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Notizie su Israele 352 - 22 luglio 2006

1. Intervista a un colonnello israeliano
2. Estremismo islamico
3. L'arte della menzogna
4. «I palestinesi sono bloccati con Hamas»
5. Il regime dei mullah
6. Antisemitismo di sinistra
7. Invito a pregare per Israele
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 26:8-9. Sulla via dei tuoi giudizi, Signore, noi ti abbiamo aspettato! Al tuo nome, al tuo ricordo anela l'anima. Con l'anima mia ti desidero, durante la notte; con lo spirito che è dentro di me, ti cerco; poiché, quando i tuoi giudizi si compiono sulla terra, gli abitanti del mondo imparano la giustizia.
1. INTERVISTA A UN COLONNELLO ISRAELIANO




«Dopo Israele, Hezbollah colpirà in Occidente»

di Cristina Balotelli

TEL AVIV - Nonostante i pesanti bombardamenti dell'aviazione israeliana nel sud del Libano, gli Hezbollah non mostrano segni di indebolimento.
Il loro leader, lo sceicco Hassan Nasrallah, ha fatto sapere che il comando resta intatto. Ma chi sono gli Hezbollah? L'«Hizb Allah», ovvero 'Partito di Diò, è un'organizzazione a cui fanno capo vari gruppi radicali Sciiti che aderiscono all'ideologia Khomeinista. Il loro obiettivo principale è stabilire una repubblica pan-Islamica guidata da personalità religiose. In questo contesto, lo Stato di Israele rappresenta un impedimento, perciò va distrutto.
Il Colonnello riservista Eitan Azani si è occupato a lungo degli Hezbollah, e lo ha fatto sul campo. Negli anni '90 ha diretto le operazioni di Intelligence dell'esercito israeliano (Idf) in Libano. Considerato uno dei massimi esperti dell'organizzazione, svolge la sua attività di ricerca presso l'International Institute of Counter-Terrorism di Herzliya. È la prima volta che parla a un giornale italiano. Gli abbiamo chiesto come sono strutturati gli Hezbollah.
«L'Hezbollah è una organizzazione pragmatica terroristica sciita, nata nel 1982, che agisce su due livelli, politico e militare. Il primo è il sistema politico interno libanese: Hezbollah ha rappresentanti nel Parlamento e nel Governo. Ma agisce anche al di fuori del sistema politico, attraverso una milizia armata che ha il pieno controllo del sud del Libano. Qui hanno le loro infrastrutture e la loro artiglieria, mentre a Beirut hanno il loro quartier generale: nessuno può entrarvi, nemmeno le autorità libanesi. È come se fosse un'area extra-territoriale. Sono molto più potenti di Al Qaeda: nessun'altra organizzazione terroristica al mondo è dotata di migliaia di missili».

Guerriglieri o terroristi?
Utilizzano anche tattiche di guerriglia, ma la loro strategia è principalmente quella di un'organizzazione terroristica perché attaccano intenzionalmente i civili. Sono supportati da Siria, Iran e Libano. Il governo libanese non può dire di non essere responsabile delle azioni degli Hezbollah sul suo territorio, perché la Siria ha ritirato ormai le sue truppe.

Perché allora il primo ministro libanese Fuad Siniora chiede al mondo di aiutare il Libano a disarmare l'Hezbollah?
Per prima cosa chiede di fermare gli attacchi d'Israele, poi vuole che gli israeliani si ritirino dalle Shaba Farms e che rilascino i prigionieri libanesi... Conosciamo bene questo linguaggio in Medio Oriente: fermate il fuoco, poi cominceremo a parlare di disarmo... forse. La mia opinione è che Nasrallah da una parte, Siniora e tutti i ministri del Governo libanese dall'altra, non immaginavano certo questa reazione da parte di Israele. E il motivo è che, basandosi sulle esperienze passate, prevedevano che dopo il rapimento dei soldati gli israeliani avrebbero attaccato il sud del Libano, ma poi si sarebbero fermati per le pressioni internazionali e per l'opinione pubblica interna. Invece non è andata cosi. Hanno commesso un grande errore.

Cosa vogliono?
Prendere il controllo del Libano e realizzare la missione sciita nella regione, vale a dire instaurare uno Stato Islamico sciita in alleanza con l'Iran. E successivamente con l'Iraq. Nasrallah vuole il controllo del Libano, per questo nel corso degli anni ha armato la sua organizzazione. Il suo obiettivo è diventare uno dei leader più influenti in Libano, dove il 40% della popolazione è sciita. Per questo ha cercato di trasformare la sua organizzazione terroristica in partito legittimo. E in parte ha avuto successo: ha ottenuto la legittimazione dell'Europa. Solo cinque Paesi considerano l'Hezbollah un'organizzazione terroristica: Israele, Stati Uniti, Australia, Olanda e Canada. Il motivo è che, ad oggi, non esiste una definizione internazionalmente riconosciuta di 'terrorismo'. Quando Israele occupava il Libano gli attacchi di Hezbollah contro i soldati potevano essere considerati atti di guerriglia. Ma se gli attacchi sono diretti, intenzionalmente, contro i civili, questo è terrorismo.

Quale pensa che sarà il prossimo passo di Nasrallah?
L'Hezbollah, dopo questo conflitto, comincerà a pianificare una operazione al di fuori d'Israele, all'estero. L'America e i Paesi occidentali, secondo me, dovrebbero studiare molto attentamente quello che sta accadendo qui in Medio Oriente: le armi che usano, il tipo di azioni militari, la capacità operativa e la metodologia utilizzata nel costruire il loro potere. L'organizzazione sta cercando di costruire una capacità operativa fuori dal Libano, ovunque sono presenti le sue cellule clandestine: in Europa, come in America.

