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Notizie su Israele 378 - 13 febbraio 2007

1. Ebrei contro Israele: una riflessione
2. Ebrei contro Israele: un esempio
3. Non poteva pensarci prima?
4. Istituto israeliano denuncia antisemitismo nel paese
5. Nel nome dell'Islam
6. Un sondaggio della Fondazione Bertelsmann
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Daniele 12:2-3. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno.
1. EBREI CONTRO ISRAELE: UNA RIFLESSIONE




Quando l'ebreo è nemico dell'ebraismo

di Livio Caputo

Emanuele Ottolenghi
«Schierarsi con Israele può costare molto oggi, specie nelle università, nel mondo dell'editoria e in politica. Socialmente, spesso costa l'isolamento e l'ostracismo, specie nei circoli intellettuali». Così Emanuele Ottolenghi, già giovane professore all'Università di Oxford e collaboratore di numerosi giornali italiani, denuncia nel suo nuovo libro Autodafè. L'Europa, gli ebrei e l'antisemitismo (Lindau, pagina 382, euro 24) le nuove forme che l'antisionismo sta assumendo in Europa. Ottolenghi formula uno spietato e documentato atto d'accusa contro gli intellettuali ebrei che prendono posizione contro Israele per farsi accettare dal resto dell'intellighentia. «Denunciare Israele - scrive - è parte dell'esame di ingresso nei circoli intellettuali della sinistra». Con questo loro atteggiamento, questi intellettuali diventano automaticamente «ebrei buoni», perché con il loro mea culpa forniscono il perfetto alibi all'antisemitismo degli altri.
Ma il libro è molto più della denuncia di questo tradimento: fornisce l'analisi più aggiornata e approfondita del moderno antisemitismo europeo. L'autore riconosce che il fenomeno è molto diverso da quello degli anni Trenta e Quaranta, perché oggi nessuno in Occidente vuole più sterminare gli ebrei e il nuovo antisemitismo offre agli ebrei una via d'uscita per evitare la discriminazione: l'equivalente odierno di quello che, un tempo, erano la conversione e l'assimilazione, è la denuncia di Israele, la critica serrata di ogni iniziativa del governo di Gerusalemme, l'accettazione del principio che lo Stato ebraico deve pagare un prezzo per risolvere il conflitto mediorientale.
Quanti e chi sono gli antisemiti? Sulla scorta di sondaggi e rapporti, Ottolenghi arriva alla conclusione che esiste in tutta Europa un fondo di pregiudizio antiebraico che coinvolge in media tra il 10 e il 20 per cento della popolazione. Si tratta, in genere, di un fenomeno a bassa aggressività, ma che assume forme più violente in coincidenza di eventi di cui si può incolpare lo Stato ebraico. In questo è spesso decisivo il ruolo dei media, anche italiani. In un capitolo intitolato «La demonizzazione di Israele», l'autore fa un'analisi spietata di tre casi in cui la stampa internazionale (prevalentemente di sinistra, ma non solo) ha travisato i fatti per addossare allo Stato ebraico responsabilità che in realtà non aveva. Ha definito la «passeggiata» di Ariel Sharon sulla spianata delle moschee nel 2000 come la sola causa della seconda Intifada, quando è ormai dimostrato che, al massimo, fu il fattore scatenante di una rivolta preparata da tempo. Ha presentato acriticamente la battaglia di Jenin, in cui Tsahal ha snidato casa per casa gruppi di terroristi palestinesi dal campo profughi, come una specie di «massacro degli innocenti», poi clamorosamente smentito dalle successive inchieste. Ha, infine, istigato l'opinione pubblica a considerare la barriera eretta per proteggere il territorio israeliano dagli attentati suicidi solo come uno strumento di oppressione dei palestinesi.
Quello di Ottolenghi è un libro devastante, che indurrà a giudicare con nuovi criteri certe prese di posizione antiisraeliane da parte di eminenti intellettuali ebrei in cerca di consensi; un libro, infine, che dimostra, se ancora ce n'era bisogno, quanti pregiudizi anche inconsci pervadono la nostra valutazione del conflitto israeliano-palestinese, che non è affatto la causa di tutti i mali del Medio Oriente.

