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Notizie su Israele 326 - 23 dicembre 2005

1. Nessuno si muoverà?
2. Il senso di sicurezza di Ahmadinejad
3. Una proposta pacifica accolta da Pacifici
4. Le ammissioni di un negazionista pentito
5. Conferenza sulla lotta alla desertificazione
6. Un programma per i nuovi immigrati etiopi
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 35:10. I riscattati dal Signore torneranno, verranno a Sion con canti di gioia; una gioia eterna coronerà il loro capo; otterranno gioia e letizia; il dolore e il gemito scompariranno.
1. NESSUNO SI MUOVERA?




L'Iran si prepara per l'Armagheddon

di Charles Krauthammer, giornalista al Washington Post

La stampa ha riportato solo sporadicamente i discorsi selvaggi del nuovo presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad dopo che ha efficacemente invitato
Ahmadinejad
a cancellare Israele dalla carta geografica. In seguito si è corretto dicendo che sarebbe sufficiente reinstallare Israele in Germania o in Austria. Magari vicino a un vecchio campo di sterminio?
    "Ma forse non ci sono mai stati questi campi, e nemmeno l'Olocausto", continua Ahmadinejad. "Nient'altro che un mito, una leggenda inventata di sana pianta" messa in giro con il nome di "massacro degli ebrei". E questo ha provocato le usuali reazioni ufficiali di autorità americane ed europee che hanno considerato inaccettabili quelle dichiarazioni, con una rabbia e una potenza churchilliane. Ma certamente non è il caso di espellere l'Iran dalle Nazioni Unite, anche se questo paese invoca l'annientamento di un altro Stato membro.
    Ma in Medio Oriente gli appelli alla distruzione d'Israele e la negazione dell'Olocausto sono moneta corrente. Sono cose che si possono vedere tutti i giorni alla televisione del Hezbollah, nei media siriani, negli editoriali dei giornali semiufficiali egiziani. Ma fino ad oggi nessuno di questi assassini in erba era sul punto di ottenere armi nucleari che potrebbero realizzare in un istante quello per cui a Hitler non sono bastati sei anni: la distruzione della civiltà ebraica e l'estinzione di sei milioni di anime.
     E' nota la destinazione delle bombe nucleari iraniane. Saranno piazzate su dei razzi Shahab, modificati per raggiungere Israele. E tutto il mondo sa che se si pigia un bottone, una nazione intera sparirà.
    Ma c'è di peggio! Il presidente di un paese sul punto di essere nucleare è un fervente credente adepto dell'Apocalisse! Come nella cristianità e nell'ebraismo, nell'Islam shiita si crede al ritorno messianico del dodicesimo Imam (che è nascosto in un pozzo). I credenti più mistici vanno a pregare alla moschea di Jamrakan, che contiene un pozzo da cui emergerà l'Imam atteso. Quando, con sorpresa di tutti, Ahmadinejad fu eletto presidente dell'Iran, si è affrettato a sbloccare 17 milioni di dollari in favore di questa moschea. E il mese scorso ha dichiarato in pubblico che la missione primordiale della Rivoluzione Islamica è quella di preparare la strada alla riapparizione dell'Imam nascosto.
    E come nelle versioni estremiste cristiane rilative al secondo ritorno di Cristo, questa riapparizione sarà accompagnata da disordini, distruzioni e morte. Il giornalista iraniano Hossein Bastani ha riportato che Ahmadinehad ha precisato in riunioni ufficiali che l'Imam nascosto riapparirà fra due anni!
    Negatore dell'Olocausto, antisemita virulento, aspirante genocida sul punto di ottenere le armi dell'Apocalisse, questo presidente ha la ferma convinzione che la fine del mondo non solo è prossima, ma è prevista prima delle prossime elezioni presidenziali americane! (Pietà per i Democratici! anche a loro bisogna lasciare una chance!). Detto in termini misurati, questo tipo d'uomo avrebbe meno inibizioni a scatenare un Armagheddon di ogni altra persona normale.
    Con l'imminente prospettiva messianica, potrebbe essere spinto ad affrettare la fine, secondo la terminologia escatologica ebraica. Pazzoidi simili si trovano certamente in tutte le credenze. Alcuni vorrebbero vedere distrutta la moschea al-Aqsa per far posto al terzo Tempio e dare inizio all'era messianica. La sola differenza sta nel fatto che i picchiatelli di questo tipo sono una cinquantina e nessuno di loro è presidente di uno Stato di 70 milioni di persone.
    La situazione messianica più recente che abbiamo avuto negli Stati Uniti è quella di un Segretario di Stato che ha detto al Congresso, 24 anni fa: "Io non so quante generazioni dovranno passare prima del ritorno del Signore. Quale che ne sia la durata, dovremo risparmiare le nostre risorse per le generazioni future", parlando della preservazione dell'ambiente. Ma il campo d'azione di James Watt era la foresta, e lo strumento scelto era la sega. Non doveva prendere la decisione di mettere o no una testata nucleare su dei missili. Ora questi compaiono già nelle strade di Teheran, portando scritto il nome d'Israele e delle insegne su cui si può leggere: "Israele deve essere cancellato dalla carta geografica".
    Ma c'è di peggio. Dopo il suo discorso all'ONU nel settembre 2005, Ahmadinejad è stato ripreso da una videocamera mentre diceva a un ecclesiastico che un'aura, un alone di luce aveva avvolto la sua testa sul podium dell'Assemblea Generale: "Ho sentito l'atmosfera cambiare improvvisamente, e durante quei 27/28 minuti tutti i dirigenti di quei paesi mi hanno ascoltato senza battere ciglio... come se una mano li bloccasse e aprisse loro gli occhi per ricevere il messaggio della Repubblica Islamica...
Le trattative per impedire a questo lunatico patentato di avere delle armi nucleari non hanno portato a niente. E tutti sanno perfettamente che non porteranno a niente. E nessuno si muoverà!
    
