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Notizie su Israele 353 - 27 luglio 2006

1. Fuori luogo l'invito a cessare il fuoco
2. Soldatessa dell'esercito israeliano
3. Hezbollah e Hamas, Iran e Siria
4. La perdita del potere di deterrenza
5. Messianismo islamico anti-Israele
6. I socialisti che sostenevano Israele
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Ezechiele 28:25-26. Così parla DIO, il Signore: Quando avrò raccolto la casa d'Israele in mezzo ai popoli fra i quali essa è dispersa, io mi santificherò in loro davanti alle nazioni, ed essi abiteranno il loro paese, che io ho dato al mio servo Giacobbe; vi abiteranno al sicuro; costruiranno case e pianteranno vigne; abiteranno al sicuro, quando io avrò eseguito i miei giudizi su tutti quelli che li circondano e li disprezzano; e conosceranno che io sono il SIGNORE, il loro DIO.
1. FUORI LUOGO L'INVITO A CESSARE IL FUOCO




L'ascesa del terrore fondamentalista

di Franco Marta

Le incursioni nel territorio d'Israele, le uccisioni ed i rapimenti di soldati e civili, compiute dai terroristi di Hezbollah a nord e da quelli di Hamas ad occidente, hanno passato il segno ed hanno provocato la reazione dello Stato israeliano attaccato. Ancora una volta, Israele è chiamato a dover difendere, da solo, la propria integrità e la propria esistenza dall'attacco congiunto di un islamismo fondamentalista, che pervicacemente considera il suo essere nella regione come un gravame del quale al più presto disfarsi. L'attacco coordinato dei gruppi del terrore fondamentalista è organizzato e supportato dalla Siria e dall'Iran, in fase di avanzato armamento atomico e missilistico, che apertamente manovrano e finanziano i terroristi per perseguire i propri interessi egemonici di supremazia regionale. Questi Stati canaglia brigano, perciò, per spegnere qualsiasi esempio di Stato democratico, che possa costituire modello scomodo e minare le strutture dispotiche, che li reggono.
    Proprio da tali scaturigini dittatoriali e totalitarie nasce, si dipana e si ramifica la mala pianta del terrorismo fondamentalista islamico, che cerca d'avvolgere fra i propri grovigli, irti di pruni venefici, tutti gli spazi regionali che il fondamentalismo ha potuto raggiungere. Invasa nel proprio territorio, ferita dalle uccisioni e dai rapimenti dei propri figli e tormentata dagli incessanti lanci dei razzi, Israele è costretta a varcare i confini e ad entrare in quei territori dai quali volontariamente s'era precedentemente ritirata. Tsahal varca i confini del Libano e di Gaza per fermare i lanci dei razzi e per disarmare chi, invece di sfamare e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, ha usato ed usa ingenti finanze per costruire una complessa e sofisticata base per continuare a colpire Israele.
    Ormai "il dado è tratto", Tsahal è entrato nel sud del Libano e sta distruggendo i depositi di armi e le basi, che le milizie terroriste hanno organizzato nel territorio, non essendosi, queste ultime, fatte scrupolo di collocarle proprio nei centri abitati per farsi scudo dei civili. Le fasi dell'operazione che sta conducendo Israele sono a livello avanzato e non prevedono sosta, fintanto che Hezbollah, le sue postazioni e le sue armi di distruzione, non saranno messi in condizione di non nuocere.
    È, perciò, fuori luogo l'esortazione, volta verso Israele, per un cessate il fuoco, che al momento non può essere per alcuna ragione efficace e producente, ma che congelerebbe, piuttosto, la situazione attuale, senza alcuna garanzia di cessazione delle ostilità per il prossimo futuro. È prevedibile, invece, l'avvio di una massiccia operazione terrestre per bonificare un territorio, che per lunghi anni è stato disseminato di strutture sotterranee per depositi di armi e per basi di lancio degli ordigni missilistici forniti, tramite la Siria, dall'Iran dei mullah. Tsahal si sta predisponendo per combattere una guerra atipica e ricca d'insidie per penetrare negli anfratti e nei cunicoli, che le ingegnerie belliche iraniane hanno disseminato a iosa nel sud del Libano. Sono necessarie, quindi, ingenti forze di terra ed è opportuno l'impiego di specialisti di guerra asimmetrica e non convenzionale. È indispensabile l'impiego di forze capaci di affrontare il nemico, con un assetto logistico e strategico in grado di operare in un ambiente particolare ed irto di difficoltà, poste da un sistema bellico così particolare.
    È anche da mettere in conto, da parte di Tsahal, la realtà di dover andare incontro ad un duro confronto in un ambiente territoriale particolarmente difficile, che potrà comportare anche un numero rilevante di caduti. Le sorti del conflitto, che vede le forze d'Israele contrastare i gruppi del terrorismo organizzato dall'Iran e dalla Siria, saranno dure e decisive; il numero dei caduti comporterà un duro colpo per i cittadini israeliani nei confronti di una controparte che non ne tiene conto alcuno. Il governo libanese, se Tsahal riuscirà a sconfiggere definitivamente le forze del terrorismo islamico, potrà finalmente riacquistare la piena sovranità sulla totalità del proprio territorio, sottrattale dalle bande terroriste. La sconfitta dei gruppi del terrore potrebbe costituire un serio segnale d'avvertimento per l'Iran e la Siria, che manovrano ed armano Hezbollah ed Hamas e che guidano ed organizzano ogni fase del duro scontro con l'esercito d'Israele.
    Questo confronto in atto nel Libano del sud, se Tsahal riuscisse a prevalere contro i miliziani del terrore, potrebbe isolare ulteriormente il regime teocratico dei mullah e quello dispotico siriano che, in questo frangente, si giocano ogni credibilità e presunto prestigio. Una eventuale sconfitta delle forze terroriste di Hezbollah aprirebbe la strada ad una profonda crisi dei regimi degli Stati canaglia e provocherebbe, in questi, profonde crepe strutturali, che potrebbero condurli ad una fatale caduta irreversibile. È, perciò, ineventuale, irrealistico e fuori luogo in tale quadro qualsivoglia affrettato invito al cessare il fuoco che, non prevedendo la definitiva sconfitta delle forze del terrorismo, nulla risolverebbe e non potrebbe che garantire un avvenire di rinnovata violenza.

