<- precedente seguente -> pagina iniziale arretrati indice



Notizie su Israele 356 - 14 agosto 2006

1. Risoluzione Onu 1701
2. Ehud Olmert invitato a dimettersi
3. La posizione dell'Iran
4. Haifa, i bambini nascono sotto terra
5. Iniziativa della Comunità Ebraica di Roma
6. La guerra e la diplomazia
7. Un ebreo di sinistra scrive a «Liberazione»
8. Da un discorso di Brigitte Gabriel a Duke University
9. Fine di un'epoca
10. Musica e immagini
11. Indirizzi internet
Geremia 17:5-6. Così parla il Signore: «Maledetto l'uomo che confida nell'uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dal Signore! Egli è come una tamerice nel deserto: quando giunge il bene, egli non lo vede; abita in luoghi aridi, nel deserto, in terra salata, senza abitanti.»
1. RISOLUZIONE ONU 1701




Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu

Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu

"Esprimendo la massima preoccupazione per la continua escalation delle ostilità in Libano e in Israele"

"sottolineando la necessità di mettere fine alla violenza… ma anche di risolvere urgentemente le cause che hanno portato alla crisi corrente, incluso il rilascio dei soldati israeliani rapiti",

"conscio della delicatezza della questione dei prigionieri e incoraggiando gli sforzi per risolvere con urgenza la questione dei prigionieri libanesi detenuti in Israele",

"felicitandosi degli sforzi del primo ministro libanese e dell'impegno del governo libanese, nel suo piano in sette punti, a estendere la propria autorità su tutto il territorio attraverso le forze armate legittime",

"determinato ad agire per il ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano il prima possibile",

"felicitandosi per la decisione unanime di dispiegare una forza di 15.000 uomini dell'esercito libanese nel sud del paese"
e dopo aver "preso atto che la situazione in Libano costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale"

Il Consiglio

"1 chiede un'immediata cessazione delle ostilità, basata, in particolare, sull'immediata cessazione da parte di Hezbollah di tutti gli attacchi e la cessazione immediata da parte di Israele di tutte le operazioni militari offensive"

"2 Dal momento della cessazione delle ostilità, chiede al governo libanese e alla Unifil (forza temporanea dell'Onu in Libano, ndr)… di dispiegare insieme le loro forze in tutto il Sud e chiede al governo israeliano, nel momento in cui tale dispiegamento comincerà, di ritirare in parallelo tutte le sue forze dal Libano meridionale"

"3 Sottolinea l'importanza del fatto che il governo libanese estenda la sua autorità all'insieme del territorio libanese…in modo da esercitare integralmente la sua sovranità e da far sì che nessuna arma vi si trovi senza il consenso del governo libanese e che nessuna autorità vi sia esercitata al di fuori di quella del governo"

"4 Riafferma il suo fermo appoggio al pieno rispetto della Linea blu"

"5 Riafferma anche il suo fermo attaccamento ... alla integrità territoriale, alla sovranità e all'indipendenza politica del Libano all'interno delle frontiere internazionalmente riconosciute come previsto dall'accordo di armistizio del 1949"

"6 Chiede alla comunità internazionale di adottare misure immediate per estendere il soccorso umanitario e finanziario al popolo libanese, in particolare facilitando il ritorno degli sfollati… riaprendo porti e aeroporti..."

" 7 Afferma che tutte le parti sono tenute a controllare che non sia condotta alcuna azione contraria al paragrafo 1 che potrebbe pregiudicare la ricerca di una soluzione a lungo termine, all'accesso degli aiuti umanitari, inclusi passaggi sicuri per i convogli umanitari, e il ritorno sicuro degli sfollati nelle loro case"

"8 Chiede a Israele e al Libano di sostenere un cessate il fuoco permanente e una soluzione a lungo termine fondata sui principi e sugli elementi che seguono:

- stretto rispetto delle due parti della linea blu;
- dispositivo di sicurezza che impedisca la ripresa delle ostilità, in particolare la creazione, tra la Linea blu e il Litani, di una zona in cui non sia dispiegato personale armato se non quello del governo libanese e della missione Onu come autorizzato al paragrafo 11
- piena applicazione delle disposizioni comprese negli accordi di Taef e nelle risoluzioni 1559 e 1680 che esigono il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano
- nessuna presenza di forze straniere in Libano senza il consenso del suo governo
- divieto di vendere o fornire armi e materiale militare al Libano, a meno che non ci sia l'autorizzazione del governo libanese
- comunicazione all'Onu delle Carte dei campi minati presenti in Libano e ancora in possesso degli israeliani