(DesINFOS.com, 19 dicembre 2005)





2. IL SENSO DI SICUREZZA DI AHMADINEJAD




Il presidente iraniano urla perché si crede inattaccabile

di Stefano Magni

Perché Ahmadinejad sembra impazzito? Perché arriva a negare pubblicamente la legittimità di Israele e anche l’Olocausto, sapendo di toccare un nervo scoperto di tutto l’Occidente? Perché evidentemente si sente immune. Ahmadinejad è convinto che l’Europa sia dipendente economicamente dall’Iran. Lo si leggeva chiaramente in un documento iraniano circolato (anche in Italia) l’agosto scorso. “Paesi europei come la Germania, la Gran Bretagna, la Francia, la Norvegia o l’Italia hanno una presenza talmente estesa nell’economia iraniana e i loro interessi sono di tali dimensioni che non potranno rinunciarvi aderendo ad eventuali azioni ostili nei nostri confronti”. Lo stesso documento invitava i negoziatori iraniani a mantenere una linea di intransigenza: “I nostri diplomatici e tutti i ministri che saranno impegnati nelle trattative con gli Europei non solo non devono temere le minacce di eventuali rinvii al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma devono assumere un atteggiamento offensivo e difendere a testa alta gli interessi vitali del Paese”. L’uso di quest’arma non si è fatto attendere. Un primo esempio: i fondi statali iraniani nella sede della Bnl di Roma sono stati pignorati per risarcire le famiglie di tre ragazzi americani uccisi dal terrorismo islamico in Israele e puntualmente Teheran ha minacciato “ritorsioni economiche” contro il nostro Paese. Ahmadinejad crede di tenerci in pugno.
    Una seconda ragione del senso di immunità iraniano è militare. Israele, da sola, non riuscirebbe mai a lanciare un raid preventivo contro le installazioni nucleari iraniane. A meno di non strabiliare il mondo con un nuovo miracolo militare, realisticamente parlando, è veramente difficile pensare a un raid israeliano in Iran. L’aviazione israeliana non dispone di aerei invisibili. I suoi jet F-15, dovrebbero riuscire a passare attraverso le reti di radar e sensori spiegati lungo le coste del Golfo Persico e sulle montagne iraniane, per colpire almeno sei bersagli molto fortificati ben dentro il territorio nemico, per poi cercare di rientrare illesi. Militarmente parlando sarebbe una follia. Solo gli Americani potrebbero pensare di colpire l’Iran, o con i bombardieri invisibili B-2 o con salve di missili Cruise lanciati dalla marina. Ma, a questo punto, Ahmadinejad sa che un raid a sorpresa americano sarebbe duramente condannato dall’Unione Europea (la Francia, in particolare), che non ha ancora digerito l’attacco americano contro l’Iraq. Che pure era un’azione dichiarata, per la quale Washington aveva cercato il consenso internazionale. E Ahmadinejad ritiene che gli Americani, dopo la scottatura diplomatica subita e le critiche che continuano a piovere, siano diventati molto più prudenti.
    Si può pensare a una rappresaglia militare dichiarata, col consenso dell’Onu? La Russia (che ha fornito all’Iran tutto il necessario per il suo programma nucleare e missilistico) e la Cina (con cui è in buoni affari), porrebbero sicuramente il veto. Si può pensare almeno a un’embargo? In questo caso, considerando i profitti delle vendite petrolifere di questi ultimi anni, il regime di Teheran ha già accumulato abbastanza ricchezze per sopravvivere alla grande. Ecco perché Ahmadinejad continuerà a dichiarare che Israele non deve più esistere, che l’Olocausto è un “mito” e che lo Stato di Israele deve essere distrutto o “espulso” dal Medio Oriente con l’uso della forza: perché sa che noi glielo lasceremo dire.

(L'opinione, 19 dicembre 2005)





3. UNA PROPOSTA PACIFICA ACCOLTA DA PACIFICI




Celebrare Hanukkah con una candela accesa all’ambasciata iraniana

Accendere una candela di fronte all’ambasciata iraniana per rispondere alle bandiere metaforicamente (e non) bruciate dal capo di stato di Teheran Ahmadinejad. Un segnale pacifico in occasione del terzo giorno di Hanukkah, la festa ebraica che quest’anno cade il giorno dopo Santo Stefano. Una proposta accolta da Riccardo Pacifici, portavoce della comunità ebraica di Roma. «A dire il vero, ci stavo già pensando. Mi avete preceduto», dice Pacifici, contattato dal Riformista.

Festa della libertà.
Spiega Pacifici: «Per noi ebrei, Hanukkah è l’unica festa in cui si ostenta. Gli ebrei di tutta Italia accendono le loro candele a Roma, in piazza Barberini, come a Milano, in piazza San Babila. Hanukkah è la celebrazione della libertà, la festa della luce. O meglio, della libertà che vive attraverso la luce e, quindi, si oppone a tutte le dittature». Quella del 2005, è la prima Hanukkah dopo l’elezione di Ahmadinejad alle presidenziali iraniane. Nel corso degli ultimi mesi, il leader integralista non ha perso occasione per lanciare strali contro uno stato che «andava cancellato dalle carte geografiche», contro l’Olocausto giudicato «una leggenda sulla quale gli occidentali insistono tanto come se fosse più importante di Dio e dei profeti».

Il cuore degli iraniani.
La risposta in occasione di Hanukkah potrebbe essere una candela. Sostiene Pacifici: «L’idea è quella di mandare un messaggio di luce e non uno di protesta: il simbolo di una candela che sia in grado di illuminare le menti di tutti i capi di stato e i leader del mondo arabo e, contemporaneamente, che possa scaldare il cuore della popolazione iraniana». L’importante, aggiunge il portavoce della comunità ebraica di Roma, «è che non sia una manifestazione contro, senza slogan che attacchino l’Iran e il suo capo di stato ma una manifestazione per».

Nessun odio.
Accendere una candela di fronte all’ambasciata iraniana può essere un segnale per non distogliere l’attenzione dai pericoli che arrivano dal mondo arabo. «Dobbiamo stare attenti - spiega Pacifici - perché in questo momento, dopo le ultime dichiarazioni che sono arrivate da Teheran, si sta cercando di alzare troppo il tiro. Dobbiamo ribadire il concetto secondo cui nessuno può rispondere con altrettanto odio a chi vuole negare l’Olocausto. Quelle di Ahmadinejad sono parole che colpiscono al cuore non soltanto noi ebrei; sono opinioni che colpiscono tutte quelle democrazie europee che sono nate e si sono sviluppate dalle ceneri di Auschwitz. Ma attenzione: noi non abbiamo mai bruciato né mai bruceremo bandiere. Manifesteremo con le candele il nostro sdegno nei confronti dei leader teocratici portatori di oscurità e non di luce». Non ci sono solo le minacce iraniane a turbare i sonni di Israele. Tutti gli ebrei del mondo vivono con apprensione le ore che li separano dalla «festa delle candele» soprattutto per l’ictus che ha colpito Ariel Sharon. Una situazione - tiene a precisare Pacifici - «che stiamo seguendo con grande apprensione. La rapida ripresa dell’attività politica da parte di Sharon sarebbe un segnale di grande stabilità per tutto lo stato d’Israele. Non ci esprimiamo sulle scelte politiche ma, naturalmente, ci auguriamo una maggiore serenità per il processo iniziato con il ritiro da Gaza, soprattutto in vista delle elezioni nei Territori e in quelle nello stato d’Israele».

(Il Riformista, 20 dicembre 2005)





4. LE AMMISSIONI DI UN NEGAZIONISTA PENTITO




Irving: «Sì, l’Olocausto c’è stato»

Il mea culpa dello storico inglese negazionista in carcere a Vienna per apologia di nazismo

Colpo di scena in campo negazionista. Con qualche decennio di ritardo, lo storico britannico David Irving, detenuto in attesa di processo in Austria

