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Notizie su Israele 357 - 28 agosto 2006 |
1. «Gli Hezbollah, io li caccerei via in ogni maniera»
2. Israele e le ipocrisie degli europei 3. Solitudine politica di Israele 4. Voci da Israele 5. Sostenitori della distruzione dello stato ebraico 6. Testimonianze da Israele in tempi di guerra 7. Musica e immagini 8. Indirizzi internet |
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1. «GLI HEZBOLLAH, IO LI CACCEREI VIA IN OGNI MANIERA»
"israel heute", mensile evangelico in lingua tedesca stampato a Gerusalemme, ha intervistato durante la guerra in Libano due donne libanesi che ora vivono in Israele. Libanesi in Israele di Nicole Jansezian
Il marito di Ehemann serviva nell'esercito sudlibanese (SLA) che sosteneva Israele nella guerra contro gli Hezbollah. Per questo motivo, dopo il ritiro dei soldati israeliani dal Libano nel 2000 la famiglia era diventata selvaggina di caccia per gli Hezbollah, che li consideravano nient'altro che nemici traditori. La famiglia era stata avvertita poco prima dell'imminente ritiro israeliano. Quando trapelò la notizia, arraffarono in fretta una borsa con oggetti di valore e si affrettarono verso il confine, dove si trovarono intrappolati in un ingorgo di altri militari SLA che cercavano di sfuggire all'imminente vendetta degli Hezbollah. Di auto in auto con rapidità fulminea si diffuse la notizia: gli Hezbollah sono in marcia verso il confine! Per paura della loro vita molti libanesi fuggirono a piedi. Si calcola che 6000 libanesi cercarono rifugio in Israele. Al contrario degli arabi israeliani, molti libanesi con cui israel heute ha parlato hanno espresso la loro stima per Israele, perfino per la guerra di Israele contro gli Hezbollah. Si avvertiva anche la simpatia per entrambi gli Stati quando parlavano della pace e della speranza di poter rivedere un giorno le loro famiglie che vivono a pochi chilometri di distanza ma tuttavia sono irragiungibili. Se tornassero adesso in Libano, questo significherebbe per loro certamente la prigione e probabilmente la morte, perché lì sono visti come traditori. La drusa Abu Sahad adesso è cittadina israeliana, come anche suo marito e i suoi tre figli. Lei spera che Israele porti a compimento il lavoro iniziato e distrugga gli Hezbollah. «Non mi piacciono, è per causa loro che me ne sono dovuta andare», ha detto. Tuttavia le dispiace di essere dalla parte più tranquilla di Israele, mentre il resto della sua famiglia è minacciata dai bombardieri israeliani. Nelle due prime settimane di guerra guardava ogni giorno le notizie, soprattutto dopo che è venuto a mancare il collegamento telefonico con i suoi genitori. Alla fine ha deciso di ascoltare soltanto musica e di cercare di non rompersi la testa pensando a tutto quello che avrebbe potuto accadere. «Devo fare uno sforzo per amore della mia famiglia», ha spiegato. «Qui non ho parenti, nessuno a cui potrei rivolgermi». Ferriel Amacha, 35 anni, è scoppiata in lacrime quando ha parlato della sua solitudine in un paese sicuro ma straniero. Anche lei è riuscita a scappare con fatica e rischio dal Libano, insieme a suo marito. Ma non riesce a trovare pace pensando a quello che può essere capitato alla sua famiglia che vive ancora in Libano. Per i libanesi in Israele è impossibile incontrare le loro famiglie, neanche in un paese neutrale. Sono preoccupati per le conseguenze che potrebbero avere le loro famiglie in Libano se si venisse a sapere che in qualche modo sono entrati in contatto con "israeliani". La paura degli Hezbollah - delle loro spie e perfino dei razzi Katiusha nel nord - continua a dominare la vita di molti ex libanesi. «Hanno rovinato tutto il paese (il Libano)», accusa Amacha. «Io li caccerei via, in qualsiasi maniera. In un modo o nell'altro li cacceranno e allora il Libano tornerà ad essere un paese normale». Raije spera che Israele riesca a riprendere il controllo del sud del paese e di poter rivedere un giorno la sua famiglia. «Non vedo altra soluzione - solo Dio». (israel heute, settembre 2006) 2. ISRAELE E LE IPOCRISIE DEGLI EUROPEI I falsi profeti della pace giusta di Ernesto Galli della Loggia Una pace giusta e la sicurezza di Israele: sono questi i due principi con i quali la maggioranza dell'opinione pubblica europea e i politici del Continente dicono da sempre di voler affrontare il ginepraio del Medio Oriente, e che continuamente ribadiscono per allontanare da sé ogni sospetto di parzialità antiisraeliana. Peccato che dietro l'omaggio di maniera al politicamente corretto (vorrei vedere che qualcuno osasse dire di essere a favore di una pace ingiusta o contro la pace in generale, ovvero di affermare che della sicurezza di cinque milioni di ebrei non gliene importa nulla), peccato, dicevo, che