Nei punti successivi (9, 10) il Consiglio chiede poi al segretario generale (Kofi Annan) di "appoggiare gli sforzi miranti a ottenere al più presto accordi di principio da parte del governo libanese e di quello israeliano in vista di una soluzione a lungo termine" e di "mettere a punto, in coordinamento con le parti internazionali interessate, proposte per attuare gli accordi di Taef e le risoluzioni 1559 e 1680", inclusi, "la delimitazione dei confini internazionali del Libano, specialmente in quelle aree in cui il confine è conteso o incerto, includendo anche l'area delle fattorie di Shebaa". Annan viene invitato a presentare delle proposte in materia entro 30 giorni. Al punto 11 poi il Consiglio "decide di autorizzare un incremento degli effettivi dell'Unifil fino a un massimo di 15mila uomini". I compiti di questa forza, prosegue la risoluzione, saranno: "controllare la cessazione delle ostilità", "accompagnare e aiutare le forze armate libanesi nel loro dispiegamento nel Sud, fino alla Linea blu, mentre Israele ritira le sue forze dal Libano"; "fornire assistenza per assicurare aiuti umanitari alla popolazione civile", "assistere le forze armate libanesi nella realizzazione dell'area a cui ci si riferisce nel paragrafo 8" e "assistere il governo libanese nel portare avanti il paragrafo 14", ovvero quello relativo alla "messa in sicurezza dei suoi confini e dei punti di accesso al proprio territorio, per evitare l'ingresso senza il suo consenso di armi o materiale connesso". Anche i punti 12 e 13 sono relativi alla missione Onu e sostanzialmente autorizzano la Unifil "ad adottare tutti i provvedimenti necessari nel suo settore di competenza perché il suo teatro di operazione non sia utilizzato per attività ostili di qualsivoglia natura, e di resistere ai tentativi di impedirle di assolvere ai suoi impegni secondo il mandato Onu" e chiedono al segretario generale di prendere "misure che assicurino che la Unifil sia capace di svolgere i compiti previsti nella risoluzione" e che "gli stati membri facciano contributi appropriati alla missione" . La risoluzione chiede poi a tutti gli Stati di prendere misure "adeguate a impedire" che propri cittadini vendano o forniscano armi a persone singole o entità in Libano. La risoluzione si conclude con la proroga del mandato della Unifil fino al 31 agosto 2007 (punto 16), l'invito ad Annan a "rendere conto, al massimo tra una settimana e poi a intervalli regolari, dell'applicazione della presente risoluzione" (punto 17), sottolineando infine (al 18esimo e ultimo punto) "la necessità di instaurare una pace globale, equa e duratura in Medio Oriente". (Fonte: MISNA)

(Il Cassetto, 13 agosto 2006)





2. EHUD OLMERT INVITATO A DIMETTERSI




Il peggior governo della storia d'Israele

di Naomi Ragen

Abbiamo terminato un calmo Shabbat in relativa sicurezza a Gerusalemme, per poi controllare le notizie e venire a conoscere l'agghiacciante novità che altri sette soldati israeliani sono stati uccisi e altri ottantaquattro sono stati feriti nella guerra più mal condotta della storia d'Israele [nel frattempo il numero dei morti e dei feriti è aumentato, ndr].
    Oltre a questo, il governo - che ha continuamente interferito con l'esercito (cioè "vinci la guerra senza far arrabbiare la CNN e la BBC") imponendo direttive che hanno contribuito a far uccidere a destra e a manca non soltanto i nostri ragazzi ma anche i nostri civili - adesso ha deciso di accettare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza in cui si assicura che il nostro popolo ha fatto il suo estremo sacrificio per niente: i nostri soldati rapiti non saranno restituiti, Hezbollah non sarà disarmato e l'esercito israeliano sarà sostituito da qualche forza ONU e da un gruppo di Europei antisemiti che permetteranno agli Hezbollah di riarmarsi.
    Il testo completo della risoluzione è stato pubblicato su YNET e fino ad ora 1.784 israeliani hanno risposto nel suo talkback. La grandissima maggioranza ha risposto qualcosa di simile:

    Siamo andati in guerra per liberare i nostri soldati rapiti. Perché non sono stati menzionati?
    Vergogna! Olmert, Peretz, Halutz, il triumvirato dei perdenti.