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(dove è stato arrestato nello scorso novembre mentre si recava ad un raduno di goliardi per apologia del nazismo), ammette l’esistenza dell’Olocausto, distanziandosi dalle sue tesi negazioniste che ne hanno fatto un idolo della scena neonazista. Tesi testardamente sostenute, anche dopo che l’alta corte di Londra gli ha dato torto nel 2000 nel processo seguito alla querela sporta da Irving nei confronti della ricercatrice statunitense Deborah Lipsadt. La Lipsadt aveva affermato che Irving, per via delle sue tesi, era «un pericoloso nazista». E i giudici le avevano dato ragione.
    Adesso lo storico ci ripensa. In un’intervista rilasciata all’Ansa tramite il suo legale Elmar Kresbach, condanna i crimini del Terzo Reich e lo sterminio di innocenti per ragioni razziali, ma distingue fra il primo Hitler e quello successivo, salvando il primo. E fa sapere anche che in carcere sta scrivendo le sue memorie: quindici pagine al giorno. Il 20 febbraio lo storico sessantasettenne autodidatta sarà processato davanti a una corte d’assise a Vienna in base a un mandato d’arresto risalente al 1989. L’11 novembre scorso era stato arrestato in Austria e il 25 novembre il giudice delle indagini preliminari aveva confermato l’arresto.
    Come mai ha avuto bisogno di 60 anni dalla fine della guerra per convincersi dell’esistenza dell’Olocausto?
    «Non mi sono mai fidato delle opere conformistiche, ma mi sono sempre basato per i miei trenta libri sulle mie ricerche compiute durante dieci anni, e ora sono arrivato alla conclusione che l’Olocausto c’è stato».
    Quali sono le fonti che ha scoperto ora a Mosca?
    «Si tratta dei diari di Goebbels da lui studiati nel ’92 negli archivi di Mosca e anche degli archivi di Auschwitz (pure conservati a Mosca) dove ho fatto scoperte importanti, ma la più importante di tutte l’ho fatta all’Archivio di Stato di Londra: il dossier Kurt Aumeier (vice comandante di Auschwitz) e le decifrazioni delle conversazioni delle Ss degli Ost Bezirke (distretti orientali), ovvero dei campi di concentramento».
    Irving, lei è d’accordo anche sulle cifre (sei milioni di ebrei sterminati) sull’Olocausto?
    «La cifra è controversa non solo per me ma in sostanza sarà vera, anche se ritengo che si sia concentrata troppa attenzione su Auschwitz e non altri Lager come Treblinka».
    Qual è il suo giudizio su Hitler e i 12 anni di nazionalsocialismo in Germania ed Europa?
    «All’inizio il giudizio sul movimento guidato da Hitler può essere assolutamente positivo sotto molti aspetti economici e sociali, poi alla fine è completamente uscito fuori controllo e il giudizio è senza dubbio negativo».
