<- precedente seguente -> pagina iniziale arretrati indice



Notizie su Israele 317 - 18 ottobre 2005

1. Intervista al rabbino Michael Lerner
2. Sukkot - La Festa delle Capanne
3. Cresce il numero dei turisti in Israele
4. Un'eroica spia che lavorò per Israele
5. Il «muro» israeliano e gli interessi della «Santa Sede»
6. Musica e immagini
7. Indirizzi internet
Zaccaria 12:9-10. In quel giorno, io avrò cura di distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di grazia e di supplicazione; essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito.
1. INTERVISTA AL RABBINO MICHAEL LERNER




Impegnato nella costruzione di una rete che riunisca persone che vogliono avere una voce alternativa alle destre religiose (non solo quella cattolica, ma anche la protestante, l'ebraica e la musulmana), il rabbino statunitense Lerner indica la strada di un dialogo basato sulla conoscenza dell'altro e delle sue tradizioni. Crediamo che sia utile far sapere che esistono posizioni come questa, anche se non la condividiamo.


Solo la conoscenza sconfigge la diffidenza

intervista a cura di Terry Finseth
traduzione di Elisabetta Rovis

Michael Lerner
Sui temi del dialogo interreligioso, ma anche su altre questioni quali la crisi israelo-palestinese, la costruzione della pace e il nuovo pontificato di Ratzinger, abbiamo intervistato il rabbino Michael Lerner, fondatore e direttore della rivista bimestrale Tikkun, che si occupa in modo critico di politica, cultura e società, e della Tikkun Community di Berkeley (California), un gruppo interconfessionale, aperto anche ai laici, impegnato sui temi della pace, della nonviolenza e della salvaguardia dell'ambiente.

Di solito le religioni sono descritte come sentieri di pace, ma vediamo (almeno in qualche posto) il contrario. Come possiamo aiutare le religioni a trovare il loro ruolo di costruttori di pace?
In ogni religione ci sono molti testi e molte tradizioni; alcuni di questi testi rappresentano gli esseri umani nei loro momenti più ricchi di speranza, in cui guardano il mondo e sentono la possibilità della bontà. Alcuni di questi testi rappresentano gli esseri umani quando hanno più paura, quando vedono il mondo partendo dal presupposto di essere soli, sentendo che tutti quelli intorno a loro hanno intenzione di ferirli. Quindi il nostro compito è di rafforzare l'elemento di speranza all'intemo di tutte le tradizioni religiose, e il modo migliore per farlo è quello di rispettare tutto l'amore, l'affetto, la gentilezza, la generosità di spirito che sono possibili dentro di noi, perché è quando facciamo questo che rafforziamo questi stessi tratti all'interno di altri esseri umani.
Ogni essere umano porta in sé questo conflitto, tra l'elemento di speranza e quello di disperazione. Tutte le tradizioni religiose lo hanno, e quindi più gli altri ci rispondono con speranza, amore e generosità, più quella parte di noi riesce a emergere. Più invece ci rispondono con paura, sospetto o comportamento ostile, più emerge quell'altra parte di noi. Qualcuno potrebbe dire in risposta a questo: «Bene, e cosa avremmo dovuto fare dopo l’11 settembre? Avremmo dovuto rispondere in maniera generosa e gentile?» Ma la verità è che la storia non è iniziata l’11 settembre; l'11 settembre è il culmine di un lungo percorso di insensibilità occidentale nei confronti di ogni tradizione religiosa.

Qual è il contributo specifico che secondo lei l'ebraismo potrebbe dare?
Oggi l'ebraismo viene identificato con gli elementi più spaventosi della nostra storia. Capisco perché. Dopotutto, abbiamo patito la morte di milioni e milioni di persone nella prima metà del XX secolo. Di conseguenza il popolo ebraico è rimasto traumatizzato, ma il trauma che abbiamo patito nel XX secolo viene ora riprodotto sul popolo palestinese, grazie a Dio non nella stessa misura, e senza gli stessi orrendi comportamenti omicidi; tuttavia viene riprodotto in modo insensibile e doloroso. E noi, il popolo ebraico, dobbiamo superare questo trauma.
D'altro canto sarebbe senz'altro utile se il popolo palestinese e altri popoli arabi agissero nei nostri confronti come se noi non fossimo fondamentalmente cattivi e non fossimo l'incarnazione delle cose peggiori del mondo. Quindi, di nuovo, è una dialettica; in ogni tradizione religiosa vi è una lotta in corso. E proprio ora all'interno dell'ebraismo si sta combattendo una lotta, perché alcuni di noi stanno cercando di costruire o rinnovare l'ebraismo mettendo in rilievo gli elementi di amore, costitutivi della Torah, che dicono specificamente che è un comandamento, una mitzvah (una norma della tradizione ebraica) di amare non soltanto il proprio vicino ma l'altro, lo straniero.