Su quali basi può affermarlo?
Sulla base della loro ideologia e delle mie ricerche. Tra gli obiettivi di Hezbollah, oltre alla distruzione di Israele, c'è la lotta in Occidente. Vogliono essere in grado di colpire ovunque ce ne sia bisogno, per esempio in aiuto degli iraniani. Nasrallah l'ha detto più di una volta: il Libano non è il nostro unico teatro di operazioni. Hanno già colpito obiettivi occidentali: in Argentina, per esempio. Le loro cellule sono presenti in Sud America, Cipro, Stati Uniti e nel Sud-Est Asiatico.

Cosa sappiamo della loro capacità militare?
È una delle più pericolose al mondo proprio perché sostenuta da Siria e Iran. Possiedono missili a lungo raggio di fabbricazione iraniana, in grado di raggiungere anche Tel Aviv. Ma non li hanno ancora usati. Ora, per maneggiare questo tipo di missili, bisogna essere ben addestrati. Gli Hezbollah sono stati preparati dai Guardiani della Rivoluzione iraniani, presenti anche di recente nel sud del Libano. Stiamo parlando di una potente infrastruttura militare, che oltre ai missili può contare su reparti speciali, addestrati al combattimento. Il rapimento dei due soldati israeliani è opera di queste forze speciali. Nasrallah lo ha dichiarato apertamente in uno dei suoi discorsi: Hezbollah ha lavorato per cinque anni al fine di ottenere la capacità operativa necessaria contro Israele e per preparare questo momento.

Quindi è impossibile che il Governo libanese non sapesse nulla di quanto accadeva nel Sud?
Sapevano tutto, certo. Il Governo libanese è stato anche ricattato dall'organizzazione, che nel 2005 è uscita dall'Esecutivo provocando una crisi e chiedendo di riconoscere come resistenza la lotta degli Hezbollah. Il Governo ha fatto come volevano. Il rapimento dei soldati è stato, a mio parere, il grande errore di Nasrallah. Non solo non si aspettava una simile reazione da Israele, ma anche altri Paesi ora sono d'accordo sulla necessità di cambiare la situazione in Libano. Persino i leader del mondo arabo hanno capito che Hezbollah non è solo un problema di Israele. Ma il governo libanese non ha il potere o il coraggio di agire e forse la comunità internazionale dovrebbe aiutarlo inviando una forza multinazionale nel sud del Libano.

Pensa che il Governo libanese agirà?
Il cambiamento di rotta potrebbe arrivare con l'eliminazione di Nasrallah, oppure attraverso la pressione dell'opinione pubblica sciita. Nasrallah ha dalla sua parte l'opinione pubblica iraniana, ma in Libano non gode di pieno supporto. Dall'altra parte ci vorrebbe la pressione dell'opinione pubblica interna sul Governo libanese. Elementi chiave sono il leader libanese sciita Nabih Beri, il leader druso Walid Jumblatt e il figlio di Rafik Hariri, Saad Hariri. Ma non hanno ancora parlato in maniera chiara. Se le loro voci si levassero contro l'Hezbollah, il governo sarebbe costretto ad agire.

Non pensa che i bombardamenti israeliani possano avere un effetto negativo sull'opinione pubblica interna?
Questo è uno dei rischi. Per questo motivo Israele sta attaccando solo obiettivi Hezbollah ed ha avvertito la popolazione di stare lontano da queste infrastrutture.

Ma molti non hanno i mezzi per andarsene....
Alcuni non se ne vanno perché sono sostenitori degli Hezbollah. Altri perché costretti dagli Hezbollah. Altri ancora perché troppo anziani. Conosco il Libano, non è cosi difficile abbandonare i villaggi anche a piedi. Il problema è che alcuni sono costretti a non allontanarsi, mentre altri sono parte dell'organizzazione. Per esempio, in molte case di civili sono conservate le armi degli Hezbollah. Avremmo dovuto agire contro l'organizzazione già nel 2000, quando rapirono e uccisero tre soldati israeliani.

Pensa che l'Idf abbia sottostimato la loro capacità militare? La nave israeliana colpita è stata colta di sorpresa....
No, però nel caso della nave è stato un attacco che ci ha sorpreso e non eravamo preparati.

Il missile che ha colpito il deposito dei treni ad Haifa era di fabbricazione iraniana e siriana. Anche questo missile è stato una sorpresa?
No. La Siria non ha fornito solo il supporto logistico, permettendo alle armi iraniane di raggiungere il Libano, ma anche quello tecnologico: molti dei razzi lanciati contro le città israeliane provengono dalla Siria.

Prima Hamas, poi Hezbollah hanno agito seguendo la stessa tattica: imboscata e rapimento di soldati israeliani. Cosa significa?
Sappiamo che Hamas ha adottato il modello degli Hezbollah nel corso degli anni. Chi ha cominciato con gli attacchi suicidi e i rapimenti in Medio Oriente? Gli Hezbollah negli anni '80. Anche Hamas ha capito che gli attentati suicidi e i rapimenti sono strumenti strategici nella lotta contro l'Occidente. E che attraverso il rapimento di civili può esercitare una forte pressione su Israele, tale da modificare anche i rapporti con l'Autorità Palestinese, con Abu Mazen. L'Hezbollah usa i rapimenti per aiutare Hamas e per fare pressione su Israele. Il rapimento pesa sull'opinione pubblica, soprattutto se si tratta di un soldato. Infatti, colpire un soldato vuol dire colpire l'immagine dell'esercito israeliano. Tutto ciò è amplificato dai media. Ecco perché era importante una reazione forte da parte di Israele.

Ci sono possibilità di riavere indietro i soldati rapiti in un tempo ragionevole?
Sono molto scettico: ci vorrà tempo.

