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Notizie su Israele 314 - 28 settembre 2005

1. Nell'universo ultra-geopolitico di Amore e Morte
2. Conseguenze del ritiro da Gaza
3. Lo spirito del Gush Katif
4. La situazione economica di Israele
5. Gli insulti preferiti dagli studenti
6. Istituita la «Giornata di preghiera per Gerusalemme»
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 62:1-3. "Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l’aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante. Allora le nazioni vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore pronunzierà; sarai una splendida corona in mano al Signore, un turbante regale nel palmo del tuo Dio."
1. NELL'UNIVERSO ULTRA-GEOPOLITICO DI AMORE E MORTE




Violentare delle pietre

di Michel Gurfinkiel

Si possono violentare delle pietre, assassinare degli immobili, torturare dei muri? Sì. E' quello che è successo nel territorio di Gaza il 13 settembre e i giorni seguenti. Gli israeliani, andando via avevano smantellato quelle che venivano chiamate le loro «colonie»; ma non avevano avuto il cuore di abbattere le loro sinagoghe, anche se sconsacrate. Se ne sono incaricate le folle palestinesi: a colpi di piccone, di martello e di tenaglie, in una strabiliante orgia di distruzione pura. Ma non è tutto. Gli israeliani avevano lasciato altre cose a Gaza: le serre ultra-moderne di Gush Katif. Queste installazioni erano state riscattate da un consorzio palestinese, alla vigilia del ritiro, per la somma di 14 milioni di dollari (anticipati da donatori stranieri). Ma agli occhi dei vandali restavano intrinsecamente israeliane. Dunque votate all'annientamento. In tre giorni, secondo l'Agence France-Presse, 800 serre su 4.000 sono state fracassate, smontate, rese inutilizzabili.
    Questa barbarie è una confessione. Il conflitto arabo-israeliano e israelo-palestinese non si situa nel consueto universo geopolitico, retto da interessi tangibili e misurabili, dove il compromesso è sempre possibile. Si situa al di là o al di qua della geopolitica, nell'universo senza compromessi di Eros e Thanatos (*). Come, del resto, tutti gli altri conflitti in cui è coinvolto il mondo arabo da circa sessant'anni: guerre fra Stati e guerre civili, dall'Algeria all'Iraq, dal Libano al Sudan. Numerosi sono gli arabi che, a titolo individuale, lo sanno. Numerosi sono gli intellettuali arabi, Adonis, Kanan Makiya, Hamid al-Shawi - alias Laurent Chabry -, Tarek Heggy, che l'hanno scritto.
    Mahmud Abbas ha dichiarato, a più riprese, che preferisce la razionalità geopolitica a una politica pulsionale. Intervistato in uno degli ultimi numeri di Newsweek, in data 19 settembre, l'attuale presidente dell'Autorità Palestinese è ritornato su questa idea:
    «E' sempre stata mia convinzione, fin dall'inizio, che la violenza è un errore. Un giorno dopo lo scoppio della seconda intifdada, ho detto al presidente Arafat: «Per favore fermati, quello che è troppo è troppo. Andiamo verso l'inferno».
    E' una frase importante, perché fa capire che Arafat e l'Autorità Palestinese hanno scatenato deliberatamente la guerra israelo-palestinese degli anni 200-2002. Inoltre, bisognerebbe che alle parole seguissero i fatti. A Gaza, la settimana scorsa, Abbas non ha fatto nulla per impedire la violazione delle sinagoghe, né fatto granché per salvare le serre.
    Peccato.
_____________

(*) Eros e Thanatos, in greco: Amore e Morte.

(UPJF, 18 settembre 2005)





2. CONSEGUENZE DEL RITIRO DA GAZA




Gaza, i guai iniziano adesso

di  Pino Buongiorno

Una relazione segreta del neocapo dello Shin Beth getta nuova luce sugli effetti dello sgombero nella Striscia: Hamas e Jihad armate pronte a rilanciare l'Intifada, Al Qaeda che bussa alla porta dei Territori, il confine colabrodo con l'Egitto. E l'Autorità palestinese che rischia la totale delegittimazione
 
