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Notizie su Israele 374 - 9 gennaio 2007

1. Aspettando il Mahdi
2. E' cominciato il declino di Ahmadinejad?
3. Per chi nega l'Olocausto
4. Per chi piange la morte di Saddam
5. Il Monte del Tempio e l'archeologia
6. Un paese unico al mondo
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Salmo 125:1-2. Quelli che confidano nel SIGNORE sono come il monte di Sion, che non può vacillare, ma sta saldo in eterno. Gerusalemme è circondata dai monti; e così il SIGNORE circonda il suo popolo, ora e per sempre.
1. ASPETTANDO IL MAHDI




Iran: "Il Dodicesimo Imam sconfiggerà i suoi nemici a Gerusalemme"

La Ka'ba
Una trionfale profezia religiosa ha fatto la sua comparsa sul sito ufficiale dell'emittente tele-radiofonica di stato iraniana IRIB, preannunciando il ritorno del messia sciita.
    Stando a quanto afferma un programma diffuso dal sito web intitolato "Il mondo verso l'illuminazione", "l'Imam Mahdi (che Iddio ne affretti la ricomparsa) apparirà improvvisamente sulla scena del mondo con una voce dai cieli che ne annuncerà la riapparizione alla Ka'ba santa della Mecca".
    Il programma, regolarmente aggiornato fa novembre e dicembre, narra che il Mahdi riapparirà alla Mecca e formerà un esercito per sconfiggere i nemici dell'islam in una serie di apocalittiche battaglie con le quali sconfiggerà il suo arcinemico a Gerusalemme.
    "La veggenza del Mahdi – continua il sito ufficiale iraniano – e la sua risolutezza di fronte agli elementi malvagi incuteranno terrore. Dopo la sua insurrezione dalla Mecca, tutta l'Arabia gli sarà sottomessa e poi anche altre parti del mondo, mentre egli marcerà sull'Iraq e istituirà la sua sede di governo globale nella città di Kufa. Allora l'Imam invierà diecimila dei suoi uomini a est e a ovest per sradicare gli oppressori. A quel tempo Iddio gli faciliterà le cose e le terre finiranno sotto il suo controllo una dopo l'altra. Dopo la sua apparizione, l'Imam rimarrà alla Mecca per qualche tempo e poi andrà a Medina… un discendente dell'arcinemico del Profeta Abu Sufyan si impadronirà della Siria e attaccherà l'Iraq e il Hejaz con la ferocia di una belva… Alla fine l'Imam Mahdi manderà truppe che uccideranno i Sofyani a Beit ol-Moqaddas (Gerusalemme), la città santa islamica in Palestina che è attualmente sotto l'occupazione dei sionisti.
    Secondo le pagine del sito della IRIB iraniana, il Mahdi riapparirà sulla Terra con Gesù: "Leggiamo nel libro Tazkarat ol-Olia che il Mahdi verrà accompagnato da Gesù, figlio di Maria… L' Imam Mahdi sarà il leader mentre il Profeta Gesù sarà il suo luogotenente nella lotta contro l'oppressione e per l'instaurazione della giustizia nel mondo… La sede del governo globale del Mahdi sarà la città di Kufa, dove il suo quartier generale sarà nella moschea Sahla… Da lì egli dominerà l'est e l'ovest, per riempire la terra di giustizia".
    Il sito ufficiale iraniano aggiunge molti dettagli sul ritorno del Mahdi, compresa la descrizione delle sue caratteristiche fisiche di "essere umano perfetto". La sua venuta, secondo alcune fonti islamiche citate dal sito, "potrebbe coincidere con l'equinozio di primavera".
    "Come promesso dall'Onnipotente – conclude il sito iraniano – il Mahdi sradicherà tutta la corruzione e l'ingiustizia dalla faccia della Terra e istituirà il governo globale di pace, giustizia ed equità".

(YnetNews, 31 dicembre 2006 - da israele.net)





2. E' COMINCIATO IL DECLINO DI AHMADINEJAD?




Iran: in parlamento raccolta firme per impeachment Ahmadinejad

TEHERAN - E' iniziata nel Majlis, il parlamento iraniano, una raccolta di firme per convocare in seduta plenaria il presidente Mahmoud Ahmadinejad. L'iniziativa partita dai banchi dell'opposizione riformista, ha raccolto fino a questo momento 38 firme. Noureddin Pirmouzen, deputato della frazione di minoranza, che comprende anche i pochi deputati riformisti presenti nell'attuale parlamento, ammette la difficolta' di raggiungere le 72 firme necessarie per convocare Ahmadinejad, ma giudica ugualmente "un fatto positivo aver messo in discussione'' il capo dell'esecutivo. "Molte azioni dell'attuale governo e del presidente Ahmadinejad - ha dichiarato Pirmouzen al sito Aftab - hanno trascinato il paese in una situazione politica ed economica molto preoccupante". "La recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza - ha aggiunto il deputato riformista - è la goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza di molti iraniani". "Il Majlis- ha concluso Pirmouzen- non può rimanere inerte dinnanzi all'attuale situazione e vedere affondare la nostra economia per l'incapacità di chi sta al governo".
    Issa Saharkhiz, editore e analista politico, parlando con l'AKI ADNKRONOS INTERNATIONAL, giudica "conclusa la fase d'oro di Ahmadinejad" e parla di inizio "del declino dell'attuale governo". "Non credo che Ahmadinejad lascerà la presidenza prima della fine del suo mandato, come sono convinto che non riuscirà a farsi rieleggere per una seconda volta", aggiunge Saharkhiz. "Molti tra le fazioni e le personalità che hanno appoggiato la candidatura di Ahmadinejad alle presidenziali del 2005 - sostiene Saharkhiz - lo hanno già abbandonato e non risparmiano critiche, anche molto dure e dirette, all'operato dell'attuale presidente e del suo governo".