dietro non ci sia nulla di politicamente significativo e impegnativo. In altre parole: quelle due espressioni - «pace giusta» e «sicurezza di Israele» - in quanto tali non vogliono dire nulla: e molto probabilmente proprio per questo sono tanto ripetute. Quali dovrebbero essere, infatti, i contenuti di questa «pace giusta»? Nessuno, che io sappia, si è mai preoccupato di indicarlo con un minimo di precisione. È facile supporre che essa dovrebbe implicare il consenso israeliano alla creazione di uno Stato palestinese nonché la restituzione a esso di tutti i territori attualmente occupati da Israele stesso. In cambio, si dice, del riconoscimento dello Stato ebraico. Ma riconoscimento da parte di chi? È mai immaginabile, ad esempio, che Iran, Siria, Arabia Saudita, tanto per fare i primi nomi che vengono alla mente, riconoscano Israele? E perché mai dovrebbero? Quali vantaggi potrebbero mai ricavare da un atto del genere che invece creerebbe ai loro governi, come del resto a qualunque governo islamico, un pericolo micidiale di delegittimazione? Ma senza un consenso generalizzato di tutto il mondo arabo e islamico quale valore potrebbe mai avere il riconoscimento di Israele da parte del neonato Stato palestinese, assai debole e sulla moderazione dei cui gruppi dirigenti nessuno scommetterebbe un soldo bucato? Mi chiedo come mai nessuno dei tanti banditori della «pace giusta» si preoccupi di rispondere a queste domande; e come mai, egualmente, nessuno di loro si preoccupi mai di dirci qualcosa di preciso circa la «sicurezza d'Israele», che pure a parole gli sta tanto a cuore. A cominciare da due questioni decisive; che sono: primo, chi è che giudica quando la suddetta sicurezza è messa in pericolo? E secondo: nel caso che ciò avvenga, in che modo e con quali mezzi bisogna reagire? Pensano insomma i fautori della «sicurezza d'Israele» che spetti al suo governo esprimere in merito il parere decisivo, o pensano invece, prefigurando un'occulta forma di sovranità limitata, che tocchi a qualcun altro, a qualche sinedrio europeo, alla Nato, all'Onu, o che so io? E ancora: quali caratteristiche deve avere la reazione all'eventuale minaccia alla sicurezza per essere giudicata accettabile? Abbiamo capito che una risposta militare come quella che Israele ha dato a luglio contro gli Hezbollah è «sproporzionata» ma ignoriamo tuttora quale sarebbe stata, invece, una risposta «proporzionata» e, va da sé, anche minimamente efficace. Insomma, se invadono il tuo territorio e uccidono otto soldati sequestrandone altri due, se per anni ti bombardano di missili, come bisogna reagire per ottenere il gradimento dei veri democratici del Vecchio continente e dei loro illuminati governi? Fortunati noi europei per i quali tutte queste domande hanno un valore esclusivamente teorico: ma non dovremmo egualmente tentare, per un obbligo di decenza politica oltre che morale, di darvi risposta? (Corriere della Sera, 22 agosto 2006) 3. SOLITUDINE POLITICA DI ISRAELE L'ultima ambasciata rimasta a Gerusalemme si trasferisce a Tel Aviv di Luigina D'Emilio Anche El Salvador ha deciso di trasferire la sede della propria ambasciata da Gerusalemme a Tel Aviv. La decisione, annunciata dal ministro degli esteri salvadoregno, fa seguito a quella analoga resa nota il 16 agosto scorso dal Costarica che aveva spiegato così la sua decisione: «Dopo aver analizzato insieme alle autorità israeliane l'attuale situazione in Medio Oriente, specie alla luce degli accordi raggiunti con la risoluzione numero 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (relativa alla cessazione delle ostilità in Libano) che punta a promuovere la sicurezza e una maggiore stabilità, il governo del paese ha deciso di spostare a Tel Aviv la propria rappresentanza nello Stato d'Israele». In seguito alla decisione del Costarica l´ambasciata salvadoregna era l'ultima sede diplomatica rimasta a Gerusalemme. Il paese centroamericano, di cui è presidente Tony Saca, è il miglior alleato degli Stati Uniti nell'istmo ed ha anche inviato un piccolo contingente militare in Iraq. Per il governo israeliano la decisione dei due governi centroamericani è un altro piccolo colpo alla credibilità internazionale delle pretese su Gerusalemme. Il consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato numerose risoluzioni, dalla 194 del 1948 alla 242 del 1967, che statuiscono per Gerusalemme una condizione giuridica speciale e respingono le pretese annessionistiche degli israeliani. Nel 1980 la risoluzione del consiglio di Sicurezza numero 478 dichiara nulla e priva di qualsiasi efficacia la legislazione israeliana che fa di Gerusalemme la capitale dello Stato ebraico e invita tutti gli Stati a non insediarvi le proprie rappresentanze diplomatiche. La decisione