Quindi qual è il futuro del dialogo interreligioso?
Il dialogo interreligioso può essere un'interazione puramente di facciata tra gruppi di persone alle dipendenze della comunità, pagate per essere carini con gli altri. Nel frattempo però la grande maggioranza delle persone all'interno di ciascuna comunità continua a odiarsi a vicenda. E’ questo che è accaduto negli ultimi 50 o 60 anni, per lo meno per quanto riguarda le relazioni tra ebrei e cristiani, e molte altre, e sicuramente tra religioni occidentali, tra ebraismo e cristianesimo da un lato, e islam dall'altro.
Quindi il dialogo interreligioso può essere davvero di facciata, o può essere molto più reale; può essere reale se ciascuno insegna all'altro le proprie tradizioni, se davvero apprendiamo le tradizioni dell'altro, non in modo astratto ma con rispetto, per imparare davvero in cosa l'altro crede, per tentare di capire la prospettiva dell'altro e le sue opinioni. E poi se a livello di base, non solo a livello di un papa che si reca in una sinagoga, incontriamo la gente e impariamo dalle persone in che modo esse vivono. Quindi se ci fosse dialogo interreligioso a questo livello esisterebbe una reale possibilità di un'interazione più proficua tra le comunità religiose.

Ha citato il papa; come vede le relazioni tra cattolici ed ebrei dopo l'elezione di Ratzinger?
Bene, mettiamola in questo modo: il futuro benessere del popolo ebraico dipende dalla pace, dal benessere economico e dal rispetto per l'ambiente su questo pianeta. E’ questa la nostra principale questione di sopravvivenza. Abbiamo bisogno di un pianeta in cui le persone vadano d'accordo le une con le altre, si sostengano a vicenda, si prendano cura le une delle altre. Quindi nella misura in cui Ratzinger contribuirà a tutto ciò, le cose andranno bene. Prego ogni giorno che questo papa incarni i più elevati livelli di energia e di amore sul pianeta.

Torniamo all’islam. Può dirci qualcosa sulle vostre relazioni o interazioni sull’islam?
Sì, ho incontrato molti leader islamici negli Stati Uniti e in Palestina, e ritengo che ci sia una grande dose di umanità e di saggezza tra le numerose persone che ho incontrato. Ovviamente, non incontro quelli che vogliono uccidermi... ma diciamo che ho più cose in comune con alcuni leader islamici e cristiani di quante non ne abbia con alcuni ebrei. Credo sia così per tutti, perché esiste veramente all'interno di tutte le tradizioni religiose una voce d'amore e una voce di odio. Ho incontrato alcuni leader islamici splendidi, mi sono recato in alcune moschee e sono stato persino invitato a parlare in una moschea negli Stati Uniti; ho trovato molta umanità, comunione di idee e persino comprensione delle politiche distorte dell'attuale governo israeliano.

Ha citato le visite alle moschee e il discorso nella moschea: non so se questa sia l'esperienza principale, ma può raccontarci una significativa esperienza ebraico-musulmana di cui lei è stato parte, una storia che l'ha veramente toccata?
Sì, una cosa che mi ha toccato molto è stato partecipare con i musulmani a Gerusalemme a una passeggiata silenziosa intorno alle mura della città vecchia, in cui musulmani ed ebrei hanno marciato insieme per la pace. Ho partecipato a questa manifestazione alcuni anni fa. Si è trattato di un'esperienza molto bella e commovente.

Vorrebbe aggiungere qualcosa su Ratzinger?
Aggiungerò soltanto una nota leggermente critica. Di recente il papa ha rimosso dal suo incarico padre Thomas Reese, direttore di America, la principale rivista cattolica degli Stati Uniti. Lo ha fatto perché Reese ha consentito che sulla rivista diverse voci del mondo cattolico discutessero temi teologici, alcuni dei quali mettevano in discussione precedenti posizioni vaticane e cercavano di dimostrare che all'interno della teologia cattolica vi è spazio per il dialogo. Lui lo ha sostituito. E’ stato un momento molto brutto che può essere indice di un governo autoritario piuttosto che di un discorso più aperto.
Le sue opinioni sembrano essere l'opposto di quelle predominanti nel mondo ebraico, nel quale è famosa la storia di due opposte interpretazioni teologiche: la scuola di Shammai e la scuola di Hillel. Entrambe discutevano, discutevano e discutevano su ogni singolo punto su cui erano in disaccordo, e alla fine si sono rivolte all'autorità ultima, e dato che non abbiamo un papa, si sono rivolte direttamente a Dio, e hanno convenuto di pregare Dio affinché intervenisse. Alla fine dal cielo giunse una voce che disse: «Hillel e Shammai sono ambedue le voci del Dio vivente». Vorrei che questo si potesse udire dal Vaticano.
Ancora una cosa. Negli Stati Uniti stiamo creando un «Network of Spiritual Progressives» (rete di progressisti spirituali), per riunire persone che vogliono avere una voce alternativa alla destra religiosa intendo la destra religiosa nel mondo cattolico e nel mondo protestante, la destra religiosa nel mondo ebraico e in quello musulmano. Stiamo creando una rete di religiosi progressisti e a luglio abbiamo tenuto una conferenza presso l'Università della California a Berkeley a cui hanno preso parte persone provenienti da tutto il mondo per dar vita a una voce che sia interreligiosa (non solo ebrei, cristiani e musulmani, ma anche buddhisti e indù) per cercare di dar vita a una forza spirituale che possa parlare in alternativa alla destra religiosa. Chi vuole saperne di più può visitare il nostro sito www.tikkun.org.

