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Notizie su Israele 320 - 10 novembre 2005

1. Israele non deve dimostrare di esistere
2. Un musulmano che sostiene Israele
3. Qualcuno vorrebbe far sparire Israele
4. Terra d'Israele e studio della Torah
5. Le confidenze dell'ex guardia del corpo di Arafat
6. «Gli evangelici sono i più grandi sostenitori d'Israele»
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 2:17-19. L'alterigia dell'uomo sarà umiliata, e l'orgoglio di ognuno sarà abbassato; il Signore solo sarà esaltato in quel giorno. Gli idoli scompariranno del tutto. Gli uomini entreranno nelle caverne delle rocce e negli antri della terra per sottrarsi al terrore del Signore e allo splendore della sua maestà, quando egli sorgerà per far tremare la terra.
1. ISRAELE NON DEVE DIMOSTRARE DI ESISTERE




Discorso tenuto il 3 novembre a Roma nella manifestazione pubblica a sostegno di Israele.

Il rabbino Di Segni e il Salmo 83

di Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma

Il rabbino Di Segni
ROMA - Prima di tutto desidero ringraziare tutti voi presenti qui, un numero incredibile di persone, senza distinzione di religione e di credo politico, uniti dal comune desiderio di denunciare un evento gravissimo: la minaccia all'esistenza stessa dello stato d'Israele. E' il superamento grave e intollerabile di un limite insuperabile.
    Ma vorrei salutare anche chi non è presente qui questa sera. A chi dissente dai modi della protesta ma non dalla protesta chiediamo che l'assenza non si trasformi in silenzio. Che la scelta di opportunità politica non prevalga sull'istanza morale. Perché è un'istanza morale, quella che testimoniamo qui questa sera. A chi invece non c'è perché è indifferente alle parole del presidente dell'Iran o magari le condivide desideriamo spiegare con forza e pacatezza civile il senso del nostro orrore.
    Sappiamo che in Iran qualcuno, pochi, stanno manifestando contro l'ambasciata d'Italia, in segno di protesta per questa nostra manifestazione. Chissà se i manifestanti potranno leggere liberamente quello che stiamo dicendo ora. Ma almeno diciamocelo subito e chiaramente: la nostra non è una protesta contro l'Iran, né contro il popolo iraniano, di cui ammiriamo la civiltà e abbiamo seguito con trepidazione le vicende di questi ultimi anni. Noi non bruciamo bandiere. La bandiera dell'Iran è qui esposta nel palco, al posto di onore che merita, insieme a quelle d'Italia e di Israele.
    Se qui in occidente commentiamo quanto succede in quelle terre non lo facciamo certo con lo spirito dell'imperialismo. Lo facciamo perché in Europa abbiamo imparato a caro prezzo che cosa significano certe idee e certi proclami. E di conseguenza non solo ci permettiamo di parlarne, ma sentiamo il dovere di farlo.
    Potrà sembrare in un certo senso ovvio e scontato, che a parlarvi del diritto dello Stato d'Israele ad esistere sia un rabbino. Ma ciò che cercherò di spiegare non sarà affatto ovvio e scontato. Sarà un invito a riflettere sul significato angosciante delle parole del presidente iraniano.
    Preciso subito che non ho intenzione di dimostrare il diritto dello Stato di Israele all'esistenza. Mettersi su questo piano significa ammettere una distinzione preliminare tra questo e gli altri Stati. E questo non è accettabile. Non si mette in discussione l'esistenza dell'Italia, della Francia, dell'Iraq, dell'Iran e di qualsiasi altro Stato del mondo. Non la si mette in discussione quali che siano i comportamenti dei suoi governi, quale che sia l'antichità della sua fondazione o la crudeltà delle guerre che hanno portato quello Stato all'indipendenza. Ogni Stato europeo ha nel suo passato la memoria di guerre, di milioni di morti, di confini che si spostano. Di nessuno si contesta l'esistenza, di Israele invece sì.
    Sappiamo bene quale sia il livello di democrazia in Israele, quale sia la qualità delle sue strutture parlamentari e giudiziarie, quanto sia forte la tensione del dibattito sul rapporto con i vicini quasi sempre ostili. Eppure dello Stato d'Israele si contesta il diritto ad esistere. Non lo si fa con le peggiori dittature del mondo, con i governi più macellai. Non è strano? Non c'è dietro a questo qualcosa di tenebroso, un male antico che riemerge sempre in forme nuove?
    Non si contesta nessuno Stato della terra ma si contesta quello d'Israele, quello che ha il più alto rapporto del mondo di libri rispetto al numero di abitanti; che ha università di livello eccezionale, un sistema sanitario invidiabile e aperto a tutti, un enorme progresso tecnologico, uno stato che continua a produrre premi Nobel per la scienza invece che aspiranti kamikaze.