del governo di Tel Aviv di costruire un ciclopico muro di separazione tra Israele e la Palestina, deve aver probabilmente influito sulle decisioni anche degli ultimi contravventori alle decisioni delle Nazioni Unite. Con il muro Gerusalemme sarebbe infatti fisicamente e definitivamente separata dalla Palestina. Gli israeliani non hanno fatto nulla per nascondere la propria irritazione. L´ambasciatore israeliano a San Salvador, Jonathan Peled, ha fatto sapere di essere rammaricato per la decisione dicendo che «avremmo preferito che El Salvador mantenesse la sua missione diplomatica a Gerusalemme». Una mossa accolta con delusione e rammarico anche dal governo israeliano: «Questa decisione, in questo particolare momento, potrebbe essere interpretata come un cedimento di fronte al terrorismo e un premio ai suoi fomentatori», ha affermato il ministero degli esteri di Gerusalemme. Ovviamente di tutt'altro segno la reazione dei palestinesi. Il ministro degli esteri palestinese ha espresso soddisfazione per la decisione presa dal governo di El Salvador e un portavoce del governo ha fatto sapere di accogliere «con soddisfazione questa decisione che aspettavamo da tempo». Le due ambasciate erano state aperte a Gerusalemme all´inizio degli anni ´80, Il Costarica nel 1982 sotto l´allora presidente Luis Alberto Monge e El Salvador nel 1984. Il presidente del Costarica, Oscar Arias (premio Nobel per la pace nel 1987), ha dichiarato che una decisione del genere era necessaria perché anche gli alleati più vicini a Israele non devono sfidare «ma rispettare il diritto internazionale, devono lavorare per la pace e devono avere legami amichevoli anche con il mondo arabo e con l´Islam». (L'Unità, 26 agosto 2006) 4. VOCI DA ISRAELE Ultimo aggiornamento da Nahariya Da Nahariya, Alber e Ruth Nessim. Shalom ancora una volta, cari amici, e grazie per la vostra pazienza nell'attesa di questo aggiornamento. Non era una questione di pigrizia, né di inerzia, ma solo l'enorme mole di cose da fare una volta che la guerra fosse finita. Per cinque settimane siamo vissuti sotto i bombardamenti ed ora ci troviamo di fronte ad un mare infinito di problemi di natura finanziaria da risolvere, un ripostiglio da costruire in giardino, di modo che il rifugio rimanga rifugio e non finisca con il diventare un altro ripostiglio com'è successo in numerosi casi in Israele. Adesso si può di nuovo fare la spesa, andare a trovare qualcuno senza essere assaliti dalla paura di vedersi cadere sulla testa un missile; così ora ci stiamo rimettendo a posto e riprendendo la vita di prima. L'ultimo giorno della guerra era un vero e proprio caos. Il nord era sotto bombardamento fino all'ultimo minuto, e sebbene il cessate il fuoco fosse entrato in vigore alle 8 di mattina di lunedì 14 agosto, alle 7 ci furono scagliati gli ultimi razzi come saluto di addio da parte degli Hezbollah. Hanno accusato Israele di avere bombardato civili innocenti, ma loro stessi hanno colpito senza misericordia obiettivi civili. Non abbiamo mai avuto un bombardamento così micidiale. Ci sono stati relativamente pochi morti solo perché gran parte della popolazione era scappata nel sud del paese mentre il resto era rimasto nei bunker, e naturalmente grazie alla misericordia di Dio. Le cifre ufficiali rilasciate (e non gonfiate) dal governo israeliano parlano di 43 civili e di 114 soldati morti, senza calcolare le migliaia di persone ferite e traumatizzate. Fra i morti diversi bambini, anche arabi, ma i loro corpi non sono stati messi in mostra, né i corpi di alcuni sono stati riesumati per gonfiare le statistiche (com'è successo a Qana). La BBC ha mostrato il loro solito sfogo, ponendo enfasi sul ritorno dei profughi nel sud del Libano. Non hanno mentito, hanno solo omesso di far vedere le centinaia di migliaia di profughi ebrei che ritornavano nelle loro case nel nord del paese, per molti ridotte in macerie. I danni totali a cose è stimato intorno ai tre milioni di dollari e nella sola città di Nahariya sono state colpite 150 abitazioni e 1500 appartamenti sono stati danneggiati dalle esplosioni. Uno dei nostri figli è venuto a vivere con noi, dal momento in cui non potrà tornare a casa sua per un bel pò. Nessuno riesce a credere che David era a casa quando è caduto un missile nel giardino, mandando la casa in fiamme e distruggendo completamente l'appartamento al piano di sotto. David fu letteralmente tirato fuori dall'esercito, vivo e senza neanche un graffio. Intervistato dalla televisione disse che era vivo per la sola grazia di Dio. La cosa più strana fu che Al Manar TV (stazione degli Hezbollah) fece vedere la casa di David in fiamme. Oltre a cose, ci sono stati danni anche a foreste e fauna. Ci vorranno anni prima di poter riforestare queste