(Il Giornale, 6 febbraio 2007)





2. EBREI CONTRO ISRAELE: UN ESEMPIO




Il caso Toaff. Torna l'accusa del sangue contro gli ebrei

di Massimo Introvigne

Ariel Toaff, docente di storia presso la Bar-Ilan University di Ramat Gan, in Israele e figlio del più famoso rabbino italiano, il novantunenne e grande amico di Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) Elio Toaff, ha pubblicato direttamente in italiano un libro – Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali (il Mulino, Bologna 2006) – che vorrebbe rovesciare gli ultimi cinquant'anni di storiografia e di sociologia storica sul tema dell'"accusa del sangue", l'accusa – cioè – rivolta agli ebrei dal Medioevo fino ai giorni nostri di sacrificare bambini cristiani per cibarsi ritualmente del loro sangue. Per la storiografia accademica – tutt'altro che poco abbondante sull'argomento – la questione è risolta da molti anni. L'"accusa del sangue" – che prosegue una calunnia lanciata dai pagani contro i cristiani, basata su una maliziosa incomprensione della nozione di "bere il sangue di Cristo" nell'Eucarestia – è un mito antisemita, la cui genesi può essere spiegata con una serie di elementi storici e sociologici precisi, e che assomiglia al mito del vampiro come non-morto che torna dalla tomba a bere il sangue dei vivi o a quello del Sabba dove le streghe si accoppiavano con i demoni. La differenza con queste mitologie cui ormai credono in pochi è che ancora oggi la televisione degli Hezbollah al-Manar, il governo siriano e quello iraniano, e più in generale tutto l'ultra-fondamentalismo islamico, utilizzano l'accusa del sangue per la loro propaganda anti-ebraica. Toaff sostiene ora che è tutto vero: sarebbe esistito almeno dall'Alto Medioevo al Quattrocento un "fondamentalismo violento e aggressivo" (p. 13) – l'anacronismo, giacché il termine "fondamentalismo" nasce solo agli inizi del XX secolo è curioso, e forse rivelatore – presso un gruppo, non inconsistente, di ebrei ashkenaziti che avrebbero effettivamente sacrificato fanciulli cristiani per assumere ritualmente il loro sangue.
    Mi sono occupato della questione in un libro del 2004 – Cattolici, antisemitismo e sangue – che Toaff definisce "una voce enciclopedica sull'argomento" (il che non mi sembra, ma forse sbaglio, un'offesa) purtroppo "corredata da una bibliografia solo parzialmente aggiornata" (p. 254). Non mi soffermo sull'aggiornamento della bibliografia di Toaff, che ignora completamente il più completo saggio in lingua italiana sull'argomento e uno dei più importanti in assoluto – L'accusa del sangue: storia politica di un mito antisemita di Ruggero Taradel (Editori Riuniti, Roma 2002) – e mi limito a notare che non deve avere letto per intero il mio libro. Se lo avesse fatto non sarebbe incorso in un equivoco sulle posizioni del cardinale Lorenzo Ganganelli, poi Papa Clemente XIV (1705-1774), autore del più articolato documento vaticano sul tema – un rapporto del Sant'Uffizio (oggi Congregazione per la Dottrina della Fede) del 1759 (non del 1760, come ritiene Toaff, che è la data in cui il Sant'Uffizio lo approva con voto) – sui casi di due fanciulli presunte vittime di omicidi rituali, Simone da Trento e Andrea da Rinn. Ben lungi dal considerare questi eventi "concreti e reali" senza riserve (p. 70), il cardinale dichiarava il suo ossequio ai Papi che avevano approvato il culto dei due fanciulli come martiri ma non si asteneva dal manifestare un'ampia serie di riserve. Sempre se avesse letto il mio libro – non amando le teorie del complotto in genere, non immagino neppure un travisamento volontario – Toaff saprebbe che a rigore non tratta dell'accusa del sangue, su cui già esisteva un'enorme letteratura e ben poco si sarebbe potuto aggiungere, ma delle reazioni della Chiesa cattolica all'accusa del sangue, che costituiscono un tema diverso. Toaff avrebbe così potuto discutere una questione cui non dedica neppure una riga del suo pur ampio volume: dal 28 maggio 1247, data della prima bolla sul tema di Papa Innocenzo IV (1195-1254), al rapporto del Sant'Uffizio del 1759, ci sono otto documenti del magistero pontificio dove i Papi dichiarano di avere fatto svolgere indagini sulla questione e di avere concluso che si tratta di accuse "falsissime", "stupide" e "incredibili" (così il Papa Beato Gregorio X, 1210-1276, nella sua bolla del 7 ottobre 1272). Nel 1706, a fronte di una recrudescenza dell'accusa del sangue in Polonia, il Sant'Uffizio aveva esplicitamente autorizzato il rabbino capo di Roma, Tranquillo Vita Corcos (1660-1730), a pubblicare uno studio critico sul tema, e lo aveva inviato ai vescovi polacchi. Vi è qui anche un monito ai cattolici anti-ebraici che volessero entusiasmarsi per il libro di Toaff, i quali dovrebbero accusare di essersi clamorosamente sbagliato il magistero ordinario di una teoria plurisecolare di Papi. I diversi atteggiamenti del mondo cattolico dopo la Rivoluzione francese, e in particolare nel XIX secolo, sono un tema interessante, controverso e ampiamente discusso nel mio testo, che non è però il caso di trattare qui perché il libro di Toaff si arresta al XVI secolo.