(Rah/Aki, 8 gennaio 2007)

* * *

Ahmadinejad urla ancora ma il futuro è dei moderati

La paura ha spinto la gente alle recenti elezioni per l'Assemblea degli Esperti
La silenziosa scalata di Rafsanjani verso la Guida Suprema


di Mauro Mauri

Se le elezioni presidenziali del 1997 furono marcate dall'entusiasmo con cui i giovani, desiderosi di cambiamenti, si recarono alle urne, quelle dell'anno scorso avvennero all'insegna dell'astensionismo, della rassegnazione e dell'indifferenza verso un sistema politico che proprio non sapeva rispondere alle loro aspettative. Di questo, nonché della divisione tra i candidati riformisti ne beneficiò Ahmadinejad, che da parte sua, con le proprie farneticazioni ha risvegliato i torpori dell'elettorato progressista preoccupando i conservatori moderati, quasi imponendo loro di allearsi.

La paura
    A metà dicembre, in occasione dell'elezione per il rinnovo dell'Assemblea degli Esperti a far tornare la gente a votare è stata la paura, la fifa matta di compiere passi indietro, soprattutto il terrore di far piombare il paese in un conflitto armato: è stato questo a determinare lo spostamento di voti verso i candidati fedeli ad Hasemi Rafsanjani ed ai rinnovatori. Tra il popolo persiano cresce la consapevolezza che continuare sulla strada tracciata da Ahmadinejad significa isolare nuovamente il paese, rischio assolutamente sgradito non solo al popolo ed alle forze riformatrici, ma addirittura al clero conservatore-moderato, netto vincitore delle importantissime elezioni con cui è stata rinnovata l'Assemblea degli Esperti, che per i prossimi otto anni sarà saldamente nelle mani degli uomini di Rafsanjani, alleatosi con i riformatori, che può disporre di sessantacinque voti sugli ottantasei complessivo. L'Assemblea ha il compito di nominare la Guida Suprema, carica a vita, nonché - almeno in linea teorica - di destituirlo qualora si scosti dai principi della rivoluzione.
    In conseguenza degli eventi la prospettiva politica immediata è che, pressato dagli Esperti, la Guida Suprema Ali Khamenei inviti Ahmadinejad a darsi una calmata con gli attacchi all'Occidente nonché, sul tema nucleare, a raggiungere un compromesso con l'ONU. Per il futuro, stante il precario stato di salute di Khameni è facile dedurre che le ultime elezioni sono il primo passo dello scaltro Rafsanjani verso il raggiungimento del vero ruolo di potere: quello di Guida Suprema.

I religiosi
    Le elezioni, seppur formalmente libere, sono pilotate dalla Mullahcrazia al fine di perpetrare il potere a se stessi. Al popolo viene concesso di scegliere unicamente tra i candidati che hanno avuto il placet dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, potentissimo organo istituzionale saldamente nelle mani dei conservatori, a cui spetta verificare che idee e stile di vita dei candidati siano coerenti con lo spirito rivoluzionario e che quanto approvato in parlamento ossequi i dettami religiosi. I dodici membri, sei religiosi e sei laici, sono nominati direttamente dalla Guida Suprema: per esser scelto è necessario aver la barba. I conflitti legislativi tra parlamento e Consiglio dei Guardiani - ve ne furono molti durante la presidenza di Khatami - vengono sottoposti al Consiglio d'Arbitrato (Expediency Council) sempre nominato dalla Guida Suprema, a cui spetta il compito di mediare. Quello del parlamento e del Presidente è un potere estremamente affievolito appunto dal rischio di incorrere nei veti del Consiglio dei Guardiani.

I precedenti
    Dopo la cacciata dello Scià il primo Presidente eletto fu Abolhassan Banisadr, laico e filo marxista, sostenuto dall'Ayatollah Khomeini che agli esordi rivoluzionari intendeva lasciare la presidenza in mano ad un laico. Ben presto i due entrarono in rotta di collisione: nel Giugno del 1981 su pressione di Khomeini stesso il parlamento approvò l'impeachment di Banisadr che, per evitare l'impiccagione, fuggì a Parigi, ironia della sorte, proprio la città da cui l'Ayatollah Supremo era partito per il trionfale ritorno in patria. Le seguenti elezioni dichiararono vincitore Mohamed Ali Rajai, deceduto in un misterioso attentato l'anno successivo. Nel 1981 venne bulgaramente eletto l'Ayatollah Ali Khamenei, delfino di Khomeini: nel 1989, alla scomparsa di quest'ultimo, Khamenei prese il suo posto come Guida Suprema. Contestualmente venne eletto Presidente Rafsanjani, un mullah conservatore rinomato per pragmatismo, astuzia ed abilità oratoria, tanto pacato nell'esprimersi quanto capace di mettere in difficoltà qualsiasi interlocutore: oltre a rendersi conto della necessità di ricongiungere l'Iran al mondo, fu abilissimo nel non inimicarsi i vari ed intricati organismi istituzionali, mantenendo la politica in equilibrio ed il paese in un perenne stallo che comunque non rispondeva ai desideri di democrazia e libertà della gioventù iraniana.

