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Notizie su Israele 375 - 19 gennaio 2007

1. La storia di due sorelle ebree di Trieste
2. Quattro pfenning a chilomentro per ogni ebreo
3. Un villaggio salvò da morte certa cinquemila ebrei
4. Profili israeliani
5. Un destino ineluttabile
6. Cristiani evangelici che amano Israele
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Salmo 129:1-5. Molte volte mi hanno oppresso fin dalla mia gioventù - lo dica pure Israele - molte volte mi hanno oppresso fin dalla mia gioventù; eppure non hanno potuto vincermi. Degli aratori hanno arato sul mio dorso, vi hanno tracciato i loro lunghi solchi. Il Signore è giusto; egli ha spezzato le funi degli empi. Siano confusi e voltino le spalle quanti odiano Sion!
1. LA STORIA DI DUE SORELLE EBREE DI TRIESTE




Siamo nate a Trieste, in una famiglia ebrea come tante altre, ebree o cristiane, in un appartamento in piazza della Borsa, vicina a piazza Grande, quella che oggi si chiama piazza dell'Unità. Mio padre, che si chiamava Ernesto, era commerciante di prodotti kasher, prodotti di vario tipo come carne, azzime, e tanti altri. Vendeva e commerciava in un bel negozio, frequentato dai membri della nostra Comunità, ma anche da tanti triestini non ebrei.
    Mia madre, Anna Nacson, era invece una casalinga e come la maggior parte delle donne allora - ma anche oggi tocca sempre a loro - si occupava di noi figli. Il maggiore di noi si chiama Giacomo ed era nato nel 1926. C'era poi Raffaele, che era del 1927. Poi io e Stella, da tutti chiamata Stellina anche per distinguerla dalla nonna che aveva lo stesso nome. Noi eravamo le bambine, le piccole di casa. Con noi vivevano anche i nonni materni, nonno Raffaele e nonna Stella, appunto. Anche nonno Raffaele commerciava e trattava oggetti di antiquariato e per la sua attività viaggiava frequentemente dall'Italia fino alla Grecia. In particolare i suoi rapporti erano con l'isola di Corfù. Di quell'isola era originaria la mia famiglia. La nostra fu un'infanzia piuttosto felice, non avevamo grossi problemi e potevamo vivere tranquillamente. Il nostro era il tempo dello studio, dei giochi e i nostri genitori, con molta attenzione e tatto, lasciavano che ci raggiungesse solo ciò che non poteva arrecarci turbamenti. Anche in questo eravamo bambini come tutti gli altri.
    Frequentavamo la scuola ebraica e venivamo educati nell'osservanza della nostra religione, della nostra cultura, delle nostre tradizioni millenarie. Quelle degli ebrei italiani, come a Milano, a Torino, a Roma, a Ferrara, a Livorno. Non eravamo estranei alla vita della città e del Paese. Al contrario, eravamo attenti e partecipi alle discussioni sociali, politiche e culturali che animavano la vita degli italiani. Potevamo scrivere ed esprimere le nostre opinioni sui giornali e in pubblico, potevamo occupare ruoli di prestigio e autorevoli. Eravamo ebrei italiani. Non sapevamo che ben presto saremmo diventati "ebrei in Italia".
    Trieste, una gran bella città, era, come si direbbe oggi, multiculturale, multietnica: c'erano ebrei, anche originari della Grecia - molti come il nonno provenivano da Corfù - austriaci, ungheresi, sloveni, italiani ovviamente, insomma Trieste era una gradevole Babele di lingue, dialetti, di gusti, di profumi, di sapori. Una città di confine e di conseguenza di ricchezze culturali composite e magnifiche. Purtroppo, anche in un tessuto sociale così ricco e articolato, non mancavano i veleni per gli scontri, a volte molto violenti, fomentati, per lo più, dai fascisti nei confronti degli slavi. Ma noi, piccoli di casa, anche da queste violenze, eravamo protetti.
    Improvvisamente, tutto cambiò. Nel 1938, in novembre, il fascismo emanò le leggi razziali. Allora avevo nove anni. Io frequentavo già la scuola ebraica e non dovetti andarmene. Furono gli altri, costretti a lasciare le scuole pubbliche, a venire da noi. Tutti i ragazzi ebrei si rivolsero alla nostra scuola e, con una certa fatica, trovarono posto in nuove classi. Ogni tanto i fascisti si presentavano davanti alla scuola: con arroganza e con urla insultanti, con le braccia tese nel saluto fascista. Noi, con gli insegnanti, ci chiudevamo dentro. Anche per due, tre ore dopo la fine delle lezioni. Solo quando decidevano di andarsene, solo allora i genitori potevano avvicinarsi e portarci a casa. Alla fine venne chiusa la nostra scuola, la Morpurgo, che era in via del Monte. Poi chiusero anche la sinagoga. Giorno per giorno ci trovavamo senza più punti di riferimento, non avevamo più alcun luogo ove sentirci protetti e al sicuro. Fu un processo molto lungo e parecchio umiliante. Qualcuno sostiene, oggi, che fu poca cosa. Non è assolutamente vero! Fu mortificante e doloroso. I genitori persero il posto di lavoro, scontrandosi con la dura realtà di dover portare avanti, tra enormi difficoltà, la famiglia. Nutrirla, vestirla, accudirla in tutte le elementari necessità. Non c'era più niente di decoroso nella vita quotidiana. Professionisti di valore, stimati da tutta la città, si videro cacciare dalle scuole, si impedì loro di svolgere una attività, spesso per tutti, ebrei e non, importante e necessaria.
    I bambini furono cacciati dalle scuole pubbliche, costretti a dividersi dai loro compagni, tra vergogna, rabbia e pianti. Difficoltà continue, proibizioni sempre più numerose, sempre più avvilenti. Tanti si videro costretti a lasciare la città, a lasciare l'Italia. Perdemmo così molti amici, tra i più cari. Ai commercianti, oltre al ritiro della licenza, vennero più volte sfasciate le vetrine dei loro negozi. Si proibì, anche con la violenza, che i non ebrei li frequentassero. Fu anche per questo che mio padre perse molti suoi clienti.
    No. Non direi proprio, non si può con onestà affermare che le leggi razziali furono ben poca cosa.
    C'è un episodio che per me fu particolarmente amaro. La rottura irreparabile, definitiva, con quella che era tra le mie amiche più care. Non certamente con Nora, l'amica di sempre, ieri come oggi. Nora con la quale giocavo da quando eravamo nate e alla quale ancora oggi sono legata profondamente. Ma tra le altre ve ne era una, i cui genitori avevano un bar, il Rex, proprio sotto la nostra casa. Eravamo quasi come sorelle, stavamo sempre insieme. Passavamo le ore, io a casa sua, lei a casa mia. Tutti i giorni, sempre. Negli anni dell'adolescenza è molto importante avere un'amica, un'amica vera, è un vero tesoro. L'amica con la quale giochi, studi, alla quale confidare i propri piccoli segreti, le prime emozioni, i sogni e le speranze. Era, ovviamente, anche amica di Stellina, che era sempre con me. In quegli anni non era molta la libertà che veniva concessa alle ragazze e noi eravamo, per quegli anni, proprio bambine. Ricordo che di questa amicizia i miei genitori si fidavano. Altrettanto era per i genitori della mia amica. Io potevo stare al bar, giocare lì davanti o fare i compiti, come se fossi nella mia stessa famiglia e come se fossi una di famiglia. Non c'erano problemi. Tutto improvvisamente cambiò, quel maledetto novembre del 1938, con quelle maledette, mortali leggi razziste.
    Le venne impedito di frequentarmi. Per i suoi genitori non ero più la stessa ragazzina di prima, quella che giocava davanti al bar, che entrava nel bar e a cui tutti sorridevano. Non ero più una ragazzina, ero "un'ebrea"! Sulla vetrina del bar ora faceva bella mostra un cartello che ne proibiva l'ingresso ai cani e agli ebrei. C'era scritto: "Qui non entrano cani ed ebrei". Lei non mi cercò più e nessuno della sua famiglia mi invitò più a entrare nel bar. Quando fummo portati via, non credo si siano domandati che fine avessimo fatto. Anche molti altri, ne sono sicura, non si posero questo interrogativo.