    A differenza di Toaff – e, temo, anche di molti che hanno scritto articoli pro o contro il suo libro prima che uscisse in libreria – prima di intervenire sul tema ho letto Pasque di Sangue, con particolare riguardo alle note, che in un libro di storia sono cruciali perché ci dicono da dove lo storico trae le sue notizie. La prima osservazione è che nel libro le pagine dedicate all'accusa del sangue sono decisamente minoritarie rispetto a quelle che trattano di altri argomenti, che non sono prive di interesse e dove Toaff apporta informazioni bene ordinate e presentate con notevole vivacità, il che rende la lettura a suo modo piacevole, ancorché raramente del tutto nuove. Gran parte del libro è dedicata ai seguenti temi: il coinvolgimento di ebrei in attività di spionaggio (che avrebbero potuto forse – "forse" è una delle parole più usate nel testo – coinvolgere un tentativo di assassinare il sultano turco dell'epoca) e in affari piuttosto loschi della Repubblica di Venezia; le invettive anticristiane nella letteratura e in alcuni rituali ebraici medievali e della prima età moderna; le parodie blasfeme del cristianesimo, che avrebbero comportato in particolare la crocifissione di un agnello a Pasqua in odio a Gesù Cristo, di cui si sarebbero "forse" resi colpevoli certi ebrei di Candia; l'uccisione di cristiani, alcuni "forse" mediante crocifissione, da parte di ebrei (e viceversa) in occasione di tumulti; il dramma di alcune madri ebree disperate che avrebbero ucciso i propri figli per sottrarli al rapimento e alla conversione forzata al cristianesimo; le accuse a Gesù Cristo nella polemica anticristiana ebraica di essere stato concepito non da una vergine ma da una donna mestruata; un'iconografia ebraica che rappresenta con evidente compiacimento il sangue di nemici uccisi; un complotto "forse" ordito da ebrei per uccidere i responsabili di uno dei più sanguinosi casi di accusa del sangue, quello di Trento del 1475; e la pratica superstiziosa di alcune comunità ebraiche, dove si sarebbe ritenuto portatore di benefici terapeutici (o magici, ma Toaff non ama questo aggettivo) il sangue della circoncisione.
    A chi obiettasse che tutto questo non c'entra evidentemente nulla con l'accusa del sangue, Toaff risponde che si tratta invece delle fondamenta che gli consentono di stabilire due cose: la prima, che l'avversione degli ebrei medievali per i cristiani era così estrema da rendere credibili le accuse di omicidio rituale; e la seconda, che nonostante i divieti biblici e talmudici contro l'uso del sangue l'immagine del sangue ritorna – secondo lo storico ossessivamente – nell'iconografia e nel folklore ebraico e ci sono casi di superstizioni in cui il tabù era superato e si usava per scopi curativi il sangue, in particolare quello della circoncisione. Toaff riesuma anche – permettendosi perfino qualche punto esclamativo, quasi a indicare di avere finalmente trovato l'arma del delitto – i responsi di due stimati rabbini dell'epoca moderna, Jacob Reischer (1670-1734) di Praga e Hayyim Ozer Grodzinski (1863-1940) di Vilnius, i quali autorizzano l'uso di farmaci a base di sangue animale essiccato. Lo studioso di religioni va immediatamente con il pensiero ai Testimoni di Geova, i quali sconsigliano ai loro fedeli le trasfusioni di sangue e le medicine che contengano a qualunque titolo sangue, ritenendole in contrasto con il divieto biblico di mangiare il sangue. La grande maggioranza dei cristiani (e degli ebrei) non la pensa così, ma questo non significa che si aggirino nottetempo cercando bambini di altra religione da sacrificare per poi berne il sangue. Fuori dall'uso medico (non importa se conforme o meno alla medicina del 2006, quella che rileva essendo ovviamente la medicina del tempo), Toaff ha trovato solo responsi di rabbini che condannano qualunque uso superstizioso del sangue, come del resto facevano i vescovi cristiani più o meno nello stesso periodo.
    Venendo alla parte del libro – come si è accennato, assai più succinta di quanto potrebbe sembrare a prima vista – che tratta dei casi di accusa del sangue, per rovesciare le conclusioni cui è pervenuta tutta la letteratura accademica che lo precede, Toaff, che ha pochi documenti nuovi da citare, deve metterne in discussione anzitutto la metodologia. Questa si basa su due capisaldi. Il primo è che le confessioni estorte con uso abbondante della tortura non possono essere considerate una prova dallo storico. Toaff risponde che non è proprio così, perché diversi documenti, e in particolare i verbali del caso del piccolo Simone di Trento del 1475 (la fonte principale di Toaff, già nota e pubblicata, perché per gli altri casi le testimonianze sono molto più scarne) riportano tutta una serie di affermazioni degli imputati su rituali e pratiche tipicamente ebraiche che i giudici non potevano conoscere. Dopo avere notato che sia nel libro di Toaff sia nelle polemiche giornalistiche che lo hanno seguito si usano in modo improprio i termini "inquisitori" e "Inquisizione", perché a rigore l'Inquisizione – romana e spagnola – si è occupata di tre casi di accusa del sangue, in due dei quali ha condannato gli accusatori e non gli ebrei accusati, mentre tutti gli altri episodi (Trento compreso, benché la città fosse governata da un vescovo-principe) sono stati giudicati da tribunali civili e non ecclesiastici, osservo che il problema è già ampiamente noto in tema di stregoneria.
    Gli storici della stregoneria hanno passato buona parte del XX secolo a combattere la cosiddetta "eresia Murray", che ha tra l'altro un ruolo importante nelle origini della moderna neo-stregoneria o Wicca in Inghilterra e negli Stati Uniti. Margaret Alice Murray (1863-1963), egittologa di professione e storica della stregoneria per passione, pubblica a partire dal 1917 diversi scritti sulle streghe che culminano nel 1931 con Il dio delle streghe. Influenzata dalle ricerche, a sua volta discusse, del folklorista americano Charles Godfrey Leland (1824-1903), condotte soprattutto in Italia, Margaret Murray – che sopravviverà alla controversia sulla sua "eresia" storiografica, e vivrà fino alla rispettabile età di cento anni – sostiene che le confessioni delle streghe processate non possono essere attribuite alla tortura perché sono piene di allusioni a un folklore contadino che non era quello degli inquisitori colti e che questi non avrebbero potuto inventare nei loro verbali. Per la Murray quelle allusioni, messe insieme, testimoniano l'esistenza clandestina nel Medioevo di un vasto network che praticava la "vecchia religione" dei pagani, sopravvissuta alla repressione dei cristiani e da questi diffamata con il nome di stregoneria.