Il riformista dalla mani legate
    Stanchi di viver soggiogati ai dettami religiosi e desiderosi di libertà, in occasione delle presidenziali del 1997, con Rafsanjani fuori gara per aver raggiunto il limite costituzionale dei due mandati consecutivi, i giovani si recarono in massa per sostenere Khatami, un mullah-filosofo riformatore che ottenne una maggioranza travolgente. Anche se con il suo arrivo cambiava la testa del regime, il corpo era rimasto invariato: anche se ai vertici era arrivato un uomo indubbiamente intenzionato a riformare la politica, rimaneva il corpo, costituito da importanti organismi istituzionali e da una miriade di funzionari governativi che, spesso per interessi puramente economici mascherati da convinzioni religiose, era vincolato all'ala più rigida del clero conservatore. la «farsa» Iran di oggi: nelle più differenti circostanze ho provato a chiedere a varie persone come si erano comportati in occasione delle ultime elezioni presidenziali: la stragrande maggioranza ha risposto che non era andata a votare, che le elezioni sono una perdita di tempo, che sono una farsa visto che "loro" - i mullah - decidono in partenza chi deve vincere. In ogni caso al primo turno Ahmadinejad, dopo un contestato riconteggio dei voti avvenuto a discapito di un candidato riformista, andò al ballottaggio col 19.43% dei consensi, provenienti soprattutto dal ceto basso, attratto dal suo modo informale e diretto e dalle promesse populiste, nonché dalle famiglie di chi fa parte del sistema, persone a cui lo status quo attuale garantisce benessere economico. Un ruolo di rilievo nel convincere la gente a votarlo lo ebbero le minacce delle Bassij, la temuta quanto odiata milizia dalle cui fila proviene lo stesso Ahmadinejad, che compì il primo passo verso la presidenza nel Maggio del 2003 diventando sindaco di Teheran in un'elezione a cui partecipò solo il 12% degli aventi diritto. Tornando al secondo turno delle presidenziali del 2005, i vari analisti sostengono che, anche per gonfiare il numero degli elettori al fine di accreditare internazionalmente un impalpabile sostegno popolare, molte schede bianche si siano trasformate in voti per i potenti di turno. Sta di fatto che al ballottaggio ci sono persone che, anziché optare per Rafsanjani, ora nominato Presidente del Consiglio d'Arbitrato, scelsero Ahmadinejad pur ritenendolo il peggior candidato, nella speranza che facesse crollare la situazione, semplificando così una svolta radicale.

Il nucleare «Carta straccia»
    Questo il secco commento alle decisioni dell'ONU di Ahmadinejad che ha aggiunto: «L'Occidente dovrà rassegnarsi a vivere con un Iran dotato di tecnologia atomica. Che a loro piaccia o nò, l'Iran è un paese nucleare ed è nel loro interesse vivere al nostro fianco. Oggi tentano di turbare l'unità del popolo iraniano con questa carta straccia». Da ciò se ne deduce che le imposizioni non dovrebbero scalfire - ma il condizionale, soprattutto dopo le recenti elezioni è d'obbligo - le intenzioni di Teheran di proseguire con il programma nucleare. Quella del presidente pare una posizione basata sull'orgoglio del non voler abbassar la testa alle richieste dell'Occidente, capitanato dall'odiata America, piuttosto che sul volersi munire di una struttura atta a sfornare un armamento nucleare da utilizzare per fini bellici. In Iran sono ben consci che un eventuale passaggio dal nucleare ad uso civile a quello ad uso militare non avrebbe alcuna chance di passare inosservato alle sofisticate apparecchiature di cui sono dotate le varie organizzazioni che fanno riferimento all'ONU. Dunque: vi è la volontà politica di dotarsi di arma atomica da utilizzare in primis per attaccare Israele o l'America? Can che abbaia non morde? Si deve considerare che le continue minacce e l'odioso blaterare di Ahmadinejad hanno il sostegno di pochissimi rappresentanti del clero sciita, forse solo dell'ala neofondamentalista del suo mentore, il mullah Mohamed Tagh Mesbah Yazdi, bollato come teoretico della violenza dal sempre più rimpianto ex Presidente Khatami, che a suo tempo aveva lanciato un appello ai responsabili di tutte le religioni affinché si impegnassero nella messa al bando delle armi chimiche ed atomiche. Una fatwa dal contenuto analogo pare che sia stata emessa dalla Guida Suprema.

L'ambiguità Usa
    Facciamo un salto a ritroso negli anni: le mire al nucleare di Teheran non sono recenti, risalgono al periodo dello Scià, a suo tempo addirittura testimonial di grosse aziende d'oltreoceano che, in prospettiva di costruire impianti nucleari, in tema di sicurezza intendevano tranquillizzare l'opinione pubblica americana. Ecco cosa recitava una pubblicità di Time negli anni 70: «Pur sedendo su una delle più grandi riserve petrolifere mondiali, sapendo che non durano in eterno, intende dotarsi di centrali nucleari per fornire al suo paese energia elettrica a basso costo» e concludeva laconica: «Non ci si deve recare lontano come in Iran per sostenere gli impianti nucleari». Chi avrebbe potuto immaginare che, dopo trent'anni le cose si sarebbero completamente ribaltate? Certo l'atomica in mano ad Ahmadinejad non può affatto tranquillizzare il mondo. Se l'Occidente pare convinto che il regime teocratico intenda portar avanti la ricerca nucleare per fini militari, tra i dissidenti iraniani non vi è uniformità di pensiero, e molti reputano che tuttora l'obiettivo sia quello antico, rivolto al futuro, a quando le risorse petrolifere si esauriranno. Fonti governative sostengono che il mantener alta la tensione sul nucleare sia dovuto anche ad un tacito accordo con Bush e ad un gioco delle parti che ci sarebbe in atto, utile a mantener elevato il prezzo del greggio, vist'appunto che la crescita della tensione comporta l'aumento del suo prezzo.