(Il Gazzettino On Line, 15 gennaio 2007)





2. QUATTRO PFENNING A CHILOMETRO PER OGNI EBREO




Polemica in Germania sul ruolo svolto dalle Ferrovie tedesche nel trasporto
degli ebrei nei lager. Una mostra sui piccoli internati.

La Shoah dei bambini

Dopo varie discussioni, si è giunti a un accordo per realizzare la rassegna all'interno delle stazioni. Ma tutto è stato rinviato al 2008 In vista del Giorno della memoria, il prossimo 27 gennaio, storici e sopravvissuti sorpresi: perchè aspettare addirittura un anno?

di Diego Vanzi

MONACO DI BAVIERA - Fu nel 1938 che in Germania si raggiunse l´apice delle persecuzioni verso gli ebrei, prima che con l´inizio della Seconda guerra mondiale si desse luogo allo sterminio di massa. Passaporti e visti per ebrei adulti erano ormai una chimera. Le comunità ebraiche tentarono di salvare almeno i bambini.
    Una prima iniziativa della Jewish Agency per portare i bambini direttamente in Palestina fu respinta dagli inglesi, ma alla notizia di avvenimenti come la "Notte dei Cristalli", il Parlamento di Londra permise l'ingresso in Inghilterra di 10mila bambini ebrei. Ognuno poteva portare con sé solo una valigia con vestiario e per ogni bambino veniva chiesta la somma di 50 sterline, cifra che corrispondeva a circa tre mesi di stipendio dell'epoca. Ma i bambini si salvarono anche se solo un terzo di loro poté ritrovare i genitori al termine del conflitto.
    Il primo trasporto lasciò Berlino il 30 novembre 1938. Comprendeva 196 piccoli di un orfanotrofio ebraico distrutto da un incendio doloso. Nel settembre del 1939, con l'inizio del conflitto, i trasporti cessarono. Nel medesimo periodo gli Stati Uniti accolsero 2mila bambini ebrei. La signora Hedy Epstein, per fare un esempio, ha oggi 81 anni e vive a Friburgo. Nel maggio del 1939, quattordicenne, fu mandata dai genitori con un kindertrasport in Inghilterra. Non li ha più rivisti. Oggi ha un motto: «Il ricordo non basta». E' stata invitata alla manifestazione centrale in ricordo della liberazione di Auschwitz che si terrà il 28 gennaio a Friburgo, sua città natale. Un'altra signora ebrea berlinese, Edith Erbrich, ricorda quando a 7 anni, nell'estate del 1944, fu caricata assieme al padre ed alla sorella su un carro bestiame della Reichsbahn diretto al lager di Theresienstadt. Fu fortunata perché il suo primo viaggio in treno si fermò in Cecoslovacchia e sopravvisse. Ma per altre decine di migliaia di bambini ebrei il viaggio proseguì verso Auschwitz e fu senza ritorno. Ed ad Auschwitz finirono anche gli 11mila bambini ebrei provenienti dalla Francia sempre con la Deutsche Reichsbahn.
    Senza il supporto attivo delle Ferrovie tedesche la deportazione degli ebrei verso i campi di sterminio dell'Europa orientale non sarebbe potuta avvenire così rapidamente e in maniera così efficiente. Per i responsabili della Deutsche Reichbahn il trasporto degli ebrei era una pura questione economica. Chiedevano, ad esempio, quattro pfenning a chilometro per ogni ebreo che trasportavano. Ma la direzione era disposta ad offrire tariffe collettive.
    Sul macabro ruolo svolto dalla Deutsche Reichsbahn si terrà nella Giornata della memoria (27 gennaio), ma soltanto nel 2008, una mostra straordinaria che dovrà documentare tutti tragici aspetti dei trasporti su rotaia verso i lager. L'idea della mostra era partita da Parigi sotto l'egida della signora Beate Klarsfeld, da sempre attiva contro il nazismo vecchio e nuovo. La 65enne giornalista franco-tedesca viene ricordata per aver schiaffeggiato nel 1969 l´allora cancelliere federale Kurt Georg Kiesinger per la sua iscrizione al Partito nazionalsocialista durante il regime hitleriano. A procrastinare l'allestimento della mostra presso le stazioni tedesche erano state le remore del presidente della Deutsche Bahn, le attuali ferrovie tedesche, Hartmut Mehdorn, che aveva posto il veto, inizialmente per "motivi di sicurezza". La diatriba si è quindi conclusa con un compromesso. Si farà all´interno delle stazioni ma non con il modello offerto dalla signora Klarsfeld. La decisione, accolta con favore dalla presidente del Consiglio centrale degli ebrei, Charlotte Knobloch, ha ricevuto critiche per gli indugi che ne hanno procrastinato l'apertura. «Trovo molto triste - ha detto lo storico Hans-Ulrich Wehler - che si debba attendere di nuovo a lungo come è stato nel caso dei risarcimenti agli "schiavi di Hitler". L´Olocausto e il Terzo Reich si allontanano sempre più».

(Avvenire,16 gennaio 2007)





3. UN VILLAGGIO SALVO' DA MORTE CERTA CINQUEMILA EBREI




Tra i Giusti, c'è un intero paese. E' Le Chambon sur Lignon, nella Francia orientale. Qui nel 1941, i 3 mila abitanti dettero rifugio a 5 mila ebrei. Berthe Kitler aveva 18 anni, allora. E racconta la sua esperienza. "Il bambino che era con noi chiamava mamma e papà i miei genitori. Non voleva che fosse la sua vera madre a fargli il bagno, a metterlo a letto. Voleva che lo facessi io".
Incastonato sulle montagne tra l'Alta Loira e l'Ardèche, Le Chambon sur Lignon aveva già una storia di persecuzione, essendo un villaggio abitato soprattutto da protestanti. E' anche per questo motivo che i bambini ebrei che durante la II guerra mondiale arrivavano qui, trovavano una popolazione pronta ad accoglierli e garantire un rifugio.
Gerard Bollon è uno storico che ha studiato gli avvenimenti di quell'epoca: "Quando un ebreo arrivava qui, gli abitanti del villaggio sapevano che era ebreo. Non era solo un uomo della Bibbia, era anche un perseguitato. E penso che fosse profondamente nell'inconscio della gente di qui, sapevano che cos'era la persecuzione". Il villaggio si è dunque conquistato il diploma d'onore. Accolto con la modestia di sempre. "Perché ce l'hanno dato? - si domanda Berthe - Non ce lo siamo meritato, l'abbiamo sempre detto. Abbiamo solo fatto il nostro dovere".

(EuroNews, 19 gennaio 2007)





4. PROFILI ISRAELIANI




Muhammed, capo villaggio beduino

Reportage di Anna Rolli

Muhammed e' figlio dell'ultimo muktar di un villaggio beduino dell'Alta Galilea; il muktar al tempo dell'impero ottomano e del Mandato britannico era l'autorita' civile di ogni comunità araba, un po' come il nostro sindaco: oggi Muhammed è il capo, democraticamente eletto, del suo villaggio, nonché l'esponente locale del partito laburista israeliano.

E' un uomo non molto alto, dalla carnagione simile al cuoio, magrolino, e al mio arrivo per prima cosa si alza in piedi e mi offre il bocchino del narghilè dal quale proviene uno squisito profumo fruttato.
Siamo davanti alla sua casa, una bella villa in fase di ampliamento e ristrutturazione e mentre lo saluto e lo ringrazio per l'offerta mi accorgo che mi sta scrutando con occhi neri, incredibilmente duri, che in nessun modo incoraggiano la confidenza.