    Toaff è consapevole del fatto che gli sarà rivolta questa obiezione, e infatti invita fin dalle prime pagine del libro a non applicare all'accusa del sangue metodologie usate per lo studio della stregoneria, con procedure che chiama "epidermiche e impressionistiche" (p. 8). Ma perché mai si dovrebbe rinunciare a un patrimonio di conoscenze storiche accumulate in decenni di studi sulla stregoneria? A ben vedere, la tesi di Toaff non è altro che l'"eresia Murray" riveduta e applicata all'accusa del sangue. Alla Murray è stato risposto fino alla noia che, anche sotto tortura, le presunte streghe conservavano certamente il loro linguaggio e mescolavano a quel che interessava ai giudici (tra cui l'ammissione di avere avuto commercio carnale con il Diavolo) informazioni reali sul loro mondo e sulle tradizioni contadine. Se affermiamo che tutto quello che le accusate di stregoneria raccontavano nei processi era falso, certamente sbagliamo. Ma sbagliamo in modo più grave se crediamo che tutto quanto risulta dai verbali dei processi per stregoneria sia vero. Come le donne (e gli uomini) accusati di stregoneria raccontavano particolari spesso veri su pratiche magiche e superstiziose, ma certamente davano voce ad affabulazioni loro o dei giudici quando raccontavano di essersi accoppiate con il Diavolo o di volare a cavallo delle scope, così è possibile che gli ebrei torturati a Trento ci aprano una finestra su un mondo di superstizioni popolari dell'epoca, ma questo non significa che sia un fatto oggettivo anche quanto raccontano a proposito dell'omicidio rituale del piccolo Simone e dell'assunzione rituale del suo sangue.
    Un po' ingenuamente, Toaff ci ricorda che la tortura era lecita per le leggi del tempo e che le crudeli procedure usate a Trento "se pur inaccettabili oggi ai nostri occhi, erano quindi di fatto normali" (p. 12): ma questo che cosa cambia esattamente? Quando poi lo storico ci annuncia casi corredati da "riscontri obbiettivi" (p. 76), come quello di Endingen in Alsazia del 1470, ci si aspetterebbe un uso del termine "riscontro" conforme al linguaggio giuridico corrente. Nel caso di Endingen – a differenza di altri, dove il presunto fanciullo sacrificato ricompare dopo qualche giorno vivo e vegeto – scavando si trova un cadavere. Ma il ritrovamento di un cadavere dimostra solo che il bambino scomparso è morto: non ci dice ancora nulla su chi lo ha ucciso, e certamente non ci dice perché. Da qui a concludere che le deposizioni degli imputati, ampiamente torturati, di processi come quello di Trento permettono di concludere che "l'uso del sangue d'infante cristiano nella celebrazione della Pasqua ebraica era apparentemente oggetto di una normativa minuziosa" fra un gruppo ampio di ebrei ashkenaziti, dove "ogni eventualità era prevista e affrontata, quasi facesse parte integrante delle più collaudate regole del rito" (p. 173) il passo è decisamente più lungo della gamba di Toaff. Il quale, tra l'altro, deve screditare l'inchiesta del legato pontificio inviato da Roma, l'arcivescovo Battista de' Giudici (1428-1484), il quale dichiarò gli ebrei di Trento "completamente innocenti" e le storie di omicidio rituale "fantasie", così anticipando quanto la Sacra Congregazione dei Riti avrebbe confermato in un decreto sul caso di Trento del 4 maggio 1965. Toaff risponde riesumando tutti i pettegolezzi dell'epoca su de' Giudici, che non solo "pare" (si noti il "pare") "fosse accompagnato da tre ebrei" ma sarebbe stato anche "un buongustaio" e un mangione (pp. 211-212).
    L'altro principio metodologico che Toaff mette in dubbio è di carattere più squisitamente sociologico, ed è quello secondo cui il fatto che decine o anche centinaia di racconti di omicidi rituali imputati agli ebrei siano simili fra loro non prova l'accusa del sangue, ma al contrario è un forte indizio della sua falsità. Sono i resoconti, non i fatti, a copiarsi fra loro. Questo non vale solo per la stregoneria. Se Toaff si sedesse a fare due chiacchiere con uno dei tanti sociologi contemporanei che si sono occupati della "grande paura" degli omicidi rituali satanici negli Stati Uniti e nell'Inghilterra degli anni 1980 e 1990 – da non confondersi con i veri crimini di satanisti come le Bestie di Satana italiane, del tutto reali ma per fortuna rari – o dei resoconti di chi afferma di essere stato rapito da extraterrestri e portato a bordo di UFO, si renderebbe conto che, se ci sono centinaia di casi di accusa del sangue, ci sono migliaia di resoconti di persone che hanno affermato di avere visto bambini mangiati dai satanisti o di essere state condotte su astronavi aliene. Il fatto che questi resoconti siano molto simili fra loro dimostra precisamente che fanno parte di una subcultura dove ognuno ripete quello che qualcun altro ha detto, come in ogni leggenda urbana che si rispetti. Tra l'altro, la maggioranza dei resoconti di omicidi rituali satanici o di rapimenti alieni sono stati raccolti sotto ipnosi, in uno stato di coscienza alterato per certi versi simile (anche se naturalmente assai meno crudele) rispetto a quello indotto dalla tortura.
    Concludendo, l'opera di Toaff non si fonda su alcuna "scoperta". Sul caso centrale per il suo argomento, che è quello di Trento, non apporta documenti nuovi ma cerca di rovesciare la metodologia scientifica usata da decenni per la corretta interpretazione di quelli noti e pubblici, senza accorgersi che usando il suo metodo si dovrebbe ammettere anche che le streghe andavano a incontrare il Diavolo a cavallo delle loro scope o che centinaia di buoni americani degli anni 1990 erano rapiti da omini verdi provenienti da qualche lontana galassia.
    Forse il libro ci dice poco sull'accusa del sangue, ma molto sul clima in certe università israeliane dilaniate fra una componente religiosa e una laicista. Per