zone. Qualcuno ha fatto notare che perfino i sostenitori d'Israele erano irritati per il fatto che gran parte del Libano (addirittura l'intero Libano) fosse stato distrutto. Si potrebbe dire la stessa cosa d'Israele. A dire il vero un miglio quadrato dell'enclave Hezbollah a Beirut fu ridotto in macerie come pure la loro roccaforte in quartiere cristiano. Anche nel Sud del Libano sono state distrutte molte case, le stesse dalle quali partivano i razzi contro Israele. La TV dà l'impressione che hanno distrutto tutto, in realtà ad essere distrutti sono state strade per i rifornimenti militari, infrastrutture Hezbollah, della qual cosa, abbiamo saputo, molti Libanesi erano felici. Qualcuno mi ha fatto pervenire un messaggio da una signora il cui figlio ha sposato una libanese di Tiro. Voleva farci sapere che quello che stavamo scrivendo corrispondeva al vero. Ho già menzionato il fatto che nel nord d'Israele vivono molti Libanesi, molti dei quali avrebbero voluto arruolarsi e combattere al fianco d'Israele. Conoscono molto bene Hezbollah e stanno pregando perché un giorno il loro paese sia liberato da questa piaga. Sanno che dopo Dio, solo Israele può aiutarli! Cambiando argomento, molti in Israele credono che il governo fosse impreparato e che abbiamo gestito molto male questa guerra e che si stia facendo il possibile di sbarazzarsi di questo governo al più presto possibile. Inoltre, visto che la guerra non ha portato da nessuna parte e che siamo costretti ad accettare un cessate il fuoco quando invece stavamo facendo progressi, molti pensano che la guerra scoppierà più tardi, se non prima. Hezbollah attaccherà di nuovo, l'esercito libanese è debole, le Nazioni Unite non sono mai state capaci di prevenire una guerra! Dietro Hezbollah ci sono Iran e Siria, i quali hanno giurato apertamente di distruggere Israele. Per quanto concerne i credenti in questo paese, la convinzione diffusa è che va tutto nella direzione di Ez.38. Come credenti dovremmo tutti pregare per la pace di Gerusalemme, perché Israele riconosca il Messia e si penta e che molti musulmani si convertano. Nonostante tutto, sta succedendo. Proprio durante la guerra abbiamo avuto come ospiti una stupenda coppia di musulmani (un uomo ed una sua cugina). Abbiamo pregato insieme. Difficilmente passava un giorno senza Hamid ci telefonasse per sapere come stavamo. E' un rapporto veramente prezioso. Molti membri della nostra congregazione sono scappati durante la guerra, così abbiam dovuto sospendere tutte le attività, tranne che sbucare tra un missile e l'altro per accompagnare alcuni a fare la spesa, fare alcune visite per tirare su il morale. Speriamo che nei prossimi giorni ritornino tutti i nostri amici in modo da poter riprendere le riunioni del sabato. Qualunque cosa succeda, sappiamo che un giorno Yeshua regnerà da Gerusalemme. Egli stabilirà il suo regno nel cuore degli uomini e Israele sarà un motivo di lode per tutta la terra, insieme con l'Egitto e l'Assiria. In quel giorno, udremo la sua voce che dirà: "Benedetto sia l'Egitto, mio popolo e l'Assiria, opera delle mie mani, e Israele, mia eredità" (Isaia 19:24-25). Sì, non possiamo nascondere la nostra delusione con il risultato della guerra, ma sappiamo che tutta questa situazione è nelle mani di Dio e qualsiasi cosa il futuro abbia in serbo per noi, siamo qui per uno scopo. Egli sta adempiendo il suo piano e sebbene per quelli di noi che vivono qui, dove tutte queste cose stanno accadendo, non ci sia la promessa di un giardino di rose, vi chiediamo di pregare che la sua volontà sia fatta in noi ed attraverso di noi. Pregate per la pace di Gerusalemme. Quelli che ti amano prospereranno. (ICN-News, 27 agosto 2006) 5. SOSTENITORI DELLA DISTRUZIONE DELLO STATO EBRAICO Come già fatto in altre occasioni, riteniamo utile far conoscere documenti che in forma "intellettuale" propugnano la radicale distruzione dello Stato di Israele. Si dirà che sono posizioni estreme, di scarso valore e poco significative. E' certamente vero che sono di infimo valore culturale e morale, ma non che siano poco significative. Basti ricordare un'opera come il «Mein Kampf». M.C. Chi sono i veri terroristi in Medio Oriente? di Oren Ben-Dor Mentre dei suoi cittadini vengono uccisi, Israele, ancora una volta, semina morte e distruzione in Libano. Cerca di presentare quest'orrore come necessario per la sua autodifesa. E forse l'osservatore distratto potrebbe giustificarlo a causa dei lanci di razzi su città israeliane come Haifa o la città dove vivo, Naharya. Gli stati dovrebbero difendere i propri cittadini, e quegli stati che falliscono in questo loro dovere dovrebbero essere messi in discussione e, se necessario, dovrebbero essere trasformati. Israele è uno stato che, invece di difendere i propri cittadini li mette tutti in pericolo, ebrei e non ebrei. Che cos'è che esattamente Israele sta difendendo con la sua violenza in Gaza e in Libano? Sono i suoi cittadini o la natura dello stato israeliano? Io sostengo che esso sta difendendo la seconda. L'entità statale di Israele è fondata su un'ideologia ingiusta che è causa di umiliazione e sofferenza inflitta a coloro che sono classificati come non-ebrei, secondo parametri |