(La Provincia, 8 gennaio 2007)





3. PER CHI NEGA L'OLOCAUSTO




Dopo la conferenza di Teheran sull'Olocausto, parla l'unico sopravvissuto del Sonderkommando di Auschwitz vivente in Italia.

Camere a gas, ecco com'erano

Si chiama Shlomo Venezia e ora abita a Roma: in un libro che esce a giorni in Francia racconta la sua terribile esperienza nei crematori Delle «squadre speciali» restano oggi solo una dozzina di superstiti: «Che rabbia sentire Ahmadinejad», spiega l'ex deportato.

di Lorenzo Fazzini

Essere vivo dentro l'inferno, vivere l'inferno da vivo. E raccontarlo oggi perché quell'esperienza - negata dal delirio di un uomo di stato, il presidente iraniano Ahmadinejad - resti nella memoria di tutti. Per questi e altri motivi Shlomo Venezia, tra i pochissimi membri di un Sonderkommando sopravvissuti ai lager nazisti, ha messo per iscritto i ricordi di quando fu costretto ad un agghiacciante lavoro nel campo di Auschwitz-Birkenau. I Sonderkommandos, ossia «squadre speciali» erano infatti i gruppi di prigionieri costretti ad occuparsi del funzionamento dei forni crematori e, là dove esistevano, delle camere a gas.
    Il libro uscirà il 10 gennaio per i tipi della parigina Albin Michel, con il titolo Sonderkommando. Dans l'enfer des chambres à gaz; in italiano verrà edito da Rizzoli ad ottobre. «Questa è la sola testimonianza completa disponibile di un sopravvissuto dei Sonderkommandos» rimarca Simone Veil, presidente della Fondazione per la Memoria della Shoah di Parigi, nell'introduzione. Venezia è l'unico ex membro delle "squadre speciali" vivente oggi in Italia; in tutto il mondo ne restano una dozzina: «Ci sono mio fratello e mio cugino che abitano in California», spiega l'83enne ex deportato.
    Sebbene il protagonista sia italianissimo - ma nato in Grecia, a Salonicco, nel 1923 - curiosamente il suo libro viene pubblicato prima in Francia che da noi. «Ne avevo già scritto un po' per conto mio. E l'amicizia di una famiglia ebrea francese, il cui padre è stato deportato come me, mi ha aiutato a completarlo». Venezia non è nuovo al racconto di quanto ha visto e ora testimonia sui campi di sterminio: «Dal 1992 in poi iniziai ad andare nelle scuole per parlare di quanto ho vissuto; ho fatto molti viaggi - ben 45 - ad Auschwitz con gli studenti e con il sindaco di Roma Veltroni».
    Ma fino a 15 anni fa, l'ex Sonderkommando non riusciva a rievocare il suo passato di ausiliare alle camere a gas, il patibolo dei suoi corregionali («e non solo: morirono anche migliaia di non ebrei»): «Si tenne dentro tutto per molti anni, la gente non voleva sapere cosa era stato» dice la moglie. «E quando un giorno - sarà stato 20 anni fa - si confidò per la prima volta con alcuni amici, ci fu chi lo prese per matto. Allora si chiuse in se stesso e non ne parlò più».
    Fino a quando qualcosa sbloccò Shlomo: «Quelle grida negli stati, le svastiche sui muri, le stelle gialle sui negozi ebrei di Roma: tutte pugnalate al cuore. Quei fatti mi convinsero a parlare». E ora che c'è chi, dall'alto di una carica politica, definisce l'Olocausto «una montatura sionista». Per Venezia la missione di ricordare i cadaveri estratti dalle camere a gas diventa impellente come non mai: «Sentire Ahmadinejad dire certe cose è come uccidermi. Andrei volentieri con lui su quei posti: anche se i forni sono stati fatti saltare in aria, potrei fargli vedere dov'erano e raccontargli che si lavorava a turni ininterrotti di 12 ore. C'era così tanto da fare che a volte non ci riportavano nelle baracche per la notte: dormivamo negli abbaini dei forni crematori».
    Per l'ebreo italiano di Salonicco il dramma iniziò nel 1943: «Facevo parte del terz'ultimo gruppo di ebrei deportati dalla Grecia. I tedeschi ci presero con l'inganno: ci avevano promesso un posto dove c'era lavoro, perché la situazione in Grecia era difficile. Partiti da Atene, alla stazione della mia città incrociai un mio vicino greco, addetto al controllo dei freni del treno: Scappate, perché dove vi portano vi uccideranno tutti, mi disse. Ma quando tentammo di evadere dal treno - io, mio fratello e due cugini - mio zio ci dissuase: se lo fate, i tedeschi ci fucileranno tutti, ci disse. Rinunciammo». Quel viaggio fu comunque tragico: «Su 1500 persone nel convoglio, più di mille vennero eliminate appena arrivate».
    Così, nell'inverno del 1943, il ventenne Shlomo si ritrova ad Auschwitz: «Un giorno ci convocarono in adunata e un comandante chiese 80 "pezzi" per lavorare. Ci chiamavano così, "pezzi": per loro non eravamo persone. Mi feci avanti, dicendo che facevo il barbiere: speravo di poter lavorare al riparo del freddo». Poi la triste scoperta: «Mi diedero in mano una forbice e mi portarono ai quattro crematori di Birkenau. Altro che barbiere: dovevo tagliare i capelli ai cadaveri che venivano portati fuori. Ogni settimana veniva un camion a ritirare i sacchi di capelli: li usavano per fare le moquette dei sommergibili e pantofole da signore». Come reagì? «I primi 10-20 giorni ero completamente choccato dell'enorme crimine che avevo sotto gli occhi. Alla sera andavo a dormire, ma non riuscivo a chiudere occhio. Non sapevo se ero vivo o morto, avevo perso la cognizione delle cose. Poi, smisi di pensare».
    Oggi, oltre al dramma di ricordare («dopo aver raccontato questi fatti, devo stare zitto per quattro giorni» confessa), c'è anche un dovere di rendere testimonianza: «Qualcuno ha provato a spiegare cosa fossero le camere a gas e i forni crematori. Ma per dire qualcosa su questo bisogna esserci stati dentro, e questo non avveniva: chi, anche solo per caso, ne varcava la porta, veniva eliminato». L'ordine era tassativo: non dovevano esserci testimoni dell'orrore. «In media, l'intero processo di eliminazione di un convoglio

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durava 72 ore. Uccidere la gente era una cosa veloce, più lungo era bruciare i cadaveri: non c'era un minuto di stasi» racconta Venezia. Che si chiede: «E c'è chi dice non è successo niente di tutto questo?».
    Non c'è rabbia nelle parole dell'anziano ebreo: «Dopo quei fatti sono diventato buono, buonissimo… Mi resta dentro qualcosa che non riesco ad esternare». E se già prima di essere deportato il giovane Venezia non era religioso, oggi dice: «Io cerco di credere nei Dieci comandamenti: non uccidere, non rubare… Mi attengo a questo».

(Avvenire, 3 gennaio 2007)





4. PER CHI PIANGE LA MORTE DI SADDAM




Saddam Hussein: quando esportava il terrore in Israele

di Giulio Meotti

ROMA - Nelle attuali discussioni sull'esecuzione di Saddam Hussein, il Jerusalem Post interviene con un duro editoriale ricordando, a chi oggi piange la morte di stato del carnefice di Tikrit, la sua retorica antiebraica, i missili iracheni lanciati sulle città israeliane e il fiume di denaro proveniente da Baghdad destinato alle famiglie dei terroristi palestinesi. In Cisgiordania e nella striscia di Gaza l'ex dittatore iracheno era considerato un grande alleato e un generoso benefattore. Durante la guerra del Golfo del 1991, la piazza palestinese inneggiava ai missili Scud lanciati da Saddam contro Israele cantando "Beneamato Saddam, bombarda Tel Aviv". Poi, nella cosiddetta "seconda Intifada", Saddam ordinò di versare 25 mila dollari alla famiglia di ogni attentatore suicida che riusciva a compiere una strage di israeliani e 10 mila dollari alle famiglie dei palestinesi morti negli scontri a fuoco con gli israeliani. Questo avveniva quando lo stipendio medio nei territori era fermo a 35 dollari. In varie città palestinesi nei giorni scorsi sono state erette "tende delle condoglianze" dove la gente può riunirsi per celebrare il lutto all'ombra di bandiere irachene e palestinesi e ritratti dell'ex dittatore, accanto a quelle dell'ex rais Yasser Arafat, amico e sodale di Saddam. Nell'agosto del 1990, dopo aver invaso e soggiogato il Kuwait nel giro di ventiquattro ore, Saddam denominò non a caso quell'offensiva "Operazione Gerusalemme". "Ormai si considerava il nuovo Saladino destinato a sconfiggere 'i nuovi crociati' (gli ebrei, ndr) e a conquistare la Terra Santa", spiega il Post. Attese sei mesi e, nel gennaio 1991, quando gli americani avviarono l'attacco all'Iraq, iniziò a lanciare missili a lungo raggio dall'Iraq occidentale contro lo stato d'Israele. "I sionisti stanno uccidendo l'eroico popolo di Palestina".
    Per più di cinque settimane una quarantina di missili Scud vennero lanciati in diciassette ondate. "Pur non brillando come stratega militare, Saddam aveva ben compreso le ridotte dimensioni di Israele, la sua alta densità di popolazione e l'impatto che avrebbe avuto colpirlo sul fronte domestico israeliano. Usando missili a lungo raggio obbligò gli israeliani a riesaminare il loro senso di sicurezza. Pur non avendo usato armi di distruzione di massa – nonostante le minacce iniziali che costrinsero la popolazione israeliana a chiudersi nelle stanze sigillate con le maschere antigas sul volto – la mera minaccia di farne uso fu sufficiente a preoccupare molto Israele, costringendolo ad adottare tutta una serie di complicate misure difensive". Arafat fu uno dei pochissimi capi arabi a recarsi in visita a Baghdad per esprimere sostegno a Saddam e alla sua invasione del Kuwait, una mossa che successivamente costò l'espulsione per rappresaglia di centinaia di migliaia di palestinesi dal Kuwait e da altri stati del Golfo. La decisione di Arafat di schierarsi con Saddam provocò anche una grave crisi finanziaria nell'Olp perchè i ricchi regimi arabi petroliferi decisero di tagliare i loro aiuti economici all'organizzazione palestinese. Negli anni successivi Saddam ricompensò la fedeltà dell'Olp donando ad Arafat almeno 50 milioni di dollari. Nell'ottobre del 2002 trapelò la notizia che Saddam si era personalmente occupato di garantire che somme per un totale di 15 milioni di dollari venissero trasferite alle famiglie di "martiri" e attentatori palestinesi. Il presidente Arafat e altri alti esponenti dell'Autorità Palestinese erano perfettamente a conoscenza dei trasferimenti di fondi iracheni, come risulta da documenti confiscati dalle forze di sicurezza israeliane durante l'operazione anti-terrorismo "Scudo Difensivo".
    Rafad Salim, capo in Cisgiordania della fazione palestinese filo-irachena Fronte Arabo di Liberazione, era la persona incaricata del passaggio dei soldi. Arrestato dagli israeliani il 2 ottobre scorso, Salim ha spiegato agli investigatori che, grazie alla sua posizione, egli era al corrente delle attività militari effettuate dalla sua organizzazione, responsabile fra l'altro, negli anni settanta, di vari attentati terroristici a Kfar Giladi, Kfar Yuval e Misgav Am. Dal 1997 Salim operò come consigliere politico di Arafat ed è in grado di confermare che l'Autorità Palestinese era al corrente dell'aiuto finanziario offerto dall'Iraq alle famiglie di "martiri" palestinesi. Salim si è sempre mantenuto in stretto contatto con l'Ufficio Palestinese del Ba'ath (il partito nazional-socialista allora al potere in Iraq) e con il quartier generale speciale arabo in Iraq. Nell'anno 2000 incontrò personalmente Saddam per discutere con lui la situazione dei palestinesi. Fu lo stesso Saddam a stabilire l'ammontare dell'aiuto da distribuire ai "combattenti" palestinesi, fissando un vero e proprio "tariffario" dell'impegno nel terrorismo: 10 mila dollari alle famiglie dei suicidi, 1.000 dollari ai seriamente feriti, 500 dollari a quelli feriti in modo lieve. Una volta stanziate le somme, il denaro venne inviato a una banca irachena ad Amman, la Mashraf al-Rafidin, e da lì inoltrato alla filiale in Giordania della Alasatismar Bank, per poi passare alla filiale di Ramallah della stessa banca, su un conto del Fronte Arabo di Liberazione. Il presidente Bush dichiarò allora che "la fine del regime di Saddam Hussein toglierebbe alle reti terroristiche un ricco protettore, che finanzia lautamente l'addestramento dei terroristi e offre premi in denaro alle famiglie degli attentatori suicidi.
    Senza questi appoggi esterni al terrorismo, i palestinesi che si adoperano per le riforme e che desiderano una vera democrazia si troveranno in una posizione migliore". Saddam riuscì a posizionarsi ai primi posti fra i leader arabi che guidano la battaglia per "liberare" la Palestina, e rivelò la vulnerabilità di Israele di fronte a bombardamenti missilistici: una lezione di cui hanno fatto tesoro Hezbollah e Hamas. Abd Al-Aziz Al-Rantisi, uno dei leader di Hamas a Gaza, in un articolo sul sito web di Hamas intitolato "L'Iraq trionferà Dio volendo", chiese a Saddam di istituire un esercito di martiri suicidi che accolga tutti i guerrieri del jihad. "Nel pantheon dei nemici di Israele, il posto di Saddam è stato preso con sorprendenti affinità dall'Iran, l'eterno rivale dell'Iraq – prosegue il Post – E l'Iran continua a seguire le orme di Saddam, perseguendo la capacità nucleare, minacciando le riserve petrolifere dei suoi vicini e posizionandosi alla testa dei nemici di Israle. "Di più: se Saddam era giunto a sovvenzionare gli attentati stragisti anti-israeliani, oggi l'Iran agisce per interposta persona, attraverso Hezbollah e ora anche attraverso Hamas, minacciando Israele assai più da vicino. Saddam se n'è andato. Quando sarà la volta di Mahmoud Ahmadinejad?". Nel febbraio del 2001, un giorno dopo l'elezione di Ariel Sharon a primo ministro, Saddam annuncia la nascita di un "esercito di Gerusalemme" formato da sette milioni di iracheni che si sono offerti di "liberare la Palestina". E chiamò a raccolta il suo popolo contro "gli ebrei e i sionisti ovunque si trovino", per "liberare la Palestina dal fiume al mare", senza distinguere affatto fra confini del 1948 e del 1967. L'intera Palestina andava bonificata dalla presenza ebraica.
    Nel discorso per l'anniversario del colpo di stato del 1968, Saddam incitò a "sacrificare qualunque cosa" nella lotta dei palestinesi "contro i nemici della nazione araba, gli sporchi ebrei usurpatori". Quando gli anglo-americani minacciarono di attaccare l'Iraq per far cadere il regime di Saddam, i palestinesi inscenarono massicce manifestazioni in appoggio al sanguinario dittatore di Baghdad. Saddam disse che "tutti gli arabi devono congelare le relazioni con i sionisti se al momento non sono nella posizione di cancellarli". La caduta di Baghdad il 9 aprile 2003 fu considerata da molti palestinesi come una nuova "nakba", la catastrofe, il termine utilizzato dai palestinesi per indicare la nascita di Israele nel 1948. Alla notizia della sua cattura, Abdel Kader, uno dei maggiori capi del movimento Fatah, disse che i palestinesi erano delusi che Saddam non avesse cercato di combattere. "Sarebbe stato meglio se fosse rimasto ucciso. Almeno sarebbe morto con onore". Il testimone è ora passato nelle mani di Teheran. Persino nella retorica, Saddam era molto vicino all'attuale presidente iraniano. Disse, infatti, che "il mondo intero è controllato dai sionisti che hanno il quartier generale alla Casa Bianca. Siamo in grado di distruggere l'entità sionista". Il dittatore fece erigere a Baghdad un monumento in onore della "prima donna palestinese suicida". In cambio il gruppo palestinese Jihad Islamica, che ad oggi ha rivendicato numerosi attentati contro i civili israeliani, annunciò l'invio in Iraq di martiri suicidi delle Brigate Al-Quds. A Gaza Hamas riunì 30.000 palestinesi. "Suggeriamo ai fratelli iracheni di fare buon uso dell'esperienza palestinese e di concentrarsi sulle azioni di martirio, che sradicheranno gli infedeli instillando il terrore nei loro cuori", scandiva un altoparlante durante la manifestazione.

(il Velino, 4 gennaio 2007)





5. IL MONTE DEL TEMPIO E L'ARCHEOLOGIA




Una nuova scoperta sul monte del Tempio

I lavori di costruzione di una nuova Moschea sul monte del Tempio sono iniziati sette anni fa. Tutti i materiali emersi negli scavi sono stati sparpagliati qua e là dai musulmani allo scopo di eliminare ogni traccia della presenza ebraica su questo luogo. Gli scienziati israeliani non sono tuttavia rimasti a guardare, e sono comunque riusciti a fare una scoperta importante.

L'archeologo britannico Richard Parker ha iniziato cento anni fa gli scavi notturni sulla spianata del monte del tempio a Gerusalemme nella speranza di poter, grazie alla notte, sfuggire alla vigilanza dei custodi arabi. Era alla ricerca del leggendario tesoro del tempio di Gerusalemme.
    Un custode musulmano tuttavia ha sventato il piano di Parker ed ha suonato l'allarme. L'archeologo è dovuto fuggire nella notte, tra la nebbia. Contro di lui è stata decretata la pena di morte in tutto l'impero ottomano per «profanazione di un santuario musulmano». Da allora, nessun archeologo occidentale si è più lanciato in tale impresa. L'opposizione selvaggia dei musulmani ha contrastato ogni desiderio di procedere a scavi in quella zona, sia che fosse per mettere in luce la storia ebrea oppure gli inizi del cristianesimo.
    Oggi, come cento anni fa, le autorità musulmane impediscono ogni ricerca archeologica in questo sito. Il Waqf, l'autorità di vigilanza dei luoghi santi musulmani, vigila con sospetto sul «proprio territorio». é vietato agli scienziati di qualsiasi tipo procedere a scavi su tutto il perimetro della zona del tempio, la cui importanza storica è innegabile. Alcuni anni fa, i musulmani si sono messi a scavare proprio in quel punto della città non per motivi archeologici e scientifici, bensì per costruire un nuova moschea sotterranea! Hanno dunque iniziato a scavare nel terreno del settore chiamato «le stalle di Salomone», e a smantellare i massi e le rocce facendole trasportare in luoghi lontani e diversi, compromettendo così ogni scavo e ricerca futura. Lo Stato di Israele ha ovviamente protestato contro questo progetto, ma non ha potuto fare nulla per impedire la sua realizzazione. Tuttavia, alcuni archeologi israeliani, fra cui il Dott. Gabriel Barkai e il Dott. Tzachi Zweig, non hanno voluto accettare senza almeno provare a fare qualcosa le operazioni distruttive del Waqf. Si sono dunque messi in prima linea a lavorare in questo senso: in primo luogo ad osservare dove Waqf faceva trasportare i materiali. In secondo luogo a raccogliere questo materiale per poterlo visionare.
    In questo modo, hanno potuto scoprire e di conseguenza salvare molti oggetti risalenti a vari periodi, fra i quali tessuti, gioielli e delle monete uniche, di grandissimo valore storico. Scoprire un sigillo a Gerusalemme non ha in generale nulla di straordinario. Tuttavia, Barkai e Zweig hanno scoperto un sigillo abbastanza ben conservato che ha suscitato da subito un grande interesse, poiché riporta caratteri ebraici decisamente antichi.
    Quest'oggetto può essere attribuito ad una famiglia di eminenti sacerdoti ebrei di cui parla il libro del Profeta Geremia: «Pascur, figlio d'Immer, sacerdote e capo-sovrintendente della casa del Signore» (Geremia 20:1). Gli archeologi sono dunque sicuri che si tratti di un sigillo risalente all'epoca del primo tempio, cioè del periodo situato tra il 957 a.c., data dell'inizio dei lavori di costruzione del tempio sotto il re Salomone, e il 586 a.c., data della distruzione del tempio da parte di Nebucadnetsar. Ma esistono poche scoperte archeologiche che datano questo periodo. I diversi oggetti scoperti sono attualmente in fase di catalogazione, e saranno successivamente presentati al pubblico. ZL

(Notizie da Israele, dicembre 2006 - http://www.cdmitalia.org/)





6. UN PAESE UNICO AL MONDO




Israele sulla luna?

ISRAELE - Sono tornata da poco da una stupenda vacanza in Italia. E come sempre quando sono lontana dal mio Paese ho avuto la possibilita' di guardare la sua realta' sotto una diversa prospettiva. L'Italia e' la mia seconda casa nel mondo, e quando sono li' ci metto poco a tornare ad essere ed a sentirmi, anche se solo per poco, "un'italiana". E allora quel che succede e' che parlo di Israele e ascolto l'opinione che ha la gente del mio Paese come se non fossi direttamente coinvolta con quello che succede qui. Questo mi porta al mio ritorno in patria a notare tante cose che ormai prima di partire davo per scontate ma che sotto un'ottica piu' oggettiva e distaccata, o meglio piu' italiana, possono sembrare... come dire?... "particolari"... e rendere il mio Paese veramente unico al mondo. E allora vi racconto come vedono Israele i miei occhi quando sono piu' simili ai vostri... Si, perche' soltanto in Israele...

1. Solo in Israele si puo' in un giorno solo sciare sul monte Hermon al nord del Paese, nuotare sul lago di Tiberiade ad est, navigare nel Mediterraneo ad ovest, galleggiare nel Mar Morto a sud est, visitare il Muro del Pianto a Gerusalemme nel centro della nazione, attraversare il deserto di Iehuda fino a giungere a fare subacquea nei fondali marittimi di Eilat. Si puo' fare tutto in un giorno solo e non sono solo le distanze nulle a permetterlo ma anche gli acuti sbalzi di temperatura. Esci di casa col cappotto e in spiaggia prendi il sole...

2. Solo in Israele, alla guida dell'auto su una strada statale rallenti precipitosamente appena vedi una volante della polizia in lontananza e un poliziotto che ti punta contro un congegno elettronico per misurare la velocita' per poi scoprire che le stai dicendo di tutti i colori ad un pezzo di cartone a grandezza naturale messo li' per coprire alla mancanza di agenti della polizia stradale in servizio quel giorno. Ma le luci della sirena lampeggiano davvero!

3. Solo in Israele nei ristoranti tipici il menu' israeliano e' composto da insalata all'araba, pasta Napoli, Kebab rumeno, torta irakena e crema bavarese.

4. Solo in Israele la costruzione del nuovo aeroporto internazionale di Ben-Gurion nota come il Progetto del 2000 si e' concluso alla fine del 2005. Pero' non ne ho mai visto uno piu' bello.

5. Solo in Israele cadono sulle citta' gli Scades dall'Iraq, i missili Katiusha dal Libano, i Qassam da Gaza e ugualmente un appartamento di tre camere costa piu' che a Parigi.

6. Solo in Israele il costo dell'affitto degli appartamenti e' calcolato in dollari. Eppure lo stipendio e' in Shekel (moneta israeliana), al lavoro ci vai in autobus e non in metropolitana (perche' non esiste) e per pranzo mangi Falafel e non Donuts perche' questa non e' ancora l'America! 700 dollari per due camere non sembrano un po' troppe anche a voi?

7. Solo in Israele al primo appuntamento con una ragazza le chiedi dove ha prestato servizio militare e ti senti a disagio quando scopri che ha raggiunto in due anni un grado piu' alto del tuo o ha svolto un compito piu' pericoloso. Eppure sembra cosi' delicata e vulnerabile...

8. Solo in Israele al Totocalcio bisogna "azzeccare" ben 16 risultati e vengono esclusi dalla schedina i giochi considerati facili da indovinare.

9. Solo in Israele devi essere ultra laureato, passare complicati test di QI e confrontarti con diversi psicologi clinici per essere ammesso a vendere cellulari in un centro commerciale mentre il Ministro della Sicurezza non ha nemmeno la maturita' liceale.

10. Solo in Israele quando vedi uscire da una Volvo due uomini sai che quello con la camicia a maniche corte e il colletto sbottonato e' il Senatore e quello vicino in giacca e cravatta il suo autista.

11. Solo in Israele ti aprono la borsa quando vai al supermercato, ti controllano il portabagagli quando entri al parcheggio di un centro commerciale e ti includono nel conto della cena anche due Shekel per l'addetto alla sicurezza che si sta congelando all'entrata del ristorante. Ma sei libero di rifiutarti di pagarli.

12. Solo in Israele nel GIorno dell'Indipendenza tutto il paese e' coperto da una fitta cappa di fumo e si sente un forte odore di carne alla brace e non c'e' uno spazio di verde libero perche' non si puo' non uscire tutti a fare un picnic in un giorno cosi' felice. E non esagero quando vi dico che c'e' gente che si apposta sulle rotatorie stradali. Conoscete un modo migliore per festeggiare?

13. Solo in Israele puoi trovare un ebreo dalla Russia che si sposa con un'ebrea dal Marocco e chiama sua figlia Sandy perche' vai a sapere? magari da grande vorra' vivere in America!

14. Solo in Israele puoi chiedere sottovoce in una farmacia piena di gente di un medicinale particolare e sentire il farmacista gridare alla collega: "Scusa, dove hai messo la crema per le emorroidi?"

15. Solo in Israele anche d'inverno non fa' veramente freddo e in estate ad Eilat ci sono in media 43 gradi di caldo eppure gli Israeliani hanno gia' comprato il 10% della Luna pur sapendo che li' le temperature variano dai 120 gradi (di giorno) ai 170 gradi sotto lo zero (di notte).

E se non mi credete posso assicurarvi che se non fosse tutto vero probabilmente non vivrei qui.

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L'AUTRICE: "Ho 32 anni, sono cresciuta in Italia e vivo in Israele da 13 anni, sono laureata in Cinema e Televisione e sono freelance in montaggio video. Sposata, madre di una bimba di due anni, il mio film preferito e' la mia vita."

(la Stampa.it, blog dei lettori, 8 gennaio 2007)





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Hava Nagilah




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Beth Shlomo

Icej




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