(Avanti!, 26 luglio 2006)





2. SOLDATESSA DELL'ESERCITO ISRAELIANO




Medico donna in prima linea sotto il fuoco dei miliziani

di Mara Vigevani

GERUSALEMME — La dottoressa Marina è la prima donna con la divisa dell'esercito israeliano ad essere entrata in territorio libanese. Il cognome è taciuto per motivi di sicurezza. Non abbandona mai i suoi compagni e li segue anche quando vanno a combattere in Libano. La sua vicinanza potrebbe salvare la vita di qualcuno, avere un dottore pronto sul campo è spesso fondamentale. Per la dottoressa Marina, 32 anni, arrivata in Israele 6 anni fa dalla Russia, non è la prima volta: nel suo paese di origine faceva parte dell'esercito e non poche volte aveva seguito i suoi soldati in battaglia. «Comunque preferisco non dire a mia madre dove mi trovo negli ultimi giorni, preferisco che non si preoccupi troppo» racconta. L'ultima battaglia a cui ha partecipato è stata quella di lunedì [24 luglio] a Bint Jbeil. «Sono entrata in Libano insieme ai soldati con un carroarmato-ambulanza (Tankambulance, in gergo) , sapevo già che c'erano dei feriti sul campo, ma non sapevo quanti. Intanto intorno a noi continuavano a cadere missili e katyusha. Ho avuto veramente paura - racconta - poco dopo che sono rientrata in Israele con i feriti mi hanno annunciato che un'altro carroarmato era stato colpito. In pochi minuti ho spiegato al gruppo di infermieri militari come comportarsi e poi siamo tornati al di là del confine. Nel carroarmato colpito c'erano cinque feriti sotto un pesantissimo fuoco, mi sono trovata in un vero campo di battaglia - ricorda - abbiamo fatto tutto molto in fretta , e siamo riusciti a salvare i soldati. È difficile per me curare ragazzi che ormai conosco da tempo». Appena arrivata In Israele la dottoressa Marina ha iniziato un corso per diventare ufficiale dell'esercito israeliano, e da allora cura i suoi soldati nei momenti piu difficili. Marina non è l'unica donna che in questa guerra si trova in prima linea. Questa è la prima guerra in cui le donne del'esercito israeliano partecipano ad ogni tipo di battaglia: aerea, navale, nei carroarmati. Negli ultimi anni infatti sempre più ragazze sono diventate combattenti, dimostrando che le donne possono svolger tutti i compiti fino ad ora riservati solo agli uomini. Ora l'abilità delle soldatesse è stata messa alla prova anche in una vera guerra e non solo in esercitazioni.

(Il Tempo, 26 luglio 2006)