"Abu Mazen è un generale senza truppe. L'Autorità palestinese funziona a malapena. Nella Striscia di Gaza, Fatah, il partito del presidente palestinese, è debole e diviso. Hamas non ha più voglia di prendere ordini dall'Autorità palestinese". Questi sono i giudizi taglienti e autorevoli espressi per la prima volta dal neo-direttore dello Shin Bet, il servizio segreto interno di Israele. Si chiama Yuval Diskin ed è entrato in servizio nello scorso maggio.
    Come s'usa fare a Gerusalemme, il capo dello Shin Bet, che è noto anche come Gss, ha fatto un esame della situazione dopo il forzato trasloco dei coloni da Gaza. Il briefing era riservato ai corrispondenti militari israeliani. Uno di loro ha riferito a Panorama.it le parti più importanti del discorso a braccio fatto da Diskin.
    Il senso generale è che la situazione nel suo complesso non è allegra. Per tutta una serie di ragioni. La prima è che le organizzazioni terroristiche (Hamas e Jihad islamica) si sono avvantaggiate dall'anarchia che si è creata immediatamente dopo l'evacuazione dei villaggi abitati dai coloni. Grandi quantità di armi sono entrate nella Striscia di Gaza dall'inesistente frontiera con l'Egitto (solo negli ultimi giorni l'esercito del Cairo è riuscito a chiudere i cancelli). "Recentemente un convoglio di 15 grosse Jeep, tutte appartenenti ad Hamas, ha attraversato la frontiera ed è ritornato dopo qualche ora con un carico di munizioni, kalashnikov, razzi e centinaia di chili di esplosivo" ha rivelato il direttore dello Shin Bet.
    Durante l'incontro con i giornalisti, Diskin ha anche ammonito i suoi concittadini (ma implicitamente tutti i turisti del mondo) a evitare di frequentare le località turistiche del Sinai (da Taba a Sharm El Sheik). "Un'infrastruttura terroristica della Jihad globale, ideologicamente assai vicina ad Al Qaeda, è ancora in piena funzione in quell'area. Le autorità egiziane hanno difficoltà a sradicare le cellule nonostante i recenti arresti effettuati" ha spiegato ancora il responsabile della sicurezza interna dello Stato ebraico.
    Diskin ha accennato anche ai tentativi (in parte riusciti) di alcuni esponenti di Al Qaeda che si sarebbero già infiltrati a Gaza per organizzare attentati in Israele e nel resto del Medio Oriente.
    Ma il pericolo più incombente per Gerusalemme viene dalla Cisgiordania, dove, fra Jenin e Betlemme, sarebbero attive alcune cellule terroristiche pronte a colpire "il nemico sionista per accelerare la fine dell'occupazione". Questa è la ragione principale che spinge il direttore dello Shin Bet a consigliare al premier Ariel Sharon tanta, ma tanta prudenza. "Non bisogna fare ulteriori concessioni ai palestinesi, come trasferire altre città sotto il controllo dell'Autorità palestinese. Non bisogna nemmeno rendere più facile il passaggio dalla Striscia di Gaza alla Giudea e Samaria (i nomi biblici della Cisgiordania, Ndr)" ha affermato Diskin.
    L'ultimo avvertimento ha riguardato il futuro dei rapporti con Hamas e Jihad islamica. "Fin quando non saranno disarmate queste organizzazioni terroristiche non dovrebbero partecipare alle elezioni legislative indette da Abu Mazen" ha precisato aggiungendo che i sondaggi più recenti danno ancora il successore di Yasser Arafat in vantaggio con il 60 per cento dei consensi potenziali. "Gli investimenti internazionali, il rafforzamento di Fatah e della leadership di Abu Mazen, l'attività egiziana e quella degli europei e degli americani possono sicuramente aiutare. Ma sarebbe un errore imperdonabile, in queste circostanze, aprire un dialogo con Hamas" ha concluso il suo primo briefing Yuval Diskin, senza concedere molte speranze a chi pensava che il disimpegno da Gaza avrebbe segnato una svolta positiva nei rapporti fra palestinesi e israeliani.

(Panorama, 22 settembre 2005)





3. LO SPIRITO DEL GUSH KATIF




Siamo qui, Gush Katif vive ed esiste!