Ha la bocca sdentata, con solo qualche mozzicone annerito di dente e Luigi, il medico ebreo che mi accompagna e mi fa da interprete, mi sussurra in italiano che lui manda tutti i suoi figli regolarmente dal dentista ma che personalmente continua a rimandare probabilmente, a sentire i pettegoli maligni, per timore del trapano e delle punture.

Subito, con il braccio sollevato, Muhammed ci invita a seguirlo poco distante, presso il recinto dove con evidente orgoglio ci indica il bel gregge di pecore e agnelli belanti, munti e accuditi dalla moglie e dalla figlia adolescente.
Luigi mi spiega che si tratta di un beduino molto ricco proprietario del bestiame e inoltre di molte terre.

Saliamo al secondo piano della sua casa, l'unico gia' terminato.
Ci accomodiamo in un comodo salotto con una finestra che corre lungo tutta una parete sul panorama dolce della Galilea.
Dal divano bianco Muhammed mi osserva con i suoi occhi pieni di sospetto mentre Luigi gli spiega in arabo chi sono e il motivo della mia visita.
Io gli chiedo se è d'accordo a permettermi di rendere pubblico il suo nome sulla Stampa italiana o se, per parlare più liberamente, preferisce l'anonimato.

Con un gesto della mano pieno di alterigia insofferente risponde che un uomo come lui non ha paura di nessuno e che mi dirà ciò che pensa senza esitare.(*)
Poi inizia a raccontare, e man mano che il mio interacalare mi rende piu comprensibile e piu' simpatica, si lascia andare a ridere di tanto in tanto e osservo che il suo sguardo sopra i folti mustacci si addolcisce alquanto.


Muhammed, capo villaggio beduino, esponente del partito laburista israeliano

"Quando ero giovane, tanti anni fa andai al mercato di Jenin con mio padre per vendere del bestiame e chiesi agli arabi "Con chi si sta meglio con i giordani o con gli ebrei?" e loro mi dissero "Con gli ebrei è meglio". Perché, durante le feste, mentre la gente era distratta e pensava a divertirsi arrivavano i soldati dell'esercito Giordano e rubavano il bestiame e poi facevano i prepotenti, entravano nelle case, prendevano da bere e da mangiare e facevano da padroni.

Nell'esercito israeliano chi si comportava molto male erano i reparti drusi. In tutti gli eserciti c'è qualcuno che si comporta male, molti invece si comportano bene, però anche gli ebrei a volte si sono comportati male.
Non tutti, però qualcuno si, quando ci sono state delle tensioni qualcuno si è comportato male e basta uno solo a sporcare il nome di tutti.
La Guerra è sempre una cosa brutta e chi la deve fare fa un mestiere incivile.

Ci sono anche delle donne arabe che oggi entrano nell'esercito. Quest'anno per la prima volta una ragazza beduina ha scelto di andare sotto le armi come le ragazze ebree e ci sono donne arabe anche nella polizia perche' le donne non sono più quelle di una volta, adesso vogliono comandare anche in casa.
Le leggi dello Stato israeliano sono buone però per quanto riguarda la donna non sono buone perché danno dei vantaggi alle donne e così hanno rovinato la famiglia.

Oggi le leggi in Israele favoriscono la donna, va bene la parità, però in Israele se c'è un problema in una casa araba danno sempre ragione alle donne perche' pensano che le donne debbano essere protette di piu'e gli uomini sono molto rammaricati per questo.
Secondo la tradizione araba, se c'è un problema in casa, è la donna che deve andare via, tornare dai suoi genitori e lasciare al marito la casa e i figli.

Nei paesi arabi la donna non può uscire di casa, deve stare sempre dentro e tutto quello che vuole il marito gliel'ho compra e gliel'ho porta in casa e così è molto meglio.
La donna è la regina della casa e l'uomo ha l'esterno. Invece quando escono di casa le donne parlano tra di loro e si mettono in testa l'una con l'altra ogni sorta di idee sbagliate.

Per questo il mondo va male e per questo negli ultimi dieci anni ci sono state tante donne arabe uccise.
Perché quando una donna tradisce suo marito il rapporto è finito. Lei dovrebbe lasciare la casa, i figli e il villaggio e andare a vivere in un altro villaggio dove il capo trova il modo di sistemarla con discrezione. Perché lei ha portato vergogna alla famiglia.
Adesso invece, le donne vanno dalla polizia e la polizia da retta alle donne e così i mariti le uccidono.

Una volta le cose si potevano sistemare in silenzio non come oggi con i giudici che danno ragione alle donne e gli danno il diritto sulla casa e sui figli e così gli uomini impazziscono.
Tu vuoi sapere cosa succedeva se un uomo tradiva la moglie? Be! Prima, anche un uomo non doveva tradire.
Se un uomo tradiva sua moglie, se la moglie poteva dimostrarlo, tutto il villaggio lo disprezzava ed era contro di lui e la donna lo poteva cacciare di casa. Questa era la legge antica dei beduini.

Una volta le donne portavano rispetto al marito e agli uomini. Prima non c'era l'acqua in casa e allora le donne andavano con l'asino alla sorgente a prendere l'acqua ma se lungo la strada vedevano da lontano un padre di famiglia scendevano dall'asino e proseguivano a piedi in segno di rispetto verso di lui e per rendergli onore.
Oggi non c'è più questa tradizione di rendere onore e rispetto al padre di famiglia perché le leggi dello Stato danno forza alle donne.

A me non dispiace pero' il cambiamento è stato tanto veloce, il salto è stato tanto alto che da alla testa e crea dei problemi.
Se hai tenuto una bestia sempre chiusa e poi la lasci libera di colpo lei fa dei salti enormi che sono pericolosi.
Io sono contento che mia figlia vada a scuola e poi all'Università però il cambiamento deve essere graduale. Dagli anni '80 ai '90 c'è stato un cambiamento enorme e i giovani beduini non riuscivano a capire e ad assimilarlo. Ora comincia ad andare un po' meglio, però il problema piu' grande è che a scuola non si insegna più la tradizione beduina, si insegnano invece solo le materie tecniche e scientifiche.

Una volta il capo villaggio comandava a tutti gli abitanti e tutti gli ubbidivano, oggi invece un capo villaggio non riesce a comandare neppure in

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casa sua e i giovani vogliono fare quello che gli pare.
Quando io ero bambino una volta mia madre ha bisticciato con mio padre e se n'è andata via a casa dei suoi genitori, però suo fratello le ha ordinato di tornare da suo marito e di comportarsi bene in casa e di portare la pace invece di litigare.
Oggi se io litigo con mia moglie lei va dai suoi genitori e anche se lei ha torto loro la difendono.

Io sono per la parità però se la donna esagera e va fuori strada ci vogliono le redini e il marito deve tirare le redini e riportarla sulla strada giusta
Ognuno deve sapere quali sono i suoi limiti.
Io non voglio comandare però ci sono delle regole in famiglia sennò si divorzia e poi i figli sceglieranno con chi andare.
Una volta appartenevano al marito ma oggi non più.
Oggi le donne invece di affrontare i problemi con il marito se ne tornano a casa dai genitori e le loro famiglie invece di riportarle dal marito e di dirgli "Risolvi i problemi con tuo marito." le sostengono.

L'ottanta per cento delle famiglie oggi ha questi problemi e la mia famiglia fa parte di questo ottanta per cento.
Le donne si sono emancipate troppo in fretta. Lo Stato ha rovinato tutto con le sue leggi sulla parità.
Tu vuoi parlare con mia moglie là in cucina? Be! Parlaci pure se vuoi, tanto non può diventare peggiore di quello che è già, neppure se parla con una donna occidentale, con una donna italiana!

E se una famiglia si sfascia chi soffre? I bambini. Se ci si sposa e si mettono al mondo dei figli bisogna essere responsabili e tirare avanti cercando di farli crescere bene.
Perché se i genitori divorziano i figli non crescono bene, hanno troppi pensieri e debbono prendere posizione e si rovinano e poi non vanno bene a scuola.
Se non ci sono bambini si può divorziare senza problemi ma quando ci sono bambini, ci sono delle responsabilità.

I beduini sono intelligenti e sono furbi, pensano sempre avanti invece i fellahin (contadini palestinesi ndr) sono buoni per andare dietro al mulo,
Per questo con loro non andiamo molto d'accordo.
I fellahin non sono intelligenti. Prima gli ebrei avevano paura dei beduini e quando passavano vicino al nostro villaggio si spaventavano e andavano velocemente con la macchina e i ragazzi gli tiravano le pietre per farsi rispettare ma poi un po' alla volta ci siamo conosciuti e adesso tutto è cambiato e siamo diventati veri amici, come fratelli e Luigi lo sa che può venire da me per qualsiasi cosa, anche a notte fonda, e se io ho bisogno di soldi glieli chiedo in prestito senza problemi.

Ci sono gravi problemi religiosi qui. O Hamas o Fatah debbono scomparire, non possono vivere tutt'e due.
E’ una lotta tra laici e religiosi. Se vincerà Hamas sarà un grosso problema, non ci sarà mai pace. Non è possibile trovare con loro un punto d'accordo.
Loro vogliono Haifa e Tel Aviv ma noi siamo israeliani e non vogliamo dargliele e quindi che accordo trovare?
Le buone prospettive di pace che c'erano non torneranno più.

Barak aveva fatto una buona proposta ad Arafat. Gli arabi e gli israeliani erano soddisfatti di Barak, tutti erano contenti delle sue proposte.
Barak aveva promesso al popolo di uscire dal Libano entro un anno e l'ha fatto, ha mantenuto la sua promessa.
Ma qual'è stato l'errore di Barak? Voleva fare le cose troppo in fretta.
Chi va troppo veloce inciampa e cade e si rompe la mano. Dopo l'uscita dal Libano avrebbe dovuto aspettare un anno o due, aspettare di avere l'appoggio di tutto il popolo.

Barak è andato direttamente da Arafat invece di andare dal popolo. Nella sua testa voleva fare tutto in fretta come in Libano e così si è creata una tensione tra lui e Arafat.
Perché le persone che sono molto distanti nella loro vita non possono risolvere in un giorno tutti i problemi. Anche gli arabi non erano pronti all'autonomia, li doveva lasciar respirare un po' di più.
Si sarebbe
dovuto prima aumentare il rapporto, la collaborazione e poi fare un passo alla volta.
Arafat ora è morto, lui non aveva abbastanza forza per decidere a nome di tutti e ha avuto paura del suo popolo. Per esempio non aveva la forza di prendere decisioni su Gerusalemme.

Il problema è la guerra, qui se non ci fosse la guerra noi potremmo essere felici e saremmo molto piu' ricchi.
Quanti soldi spesi per le bombe! Se non ci fosse la guerra potremmo prendere la macchina e andare in Turchia, andare a Damasco, fare bei viaggi, fare la bella vita e invece cosi' non ci possiamo muovere.
Hamas ha molti soldi e io non so chi glieli dà, però Hamas ha molti soldi e li usa in opere caritatevoli per conquistare il popolo.
Fino a quando non si creeranno dei posti di lavoro per i giovani, la gente povera verrà spinta sempre nelle mani dei religiosi. Più la gente è povera più i "religiosi" trovano terreno fertile.

Abu Mazen non ha molta forza, non è sato eletto e non rappresenta nessuno. E' presidente ma Hamas fa quello che vuole. Gli israeliani dovrebbero cercare di rafforzare Abu Mazen. Se io fossi stato al posto di Holmert avrei liberato i prigionieri palestinesi per dare prestigio ad Abu Mazen.
Io non è che voglio comandare, io quando debbo decidere qualcosa ci penso sopra due o tre giorni e poi prendo la decisione giusta. Per questo so comandare e così dovrebbero fare tutti i politici.

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(*) Alcuni giorni prima di questo colloquio con Muhammed, tre bambini palestinesi erano stati assassinati a Gaza, all'uscita da scuola, da uomini di Hamas, allo scopo di punire il padre colpevole di essersi opposto alla pratica di giustiziare senza processo gli arabi accusati di collaborazionismo con gli ebrei.
Muhammed, il cui vero nome non è Muhammed, amico fraterno di un medico ebreo che non si chiama Luigi, capo-villaggio di un villaggio beduino che non si trova in Alta Galilea ma da qualche altra parte entro la Linea verde, secondo le sue altere parole, si considera il genere d'uomo che non ha paura di nessuno; l'intervistatrice, che dichiara apertamente di avere paura del terrorismo islamico, dopo attenta riflessione, ha preso la decisione unilaterale di pubblicare l'intervista priva di ogni riferimento al reale e utilizzando uno pseudonimo.

(Agenzia Radicale, 13 gennaio 2007)





5. UN DESTINO INELUTTABILE




Perché il futuro degli ebrei è nello stato d'Israele

di Giulio Meotti

ROMA - La schiavitù egiziana e l'uscita dalla schiavitù, l'epopea della conquista della Terra Promessa da Dio, la distruzione del primo e poi del secondo tempio di Gerusalemme, la prima e la seconda Diaspora, il miracolo della vittoria dei Maccabei e la riconquistata indipendenza giudaica, i massacri e le espulsioni, la peste nera e la cacciata dalla Spagna, le crociate e le stragi dei cosacchi, i ghetti e l'affaire Dreyfus, la Shoah e l'epica rinascita ebraica nello stato di Israele dopo duemila anni. La storia ebraica è percorsa da innumerevoli minacce di sterminio e scomparsa. Si è calcolato che oggi gli ebrei sarebbero 120 milioni se non fossero stati massacrati, inceneriti, gassati e fucilati nel corso della storia. Adesso pende sulla testa del popolo di Isacco e di Giacobbe una clava molto particolare. Fatta di numeri, proiezioni, stime e statistiche. é la demografia dell'esilio. Hannah Arendt aveva capito che l'antisemitismo cresce con l'assimilazione. Ma non aveva illuminato a fondo il pericolo per la diaspora ebraica di un'assimilazione biologica, culturale e sociale del popolo ebraico a quello "gentile". Due anni fa lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua, in un libretto per Einaudi dal titolo "Antisemitismo e sionismo", ha suggerito che l'esistenza ebraica ha senso solo in Israele. Perché a gettare un'ombra fitta sull'esistenza dell'ebraismo diasporico è stata la crisi demografica. Fu Sallai Meridor, presidente dell'Agenzia ebraica, il primo a lanciare l'allarme due anni fa: "La popolazione ebraica nel mondo potrebbe aumentare dagli attuali 13,3 milioni fino a 18 milioni nel 2050 oppure potrebbe calare a 12 milioni entro i prossimi 50 anni. Dipende da quello che sarà fatto per assicurare la continuità ebraica".
    Nel 2006, per la prima volta dalla fondazione dello Stato, la popolazione ebraica che vive in Israele ha superato quella che vive negli Stati Uniti. Solo 55 anni fa il leader ebreo americano Jacob Blaustein intimò Ben Gurion di non rivolgersi agli ebrei americani come se vivessero "in esilio". A oggi, l'area metropolitana di Tel Aviv, con i suoi due milioni e mezzo di ebrei, è la più grande città ebraica del mondo. La seguono New York, con 1,9 milioni; Haifa, 655 mila; Los Angeles, 621 mila; Gerusalemme, 570 mila e la Florida sud-orientale con 514 mila ebrei. "Se avessi il tempo di farlo – disse Ariel Sharon al 34esimo Congresso sionista - andrei per le comunità ebraiche del mondo a incontrare le masse con un messaggio sulle labbra: fate aliyah, fate aliyah". La demografia è stata la preoccupazione del primo presidente d'Israele, Chaim Weizmann, e del premier David Ben Gurion. E in tutti i precedenti Congressi sionisti, un'altra decina di primi ministri d'Israele avevano fatto la stessa calorosa invocazione di Sharon. A Tel Aviv vivono 700 mila ebrei in più che a New York. E Israele si è da tempo imposto sulla diaspora come il motore della crescita demografica. Negli anni a ridosso della Seconda guerra mondiale, dell'Olocausto e al momento della nascita di Israele nel 1948, a New York c'erano molti più ebrei che su tutto il territorio del nuovo Stato. Dal 1970 a oggi la popolazione ebraica nel mondo è passata da 12 milioni e 650 mila a quasi 13 milioni (di questi 5.300.000 sono in Israele). Durante il regno di Re Salomone in Israele vivevano due milioni di ebrei. Al momento della distruzione del secondo Tempio da parte dei romani, nel 70 d.C., gli ebrei erano quattro milioni e mezzo, un record superato solo nel XIX secolo. Nel Medio Evo la popolazione mondiale degli ebrei ammontava a un milione. Prima della Shoah si registrò il numero massimo di sedici milioni e mezzo, che è poi diventato tredici milioni dopo lo sterminio nazista.
    Quest'ultima cifra è rimasta stabile, con una crescita di Israele e una diminuzione fra gli ebrei della diaspora, dovuta al grande numero di matrimoni misti, da una educazione laica dei figli e dal basso tasso di natalità. Il territorio di incontro razionalista e laico fra società ebraica e società dei gentili ha offerto la possibilità di accelerare l'assimilazione degli israeliti alla cultura occidentale. Ma ha anche provocato attraverso le conversioni, i matrimoni misti e l'abbandono volontario della "jewish way of life", un drammatico calo demografico di ebrei più drastico di quello causato dalla Shoah. Così si calcola, in base alle proiezioni demografiche, che ci dovrebbero essere oggi negli Stati Uniti almeno quaranta milioni di ebrei invece di circa cinque. Perdita che favorisce la crescita di una élite ebraica "analfabeta" di cultura ebraica. Oggi negli Stati Uniti ci sono più ebrei che sposano cristiani che non altri ebrei. Nel 1998 il Los Angeles Times realizzò un sondaggio con una semplice domanda: crescete i vostri figli come ebrei? Il 70 per cento soltanto rispose di sì. Secondo Charles Krauthammer, premio Pulitzer e columnist di grande prestigio del quotidiano Washington Post, l'assimilazione ebraica ha completamente fallito. Sarà la visione delle folle parigine che gridano "Morte agli ebrei!" a convincere il giornalista ebreo ungherese Theodor Herzl, fondatore del sionismo, sulla necessità di dare una patria al suo popolo. Con l'affaire Dreyfus si dimostrò il fallimento del movimento di emancipazione, iniziato con la Rivoluzione francese, che con la concessione agli ebrei di uguali diritti e libertà aveva favorito la loro assimilazione nelle società di appartenenza. "In Israele non esiste la tentazione dell'assimilazione", scrive Krauthammer. Assimilarsi nello stato ebraico equivale a riscoprire la tradizione ebraica originaria. Per questo, aggiunge l'editorialista americano, Israele non ha problemi demografici o di matrimoni misti. Mentre la comunità ebraica americana ha perso fra 300 mila e 500 mila membri nello scorso decennio.
    Attualmente il tasso di matrimoni misti ebraici al mondo è del 48 per cento e in America sale al 54 (nel 1970 era fermo all'8). E stando ai dati dell'American Jewish Committee, solo un terzo degli ebrei dei matrimoni misti resta legato alla tradizione giudaica. In Israele l'immigrazione rappresenta la fonte prima della vitalità della società israeliana. Per un paese democratico, privo di forti ideologie e contenente decine di "tribù" o comunità formate da gente proveniente da culture differenti, l'immigrazione ha agito e continua ad agire come una specie di "ersatz rivolution", una rivoluzione, per così dire, artificiale ma permanente. Così una parte del milione di nuovi arrivati ebrei dai paesi arabi, in particolare quelli dal Marocco, hanno, per esempio ,costituito un peso sociale che anche dopo quasi mezzo secolo continua a farsi sentire negativamente, pur avendo dato un contributo determinante perlomeno all'agricoltura e alle forze armate. Il milione di immigrati dalla Russia, che sappiamo per un 30 per cento non essere ebrei, grazie al livello culturale molto più elevato, ha dato e continua a dare un contributo di altissimo valore umano, economico e intellettuale al paese. Le migliaia di immigrati dai paesi anglosassoni, in particolare quelli di origine americana, hanno dato un forte impulso economico e culturale, ma hanno anche alimentato le correnti più dure e religiose nel movimento dei coloni della West Bank. Lo stato d'Israele, che si vuole ebraico, si trova di fronte a un nuovo dilemma storico: come trasformare queste diaspore afroasiatiche in fonte di immigrazione e capacità politica e culturale, indispensabili dopo l'Olocausto e il prosciugamento dei bacini europeo, nordafricano e russo. Una scelta difficile e molto ambiziosa, parte di quello che Jacques Maritain chiamava "il mistero di Israele". Ma pur sempre una scelta nobile e ottimistica, non concessa agli ebrei dal neosecolarismo assimilazionista che vibra nella diaspora destinata al tramonto. Secondo Sergio Della Pergola, massimo demografo israeliano, nel 2080 l'81 per cento dei bambini ebrei di età inferiore ai 14 anni vivranno in Israele. A conferma della storicità della profezia di Theodor Herzl e David Ben Gurion.

(il Velino, 9 gennaio 2007)





6. CRISTIANI EVANGELICI CHE AMANO ISRAELE




Tre anni di amicizia israelo-cristiana nella Knesset

di Johannes Gerloff

Il Comitato della Knesset per amici cristiani ha festeggiato all'inizio di gennaio il suo terzo anno di esistenza. Il Comitato, creato nel gennaio 2004 dal dr. Juri Stern (Israel Beiteinu), vuole costituire soprattutto una piattaforma per la relazione tra il Parlamento israeliano e i cristiani, soprattutto evangelici, amici dello Stato d'Israele. A questo Comitato per amici cristiani appartengono dodici deputati provenienti da sette partiti. Alla manifestazione dell'anniversario, che si è svolta in un locale della Knesset la sera del 9 gennaio, hanno preso parte rappresentanti di organizzazioni sionistiche e cristiane da tutte le parti del mondo, tra cui anche un pastore arabo-palestinese e rappresentanti del Congresso Mondiale Ebraico.
    Rabbi Benjamin Elon (Unità Nazionale, che ha rappresentato il dr. Stern come presidente del Comitato durante la sua malattia di cancro, ha sottolineato che la Bibbia è l'unico ponte che collega ebrei e cristiani. «E' l'unica razionale giustificazione per la nostra esistenza come ebrei in questo paese, e tra tutti i valori che ci sono comuni, è il più importante», ha dichiarato il Rabbi dell'insediamento Bethel, a nord di Ramallah. «Oltre a questo - ha detto - lo Stato d'Israele deve riconoscere, di fronte alla crescente minaccia costituita dall'estremismo islamico, che i cristiani evangelici sono i nostri più fidati alleati.»
    Il leader dell'opposizione Gideon Sa'ar (Likud) ha dichiarato che il conflitto arabo-israeliano non è la causa, ma il risultato di un confronto molto più ampio tra i valori ebraico-cristiani da una parte e quelli islamici dall'altra. E Sondra Baras, che rappresenta in Israele gli "Amici cristiani degli insediamenti israeliani", ha sottolineato ai cristiani e agli ebrei presenti che il ritorno del popolo ebraico nel suo paese alla fine porterà ad una fondamentale rinascita spirituale di Israele. Per questo motivo, il conflitto per Israele deve essere compreso anche spiritualmente.
    Dopo che i deputati della Knesset presenti, tra cui anche Ran Cohen (Meretz) e Orit Noked (Laburisti), si sono espressi, diversi rappresentanti di organizzazioni cristiane hanno risposto. A Becky Brimmer di "Bridges for Peace" sembra di riconoscere che il Comitato della Knesset per amici cristiani ha prodotto un cambiamento nella relazione tra ebrei e cristiani. «Dobbiamo chiudere la porta dietro al passato di odio e persecuzione», ha detto Brimmer, «e lavorare per un futuro migliore».
    Malcolm Hedding, direttore della International Christian Embassy Jerusalem, ha sottolineato quello che avevano detto i rappresentanti ebrei che l'avevano preceduto: «Abbiamo un comune sistema di valori biblici, ci troviamo di fronte ad una comune minaccia mondiale e abbiamo un modo univoco di distinguere tra bene e male, cosa che nel mondo di oggi viene ampiamente negata." Il pastore sudafricano ha citato inoltre il lavoro della Coalizione Europea per Israele che si adopera a Bruxelles per il diritto di Israele a vivere in pace e sicurezza, e ha sottolienato che «le organizzazioni cristiane qui rappresentate hanno aiutato più di 100.000 ebrei a immigrare in Israele.»
    Il canadese dr. Jay Rawlings, che con la sua organizzazione "Israel Vision" produce film televisi su Israele, ha detto che la buona notizia da Sion è che Dio mantiene la sua parola. E l'avvocato ebreo-messianico Calev Myers, del "Jerusalem Institute of Justice", ha invitato in modo particolare i parlamentari presenti a impegnarsi nel 2007 per la libertà di religione e di opinione in Israele. Come particolare richiesta, ha indicato il problema del visto, che hanno anche i cristiani stranieri che da molto tempo si impegnano in modo chiaro per Israele come Stato ebraico.
    Il riconoscimento del contributo di cristiani evangelici e la collaborazione con loro non è un fatto incontestato da parte ebraica. Negli anni scorsi, per esempio, tra gli ebrei ortodossi si è ripetutamente discusso se fosse lecito accettare aiuti materiali da cristiani. La tensione è arrivata al massimo nel dicembre 2006, quando l'ufficio del Congresso Ebraico Mondiale in New York ha preso le distanze da una manifestazione in onore di amici cristiani di Israele, nonostante che questa fosse stata sponsorizzata dall'ufficio israeliano del Congresso Ebraico Mondiale.

(Israelnetz Nachrichten, 9 gennaio 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


ULTIMA ORA - Poco prima di inviare questo notiziario abbiamo appreso che il dr. Stern è deceduto pochi giorni fa.

http://www.icej.org/article/mk_yuri_shtern_icej_tribute





7. MUSICA E IMMAGINI




Tahkat Shmay Yam HaTihkon




8. INDIRIZZI INTERNET




Fondazione CDEC

Eagles Wings




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