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un certo mondo cristiano medievale e moderno l'"alieno" di cui si poteva credere perfino che bevesse il sangue era l'ebreo. Per un certo ebraismo illuminato e laicista in Israele oggi l'"alieno" è l'ebreo ultra-ortodosso che si veste di nero, rifiuta il servizio militare e grazie alla demografia ha un peso sempre più determinante nei giochi elettorali israeliani. Accenti tipicamente antisemiti emergono paradossalmente nel modo in cui un certo laicismo israeliano rappresenta gli ultra-ortodossi gli haredim. Secondo questa propaganda, tipicamente espressa nelle caricature dei quotidiani secolaristi israeliani – come nota in un bel libro lo storico Noah J. Efron (Real Jews, Basic Books, New York 2003, p. 260) – in queste caricature "lo haredi prende e prende, mentre lo tzabar (il mitico ebreo [non religioso] nato in Israele) produce. Lo haredi manipola, mentre lo tzabar è franco e diretto. Lo haredi è curvo, con il naso adunco, scuro e deforme, mentre lo tzabar è biondo, bello e robusto". E' la paura degli ebrei ultra-ortodossi (non tutti gli atteggiamenti dei quali sono, certo, gradevoli) – come qualcuno dice, la seconda bomba demografica dopo quella arabo-islamica che minaccia il laico sionismo israeliano – che spiega come in Israele a qualcuno possa venire in mente di tirare fuori da vecchi armadi perfino lo scheletro dell'accusa del sangue.
    Il lettore che ha seguito le controversie giornalistiche sul libro avrà notato che non affermo da nessuna parte che Toaff "fa il gioco di Ahmadinejad", l'argomento essendo politicamente significativo ma scientificamente irrilevante. Anche un orologio rotto segna l'ora giusta due volte al giorno, ed è possibile – ancorché poco probabile – che ci siano casi in cui perfino Ahmadinejad dica qualcosa di vero quando parla degli ebrei. Ma il lettore eventualmente preoccupato può riposare tranquillo: questo non è uno di quei casi.