    E io aggiungo: Sig. Olmert, Sig. Peretz, Sig. Halutz, voi avete buttato via le vite dei nostri soldati. Voi avete sciupato l'occasione di liberare la nazione d'Israele da un nemico mortale. Voi avete posto le premesse per la prossima guerra.
    A settembre saremo di nuovo sotto attacco. Fate la cosa più decente: dimettetevi tutti, e lasciate che il Sig. Netanyahu e il Generale Ya'alon (che è stato buttato fuori perché si è rifiutato d proseguire nel disimpegno) vi sostituiscano.
    Si dimetta, Sig. Olmert, si dimetta per la vergogna della sua incompetenza, della sua incapacità di realizzare uno solo degli obiettivi così clamorosamente annunciati all'inizio di questa guerra. Senza tutti voi, e senza il vostro incompetente governo, saremmo più protetti e meglio preparati contro i razzi che dovessero riprendere subito a cadere che non contro quelli che inevitabilmente cadranno quando gli ONU e i francesi guarderanno i nostri confini.
    E se lei non vorrà fare questa onorevole cosa, saremo noi a fare tutto il possibile per farla dimettere. Lei mi fa star male. Mi vergogno di essere un cittadino del mio paese sotto la sua guida. Inorridisco al pensiero di avere un figlio nell'IDF sotto la sua guida.
    Vergogna, vergogna, vergogna!

(israelinsider, 12 agosto 2006)





3. LA POSIZIONE DELL'IRAN




E Teheran dedica una strada all'«eroe sciita Nasrallah»

TEHERAN. Una via della città di Rasht, nel Nord dell'Iran, sarà intitolata al leader dell'Hezbollah, Seyed Hassan Nasrallah, l'alleato della Repubblica islamica in Libano. La decisione è stata annunciata ieri all'agenzia iraniana Irna dal capo del Consiglio comunale della città, Mohammad Hassan Aghel Manesh, secondo il quale essa servirà a «rendere omaggio ai martiri del Libano, specialmente i bambini, le donne e gli uomini indifesi di Cana». Il villaggio libanese dove il 30 luglio scorso un bombardamento israeliano ha causato decine di morti tra i civili, specialmente bambini. Un gesto simbolico, è vero, ma che in questo momento assume un significato politico preciso e inquietante.
Ieri le guide della preghiera di tutte le città iraniane hanno chiamato il mondo dell'Islam a sostenere l'Hezbollah (il Partito di Dio) contro Israele, accusando la maggior parte dei governi arabi e musulmani di essere rimasti in silenzio.
«Se tutti i musulmani sostengono Hezbollah», ha detto l'ayatollah Javadi Amoli parlando nella città santa sciita di Qom, «Israele, questo cancro, sarà cancellato dalla faccia della Terra, con l'aiuto di Dio».

(Il Giornale di Vicenza, 13 agosto 2006)





4. HAIFA, I BAMBINI NASCONO SOTTO TERRA




Negli ospedali, sono stati trasferiti al piano più basso e più sicuro tutti i reparti maternità

HAIFA - Prima della luce del sole, i piccoli israeliani appena venuti al mondo vedono le luci al neon del loro bunker. Perché ad Haifa, come in molti ospedali della Galilea, da alcuni giorni i bambini nascono sottoterra.
Costantemente minacciato dai razzi katiuscia che piovono dal Libano, l'ospedale "Rambam" di Haifa ha deciso di trasferire nei piani interrati quattro reparti: cardiologia, neurologia, malattie interne e, appunto, maternità.
«È vero, i bambini da noi nascono sottoterra, ma è il modo più sicuro per portarli alla vita» dice all'Ansa Eran Tal-Or, vice primario del reparto di traumatologia dove vengono ricoverati ogni giorno decine di feriti dai razzi degli Hezbollah. «Qui arrivano civili e militari - spiega - da quando è iniziata la guerra a oggi abbiamo ricevuto 666 feriti». Il dottor Tal-Or fa notare che per coincidenza il suo bilancio ricorda «il numero dell'Anticristo», e sembra serio nel dirlo, ma poi ci scherza su: «Sappiamo che purtroppo cambierà molto presto».
Dei 666 ricoverati due terzi sono civili, e qui il medico precisa di non poter fornire cifre esatte sul numero dei soldati giunti dal fronte. Fra di loro c'è anche il capitano italiano Roberto Punzo, ferito nel Libano meridionale il 23 luglio scorso mentre lavorava come osservatore Onu.
Punzo è tuttora ricoverato al primo piano di questo stesso ospedale, nel reparto ortopedia B, camera numero 6. Né lui né molti degli altri malati possono essere trasferiti nei rifugi quando scatta la sirena anti-katiuscia, ed è per questo che tutte le loro stanze guardano verso sud. I reparti le cui finestre affacciano invece sul lato nord e quindi rivolte verso il confine libanese da cui provengono i razzi, sono stati temporaneamente evacuati.
Anche nel secondo grande ospedale di Haifa, il Bnei-Tzion, molti reparti, compreso quello di chirurgia, sono stati trasferiti nei piani interrati. Così come a Naharia, altra città bersagliata dai katiuscia e che ha adottato le stesse misure di sicurezza: alcuni padiglioni svuotati e neo-mamme portate a partorire sottoterra.