3. HEZBOLLAH E HAMAS, IRAN E SIRIA




Il contesto della crisi israelo-libanese

di Federico Steinhaus

In questi giorni drammatici e densi di eventi non sempre di facile comprensione la stampa (i media elettronici non hanno molte possibilità di approfondimento) propone chiavi di lettura che variano a seconda, anche, degli schemi ideologici o partitici dei quali il giornale è portavoce. Non mancano poi individui (come Sergio Romano e Sandro Viola per non fare nomi) che interpretano gli avvenimenti con un loro paraocchi particolare, piegando talvolta fatti storici alle loro tesi costruite sulle simpatie ed antipatie personali. E' opportuno pertanto mettere un po' d'ordine nelle cose per non rischiare di confondere le cause con gli effetti. Proviamo, nelle righe che seguono, a dare conto di quanto pensano alcuni prestigiosi analisti di fama internazionale; non diamo per scontato che essi abbiano ragione, ma la loro visione è concorde e chiara.
    Sul piano della strategia geopolitica globale si va delineando una contrapposizione sempre più marcata fra la Russia di Putin e gli Stati Uniti, tale da ricreare forse il bipolarismo dell'epoca sovietica. Putin si erge a difensore delle pretese iraniane nell'aspirazione a divenire potenza nucleare e con ciò stesso della sua rete di alleanze e strategie regionali – inclusa la sua strettissima relazione politico-militare con Hezbollah. Di riflesso, ma non marginalmente, anche l'alleanza dell'Iran con la Siria e la loro congiunta protezione di Hamas rientrano nella sfera degli interessi primari della Russia. Il fatto che la Russia sia oramai il fornitore di energia di cui l'Europa intera non può più fare a meno colloca questa strategia su un livello di attenzione particolare, e potenzialmente contribuisce ad ampliare il ventaglio di divergenze fra l'Europa e gli Stati Uniti.
    A livello regionale assume pertanto una rilevanza speciale quanto costituisce lo sfondo politico del conflitto in corso fra Israele ed Hezbollah. Il 16 giugno (ne abbiamo data notizia in questa rubrica) Iran e Siria hanno sottoscritto un patto militare che, un mese dopo, rivela per intero la sua importanza ed il suo vero significato. L'Iran si è impegnato, con quel trattato, a difendere la Siria da attacchi israeliani, a fornirle armi acquistate in Russia Ucraina e Cina, ed a dotarla di artiglieria, munizioni, veicoli militari e missili. La Siria per parte sua ha accettato di consentire ai mezzi di trasporto militari iraniani di attraversare liberamente il suo territorio per arrivare in Libano.
    Lo scorso 12 luglio il segretario del Supremo Consiglio della Sicurezza Nazionale iraniano, Ali Larijani, si è incontrato con Javier Solana che premeva per avere una risposta all'ultimatum del Consiglio di Sicurezza relativo allo sviluppo della tecnologia nucleare, ed ha affermato che questa riposta arriverà solamente il 22 agosto. Nello stesso giorno Hezbollah ha assaltato su suolo israeliano un'unità militare: questa aggressione, che è costata la vita a 9 soldati ed ha consentito a Hezbollah di rapirne due, ha scatenato la reazione militare e politica di cui stiamo vedendo le conseguenze. Una pura coincidenza? Vi è chi afferma che in politica non esistono coincidenze casuali, in particolare fra eventi così fortemente significativi e legati fra loro. Un solo giorno dopo, il 13 luglio, il direttore del quotidiano Kayhan, Hossein Shariatmadari, sostenitore del leader iraniano Khamenei, ha scritto che "L'attacco di Hezbollah è l'inizio di un nuovo capitolo nella lotta contro Israele, che cambierà l'equilibrio regionale dei poteri a favore del mondo islamico…Altri attacchi porteranno presto all'annientamento di questo piccolo regime (sionista)". Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha poi confermato (IRNA, 18 luglio) che "il mondo è alla vigilia di grandi mutamenti, e la vittoria musulmana sugli aggressori è imminente". Il 23 luglio (IRNA) egli ha precisato che "attaccando il Libano il regime sionista ha provocato la propria estinzione".
    Di fatto i legami dell'Iran con Hezbollah non sono solamente religiosi ma anche strategici, e Hezbollah è il braccio armato delle mire di dominazione regionale che l'Iran non può gestire direttamente per non compromettere l'opzione nucleare. Per l'Iran, Hezbollah è "un caposaldo della propria sicurezza strategica", "la prima linea di difesa contro Israele e contro l'Occidente" (Al-Sharq Al-Awsat, 11 maggio 2006). Se dunque diamo come provato che questo conflitto apparentemente circoscritto al problema della sicurezza delle città di confine israeliane ha in sé i semi di un nuovo ordine politico-militare nel Medio Oriente, se non addirittura quelli di un confronto globale, riusciamo a capire meglio la "sproporzione" fra l'offesa subìta da Israele e la sua reazione. L'espansione di Al Qaeda in Africa (denunciata qualche settimana fa in questa rubrica) si lega alle ambizioni iraniane di diventare la potenza dominante nell'Islam ed esportare la propria rivoluzione integralista; queste a loro volta sono unite da vincoli solidi alla visione strategica della Siria ed a quella religiosa di Hezbollah e Hamas. Il nemico di tutti costoro è, simbolicamente, Israele, ma in seconda battuta lo sono gli Stati Uniti e l'Occidente tutto. Le ripetute minacce iraniane di estendere la guerra totale a tutti gli interessi economici e politici occidentali, americani, israeliani esistenti nel mondo intero ne sono la conferma.
    Nel recente vertice della Lega Araba abbiamo visto che paesi come il Sudan, l'Algeria, lo Yemen ed il Qatar sono orientati a sostenere l'Iran e la Siria; una rilevanza del tutto particolare assume in questo per ora breve elenco il Qatar, sede di Al Jazeera, la televisione che già ora porta la voce dell'Iran in tutto l'Islam. Ma questa frattura all'interno del mondo arabo potrebbe non durare più a lungo del conflitto fra Israele e Hezbollah, per trovare poi nuove linee di demarcazione comuni verso il mondo non arabo.
    E Hezbollah quanto conta in realtà? Le sue milizie sono state addestrate in Iran per anni, sono molto efficienti ed audaci, oltre che bene armate, e pertanto non sono confrontabili con le capacità di combattimento dei palestinesi basate sul "colpisci di sorpresa e fuggi". Questo spiega le difficoltà che incontrano i soldati israeliani sul campo e le rilevanti perdite che subiscono nei combattimenti. Ma la pericolosità di questa milizia fortemente ideologizzata, che dispone di mezzi economici e militari inesauribili e di notevole capacità tecnologica, è collocata anche su un diverso piano di percezione. Intendiamo alludere all'opera costante, massiccia e sofisticata di indottrinamento e di educazione all'odio che Hezbollah cura con attenzione maniacale ed alla quale dedica rilevanti risorse.
    L'emittente televisiva di Hezbollah, Al Manar, che alcuni mesi or sono era sul punto di ottenere dalla Francia il benestare a servirsi di ripetitori europei, trasmette regolarmente cartoni animati dedicati ai bambini in cui si esalta il destino dei "martiri" che danno la loro vita per Allah ("…il tuo sangue profuma la terra della tua patria, il tuo nome sarà scolpito sulle porte del paradiso, io giuro la mia fedeltà a te Al Aqsa, giuro la mia fedeltà a te, Gerusalemme…Il bambino ha esaudito il proprio desiderio ottenendo l'onore del martirio, chi muore per la sua patria non è considerato morto…"). Come molte altre emittenti del mondo arabo anche Al Manar ha trasmesso ripetutamente uno sceneggiato in cui si racconta la storia di ebrei che, guidati da un rabbino, sgozzano bambini cristiani per impastare con il loro sangue le azzime pasquali. Ugualmente, Al Manar trasmette messaggi che richiamandosi al Corano istigano all'uccisione di ebrei ; lo scorso 19 agosto 2005, ad esempio, il vicedirettore dell'Associazione Ecclesiastica Palestinese nel Libano, Muhammad Ali, ha affermato: "Il Profeta ha predetto: la Resurrezione non verrà fintanto che i musulmani non combattano contro gli ebrei ed uccidano gli ebrei, e la pietra e l'albero diranno "O musulmano, servo di Allah, ecco lì un ebreo…vi è un ebreo nascosto dietro di me, vieni ed uccidilo". Noi entreremo (in Israele) da conquistatori secondo la volontà di Allah…in quanto la Hadith afferma "I musulmani li uccideranno"…". Queste sono le trasmissioni che la Federazione Internazionale dei Giornalisti giudica professionalmente meritevoli di protezione.
    Come è già stato documentato in questa rubrica con citazioni testuali, il ministro degli Esteri Mahmud Al-Zahar e quello dell'Interno Saed Siam del governo palestinese di Hamas, ma anche il membro del Consiglio Legislativo Palestinese Fathi Hamad (Hamas) e Sheikh Halid Al-Batash (Jihad Islamica), tra marzo e maggio del 2006 hanno sostenuto in articoli ed interviste l'opportunità di ricorrere al rapimento sistematico di soldati israeliani allo scopo di proporre scambi con prigionieri detenuti nelle carceri israeliane. Si tratta di una tattica ideata e sperimentata da Hezbollah nel corso dei molti anni di predominio nel Libano meridionale, a danno di israeliani ma anche di americani. Il suo utilizzo contestuale nel nord e nel sud d'Israele costituisce una ulteriore prova logica della collusione fra Hamas e Hezbollah, e per riflesso fra Iran e Siria.