religiosi o etnici. Per nascondere questa immoralità primordiale, Israele incrementa per sé un'immagine di vittima. Provocare la violenza, consapevolmente o inconsapevolmente, contro la quale ci si deve poi difendere è un aspetto determinante della mentalità vittimistica. Dal momento che ha bisogno di perpetuare un simile tragico ciclo, Israele è uno Stato terrorista come nessun altro. Molti tra coloro che vogliono nascondere l'immoralità di fondo dello Stato israeliano, lo fanno evitando di volgere e attirare lo sguardo sugli orrori dell'occupazione successiva al 1967 e proponendo una soluzione di due Stati, dal momento che sostenere uno Stato palestinese, implicitamente avalla l'ideologia che è dietro a quello ebraico. La stessa creazione di Israele richiese un atto di terrore. Nel 1948, la maggior parte degli abitanti indigeni non-ebrei subirono la pulizia etnica e furono espulsi da quella parte della Palestina che divenne Israele. Questa operazione era stata attentamente pianificata. Senza la pulizia etnica, non sarebbe stato possibile fondare uno Stato con una maggioranza e un carattere ebraico [1]. Dal 1948, gli "arabi israeliani", quei palestinesi che riuscirono ad evitare di essere espulsi, hanno subito una continua discriminazione. Nei fatti, molti sono stati dislocati nello stesso Israele, ufficialmente per "ragioni di sicurezza", ma in realtà allo scopo di prendere le loro terre e darle agli ebrei. Non è forse sicuro che la memoria dell'Olocausto e il desiderio di Eretz Israel (il Grande Israele, dal Nilo all'Eufrate, ndt) non sarebbero mai stati sufficienti per convincere il mondo della necessità della pulizia etnica e di uno Stato etnocratico? Allora per evitare la destabilizzazione che verrebbe da una indagine sull'eticità di Israele, lo Stato israeliano ricorre anche ad altri mezzi, per nascondere il problema centrale, e lo fa alimentando una mentalità vittimistica tra gli ebrei israeliani. Per tenere in piedi quella mentalità e per mantenere l'impressione davanti al mondo che gli ebrei siano le vittime, Israele deve alimentare le condizioni della violenza. Tutte le volte che le prospettive di violenza contro di esso diminuiscono, Israele deve fare il massimo per ricrearle: il mito che Israele è una povera vittima che cerca la pace e che però non trova "nessun partner per la pace" è un elemento fondamentale nel quadro che Israele ha elaborato per nascondere la sua immoralità primordiale e continua. Il successo ottenuto da Israele nella campagna condotta per mettere a tacere le critiche della sua iniziale e successiva spoliazione dei palestinesi non lascia a quest'ultimi nessuna altra scelta se non quella di ricorrere alla resistenza violenta. Dopo l'elezione di Hamas l'unico partito che, agli occhi dei palestinesi, non ha rinunciato alla loro causa la popolazione palestinese di Gaza e di Cisgiordania è stata schiacciata da una campagna di affamamento , di umiliazioni e violenza. L'insincero "ritiro" da Gaza, e il successivo assedio, hanno provocato una sequela di violenze che, fino ad ora, ha comportato il lancio di razzi Kassam, la cattura di un soldato israeliano e la quasi rioccupazione di Gaza. Ciò che oggi vediamo è la crescita dell'odio, la crescita della violenza da parte dei palestinesi, l'aumento delle umiliazioni e delle punizioni collettive da parte degli israeliani tutte cose utili a rafforzare e la mentalità vittimistica israeliana e lo status di mucca sacra dell'entità statale di Israele. La verità è che non era possibile spartire la Palestina con misure etiche accettabili. Israele è nato per mezzo del terrore e ha bisogno del terrore per nascondere la sua immoralità di fondo. Ogni qualvolta c'è un barlume di stabilità, lo Stato ordina un assassinio mirato come quello effettuato a Sidone prima dell'attuale crisi in Libano, ben sapendo che un simile atto non porta sicurezza ma più violenza. L'unilateralismo di Israele e il ciclo di violenza si nutrono a vicenda. Tra le violenze e malgrado il discorso convenzionale fatto per nascondere le radici della violenza, l'attualità ci invita a riflettere. Più rifiutiamo di rispondere all'impellenza di questa riflessione, e più l'attualità parlerà in termini di violenza. In ebraico, la parola elem (un silenzio stordito dall'oppressione e dallo sbigottimento) è etimologicamente legata alla