Al riguardo Irving fa sua una frase pronunciata da Bruno Ganz, interprete di Hitler nel film Der Untergang (La Caduta), quando dice che dopo la Notte dei cristalli del ’38 (il primo, grande pogrom contro gli ebrei) la situazione è precipitata e da allora in poi il nazismo ha preso una piega storta: il ’38 (Anschluss, accordi di Monaco sulla Cecoslovacchia) è la cesura definitiva».
Cosa pensa del suo arresto su un mandato di 16 anni fa?
    «Non sono molto felice dell’arresto ma anche per la reputazione dell’Austria, che sta facendo ridere il mondo: arrestare nel 2005 dopo 16 anni un inglese per reato di opinione come fosse un criminale pericoloso, anche un giornale cinese ne ha parlato. In nessun altro Paese esistono leggi del genere con una applicazione così preoccupante e negativa sotto il profilo della libertà di opinione».
Che ne pensa dell’elaborazione del passato compiuta in Austria e Germania e dei risarcimenti alle vittime del nazismo?
«È una cosa molto positiva e importante che finalmente (l’Austria è in ritardo sulla Germania, ndr) tutte le vittime innocenti del terrore nazista siano indennizzate, senza eccezioni, perché il vero crimine di quegli eventi e della Seconda guerra mondiale è stato che molta gente innocente sia stata perseguitata ed eliminata per ragioni razziali e religiose».
    Che significato ha il suo processo per l’opinione pubblica internazionale?
«Aiuterà certamente a migliorare l’immagine dell’Austria alla luce del fatto che il Paese assume ora la presidenza Ue, penalizzata dal ritardo nel pagamento degli indennizzi, e anche della passata crisi per le sanzioni Ue (nel 2001 con l’ingresso al governo del partito Fpoe del leader nazionalista Joerg Haider ndr). Il timore è che tutto ciò possa ritorcersi contro i miei interessi giuridici».
    Ha molti fan in Austria, Germania e Usa?
    «In tutto 13.000 fan - nomi, indirizzi, contatti - in tutto il mondo, la maggior parte negli Usa».
    Come si trova in prigione?
    «Nella cella singola non ci sono né tv, né radio, né giornali, ma ci sono una sedia, un tavolo e carta: scrivo le mie memorie, quindici pagine al giorno, non si può immaginare un ambiente migliore per scrivere, indisturbato. Ogni tanto vengono dei detenuti a chiedere autografi. Nella biblioteca del carcere di Vienna, come in tutti gli altri in Austria, ci sono miei libri».
    Secondo l’avvocato Kresbach, al processo non è in discussione l’assoluzione di David Irving, ma la scarcerazione. La sua linea di difesa è che il reato è remoto, e che nel frattempo lo scrittore ha rivisto le sue tesi negazioniste. Dubita (per ragioni di immagine) che possa essere rimesso in libertà subito ma forse, spera, tra non molto. Al massimo rischia uno, due o tre anni. E dà la stessa spiegazione (un problema di immagine) anche il fatto che il processo sia istruito da una corte di assise, che normalmente celebra casi gravi di omicidio.