    Con lo Stato d'Israele, a confronto con gli altri Stati, si adottano spesso due pesi e due misure, quello che fanno i suoi governi è immediatamente al centro dell'attenzione, mentre su ben altre cose del mondo c'è indifferenza o silenzio; e subito c'è la corsa al giudizio e alla condanna morale, spesso sostenuta dal pregiudizio religioso. I metri di giudizio sono differenti perché il presupposto più o meno confessabile è che gli ebrei siano differenti e da trattare in modo negativo e differente. Prima di tutto negando al popolo d'Israele il suo diritto all'autonomia politica.
    Gli analisti politici in questi giorni cercano di comprendere le complesse ragioni che hanno portato la leadership di un grande paese come l'Iran ad esprimere posizioni tanto radicali. In realtà certe idee circolavano da decenni; la novità sta solo nella sconcertante sincerità con cui questi propositi sono stati affermati ai massimi livelli. L'analisi politica cerca poi di spiegare le ragioni di questo fenomeno, l'aspetto più inquietante dello scenario del nuovo millennio, inaugurato dall'attacco alle Torri Gemelle.
    Accanto all'analisi politica la visione ebraica propone altre prospettive: quella storica millenaria, e quella religiosa. Anche chi non la condivide non potrà sottrarsi a domande inquietanti. Perché in questa prospettiva il progetto politico del presidente iraniano non è una novità. Sarà pure clash of civilizations, sarà pure riscossa del mondo islamico, sarà quel che si vuole in termini politici ma per noi è sempre la stessa cosa. E' l'odio primordiale contro il popolo d'Israele, che lo segue dalla sua nascita e appena cerca di organizzarsi. E' l'odio dei Filistei (la Palestina prende il nome da loro) contro i Patriarchi; è l'odio del Faraone che fa uccidere tutti i neonati Israeliti perché li considera una minaccia militare; è l'odio di cui parla il salmo 83, di cui vorrei citare alcuni versi: "O Signore i tuoi nemici sono in tumulto, contro il tuo popolo, dicono: venite e distruggiamoli come nazione, e che il nome di Israele non sia più ricordato. Sono le tende di Edom e gli Ismaeliti, Moav e gli Hagariti, Gheval. Amon e Amaleq, Filistea e abitanti di Tiro e anche l'Assiria con i figli di Lot". Fin qui le parole del salmo, che descrive un bello scacchiere mediorientale, con molti riferimenti all'attualità. Gli esempi biblici finiscono proprio con l'antico Iran, dove fu sventato il progetto di genocidio del primo ministro Haman, che ancora ricordiamo nella festa del Purim.
    Non si creda alla favola che mettere in dubbio il diritto dello Stato d'Israele sia solo un problema politico di anticolonialismo e non sia invece una manifestazione di odio contro gli ebrei. Non si elimina lo Stato d'Israele con una conferenza diplomatica; lo si elimina uccidendo i suoi milioni di cittadini ebrei e non ebrei in una nuova shoah collettiva.
    Il paradosso attuale è che mentre l'Europa e il cristianesimo si riconciliano con il popolo d'Israele, il mondo islamico riscopre con la religione l'ostilità antiebraica, e la usa a sostegno di interpretazioni storiche rozze e grossolane, come il mito dello Stato d'Israele avamposto della civiltà occidentale e ostacolo al risveglio musulmano. Semplificazioni balorde, che tra l'altro ignorano il peso essenziale in Israele della componente sefardita, cioè di ebrei di origine dai paesi islamici.
    Ma non siamo venuti qua per ascoltare un lamento o l'ennesima protesta per l'odio antiebraico. La nostra presenza qui è per riaffermare il diritto di tutti, e non solo d'Israele ad esistere come popoli liberi. Per affermare diritti universali che vengono sistematicamente violati da culture totalitarie e opprimenti. L'attacco a Israele è solo un simbolo, una scusa e un pretesto per mascherare pulsioni violente e micidiali contro tutta l'umanità e contro il suo progresso. Il popolo ebraico che di nuovo si presenta come ferito e attaccato, è anche e soprattutto un popolo ottimista, che crede fermamente nella vita, che si pone al servizio del mondo portando luce, speranza e fermento di libertà. E' con le parole di Isaia che ci presentiamo questa sera, "per mandare libero chi è oppresso e spezzare ogni giogo di schiavitù". Ed è forse proprio per questa istanza radicale che il mondo totalitario non può tollerarci. Ma è anche perché speriamo fermamente in un mondo migliore che siamo qui a testimoniare questa sera. Grazie a voi tutti.