parola almut (violenza). Il silenzio riguardo al fondamento immorale dell'entità statale israeliana ci rende tutti complici della crescita del terrorismo che minaccia una catastrofe di tali dimensioni da lacerare il mondo intero. ______________________ [1] Sarebbe nato solo uno stato multi-etnico, non razzista, di ebrei e palestinesi, che gli ebrei però non volevano. Invece, una proposta di minoranza della Commissione per la Sparizione del 1947 suggeriva espressamente questa ragionevole soluzione che ogni democratico oggi ha il dovere di riproporre. Ma, su pressione dei sionisti, vinse la proposta sostenuta da USA e Gran Bretagna di due stati etnici. Fu questa proposta voluta dai sionisti che fu approvata dall'ONU, allora costituito da soli 56 Stati dato che mancavano quasi tutti gli Stati che nasceranno dalla dissoluzione degli ex imperi coloniali di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, ecc. (oggi l'ONU è costituito da 194 paesi e dall'Onu attuale non sarebbe mai stata approvata la Risoluzione 181 sulla Spartizione della Palestina, questo è sicuro!). In quasi 60 anni di storia di Israele si è potuto vedere quali sono stati i risultati di quella sciagurata decisione, sarebbe tempo di finirla. Ndt. Oren Ben-Dor è israeliano, insegna 'Filosofia della Legge' e 'Filosofia Politica' all'Università di Southampton, Inghilterra. (uruknet.info, 27 agosto 2006 - Trad. Mauro Manno) 6. TESTIMONIANZE DA ISRAELE IN TEMPI DI GUERRA Vivo in Israele da alcune settimane, subito dopo l'inizio delle ostilità sono partita per lavorare come volontaria in questo piccolo paese che, pur non essendo io ebrea, considero la mia seconda patria: conosco bene Israele e la sua Storia e ho qui molti amici, sia di destra che di sinistra e di diverse condizioni sociali e di ogni provenienza, e anche quest'anno ho dedicato a loro ogni momento libero. Mi piace ascoltarli e discutere del passato e del presente e cercare di capire il loro punto di vista nato da esperienze in un luogo così diverso dall'Italia. Mi piace soprattutto parlare con le persone anziane che hanno abitato qui per tanti anni, che hanno combattuto in tutte le guerre e che hanno vissuto di persona la Storia durissima del secolo scorso. Vi propongo le loro parole così come le hanno pronunciate, io condivido alcune affermazioni e altre invece no, trovo però che tutte siano interessanti. Quella che segue è una conversazione con un'anziana signora di origine italiana. Nei prossimi giorni seguiranno quelle con altri testimoni, di matrice politico-cultrale molto diverse. Si tratta di una panoramica della società israeliana, fotografata in un momento di grande pressione psicologica e di grande tensione interna ed esterna Anna Rolli Miriam Bemporad La signora Miriam è un'ebrea di 78 anni, di origine italiana, che in Italia ha vissuto gli anni dell'adolescenza in una instabilita' senza fine. Oggi abita in una piccola casa con una magnifica vista sul mare, presso Tel Aviv. Il suo soggiorno è arredato con molta semplicità, c'è pero' una grande libreria e il pianoforte d'ebano della mamma, sul quale hanno studiato figli e nipoti, portato dall'Italia e vecchio di cent'anni, e in cucina il servizio di posate d'argento di famiglia, ci sono poi tanti piccoli oggetti di legno laccato, matriosche e cucchiai, dono degli studenti russi ai quali la signora Miriam insegna gratuitamente la lingua ebraica. "Da bambina mi sentivo orgogliosa per due motivi, di essere italiana e anche di essere ebrea perché la nostra discendenza era antichissima e la percepivo quasi come una forma di nobiltà. Ho un ricordo dolcissimo dei canti del sabato con i nonni nella nostra casa di Siena, poi, però, quelli che erano i miei amici sono stati tutti uccisi e anche tutti i miei parenti. Oggi la mia unica nostalgia dell'Italia è per il caffè espresso e guai se mi si rompe la macchinetta. Ciò non vuol dire che io non amassi l'Italia, l'amavo molto però ad un certo punto ho debbo: 'Basta! Voglio andare a casa mia!' E casa mia è la Terra d'Israele che noi chiamamo: Erez Israel. Ho lasciato Napoli, dove sono nata, a dieci anni, sono andata a Siena per un anno, poi a Firenze per un anno, poi a Milano per un altro anno e poi a Torino e dopo pochi mesi nel '43 sono iniziati i bombardamenti e il tempio e la scuola ebraica sono rimasti fortemente danneggiati, cosi' i miei genitori sfollarono a Saluzzo e io fui mandata a Siena per continuare gli studi e avevo oramai 15 anni e stavo finendo il ginnasio. Ci siamo spostati tante volte perché mio padre, essendo ebreo, perdeva continuamente il lavoro e poi veniva assunto di nuovo da qualche altra parte, dato che era un ingegnere molto bravo e onesto e allora c'era molto bisogno di ingegneri perché gli uomini erano tutti militari. Dopo