(Confronti, ottobre 2005)





2. SUKKOTH - LA FESTA DELLE CAPANNE




La festa di Sukkoth inizia il 15 del mese di Tishrì.
Sukkoth in ebraico significa "capanne" e sono appunto le capanne a caratterizzare questa festa gioiosa che ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto: quaranta anni in cui abitarono in dimore precarie, accompagnati però, secondo la tradizione, da "nubi di gloria".
Nella Torà (Levitico, 23, 41-43) infatti troviamo scritto: "E celebrerete questa ricorrenza come festa in onore del Signore per sette giorni all’anno; legge per tutti i tempi, per tutte le vostre generazioni: la festeggerete nel settimo mese. Nelle capanne risiederete per sette giorni; ogni cittadino in Israele risieda nelle capanne, affinché sappiano le vostre generazioni che in capanne ho fatto stare i figli di Israele quando li ho tratti dalla terra d’Egitto".
La festa delle capanne è una delle tre feste di pellegrinaggio prescritte nella Torà, feste durante le quali gli ebrei dovevano recarsi al Santuario a Gerusalemme, fino a quando esso non fu distrutto dalle armate di Tito nel II secolo e.v. Altri nomi della festa sono "Festa del raccolto" e anche "Festa della nostra gioia", poiché cade proprio in coincidenza con la fine del raccolto quando si svolgevano grandi manifestazioni di gioia. Questa festa è detta anche "festa dei tabernacoli" e il precetto che la caratterizza è proprio quello di abitare in capanne durante tutti i giorni della festa. Se a causa del clima o di altri motivi non si può dimorare nelle capanne, vi si devono almeno consumare i pasti principali. Altri nomi della festa sono "Festa del raccolto" e anche "Festa della nostra gioia", poiché cade proprio in coincidenza con la fine del raccolto quando si svolgevano grandi manifestazioni di gioia.
La capanna deve avere delle dimensioni particolari e deve avere come tetto del fogliame piuttosto rado, in modo che ci sia più ombra che luce, ma dal quale si possano comunque vedere le stelle. E’ uso adornare la sukkà, la capanna, con frutta, fiori, disegni e così via.
La sukkà non è valida se non è sotto il cielo: l’uomo deve avere la mente e lo spirito rivolti verso l’alto.
Un altro precetto fondamentale della festa è il lulàv: un fascio di vegetali composto da un ramo di palma, due di salice, tre di mirto e da un cedro che va agitato durante le preghiere. Forte è il significato simbolico del lulàv: la palma è senza profumo, ma il suo frutto è saporito; il salice non ha né sapore né profumo; il mirto ha profumo, ma non sapore ed infine il cedro ha sapore e profumo. Sono simbolicamente rappresentati tutti i tipi di uomo: tutti insieme sotto la sukkà. Secondo un’altra interpretazione simbolica la palma sarebbe la colonna vertebrale dell’uomo, il salice la bocca, il mirto l’occhio ed infine il cedro il cuore. L’uomo rende grazie a Dio con tutte le parti del suo essere.
L’uomo è disposto a mettersi al servizio di Dio anche nel momento in cui sente che massima è la potenza che ha raggiunto: ha appena raccolto i frutti del suo raccolto, ma confida nella provvidenza divina e abbandona, anche se solo per pochi giorni, la sua dimora abituale per abitare in una capanna. Capanna che è insieme simbolo di protezione, ma anche di pace fra gli uomini. "E poni su di noi una sukkà di pace" riecheggiano infatti i testi di numerose preghiere; ci sono dettagliate regole che stabiliscono l’altezza massima e minima che deve avere una sukkà, ma per quanto concerne la larghezza viene stabilita solo la dimensione minima: nei tempi messianici infatti la tradizione vuole che verrà costruita una enorme unica sukkà nella quale possa risiedere tutta l’umanità intera.

(Unione Comunità Ebraiche Italiane, www.ucei.it)





3. CRESCE IL NUMERO DEI TURISTI IN ISRAELE




Turismo: in Israele il 70% d'italiani in più

di Carmen Morrone

Da gennaio ad agosto 2005 sono stati 1 milione e 424mila i turisti in Israele determinando una crescita complessiva del 27% rispetto al medesimo periodo dell'anno 2004 e dall'Italia sono stati 46.759 i turisti che hanno determinato una curva di crescita complessiva del 70% rispetto ai primi otto mesi dell'anno 2004, con una concentrazione, nel solo mese di agosto, di 10.381 turisti venendo cosi' a determinare, limitatamente a questo mese, una percentuale di crescita del 73%. I dati, forniti dall'Ufficcio centrale di statistica israeliano, mostrano poi come nel solo mese di settembre Israele abbia registrato la presenza di 159.100 turisti con una crescita complessiva del 30% rispetto a settembre 2004. Spostando poi lo sguardo sulle nazioni di provenienza, nei primi 8 mesi dell'anno 2005 dagli Stati Uniti sono sopraggiunti in Israele ben 305.121 turisti con una percentuale di crescita rispetto al medesimo periodo del 2004 del 19%, dall'Europa sono giunti 711.769 turisti con una crescita complessiva del 27%, dall'Asia 53.398 con una percentuale di crescita del 35%.