(Il Foglio, 5 novembre 2005)





2. UN MUSULMANO CHE SOSTIENE ISRAELE




«La prima volta dell'Italia - Ho difeso gli ebrei da musulmano»

di Magdi Allam

ROMA, 3 novembre 2005 — Sono stato la prima personalità musulmana d'Italia a intervenire a un'imponente manifestazione pubblica per difendere il diritto d'Israele all'esistenza.
    Mi rendo conto che ciò avrebbe potuto scatenare valutazioni logiche e reazioni emotive contrastanti. Ebbene, dal momento in cui ho preso la parola, ero consapevole che proprio il mio discorso avrebbe suscitato molte attese, sarebbe stato il più esaminato nei suoi contenuti e nello spirito che lo anima.
    Da parte mia l'emozione c'era. Ed era tanta. E' la prima volta che mi espongo al confronto e al giudizio diretto di migliaia di persone. Ma dentro ero tranquillo. Una solidità interiore in cui il fondamento etico del valore della sacralità della vita di tutti trova la sua più profonda manifestazione nel riconoscimento del diritto di Israele all'esistenza. Ecco perché ho esordito affermando: «Cari amici, non vi nascondo la mia emozione da cittadino italiano, musulmano, laico, nel testimoniare la mia difesa del diritto inequivocabile all'esistenza di Israele. Cari amici israeliani e ebrei, la vostra battaglia per il diritto di Israele all'esistenza è anche la mia battaglia per il diritto alla vita di tutti, compresi i palestinesi che aspirano legittimamente a un proprio Stato indipendente, compresi i troppi musulmani vittime del barbaro terrorismo di matrice islamica. Sul terreno del diritto alla vita, tutti noi giochiamo in casa. Ed è una battaglia di civiltà che vinceremo insieme».
    Non sono un ingenuo. So bene che non è affatto usuale che dei musulmani partecipino a una manifestazione pubblica a difesa del diritto di Israele all'esistenza. Mentre osservavo decine di musulmani che affluivano nei pressi dell'Ambasciata iraniana a Roma, mi sono domandato se l'avrebbero fatto anche qualora non ci fosse stata l'inammissibile minaccia di morte dello Stato ebraico proferita dal presidente Ahmadinejad. Per i musulmani d'Italia è veramente una condivisione del diritto alla vita di Israele o è più una presa di distanza da un regime teocratico indifendibile che insegue follie di stampo nazista? Quando detti la mia adesione all'iniziativa patrocinata dal direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara, insieme a me compariva soltanto un altro musulmano, il giovane Khalid Chaouki, commentatore del settimanale News. Il giorno dopo riuscii a raccogliere l'adesione motivata di cinque-sei musulmani, tra cui Souad Sbai, presidente della Federazione delle associazioni marocchine in Italia, Ali Younis, medico anestesista di Pescara, Mario Scialoja, ex ambasciatore d'Italia convertito all'islam.
    Escludendo a priori coloro che hanno pubblicamente negato il diritto all'esistenza di Israele, perlopiù sedicenti imam e musulmani di professione legati alle moschee, tra gli altri da me contattati prevaleva la paura. Paura di tradire l'islam e la causa palestinese.
    Perché Israele è il tabù per antonomasia tra i musulmani. Molti non stringerebbero la mano a un israeliano. Viene percepito come l'incarnazione del Male, dannato da Dio e maledetto dagli uomini. Eppure ventiquattr'ore dopo sono rimasto sorpreso dal flusso di telefonate di musulmani che mi chiedevano spontaneamente di aderire alla manifestazione: «Magdi, noi siamo con te!». Sono esponenti della società civile, studenti, professionisti, commercianti, giornalisti, artisti, politici in nuce in seno alle amministrazioni locali. Un mondo vitale che viene perlopiù ignorato perché fuoriesce dallo stereotipo dell'homo islamicus, non portano il burqa o la barba lunga, non si prodigano in citazioni coraniche prima di esprimersi su qualsiasi tema. Compreso il diritto alla vita degli israeliani, degli americani, degli ebrei e dei cristiani. Ebbene sono questi musulmani che si percepiscono persone tra le persone, che credono nel valore della vita di tutti come un dono naturale e divino, che considerano la religione compatibile con la ragione, quelli che ieri sera hanno partecipato alla manifestazione per il diritto all'esistenza di Israele.
    Ed è a questa maggioranza silenziosa di musulmani, che ha finalmente deciso di uscire allo scoperto, che ho dedicato il mio appello finale: «Oggi più che mai tutti coloro che sinceramente vogliono uno Stato per i palestinesi devono anzitutto sostenere senza se e senza ma il diritto di Israele all'esistenza. Oggi tutti coloro che sinceramente vogliono un mondo arabo e islamico libero e democratico devono anzitutto sostenere senza se e senza ma il diritto di Israele all'esistenza. Oggi più che mai tutti coloro che hanno a cuore una comune civiltà dell'uomo, dove trionfi il valore della sacralità della vita di tutti, devono sostenere senza se e senza ma il diritto di Israele all'esistenza» .
    