l'esame di ammissione al Liceo ho potuto raggiungere i miei genitori a Saluzzo. Il mio primo fidanzato si chiamava Lelio Levi e viveva lì. Della sua famiglia è sopravvissuto soltanto Isacco Levi, il fratello. Lelio si unì ai partigiani ma una volta venne, dalla montagna, a trovarmi e io ancora ricordo la sensazione mentre scendevo le scale, dopo aver sentito la sua voce che mi chiamava, volavo, non toccavo i gradini con i piedi. Poi lui venne preso in combattimento. Sua madre, la giovane zia materna e la sorellina di 14 anni si consegnarono ai nazisti con la speranza di rivederlo e di potergli stare vicino. Nessuno di loro è tornato. A Saluzzo arrivarono i tedeschi e sapemmo che avevano la lista degli ebrei, allora, di mattina presto si scappò. La stazione era piena di sbandati e di ufficiali dell'esercito italiano che tentavano di raccoglierli per formare le bande partigiane. Arrivammo a Torino e vivevamo nell'appartamento del proprietario della fabbrica di penne stilografiche 'Aurora' per la quale lavorava mio padre. Fummo avvisati che i nonni a Siena erano stati presi dai nazisti e allora ci nascondemmo a San Pietro di Coassolo torinese. Era un piccolo villaggio dove all'inizio ci trattarono molto freddamente perché credevano che mio padre fosse un fascista meridionale. Poco dopo però un capo partigiano che ci conosceva e che era molto stimato da tutti, garantì per noi e minacciò i fascisti locali in caso ci fosse successo qualcosa. Finita la guerra conobbi i soldati della brigata ebraica e insieme ci dedicammo ai bambini ebrei molti dei quali orfani e denutriti e che per la prima volta dopo tanti mesi potevano uscire dai loro nascondigli e che noi cercavamo di far divertire, oltre a farli studiare un po' e a nutrirli. Nel frattempo ero stata ammessa nella Scuola di Poggio Imperiale molto prestigiosa perché riservata soprattutto alle ragazze nobili. Ma io non mi presentai all'appuntamento con mia madre per andare a comperare la divisa. Senza dirle nulla decisi di arruolarmi nel Palmach, le truppe d'assalto ebraiche, e di trasfermi in Erez Israel. Viaggiai nel '47 su una nave clandestina, dopo lo sbarco una gran parte di noi riuscì a sfuggire agli inglesi ma passate poche ore, nel Kibbutz di Nitzanim che era stato accerchiato, fui arrestata insieme a tanti altri e a quello che sarebbe diventato mio marito, per essere deportata a Cipro dove gli inglesi avevano organizzato campi di concentramento per gli ebrei. Quando siamo arrivati là ci siamo rifiutati di salire in coperta, eravamo nella stiva e l'avevamo distrutta per procurarci pezzi di legno e ci eravamo preparati a combattere. Gli inglesi, capita la situazione, non scesero e buttarono tre candelotti lacrimogeni mentre noi si resisteva coprendoci la bocca e il naso con stracci bagnati, infine ci hanno mentito dicendoci che nel porto stavano aspettando altri ebrei che avevano il diritto di salire sulla nave per entrare in Palestina in base alle quote accordate. Allora siamo usciti e abbiamo iniziato a scendere una scaletta molto ripida per arrivare alla zattera. La nave prigionieri era altissima e con altissime reti. Ad un certo punto abbiamo sentito il rumore di un sonoro ceffone. Era una donna ebrea magrissima, sopravvissuta ad un campo di sterminio, che aveva schiaffeggiato un soldato inglese e mostrando il tatuaggio sul braccio gridava in ebraico 'Lo od!' che significa 'Mai più perché quello, per scherno, aveva cercato di farla cadere. Da Cipro mi permisero di tornare in Israele dopo soli 10 giorni perché non avendo documenti riusciì a far credere che ero stata deportata per sbaglio. In seguito ho sempre vissuto in questo paese, prima in kibbutz poi a Giaffo e infine a Batiam e ho visto tutte le guerre e tutta la cattiveria degli arabi che hanno sempre cercato di ucciderci. Ho avuto tre figli, il primo Elyeser ha combattuto nella guerra dello Yom Kippur come aviatore e anche il secondo Ury come meccanico di carri armati, e Avishai, l'ultimo, nell'82 ha fatto parte delle squadre di pronto soccorso in Libano. "L'ultima volta ho votato Likud per paura di disperdere il voto. Cerco però un partito ancora più determinato e che abbia più coraggio nell'affermare che Israele è la nostra casa. Gli europei prima e durante la seconda guerra mondiale ci dicevano 'Tornatevene in Palestina' dopo invece hanno iniziato a gridarci 'Fuori dalla Palestina'. Nel dopoguerra molti paesi del mondo hanno avuto profughi, l'Italia ne ha avuti 400.000 tra istriani e dalmati, la Germania milioni dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia, l'India e la Russia a milioni. Scambi di popolazioni si sono avuti ovunque. Qui ci sono stati 6-700.000 profughi palestinesi e 8-900.000 profughi ebrei espulsi dai paesi arabi e derubati di ogni cosa. Noi