" lascia intendere un'altra forma di guerra per distruggere lo Stato ebraico.
  • Le elezioni irachene sanciscono la vittoria di Ibrahim Jaafari, un islamista filoiraniano.
  • Così pure, le elezioni saudite hanno visto in vantaggio i candidati islamisti.
  • La promessa di Mubarak è puramente apparente; ma se un giorno in Egitto si dovessero tenere delle vere elezioni presidenziali, probabilmente anche lì prevarrebbero gli islamisti.
  • Rimuovere in Libano il controllo siriano, farebbe sì che Hezbollah, un gruppo terroristico, diventi la forza dominante in loco.
  • Eliminare l'odiosa dinastia Assad potrebbe ben portare con sé a Damasco un governo islamista.

Prendiamo in esame un esempio? Altro che il caso palestinese sui generis, un pericolo maggiore minaccia di rovinare le buone notizie: vale a dire che una repentina rimozione della tirannia scateni gli ideologi islamisti e apra loro la strada per raggiungere il potere. Sfortunatamente, gli islamisti sono in possesso di ciò che unicamente serve per vincere le elezioni: il talento necessario per sviluppare una convincente ideologia, l'energia per creare i partiti, la dedizione a fare proseliti, i soldi da spendere nelle campagne elettorali, l'onestà per fare appello agli elettori, e l'intenzione di intimidire i rivali.
    Questa pulsione a raggiungere il potere non è nulla di nuovo. Già nel 1979, gli islamisti sfruttarono la caduta dello Scià per impossessarsi del potere in Iran. Nel 1992, stavano per vincere le elezioni in Algeria. Nel 2002, assunsero democraticamente il potere in Turchia e in Bangladesh. Rimuovere Saddam Hussein, Husni Mubarak, Bashar Assad e i principi sauditi è più semplice che convincere i popoli musulmani del Medio Oriente a non rimpiazzarli con animosi ideologi islamisti.
    Il Medio Oriente odierno non è il solo ad attrarre un movimento totalitario - si pensi alla Germania nel 1933 o al Cile nel 1970 - ma è unico nella portata e nella persistenza di questo fascino. Mi preoccupo del fatto che i miei colleghi neo-conservatori non abbiano rivolto un'adeguata attenzione a queste implicazioni.
    Il presidente Bush merita un grosso apprezzamento per la sua ferma visione di un Medio Oriente libero; ma la sua amministrazione dovrebbe procedere in maniera ponderata e cauta nel trasferimento dei poteri dalle autocrazie alle democrazie. La lusinga totalitaria del Medio Oriente, con le sue profonde questioni legate alla storia e all'identità, va innanzitutto affrontata e risolta. Non farlo potrebbe lasciare la regione in uno stato addirittura peggiore rispetto all'epoca delle tirannie antidemocratiche.

(New York Sun, 8 marzo 2005 - archivio di Daniel Pipes)





4. CALA IL CONSENSO DEI PALESTINESI AL TERRORISMO



Nella Palestina senza Arafat crolla il sostegno ai kamikaze

Da un sondaggio realizzato da un istituto di ricerca palestinese risulta che dopo la morte di Arafat il consenso agli attentati suicidi è drasticamente calato tra i palestinesi.

GERUSALEMME - [ a. m.] Le urne ormai attirano più delle autobomba, e gli attentati kamikaze e i loro esecutori non riscuotono più larghissimi consensi nei territori palestinesi. Dopo le elezioni che si sono tenute in Iraq e in Arabia Saudita, è crollato di ben 48 punti percentuali in sei mesi - dal 77% ad appena il 29% - secondo l'ultimo sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research, il sostegno palestinese verso gli attacchi kamikaze. Il dato è stato tratto chiedendo a 1.319 palestinesi adulti un parere sull'attentato di Tel Aviv del mese scorso. Solo il 29% ha risposto di averlo approvato, contro il 77% che aveva risposto in modo analogo sull'attacco di agosto 2004 a Beersheba in cui morirono 16 israeliani. Un dato significativo, secondo un funzionario del centro di ricerca, Khalid Shikaki, che individua nel risultato del sondaggio una sorta di avvertimento ai gruppi fondamentalisti palestinesi: non sarà garantito alcun consenso al ritorno alla violenza. Tra i dati emersi dal sondaggio - che presenta un margine massimo di errore di 3 punti percentuali - figura anche la crescita di consensi per Hamas, il movimento palestinese che ha appena annunciato di voler partecipare alle elezioni parlamentari del prossimo luglio. In soli tre mesi Hamas è passato dal 18% di dicembre al 25% di marzo. In calo di quattro punti percentuali è invece il sostegno al presidente palestinese Abu Mazen, sceso dal 40% al 36 per cento. Forte di questi risultati, uno dei leader di Hamas nella Striscia di Gaza, Ismail Haniy, ha indicato che l'accordo informale di cessate il fuoco tra le fazioni armate palestinesi e Israele potrebbe essere messo in discussione nel caso in cui lo Stato ebraico non dovesse procedere alla scarcerazione di tutti i prigionieri palestinesi. La dichiarazione pesa sul meeting che si tiene oggi al Cairo tra le fazioni armate e il presidente dell'Anp Abu Mazen. « Non potrà esserci una tregua o un periodo di calma se i detenuti continueranno a rimanere nelle prigioni israeliane » , ha dichiarato Haniy, durante un sit- in di protesta dei parenti dei prigionieri a Gaza. « Quando Hamas ha aderito al periodo di tregua ha posto la liberazione dei prigionieri in testa alle richieste palestinesi » . « La questione dei prigionieri - ha aggiunto il leader di Hamas - è prioritaria per il popolo palestinese e i suoi gruppi e non può passare sotto silenzio » . Oltre 7.000 palestinesi sono attualmente detenuti in Israele. Mantenendo la promessa, nei giorni scorsi lo Stato ebraico ha autorizzato il rilascio di un gruppo di 500 prigionieri non direttamente coinvolti in attacchi sanguinari contro obiettivi israeliani. Appare invece meno sicura la questione dei rifugiati. Il presidente dell'Anp Mahmoud Abbas dirà oggi alle fazioni palestinesi riunite al Cairo che è necessario considerare in maniera " realistica ? la questione del diritto al ritorno, e che non tutti i profughi potranno tornare nelle loro case in Israele e nei Territori. Ma coloro che non ritorneranno dovrebbero ricevere un risarcimento. La posizione palestinese sui rifugiati, in particolar modo quelli che vivono in Libano, è nota da tempo e prevede il ritorno dei profughi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza o un risarcimento per chi dovesse decidere di non usufruire di quello che i palestinesi considerano un diritto. Le organizzazioni estremiste palestinesi non riconoscono lo Stato di Israele e ne chiedono la distruzione per permettere ai rifugiati di tornare alle loro abitazioni.

(Libero, 15 marzo 2005 - da Informazione Corretta )





5. «GIUSTIZIA» PALESTINESE CONTRO IL PROCESSO DI PACE



Da un editoriale del Jerusalem Post

La sorte dei palestinesi condannati a morte perché accusati d’aver “collaborato” con Israele è una vera e propria cartina di tornasole delle più generali intenzioni dell’Autorità Palestinese.
    L’Autorità Palestinese si è ripetutamente impegnata a sradicare il terrorismo, ma farà esattamente l’opposto se procederà con le preannunciate esecuzioni capitali di palestinesi accusati d’essersi adoperati per impedire attentati terroristici. E ciò avverrebbe proprio nel momento in cui la comunità internazionale chiede che l’Autorità Palestinese si adoperi per prevenire altri attentati.
    Di più, le esecuzioni per presunte collaborazioni con Israele non promettono nulla di buono circa le prospettive di coesistenza. Se la cooperazione con Israele anche nel campo della sicurezza - altro impegno ritualmente ribadito dall’Autorità Palestinese - diventa motivo per la più orrenda delle condanne, allora l’Autorità Palestinese è destinata a perdere di nuovo la nostra fiducia.
    Lo stesso vale per la richiesta che Israele scarceri numerosi altri detenuti palestinesi oltre ai cinquecento appena rimessi in libertà. La permanenza in carcere di questi terroristi viene considerata in qualche modo illegittima, indipendentemente dal fatto che siano stati processati e condannati da regolari tribunali nel rispetto di quelle fondamentali garanzie che sono