(Liberali per Israele, 10 febbraio 2007)





3. NON POTEVA PENSARCI PRIMA?




La libertà di ricerca non è illimitata

di Federico Steinhaus

E' difficile inserirsi nella polemica che in questi giorni sconvolge il mondo ebraico e lo si può fare solamente avendo ben presenti la sua forza dirompente ma anche la sua delicatezza, che toccano la tragica storia dei rapporti fra gli ebrei europei ed il resto del continente oltre che alcuni principi fondanti dei diritti individuali.
    Da un punto di vista scientifico e giuridico questo dibattito si innesta su quello che poche settimane or sono aveva destato molta attenzione, in quanto si occupava del divieto e della punibilità di negare la realtà della Shoah, toccando anche in questo caso il tema della libertà di pensiero e di ricerca in collegamento con quello della verità.
Proviamo innanzi tutto a fissare alcuni punti di riferimento che paiono certi ed indiscutibili:
  1. il diritto alla libera ricerca è essenziale nel configurare, insieme ad altri diritti individuali, l'insieme delle libertà facenti capo all'individuo
  2. il ricercatore, ed in particolare lo storiografo, deve agire con scrupolo, coscienziosità, competenza
  3. se è vero che uno stimolo alla ricerca può risiedere nella giusta ambizione del ricercatore, ciò non di meno il frutto della ricerca deve possedere una propria validità oggettiva
  4. il ricercatore serio, ed in particolare lo storiografo, deve essere lucidamente consapevole delle possibili conseguenze sociali e culturali della propria ricerca ed assumersene la responsabilità.
Questi punti qualificanti sono, uno ad uno, certamente condivisibili ma nella realtà possono entrare in conflitto fra loro, fino al punto da costringere il ricercatore a fare delle scelte privilegiandone alcuni a scapito di altri.
    Il caso del libro scritto da Ariel Toaff mi pare esemplare da questo punto di vista.
    Riassumiamolo in poche battute essenziali: Ariel Toaff è un docente di storia medievale presso una prestigiosa università israeliana; nel corso di una sua ricerca sull'accusa di omicidio rituale, a causa della quale migliaia di ebrei furono torturati ed uccisi barbaramente in Europa nel corso di molti secoli, si imbatte in documenti che gli fanno balenare alcuni dubbi; da questi dubbi, basati su documenti che peraltro lui stesso ci dice essere incerti e bisognosi di interpretazioni, Toaff evince l'ipotesi (non la certezza!) che forse alcuni ebrei possano realmente aver ucciso bambini cristiani per vendicarsi delle persecuzioni subite, oppure aver usato del sangue a scopi rituali in spregio delle rigidissime norme religiose ebraiche che lo vietano in maniera assoluta. Di queste ipotesi ed interpretazioni Toaff fa il perno di un suo libro di storia, e ne anticipa sulla stampa l'uscita sottolineando tali ipotesi come se fossero verità inconfutabili.
    Dopo di che, Toaff si meraviglia per le reazioni che questa tesi suscita, di indignazione e di rifiuto, e si atteggia a vittima di un complotto da parte delle frange oscurantiste dell' ebraismo (nelle quali individua tutto il rabbinato, incluso suo padre). Nel frattempo molti autorevoli storici confutano le tesi di Toaff e dimostrano che egli si è servito di testi e documenti già noti per fornirne una sua lettura personale. Infine, nella terza fase di questo melodramma mediatico, Toaff fa marcia indietro e precisa che, forse, qualche ebreo potrebbe aver ucciso bambini cristiani oppure essersi servito di sangue secco per scopi rituali, ma non sono stati più di un paio nei secoli e nei vasti territori di cui il suo libro si occupa. E, comunque, si tratta solo di ipotesi ed interpretazioni personali.
    In altri termini pare che Toaff abbia scelto di dare una mano a quanti hanno accusato ed accusano ancora oggi (vedasi l'antisemitismo di matrice islamica!) gli ebrei di compiere omicidi rituali, e di farlo in modo quanto mai plateale, per poi minimizzare questa sua tesi e demolirla egli stesso dandole un significato di mera ipotesi interpretativa. Se così è, pare che egli abbia deliberatamente voluto ignorare i punti 3 e 4 delle affermazioni che introducono questa analisi.
    La domanda che sorge spontanea a questo punto è: ma non poteva pensarci prima?