(Informazione Corretta, 25 luglio 2006)





4. LA PERDITA DEL POTERE DI DETERRENZA




L'inutile guerra di Israele

di Daniel Pipes

La responsabilità dei combattimenti in corso ricade interamente sui nemici di Israele, che utilizzano metodi disumani al servizio di barbari obiettivi. Per quanto io auguri alle forze armate israeliane ogni successo contro i terroristi a Gaza e in Libano, con la speranza che esse infliggano ad Hamas e Hezbollah una sonora sconfitta subendo il minor numero di perdite, le erronee decisioni israeliane degli ultimi 13 anni hanno condotto a un'inutile guerra .
    Per 45 anni, dal 1948 al 1993, la visione strategica, la brillantezza tattica, l'innovazione tecnologica e l'abilità logistica valsero a Israele una capacità di deterrenza. Una profonda comprensione della difficile situazione del paese, unitamente al denaro, alla forza di volontà, all'impegno permisero sistematicamente allo Stato ebraico di lustrare la sua fama di duro.
    La leadership israeliana si focalizzò sulle intenzioni e sullo stato d'animo del nemico, adottando delle linee politiche volte a svilire il suo morale, con l'obiettivo di provocare un senso di sconfitta e fargli capire che lo Stato ebraico esiste e non può essere distrutto. Pertanto, chiunque attaccò lo Stato di Israele pagò l'errore con la cattura dei terroristi, la morte dei soldati, lo stallo economico, e il crollo dei regimi.
    A partire dal 1993, questo record di successi permeò gli israeliani di un senso di eccessiva sicurezza di sé. Essi giunsero alla conclusione di avere vinto, ignorando l'inopportuno fatto che i palestinesi e gli altri nemici non avevano ancora rinunciato al loro obiettivo di eliminare lo Stato ebraico. La sensazione di stanchezza e la protervia, a lungo tenute a freno, tracimarono. Decidendo che ne avevano oramai abbastanza della guerra e che potevano porre fine al conflitto alle loro stesse condizioni, gli israeliani sperimentarono esotismi come "il processo di pace" e "disimpegno". Essi permisero ai loro nemici di creare una struttura pressoché governativa ("l'Autorità palestinese") e ammassare caterve di armamenti (circa 12.000 razzi Katyusha degli Hezbollah in Libano meridionale, secondo il quotidiano arabo Asharq al-Awsat). Gli israeliani barattarono spudoratamente i terroristi catturati con ostaggi.
    In questa accozzaglia di appeasement e ritiro, i nemici di Israele si sbarazzarono rapidamente delle loro paure, arrivando a considerare Israele una tigre di carta. Oppure, parafrasando quanto asserito mordacemente nel 2000 dal leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah: "Israele, che è in possesso sia del nucleare che della più forte aeronautica militare della regione, è più fragile di una ragnatela". Come scrissi nel 2000: "la loro primaria paura dello Stato ebraico è stata sostituita da uno sdegno che rasenta il disprezzo". Dal momento che gli israeliani ignorarono gli effetti che le loro azioni sortirono sui nemici, questi ultimi sembrarono confermare in modo perverso questo sdegno. Pertanto, i palestinesi e gli altri riscoprirono il loro primario entusiasmo ad eliminare Israele.
    Per riparare a questo danno di tredici anni occorre che Israele torni alla