(Il Messaggero, 13 agosto 2006)





5. INIZIATIVA DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA




«Adottiamo un bambino israeliano»

OFFRIRE una villeggiatura in Italia ai bambini israeliani, che da settimane vivono l'incubo dei katiuscia lanciati dai guerriglieri libanesi Hezbollah: è questo il senso di un'iniziativa di «solidarietà» lanciata ieri (8 agosto) dalla Comunità ebraica di Roma, la più grande d'Italia, con l'obiettivo «di far sentire a Israele di esser meno assediata». «Contiamo di portare nel nostro Paese 200-300 bambini e magari una quarantina di famiglie» ha spiegato il vicepresidente e portavoce della Comunità, Riccardo Pacifici. Di ritorno insieme con altri delegati della Comunità ebraica romana da una «missione di solidarietà» di quattro giorni in Israele, Pacifici ha lanciato un appello perché a partire da oggi «ebrei e non ebrei» esprimano la propria solidarietà, ospitando un bimbo in una casa di villeggiatura o magari «regalando» per una settimana la propria seconda abitazione a una famiglia israeliana. «Non eliminare Hassan Nasrallah vorrebbe dire consentire a questo nuovo Hitler di marciare vittorioso nelle strade di Beirut e conquistare il potere». Ha poi affermato Riccardo Pacifici secondo il quale un eventuale cessate il fuoco sarebbe accolto dagli israeliani «come la liberazione da un incubo». «Un'eventuale presa del potere da parte di Nasrallah - ha spiegato Pacifici, nel corso della conferenza stampa - ripeterebbe il copione già visto a Gaza e in Cisgiordania, dove al potere è andato Hamas. Un'epilogo del genere destabilizzerebbe l'intero Medio Oriente». Una cessazione delle ostilità «fa comodo a Israele - ha detto il vicepresidente della Comunità ebraica romana - perché da quasi un mese è in guerra contro un nemico invisibile».

(Il Tempo, 9 agosto 2006)





6. LA GUERRA E LA DIPLOMAZIA




Il Medioriente tra speranze e schizofrenie

di Jean Luc Giorda

Si accetta la pace, e si scatena un'offensiva. Si approva un piano di disarmo, e si spara una salva di razzi. Si brinda a champagne al cessate-il-fuoco,

prosegue ->
informandosi premurosamente sui progressi della guerra. Il Medio Oriente è schizofrenico, e la comunità internazionale non gli è da meno. Saranno i prossimi giorni a dirci se la risoluzione Onu 1701 (un altro numero che conviene imparare a memoria per gli anni a venire) è un miracolo della diplomazia o il solito «pezzo di carta» destinato a restare lettera morta. Il suo solo merito, per ora, è di aver equamente scontentato le due parti in causa e i rispettivi sostenitori.
I sostenitori di Israele «senza se e senza ma», anche in Italia, leggono nel testo «una vittoria degli Hezbollah»; i filo-arabi a priori lamentano che non vengano imposti a Israele un cessate-il-fuoco e un ritiro immediati, e magari il pagamento dei danni di guerra. Il che dimostra che il compromesso raggiunto alle Nazioni Unite è, sulla carta, quel che deve essere: un testo che riconosce le ragioni di entrambi e cerca di rimediare ai torti.
Che poi tale delicata alchimia diplomatica possa partorire «una pace duratura nella regione», come auspica il segretario di Stato di Washington, Condoleezza Rice, pare assai difficile. La schizofrenia diplomatico-militare di queste ore dimostra che nessuno, a cominciare da Israele, ci crede davvero.
Lo Stato ebraico sta gettando nella mischia tutte le sue forze, improvvisando una «guerra lampo» con truppe aviotrasportate nell'interno del Libano, per conquistare più territorio possibile prima del cessate-il-fuoco. Che, si può esser certi, non sarà totale e immediato neppure dopo il probabile sì del Consiglio dei ministri, questa mattina.
Il premier Olmert gioca su questo punto anche una battaglia per la sopravvivenza politica. Viene accusato, non solo da destra, di aver «perso la guerra»: in un mese di offensiva non è riuscito a piegare gli Hezbollah, e adesso l'Onu sta suonando la campana dell'ultimo round. Molti giornali chiedono le sue dimissioni. Con l'offensiva di queste ore, spera di raggiungere risultati tali da far rientrare questa ipotesi.
Certo è che se nei prossimi giorni le ostilità dovessero continuare, la credibilità dell'Onu, già minima dopo cinque anni di fallimenti e umiliazioni, scenderà sotto il livello di guardia. Rendendo assai complicata la formazione e il dispiegamento della forza di 15mila uomini attesa nel Libano del Sud (ma soltanto «dopo la fine delle ostilità») per subentrare agli israeliani e affiancare il poco efficiente esercito libanese.
Per l'Italia, naturalmente, le cose sono anche più complesse. La partecipazione a una missione pienamente sotto l'egida dell'Onu, e destinata sostanzialmente a far cessare l'attacco israeliano in Libano, dovrebbe essere approvata anche dalla componente radicale della coalizione di Romano Prodi.
In più, la missione è un'occasione importante per confermare il rientro di Roma nel gioco delle grandi potenze: dopo la prestigiosa, ma non fortunata, iniziativa della Conferenza di Roma, la Francia ha tenuto la scena da sola negoziando con gli Stati Uniti il testo della risoluzione.
Ma questo non basta, nel fibrillante e autoreferenziale panorama della politica italiana, a garantire un comportamento responsabile. Né tra i partiti di una maggioranza in perenne ansia da «visibilità», né tra chi, all'opposizione, sogna ad ogni alba il momento della «spallata» al governo.

(Il Giornale di Vicenza, 13 agosto 2006)






7. UN EBREO DI SINISTRA SCRIVE A «LIBERAZIONE»




Caro direttore,

morti, distruzioni, missili, guerra e pace in Medio Oriente, da dove comincio? Quale parte di me devo prima coinvolgere per offrire ai lettori di "Liberazione" un punto di vista che sicuramente risultera' avverso o provocatorio per la maggior parte di loro? Comincio dalla testa, dalla razionalita', perche' non voglio che i miei sentimenti di ebreo comunque vicino a Israele e alla difesa della sua esistenza, e per di piu' parlamentare di sinistra e quindi esposto a possibili critiche di incoerenza con altri atteggiamenti nel mio schieramento, possano in qualche modo farmi scudo se pronuncio idee non condivise: vorrei che il confronto fosse razionale e non emotivo.
    1) Israele, nella guerra in Libano, difende se stesso, i suoi abitanti e il suo territorio dall'aggressione di un nemico spietato, votato alla sua distruzione, emissario politico-militare del pan-sciismo iraniano di Ahmadinejad, unico leader mondiale vivente sinceramente antisemita, negazionista della Shoah e profeta della distruzione di Israele;
    2) la mia opinione e' che Israele combatta una guerra anche per l'Occidente che - consapevole o no - incontra nel rischio-Iran, con la sua corsa alle armi non convenzionali, nel suo proporsi come leader di un movimento sciita anti-occidentale, un rischio mortale di cui le milizie armate di Hezbollah sono l'avanguardia;
    3) la questione "sproporzionale": la linea di politica estera del governo Prodi, si e' configurata in queste settimane, con coraggio e coerenza, seguendo quattro principi: a) l'inizio della crisi Libano/Israele e' dovuta all'aggressione Hezbollah; b) Israele ha diritto di reagire e di difendere la sua sopravvivenza; c) la reazione di Israele e' sproporzionata in rapporto alla quantita' di vita umane innocenti perse e alla distruzione di infrastrutture civili; d) la reazione di Israele e i missili di Hezbollah devono ora fermarsi per permettere poi l'interposizione di una forza di pace internazionale. Condivido i primi due punti. Sul terzo punto condivido lo sgomento per i morti civili di qualsiasi nazionalita' e per il peso distruttivo che la struttura civile del Libano ha dovuto sopportare. Il mio dolore per quei morti e' sincero, il mio cordoglio totale. Resta tuttavia inevasa la domanda che ho rivolto da tempo: come si combatte una guerriglia armata fino ai denti, capace di colpire obiettivi civili da grande distanza, che non ha nessuna legittima rivendicazione territoriale da avanzare? Come si combatte chi spara missili mortali dall'interno di un complesso residenziale civile? Come si contrasta chi nasconde gli armamenti in gallerie situate sotto villaggi i cui accessi sono all'interno delle abitazioni? Certo, nessuno togliera' mai dai nostri occhi le immagini dei bambini innocenti morti a Cana, uccisi dal bombardamento israeliano, nessuno potra' mai scusarsi abbastanza, nessuno potra' giustificare, cosi' come nessuno dovrebbe mai sostenere inutilmente che esistono guerre chirurgiche, bombe intelligenti o tecnologie belliche non-invasive.
    Qualche anno fa, nei bombardamenti della Nato sul Kosovo i morti civili furono centinaia e centinaia, come ben sanno i lettori di "Liberazione". Il governo italiano considero' quell'intervento legittimato da uno scopo umanitario, che anch'io condivisi: il che dimostra che vi sono casi in cui l'uso della forza, ancorche' devastante, puo' esser legittimato anche da governi di centrosinistra. Se si condivide quindi il diritto di Israele a reagire, rimane aperta - non retoricamente e con tutta la consapevolezza del dramma della perdita di vite umane innocenti - la domanda sul come si combatta la guerriglia che si nasconde tra i civili, o addirittura si fa scudo di essi. Tuttavia questa domanda senza risposta non ridara' la vita a coloro che muoiono senza colpa in Libano, in Israele, in Palestina. Ma questa scia di morte deve finire. A questo serve la politica.
    Ma mentre mi e' chiaro perfettamente il finale che vorrei fosse scritto quanto prima per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, e cioe' la nascita di uno stato palestinese in pace, accanto allo stato di Israele, con confini coincidenti con quelli precedenti all'occupazione del 1967, e quindi con la liberazione di quei territori da parte di Israele, non mi e' affatto chiaro di quale sia il quadro finale dell'eventuale processo politico che dovesse prendere il posto del conflitto tra Israele e Hezbollah. Vi sono domande su questo punto che non possono essere taciute: l'Iran e la Siria vogliono veramente un Medio Oriente pacificato? Non credo, ma cio' non mi impedisce di ritenere che vada perseguita comunque la strada di un cessate il fuoco con interposizione internazionale. L'unica soluzione che riesco a immaginare per il confine nord di Israele e' quella di una separazione forzata, con disarmo di Hezbollah.
    Detto questo pero' nessuno puo' dimenticare l'altro conflitto. I palestinesi, le cui condizioni umanitarie, sociali, economiche, nei Territori sono drammatiche e non piu' sopportabili, sono disponibili una volta per tutte, con il governo di Hamas, a rifiutare il terrorismo e a riconoscere Israele? Israele e' disponibile a trattare con Hamas e Abu Mazen sulla base di un mutuo riconoscimento, sulla base di un percorso interrotto che prevedeva territori in cambio di pace, e oggi eventualmente di interposizione di forze internazionali? Tra Israele e palestinesi serve la riapertura di un tavolo politico di trattativa, tra Israele e Hezbollah serve il disarmo di Hezbollah e poi la separazione forzata.
    Ho lasciato per ultimo il mio cuore: ma non lo dimentico, anche se non pretendo di esprimere opinioni dimostrabili. Il cuore mi dice che Israele fa la guerra perche' vuole la pace, Israele non ama la guerra, non ci sono feste in Israele per i 350.000 sfollati, per i 30.000 soldati al fronte, non ci sono feste per i bambini uccisi a Cana, a Tiro, a Beirut o a Gaza: e ovviamente non ci sono feste per i morti e i feriti di Haifa, Zfat o Kiriat Shmona. Gli israeliani, quelli con cui parlo io ogni giorno, che vivono al nord, che da settimane vivono nei rifugi, bombardati dai katiusha ogni giorno e non solo da quando e' scoppiata la guerra, che piangono la notte per i loro ragazzi al fronte, i miei amici che furono in piazza per fermare la guerra del 1982, che appoggiavano la pace di Rabin e Arafat, costoro che insieme a Amos Oz, a Avraham B. Yehoshua, David Grossmann, furono la frusta morale di quell'Israele che non capiva la necessita', allora, di una trattativa con i palestinesi. Anche quell'Israele e' oggi con il governo dalla parte di una guerra per la sopravvivenza, guerra devastante per il Libano e per i libanesi, e' vero, guerra con troppi morti innocenti, morti per i quali il nostro cordoglio non va mai fatto mancare, ma guerra di sopravvivenza. Io credo che israeliani e palestinesi vogliano in maggioranza la pace e che ne abbiano diritto. A questo diritto va data una risposta il piu' rapidamente possibile perche' il diritto non salvaguardato diventa rabbia, odio e guerra. Ma l'Occidente - anche quando legittimamente critichi certe scelte del governo israeliano - non deve isolare Israele e gli ebrei che nel mondo ne difendono i diritti. Gli ebrei non controbattano qualsiasi critica al governo di Israele con la controaccusa di antisemitismo. Israele non dimentichi mai le parole di Rabin: "Continueremo il processo di pace come se i terroristi non esistessero; combatteremo i terroristi con tutte le nostre forze come se non esistesse il processo di pace".

(Liberazione, 4 luglio 2006)





8. DA UN DISCORSO DI BRIGITTE GABRIEL A DUKE UNIVERSITY




Brigitte Gabriel, la libanese che ama gli Israeliani

"Sono orgogliosa e mi sento onorata di essere qui oggi, una libanese che parla a favore d'Israele, l'unica democrazia nel Medio Oriente. Da persona cresciuta in un paese arabo, desidero trasportarvi per un momento nel cuore del mondo arabo. Sono stata allevata nel Libano, dove mi è stato insegnato che gli Ebrei erano malvagi, che Israele era il diavolo in persona, e che l'unico modo per aver pace nel Medio Oriente è trascinare nel mare tutti gli Ebrei ed ammazzarli.
    Quando nel 1975 musulmani e Palestinesi dichiararono la guerra santa contro i cristiani, cominciarono a massacrare quest'ultimi, da una città all'altra. Così io finii con il crescere in un rifugio sotterraneo dall'età di 10 a 17, senza elettricità, costretta a mangiare erba per sopravvivere e strisciare per terra sotto il fuoco dei proiettili per andare a prendere acqua ad una fonte. Furono gli Israeliani a portare aiuto ai cristiani libanesi. Mia madre rimase ferita da un proiettile musulmano e fu trasportata in un ospedale israeliano per essere curata. Quando entrai al pronto soccorso rimasi scioccata: sul pavimento c'erano centinaia di feriti, musulmani, palestinesi, cristiani, libanesi e soldati israeliani. I medici si presero cura di ognuno a seconda della ferita. Prima curarono mia madre e poi il soldato israeliano accanto a lei. Non vedevano la religione, non vedevano affiliazioni politiche, vedevano gente bisognosa e l'aiutarono. Per la prima volta nella mia vita vidi una qualità di vita che so che la mia cultura non avrebbe manifestato al proprio nemico. Ho toccato con mani i valori degli Israeliani che furono capaci di amare i loro nemici nei loro momenti più difficili. In quell'ospedale rimasi 22 giorni che cambiarono la mia vita ed il modo come concepisco l'informazione, il modo come ascolto la radio e guardo la tv. Mi resi conto che sugli Ebrei e su Israele mi era stata detta una bugia inventata dal mio governo, lontanissima dalla realtà. Ero sicurissima che se io fossi stata un'ebrea in un ospedale arabo sarei stata linciata e sbattuta per terra, con grida di gioia di "Allahu Akbar, Dio è grande" che echeggiavano nell'ospedale e dintorni.
    Diventai amica delle famiglie dei soldati israeliani feriti: c'era una in particolare, una certa Rina, il cui figlio, unico, era stato ferito agli occhi. Un giorno ero nella sua stanza quando la banda dell'esercito israeliano venne a suonare inni nazionali per tirare su il morale dei soldati feriti. Si misero attorno al letto e suonarono un canto su Gerusalemme. Rina ed io cominciammo a piangere. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua e così cominciai ad avviarmi fuori della stanza quando questa madre mi afferrò la mano e mi tirò dentro senza neanche guardarmi. Piangendo mi disse: "Non è colpa tua". Rimanemmo là piangendo, mano nella mano. Quale contrasto fra lei, una madre che guarda il suo unico figlio menomato eppure capace di voler bene a me, il nemico, ed una madre musulmana che manda il proprio figlio a farsi esplodere in mille pezzi solo per ammazzare Ebrei o cristiani. La differenza fra il mondo arabo ed Israele sta nei valori e nel carattere. E' la differenza che c'è tra la barbarie e la civiltà. E' la differenza che c'è tra democrazia e dittatura. E' la differenza che c'è tra il bene ed il male.
    Una volta, nel luogo più profondo dell'inferno c'era un posto speciale per chi avesse ucciso intenzionalmente un bambino. Adesso, l'omicidio intenzionale di bambini israeliani è legittimato come "lotta armata palestinese". Il fatto è che quando un tale comportamento viene legittimato contro Israele viene legittimato in tutto il mondo, frenato da niente altro che la convinzione personale di chi si cinge di dinamite e chiodi con il solo scopo di uccidere bambini nel nome di Dio. Dal momento in cui i Palestinesi sono stati incoraggiati a credere che l'uccisione d'innocenti civili israeliani è una tattica legittima per l'avanzamento della loro causa, il mondo intero adesso paga le conseguenze della piaga del terrorismo, da Nairobi a New York, da Mosca a Madrid, dal Bali a Belize.
    Danno la colpa delle operazioni suicide alla "disperazione causata dall'occupazione. La verità è un'altra: il primo grande attacco terroristico consumato dagli Arabi contro lo stato ebraico è avvenuto dieci settimane prima che Israele diventasse indipendente. Domenica mattina, il 22 febbraio del 1948, in vista dell'indipendenza d'Israele, i terroristi arabi fecero esplodere una bomba sotto un camion a Ben Yehuda Street, in quella che era la sezione ebraica di Gerusalemme. Persero la vita 54 persone; centinaia rimasero feriti. Così, è ovvio che il terrorismo arabo è causato non "dalla disperazione dell'occupazione" ma proprio dal pensiero di uno stato ebraico."

(ICN-News, 9 agosto 2006]





9. FINE DI UN'EPOCA




La Germania ha deciso di ridurre l'immigrazione ebraica nel Paese

di Alessandro Ursic

Dopo anni di apertura totale, decisa anche per espiare le colpe storiche dell'Olocausto, la Germania ha deciso di ridurre l'immigrazione ebraica nel Paese, giunta ormai a un livello tale da superare l'arrivo di nuovi ebrei in Israele. Lo hanno deciso i ministeri dell'Interno dei sedici lander, con l'approvazione delle organizzazioni ebraiche. D'ora in poi, gli aspiranti immigrati ebrei saranno sullo stesso piano degli altri e dovranno fare i conti con un nuovo sistema, che prevede una assegnazione di punti in base a caratteristiche come l'età, l'istruzione, l'esperienza lavorativa, la conoscenza del tedesco e il Paese di origine.

Porte aperte. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Germania aveva aperto le sue porte all'immigrazione ebraica. Ma se prima dell'Olocausto la comunità ebraica tedesca raggiungeva le 600mila unità, nel 1989 gli ebrei in Germania erano all'incirca 30mila. Subito dopo la caduta del Muro di Berlino, l'allora cancelliere Helmut Kohl estese anche agli ebrei dell'Unione Sovietica la possibilità di stabilirsi in Germania senza restrizioni, irritando le autorità israeliane. Alla media di 11mila nuovi arrivi all'anno, la comunità ebraica è cresciuta e ora è composta da circa 200mila persone. Nel 2002, per la prima volta, gli ebrei immigrati in Germania sono stati più di quelli stabilitisi in Israele: 19.200 contro i 18.000 approdati nello stato ebraico.

Immigrazione a punti. Con il nuovo sistema, che verrà messo alla prova per un anno prima di entrare in vigore, bisognerà ottenere almeno 50 punti su 105 per essere ammessi in Germania. Ad ogni caratteristica corrisponde un punteggio diverso: un diploma universitario vale 20 punti, un'esperienza lavorativa 10, la possibilità di lavorare per un'organizzazione ebraica altri 10, una buona conoscenza della lingua e della cultura tedesca può valere 25 punti. Sono svantaggiati gli adulti di mezza età, perché oltre i 45 anni l'età non porta punti, mentre i più giovani potranno godere di un bonus di 15 punti.

Il sì delle organizzazioni ebraiche. Gli ebrei che arrivano in Germania dall'Europa orientale sono generalmente secolarizzati, e frequentano di rado una sinagoga. Al loro arrivo nel Paese, sono comunque assistiti dalle organizzazioni ebraiche, che forniscono loro soldi, vestiti e cibo. Questi gruppi, finanziati dallo Stato, hanno dato comunque l'avallo alla riforma del sistema d'immigrazione. Il Consiglio Centrale degli Ebrei l'ha definito "trasparente e corretto".

(PeaceReporter, 9 agosto 2006)





MUSICA E IMMAGINI




Lagur Ethka




INDIRIZZI INTERNET




sandunes

katif.net




Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.