(Informazione Corretta, 9 febbraio 2007)





4. ISTITUTO ISRAELIANO DENUNCIA ANTISEMITISMO NEL PAESE




GERUSALEMME - In Israele ci sono non pochi casi di antisemitismo da parte di persone immigrate dagli stati della dissolta Unione Sovietica, che si manifestano in espressioni ingiuriose nei confronti degli ebrei, in graffiti chiaramente antisemiti, nella distruzione di tombe e simboli religiosi.
Esiste a quanto pare un' ampia casistica, secondo il quotidiano Yedioth Aharonoth, che e' documentata dal centro di assistenza Dmir per le vittime dell' antisemitismo.
''E' un problema che tutti preferiscono celare sotto il tappeto'' afferma il direttore del Dmir Zalman Glichevsky. immigrato dalla Russia all' inizio degli anni novanta.
Glichevsky afferma di aver ricevuto con sua grande sorpresa centinaia di risposte a una sua inserzione su un giornale locale in lingua russa con l'invito ai lettori a riferire casi di antisemitismo di cui sono stati vittime in Israele.
Il mese scorso, ad esempio, la polizia israeliana ha arrestato sei giovani tra i 12 e i 15 anni di Bat Yam, un sobborgo di Tel Aviv, accusati di aver bruciato una bandiera israeliana e simboli religiosi ebraici.
La maggior parte degli arrestati, che non sono ebrei, hanno detto agli inquirenti ''di odiare gli ebrei e qualunque cosa abbia un legame con gli ebrei''.
Il problema e' apparentemente una conseguenza della massiccia immigrazione di circa un milione di persone, giunte dall' ex Urss nel decennio tra la seconda meta' degli anni ottanta e gli anni novanta.
Di questo milione la percentuale dei non ebrei che nei primi anni era stimata intorno al 25% sarebbe poi salita anche al 50%.
La Legge del Ritorno in vigore riconosce non solo a ogni ebreo, inclusi i convertiti, il diritto di immigrare in Israele e di riceverne automaticamente la cittadinanza, ma anche alla moglie e ai figli non ebrei e pure a persone che abbiano avuto almeno un nonno ebreo, da parte del padre o della madre.
Alcuni degli immigrati non ebrei si sono portati evidentemente appresso pregiudizi e stereotipi antisemiti acquisiti nei paesi di origine.
Secondo Glichevsky suoi tentativi di destare l'attenzione di uomini politici sul problema non hanno avuto successo perche' ''non vogliono danneggiare l'immagine di Israele ... come rifugio dall' antisemitismo''.

(Ansa, 12 febbraio 2007)





5. NEL NOME DELL'ISLAM




Yemen, cresce l'antisemitismo

di Naoki Tomasini
 
Minacce.
Il quotidiano arabo Al Wattan riporta la vicenda di 45 ebrei yemeniti che hanno subito minacce da una formazione di musulmani radicali e sono stati costretti a lasciare case e quartiere per trasferirsi provvisoriamente in un albergo della città. "Chiunque rimanga nelle case – si legge nel messaggio recapitato a un membro della comunità - sarà ucciso o i
suoi figli saranno rapiti". Dall'albergo di Sa'ada hanno inoltrato una protesta direttamente al presidente Abdullah Saleh. Le minacce sono partite da un gruppo di radicali sciiti che fa capo a Hossein Bader A-Din Al Khouty, secondo i quali gli ebrei avrebbero agito "per servire la causa del sionismo globale, che punta a disseminare la decadenza tra la gente, e allontanarla dai loro principi, dai loro valori e dalla religione". Nel delirante messaggio le famiglie vengono avvertite che sono state messe sotto sorveglianza e la caccia agli ebrei viene giustificata nel nome dell'islam.
 