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lenta, difficile, costosa, frustrante e noiosa linea politica della deterrenza. Il che significa rinunciare agli assurdi piani di compromesso, alle illusorie speranze di buona volontà, all'irresponsabilità nel rilasciare i terroristi, all'auto-indulgenza dettata dalla stanchezza e all'idiozia del ritiro unilaterale.
    Decenni di duro lavoro, prima del 1993, valsero a Israele il cauto rispetto da parte dei suoi nemici. Al contrario, mostrare episodicamente i muscoli non è di alcuna utilità. Se Israele dovesse riprendere a seguire la linea politica dell'appeasement e del ritiro, il combattimento in corso si rivelerebbe una baruffa estiva, una futile zampata. Ormai, i nemici di Israele sanno che devono accovacciarsi per qualche giorno o per qualche settimana affinché le cose tornino alla normalità; con l'ostruzionismo esercitato dalla sinistra israeliana presto il governo elargirà doni, barattando con i terroristi e procedere ancora una volta al ritiro territoriale.
    La deterrenza non può essere ripristinata nel giro di una settimana, attraverso un'incursione aerea, un blocco o l'avvio di ostilità. Essa richiede una ferma determinazione, manifestata per decenni. Affinché le operazioni in corso possano far sì che Israele ottenga qualcosa, oltre al palliativo emotivo, esse devono presagire un profondo cambiamento nell'orientamento. Esse devono indurre a un maggiore ripensamento nella politica estera israeliana, a scartare i paradigmi di Oslo e del disimpegno a favore di una politica della deterrenza che conduca alla vittoria.
    A partire dal 1993 lo schema seguito è stato sistematico: ogni disillusione ispira un'orgia di rimorsi e di ripensamenti, a cui fa seguito un silenzioso ritorno alla linea politica dell'appeasement e del ritiro. Temo che le operazioni di Gaza e del Libano non si focalizzino sull'obiettivo di distruggere il nemico, ma su quello di ottenere il rilascio di uno o due soldati – uno strano obiettivo di guerra, che probabilmente è senza precedenti nella storia della guerra – il che sta indicare che le cose ben presto torneranno al loro posto.
    In altre parole, il significato delle ostilità in corso non risiede nella distruzione del territorio libanese né nelle decisioni del Consiglio di Sicurezza quanto, invece, in ciò che la popolazione israeliana imparerà o non riuscirà ad apprendere.
 
(New York Sun, 18 luglio 2006 - dall'archivio di Daniel Pipes)