(Il Giornale, 22 dicembre 2005)





5. CONFERENZA SULLA LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE




L’Assemblea Generale dell’ONU ha accolto in maniera positiva l’iniziativa israeliana sulla lotta alla desertificazione. Non avviene spesso che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite accolga delle iniziative israeliane, pertanto questa costituisce un importante risultato per il Dipartimento Organizzazioni Internazionali del Ministero degli Affari Esteri e per la Rappresentanza israeliana all’ONU. Ottantatré paesi in totale hanno appoggiato l’emendamento della risoluzione, trentaquattro si sono opposti e trenta si sono astenuti.
L’iniziativa israeliana si basa sulla risoluzione dell’Assemblea Generale che definisce il 2006 l’ “Anno internazionale dei deserti e della desertificazione”, e invita a innalzare l’attenzione pubblica per le pesanti implicazioni economiche e sociali del processo di desertificazione in tutto il mondo.
L’emendamento alla risoluzione sull’ “Anno internazionale dei deserti e della desertificazione” elogia il Governo d’Israele per la sua prontezza e disponibilità ad ospitare una conferenza internazionale in un suo istituto, sul tema “Deserti e desertificazione: sfide e opportunità”. La conferenza avrà luogo a novembre del 2006 e contribuirà al riconoscimento internazionale di Israele quale paese guida nella campagna internazionale contro la desertificazione.
L’Istituto israeliano Jacob Blaustein per la ricerca sul deserto, nella regione del Neghev, è considerato l’istituzione leader in tutto il mondo, nel campo della ricerca sulla desertificazione.

(Ambasciata d'Israele a Roma, 21 dicembre 2005)





6. UN PROGRAMMA PER I NUOVI IMMIGRANTI ETIOPI




Pari opportunita’ per la comunita’ etiopica

“Questo programma mi ha aiutato a migliorare il mio rendimento scolastico e a capire che posso riuscire” afferma col suo sguardo ardente la quindicenne Dvorah Zaro. Dvorah e la sua sorella gemella Leah partecipano al programma “Scintille di scienza”, che intende coltivare le potenzialità scientifiche e tecnologiche dei giovani di origine etiopica.
    Le due ragazze frequentano un triennio scolastico all’Ulpan liceale di Yavneh, vicino a Tel Aviv. Dvorah e Leah avevano un anno di età quando la loro famiglia fece l’alià nel 1991, per cui sono praticamente delle “sabras”. Con la loro pudica “uniforme” di ragazze religiose – gonna lunga, abiti accollati a maniche lunghe – le due parlano con un linguaggio condito con espressioni del gergo giovanile israeliano. Le gemelle vivono con i genitori e sei fratelli in un appartamento di tre locali a Yavneh. La madre lavora con gli anziani e il padre è disoccupato. Una delle loro consulenti si era accorta che le due ragazze avevano delle grandi potenzialità, che non potevano però essere valorizzate, data la mancanza di nozioni tecniche e di mezzi finanziari da parte dei genitori, impossibilitati ad aiutarle. La consulente ha così raccomandato le gemelle al programma “Scintille di scienza”. Adesso, Leah e Dvorah frequentano, due volte alla settimana, dei corsi serali all’Istituto Weizmann. Il programma ha dimostrato che entrambe sono in grado di riuscire e ha offerto loro la possibilità di un migliore futuro.

Immense sono le sfide che deve affrontare la comunità etiopica in Israele. Il passaggio, di punto in bianco, da una società agricola, patriarcale, con i ruoli familiari e sessuali ben definiti ad una società dinamica, moderna e tecnologica, ha reso l’integrazione in Israele molto difficile e ha creato non poche tensioni al suo interno. I notevoli divari culturali ed economici si sono aggravati in seguito alla crisi economica, che ha colpito il paese in questi ultimi anni. Molti ragazzi di origine etiopica hanno delle considerevoli potenzialità di studio, ma sono privi di risorse e di opportunità per poterle valorizzare. Senza un intervento, sono quasi sicuramente condannati a restare in una spirale di ignoranza e povertà.
    Il programma annuale Kedma è destinato ai nuovi immigranti etiopi, d’età compresa tra i 20 e i 25 anni, che hanno concluso almeno cinque anni d’istruzione scolastica in Etiopia. Il programma prevede un ulpan intensivo d’ebraico, della durata di nove mesi, abbinato a corsi preparatori in previsione di programmi di addestramento professionale o di studi accademici. Il programma comprende lo studio della matematica, dell’inglese, dell’informatica così come della cultura e della società israeliana. Gli studenti alloggiano in un centro di assorbimento per olim, sovvenzionato dal Keren Hayesod - UIA.
    La maggior parte dei ragazzi di origine etiopica è economicamente disagiata e deve superare molti ostacoli di natura didattica eculturale per poter completare i propri studi liceali. Senza un’assistenza economica non sarebbe possibile per loro raggiungere un livello di istruzione superiore. Le borse di studio, abbinate a un sussidio di mantenimento, permettono a questi giovani di continuare gli studi e di valorizzare il loro talento negli istituti accademici d’Israele.
    Non è facile per i giovani etiopi integrarsi nella società israeliana. Essi devono andare di pari passo con il loro programma scolastico, fare nuove amicizie, adattarsi a nuove abitudini sociali, che, di solito, sono assai diverse da quelle del loro paese natale, il tutto in una lingua che capiscono a mala pena. Inoltre, a differenza dei loro coetanei israeliani, quasi mai possono contare sull’aiuto delle loro famiglie, per venire aiutati nei compiti a casa.
    La rete di centri di studio dopo-scolastico per nuovi olim viene gestita nelle scuole e utilizza le infrastrutture esistenti, che offrono ai ragazzi un’ulteriore assistenza nello studio della lingua, della comprensione dei testi, della matematica e delle altre materie di cui necessitano d’aiuto. Inoltre, viene fornito loro, giornalmente, un pasto caldo (che per molti di loro è l’unico della giornata). Questi centri dopo-scuola offrono agli scolari pari opportunità per valorizzare le loro potenzialità e per farli diventare membri produttivi della società israeliana.
    Il progetto “Scintille di scienza” viene svolto all’Istituto Weizmann di Rehovot e al Technion (Politecnico) di Haifa. Il programma intende far conoscere alla gioventù etiope il mondo della scienza e della tecnologia, aiutandola in questo modo a colmare i divari culturali e pedagogici esistenti. Cento ragazzi, che frequentano il liceo, prendono parte a questo programma, che si svolge due volte alla settimana. Nel primo incontro settimanale, si svolgono dei corsi, che riguardano l’astronomia, la chimica, la biologia, il gioco degli scacchi, la fotografia, l’informatica e l’inglese. Nel secondo incontro, degli insegnanti di sostegno si prendono cura dei ragazzi e li aiutano a fare I compiti a casa. Il programma comprende anche una settimana di campeggio estivo, incentrata su attività di approfondimento.

(Keren Hayesod, 22 dicembre 2005)





MUSICA E IMMAGINI




Hanukkah




INDIRIZZI INTERNET




Kahane Tzadak

Christian Witness to Israel




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