(Il Sole 24 Ore, 21 luglio 2006)





2. ESTREMISMO ISLAMICO




«Europa, un musulmano su 4 difende i kamikaze»

E per la metà degli intervistati l'11 settembre «non fu perpetrato da arabi»

di Magdi Allam

Tra una legittima emozione calcistica
e una sacrosanta vacanza al mare, forse vale la pena soffermarsi sulla realtà dell'inquilino della porta accanto e che potrebbe condizionare il nostro futuro. Come non preoccuparci del fatto che il 35% dei musulmani in Francia, il 25% in Spagna, il 24% in Gran Bretagna e il 13% in Germania legittimano gli attentati terroristici suicidi contro i civili «per difendere l'islam»? Il recente sondaggio condotto dal «Pew global attitudes project » fa emergere l'immagine di un'Europa sempre più in balia degli estremisti islamici.
Il Paese più a rischio è indubbiamente la Gran Bretagna. A un anno dalle stragi di quattro terroristi suicidi britannici nel centro di Londra (56 morti), la Gran Bretagna scopre che la «fabbrica del terrore» sul proprio suolo è sempre più radicata e pericolosa. L'MI5 stima che circa 8 mila musulmani, lo 0,5% del milione e mezzo con cittadinanza britannica, sostiene Al Qaeda. Ma nel sondaggio del Pew, ben il 14% dei musulmani britannici afferma di nutrire molta o qualche fiducia in Al Qaeda, un dato che è addirittura del 16% in Spagna, del 7% in Germania e del 5% in Francia.
Ugualmente il 12% dei musulmani in Gran Bretagna, Spagna, Germania e il 9%dei musulmani in Francia pensano che la maggioranza dei musulmani nei rispettivi Paesi sostengono Al Qaeda. Ebbene se confrontiamo questi due primi dati, emerge che l'ideologia del terrore e del «martirio » islamico travalica Al Qaeda e appartiene a un ambito più ampio, quello di Hamas e dei Fratelli Musulmani che legittimano gli attentatori suicidi dei territori palestinesi, in Iraq, Afghanistan e Cecenia. Questa ideologia della violenza e della morte poggia sull'antiamericanismo, l'antiebraismo e più in generale l'antioccidentalismo.
Che si manifesta nel negazionismo e nel complottismo storico. Alla domanda «Gli attentati dell'11 settembre sono stati attuati dagli arabi?», rispondono «no» ben il 56% dei musulmani in Gran Bretagna, il 46% in Francia, il 44% in Germania e il 35% in Spagna. Il negazionismo dei musulmani britannici è a un livello addirittura superiore a quello dei pachistani (41%), dei nigeriani (47%) e dei giordani (53%). Mentre la maggioranza dei musulmani europei manifesta una opinione favorevole nei confronti dei cristiani (il 91% in Francia, l'82% in Spagna, il 71% in Gran Bretagna, il 69% in Germania), nei confronti degli ebrei le percentuali si riducono drasticamente (il 71% in Francia, il 38% in Germania, il 32% in Gran Bretagna e il 28% in Spagna).
E se consideriamo i Paesi musulmani interessati al sondaggio, colpisce il fatto che il più antiebraico è la Giordania (soltanto l'1% ha un'opinione favorevole degli ebrei), seguito dall'Egitto (il 2%), il Pakistan (il 6%), la Turchia (il 15%) e l'Indonesia (il 17%). La maggioranza dei musulmani britannici (62%) è convinta che le relazioni tra l'Occidente e l'islam siano cattive e che la colpa sia al 48% dell'Occidente. Percentuali simili tra i musulmani in Germania (60% e 46%) e in Francia (58% e 52%), mentre in Spagna solo il 23% dei musulmani dà una valutazione negativa e solo il 28% addossa la responsabilità all'Occidente.
Per un altro verso, nella vicenda delle vignette satiriche su Maometto, i musulmani spagnoli sono in testa (con l'80%) nel ritenere che sia da condannare la mancanza di rispetto da parte dell'Occidente, a fronte del 5% che punta l'indice sugli islamici intolleranti. La pensano allo stesso modo il 79% dei musulmani in Francia, il 73% in Gran Bretagna e il 71% in Germania. Eppure pensate che a fronte di questo quadro allarmante, il Pew ha ritenuto di accompagnare il titolo dell'inchiesta «Il grande discrimine: come gli occidentali e i musulmani considerano l'un l'altro», da un occhiello che recita: «I musulmani d'Europa sono più moderati ».
Si intende «più moderati» rispetto al passato, alla fase immediatamente successiva all'11 settembre 2001. Non so voi, ma a me non tranquillizza affatto questa valutazione relativa. Condivido piuttosto l'analisi del politologo Daniel Pipes che, analizzando il sondaggio, sottolinea l'affermazione del «fenomeno del Londonistan» in Gran Bretagna: più gli autoctoni si sottomettono, più gli islamici reagiscono in modo aggressivo a un comportamento percepito come un atto di debolezza. Se si considera l'insieme degli atteggiamenti dei musulmani, emerge che se la Gran Bretagna rischia perché in passato è stata permissiva al massimo, la Spagna rischia ugualmente perché attualmente promuove una politica lassista.
E il dato globale sulla Francia e sulla Germania spiega che essere o non essere implicati nella guerra in Iraq non è significativo nella determinazione del livello di pericolosità dell'estremismo islamico. Sono insegnamenti che valgono per tutti, Italia compresa.