5. MESSIANISMO ISLAMICO ANTI-ISRAELE




Allah è con Hezbollah

di Ely Karmon*

Poco dopo gli attacchi dell'11 settembre contro gli Stati Uniti, il vice segretario di Stato americano Richard Armitage definì l'organizzazione Hezbollah "la squadra di serie A" del terrorismo e dichiarò che "se Hezbollah era la squadra di serie A, l'Iran era il suo proprietario e la Siria il suo allenatore". Al momento, quell'insolita osservazione di Armitage, giunta al culmine della reputazione di Al Qaeda quale peggiore organizzazione terroristica della storia, sembra essersi alla fine avverata: i tre vecchi alleati, cui si è aggiunto Hamas, novità relativamente recente di questo asse della destabilizzazione, minacciano di provocare una grave deflagrazione in Medioriente, una guerra che potrebbe finire con il coinvolgere la Siria e l'Iran.
    Nel corso dei suoi 25 anni di storia, Hezbollah ha dimostrato di essere un movimento ideologicamente forte, guidato da leader potenti, da una chiara visione dei propri obiettivi strategici, da una vasta esperienza in ambito terroristico e di guerriglia. La sua leadership, sotto la guida del carismatico Hassan Nasrallah, è convinta della validità e della virtù sia delle aspirazioni che dei metodi terroristici che l'organizzazione porta avanti. Quelle che sono state vissute quali vittorie della causa islamica e che sono avvenute durante questo ventennio e mezzo - vittorie alle quale Hezbollah ha partecipato in modo attivo - non hanno fatto che ribadire questa convinzione. In particolar modo, il ritiro di Israele dal Libano meridionale a maggio 2000 ha instillato nell'organizzazione la fiducia quasi messianica di poter ottenere la vittoria finale contro i propri nemici.
    Un anno fa scrissi che, qualora messo alle strette e sollecitato al disarmo, Hezbollah avrebbe messo in pratica una sua strategia e avrebbe provato a sabotare i negoziati tra Israele e la Palestina e il ritiro da Gaza, inscenando, sotto copertura palestinese, un massiccio attacco terroristico in Israele o per sostenere una mossa della Siria, o persino per prendere l'iniziativa di destabilizzare il Libano al suo interno attraverso il terrorismo. In quell'occasione, feci anche un'altra valutazione: mentre la crisi sulla nuclearizzazione dell'Iran ha raggiunto un momento critico, nel caso dovessero fallire i negoziati fra Stati Uniti, Europa e Iran, Hezbollah potrebbe essere usato per provocare una crisi della regione al confine settentrionale di Israele con il Libano.
     Di fatto, negli ultimi mesi la convergenza di una serie di fattori vitali da un punto di vista strategico e politico sta conducendo quella regione verso una crisi gravissima. La leadership di Hamas, insieme ai suoi tre alleati dell'asse, temevano che l'organizzazione terroristica palestinese sarebbe stata spogliata della sua vittoria alle elezioni politiche del gennaio 2006 o forse persino costretta a cambiare la dottrina ideologica di Hamas e a riconoscere Israele e gli accordi di Oslo, accettando il 'Documento dei prigionieri'. È significativo che l'operazione di guerriglia di Hamas nel territorio di Israele, con il rapimento del soldato israeliano (operativamente ben preparato secondo un ben noto disegno Hezbollah), sia avvenuta un giorno prima della firma di questo documento da parte del presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen, della leadership interna ad Hamas, e che a orchestrarla da Damasco sia stata la leadership esterna ad Hamas, precisamente il segretario generale Khaled Mashal, noto per essere il coordinatore diretto nonché il destinatario del sostegno finanziario che Teheran invia all'organizzazione.
    Nel frattempo, la questione nucleare in Iran ha raggiunto il suo apice dopo l'ultima, significativa proposta di compromesso del presidente George Bush all'Iran in seguito alla quale il regime iraniano è stato messo alle strette e sollecitato a dichiarare, una volta per tutte, in prossimità del meeting del G8 del 15 luglio, se intende accettare o meno lo stop al proprio progetto nucleare. Pertanto, non è certo una coincidenza che l'intervento di Hezbollah nel conflitto del 12 luglio sia avvenuto pochi giorni prima del meeting del G8, quando il suo alleato Hamas sembrava essere in una situazione militare piuttosto difficile dopo che le forze di terra israeliane erano riuscite a penetrare nella striscia di Gaza minacciando il controllo di Hamas sul governo dell'Autorità palestinese. Per Hezbollah era molto importante sostenere militarmente Hamas sulla questione dei prigionieri israeliani, questione nella quale Hamas vuole difendere i propri interessi sostenendo una strategia piuttosto aggressiva. Inoltre, dal punto di vista del movimento Hezbollah, come spesso dichiarato da Hassan Nasrallah e dal leader spirituale Sheikh Fadlallah, sulla questione palestinese l'organizzazione "si regge o va in pezzi". Una vittoria dei moderati nel campo palestinese e un accordo di pace con Israele distruggerebbe la speranza di Hezbollah di radicalizzare e islamizzare il Libano.