(Vita.it, 17 ottobre 2005)





4. UN’EROICA SPIA CHE LAVORO’ PER ISRAELE




Eli Cohen: l’uomo del Mossad a Damasco

L’articolo, estremamente interessante e documentato sotto il profilo storico, richiama l’attenzione su Eli Cohen, un personaggio che Israele annovera fra i suoi eroi, un uomo che ha sacrificato la vita per amore del proprio paese e la cui storia è per molti ancora sconosciuta.

di Rodolfo Ballardini

L’altipiano del Golan, (Ramat HaGolan) è roccioso, quasi brullo, caratterizzato da bassi cespugli. Il sole vi picchia in estate e la neve lo copre in inverno. A nord si erge il monte Hermon con i suoi 2.800 metri di altezza, incuneato, come se fosse stato spinto a far da cerniera, tra il Libano, la Siria e Israele.
    Dal Golan scendono i fiumi Hatbani, Dan e Banias, che alimentano il Giordano, e poi tutti i corsi d’acqua minori che sfociano nel Kinneret, ovvero il Mar di Tiberiade. Più del 30% delle risorse idriche di Israele dipendono dal Golan. Da quelle alture si gode un’ottima vista dell’alta Galilea, la regione più fertile di Israele e, con un buon binocolo, è possibile seguire i trattori che arano. Sino al 1967 erano impiegati mezzi agricoli blindati giacchè i soldati siriani giocavano al tiro al piccione colpendo gli agricoltori israeliani con artiglierie leggere e mitragliatrici pesanti. Dal Golan siriano si infiltravano i terroristi palestinesi. I massi e gli agglomerati rocciosi sparsi qua e là offrono un ottimo riparo, sia alla vista dal basso, sia dall’alto, a quanti volessero trascorrere qualche ora in tranquillità senza essere notati. E’ tuttavia facile imbattersi in gruppi di eucalipti, cresciuti sovente a ridosso di vecchie costruzioni militari siriane, oppure disposti a circolo intorno ad anfratti del terreno trasformati, a colpi di martello pneumatico, in postazioni fortificate.
    La domanda sul perché i siriani, i più implacabili nemici di Israele, che dal 1946 al maggio 1967 hanno bombardato quasi quotidianamente la Galilea, abbiano deciso di rendere riconoscibili le loro strutture militari caratterizzandole con alberi di alto fusto anziché sfruttare la mimetizzazione naturale offerta dal terreno, non può essere elusa, tanto è evidente l’errore commesso. Un errore che l’Esercito Siriano ha pagato assai caro nella guerra del giugno 1967, più nota come Guerra dei Sei Giorni, subendo la distruttiva azione dell’aeronautica Israeliana che ha avuto buon gioco nell’individuare i bersagli da colpire segnalati proprio dai boschi di eucalipti. Un errore indotto dal suggerimento della più famosa e celebre spia del Mossad, “il suo uomo a Damasco”, Eli Cohen, che, sotto false generalità, fu così abile dal divenire intimo amico del Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, del Ministro della Difesa e del Presidente siriani. Convinse gli Alti Comandi che l’eucalipto avrebbe costituito un ottimo mascheramento se piantato in prossimità delle postazioni. Il suo doppio gioco venne scoperto nel gennaio del 1965. L’ira di Damasco si abbattè sulla spia e il 18 maggio Eli Cohen fu pubblicamente impiccato nella piazza principale della capitale, il corpo dileggiato e mai più restituito alla famiglia, che ancora oggi ne reclama il ritorno. Non è stato rivelato neppure il luogo della sepoltura che potrebbe essere la prigione militare di El Mazzih, vicino Damasco. Il sepolcro è stato ricoperto con tonnellate di cemento dopo il tentativo di sottrarre la salma effettuato di sua iniziativa da un agente del Mossad alcuni anni dopo l’impiccagione. In Israele Eli Cohen è considerato un eroe e il salvatore dello Stato ebraico. Grazie alle sue informazioni, le Forze Armate ebraiche riuscirono a sorprendere i Siriani ancora sulle basi di partenza, prima che potessero iniziare un massiccio