(Corriere della Sera, 4 novembre 2005)





3. QUALCUNO VORREBBE FAR SPARIRE ISRAELE




L'Iran pianifica la soluzione finale

di Daniel Pipes

"La posizione dell'Iran in merito a questo abietto fenomeno (vale a dire Israele) è sempre stata chiara. Abbiamo ripetutamente asserito che questo tumore canceroso di Stato andrebbe rimosso dalla regione".
    Non si tratta di frasi pronunciate la scorsa settimana dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, piuttosto sono affermazioni proferite nel dicembre 2000 dal leader supremo della Repubblica islamica d'Iran Ali Khamene'i.
    In altre parole, l'invito di Ahmadinejad alla distruzione di Israele non è stata una novità ma esso è conforme ad un inveterato schema fatto di

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ambizioni e di retorica di regime. "Morte a Israele!" è stato uno slogan scandito negli ultimi venticinque anni. Ahmadinejad ha citato l'Ayatollah Khomeini, fondatore della rivoluzione islamica, nel suo invito del 26 ottobre alla guerra genocida contro gli ebrei: "Il regime che occupa Gerusalemme dovrebbe essere cancellato dalle pagine della storia", disse Khomeini decenni or sono. Ahmadinejad ha plaudito questo ripugnante obiettivo definendolo "ben appropriato".
    Nel dicembre 2001, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, ex-presidente iraniano e personaggio politico ancora autorevole, cominciò a minacciare Israele paventando il ricorso ad armi nucleari contro lo Stato ebraico: "Se un giorno il mondo islamico sarà in possesso di un arsenale pari a quello israeliano, la strategia del colonialismo affronterebbe una situazione di stallo poiché l'impiego di una bomba atomica non lascerebbe nulla dello Stato ebraico, ma se la stessa venisse utilizzata nel mondo musulmano produrrebbe solo dei danni di minor entità".
    In tal senso, un missile balistico Shahab-3 (in grado di raggiungere lo Stato ebraico) recante lo slogan "Israele Dovrebbe Essere Cancellato dalla Carta Geografica" è stato fatto sfilare lo scorso mese lungo le strade di Teheran.
    Le minacce lanciate da Khamene'i e Rafsanjani sono passate in sordina, ma la dichiarazione di Ahmadinejad ha sollevato un putiferio.
    Il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan si è detto "sbigottito", il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l'ha condannata all'unanimità e l'Unione europea ha espresso "una ferma condanna". Il primo ministro canadese Paul Martin l'ha giudicata "indecente", il premier britannico Tony Blair ha manifestato "ripugnanza" e il ministro degli Esteri francese Philippe Douste-Blazy ha annunciato che "per la Francia non si mette in discussione il diritto di Israele a esistere". Le Monde ha definito il discorso come "motivo di serio allarme, Die Welt l'ha qualificato come "terrorismo verbale" ed un titolo del londinese Sun ha proclamato Ahmadinejad "l'uomo più malvagio del mondo".
    I governi di Turchia, Russia e Cina, tra gli altri, hanno espressamente condannato la dichiarazione. Maryam Rajavi del Consiglio nazionale della Resistenza iraniana, un importante gruppo di opposizione, ha chiesto che l'Unione europea liberi la regione "dall'idra del terrorismo e del fondamentalismo" di Teheran. Perfino Saeb Erekat dell'Autorità palestinese si è espresso contro Ahmadinejad: "I palestinesi riconoscono il diritto dello Stato di Israele a esistere ed io riprovo le sue dichiarazioni". Il quotidiano cairota Al-Ahram ha liquidato la sua dichiarazione come "fanatica" poiché comporterebbe nient'altro che rovina per gli arabi.
    Gli iraniani sono rimasti sorpresi e diffidenti; per quale motivo – qualcuno si è chiesto – la mera reiterazione di una politica di lunga data induce a una valanga di reazioni indignate da parte di paesi stranieri?
    Esaminando la questione con spirito costruttivo, offro loro quattro motivi per farlo. Il carattere virulento di Ahmadinejad conferisce alle minacce rivolte contro Israele maggiore credibilità. In secondo luogo, nei giorni a seguire egli ha reiterato con aria di sfida quanto asserito e ha circostanziato meglio le sue minacce. In terzo luogo, Ahmadinejad ha aggiunto un epilogo aggressivo al suo modo di esprimersi ordinariamente ammonendo i musulmani che riconoscono l'esistenza dello Stato ebraico col dire "che moriranno nel fuoco dell'umma (nazionae) islamica".
    Queste parole sono direttamente rivolte ai palestinesi e a diversi Stati arabi, ma in particolar modo al vicino Pakistan. Per l'appunto un mese prima del discorso pronunciato da Ahmadinejad, il presidente pakistano Pervez Musharraf aveva asserito che "Israele aspira a ragione alla sicurezza". Egli ha previsto che paesi musulmani come il Pakistan aprano sedi delle loro ambasciate in Israele lanciando un "segnale di pace". Probabilmente Ahmadinejad voleva porre il Pakistan di fronte alla questione dei rapporti con Israele.
    E per finire, gli israeliani stimano che nel giro di sei mesi gli iraniani potrebbero essere in grado di costruire una bomba atomica. Ahmadinejad ha implicitamente confermato questa rapida tabella di marcia quando ha ammonito che per l'appunto dopo "un breve periodo (…) il processo diretto all'eliminazione del regime sionista sarà scorrevole e semplice". L'imminenza di un Iran in possesso dell'arma nucleare trasforma lo slogan "Morte a Israele!" da futile motto in una potenziale premessa per un attacco nucleare contro lo Stato ebraico, magari facendo affidamento sull'idea genocida di Rafsanjani.
    Ironia della sorte, la schiettezza di Ahmadinejad ha sortito degli effetti positivi, rammentando al mondo la persistente bellicosità del suo regime, il suo orribile antisemitismo e il suo pericoloso arsenale. Come ha osservato Tony Blair, le minacce lanciate da Ahmadinejad sollevano l'interrogativo "Quando si farà qualcosa a riguardo?" E in seguito Blair ha ammonito Teheran col dire che il regime iraniano sta diventando "una minaccia alla sicurezza mondiale". Il suo allarme va tradotto in fatti e con una certa impellenza.
    Siamo avvertiti, faremo in tempo?

(New York Sun, 1 novembre 2005 - dall'archivio di Daniel Pipes)





4. TERRA D'ISRAELE E STUDIO DELLA TORAH




La Terra d'Israele come rafforzamento dello sviluppo spirituale.

La centralita' della Terra d'Israele e' diventata cosi' preponderante ed a farne le spese sono stati altri valori ugualmente importanti. Cio' e' incominciato col ritorno a Sion. A causare cio', ovvero uno stato senz'anima, fu il sionismo laico che fece si' che tale ritorno diventasse l'unica cosa importante ed in suo nome si potessero sacrificare tutti gli altri valori. Ci furono persone che cercarono di far capire l'importanza, ad esempio, di valori come quelli sociali o culturali ma rimasero inascoltati.
    Tale idea fece breccia anche in certe frange del sionismo religioso che, ignoranti dei valori etici ebraici, in nome del ritorno a Sion, ridussero le ore di studio della Torah e facilitarono l'esecuzione di vari precetti, causando con cio' l'opposizione degli ebrei ortodossi al sionismo. Dispiace che ci siano ancora dei religiosi che continuano a dare enorme importanza alla Terra d'Israele a discapito di altri valori ugualmente fondamentali come il rispetto per il Sabato, l'educazione e la cultura.
    Non e' questo l'insegnamento della Torah! Al contrario, la santita' della Terra d'Israele obbliga il rafforzamento dei precetti, della cultura, dell'etica e della morale. Abbiamo visto in quest'ultimo periodo come l'amore per la Terra d'Israele possa condurre al rafforzamento degli ideali, dello studio della Torah e della Sua applicazione, delle buone azioni. Bisogna proseguire per la strada iniziata, ovvero innalzare la bandiera del ripopolamento ebraico in tutte le zone del paese ed allo stesso tempo rafforzare lo studio della Torah, la fede, la cultura e l'etica ebraiche.
    Il Rav Kook, che mise la Terra d'Israele al centro dei suoi interessi, non lo fece mai a discapito degli altri valori fondamentali, al contrario diceva che la santita' della Terra d'Israele deve servire a rafforzare lo sviluppo in tutti gli altri valori: lo studio della Torah, la fede, il sociale ed il morale: nulla, diceva, dei valori spirituali creati dagli ebrei nella diaspora deve andare perduto. Noi dobbiamo seguire i Suoi insegnamenti. Non dovremo sminuire l'amore per la nostra adorata Terra d'Israele, ma al contrario rafforzarlo con lo studio della Torah e dei precetti facendo si' che essi siano conosciuti, apprezzati, amati ed eseguiti dalla maggior parte della popolazione, andando, insomma, nella strada della Torah, le cui "strade sono strade d'amore e tutti i suoi sentieri pace": per il popolo e la Terra d'Israele ed il mondo intero.

(Rav Yaakov Ariel, Rabbino di Ramat Gan, "Eretz Israel chemanof letnufah rucanit", MAIENEI HAIESHUAH N. 220, 4/11/05; liberamente tratto e tradotto dall'ebraico da Eleazar Ben Yair).





5. LE CONFIDENZE DELL'EX GUARDIA DEL CORPO DI ARAFAT




L'ex guardia del corpo di Yasser Arafat racconta come e perché, nonostante le pressioni sia del presidente americano Bill Clinton sia dei paesi arabi, il leader palestinese ha insistito nel rifiutare ogni accordo con Barak a Camp David.
    A tutt'oggi gli osservatori di politica mediorientale si chiedono perché l'ex leader dell'Autorità Palestinese, Yasser Arafat, ha rifiutato le proposte che il Primo Ministro israeliano d'allora, Ehud Barak, gli aveva fatte a Camp David nel luglio del 2000, che si spingevano più avanti di ogni altra iniziativa israeliana precedente.
    In un'intervista accordata all'agenzia di stampa AP, colui che fu la guardia del corpo di Yasser Arafat per circa quindici anni ha rivelato forse una parte del mistero. Secondo Muhamad El-Daya, che fu presente agli incontri tra Arafat e Bill Clinton a Camp David, Arafat temeva di essere immancabilmente assassinato se avesse accettato di dividere Gerusalemme.
    «Mi ricordo di quella sera», racconta El-Daya, «eravamo soltanto noi quattro: io e il traduttore, Bill Clinton e Yasser Arafat». L'ex guardia del corpo confida: «Clinton ha tentato di convincere Arafat a discutere sul tema di Gerusalemme. Mi ricordo che Arafat allora ha detto: "Nessuno mi può obbligare a fare questo. Se firmo un tale accordo, firmo con questo il mio assassinio da parte di uno dei miei.»
    La guardia del corpo rivela anche che Yasser Arafat ha dovuto subire le pressioni di certi dirigenti del mondo arabo, tra i quali il presidente egiziano e il principe dell'Arabia Saudita. «Siamo rientrati in camera e allora il telefono non ha smesso di squillare. Dirigenti di tutto il mondo, ivi compresi gli arabi, chiamavano per tentare di far convincere Arafat all'accordo proposto da Clinton. Arafat rispondeva laconicamente: «Non se ne parla».
    In reazione alle confidenze dell'ex guardia del corpo, il portavoce di Hosni Mubarak, il capo dello Stato egiziano, dichiara che «non è il caso di prendere in considerazione le frasi di una guardia del corpo. L'Egitto ha sempre sostenuto Arafat e le posizioni palestinesi». Anche Saeb Arekat, che fu il responsabile palestinese dei negoziati all'epoca di Camp David, ha negato le pressioni dei leader arabi su Arafat per accettare la divisione di Gerusalemme. «E' semplicemente inesatto», ha dichiarato.
    
(Arouts 7, 9 novembre 2005)





6. «GLI EVANGELICI SONO I PIÙ GRANDI SOSTENITORI D'ISRAELE»




GERUSALEMME - I cristiani evangelici negli USA sono i più grandi sostenitori d'Israele tra i non ebrei. Questa opinione ha espresso lunedì scorso l'ex Ministro delle Finanze e ex Primo Ministro Netanyahu.
    Netanyahu ha parlato davanti alla Commissione della Knesset per la collaborazione con i cristiani. Questo comitato, in cui 14 deputati di tutti i partiti si incontrano una volta al mese, è stato formato circa due anni fa per tenere rapporti con gli amici cristiani d'Israele.
    Le parole di Netanyahu erano rivolte al pastore evangelico americano John C. Hagee che partecipava ai colloqui. "Loro (i cristiani evangelici) non ci sostengono perché appartengono al nostro gruppo etnico, ma per una solidarietà che si basa su valori.
    Hagee, che in questa settimana ha visitato per la ventunesima volta Israele con sua moglie, ha assicurato che dietro a Israele stanno 70 milioni di cristiani americani. «Noi crediamo che Dio ha parlato chiaramente quando ha detto: "Benedirò chi benedice Israele e maledirò chi maledice Israele". Noi stiamo con Israele sia negli alti che nei bassi.»
    Il 65enne Pastore del Texas tuttavia non ha rinunciato a criticare l'attuale politica di Israele e ha detto che il piano di pace "Roadmap" è "fatalmente sbagliato". Ha esortato Israele a non ritirarsi da altri territori e ha invitato la comunità internazionale «a tenere giù le mani da Gerusalemme e dalla Cisgiordania». Ha poi aggiunto: «Se l'America costringerà Israele a consegnare ai nemici altre parti del Paese, sull'America si abbatterà il giudizio.»
    Hagee è Presidente del "Global Evangelism Television", che trasmette su 150 stazioni televisive in Nord America, Canada, Europa, Australia e Africa.
    
(Nachrichten aus Israel, 8 novembre 2005)





7. MUSICA E IMMAGINI




Dayenu




8. INDIRIZZI INTERNET




Anglicans for Israel

Ariel Messianic Congregation




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