(Corriere della Sera, 5 luglio 2006)





3. L'ARTE DELLA MENZOGNA





La "realistica" manipolazione del giornalismo anti-israeliano

di Paolo Della Sala

La netta condanna della Ue nei confronti di Israele, che in questi giorni reagisce al lancio di razzi Qassam, alle uccisioni e ai rapimenti di suoi cittadini, così come il cambio ai vertici del Sismi e le dichiarazioni rocambolesche di D'Alema, sono il segno di un fatto non più eludibile: nello scontro in atto nel Medio Oriente e nel mondo, l' Unione Europea sta solo formalmente con Usa e Israele. Nei fatti ha compiuto da decenni una inequivocabile scelta di campo. Questa alleanza inconfessata si rinforza nell'opinione pubblica per mezzo di alcuni lati oscuri della informazione: "Prendi la mira: Allah è grande!"; "… Ma il razzo non parte e il carro israeliano passa indenne"…Chi non ha visto, in questi giorni di crisi, i servizi dei telegiornali? Immagini di guerra: carri israeliani in lontananza, miliziani palestinesi col kalashnikov in mano che corrono da un incrocio all'altro, la polvere ovunque, il pianto, le grida. "Scene di guerra", come ripetono i giornalisti di mezzo mondo, della Reuter e della Rai.
    La guerra scorre sui nostri schermi in modo "realistico", convincendoci che quella è "la realtà", quelli sono i fatti. Ma non è affatto così. Come ricorda Robert Kaplan, in un articolo pubblicato dalla rivista Aspenia, intitolato "Media Evo", l'informazione è il nuovo centro del potere, al posto della vecchia aristocrazia decaduta, formata dai "politici". A partire dalla rivoluzione pop degli anni '60 le corporazioni di giornalisti (e magistrati) hanno assunto un controllo crescente sulla società. Secondo Samuel Huntington in quel periodo "l'arroganza del potere venne sostituita dall'arroganza della morale". Da allora "la segretezza divenne sinonimo di male, e il concetto di denuncia [figlio del rifiuto della leadership] venne elevato da semplice tecnica a principio".
Il fronte della guerra contro il terrorismo non è a Baghdad o Gaza, ma a Roma e Washington. Secondo Kaplan: "i media sono diventati il vero sostituto dei vecchi partiti della sinistra e rappresentano l'equivalente dell'Internazionale Comunista".
    Il nuovo Komintern ha deciso l'annegamento di Nixon, Carter, Clinton, Leone, Kohl, Craxi. Nel contempo, molti altri politici, non meno "colpevoli", sono stati salvati dalla gogna, ad esempio Chirac. Le guerre in Irak, in Somalia, nel Vietnam, sono terminate (in anticipo e in favore della controparte) in virtù della pressione esercitata dalla opinione pubblica, influenzata dai media. Tuttavia, nel periodo della guerra in Vietnam, fotografi e cineoperatori operavano sulla borderline del fronte, documentando le azioni dei marines e dei vietcong. A partire dalla guerra "di sinistra" in Yugoslavia si è invece imposto il modello narrativo "in soggettiva". La telecamera non registrava più immagini da un punto di osservazione neutrale o dalla parte dei "nostri". Le immagini che vedevamo erano riprese dalla parte del "nemico". Chi ricorda i messianici reportage di Santoro dai ponti di Belgrado, mentre infuriavano i bombardamenti di Clinton e D'Alema, capirà di cosa stiamo parlando. Effettuare un servizio giornalistico con riprese esclusivamente "dall'altra parte" è diventato uno standard, mentre l'espressione "giornalista embedded" è diventato un insulto.
    Per avere la "verità" bisogna stare dalle parti del "nemico". Come se chi ci combatte fosse incapace di mentire. Come se i disastri di Falluja, Gaza o Belgrado fossero solo opera nostra… Così facendo il nemico è sparito, diventando una vittima dei nostri politici, elevata agli altari dai nostri giornalisti. Il nemico ora è buono, anzi: il nemico siamo "noi". Il complesso di colpa lavora per il nuovo komintern. Se questo è il contesto psicologico di benestanti figli dell'Occidente come Francesco Caruso, latifondista di Rifondazione, l'innamoramento nei confronti di Caino è il metro, la chiave, il linguaggio che anima la totalità dei giornalisti televisivi. Tutti, indipendentemente dalla loro opinione politica, si sentono dei piccoli Michael Moore: il Pulitzer si ottiene facendo a gara nell'essere dalla parte delle "vittime". Tuttavia la guerra è tale proprio perché si spara e uccide da due parti. Questa considerazione è valida ancora oggi, anche se la "guerra asimmetrica" e il terrorismo permettono ai "deboli" di non essere considerati nemici in senso giuridico. Pertanto, tutte le parti mentono e usano la violenza.
    Qualcuno ricorderà una fotografia, riportata da Informazione Corretta, nella quale si vedeva un gruppo di miliziani che bruciava bandiere israeliane. La ripresa "in soggettiva" ci rendeva partecipi di un momento di verità… Salvo poi accorgerci, con una fotografia allargata, che si trattava di un vero e proprio set cinematografico, con operatori e telecamere già preparati da tempo, le troupe che aspettavano il ciak, i miliziani come attori. Allo stesso modo le riprese televisive di questi giorni, girate soltanto dall'interno dei villaggi palestinesi della Striscia di Gaza, costituiscono una grave alterazione della realtà dei fatti. Con ciò si dimenticano i lanci quotidiani di razzi qassam sui villaggi e le scuole israeliani, si occulta l'uccisione e il rapimento di cittadini e militari dell' "altra parte". In questo modo il telespettatore viene truffato senza pietà. La ripresa "in soggettiva" ha lo scopo di identificare lo spettatore di un film con il protagonista: lo spettatore vede ciò che vede il combattente palestinese, si identifica con la sua visione, diventa il suo co-protagonista.
    Anni di riprese effettuate soltanto all'interno dei villaggi palestinesi hanno inciso sulla opinione pubblica e hanno accompagnato l'Europa sulle sponde di un nuovo antisemitismo, continuamente alimentato dal fuoco delle immagini. Questa alterazione della realtà è dannosa agli stessi palestinesi, rafforzandone la parte attoriale, che sceglie le azioni "spettacolari" e il terrore. Nei servizi televisivi occidentali fortunatamente non si usano i ralenty utilizzati nel cinema di Sam Peckinpah, con i quali si otterrebbe un "effetto eroe" ancora più marcato, come in quel ralenty infinito che è la foto del miliziano colpito a morte, scattata da Robert Capa. Massimo Calanca di Cinema Avvenire distingue tra "identificazione primaria e secondaria (da un lato con la macchina da presa e con lo sguardo; e dall'altro con i personaggi e le situazioni)", e parla "del grande lavoro mentale necessario a riempire i vuoti tra i fotogrammi e a ricostruire la realtà esterna all'inquadratura; della somiglianza con l'ipnosi dello stato dello spettatore; dell'analogia tra immagini filmiche e il linguaggio del sogno e dell'inconscio".
    Se la scena di guerra è solo quella palestinese, non ci può essere identificazione emotiva con l'altra parte: attentati e lanci di missili sono "comprensibili", mentre gli attacchi aerei contro le postazioni palestinesi diventano "raid" determinati dalla voglia di sangue. In questo quadro lo spettatore medio non è più in grado di ricostruire la scena "esterna" del teatro di guerra. Giornalisti e operatori televisivi hanno l'obbligo di una maggiore limpidezza: se non forniscono ai telespettatori inquadrature che diano voce ai diversi protagonisti dello scontro, vinceranno forse dei premi, ma non renderanno un buon servizio ai cittadini. Anche le immagini dovrebbero essere pluraliste. A proposito: la foto del miliziano colpito, pur essendo "verosimile", è con ogni probabilità frutto di un set ricostruito da Robert Capa.