prosegue ->
attacco in appoggio a quello che l’Egitto di Nasser nel ‘67aveva già lanciato contro Israele dal Canale di Suez.
    Eli (Eliahu) ben Shaoul Cohen era nato ad Alessandria di Egitto il 16 dicembre 1924. Il padre Shaoul, e la madre, Sophie, vi erano immigrati da Aleppo, Siria, nel 1914, rispettivamente a 12 e a 7 anni. Aveva frequentato la scuola elementare ebraica “Etz Chaim”, poi le superiori, dove aveva iniziato la sua attività sionista. Si era iscritto alla facoltà di ingegneria dell’università del Cairo, ma aveva dovuto lasciarla per le attività antisemite egiziane. Mosse i primi passi nell’attività politica clandestina organizzando nella capitale egiziana dimostrazioni a favore di Eliahu Bet-Zouri ed Eliahu Hakim, membri del gruppo Stern, responsabili degli omicidi commessi il 6 novembre 1944 ai danni di Lord Moyne, al secolo Walter Edward Guiness nato a Dublino il 29 marzo 1880, nominato nel gennaio 1944 Ministro di Sua Maestà Britannica per il Medio Oriente, e del suo autista, il caporale dei Lancieri Fuller. Già membro dei governi conservatori ante guerra britannici (1907-1931), noto filo arabo, Lord Moyne fu uno degli estensori del Libro Bianco che nel 1939 vietò l’immigrazione degli Ebrei europei in Palestina e fu l’ideatore, con Lord Lloyd, della Lega Araba. L’uomo politico britannico era stato contattato nel 1944 in veste di Alto Commissario per l’Egitto, dal capo della comunità ebraica ungherese che i Tedeschi avevano mandato come intermediario al fine di trovare un accordo per salvare un milione di ebrei rinchiusi nei campi di sterminio. Lord Moyne rispose che non sapeva cosa farsene di tanti Ebrei e fece arrestare l’emissario ungherese. Il figlio di Lord Moyne, Bryan Guiness, aveva sposato Diana Mitford che divorziò da lui per unirsi, in segreto a Berlino nel 1936, al capo dell’Unione dei Fascisti inglesi, lord Oswald Mosley. Eliahu Bet-Zouri ed Eliahu Hakim furono impiccati il 22 marzo1945. I loro resti furono resi a Israele nel 1975 in occasione di uno scambio di prigionieri. La cerimonia funebre fu diretta dall’allora generale Yitzhak Rabin che l’estremista ebreo Ygal Amir assassinò il 4 novembre 1995 quando era Primo Ministro.
    La sconfitta dei Paesi arabi, che nel 1948 avevano attaccato il neonato Stato ebraico, rese impossibile la vita degli Ebrei che vi risiedevano. Espulsioni, reclusioni e omicidi impuniti spinsero l’Agenzia Ebraica a organizzare reti clandestine per la fuga verso Israele. Cohen vi partecipò attivamente e nel 1950 fu incaricato di svolgere un’azione di spionaggio per scoprire e sabotare i piani degli scienziati ex nazisti che, rifugiatisi in Egitto dopo la II Guerra Mondiale, progettavano di costruire missili per colpire Israele. Eli Cohen, seppur marginalmente, fu coinvolto anche nell’Operazione SUSANNA, organizzata da Israele intorno ai primi anni ’50. L’intelligence israeliana costituì in Egitto un’unità operativa formata da ebrei egiziani con l’incarico di sabotare le installazioni anglo americane facendone ricadere le responsabilità sugli Egiziani. Ciò allo scopo di impedire o comunque rallentare l’uscita dall’Egitto delle due potenze. Israele temeva che l’Egitto avrebbe poi attaccato. Eli aiutò i componenti della cellula che, tuttavia, furono scoperti e arrestati nel 1953.
    Cohen fu coinvolto, ma le indagini non riuscirono a dimostrare un suo legame diretto con il gruppo delle spie. Al termine del processo, due agenti, Marzouk e Azar furono condannati a morte per impiccagione, due si suicidarono in carcere per sottrarsi alle brutali torture egiziane e gli altri vennero condannati a pene varianti tra l’ergastolo e i 15 anni di carcere. Le spie detenute vennero scambiate con migliaia di prigionieri egiziani dopo la guerra del 1967. Eli Cohen lasciò l’Egitto dopo l’Operazione SUSANNA, ma vi rientrò nel 1956.
    Dopo la guerra del Sinai, 1956, l’Egitto deportò i cittadini di religione ebraica. Eli Cohen venne nuovamente arrestato ed espulso. L’8 febbraio 1957 arrivò in Israele, passando da Napoli o da Brindisi. Il 31 agosto 1959 sposò Nadia Majad, immigrata dall’iraq e, nel tempo, ebbe tre figli, Sophie, Irit e Shaoul. La sua carriera di spia non fu inizialmente semplice, come ci ha raccontato il fratello Maurice. Appena giunto in Israele, forte di quanto aveva fatto in Egitto, si presentò negli uffici del Mossad, che allora di chiamava Modiin, per offrire la propria candidatura. La sua domanda non fu accolta. Dopo qualche tempo ripresentò la domanda di arruolamento e questa volta andò meglio e gli venne affidato l’incarico di tradurre dall’arabo in ebraico i quotidiani dei Paesi islamici. Ma durò pochi mesi perché, come gli spiegarono, il suo ebraico era biblico, era la lingua dei Testi sacri usata in Sinagoga per le preghiere e quindi non attuale. Fu licenziato ed Eli Cohen trovò lavoro come amministratore del magazzino di vendita al dettaglio “Ha’mashbeer”.
    Fece ben presto carriera e gli fu proposta la direzione amministrativa di tutta la catena. Contemporaneamente e inaspettatamente, agenti del Modiin lo convocarono per offrirgli la riassunzione. Eli rifiutò sia perché era ben inserito nel lavoro, con un buono stipendio che gli permetteva di pagare le rate del mutuo della casa, sia perché era stato respinto e non aveva alcuna intenzione di tornare. Ma il Servizio Segreto non mollò la presa. Eli Cohen venne licenziato, si dice su pressione del Modiin. Rimase senza lavoro per diversi mesi, poi il Modiin tornò alla carica ed Eli accettò. Grazie al suo alto IQ e alla sua prodigiosa memoria, superò brillantemente un corso intensivo di addestramento. Gli fu consegnato un passaporto francese e venne sottoposto a due prove pratiche. La prima consistette nell’entrare in confidenza con il direttore di una banca di sua scelta, la Israel Discount Bank. La seconda prova previde l’ingresso clandestino in Giordania passando da Gerusalemme, che a quel tempo era divisa in due, con i Giordani che occupavano la parte est sin dal 1948. Questa volta andò male. Catturato dall’esercito israeliano, fu percosso fino a quando Eli Cohen confessò di appartenere al Modiin. I suoi superiori lo licenziarono accusandolo di non essere un professionista. Questa disposizione fu annullata dal Direttore Generale che aveva invece deciso di assumere persone che avrebbero potuto passare inosservate, senza l’impronta tipica del professionista dello spionaggio. Fu sottoposto a un addestramento intensivo e prolungato anche nelle ore notturne e sino a quando non fu pronto a divenire operativo. In funzione dei suoi precedenti familiari e del fatto di parlare l’arabo con accento siriano (durante la frequenza del corso un istruttore gli insegnò come perdere completamente l’accento egiziano). Fu destinato come agente segreto a lavorare in Siria. Per completare la sua copertura, nel 1961 l’intelligence lo inviò in Argentina, a Buenos Aires, mescolato agli emigranti siriani, nelle vesti di Kamal Amin Ta’abet, uomo d’affari nato a Beirut da genitori musulmani siriani, il padre Amin Ta’abet e la madre Sa’adia Ibrahim. Si mostrò buon patriota siriano e in breve tempo si inserì nella locale comunità siriana e strinse amicizie che si riveleranno assai utili in futuro. Fu a Buenos Aires, infatti, che conobbe, ottenendone la fiducia cieca, il generale Amin El-Hafez che sarebbe divenuto Presidente della Siria con il “golpe” militare del marzo 1961, e il giornalista radiofonico Salim Sayif che lo introdusse nella radio siriana. Nel febbraio 1962, Cohen passò dall’Argentina alla Siria, via Israele, Zurigo ed Egitto, giungendo a Damasco, dove continuò ad interpretare la figura del ricco e patriottico uomo d’affari. Prese in affitto un’elegante villa nel quartiere Abu-Ramana da dove poteva controllare il Quartier Generale delle Forze Armate siriane. Nell’ottobre 1963 divenne membro del Comando Nazionale Rivoluzionario Siriano e radiocronista volontario di Radio Damasco. Gli uomini con i quali Eli aveva stretto rapporti di profonda amicizia ai tempi dell’Argentina, assunsero cariche importanti e la spia israeliana fu introdotta negli ambienti militari più riservati. Tra gli alti gradi, entrò in confidenza con l’ufficiale superiore responsabile delle fortificazioni sul Golan e, unico civile, fu ammesso a visitare diverse volte le postazioni dalle quali le Forze Armate avrebbero attaccato Israele. La sua abilità fece sì che nessuno sospettasse di lui e fu ammesso nelle stanze degli Alti Comandi che frequentò abitualmente. Divenne intimo amico anche del capo dei servizi segreti siriani, il Colonnello Ahmed Suwidani.
    Aveva talmente conquistato la fiducia del governo siriano che questi lo inviò in missione a Gerico nel tentativo di convincere il vecchio Presidente, deposto dal partito Baath, a rientrare a Damasco e a riconoscere il nuovo corso politico. Eli Cohen fu proposto come ministro e incaricato di raccogliere fondi per il partito, cosa che fece con grande capacità, incuneandosi così ancora di più nei gangli vitali delle Autorità siriane. Nell’intento di raccogliere denaro, compì numerosi viaggi in Europa durante i quali passò le informazioni ai suoi superiori e trovò il modo di rientrare più volte in Israele per visitare la famiglia che risiedeva a Bat Yam, vicino a Tel Aviv. I Siriani lo misero a conoscenza dei piani strategici per colpire Israele, gli fu consentito di studiare gli organici, i tempi per il richiamo delle riserve. Fu informato sulle capacità di manovra delle Grandi Unità, del loro sistema di rifornimento, della dislocazione dei centri logistici di II e III livello. Eli Cohen riuscì ad ottenere informazioni dettagliate persino sulla dislocazione delle forze nelle retrovie d’Armata e, di conseguenza, fu in grado di calcolare quanti giorni di guerra la Siria avrebbe potuto sostenere senza accedere ai rifornimenti russi. Eli Cohen scoprì anche il piano segretissimo per la deviazione dei fiumi Banias e Giordano onde privare Israele dell’approvvigionamento idrico. Questa ipotesi rientra tuttora nella strategia siriana. Eli Cohen si imbattè anche nel criminale nazista Franz Rademacher, rifugiatosi in Siria dopo la fine della II Guerra Mondiale e lo eliminò inviandogli una lettera esplosiva. Nel breve arco di pochi mesi Israele ricevette dal suo infiltrato nel Paese arabo decine di migliaia di informazioni preziose per la difesa e la sopravvivenza dello Stato ebraico. Per una strana coincidenza, il suo corrispondente in Israele era il fratello Maurice, ma questo Eli Cohen lo scoprì solo pochi mesi prima di morire. Egli fornì anche la composizione gerarchica del partito al governo e la pianta organica completa dei nomi e degli schemi operativi dei gruppi terroristici palestinesi e del Fatah, nonché dei loro ufficiali di collegamento siriani. Vi sono versioni diverse relative a come venne scoperto. Secondo una di esse, la sua attività di spionaggio fu scoperta dal KGB che, in modo del tutto casuale, intercettò i segnali radio della sua trasmittente. Secondo un’altra teoria, venne scoperto dopo aver accompagnato un generale egiziano sulle alture del Golan. Fu riconosciuto nella foto ricordo e identificato come il giovane ebreo imprigionato al Cairo anni addietro per attività sionista. Comunque sia andata, fu arrestato il 24 gennaio 1965; venne a lungo torturato senza ottenere risposte soddisfacenti. La sua detenzione durò circa tre mesi. Il processo coprì l’arco di tempo compreso tra il 28 febbraio e il 19 marzo. Eli Cohen rifiutò la difesa d’ufficio. La sentenza di morte fu emessa l’8 maggio successivo e resa inappellabile.
    I Siriani, nel periodo di detenzione, tentarono di fargli trasmettere false notizie, ma Eli Cohen fece capire di essere stato catturato mandando a monte il disegno dei suoi carcerieri. Ciò provocò nei Siriani un’ira furibonda, e dopo averlo impiccato si vendicarono sul corpo oltraggiandolo. Gli innumerevoli tentativi di salvare la vita di Eli Cohen andarono a vuoto. I contatti segreti tra il Mossad, nella persona di Yosef Yariv, superiore gerarchico della spia detenuta, e Damasco, si tennero a Parigi.
    Ai Siriani furono offerti aiuti sanitari e importanti sostegni nel settore dell’agricoltura. Intervennero per salvare la vita di Cohen anche papa Paolo VI e i governi francese, belga e canadese. L’onta subita dagli Arabi non poteva che essere lavata con il sangue e la piazza Al Marjeh (Piazza dei martiri) vide penzolare per circa 6 ore il corpo senza vita della spia israeliana. Nell’ultima lettera scritta alla moglie poche ore prima di morire e consegnata al rabbino capo di Damasco perché la trasmettesse alla famiglia, Eli Cohen saluta moglie, figli e tutti i parenti e invita la compagna a risposarsi per non lasciare i figli privi di padre. Nadia Cohen non si è mai risposata. Oggi ha 68 anni e abita a Herzliya, a Nord di Tel Aviv, lungo la costa mediterranea.
    “L’affare Cohen” è tuttora iscritto nelle agende dei premier israeliani che si alternano alla guida del Paese. Ariel Sharon, ancora nel gennaio 2004, ha richiesto a Bashar Assad, la restituzione dei resti di Cohen senza ottenere risultati. Eli Cohen è entrato nel gotha degli Eroi di Israele che, per quanto concerne l’attività di spionaggio, annovera anche Sarah e Aharon Aharonson, Avshalom Feinberg, Lishansky e Belkind, tutti membri del “Nili” acronimo di “Netzah Ysrael lo Yeshaker-La gloria di Israele non verrà meno”, un gruppo di spionaggio a favore degli inglesi attivo nella Palestina turca del 1917.