"Ed Aron stette sull'attenti". Cosi' ci sentiamo in questo momento. Nonostante il forte trauma subito, il nostro immenso dolore, siamo qui e non siamo spariti, non hanno spezzato il nostro spirito. Dopo la morte dei due figli di Aron, il Signore disse a Mose' di comandare ad Aron di non compiere i normali riti di lutto e di non uscire dal Santuario perche' sul suo capo porta il diadema "Sacro al Signore". La funzione di Aron e' nello svolgere i suoi compiti sacri, non puo' abbandonare il suo ufficio perche' gli occhi di tutto Israele gli sono puntati adosso. Esattamente cosi' ci sentiamo. Gli occhi d'Israele sono puntati su di noi e su tutti i fedeli, noi portiamo il "diadema del Signore".
    Nonostante il trauma subito non possiamo neanche per un istante dimenticare la nostra funzione, non possiamo uscire dal "Santuario". Bisogna tener desto questo grande risveglio spirituale nonostante la nostra debolezza momentanea e nonostante tutti gli ostacoli perche' alla fine la Redenzione trionfera'. Il nostro dolore e la nostra debolezza non sono segnali di morte ma i travagli del parto che alla fine crea forze nuove. Il nostro immenso dolore ci fara' arrivare ad un livello morale superiore. La Redenzione avviene in salita, piano dopo piano. Il Signore ci conduce in una strada in salita e per arrivare ad un piano superiore bisogna salire la scala. Le prove da superare diventano sempre piu' difficili. Il Signore ci sta mettendo continuamente alla prova, e' , forse, questo il momento di riposare? Di dire a D.o che non possiamo fare di piu' e che ora faccia Lui da solo? Preferiremo chiuderci nel nostro lutto privato e non cercheremo di risollevare la Shekina' dal Suo dolore? Quello che abbiamo passato e' soltanto una prova. Lo spirito del Gush Katif, che riempi' i nostri cuori quando eravamo sulla nostra terra deve resistere e farci andare avanti, nonostante che il rotolo della Torah bruci, le Sue lettere risplendono ancora nei nostri cuori...
    Nei giorni e nelle settimane che han preceduto l'espulsione siamo stati testimoni di un enorme risveglio di forza spirituale che e' cresciuta durante anni grazie allo studio della Torah ed ai sacrifici per la Terra d'Israele ed il Popolo d'Israele. Tale forza si e' rivelata ed e' vietato disperderla. In questi giorni dopo la distruzione noi profughi del Gush Katif siamo testimoni dell'enorme solidarieta' e del sostegno morale e materiale di gran parte del Popolo, segno che il Popolo d'Israele e' sano. E qui trovo l'occasione di dire grazie, grazie ed ancora grazie di tutto cuore a tutti coloro che ci hanno e continuano ad aiutarci ed a sostenerci. Cio' ci e' stato di grande appoggio e conforto durante l'espulsione ed ora ci aiuta a ristabilirci. Sappiamo che ci sono ancora molte persone che vogliono aiutarci e sostenerci e non sanno come fare, ed anche altri che gia' ci aiutano ma vorrebbero fare di piu'. Quello che potete fare e' che tutto questo risveglio spirituale non vada disperso ma sia sfruttato per il Popolo d'Israele, perche' la verita' e' che il Popolo d'Israele ha piu' bisogno di voi piuttosto che noi, profughi del Gush Katif. Far apprendere ed infondere la morale ebraica a coloro che l'ignorano, far amare la Terra d'Israele, il Popolo d'Israele e la Torah d'Israele deve restare il nostro comune obiettivo.
    Infondere nel Popolo d'Israele la sicurezza della vittoria della nostra Redenzione, com'e' nelle preghiere ebraiche e nelle sue speranze di salvezza.
    Ed in cio' nessuna cosa al mondo potra' toglierci la certezza. Abbiamo il compito di aprire gli occhi e di vedere la consolazione ricordata nell'aftara' di Sabato (scorso): "alza gli occhi e guardati intorno: tutti si sono riuniti e vengono a Te, i Tuoi figli vengono da lontano (Isaia 60 - 4). Gli ultimi amari avvenimenti non debbono annebbiare la nostra vista, dobbiamo tenere gli occhi bene aperti e vedere i segni dell'inizio della nostra Redenzione: la ricostruzione del nostro focolare nazionale, il risveglio spirituale e la riunificazione delle diaspore. E che possa avvenire nei nostri giorni: "non si udra' piu' parlare di violenza (hamas) nel tuo Paese, di saccheggio e di rovine nel tuo territorio.... il piu' piccolo diventera' una tribu', il meno grande una gente forte. Io, il Signore, a suo tempo affrettero' la cosa" (Isaia 60.18, 22).
    Che con l'aiuto di D.o Benedetto possiamo ritornare presto nel Gush Katif ed offrire le sue primizie nel ricostruito Santuario di Gerusalemme.

("Anacnu can, Gush Katif cai vekaiam", redazione di "Venatatim", opuscolo settimanale del Gush Katif, n.13, 23/9/05; liberamente tratto e tradotto dall'ebraico da Eleazar Ben Yair).





4. LA SITUAZIONE ECONOMICA DI ISRAELE




La crescita economica israeliana
    
Per il secondo anno consecutivo Israele si avvia a registrare un tasso di crescita economica superiore al 4%, grazie alle conseguenze di un aumento della sicurezza ai suoi confini e di un maggiore rigore monetario e fiscale.
    
di Marco Pinfari
    
Secondo il quotidiano israeliano Ha’aretz, il 2005 sarà l’anno migliore per l’economia israeliana «dalla rapida crescita economica dei primi anni ‘90». I risultati del secondo quadrimestre del 2005 indicherebbero un tasso di crescita su base annuale del 5,6%, decisamente superiore all’incremento del 4,2% che l’economia israeliana aveva fatto registrare nel 2004. La decisa crescita del numero di turisti, l’aumento del 5,7% della produzione industriale e la forza del sistema finanziario che ruota attorno alla borsa di Tel Aviv lascerebbero immaginare, secondo Ha’aretz, che la crescita economica di Israele è destinata a durare nel tempo.
    