(L'Opinione.it, 11 luglio 2006)





4. «I PALESTINESI SONO BLOCCATI CON HAMAS»




Giornalista arabo ai palestinesi: Basta guerra a Israele

Lo stato che i palestinesi avrebbero potuto avere nel 1948 era più esteso di quello che avrebbero potuto costruire successivamente, tra il 1949 e il 1967, il quale a sua volta sarebbe stato più grande di qualunque stato che

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ormai potranno ottenere in futuro. Continuare sulla strada dello scontro significa sempre meno terra, sempre più lutti e isolamento totale.
    Lo ha scritto in una lettera, pubblicata sul New York Sun, l'autorevole giornalista arabo Youssef Ibrahim.
Ibrahim è stato per 24 anni senior reporter per il New York Times e il Wall Street Journal, periodo durante il quale ha avuto l'opportunità di intervistare praticamente tutti i più importanti leader arabi. Dal 2001 è membro del Council on Foreign Relations, un think-tank con sede a New York.
    Nella sua lettera, Ibrahim ricorda ai palestinesi che gli israeliani non hanno alcuna intenzione di andarsene da Giaffa, da Haifa, da Tel Aviv o da Gerusalemme ovest, e critica aspramente i palestinesi per aver permesso ai loro figli di crescere analfabeti, ossessionati e con tendenze suicide, mentre continuano a vivere grazie alla beneficenza degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite. Ogni giorno i vostri leader elemosinano sussidi per la pace, prosegue il giornalista arabo, mentre il vostro governo islamico estremista e criminale guidato da Hamas continua soffiare sul fuoco di una guerra che non può combattere e che non ha alcuna speranza di vincere.
Ibrahim dice poi che le nazioni arabe confinanti con Israele, come Egitto e Giordania, hanno firmato trattati di pace e non hanno alcuna intenzione di combattere per la causa palestinese. Per quanto riguarda le nazioni arabe più distanti, come l'Iraq, ad esse in realtà non importa nulla della sorte concreta dei palestinesi. E aggiunge: la Siria è l'unica che continua ad alimentare la "fantasia" dei palestinesi che un giorno possa unirsi alla loro lotta.
    Ibrahim conclude dicendo che "i palestinesi sono bloccati con Hamas, un'altra banda di furfanti come Yasser Arafat, che rubò milioni mentre i bambini palestinesi erano costretti a giocare nei bassifondi di Gaza".

(YnetNews, 10 luglio 2006 - da israele.net)





5. IL REGIME DEI MULLAH




Maryam Rajavi: Eliminate l'influenza del regime dell'Iran in Medio Oriente

Con l'esportazione della crisi ed attizzando il conflitto in Medio Oriente, i mullah cercano di dissimulare il loro programma nucleare ed i loro piani per dominare l'Iraq.

CNRI, 16 luglio - Il mondo fa fronte ad un'escalation della violenza che proviene dal regime dei mullah e dalla sua disastrosa influenza in medio oriente e in particolare in Libano. La Comunità internazionale deve immediatamente sollevarsi per combattere i mullah che attizzano il conflitto e che esportano il terrorismo e la crisi. La situazione attuale è il risultato di due decenni di politica di accondiscendenza occidentale e di politica dello struzzo riguardo all'esportazione del terrorismo, dell'integralismo e della repressione della nazione iraniana da parte dei mullah. Tale politica deve essere cessata.
    L'adozione di una politica di fermezza contro il regime iraniano riveste molta più importanza che prima. Il presidente eletto dalla resistenza iraniana, la signora Maryam Rajavi, ha dichiarato a questo riguardo:" La soluzione per la regione, sarebbe che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite elimini l'influenza del regime dei mullah in Medio Oriente, in particolare in Libano, in Palestina ed in Iraq.
    Il fascismo religioso che governa l'Iran è il principale ostacolo alla pace in questa regione del mondo. Per i mullah, la pace in Medio Oriente è come una fune attorno al loro collo, è per questo che fanno tutto per bloccarla e ostacolarla.
    L'obiettivo dei mullah nell'esportazione della crisi e nell'escalation di una guerra devastatrice è di dissimulare i loro progetti d'acquisizione d'armi nucleari ed i loro piani di interferenza nella sovranità irachena e di distruzione dell'Iraq. Non è una semplice coincidenza se il regime dei mullah ha lanciato la sua ultima offensiva contemporaneamente al suo rifiuto del pacchetto degli incentivi del P5+1 ed il ritorno della sua cartella nucleare dinanzi al Consiglio di sicurezza.
    La resistenza iraniana deplora anche la morte di persone innocenti in Libano ed in Palestina a causa d'Israele e chiede la fine di questo bagno di sangue ed omicidio dei civili.
    La pace nella regione e la democrazia in Iraq nuociono soltanto ad una sola parte: alla dittatura religiosa che governa l'Iran. Contrariamente alla sua propaganda demagogica, il regime iraniano ha fatto molto male al popolo della Palestina. Inoltre, contrariamente alle sue pretese a proposito dell'islam, il regime di Teheran è il più gran nemico dell'islam, religione di misericordia e d'emancipazione.
    La crisi in Palestina ed in Libano permette ai mullah di farsi passare per i difensori dei diritti del popolo arabo. Portando Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza, la guida suprema dei mullah, Ali Khamenei, ha disegnato un itinerario che mira a deviare l'attenzione mondiale dal suo programma nucleare e dai suoi progetti per l'Iraq.
    Negli ultimi mesi, per preparare questa sporca guerra, il regime dei mullah ha inviato numerosi carichi d'armi, di munizioni e di missili in Libano. Ha anche inviato un gran numero di guardie della rivoluzione in questo paese. L'anno scorso, il capo dei mullah ha dato istruzioni in questo senso varie volte ai suoi agenti a Teheran, a Damasco ed a Beirut.
    Dopo un anno dalla presidenza d'Ahmadinejad, la resistenza iraniana ribadisce ancora che portando un terrorista e una guardia della rivoluzione al potere, Khamenei ha dichiarato la guerra al popolo iraniano ed alla Comunità internazionale. Ciò si traduce nel paese con la repressione, il programma nucleare e l'intervento in Iraq. D'altra parte, proseguire la politica d'accondiscendenza con i mullah, negoziare e concedere loro concessioni fornisce loro un gran numero d'opportunità per fare avanzare i loro sinistri progetti.

Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana.

(Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana - Commissione degli Affari Esteri, 16 luglio 2006)





6. ANTISEMITISMO DI SINISTRA




Il sito "AprileOnline - Quotidiano della sinistra", nella rubrica "Approfondimenti" ha recentemente messo in rete un articolo che dire inquietante è poco. Si tratta di manifesto antisemitismo espresso con categorie concettuali soltanto apparentemente nuove. Il fatto che sia stato presentato per il "dibattito" non cambia di molto le cose, anche perché diversi commenti all'articolo sono stati tutt'altro che negativi.

Un solo Stato in Palestina

Dibattito. È essenziale che gli ebrei della diaspora mettano fine alla loro doppia lealtà, o piuttosto alla loro lealtà verso Israele, ben al di sopra della lealtà verso il paese ospite.

di Simon Jones*

La mia "via per Damasco" riguardo la soluzione di un Solo Stato è stata molto lunga. Pur essendo stato critico, da sempre, verso l'espansionismo israeliano, mi adeguavo tuttavia alla posizione convenzionale che la sofferenza degli ebrei durante la 2ª Guerra mondiale, in qualche modo, giustificava per lo meno l'esistenza di uno Stato di Israele, che non c'era nulla da fare. Ritenendo comunque questa un'ingiustizia, la soluzione mi sembrava quella di sostenere i tentativi di creare uno Stato Palestinese anche se costituito da rimasugli di territori. Fu soltanto quando il viscido Clinton fece concludere gli 'accordi' di Oslo che, sostenuti dal "movimento pacifista" israeliano - il quale però non fece nulla per fermare i sempre più numerosi insediamenti che sorgevano nei territori occupati - non prevedevano nessuna compensazione per i palestinesi derubati ed assassinati per mezzo secolo, che sorse in me il dubbio che quella via fosse sbagliata. "Ma guarda, gli ebrei stanno ottenendo miliardi di dollari in riparazioni per le persecuzioni naziste. E i palestinesi allora?". Mi misi a riflettere. Oslo veniva comprensibilmente rigettato dai palestinesi e poi rumorosamente pure dagli israeliani (sebbene, l'ipocrita Clinton lo difende ancora fermamente alla CNN).
Divenne allora chiaro a tutti, eccetto ai presidenti americani, che i politici israeliani di ogni risma non avevano mai avuto intenzione di permettere la nascita di uno Stato Palestinese, anche di uno Stato a brandelli. La cinica passeggiata di Sharon sul monte del tempio rese ancora più chiaro, anche per i più ingenui benpensanti (sempre con l'eccezione dei presidenti americani) che il progetto politico vero di Israele non è altro che il Grande Israele (Eretz Israel) e la cacciata dalla Palestina di tutti i palestinesi, musulmani e cristiani. La frase di Ben Gurion "non importa ciò che i gentili dicono; importa solo ciò che noi facciamo" è diventata la frase di Sharon "non importa ciò che NOI diciamo; importa solo ciò che noi facciamo". Si continuano a propagandare Roadmaps e processi di pace – sì, il cane abbaia, ma la carovana continua ad avanzare.

L'11 settembre non ha fatto che concludere la faccenda. Non importa se il Mossad sia o non sia dietro questa faccenda, Israele ora non è più un'escrescenza, una piccola irritazione che può essere tollerata e che alla fine guarirà o per lo meno non peggiorerà. Israele è un cancro, ogni giorno più letale per l'intero mondo, è il motore della 3ª Guerra Mondiale contro il mondo musulmano. Così l'unica soluzione è opporsi all'esistenza stessa di Israele come stato razzista, combattere per abbatterlo, proprio come il mondo musulmano ha chiesto di fare fin dall'inizio. Scusate ragazzi per averci messo tanto a capirlo!