    Nella sua decisione di inscenare gli attacchi contro Israele, il movimento Hezbollah è stato incitato dalla sensazione che negli ultimi mesi la pressione dell'Occidente nei propri confronti fosse diminuita e, malgrado la risoluzione 1559, l'organizzazione non solo non ha effettuato il disarmo, ma si è persino rafforzata dopo il ritiro della Siria dal Libano e si è seduta per la prima volta nelle file del governo libanese dopo le elezioni politiche avvenute in Libano a maggio 2005. In questa situazione, la Siria gioca un ruolo di cardinale importanza. È stata la Siria - non l'Iran - la fonte di sostegno più importante dell'attività terroristica e di guerriglia di Hezbollah contro Israele proveniente dal nord. Senza l'aiuto della Siria, sotto forma di ombrello strategico totale, specifico coordinamento militare e politico, pressione su Beirut per far andare l'organizzazione a briglia sciolta e concederle totale libertà nel Libano meridionale, il movimento Hezbollah non sarebbe riuscito a raggiungere il suo attuale status. L'aiuto siriano, infatti, oltre a quello iraniano, sotto forma di armamenti pesanti ha effettivamente trasformato Hezbollah in partner strategico e braccio operativo dell'esercito siriano.
    Negli ultimi mesi, il presidente siriano Bashar al-Asad è sembrato anche più tranquillo di fronte alle pressioni esercitate dagli Stati Uniti e dall'Occidente nei confronti del suo regime. La commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite ha smorzato i toni aggressivi riservati in passato alla Siria per via della sua responsabilità nell'assassinio di Hariri. L'establishment americano, francese e israeliano si erano detti preoccupati che un cambio di regime in Siria potesse portare i Fratelli Musulmani al potere e i leader israeliani rivendicarono pubblicamente che avrebbero preferito un Bashar debole al potere. Questo spiega il sostegno che Bashar ha fornito a Khaled Mashal per condurre apertamente da Damasco la strategia di aggressione di Hamas. Ciò spiega anche il continuo sostegno all'avventurosa mossa di Hezbollah. Dal punto di vista siriano, gli attacchi militari di Hezbollah, l'impotenza del governo libanese e l'intervento israeliano nel cuore del territorio libanese, contribuirebbero a far avanzare la tesi siriana secondo la quale soltanto la Siria sarebbe in grado di garantire stabilità in Libano, attraverso un'occupazione del territorio.
    A metà giugno la Siria e l'Iran hanno firmato un accordo strategico militare secondo il quale, come riportato da un giornale arabo, "l'Iran ha accettato di finanziare gli accordi militari della Siria con la Russia, la Cina e l'Ucraina, di equipaggiare l'esercito siriano con cannoni, testate, veicoli, mezzi di trasporto militare e missili fabbricati nelle industrie della difesa iraniana, e di permettere alla Marina siriana di compiere le proprie esercitazioni". Il ministero della Difesa siriano ha dichiarato che i due Paesi hanno preso in esame vari e diversi "modi di rispondere" alle minacce degli Stati Uniti contro l'Iran e la Siria e hanno "stabilito un fronte comune contro le minacce di Israele... (poiché) l'Iran considera la sicurezza della Siria importante tanto quanto la propria". Il 14 luglio, il presidente iraniano Ahmadinejad ha dichiarato che qualunque attacco alla Siria sarebbe stato considerato come un attacco all'Iran, attacco cui l'Iran avrebbe risposto con estrema forza.
    In retrospettiva, il ritiro unilaterale di Israele dal Libano e da Gaza si è dimostrato essere un grave errore strategico perché non è stato compiuto secondo accordi con partner forti e moderati che potessero garantire la stabilità del processo di pace; inoltre, quel ritiro è stato vissuto dai membri dell'asse della destabilizzazione come una vera e propria sconfitta politica, militare e psicologica di Israele. Israele, per giunta, è stato per anni scoraggiato da Hezbollah, non ha sfidato la sua sovranità e i suoi continui attacchi in territorio israeliano, né tantomeno ha sfidato il significativo intervento di questa organizzazione e della Siria nell'attività terroristica palestinese. Gli attuali leader israeliani, il primo ministro Ehud Olmert e il ministro della Difesa Amir Peretz, sono probabilmente visti come delle 'navi senza timone' se paragonati ai premier precedenti dai ricchi background militari. Si può quindi affermare che l'escalation avvenuta al confine con Israele, fatta esplodere da agenti sostenuti dall'Iran - Hamas, Hezbollah e Siria - ha come scopo quello di far allentare la pressione sull'Iran, scatenando un grave scontro militare in Medio Oriente che finirà per distogliere l'attenzione internazionale dal programma nucleare iraniano. Al tempo stesso, ciò favorisce i maggiori interessi strategici degli altri tre attori. In particolar modo, l'intervento di Hezbollah nel conflitto in questo momento, intervento che l'Iran ha preparato strategicamente negli ultimi sei anni armando la mano dell'organizzazione di missili e di artiglieria a lunga gettata, ha lo scopo di inviare un segnale agli Stati Uniti, all'Occidente e a Israele di cosa accadrebbe qualora dovessero essere emanate sanzioni internazionali contro l'Iran o qualora gli impianti nucleari iraniani dovessero essere distrutti da attacchi americani o israeliani.
    L'attuale crisi, che secondo alcuni scenari potrebbe condurre a una guerra allargata che coinvolgerebbe la Siria, dovrebbe darci un'idea di come potrebbe apparire il Medio Oriente qualora l'Iran dovesse portare a termine un ombrello nucleare che coprirebbe il suo ruolo destabilizzante e 'rivoluzionario' all'interno del mondo musulmano.
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*Ely Karmon è ricercatore dell'Istituto di politica internazionale antiterrorismo di Herzliya, Tel Aviv.

(L'Espresso, 26 luglio 2006 - traduzione di Rosalba Fruscalzo)





6. I SOCIALISTI CHE SOSTENEVANO ISRAELE




L'amicizia tra Pietro e Golda

di Aldo Torchiaro

Più che un'amicizia, era un legame di ferro, quello che ha a lungo unito la famiglia socialista italiana con Israele. Un legame che, di questi tempi, vale la pena di ricostruire. Perché è un pezzo di storia del socialismo e della sinistra italiana ingiustamente dimenticato.
Erano gli anni Sessanta, quelli in cui Zimmerman, star emergente della canzone impegnata, conosceva il successo con il nome d'arte di Bob Dylan. Pochi sanno che una consistente parte dei suoi incassi era sempre destinata a Gerusalemme. «L'amore per Israele era una caratteristica istintiva ed innata degli esponenti della sinistra riformista» racconta lo storico Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni. «Israele rappresentava, incarnava la sinistra. Per noi era un cuneo di democrazia socialisteggiante nel mezzo del mondo arabo. Era naturale parteggiare per quel tentativo coraggioso, persino un po' utopistico, di realizzare un'oasi politica: una società di liberi e di eguali laddove prima c'era solo il deserto».
    Istintivo e naturale. Ma non scontato. Al punto che Leo Valiani prende l'iniziativa di mettere nero su bianco le ragioni della sua passione per quell'oasi di democrazia. Pubblica un articolo. Poi un secondo. Un terzo. Alla fine consegna alle stampe un libro che, nelle intenzioni, cementa l'alleanza tra le sensibilità riformiste italiane e laburiste israeliane, riunite intorno all'utopia del sionismo egualitario. Luigi Salvatorelli aveva già pubblicato una sua storia d'Israele, ricevendo il plauso, tra gli altri, di Giuseppe Saragat. E' in quegli anni che Pietro Nenni stringe con Golda Meir un rapporto destinato a rimanere nella storia dell'internazionale socialista. «Il Psi ed i suoi compagni israeliani lavorano allo stesso modo per gli stessi obiettivi», scriveva Nenni in un'affettuosa missiva alla «compagna Meir», prima donna a guidare lo Stato ebraico.
    Israele, alla sua fondazione, è intriso di quello spirito del sionismo socialista che gli scorre nelle vene sin dal Bund tedesco di fine Ottocento: lo Stato ebraico adotta i principi della libertà nell'uguaglianza, si prefigge lo scopo di fondare una democrazia basata sul lavoro e sull'emancipazione della donna in pieno Medio Oriente, anche attraverso la collettivizzazione della terra attraverso i kibbutz. I rapporti con buona parte della sinistra italiana, non solo socialista, sono idilliaci.
    La rivista Mondoperaio raduna intorno a Leonardo Coen le migliori intelligenze del riformismo sionista italiano. Il Mondo di Pannunzio rilancia l'appello di Valiani per la difesa dello Stato ebraico. Il Ponte, autorevole testata fiorentina fondata da Pietro Calamandrei, si lancia a testa bassa nella campagna contro l'oscurantismo del mondo arabo che vuol porre fine all'esperienza liberalsocialista israeliana. Ne scriverà egregiamente Tristano Codignola, innamorato del modello dei kibbutz visitati intorno a Tel Aviv. Il mensile L'Astrolabio, curato da un giovane Marco Pannella, ospita nel 1965 gli appassionati interventi di Ernesto Rossi e Ferruccio Parri che elogiavano il sionismo. Quando, nel 1967, scoppia la guerra del Kippur [sic! l'autore evidentemente voleva dire la guerra dei sei giorni, ndr], e Israele viene attaccato contemporaneamente su tre fronti diversi, in Italia ha luogo una mobilitazione spontanea in suo favore. I comunisti si schierano con Nasser soprattutto per motivi di ortodossia filosovietica, ma non mancano le crisi, i dubbi, i casi di coscienza. All'ombra del Psi prende le mosse qualche iniziativa concreta. Pietro Nenni s'attacca al telefono ed organizza gli aiuti, sotto forma di sostegno anche finanziario ai laburisti israeliani. Sandro Pertini, Giuliano Vassalli, Mario Zagari si muovono in solidarietà con lo Stato ebraico.
    A Livorno, Umberto Misul, attivista socialista, si offre volontario per l'esercito israeliano, e promuove una mobilitazione tra i suoi compagni di partito, e tra gli ex combattenti partigiani, disposti ad arruolarsi nella riserva dell'esercito israeliano. La Brigata Ebraica aveva combattuto per la liberazione in Italia? «Ricostituiamola da qui, dalla Toscana», avevano proposto nel partito di Nenni, «proprio per aiutare lo Stato ebraico». Già ufficiale dei bersaglieri durante la prima guerra mondiale, Misul aveva combattuto come comandante partigiano nella Brigata Garibaldi. Alla notizia del raid arabo su Gerusalemme non ci pensa due volte. Nenni informa Gerusalemme di quell'offerta generosa di uomini, oltreché di mezzi, per combattere l'invasione araba.
    Sull'altra sponda del Mediterraneo non hanno il tempo per dare il via libera all'operazione italiana: al sesto giorno di guerra, quando Misul e la sua brigata socialista avevano appena preparato lo zaino per partire, Israele annuncia di aver vinto sui tre fronti, attraverso bombardamenti mirati, nella notte. I socialisti italiani sono in festa. Golda Meir, che era stata ministro degli Esteri e punta di diamante dell'Internazionale socialista, diventa nel 1969 il quarto premier israeliano. Nenni scriverà qualche anno dopo in una pagina del suo diario da Gerusalemme: «13 maggio 1971. Giornata di visite a Gerusalemme. Incontrato Leo Valiani qui per un seminario. La gente con cui ho parlato è ottimista e con un gran desiderio di pace. I nostri compagni qui appartengono al gruppo dei pionieri: i Segre, i Levi, i Sereni occupano nello Stato e nella società posizioni importanti». Tra i Sereni, il segretario del Psi annoverava anche Nezer Sereni, cognata del dirigente del Pci Emilio Sereni che in Israele ha fondato un kibbutz dedicato alla memoria di Enzo, deportato in un campo di sterminio nel 1944. Nenni finisce per assumere l'incarico di ambasciatore-ombra di Gerusalemme nel mondo: il 17 ottobre 1971, ci rivela una lettera inedita rinvenuta presso l'archivio della Fondazione Nenni, Golda Meir gli conferisce un incarico delicato: quello di «rappresentare gli interessi di Gerusalemme presso i compagni cinesi».
    Per dirla tutta:, tra questi interessi c'erano anche le armi. La Cina in rotta di collisione con l'Unione Sovietica poteva rappresentare un alleato naturale per Israele, e se il Pci era fedele a Mosca, il Psi aveva l'elasticità per trattare anche sul tavolo di Pechino. Cosa che fece, puntualmente. «8 novembre 1971. Cara compagna Golda, ho fatto presente al Presidente cinese Ciu-en-Lai - scrive Nenni - i problemi di Israele. I cinesi non dovrebbero essere né ostili né indifferenti alle esperienze sociali di Israele che hanno come scopo l'uomo, nella pienezza della sua liberazione». Nenni purtroppo non ebbe ragione, i cinesi si dimostrarono indifferenti. Decisero di non prendere le parti degli arabi ma neanche quelle degli israeliani. Forse furono loro i primi "equivicini" della storia, quando da noi la sinistra riformista si fregiava, con orgoglio, della Stella di Davide.

(Il Riformista, 21 luglio 2006)





7. MUSICA E IMMAGINI




Ma Adir Shimcha




8. INDIRIZZI INTERNET




End Time Prophecies

Pictures of Aliyah to Israel




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