(Rivista Italiana di Difesa, 15 ottobre 2005 - da Informazione Corretta)





5. IL «MURO» ISRAELIANO E GLI INTERESSI DELLA «SANTA SEDE»




Il Vaticano ha fatto pressioni e il tracciato della barriera di sicurezza a Gerusalemme è stato modificato.

ISRAELE - Quando, qualche anno fa, le chiese a Gerusalemme e il mondo cristiano [leggi: cattolico, ndt] hanno visto che Israele era deciso a costruire il «muro» intorno a Gerusalemme, Israele è stato condannato da tutte le parti. In questa riprovazione, il Patriarca latino, il Patriarca armeno e il Custode francescano erano parte interessata. Il Vaticano aveva allora fortemente protestato. La paura essenziale dei cristiani era che s’indebolisse il legame tra i centri cristiani situati a Gerusalemme e i villaggi cristiani situati dall’altra parte della barriera. A questo bisognava aggiungere la paura di una influenza negativa della barriera sull’arrivo dei pellegrini che vengono a visitare la città di Gerusalemme.
    Oggi bisogna prendere atto che la costruzione di questo muro, eretto intorno a Gerusalemme per ragioni di sicurezza, ha portato a importanti pourparler tra il Vaticano e i rappresentanti del Ministero della Difesa. Il Vaticano ha chiesto di includere dalla parte israeliana il più possibile di istituti e terreni appartenenti alla Chiesa, e Israele ha risposto favorevolmente alla maggior parte delle richieste.
    In qualche caso il tracciato del muro è stato modificato e dei quartieri arabi di Gerusalemme che Israele aveva previsto di situare fuori della barriera sono «rimasti dentro» per evitare di nuocere ai cristiani. E questo in risposta alle pressioni del Vaticano.
    Il caso più eclatante è quello che ha avuto luogo nel quartiere di Dahyat El Barid (quartiere degli impiegati della posta giordana), situato non lontano dal quartiere A Ram, al nord del quartiere di Neve Yaacov. Il quartiere di El Barid è in effetti vicino al campo militare che comanda la regione militare centro e comprende numerosi centri cristiani e internazionali.
    Il primo progetto della Difesa prevedeva di lasciare questo quartiere dalla parte palestinese, ma la pressione del Vaticano e di numerose istanze internazionali ha fatto sì che si decidesse di mantenere dalla parte israeliana alcune zone di questo quartiere.
    In questa zona della città si trova anche, tra l’altro, un centro mondiale e la scuola delle suore del Rosario, un centro del patriarcato latino, e anche un altro proprietario della Chiesa greca cattolica.
    Amnon Ramon, dell’Istituto gerosolimitano della ricerca in Israele, ha fatto una carta di tutte le istituzioni cristiane e chiese che il muro minacciava di separare da regioni che per loro erano vitali. Nel suo rapporto, che esamina le influenze del muro circondante Gerusalemme sui centri vitali della città, Ramon mostra che in molti casi sono stati i responsabili cristiani a chiedere a Israele che le istituzioni cristiane e le loro proprietà siano poste sotto la dipendenza d’Israele.
    La richiesta, spiega Ramon, è fondata su due ragioni. La prima è la paura che dei beni della chiesa che dovessero restare dalla parte palestinese vadano perduti, sia a causa degli squatter [occupanti abusivi], sia perché sarebbe impossibile accedervi. La seconda è la forte attrazione tra i centri cristiani situati all’esterno della città e le istituzioni delle chiese situate a Gerusalemme Est. La separazione tra i due, hanno pensato le chiese, rischierebbe di causare difficoltà di funzionamento e potrebbe perfino arrivare a fermarli.
    Contrariamente alla regione di El Barid al nord, per quel che riguarda il villaggio di El Azarieh, situato ad est di Gerusalemme, Israele ha risposto solo parzialmente alle richieste cristiane, e questo soltanto in seguito alla pressione di persone importanti del partito repubblicano degli USA che si sono rivolte direttamente al capo del governo, Ariel Sharon. Dal lato israeliano del muro sono rimasti diversi conventi e un centro comunitario greco cattolico. Sono rimasti dal lato palestinese la tomba di Lazzaro e le chiese francescana e ortodossa, e il quartiere detto latino, di cui una parte degli abitanti possiede la carta d’identità israeliana. Per tutti questi c’è il problema del passaggio del muro. Secondo Ramon, questo territorio non è stato incluso in quello d’Israele a causa della presenza di un cimitero musulmano, di una moschea accanto alla tomba di Lazzaro e del grande numero di abitanti palestinesi e musulmani. Le persone che lavorano all’Istituto di Ricerca fanno notare che da un punto di vista cristiano la divisione a El Azarieh delle istituzioni dalle due parti del muro causa un problema, e consigliano di risolvere il problema tentando di fare un passaggio sulla storica strada Gerusalemme-Gerico.
    A sud, vicino a Betlemme, il convento di Crémisan e la sua cantina di vino sono stati inclusi nel territorio di Gerusalemme. Il convento Thalita Kumi, situato vicino al monte Gilo e che comprende una scuola molto grande che serve una popolazione importante, è invece rimasto fuori.
    In alcuni casi in cui i terreni di chiesa sono stati divisi o sono rimasti fuori del muro. Sono stati fatti degli accordi che hanno portato alla fissazione di compensi. E’ quello che è accaduto per il convento armeno Baron, sui cui terreni parecchi anni fa Tsahal ha fatto dei lavori. E’ anche il caso del monastero greco-cattolico dei Benedettini dell’Emmanuele. Degli accordi sono stati stipulati con il patriarcato greco ortodosso a proposito di terreni che gli appartenevano, situati a sud di Har Homa.
    La separazione più importante per il mondo cristiano naturalmente è tra Gerusalemme, dove si trova la tomba del Cristo, e Betlemme, luogo della chiesa della Natività. Fino all’edificazione del muro, la città di Betlemme non era stata separata né dalla città vecchia né da Gerusalemme Est. Due volte, nel passato, i responsabili cristiani di Betlemme hanno tentato di far sì che la città sia posta sotto la tutela israeliana. La prima volta è stata subito dopo la guerra dei sei giorni, quando sono state fissate le frontiere di Gerusalemme. La seconda volta è stata quando, al tempo degli accordi di Oslo, Ytzhak Rabin ha deciso di far passare Betlemme sotto la tutela palestinese. Ancora una volta dei cristiani di Betlemme hanno tentato di impedire la costruzione del muro, e ancora una volta non sono riusciti a spuntarla.
    
(Haaretz, 10 ottobre 2005)





MUSICA E IMMAGINI




Ten Bi Meorcha




INDIRIZZI INTERNET




Aish.com

Messianic Defense League




Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.