La “economia della pace”
L’analisi delle serie storiche sulla crescita economica israeliana evidenzia come la valutazione di Ha’aretz sia ampiamente imprecisa: negli ultimi quindici anni l’economia israeliana ha vissuto momenti di sviluppo assai più rilevanti di quello attuale. Non v’è dubbio, tuttavia, che a tutt’oggi il sistema economico israeliano dimostri una salute ed una vitalità che non si osservava da almeno quattro anni. Nel secondo semestre del 1999 il tasso di crescita annualizzato aveva superato il 6%; un anno più tardi esso si avvicinò ad un incremento del 9%. Il primo semestre del 2001 segnò, invece, l’inizio di una recessione che si protrasse per un anno e mezzo, per essere poi seguita da due anni di crescita economica moderata, con tassi di incremento mai superiori al 3%. Solo nel 2004, con una crescita che si assestò in alcuni periodi attorno al 5%, si poté affermare che Israele era finalmente riuscito a riavviare il proprio sistema produttivo e finanziario.
    La correlazione tra questi sviluppi e l’evoluzione del processo di pace israelo-palestinese e della cosiddetta “seconda Intifadah” è evidente. La visita di Sharon all’Haram ash-Sharif, che nel settembre 2000 determinò l’avvio della rivolta nei Territori, coincide nelle serie storiche con i primi segni di difficoltà dell’economia israeliana. Il 2001, il vero annus horribilis della storia economica recente dello stato ebraico, fu anche l’anno in cui, in un contesto internazionale non ancora colpito dagli attentati terroristici di New York e Washington, Israele ebbe maggiori problemi a giustificare il proprio operato di fronte all’opinione pubblica internazionale.
    Se è del tutto intuitivo legare la stabilità politica e militare di uno stato perennemente volto a salvaguardare la propria sicurezza, come Israele, al suo sviluppo economico, non altrettanto semplice è individuare le modalità precise attraverso cui lo sviluppo della pace con i palestinesi ed i paesi arabi confinanti si traduca in crescita economica. A tale proposito sembra possibile parlare di un vero e proprio “keynesismo della pace”, del tutto simile, nel suo sviluppo, al “keynesismo militare” di cui si è spesso parlato nell’evidenziare gli effetti di moltiplicazione sul reddito nazionale generati dall’aumento della spesa militare. Come, infatti, l’aumento delle commesse all’industria bellica si traduce in una crescita esponenziale dell’occupazione, dei salari, dei consumi e dunque del reddito nazionale, così la creazione di condizioni di pace e stabilità genera un circolo virtuoso di sviluppo economico che si propaga in almeno quattro settori centrali del sistema produttivo di un paese come Israele.
    A beneficiare della maggiore tranquillità di cui si può godere, negli ultimi anni, nelle strade delle città israeliane sono, in primo luogo, i consumi e gli investimenti degli stessi israeliani. Nel 2004 il consumo interno è cresciuto costantemente ed ha raggiunto il suo apice nel terzo trimestre, con un incremento annualizzato superiore all’11%. Nel primo trimestre del 2005 l’aumento su base annua si è attestato al 5,1%. Nello stesso periodo, l’incremento del valore lordo degli investimenti interni è stato addirittura del 16,3%. La crescita della fiducia dei consumatori israeliani si è accompagnata ad un forte aumento degli investimenti esteri. Secondo la Banca d’Israele, nel 2004 tale voce ha registrato un incremento del 10%, favorita da un incremento medio del 32% del valore dei titoli quotati alla borsa di Tel Aviv.
    La maggiore disponibilità di capitali ha avuto una ricaduta diretta sullo sviluppo del sistema industriale israeliano, il cui settore trainante, l’industria dell’alta tecnologia, è fortemente dipendente dalla disponibilità di investimenti. In Israele, in particolare, la presenza di nuovi immigrati russi con competenze specifiche in settori tecnici e matematici, nonché la grande tradizione scientifica delle università del paese, fa sì che la vendita dei brevetti e di industrie tecnologiche nascenti sia tra i settori più rilevanti nello sviluppo industriale del paese; proprio in tali ambiti, la disponibilità di capitali è determinante. La crescita industriale del 5,7% su base annua che si è registrata nell’ultimo quadrimestre dimostra la forza di tale settore.
    La stabilità politica e la sicurezza, infine, influiscono in modo decisivo sull’afflusso di turisti in Israele. L’industria del turismo, che nel 1995 contribuiva per il 2,2% al reddito nazionale, è declinata negli anni della seconda Intifadah fino a produrre ricchezza per appena lo 0,7% del PIL. Nel marzo del 2005, per la prima volta dallo scoppio della rivolta nei Territori, il numero di turisti stranieri che ha soggiornato negli alberghi israeliani ha superato le 150.000 unità. La soglia dei quasi 250.000 turisti che visitavano Israele ogni mese a metà degli anni ’90 o nel biennio 1999-2000 è ancora lontana, ma il clima di maggiore serenità che è percepito dai pellegrini europei e dai visitatori internazionali lascia ipotizzare che nei prossimi anni il numero di presenze potrebbe ancora incrementare in modo significativo.
    
Stabilità monetaria e sviluppo finanziario
La diminuzione di intensità della rivolta palestinese e le aperture unilaterali del governo Sharon, che hanno portato al disimpegno israeliano da alcuni settori dei Territori, non sono, tuttavia, gli unici fattori ad aver influito sulla ripresa economica di Israele. La nomina di Stanley Fischer alla presidenza della banca centrale israeliana e le politiche economiche del governo Sharon hanno anch’esse contribuito in modo decisivo sulla creazione di un substrato monetario, fiscale e finanziario che favorisse l’espansione del sistema produttivo dello stato ebraico.
    Nel gennaio di quest’anno il governo Sharon ha selezionato per il vertice della banca centrale l’economista americano di origini ebraiche Stanley Fischer, che aveva alle sue spalle una lunga carriera professionale ed accademica nel MIT, alla Banca Mondiale ed al Fondo Monetario. Da consulente economico del segretario di stato di Reagan George Shultz, Fischer aveva già collaborato negli anni ’80 con l’allora prima ministro Shimon Peres per il risanamento delle finanze israeliane e per l’elaborazione di politiche per il controllo dell’inflazione. Al vertice della massima istituzione monetaria israeliana Fischer ha messo in atto severe politiche restrittive, contribuendo in modo decisivo al contenimento dell’inflazione al di sotto dei due punti percentuali. A sua volta la valuta israeliana, lo shekel, si è costantemente apprezzata rispetto alle principali valute di riferimento internazionali, rafforzando l’immagine di stabilità valutaria e monetaria dello stato ebraico. Tali condizioni sono particolarmente importanti per un paese che, dipendendo fortemente dal commercio e dagli investimenti esteri, ha la necessità di garantire ai propri imprenditori ed agli investitori stranieri la certezza sui prezzi ed i guadagni futuri.
    La nomina di Stanley Fischer è legata, oltre che alla stima di cui quest’ultimo gode nel mondo della finanza internazionale, alla sua esplicita simpatia per il programma neo-liberista che il governo Sharon, ed in particolare l’ex ministro delle finanze Netanyahu, hanno cercato di attuare negli ultimi anni. Il duplice obiettivo di questo ambizioso progetto era la riduzione della spesa pubblica e dell’intervento dello stato nel sistema economico israeliano, due pesanti eredità della tradizione socialista e statalista del sionismo laburista del Mapai. La stabilità di cui ha goduto il governo del Likud fino alla crisi che ha accompagnato i progetti di disimpegno da Gaza ha permesso all’esecutivo di avviare un progressivo ridimensionamento della spesa dello stato. Nel gennaio 2005 il governo ha varato una riforma degli aiuti all’infanzia ed una riforma del sistema pensionistico che ha innalzato l’età pensionabile.
    
Crescita nel lungo periodo?
L’economia israeliana sta attraversando, dunque, un periodo particolarmente felice. Vi è tuttavia la certezza che l’origine dei tassi di crescita degli ultimi due

prosegue ->
anni non risieda solamente in un naturale riequilibrio, dopo una recessione che ha colpito troppo duramente un’economia intrinsecamente stabile e produttiva? Le riforme monetarie e fiscali degli ultimi anni lasciano intendere che l’economia israeliana stia vivendo una fase di sviluppo che non dipende semplicemente dalla ciclicità delle fasi dell’economia internazionale, né dalle implicazioni del processo di pace con i palestinesi. D’altro canto, è inevitabile osservare che nei prossimi anni, con alle spalle due o più anni di decisa crescita economica e con la possibilità di ulteriori fluttuazioni nell’economia internazionale, il tasso di crescita israeliano potrebbe avere una brusca battuta d’arresto, se non saprà fare i conti con quattro importanti sfide che attendono il suo sistema produttivo.
    In primo luogo, per favorire la crescita di lungo periodo di Israele sarà necessario attuare alcune riforme della struttura socio-politica ed istituzionale del paese. In particolare, i prossimi esecutivi dovranno avere la forza politica per intervenire in modo deciso sul mercato del lavoro, adeguandolo ai criteri che dominano nelle economie occidentali e riducendo il controllo statale sul sistema sindacale. Altrettanta attenzione richiedono i progetti di riforma della banca centrale, il cui statuto è ormai obsoleto e non garantisce né una sufficiente autonomia in materia monetaria, né la possibilità di controllare e valutare con adeguata precisione lo sviluppo del sistema finanziario.
    Il paese dovrebbe inoltre lavorare per ridurre l’elasticità del tasso di crescita rispetto agli sviluppi del processo di pace e dei rapporti di sicurezza con i palestinesi. Finché Israele non sarà in grado di garantire una sufficiente quantità di manodopera a basso costo nei suoi confini, continuerà la delocalizzazione delle industrie israeliane ai margini dei Territori e l’esodo di pendolari dalle città palestinesi: un fenomeno che non garantisce lo sviluppo di un’economia autonoma ed autosufficiente nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese e favorisce un rapido declino economico di Israele nei periodi in cui i valichi sono chiusi per ragioni di sicurezza.
    L’apprezzamento dello shekel nei confronti delle principali valute internazionali pone, infine, il problema del trade-off tra la stabilità della valuta israeliana e le richieste degli esportatori, che gradirebbero fin d’ora un parziale deprezzamento. La grande intensità di capitale dell’industria israeliana fa sì che questo dilemma necessiti di una vigilanza attenta ed accorta da parte degli operatori monetari.
    Tutti questi indizi non influenzano il giudizio complessivo su un sistema economico che rimane assai solido e sviluppato, ma suggeriscono la necessità di garantire anche nel futuro prossimo un impegno costante nell’opera di riforma e ridefinizione del quadro produttivo. Anche se, com’è probabile, l’eredità del conflitto con i palestinesi caratterizzerà ancora a lungo lo sviluppo socio-economico del paese, le riforme finalizzate ad una modernizzazione del quadro monetario, del sistema fiscale e di quello del welfare potrebbero comunque porre le basi per una sempre maggiore solidità dell’economia israeliana.
    
(Equilibri.net, 23 settembre 2005)





5. GLI INSULTI PREFERITI DAGLI STUDENTI




«Mongolo, spastico, asilante, ebreo!»

di Cristina Cattaneo
    
E poi l'appendice
    
1. Mongolo!
2. Mongoloide!
3. Spastico!
4. Asilante!
5. Frocio!
6. Andicappato!
7. Vu’ cumprà!
8. Albanese!
9. Negro!
10. Kossovaro!
11. Albanisch!
12. Rifugiato!
13. Ebreo!
    
Alcuni giorni fa ho detto ad un mio scolaro che aveva gentilmente e scherzosamente insultato un compagno chiamandolo ebreo, che anch’io ero ebrea. Ieri un ragazzo di un’altra classe mi ha chiesto se ero ebrea. Io ho detto, sì, perché?
    Non potevo infatti dire che ero mongoloide, né spastica, né negra. Si sarebbe visto. Essendo qui da prima dell’arrivo delle navi albanesi in Puglia, non posso nemmeno dire di essere albanese. Anche l’appellativo Kossovaro è troppo recente. Lavoro, quindi non potrei essere né rifugiata né asilante. Non mi potrebbero chiamare nemmeno frocio.
    Quando dico di essere italiana provo un certo non so ché, poi vigliaccamente mi affretto a dire che sono qui da tanti anni e che i miei figli adesso sono svizzeri. E poi da sposata ho acquisito un cognome così lombardo che è molto diffuso anche in Ticino… Così come ci sono tanti Bernasconi anche in Lombardia. Ma ebrea, quello sì, quello posso esserlo sempre.
    Insegno in questa scuola da tredici anni. Ogni anno c’è un insulto che va per la maggiore. Questi insulti potrebbero benissimo servire per fare una ricerca antropologica o per rileggere la storia recente. E’ da poco più di una ventina d’anni infatti che si parla di inserire i portatori di handicap nelle scuole. Il dibattito era molto vivace una quindicina di anni fa. Adesso se ne parla molto meno. Ci sono meno portatori di handicap? Meno bambini affetti dalla sindrome di Down? Speriamo!
    Gli asilanti, ovvero richiedenti di asilo, ci sono sempre, così come i rifugiati, anche se ogni tanto gli danno un po’ di franchi, dei vestiti, li caricano su un aereo con dei poliziotti e vrumm, di nuovo a casa, Kossovo, Albania, isola che non c’è. Rimpatriano così anche bambini che sono venuti qui a un anno e adesso ne hanno dieci, vuol dire bambini che sono cresciuti e sono andati a scuola qui, tengono per il Lugano, il Servette, l’Ambri, e forse per una squadra italiana famosa, come l’Inter o il Milan.
    I miei scolari dicono che gli portano via il lavoro. Io insegno in una scuola privata, dove ben pochi sono i ragazzi che hanno problemi economici. Molti invece hanno solo poca voglia di fare o di lavorare.
    Difficile ragionare in questi casi. Come raddrizzar le gambe a un cane, diceva mia suocera.
    Ma quando sento “ebreo!” allora mi arrabbio.
    Ne ho parlato con un collega. Ma scherzano, ha detto scherzando.
    A me non piacciono le barzellette, le dimentico e non le so raccontare. Se mi raccontano una storia ci credo, non sono nemmeno capace di raccontare frottole, se non in casi eccezionali. Apprezzo l’ironia, meno il sarcasmo.
    Non scherzo mai, dicono che sia un mio difetto. Ma rido un sacco delle cose che mi divertono. Mi diverto a parlar di cose serie.
    Sentire insultare un ragazzo chiamandolo ebreo non mi diverte.
    Mi fa arrabbiare. Tanto.
    A me quel ragazzo che l’ha detto è simpatico. Cerco di parlargli e ci intendiamo anche abbastanza. Con altri colleghi ha parecchi problemi. Sta probabilmente cercando la sua strada, fra una canna e l’altra. Ma è contento quando riesce a prendere una sufficienza. Soffre probabilmente di un disturbo ossessivo-compulsivo, per cui ogni tanto in classe deve fare il verso di qualche volatile. L’anno scorso ho dovuto ritirargli il telefonino, perché lo stava usando tranquillamente davanti a me. Me l’ha dato subito, sorridendo. Mi spiace, sai, è la regola. Certo, ha detto dandomelo, lo so. E’ un ragazzo sensibile e intelligente.
    Così l’altro giorno, quando mi sono tanto arrabbiata, ho cominciato a spiegargli perché non si deve dire ebreo come insulto. Devo dire che mi ha ascoltata senza fare versi di volatili.
    Ma da dove si comincia?
    Io quando mi arrabbio mi impappino. Faccio una gran confusione. Non so esprimere chiaramente un concetto. Le cose importanti mi vengono in mente sempre dopo, dopo. Quando sto per addormentarmi e non ci riesco.
    Ho dovuto dire però che purtroppo i cristiani non hanno fatto molto per non incoraggiare l’antisemitismo. Solo da poco è stata tolta l’accusa di deicidio. Che cos’è il deicidio, mi hanno chiesto.
    Che gli ebrei sono sempre stati stranieri perché non hanno mai rinunciato né alla loro fede né alla loro lingua sacra. Che hanno cominciato a fare i banchieri perché non gli lasciavano comprare né case, né terreni. Oppure facevano i medici, altra professione vista con sospetto dalla popolazione. Che i re se ne servivano per farsi dare i soldi per combattere guerre insensate e quando non potevano restituire i soldi li cacciavano così da un momento all’altro, ammazzandone anche un po’ già che c’erano. In Inghilterra gli ebrei sono stati assenti dalla metà del duecento fino al seicento.
    Mi sono dimenticata però di dire che alcune di queste guerre per le quali i re chiedevano finanziamenti erano anche le crociate, che hanno segnato il vero inizio dell’antisemitismo ufficiale. Massacriamo tutti gli infedeli, cominciando dall’Europa, poi completeremo l’opera a Gerusalemme, dove ebrei e arabi convivevano.
    Mi sono dimenticata di dire che la parola Ghetto è stata inventata in Italia, dove peraltro gli ebrei stavano meno peggio che altrove, perché un buon Medici in cambio del titolo di Granduca, per fare un piacere al papa, li ha fatti rinchiudere, appunto nei ghetti.
    Mi sono dimenticata di dire che i buoni e devoti Ferdinando e Isabella di Castiglia verso la fine del 1400 hanno deciso di ripulire la Spagna dai non cristiani e obbligato gli ebrei o a convertirsi o a lasciare la Spagna.
    Anch’io da piccola dicevo “Vil marrano!”. Cinquecento anni dopo dire vil marrano a qualcuno era ancora un insulto. (I marrani erano gli ebrei convertiti.) Santa Teresa d’Avila, santa importantissima, apparteneva a una famiglia di vili marrani.
    Anche Spinosa, il grande filosofo, era un marrano. Si era rifugiato in Olanda come molti altri ebrei che aiutarono i Paesi Bassi a rifiorire economicamente, così come avevano fatto altri che arrivarono a Livorno. La Toscana trasse gran giovamento da questi arrivi. Se qualcuno va in Turchia, Grecia, Bulgaria, se è molto fortunato o sa dove trovarli, potrà sentire ancora parlare uno spagnolo antico, appunto sefardita, da questi esuli dalla Spagna. Ne ho incontrato qualcuno a Istanbul. Parlavano turco e questo spagnolo. Facevano i negozianti, vendevano camicie e bottoni.