abbiamo accolto fraternamente i nostri profughi e li abbiamo curati, istruiti e integrati compresi gli etiopi e gli yemeniti, quest'ultimi così arretrati che su un aereo mentre li trasportavano in Israele hanno acceso un fuoco per prepararsi il caffè. Gli arabi invece non hanno nè aiutato, nè integrato i loro profughi, li hanno confinati nei campi e hanno inventato la nazionalita' palestinese che non era mai esistita prima e che non ha alcun fondamento storico, per usarla contro di noi e per negare il diritto degli ebrei ad avere una propria patria indipendente. Agli arabi nel momento del crollo dell'impero turco era stato assegnato un territorio vasto come un continente e non hanno voluto accettare che agli ebrei andasse un fazzoletto di terra per costruirci la loro patria. Nel novembre del 1947 agli ebrei è stato assegnato un quinto di quello che era stato loro promesso, con la dichiarazione Balfour, dopo la prima guerra mondiale, ma agli arabi non e' andata bene neppure così e ci hanno mosso guerra quando il paese, nella fascia costiera, aveva una profondità di territorio di soli 14 kilometri. I palestinesi sono ancora considerati profughi mentre tutte le altre genti, scacciate dopo la seconda guerra mondiale, non lo sono più da decenni, sono stati finanziati e hanno ricevuto aiuti piu' di qualsiasi altra etnia ma hanno avuto i peggiori leaders che si possa immaginare che li hanno sempre spinti alla guerra e all'odio e che li hanno sempre derubati di tutto. Appena arrivata in Israele nel 1947 lavoravo nel kibbutz di Ramat Akovesh ma appartenevo al kibbutz in formazione di Regavim, tornavo a casa a piedi e incontravo ogni sera un arabo che veniva dalla direzione opposta e insieme prendevamo un sentiero sabbioso che portava anche al suo villaggio, di fronte al kibbutz. Non avevamo una lingua in comune ma ci dicevamo ogni volta 'Shalom' per salutarci, aveva un aspetto molto povero e avvilito. Pensavo allora 'Io sto portando il mio pesante fardello di ricordi ma qual'è il suo fardello? Da dove viene tanta tristezza?' Poi io sono andata a vivere a Givat Brenner e non l'ho piu' visto. Qui in Israele gli italiani sono quasi sempre di sinistra, per cultura e per tradizione, per gli italiani la destra rappresenta il fascismo ma si sbagliano. La destra israeliana esprime amor di patria e senso di appartenenza al popolo senza vergognarsi della tradizione e rifiutando l'assimilazione. Ciò che non mi piace in una parte della sinistra è un certo atteggiamento come a volersi ingraziare gli arabi, come a chiedere la loro benevolenza e anche a volersi assimilare a loro. Io vengo dalla Hashomer Hatzair che è un'associazione giovanile di sinistra quindi alcuni ideali della sinistra li condivido, come per esempio la solidarietà, però allora eravamo anche molto patrioti. Io sono stata contraria allo sgombero da Gaza l'estate passata. Lo sa perche' il confine del '67 viene chiamato la 'La linea verde'? Perché il vecchio confine d'Israele segnava il punto nel quale finiva la terra verde, cioè quella bonificata e coltivata, e iniziava la terra incolta e sterile abitata dagli arabi. I coloni a Gaza erano agricoltori e pescatori, andati la' con il permesso del governo. Hanno lavorato per decenni, per tre generazioni, creando anche la' una linea verde ed esportando in Europa fiori, frutta e verdura e dando lavoro anche agli arabi. Purtroppo a volte succedeva che un ebreo venisse pugnalato perché gli arabi debbono ammazzare un ebreo per dimostrare di essere 'degni' di appartenere ad una banda di terroristi. Io sono contraria ad abbandonare la Cisgiordania agli arabi perché la Giudea e la Samaria sono la culla del nostro popolo. A Hebron alla fine del 1400 il sindaco della città era un rabbino italiano venuto da Baltimora, Hebron è stata abitata dagli ebrei fino al 1929 quando gli arabi decisero di ucciderli tutti durante un orrendo pogrom e gli inglesi portarono via i pochi sopravvissuti impedendo loro di tornare indietro per ragioni di sicurezza e soprattutto perche' hanno sempre preferito 'l'arabo pittoresco'agli ebrei tanto poco docili e sottomessi a confronto degli altri 'indigeni'. Quando nel 1967 Tsahal entrò ad Hebron gli arabi erano talmente spaventati che da ogni finestra pendeva un lenzuolo bianco. Oggi non e' facile pensare ad una soluzione. Cosa si puo' fare? Bisognerebbe imparare dalla Bibbia che non e' religione o almeno non è soltanto religione, la Bibbia è Storia e Diritto e insegnamento per la vita. E poi bisognerebbe imparare anche dalla Storia del mondo e dalla Storia dei nostri padri per trovare una soluzione. (Agenzia Radicale, 25 agosto 2006) MUSICA E IMMAGINI In the Window INDIRIZZI INTERNET Anti-Semitism The Rock of Israel Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |