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Notizie su Israele 355 - 7 agosto 2006

1. Intervista al leader maronita Roger Bou Chahine
2. La propaganda del terrorismo internazionale
3. Quattro storie di soldati della guerra al terrorismo
4. Un popolo speciale
5. Mediatori poco credibili
6. A colloquio con Benjamin Netanjahu
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 29:22-23. Così dice il Signore alla casa di Giacobbe, il Signore che riscattò Abraamo: «Giacobbe non avrà più da vergognarsi e la sua faccia non impallidirà più. Poiché quando i suoi figli vedranno in mezzo a loro l’opera delle mie mani, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe, e temeranno grandemente il Dio d’Israele».
1. INTERVISTA AL LEADER MARONITA ROGER BOU CHAHINE




«Solo Israele sconfiggerà i fanatici. La colpa della guerra è di chi ha blandito Hezbollah»

di Dimitri Buffa

ROMA - «Sono anni che chiediamo all'Onu, al mondo e all'Europa di disarmare gli hezbollah altrimenti il Libano non sarà mai libero dai condizionamenti esterni di Teheran e Damasco, ma abbiamo visto trattare i leader sciiti in giro per il mondo come degli statisti e non come dei terroristi.. adesso è facile lamentarsi della guerra e dire che Israele sta esagerando, ma io posso assicurarvi che ci sono centinaia di migliaia di libanesi che si augurano che lo stato ebraico la vinca velocemente questa guerra e ci liberi da hezbollah, e questo con tutto che le bombe di Gerusalemme cadono in testa anche a loro, visto che non sono poi così intelligenti».
Roger Bou Chahine è il rappresentante diplomatico in Italia delle Forze libanesi, il movimento cristiano maronita del Libano che fa capo al leader Samir Geagea, di recente liberato dalle segrete dell'ultimo carcere di massima sicurezza in Beirut gestito direttamente da Damasco. In questa intervista esclusiva Chahine mette bene in chiaro soprattutto una cosa: «se non fosse stato per i terroristi palestinesi e i loro campi profughi a metà negli anni '70, così come in seguito per gli hezbollah negli anni '80 e anche oggi, il Libano non sarebbe stato mai un teatro di guerra con Israele e nemmeno uno stato ostile che non lo riconosce, visto che già dal 1954 esistevano trattati di pace, almeno venti anni prima di Camp David».

Il solito errore di credere in un'evoluzione politica di una milizia di guerriglieri e terroristi?
«Non ci sono dubbi. Oggi il mondo raccoglie quello che ha seminato. E questo vale anche per l'America: ha ritenuto di promuovere la democratizzazione dei Fratelli musulmani in Egitto e adesso c'è il rischio di uno stato teocratico e di una rivoluzione che rovesci Mubarak, non ha scoraggiato Hamas in Palestina e vediamo i risultati, e adesso c'è il cancro hezbollah».

E che pensi dell'intervista di ieri di Kofi Annan ad Al Jazeera in cui proprio Hezbollah viene definito un partito politico e non un movimento terrorista?
«Mi ha fatto la stessa impressione di quella che ebbi anni fa dopo avere constatato l'incredibile approccio allo stesso problema da parte della segreteria di stato vaticana».

Cioè?
«Sei anni fa quando il Papa Woytila andò in Libano, mi ricordo il messaggio del cardinal Silvestrini che parlò di loro a tutto il mondo tramite la radio vaticana come se fossero dei frati francescani del sud del Libano».

Molti però condannano questa guerra di Israele e imputano allo stato ebraico troppe vittime civili.
«Il mio pensiero in materia è questo: non sono d'accordo con progetti improvvisati e condotti con l'istinto senza un vero progetto politico per il dopoguerra che verrà. Sinora questa cosa potrebbe rafforzare politicamente proprio Nasrallah, che ha solo 3 mila miliziani armati, ma dietro di loro almeno 400 mila fanatizzati all'odio pronti a usare le proprie case come deposito di missili».

Ma allora che bisogna fare? Tu stesso dici che tentare di recuperarli alla vita civile fu un errore. Combatterli direttamente, sempre tu, dici che è contro producente. E allora che facciamo? Ce li teniamo così come sono?
«No per niente e sebbene la popolazione libanese oggi sia tutt'altro che amica con Israele per logici motivi, io posso assicurati che ci sono centinaia di migliaia di persone nel Nord e nel Sud del Libano che si augurano essenzialmente due cose. La prima è che la guerra finisca presto, ma la seconda è che hezbollah venga annientata da Israele, perché la paura è che se non ci riescono loro, non sarà certo Chirac o Kofi Annan, ma nemmeno Prodi o D'Alema, a disarmarli».

Insomma ci sono dei libanesi che hanno idee che non condividono per citare il vignettista Altan?
«Sì, esiste questa contraddizione».

Come si può uscire fuori da questo stallo?
«La soluzione l'ha già indicata Olmert e Israele sembra propenso ad accettarla: la sostituzione dell'esercito israeliano nella zona sud del Libano con un esercito internazionale pronto a combattere con hezbollah fino alla consegna delle armi».

Non una missione di pace allora?
«Gli hezbollah non si combattono con il pacifismo ma con la forza. Solo che il popolo libanese vede male quella esercitata da uno stato che lo invade ma ne accetterebbe a braccia aperte una internazionale che lo liberi da questo cancro».

Finirà mai l'odio arabo-islamico contro Israele?
«Chiaramente questa guerra lo ha rinfocolato per qualche altra generazione, ma il Libano nello specifico è stato l'unico paese del medio oriente ad avere accettato la convivenza con Gerusalemme sin dal 1954, dopo avere partecipato alla guerra del 1948. Poi noi ce ne saremmo stati tutti in pace a farci i fatti nostri se non ci fosse stata l'invasione dei profughi e dei terroristi di Arafat nel sud del Libano a partire dalla prima metà anni degli anni '70 dopo la loro cacciata dalla Giordania in seguito ai fatti del famoso settembre nero del 1970. Da quel momento ci hanno costretto prima loro, e poi gli hezbollah, a subire le conseguenze di una guerra contro quello che loro consideravano il loro nemico, Israele, ma che non era il nostro. Siccome però loro stavano sul nostro territorio noi ci prendevamo le bombe degli uni e degli altri. Questo il mondo deve capire se veramente ama il Libano».

E i paesi arabi moderati?
«Dimostrino di esserlo veramente anche a livello ufficiale e non continuino con questa diplomazia sottobanco con Gerusalemme, per cui i leader parlano con accenti anti semiti quando si trovano in Arabia Saudita, Giordania o Egitto e con toni occidentali quando stanno all'Onu o nelle riunioni come quella di Roma. L'esempio che le masse recepiscono è quello ufficiale e non ipocrita dei loro rais. I popoli arabi sono stanchi di un medio oriente in guerra solo perché l'ideologia islamista e il terrorismo islamico vogliono cancellare Israele dalla carta geografica... e magari sognano l'islamizzazione anche dei cosiddetti paesi crociati... D'altronde noi delle forze libanesi come è noto siamo cristiano maroniti, e ci prendiamo anche noi le bombe di Israele pur non approvando neanche un millimetro di quelle nefande ideologie di fanatismo religioso».

(La Padania Online, 5 agosto 2006)





2. LA PROPAGANDA DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE




Israele vincerà

di Carmine Monaco

Le linee guida della enorme campagna orchestrata da Iran, Siria, Hamas e Hezbollah prima, durante e dopo l'attacco degli Hezbollah che ha scatenato l'attuale conflitto israelo-libanese, sono semplici ed evidenti, tanto sono condotte con arrogante spavalderia alla luce del sole:
 
1. Isolare Israele
Con atti di guerra considerati tali dalle leggi internazionali, attirare Israele in un conflitto totalmente non convenzionale, fatto soprattutto di propaganda mediatica, mirato a demonizzare Israele facendo apparire come un criminale di guerra proprio chi, unico in tutta la storia umana, avverte i civili della parte "nemica" di abbandonare le zone rese obiettivo militare dalle azioni dei nemici Hezbollah (e tutto ciò mentre dall'altra parte gli Hezbollah si fanno scudo dei civili libanesi, gli impediscono di abbandonare i siti pericolosi e sparano esclusivamente su obiettivi civili in Israele);
 
2. Esaltare Hezbollah
Minimizzare la reale portata delle forze dell'esercito Hezbollah, facendo apparire come una piccola organizzazione di "resistenza" quello che è in effetti uno dei più potenti e meglio addestrati eserciti dell'intera area africana e asiatica, rifornito di armi pesanti e sovvenzionato con centinaia di milioni di dollari da Siria e Iran (e qualcun altro meno sospettabile). Hezbollah presenta estensioni e ramificazioni in tutto il mondo, ha ammassato enormi quantitativi di armi e uomini al confine con Israele nei 6 anni trascorsi dal ritiro israeliano dal Libano, e tutto ciò sotto gli occhi degli "osservatori col binocolo" delle Nazioni Unite, in barba alle stesse Risoluzioni dell'ONU. Pertanto Hezbollah, partito militare al governo e in Parlamento in Libano, è definito dai centri studi antiterrorismo ben più pericoloso e temibile di Al Qaeda;
 
3. Trattenere gli USA 
Accusare gli USA di essere i fiancheggiatori e i sostenitori di tali presunti "crimini" e nel frattempo creare fronti di tensione al confine con gli USA, stringendo rapporti sempre più stretti con le varie dittature e "democrazie" dell'America Latina, il cui ultimo congresso ha tributato amicizia e sostegno all'Iran e alla Siria contro l'«Impero» (addirittura il dittatore Chavez si è recato personalmente in Iran a garantire sostegno concreto in caso di conflitto con gli USA: evidentemente la coca fa molto male al cervello, ma sta di fatto che ha portato gli effettivi dell'esercito venezuelano ad una cifra mai raggiunta prima e continua a ricevere armi sempre più potenti dall'ex Urss);
 
4. Umiliare Israele
Demoralizzare gli israeliani presentando come una sconfitta di fatto il perdurare della campagna anti-Hezbollah (fin dal principio invece il premier Olmert aveva avvertito Israele e il mondo che la guerra sarebbe stata molto lunga).
 
A questa campagna militare e mediatica si prestano numerosi benestanti - fin troppo - giornalisti, intellettuali e politici in tutto il mondo, che umiliano la verità, distorcono i fatti, fanno interviste in ginocchio a criminali assassini presentandoli come degli eroici combattenti e nascondono la realtà delle cose a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo.
 
Non è a questi che consiglio la visione di questo breve filmato: lasciamo che i costruttori di false verità finiscano col credere alle loro stesse bugie. Non c'è modo migliore di perdere una guerra che credere alla propria propaganda. Hitler e Mussolini persero così le loro guerre; l'Unione Sovietica fece altrettanto. Siria e Iran seguiranno lo stesso destino.
 
Agli altri, a quei forse pochi, forse tanti, sinceri democratici, amanti della libertà e della ragione, auguro una buona visione. Che queste immagini di "propaganda sionista", sfacciate e commoventi, hollywoodiane, intrecciate di sogno e tragedia, ci siano di conforto. Israele vincerà. Anche questa volta. A tutti gli israeliani e ai loro amici in tutto il mondo va il mio augurio di raggiungere al più presto il bene più prezioso e più difficile da conquistare e difendere: la Pace: Shalom, fratelli miei. Shalom.
 
http://www.gamla.org.il/english/news/brothers.htm

(Ricevuto dall'autore, 5 agosto 2006)





3. QUATTRO STORIE DI SOLDATI DELLA GUERRA AL TERRORISMO




Una banda di fratelli, storie di ragazzi italiani che combattono per Israele

di Angelo Pezzana

Ci sono dei giovani italiani che hanno indossato la divisa militare e sono partiti per la guerra. Non verso l'Afganisthan o l'Iraq, nessuna missione di pace, qui si tratta di guerra vera, di imbracciare un fucile, sparare e, se si deve, anche uccidere per difendere il proprio paese. Contro di loro non possono intervenire nè imprecare i verdi-rossi-pacifisti di casa nostra. Questi giovani sono sì italiani, ma oggi sono anche figli d'Israele, il paese nel quale hanno scelto di costruire la loro vita futura e per il quale sono pronti ad affrontare ogni sacrificio. Se fossero rimasti in Italia, una società dove la realtà del fondamentalismo islamico è ancora largamente ignorata, sarebbero in vacanza come tutti. Ma in Israele, sotto attacco dei missili di Hezbollah, la milizia armata e finanziata da Siria e Iran, non è tempo di vacanza.
    Michel Nizza, 18 anni e mezzo, ha fatto il liceo a Milano e due anni fa è emigrato in terra d'Israele, ha fatto l'alià, la salita, come si dice in ebraico per chi diventa israeliano. Ha preso qui la maturità e poi si è arruolato, prima di fare l'università, che si frequenta solo dopo la Zavà, il servizio militare che dura quasi tre anni. Michel si è arruolato a fine 2005. Non volevo essere un combattente, ci dice, pensavo ad un compito dietro le linee, mi sarebbe piaciuto entrare in qualche servizio segreto, ma la mia valutazione psicologica mi ha definito combattente, adesso sono in Charuv, una unità di fanteria di preparazione. Se fossi rimasto a Milano mi sarei iscritto a ingegneria, agli inizi mi chiedevo ma che ci faccio qui, lontano dai miei amici, ma dopo l'attacco di Hezbollah so che sto facendo quello che devo fare. Sento un po' la mancanza della mia famiglia che vive a Gerusalemme, ma sto imparando che questa esperienza di soldato non solo non mi toglie nulla ma mi ha insegnato i valori che stanno guidando la mia vita. Adesso sono ancora per qualche giorno al confine con la Giordania, poi andrò a Nablus, una delle zone più calde del terrorismo palestinese.
    Jeremy Vitale è invece in Miluim, un riservista che ha ricevuto la Tzav 8, la chiamata d'urgenza. Essendo un riservista – ogni israeliano fino ai 50 anni di età rientra per un mese ogni anno a fare il militare – quest'anno vive un'esperienza diversa dalle altre. Ha già trent'anni, anche lui di origine milanese, è venuto in Israele nel 93, lavora nei servizi informatici e tre anni fa si è sposato con Malka, una ragazza anche lei di origine italiana. Nel '97, quando le forze di difesa israeliane erano ancora nel sud del Libano, Jeremy era arruolato in una forza di salvataggio. Ricorda ancora con emozione quando dopo uno scontro a fuoco con Hezbollah era corso a recuperare i compagni feriti. Mi ritrovai in mano un fucile coperto di sangue, ci dice, senza sapere se chi l'aveva usato era ancora in vita. Solo più tardi seppi che se l'era cavata. In quel momento ho avuto paura. Ma portare questa divisa mi ha aiutato ad affrontare i problemi seri della vita, la responsabilità verso il prossimo, il rapporto di amicizia con il tuo compagno di battaglione, vivi con altri ragazzi israeliani e ho imparato a sentirmi uguale a loro. Se succederà qualcosa con la Siria, andremo al confine. Mi sento orgoglioso perchè difendo il mio paese.
    Anche Alon Nissim, 29 anni, è un richiamato Miluim come Jeremy. E' arrivato dieci anni fa da Roma, studia biologia all'università e abita a Gerusalemme. Entrare nell'esercito, ci dice, mi ha fatto sentire maturo, era il momento che aspettavo da tanti anni, volevo difendere la mia patria. Quando sono arrivato pensavo che non ci sarebbero più state guerre, ma oggi è indispensabile sconfiggere il terrorismo di Hezbollah nel sud del Libano, nel 2000 siamo venuti via, ed era cosa giusta da fare, ma loro capiscono solo la forza e non la giustizia, e hanno giudicato la nostra uscita come un gesto di debolezza. Adesso non deve più succedere. Certo, è una guerra, e questo fa paura, ma in fondo Israele una vera pace non l'ha mai vissuta, per noi è una questione di sopravvivenza. Mi emoziona l'affetto della gente, ci fermano per strada, ci regalano dei dolci, ci fanno capire che sono vicini al nostro cuore.
    Ruben Cesana ha invece "solo" 21 anni, romano, è religioso, prima dell' esercito ha frequentato un anno di Yeshivà, l'accademia talmudica. Tra quattro mesi, ci dice, sarò ufficiale, poi la mia ferma sarà di cinque anni perchè voglio diventare comandante. Ho iniziato il corso al confine col Libano nel battaglione paracadutisti n°202, quello della battaglia di Rajar nell'ottobre scorso, dove, prima di rapire i nostri compagni, quattro Hezbollah sono morti. Oggi sono sergente e ho la responsabilità di quattordici soldati, questo mi rende orgoglioso e vorrei dire anche felice. So che i miei amici in Italia fanno una vita migliore della mia, ma questa è la mia scelta. Avevo ricevuto una borsa di studio da una università americana ma ho deciso che non potevo lasciare il mio paese. Non sono un guerrafondaio, tutt'altro, ma avevo degli amici fra i caduti di questi giorni e la sofferenza è molto forte. In Italia non vi rendete conto di quello che succederà, questa è una guerra contro il terrorismo internazionale e Israele è l'avamposto dell'Occidente. Quando torno in Italia provo un po' di nostalgia, amo l'Italia, ho seguito i campionati mondiali e sul balcone di casa ho messo la bandiera tricolore. Ma questa è una guerra per difendere le nostre città, Israele è un popolo unito, oggi destra o sinistra hanno poco significato.
    Michel, Jeremy, Alon, Ruben, sono le ultime generazioni degli israeliani di orgine italiana, sin dalle prime emigrazioni degli anni '20. Vogliono la pace, combattono per conquistarla.

(Libero, 6 agosto 2006 - da Informazione Corretta)





4. UN POPOLO SPECIALE




Il bene ci attende alla fine del percoso

In questi giorni c'e' una grande confusione in Israele. Da un lato il Paese si trova in una situazione difficile come non succedeva dalla guerra d'Indipendenza. Meta' del Paese e' colpita giornalmente dai missili come non succedeva da 50 anni.
    D'altra parte il Popolo compatto fa pressione sul governo e su ZAHA"L 

prosegue ->
perche' combattano contro i terroristi sino a metterli fuori combattimento. Le persone soffrono ma sono piene di coraggio perche' sanno che si sta combattendo per la nostra sopravvivenza contro coloro che ricercano la nostra distruzione.
  Moltissimi sono in stato confusionale per cio' che sta avvenendo in questi ultimi tempi. Per anni si erano auto-convinti che il conflitto con gli arabi fosse dovuto all'«occupazione». Pensavano che nel momento che l'«occupazione» fosse finita ci avrebbero voluto bene e avremmo potuto vivere in pace e serenita'. Ed ecco che proprio dai due luoghi in cui ci siamo ritirati sino all'ultimo centimetro, Libano e Striscia di Gaza, e dove nessuno puo' piu' parlare di «occupazione», proprio da questi posti e' scoppiato un odio cieco e violento nei nostri confronti che sta cercando di colpirci il piu' duramente possibile.
  Siamo di nuovo di fronte alla condanna quasi unanime del mondo. Che cosa non abbiamo fatto perche' ci accettassero ed amassero! Siamo stati i «bambini migliori», siamo usciti dal Libano senza accordo, soltanto perche' non protestassero che stavamo in un posto non nostro. Abbiamo distrutto decine di paesi fiorenti ed abbandonato campi che avevamo strappato con fatica e sacrifici al deserto ritirandoci sulle linee armistiziali del '48 abbandonando completamente la Striscia di Gaza perche' il mondo vedesse quanto facciamo per la pace. Ed ecco che adesso, nonostante che i nemici abbiano ucciso e rapito dei nostri soldati e siamo sotto il tiro dei loro missili, c'incolpano e ci rappresentano come il «ragazzaccio» che disturba la quiete del Medio Oriente.
  Ma proprio da questa triste situazione appare l'eterna verita' ebraica: siamo un «Popolo che vive appartato» che non e' «come tutti i popoli». L'odio nei nostri confronti non ha niente a che fare col nostro comportamento ma e' dovuto ad altri fattori, profondi e non del tutto comprensibili. Cosi' e' stato l'antisemitismo che ci ha accompagnato nel lungo esilio. Ci odiarono perche' eravamo poveri, ci perseguitarono perche' eravamo ricchi, ci incolparono di essere pigri e parassiti ed allo stesso tempo di occupare tutte le fonti di guadagno.
  Le tre settimane tra il 17 di tammuz ed il 9 di av ci ricordano tutte le sofferenze patite ma portano dentro di loro la speranza della Redenzione: la Fede che alla fine del percorso ci attenda il massimo dei beni. Stiamo percorrendo un sentiero pieno di sali-scendi ma che ci sta conducendo alla Redenzione finale.
  Proprio la complessita' dell'esistenza ebraica e l'impossibilita' di racchiuderla dentro le regole naturali sta a dimostrare che siamo un Popolo speciale. Che la venuta del Messia e la costruzione del III Santuario possano attuarsi presto ai nostri giorni.
 
(SICAT HASHAVUAH, Hatov hanisgav mantin besof haderec, p. 1, 28 luglio 2006; liberamente tratto e tradotto dall'ebraico da Eleazar Ben Yair).





5. MEDIATORI POCO CREDIBILI




Una domanda: perché Francia, Spagna e Italia stanno con Hezbollah?

di Giuliano Ferrara

Questo non è un corsivo o un editoriale, questa che leggete è una domanda: perché le classi dirigenti di Francia, Spagna e Italia stanno dalla parte di Hezbollah e contro Israele? Direte che la domanda è mal posta, che non è vero l'assunto.

Formalmente, infatti, Chirac, Zapatero e D'Alema non sono pro-Hezbollah e anti-Israele. Vogliono piuttosto mettere fine alla violenza scatenata dall'attacco del "partito di Dio" con l'incursione e i rapimenti del 12 luglio, seguiti dalla guerra contro Nasrallah in Libano.
Lavorano per una soluzione pacifica, a partire da un "immediato" cessate il fuoco, e dichiarano di farlo anche nell'interesse di Israele, che la comunità internazionale, così dicono, conosce a volte meglio degli israeliani stessi.

Valgono, e non possono non essere apprezzati, motivi umanitari, perché il costo della guerra per il Libano è molto alto.
Per una certa Europa composta di forze diverse, socialisti e gollisti, contano poi motivazioni politiche se vogliamo meno formali.
È vero che alla guida di Israele non c'è più il generale di Sabra e Shatila, Ariel Sharon, a capo del partito di destra, il Likud, bensì un avvocato, Ehud Olmert, che è lo stratega del ritiro unilaterale da Gaza e dalla Cisgiordania, che è a capo di un partito di centro alleato con la sinistra di Peres e Peretz, un premio Nobel per la pace autore del negoziato di Oslo e un sindacalista di sinistra oggi titolare del ministero della Difesa.

Ma la logica di Israele, cioè la salvaguardia della sua deterrenza contro la sfida aperta dei mullah iraniani, contro il revival sciita che si estende alla Palestina conquistata da Hamas e all'Iraq insidiato da Moqtada al Sadr e dalle sue squadre della morte di ispirazione iraniana, non è la stessa logica dei governi di Parigi, Madrid e Roma.

Loro chiedono all'Iran di rinunciare all'atomica, votando all'Onu compatti con
l'occidente e con Russia e Cina, dopo il fallimento di anni di trattative affidate alla troika europea, ma vogliono parlare con l'Iran, continuare a negoziare con la Repubblica islamica, pensano che l'unica vera deterrenza contro il radicalismo islamista è il dialogo, l'offrire ad Ahmadinejad una quota azionaria nel business della stabilità mediorientale e mondiale, farlo emergere come una potenza regionale e riconoscergli quello stesso status politico, al di là della retorica antisionista, che in fondo si riconosce agli Hezbollah, che rappresentano un terzo dei libanesi e siedono in Parlamento e nel governo, e ad Hamas, che ha vinto le elezioni in Palestina e può essere addomesticato, così dicono.

Non è forse vero che a Bonn, dopo la caduta dei Talebani invisi all'Iran sciita, i mullah di Teheran hanno partecipato al riassetto dell'Afghanistan che, tutto sommato, regge? In più, questi governi europei pensano che la linea di Bush e di Blair e di Israele dopo l'11 settembre è fallita, che la guerra in Iraq ha rafforzato Teheran e gli estremisti di ogni latitudine, che occorre contrastare l'unilateralismo americano accettato dagli inglesi (con riserva) per il bene della pace e della stabilità in medio oriente e nel mondo.

Come afferma l'emergente studioso americano di origine iraniana Vali Nasr sul Wall Street Journal di ieri, Bernard Lewis aveva torto quando convinse Cheney e Bush che la caduta di Saddam sarebbe stata l'inizio della fine per gli ayatollah di Qom.

I neoconservatori hanno commesso errori fatali, pensano a Parigi, a Madrid e a Roma. Infine, questi paesi vogliono difendere la pace interna dai rischi legati all'immigrazione e agli insediamenti islamici in Europa, e proteggere interessi economici importanti nelle relazioni commerciali con l'Iran, un paese ricco di petrolio che strizza l'occhio all'imprenditoria europea.
Si chiama strategia dell'appeasement o del containment, due termini inglesi per definire una politica, legittima, che va giudicata senza scandalo moralistico. Eppure la domanda iniziale resta ferma.

Se gli appeasers avessero mostrato una qualche energia nel contrastare il riarmo di Hezbollah decretato alle Nazioni Unite, nel denunciare le responsabilità siriane e iraniane (e libanesi, per grave e comoda omissione) in questa guerra per procura, se avessero contestato il diritto di Hamas a crescere come partito armato e terrorista finanziato dall'Unione europea, se avessero creato una loro rete di dura deterrenza diplomatica con Russia e Cina per intimidire e contenere i teocrati di Teheran, se avessero capito che il fronte iracheno è un fronte comune quali che siano i dissensi anche gravi sulla guerra, ora gli appeasers avrebbero l'autorità per una mediazione efficace, forse.

Invece finora hanno sempre e sistematicamente parlato e agito contro gli omicidi mirati di Israele, i muri difensivi di Israele, i ritiri unilaterali di Israele, le politiche militari di smantellamento delle reti terroristiche da parte di Tsahal, hanno sempre e sistematicamente condannato come atti contro l'umanità le azioni difensive di Israele, definite stragi qualunque governo le abbia ordinate, mentre gli stragisti islamisti e i loro mandanti statali sono stati sistematicamente compresi, dopo formali condanne,
e qualificati come possibili partner di un'iniziativa di pace.

Chirac sgridò il suo primo ministro, cacciato a pedate da Ramallah, perché aveva osato parlare contro i bombardamenti Hezbollah nel nord di Israele.
Un partito di governo di Roma (il Pdci) si considera partner politico di Nasrallah, e il suo capo ha partecipato ai convegni di quel partito armato.

Gli appeasers hanno celebrato Arafat fino e oltre la sua fine, hanno condannato e boicottato senza indicare alternative la guerra a Saddam, hanno diffamato Israele imputandole massacri inesistenti come a Jenin, hanno esaltato una presunta coscienza umanitaria e pacifista universale che nega i fatti sgraditi e li copre con una retorica dei diritti fatta apposta per blandire i cosiddetti oppressi e dannare i cosiddetti oppressori, e ancora oggi la loro strategia fa perno su un armistizio immediato che viene chiesto all'unisono dai loro governi, da Hezbollah e da Teheran dopo che questi governi hanno incontrato i nemici di Israele e dell'occidente e li hanno lodati come forza eminente di stabilità e di pace nella regione mediorientale.

La domanda, scremata di ogni moralismo e posta dopo aver analizzato senza malizia la legittima strategia dell'appeasement, dunque resta purtroppo salda, saldissima.
Perché le classi dirigenti di Francia, Spagna e Italia stanno dalla parte di Hezbollah, e contro Israele?

(Il Foglio, 5 agosto 2006)





6. A COLLOQUIO CON BENJAMIN NETANJAHU




Ritiro significa «Hamastan»

L'ex Primo Ministro e Ministro delle Finanze israeliano Benjamin Netanjahu, oggi capo dell'opposizione, parla della situazione attuale con "israel heute", mensile evangelico in lingua tedesca stampato a Gerusalemme.

di Nicole Jansezian

israel heute: Recentemente Israele ha celebrato il 30° anniversario della missione di liberazione di Entebbe in cui perse la vita suo fratello Jonathan. Quale lezione possiamo trarre oggi da questa operazione, in riferimento alla situazione attuale di Israele.
    Netanjahu: «Entebbe è stato un duro colpo contro il terrorismo internazionale. Ci ha fatto vedere come una società libera, anche se minacciata da un barbarico male, è sempre in grado di contrastare il male se soltanto ne trova il coraggio. Entebbe ha significato un punto di svolta nella lotta contro il terrorismo internazionale.»

israel heute: Signor Netanjahu, lei era contrario a un ritiro dalla Striscia di Gaza. Si sarebbe aspettato che le truppe israeliane sarebbero tornate lì così presto?
    Netanjahu: «Sì, era prevedibile. Io non ero contrario ad un ritiro da Gaza dopo un accordo, ma ero dell'opinione che un ritiro unilaterale avrebbe rafforzato Hamas - cosa che poi è avvenuta. Il ritiro ha soltanto portato i razzi più vicini alle città del sud, nel Negev occidentale. Adesso dobbiamo rimediare a questo sbaglio, e questo ci sta costando un prezzo alto. Dobbiamo riequilibrare la nostra politica di deterrenza. Hamas crede di poter lanciare centinaia di razzi sulle nostre città e villaggi, e pensa che noi accettiamo la cosa tacitamente. All'attacco dei razzi è seguita un'altra beffa: l'assassinio di un giovane di diciotto anni e il rapimento di un nostro soldato. Questo è avvenuto senza provocazione da parte nostra. In fondo, abbiamo sgomberato la Striscia di Gaza fino all'ultimo centimetro quadrato. Adesso il governo reagisce con i fatti. Ha tutto il nostro appoggio.»

israel heute: Che cosa può fare l'esercito per contenere il lancio dei razzi?
    Netanjahu: «Si deve inequivocabilmente far capire che nessuno può impunemente sparare razzi su Israele. Dobbiamo perseguire le persone che fanno questo. In questo caso dobbiamo sequestrare anche i depositi di razzi. Le persone a Gaza devono sapere che per tutti i loro disagi devono ringraziare il governo di Hamas, che usa Gaza come rampa di lancio per colpire innocui civili e bambini senza alcun motivo. Non è un processo semplice, avrebbe potuto essere evitato. Ma meglio tardi che mai.»

israel heute: Perché Israele ha reagito così presto al rapimento di un soldato israeliano, mentre apparentemente ha ignorato i razzi Qassam?
    Netanjahu: «Il governo aveva annunciato che avrebbe reagito massicciamente al primo razzo. Purtroppo non ha reagito né al primo, né al decimo o al centesimo. Io credo che la prima regola in fatto di misure di deterrenza è di soffocare il male sul nascere. In secondo luogo bisognerebbe sempre eseguire quello che si è annunciato, per non perdere la propria credibilità.»

israel heute: C'è qualche speranza che Hamas liberi il soldato rapito Gilad Shalit?
    Netanjahu: «Dipende da chi lo tiene prigioniero. Non è chiaro se le persone decisive risiedano a Gaza. Probabilmente lo tengono a Damasco. Spero proprio che non si arrivi a uno scambio di prigionieri, perché altrimenti dovremo subire sempre più rapimenti. E' importante non acconsentire alle richieste dei terroristi, perché questo conduce soltanto ad avere più terrorismo.»

israel heute: Fino ad ora lei è stato un silenzioso leader dell'opposizione di destra. Perché non si è fatto chiaramente sentire a proposito del ritiro da Giudea e Samaria?
    Netanjahu: «A questo riguardo noi abbiamo preso una posizione chiara. Nel frattempo molti si stanno accorgendo che questo ritiro è molto discutibile, se si pensa a quello che ha prodotto l'ultimo ritiro. Non bastano i razzi su Ashkelon? Questo deve finire. O vogliamo buscarci i razzi anche su Raanana, Petach Tikva e forse Tel Aviv? Con un Hamas-Stato indipendente la gittata dei razzi si allungherà. Molti si chiedono dove sta qui la logica. Otteniamo in cambio qualche cosa? Noi non otteniamo nessun riconoscimento internazionale.

israel heute: Ma i sondaggi mostrano tuttavia che la maggior parte degli israeliani appoggia il ritiro.
    Netanjahu: «I sondaggi indicano un notevole spostamento nell'opinione pubblica, e questo ha un senso. Glielo posso spiegare logicamente: la gente vede le conseguenze dell'ultimo ritiro e non vuole che il tutto si ripeta nel centro del paese.»

israel heute: Nel mondo molti cristiani sono dalla parte di Israele. In che modo possono sostenere Israele?
    «Israele si trova sotto un doppio tiro. Soffriamo sotto attacchi terroristici, razzi, attentatori suicidi, rapimenti ecc., ma ci troviamo anche moralmente sotto tiro. Noi, le vittime di questi attacchi, veniamo considerati gli aggressori. Gli amici cristiani di Israele conoscono la verità, e forse la più grande guerra che dobbiamo combattere è la lotta per la verità contro le menzogne e le calunnie che ininterrottamente vengono scagliate contro Israele. Non abbiamo migliori amici della comunità cristiana mondiale e dei sionisti cristiani, i quali capiscono che la storia di Israele effettivamente è una parabola. E' la parabola di un popolo che ha lottato contro tutte le avversità e letteralmente ha fatto saltare le ferree leggi della storia mondiale. Ci siamo di nuovo riuniti nel paese dei nostri padri e abbiamo costruito una democrazia col desiderio di un migliore futuro per noi e per i nostri vicini. E adesso, come nel passato, veniamo tormentati dalle più barbare e assassine potenze che si trovano sulla terra. I nostri amici cristiani possono aiutare Israele spiegando semplicemente la verità.

(israel heute, agosto 2006)





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