    Ma, mi ha detto questo ragazzo, fanno ridere, con quei cappelli e con quelle barbe e con quei riccioli sulle orecchie. Lasciamo perdere, dico io, perché se si sta a guardare cosa c’è in giro, anelli al naso, capelli rossi verdi gialli e viola, c’è proprio di tutto. Ho capito però che era un ragionamento “politically incorrect”. E le suore, dico io allora, anche loro vanno vestite in modo anacronistico. Appunto, dice lui. Meglio lasciar perdere, penso io.
    Cerco allora di spiegare come nel 1648, proprio alla fine della terribile guerra dei trent’anni, in Polonia c’è stata una strage, il massacro di Chmielnitzky, quasi paragonabile, fatte le debite proporzioni, all’olocausto, e che in seguito una specie di rabbino, ma non proprio, il Ba’al Shem Tov, si è messo ad andare in giro e cercare di “rianimare” questo popolo ferito a morte, cantando, pregando e ballando, e i suoi seguaci, gli Hassidim, si vestono più o meno ancora come allora. Come anche gli Amish, in America, non ti ricordi la lettura sul libro?
    Ho scritto alla lavagna il nome di Chaim Potok e il titolo di alcuni suoi libri, Danny l’eletto, Mi chiamo Asher Lev. Leggeteli, ho detto, sono belli. Chissà.
    Difficile spiegare, non sono una storica, non ho i dati precisi. Ma so, di sicuro.
    Avrei potuto raccontare la bella leggenda del Golem, questa specie di Frankenstein d’argilla, creato a Praga all’inizio del 1600, almeno così dice la leggenda, perché aiutasse e difendesse questi poveri ebrei sempre costretti a subire umiliazioni e angherie. Sembra che fosse molto bravo all’inizio, poi la cosa è scappata di mano e si dovette eliminarlo. Come? In un modo alquanto “cabalistico”. Il rabbino che lo aveva per così dire “creato” aveva scritto sulla fronte del Golem la parola Emeth, che in ebraico vuol dire verità. Per farlo ritornare al suo stato di semplice argilla bastò cancellare la prima E, ottenendo così la parola Meth, che vuol dire morte.
    Non ho avuto tempo di spiegare come con l’illuminismo e la rivoluzione francese fossero arrivate anche fra gli ebrei le idee egalitarie, la voglia di... emanciparsi.. e hanno dato, tanto, tanto. Hanno imparato le nostre lingue, sono usciti dai ghetti. Pensavano di essere persone normali, come tutti, coi loro difetti e le loro qualità. Ma soprattutto coi loro difetti, come così bene ci descrive Isaac Singer. Nel suo libro “Il Mago di Lublino” arriva a far dire al protagonista, perplesso nel vedere gli uomini nella sinagoga, “ma almeno mentre sono qui non commettono peccati, non fanno niente di male”.
    “Danza con la morte” definisce Chaim Potok l’emancipazione, nel suo libro “Wanderings”.
    Volevo suggerire di leggere “La Tela del Ragno”, di Joseph Roth. Meglio non esagerare.
    Non mi è venuto in mente di dire che tanti ebrei hanno cercato di costruire un’utopia in Russia insieme ad altri sognatori, ma poi.. ma poi… i gulag. Anche Trotsky, come Marx e sembra anche Lenin, era ebreo, veniva da uno Shtetl (villaggio) nella zona di residenza, una fascia di terra che va dalla Lituania al Mar Nero, se ne dovevano star lì, gli ebrei, un po’ in Russia, un po’ in Prussia, un po’ nell’impero asburgico.. Ogni tanto, a seconda dell’umore, li cacciavano, o facevano un pogrom (spedizione punitiva in un villaggio di ebrei nella Russia degli Zar in cui si distruggeva e si massacrava), così, tanto per non saper cosa fare.
    Le superstizioni. Chi conosce la religione ebraica sa che il sangue non c’entra affatto. E’ stata una delle prime religioni a eliminare il sacrificio umano. Ma la mala erba è forte e ben radicata. C’era sempre in quei paesini un ebreo accusato di aver sacrificato un bambino per berne il sangue!
    Tanti altri pregiudizi, sospetti, invidie, furono sfruttati persino dall’Okhrana, la polizia segreta degli zar, per elaborare un crudelissimo libello contro gli ebrei, “I Protocolli dei Savi di Sion”, che servì a istigare all’antisemitismo e diffondere falsità in tutta Europa. Ancora oggi c’è chi ci crede.
    Ho cercato di spiegare, persa ormai in questo labirinto di storie, fatti, idee, che finché queste cose sono a livello di osteria niente di grave. Terùn, Polentùn. E poi una bella bevuta.
    Ma durante il nazismo la cosa è andata oltre. Licenza di ammazzare i Terùn, licenza di ammazzare gli asilanti, licenza di ammazzare gli ebrei, licenza di ammazzare gli handicappati, licenza di ammazzare gli zingari. E’ proprio questo quello che è successo quando la politica, i governanti si sono impossessati delle idee da osteria e le hanno sfruttate per i loro fini. Certo la guerra ha dato una mano. La guerra è assenza di legge, assenza di controllo, assenza di tutto.
    Non sono riuscita a dire tutte queste cose, però. Non c’era il tempo. Stava per suonare il campanello.
    Sono forse riuscita a dire che il concetto di razza è scientificamente inesistente, certo non siamo cani o moscerini, ma il nostro DNA non è così diverso da quello di un gorilla.
    Ho cercato anche di dire che uno scrittore, Franz Werfel, ebreo anche lui, ha raccontato in un libro scritto nel 1929, “I quaranta giorni del Mussa Dagh”, che non solo gli ebrei sono stati decimati. Durante la prima guerra mondiale c’era stato un altro genocidio, quello degli armeni. Il genocidio del deserto, l’hanno chiamato. Hanno semplicemente deportato un popolo facendolo camminare a piedi, fino alla morte. L’anno scorso avevo un’allieva con il nome che finiva per –ian, come tutti gli armeni. La sua bisnonna si era miracolosamente salvata sopravvivendo per alcuni giorni accanto ai cadaveri di tutti i suoi famigliari, aveva poi avuto una vita avventurosissima, mi ha detto K. P.
    Anche quello un popolo non guerriero, ma diverso, come tradizioni, lingua, cultura, religione, dal popolo dominante, i turchi. C’erano degli scienziati che assistevano i turchi in questa loro opera. Prestavano assistenza tecnica. Sì, perché l’eliminazione dei cadaveri creava dei problemi, in certi luoghi le montagne di corpi avevano addirittura deviato il corso di certi fiumi. Questi scienziati stavano quindi studiando dei gas letali. Ma i gas utilizzati allora erano troppo “pesanti”, non funzionavano se non a pochi centimetri da terra. Ecco perché ad Auschwitz e in altri posti simili hanno fatto scendere i gas dall’alto, dalle docce.
    Non ricordo se ho detto che Elie Wiesel, premio Nobel, sopravvissuto ai lager, ha detto, vigilate, perché queste cose possono capitare ancora. Cambogia, Ruanda, Yugoslavia. Basta una scintilla.
    Gli ebrei, per dirla alla Don Giussani, sono il mio senso religioso.
    Ecco perché non riesco a scherzare quando sento chiamare qualcuno ebreo. Non riesco proprio. Sono ebrea anch’io.
    
(La Gazzetta di Sondrio, 27 settembre 2005)     





6. ISTITUITA LA «GIORNATA DI PREGHIERA PER GERUSALEMME»




Il giorno di preghiera per la pace di Gerusalemme

Domenica, 2 ottobre 2005

Il giorno di preghiera per la pace di Gerusalemme è stato istituito con la approvazione ufficiale dei membri del Knesset nel 2004 in Israele e di centinaia di leader evangelici nel mondo. Questo giorno sara' stabilito per ogni anno, la prima Domenica di Ottobre fin quando il Messia' ritornera'.
La nostra chiamata biblica, come il corpo di Cristo, e' per una preghiera sostenuta, ferma e ben informata (attraverso le Scritture) per dare un'intercessione globale, la quale dà un vero sopporto per il programma e proposito di Dio per Gerusalemme ed i suoi cittadini.
Questo giorno di preghiera coincide con Yom Kippur, il giorno di espiazione ebraica. Per la prima volta nella storia della chiesa, un giorno cristiano, coincide con il calendario biblico ebraico.
Quest'anno, con la grazia di Dio, gli obbiettivi per le chiese evangeliche globalmente sono:

100 nazioni partecipanti
100 milioni di credenti evangelici partecipanti
100,000 chiese aderiscono alla preghiera per Israele

Siamo contenti di presentare questa iniziativa fra le chiese evangeliche Italiane, per informarle sul fatto che sono invitate a partecipare ogni anno con i membri delle proprie chiese, per sostenere Israele con la nostra preghiera tangibile e la solidarieta' della parola di Dio, dove è scritto, “Pregate per la pace di Gerusalemme: prosperino quelli che ti amano. Ci sia pace entro le tue mura e prosperità nei tuoi palazzi.” Salmo 122:6

Per maggiori informazioni: http://daytopray.com

(Comunicato EDIPI, 22 settembre 2005)





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