Confrontarsi con il secolo ebraico

Come eravamo ingenui noi goyim (non-ebrei, ndt) progressisti, socialisti, e anche noi ebrei cosiddetti antisionisti! In realtà siamo tutti il prodotto della cultura secolare giudaica che ha trionfato in Occidente. Le cose stanno proprio come sostiene un critico entusiasta del libro di Yuri Slezkine Il Secolo Ebraico (Princeton University Press, 2004), in una presentazione del New York Review of Books, "L'epoca moderna è l'epoca ebraica – e noi siamo tutti, a livelli diversi, ebrei". Secondo costui, non solo gli ebrei si sono adattati meglio di molti altri gruppi alla vita del mondo moderno, sono addirittura diventati ovunque "il simbolo e il modello della vita moderna".

Se partiamo dall'idea che conviene di più vivere una vita vera invece di fare la parte dello Shabbat Goy, dobbiamo confrontarci, senza timori, con questa egemonia culturale ebraica, la quale, si può dire, include non soltanto il controllo delle leve intellettuali di comando, ma molto meno dignitosamente anche la diffusione della religione dell'Olocausto (l'uso dell'olocausto a fini politici o economici, ndt), la negazione della dimensione spirituale presente nell'umanità e il dominio del denaro. Per gli ebrei, ciò significa il ripensamento radicale della loro più profonda identità di ebrei, sotto qualsiasi foglia di cavolo essi possono pensare di essere nati. Invece per tutti noi altri, il progetto sionista di una Knesset mondiale a Gerusalemme (come annunciato recentemente dal presidente israeliano) non è accettabile per lo meno quanto non lo è stato il tanto vituperato Comintern, e inoltre mette in evidenza il pericolo che questi potenti cittadini dalla doppia lealtà rappresentano per i paesi che li ospitano. Tutto ciò porta inesorabilmente alla conclusione che il progetto sionista è sbagliato, in realtà sedizioso, e deve cessare. Gli ebrei in Francia dovrebbero diventare francesi. Allo stesso modo gli ebrei negli Stati Uniti dovrebbero essere prima di tutto e sopra ogni altra cosa americani. L'AIPAC è certamente l'agente di una potenza straniera. E Ciò porta alla conclusione che gli ebrei in Palestina dovrebbero diventare palestinesi.
È essenziale che gli ebrei della diaspora mettano fine alla loro doppia lealtà, o piuttosto alla loro lealtà verso Israele, ben al di sopra della lealtà verso il paese ospite. E che cos'è questo termine "paese ospite" se non un termine inventato dagli ebrei della diaspora? Basta così! Questi paesi sono a tutti gli effetti il loro paese, tanto quanto sono il paese dei goyim che vivono nella stessa strada, proteggono i confini, combattono le guerre e pagano le tasse.


Israeliani ebrei e non ebrei israeliani

La correzione dell'identità ebraica sta già avvenendo in Israele. Centinaia di israeliani hanno richiesto alla Corte Suprema dello Stato che la loro "nazionalità ebraica" sia sostituita con una nuova nazionalità "israeliana" o "palestinese". Due milioni di cittadini israeliani, palestinesi, russi ed etiopi "già non sono più considerati 'ebrei' dallo Stato ebraico, e non desiderano esserlo". Ancora più numerosi sono coloro che (provenienti soprattutto dall'ex Unione Sovietica) sono, certo, considerati 'ebrei' ma tuttavia vogliono rinunciare al loro esclusivismo ebraico. Prima di tutto vogliono essere israeliani o palestinesi, e non "ebrei".
E' proprio il carattere ebraico di Israele che costituisce la fonte del problema e deve essere eliminata. Gli ebrei non sono una nazione, sebbene gli israeliani potrebbero diventarlo, ma solo a condizione di tagliare il cordone ombelicale con la lobby ebraica fuori. La rimozione dei legami speciali tra le persone di lingua ebraica in Palestina e gli ebrei all'estero costituisce, in un certo modo, una vera e propria dichiarazione d'indipendenza israeliana. Solo quando tutti gli israeliani (ebrei e palestinesi) saranno trattati allo stesso modo, lo Stato di Palestina/Israele diventerà una nazione, governata secondo il principio democratico "una persona, un voto", con diritti umani fondamentali garantiti a tutti. Si, certo, gli israeliani temono la vendetta per il mezzo secolo di rapina, assassinio e inganni. Ma quando tratti i musulmani con dignità e rispetto, essi rispondono allo stesso modo. Comunque, gli ebrei israeliani dovranno correre questo rischio. Non c'è altra soluzione. Israele si è costruito questo letto di spine e ci dovrà dormire dentro.


Attenzione alle mezze misure

Non ci possono essere mezze misure come ad esempio la "sostituzione dello Stato Ebraico d'Israele con una Palestina arabo-ebraica, democratica e secolare" come è stato proposto da qualcuno. "Arabi" ed "ebrei" non sono due nazioni. Gli "arabi" sono un gruppo linguistico-culturale di popoli diversi che include i palestinesi, i siriani, gli egiziani di tutte le religioni, gli "ebrei" sono una casta religiosa, "gente di una (sola) classe" secondo la definizione che Abram Leon ha dato di loro. Non c'è modo di evitare questo punto: gli israeliani dovrebbero essere de-giudeizzati, cioè, scollegati dal popolo ebraico all'esterno, in modo che possano fondersi con i nativi palestinesi.