prosegue ->
tragicamente e totalmente ignorate nei territori alla mercé dell’arbitrio delle corti palestinesi. La deduzione inevitabile è che Israele non avrebbe il diritto di arrestare, processare e detenere coloro che hanno indiscriminatamente fatto strage della sua popolazione, e che i terroristi stragisti equivalgono, agli occhi dell’Autorità Palestinese, a prigionieri di coscienza ingiustamente incarcerati da un regime repressivo.
    Se le intenzioni dell’Autorità Palestinese fossero sincere, il suo primo desiderio sarebbe quello di togliere dalla circolazione più terroristi e di fare esattamente ciò per cui condanna a morte alcuni suoi cittadini. Invece vuole eliminare coloro che accusa d’aver collaborato con Israele contro il terrorismo, e nello stesso tempo si adopera per incrementare il numero di terroristi di nuovo a piede libero, tutta gente che un’Autorità Palestinese veramente votata alla pace dovrebbe voler vedere dietro le sbarre.
    C’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo. È inconcepibile che condanne detentive emesse da un sistema giudiziario indipendente vengano disprezzate come prive di valore, mentre condanne a morte inflitte da tribunali-farsa vengano giustificate e tollerate.

(Jerusalem Post, 16 marzo 2005 - israele.net)





6. CONFERENZA DI OMOSESSUALI A GERUSALEMME



Provocazione morale

di Johannes Gerloff

Per la fine di agosto la „International Association of Lesbian, Gay, Bisexual and Transgendered Pride Parade“ ha progettato una conferenza di dieci giorni a Gerusalemme. Una coalizione di cristiani evangelici ed ebrei ortodossi ha annunciato la sua opposizione a questa iniziativa.
    Dopo che per 14 mesi si è cercato inutilmente, attraverso i responsabili dell'amministrazione di Gerusalemme e all'interno del governo israeliano, di ottenere un divieto della conferenza di omosessuali, l'inconsueta coalizione cristiano-ebraica si presenta adesso al pubblico.

Leo Giovinetti, pastore della "Mission Valley Christian Fellowship“ in San Diego, nello stato di California, rappresenta, stando alle sue dichiarazioni, una coalizione di eminenti personalità americane. Da parte ebraica si sono presentati ad una conferenza stampa nell'hotel Renaissance in Gerusalemme due deputati della Knesset, Benny Elon (Moledet) e Nissim Seev (Shass).
    Il fatto che gli organizzatori della parata omosessuale svoltasi tempo fa a Roma abbiano scelto adesso Gerusalemme come luogo della manifestazione, viene considerato dagli oppositori cristiani ed ebrei alla conferenza come una deliberata provocazione. "Ci sono molte città nel mondo", ha detto l'ex Ministro del Turismo israeliano Binyamin Elon, "perché proprio Gerusalemme?" Il Rabbi americano Yehuda Levin, portavoce della "Rabbinical Alliance of America" di New York, ha definito la progettata parata omosessuale "un'immorale festa di sodomia e pornografia", e ha proposto agli organizzatori: "Andate prima alla Mecca, per favore, e organizzate lì la conferenza, e poi venite da noi!"

Benny Elon ha invitato tutti i credenti biblici a non vergognarsi dei loro valori. Nella seconda parte del suo discorso, in lingua ebraica, ha ricordato al suo popolo che Gerusalemme non appartiene soltanto agli ebrei, ma "la mia casa sarà una casa di preghiera per tutti i popoli", ha detto il Rabbi ortodosso citando il profeta Isaia (56.7). Ma Gerusalemme deve essere proprio una "casa di preghiera", cioè un luogo santo, e non diventare "Sodoma e Gomorra", come hanno sottolineato più volte gli avversari del movimento omosessuale.
    Giovinetti ha detto di non essere venuto a Gerualemme perché odia gli omosessuali, ma perché ama il popolo ebraico. Il pastore, la cui comunità in California sta rapidamente crescendo, teme che se la conferenza dovesse aver luogo, il giudizio di Dio potrebbe abbattersi presto su Israele. E Rabbi Levin ha aggiunto: "Siamo proprio così pazzi da voler di nuovo provocare Dio? Non abbiamo già abbastanza problemi?"
    Rabbi Elon, che negli ultimi tempi è diventato noto per le sue strette relazioni con cristiani conservatori, teme anche dolorose conseguenze sul turismo. Nissim Seev, deputato ortodosso della Knesset, ha minacciato di organizzare a Gerusalemme dimostrazioni di massa di ultra-ortodossi. E agli organizzatori ha dato un consiglio: "Non venite qui!"
    E' stata organizzata anche una petizione contro la conferenza di omosessuali, a favore della quale gli iniziatori sperano di ottenere milioni di firme, e per primi, durante la conferenza stampa, hanno sottoscrittola petizione che in internet può vista all'indirizzo http://ww.israelblessgod.com/protest_petition.asp.
    La frazione ortodossa sefarditica Shass della Knesset ha già dichiarato che sottoscriverà in blocco la petizione. Benny Elon ha riferito di un colloquio con un interlocutore di solito piuttosto avverso, il deputato islamico della Knesset Abdel Malek Dahamashe, il quale gli ha assicurato: "In questo caso siamo con voi!"
    

(Christlicher Medienverbund KEP, 17 marzo 2005)





7. RIVOLUZIONE SESSUALE A FATTI, O SOLTANTO A PAROLE?



Ebraismo

Sull'omosessualità;

di Rav Alberto Moshè Somekh

Norman Lamm, Judaism and the Modern Attitude to Homosexuality, in “Encyclopaedia Judaica Yearbook 1974”, pp. 194-205; rist. in F. Rosner-J.D. Bleich, “Jewish Bioethics”, Sanhedrin Press, New York , 1979, pp. 197-218.

Rivoluzione sessuale a fatti, o soltanto a parole? Su questo si interroga il Rettore della Yeshiva University in un saggio di poco posteriore al '68. “Gli omosessuali domandano di essere accettati nella società, e questa domanda ha assunto forme diverse: non essere condannati come criminali, non essere soggetti a sanzioni sociali, fino all'affermazione ardita per cui essi rappresenterebbero un modo di vita alternativo non meno legittimo dell'eterosessualità”. Citando i dati statistici del saggio di Kinsey, Sexual Behaviour in the Human Male del 1948, rispetto ai quali non riscontra notevoli variazioni al suo tempo, Lamm stima che negli anni '70 gli omosessuali esclusivi fossero in America circa 10 milioni, pari al 5% della popolazione totale.

La repressione legale degli omosessuali non è un fatto recente né occasionale nella storia. L'imperatore Valentiniano ne decretava la condanna al rogo già nel lontano 390, riecheggiato meno di due secoli più tardi da Giustiniano. La rivoluzione, anche sotto questo profilo, cominciò soltanto con Napoleone, che dichiarò l'omosessualità consensuale un fatto legale in Francia. Ma la spinta permissiva si sarebbe verificata soprattutto nel Novecento con la diffusione delle teorie freudiane. Freud e i suoi discepoli diedero inizio alla moderna protesta contro i vincoli tradizionali, bollando come nevrosi il senso di colpa che segue alla trasgressione compiuta.

Molti psicanalisti presero a sopravvalutare l'importanza della sessualità nella vita umana, dando di fatto inizio ad una sorta di “messianesimo sessuale”. Wilhelm Reich, ad esempio, cerca di armonizzare Marx e Freud sostenendo che la rivoluzione sessuale è la macchina ultima dell'intera rivoluzione leninista in ogni aspetto della vita. La ribellione contro codici morali restrittivi è divenuta per essi non soltanto una via all'edonismo, ma una forma di misticismo sessuale per cui il piacere, lungi dal costituire un'esperienza puramente individuale, diviene a sua volta un mezzo di liberazione della società.

La Bibbia proibisce le relazioni omosessuali in modo categorico: “non giacerai con un altro uomo così come si giace con una donna: è un abominio” (Lev. 18,22). In Lev. 20,13 si commina la pena capitale per entrambi i trasgressori. La città di Sodoma legò il suo nome alle pratiche omosessuali in base all'episodio narrato in Gen. 19,5, allorché gli abitanti della città circondarono la casa di Lot e gli chiesero di concedere loro i suoi ospiti “sì che possiamo conoscerli”. La tradizione rabbinica considera il qadèsh proibito dalla Torah (Deut. 23,18) come una forma di prostituzione omosessuale sacra. Secondo il Midrash la generazione di Noè avrebbe meritato la pena del Diluvio per aver addirittura istituito dei contratti matrimoniali fra uomini (Lev. Rabbà 18,13): non è escluso che si alluda a pratiche simili storicamente attestate nella Roma di Nerone e di Adriano.

Le fonti talmudiche, peraltro, riferiscono pochissimi episodi di omosessualità fra Ebrei (TJ Sanhedrin 6,6). Nella Mishnah si discute se due ragazzi possono dormire sotto la stessa coperta per il timore che vengano tentati sessualmente, ma l'opinione prevalente fra i Maestri è di permetterlo, proprio perché l'omosessualità si manifestava assai di rado (Kiddushin 4,14; 82a). La Halakhah ritiene che il bando dell'omosessualità riguardi anche i Noachidi (Sanhedrin 58a; Maimonide, Hil. Melakhim 9,5-6, con cui concorda la maggioranza dei Decisori).

Perché la Torah proibisce l'omosessualità? Tenendo presente che il divieto sussiste indipendentemente dalle ragioni che ci sforziamo di attribuirgli, possiamo distinguere nelle fonti le motivazioni seguenti. 1) Dal momento che lo scopo fondamentale della sessualità consiste nella procreazione, l'omosessualità è proibita in quanto frustrazione di tale finalità a priori (Sefer ha-Chinnukh, n. 209); 2) La pratica omosessuale è considerata distruttrice di quel fondamento sociale e morale della vita ebraica che è la struttura familiare (Tosafòt e Rosh a Ned. 51a, Sa'adyah Gaon, Emunòt we-De'ot 3,1); 3) L'omosessualità travisa l'anatomia degli individui, chiaramente finalizzata all'unione eterosessuale, e con essa l'assetto stesso della Creazione (Torah Temimah a Lev. 18,22). Lamm conclude che aldilà di qualsiasi teologizzazione la parola abominio adoperata nella Torah non necessita di ulteriori chiarimenti: l'atto omosessuale è disgustoso e si squalifica da solo in quanto tale.

Non è mai stato dimostrato che l'omosessualità sia un fatto costituzionale o genetico dell'individuo. Contrariamente alla teoria freudiana della bisessualità biologica, oggi si è inclini a considerare il fenomeno in molti casi come il prodotto di una particolare condizione psicologica dell'adolescente nei rapporti con i suoi genitori. Sul piano halakhico, questo approccio consente di considerare l'omosessualità (o meglio la condotta che ne deriva, la pederastia) come un comportamento proibito da affrontare tuttavia con compassione, come accade per esempio per il suicidio. “Tecnicamente, il suicidio è una violazione della Torah per cui la Halakhah nega ogni onore funebre a chi lo commette, ma di fatto, nel corso del tempo, la tendenza è stata di rimuovere lo stigma a carico del suicida sulla base di un disturbo mentale”.

Samuel H. Dresner, Homosexuality and the Order of Creation, in “Judaism”, n. 159,40,3 (1991), pp. 309-321.

Il tema dell'omosessualità in quanto violazione dell'ordine della Creazione è ripreso dal Prof. Dresner, docente di Filosofia Ebraica al Jewish Theological Seminary di New York, il Collegio Rabbinico dei Conservatives. Egli osserva che nella Torah il nome Adàm (“essere umano”) è attribuito all'uomo e alla donna presi insieme e non separatamente (Gen. 5,2). La berakhah “Benedetto Tu S. …, Creatore dell'Uomo (Yotzèr ha-Adàm)” si recita non per celebrare la nascita, come ci si aspetterebbe, ma durante il matrimonio, allorché la persona umana diviene adàm nel pieno senso del termine.

Noè e i suoi figli sono a loro volta descritti mentre entrano ed escono dall'Arca in compagnia delle rispettive mogli (6,18; 7,7 e 13; 16,18): allorché gli esseri umani sono chiamati a ripopolare il mondo, non sono semplicemente designati come un gruppo di uomini e donne, bensì come famiglie. A tal punto questo concetto è incorporato nel racconto del Diluvio che “tutti gli animali… uscirono dall'Arca per famiglie” (8,19). Si ripete il modello di Adamo ed Eva nel Giardino dell'Eden. Il messaggio è chiaro: la società umana si intende composta di famiglie.

Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele, non fanno che riproporre a loro volta il modello della Prima Coppia. “Con il paradigma patriarca-matriarca, la Bibbia stabilisce che la coppia umana realizza l'ordine della creazione ed è l'archetipo per tutte le generazioni… Sono l'istituzione del matrimonio e le caratteristiche della famiglia che ne conseguono (casa, stabilità, fedeltà e reciprocità) a diventare il tesoro nazionale del popolo ebraico, il baluardo della loro società…”

Sia i Greci che gli Ebrei sono in possesso di miti che spiegano l'amore come la ricostituzione di una unità perduta fra due creature. Ma mentre nel Simposio di Platone si parla di creature originariamente doppie, con due teste, due corpi, ecc. in cui l'androgino va alla ricerca del sesso opposto, mentre coloro che erano dello stesso sesso si cercano a vicenda, nello Zohar (III 4b) la creatura umana originaria era una singola persona bifronte. Lo stato primordiale era qui soltanto androgino, il che respinge l'opzione omosessuale; in secondo luogo, la ricostituzione dell'unità originaria non è qui semplicemente l'attrazione cieca per un altro corpo, ma l'unione solenne di marito e moglie: “La Presenza Divina dimora solo sull'uomo sposato, perché l'uomo non sposato è solo un mezzo uomo, e la Presenza Divina non dimora su ciò che è imperfetto”.

Nathaniel S. Lehrman, Homosexuality: a political mask for promiscuity: a psychiatrist reviews the data, in “Tradition” n. 34,1 (2000), pp. 44-62.

Psichiatra a Brooklyn, da molti anni membro di un Tempio Riformato, il Dr. Lehrman analizza l'omosessualità essenzialmente come un fenomeno politico e nota che “un conflitto fondamentale esiste fra l'insistenza sulla fedeltà sessuale posta al centro dell'Ebraismo da un lato e la libertà, o più esattamente la promiscuità sessuale al cuore del movimento omosessuale dall'altro. È peraltro sorprendente come molti Ebrei - per lo più non Ortodossi, che condividono la visione liberale e libertaria della società che ci circonda - accettino i principi del movimento omosessuale e dell'establishment psichiatrico che lo sostiene”.

Secondo l'opinione di Lehrman, le false credenze che fondano l'accettazione degli omosessuali da parte di molti Ebrei includono: 1) La tendenza a credere nell'esistenza di un “orientamento omosessuale”: si tratta piuttosto del prodotto di una falsa mistica che tende oggi a rivestire i sentimenti degli adolescenti in fatto di identità sessuale, per lo più acerbi e facilmente influenzabili se erroneamente sopravvalutati o mal guidati; 2) La tendenza a considerare il bando dell'omosessualità come una tradizione obsoleta; 3) La tendenza a considerare l'omosessualità come un fenomeno innato e irreversibile, di cui il soggetto non è responsabile: è vero invece, a riprova del contrario, che “nel mondo animale, dove il comportamento sessuale è indotto esclusivamente dall'attrazione reciproca di maschio e femmina, l'attività omosessuale è sconosciuta”. 4) Infine, si distingue fra omosessualità per sé, non criticabile, e promiscuità omosessuale e si crede comunemente che la regolarizzazione dell'omosessualità tramite l'istituzione del “matrimonio” fra persone dello stesso sesso metterà fine alla promiscuità.

È questa la visione alla base di alcune recenti delibere della Conferenza dei Rabbini Riformati Americani (C.C.A.R.) con cui Lehrman polemizza. “Tale credenza - scrive - ignora che la libertà sessuale rimane tuttora un argomento di centrale importanza per i gay… La “fedeltà” di alcune coppie dello stesso sesso che, nonostante la sua estrema rarità, è spesso adoperata per giustificare l'accettazione dell'omosessualità, non può essere la base per rovesciare l'intera tradizione dell'Ebraismo in materia sessuale, e specialmente l'interpretazione rabbinica del Cantico dei Cantici che paragona l'amore fedele e sacro fra marito e moglie all'amore di Israele e Dio”.

(Ha Keillah, febbraio 2005)





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