Stiamo dicendo esattamente ciò che dice Marx in "La questione ebraica", che fu scritto prima della nascita del sionismo ma che è attuale quanto mai. Quando Marx afferma che "l'emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l'emancipazione dell'umanità dal giudaismo" si riferisce alla caricatura storica della tribù razzista, vendicativa, egoista degli ebrei della diaspora, una caricatura che attirava i pregiudizi come un parafulmine attira i fulmini, ed egli si rivolge agli ebrei invitandoli all'assimilazione nelle società in cui vivono e quindi al ripudio dell'identificarsi con quelle caratteristiche umane negative. Similmente, si deve rigettare il sionismo e «Eretz Israel», e non inchinarsi davanti ad essi. Jean Daniel nel suo libro "La prigione ebraica" sostiene che il sionismo è stato visto all'inizio come una "fuga dalla soffocante chiusura e dalle costrizioni del ghetto" che colpivano la vita ebraica, cioè come un'altra visione secolare della liberazione ebraica, contraria alla posizione di Marx. Ma il risultato "Israele" ha dimostrato di essere solo un altro sistema chiuso; questa volta non più limitato alla famiglia o shtetl, ma uno Stato. Il sionismo ha solo sostituito un inferno con un inferno ancora peggiore, diffondendo la sventura tutto intorno a sé. Come la formula di Marx rimane sempre valida, così anche la vecchia massima "puoi togliere l'ebreo dal ghetto ma non puoi togliere il ghetto dall'ebreo".
E allo stesso modo in cui il tradizionale sentimento anti-ebraico era fondato sulla riluttanza degli ebrei a fondersi nella società, così, oggi, la crescente opinione anti-ebraica è il risultato del fatto che la lobby ebraica mondiale sostiene attivamente i crimini israeliani in Medio Oriente e dichiara la propria lealtà prima di tutto e principalmente a Israele.


Lieto fine

Lo smantellamento del ghetto ebraico mondiale sarà uno sviluppo meraviglioso proprio per gli ebrei. La vasta maggioranza di essi saranno solo americani o solo britannici o solo francesi; una piccola comunità di innocui ebrei ortodossi rimarrà tra di noi come gli Amish o altre minuscole minoranze religiose. La Palestina sarà riunificata, i palestinesi nativi torneranno a occupare la loro naturale collocazione e quegli ebrei che decideranno di restare metteranno profonde radici nel suolo della loro terra d'adozione.

In termini biblici, gli ebrei devono affrontare una volta per tutte il loro preteso status di 'popolo eletto' – cioè devono sbarazzarsene. Questo d'altronde è il vero significato della parola 'eletto'. Nello spirito di Budda e Gesù, l'appagamento spirituale si ottiene attraverso un percorso di rinuncia piuttosto che attraverso il razzismo e la guerra. Ora che il "secolo ebraico" è dietro di noi, possiamo dire che gli ebrei sono stati 'scelti' dalla storia (Dio o qualsiasi altra cosa) per aprire la strada all'egemonia universale dello spirito sulla materia. L'intelligenza ebraica di tanti scienziati, capitalisti, filosofi, ecc, è giustamente riconosciuta. Tuttavia, le due soluzioni secolari messe in pratica nel secolo ebraico perché 'il popolo eletto ottenesse la liberazione' cioè "il comunismo utopico e il razzismo sionista" hanno dimostrato essere dei tragici fallimenti e per gli ebrei e per i gentili. In termini pratici oggi la soluzione richiede di abbandonare quei progetti avventati, rinunciando allo stato ebraico del "sangue e della carne" e di abbracciare la soluzione di un solo stato in Palestina. Non sono affatto sicuro che una trasformazione così radicale sia possibile. Se lo è, oltre all'assimilazione degli ebrei della diaspora nelle loro società, essa porterà a un nuovo nazionalismo in Palestina, presumibilmente con una sincera dose di universalismo, come il 'nazionalismo' canadese. Sfortunatamente, affinché ci sia cambiamento, ci vorrà, come per il Sud Africa, pressioni esterne e una critica senza sosta dell'apartheid che il sionismo implica, ma «poliziotto buono, poliziotto cattivo» dobbiamo aiutare sia gli israeliani, sia gli ebrei della diaspora a capire che, come in Sud Africa, sia il padrone che lo schiavo otterranno un beneficio dalla fine dell'ingiustizia. Lunga vita a una Palestina unificata!

*Simon Jones è un giornalista e traduttore nordamericano che vive in Uzbekistan. Ha scritto articoli sull'11 settembre, l'ex Unione Sovietica, il giudaismo, l'Uzbekistan e il movimento per la pace. I suoi articoli sono pubblicati su Couterpunch, Dissident Voice, Yellow Time e altri media alternativi in rete.





7. INVITO A PREGARE PER ISRAELE




Forse non molti sanno che proprio in Germania, cioè nella nazione in cui si è progettato lo sterminio degli ebrei, negli ultimi anni si stanno sviluppando fiorenti comunità di ebrei messianici, in maggior parte provenienti dai territori dell'ex Unione Sovietica. Dal direttore della missione Beit Sar Shalom, con sede in Berlino, abbiamo ricevuto questa lettera che volentieri traduciamo e diffondiamo.

Caro fratello,
come credenti messianici naturalmente siamo molto preoccupati per gli sviluppi in Medio Oriente. Per questo motivo noi di Beit Sar Shalom abbiamo deciso, d'accordo con alcune delle nostre comunità messianiche, di costruire un ponte di preghiera per la pace in Israele. Nelle prossime tre settimane, ogni giorno alle ore 21, vogliamo pregare in modo preciso per la pace.
Spero che anche lei non sia indifferente alla situazione in Israele e intorno a Israele. Per questo le vogliamo chiedere di unirsi a noi in preghiera. Jeshua (Gesù), il Messia d'Israele e Principe della pace, ha detto: "Se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli" (Matteo 18:19). Si unisca dunque a noi nelle prossime tre settimane, puntualmente alle ore 21, per pregare per la pace in Israele.
Shalom con amore da Berlino

Wladimir Pikman
Missionsleiter di Beit Sar Shalom

http://www.messianischerhd.de/html/beit_sar_shalom.html

P.S. Avrebbe la gentilezza di far conoscere ad altri questo quotidiano ponte di preghiera per ottenere un maggior numero di intercessori? Nel caso volesse porre domande o fare commenti sulla nostra iniziativa, ce lo faccia sapere. Molte grazie!

E' chiaro che la pace per cui si invita a pregare (e speriamo che molti accolgano questo invito) è quella di cui parla la Bibbia, e non ha niente a che vedere con la pace di cui parlano l'Onu, il Papa e nostro governo. M.C.





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