Protezione.
La scorsa settimana un componente della comunità ebraica di Sa'ada è stato avvicinato da uomini mascherati, che gli hanno dato due giorni di tempo per lasciare la casa. "Siamo stati buttati fuori dalle nostre case –ha detto - abbiamo perso i nostri soldi e non sappiamo come provvedere ai nostri figli". Secondo Masoud, un uomo che è entrato in contatto con una delle famiglie minacciate per conto di una radio israeliana, le famiglie non avrebbero nessuna intenzione di emigrare in Israele, e vorrebbero piuttosto continuare a vivere nello Yemen. "Sono spaventati e le loro condizioni di vita sono molto peggiorate da quando devono vivere in un albergo" dice. Nonostante le minacce del gruppo islamico fossero esplicitamente dirette contro l'intera comunità, il governo ha rifiutato di fornire loro assistenza, come spetterebbe a qualunque cittadino yemenita. La comunità ebraica di Sa'ada ha vissuto in Yemen per generazioni, godendo della protezione dei tolleranti capi tribù locali, ai quali pagavano tasse in cambio della sicurezza. Gli ebrei in Yemen sono diverse centinaia e fino ad ora non avevano avuto i gravi problemi di integrazione che affrontano in altri paese del medio oriente. La maggior parte di loro è radicata nel Paese, dove può praticare la propria vita religiosa e mandare i bambini a studiare nelle scuole ebraiche. Israele per loro è solo un Paese dell'area, non un luogo dove andare per sfuggire all'intolleranza. Almeno fin'ora.
 
(PeaceReporter, 1 febbraio 2007)





6. UN SONDAGGIO DELLA FONDAZIONE BERTELSMANN




Visto dall'italiano "la Repubblica"

Per il 40% dei tedeschi il nazismo aveva aspetti positivi

Il 40 per cento dei tedeschi e' convinto che il nazismo abbia avuto anche aspetti positivi. E' quanto emerge da uno studio condotto dalla Fondazione Bertelsmann, i cui risultati sono stati resi noti oggi dalla "Welt am Sonntag". Il 55% del campione ha risposto invece che il nazismo ha avuto "solo aspetti negativi" o che questi "hanno predominato". Per quanto riguarda l'atteggiamento nei confronti degli ebrei, il 56 per cento dei tedeschi dichiarano di non essere antisemiti, mentre un terzo ha affermato che "gli ebrei hanno un'influenza eccessiva nel mondo", con un 15% che si e' dichiarato apertamente antisemita. Oltre un terzo degli interrogati (36%) si dice inoltre convinto che "c'e' qualcosa di vero" nell'asserzione che gli ebrei trarrebbero oggi profitto dall'Olocausto, mentre un 12% attribuisce loro una parte di responsabilita' per le persecuzioni subite dal nazismo. Una larga maggioranza del campione (58%) afferma che a 62 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e' giunto il momento di "mettere una definitiva pietra sul passato" e sostiene che non si dovrebbe piu' parlare tanto della Shoah. L'unica considerazione confortante che si puo' dedurre da questo dato e' che nel 1991 ad essere dello stesso avviso era una percentuale ancora piu' larga di cittadini (62%). Dal sondaggio, che e' stato condotto anche in Israele e tra gli ebrei americani, emerge che il 90 per cento degli israeliani si dichiara favorevole alla riconciliazione con i tedeschi, mentre il 9 per cento rifiuta con ostinazione questa possibilita'. In caso di un nuovo conflitto militare tra Israele ed i Paesi arabi, il 28 per cento dei tedeschi parteggerebbe per gli israeliani, il 14 per cento per i palestinesi, il 26 per cento con nessuna delle due parti. Una curiosita': secondo il sondaggio, solo il 58 per cento degli israeliani sa chi sia Angela Merkel.

(Repubblica, 11 febbraio 2007)

* * *

E visto dal tedesco "Die Welt"

Gli ebrei vedono bene i tedeschi

Uno studio della Fondazione Bertelsmann ha esaminato il rapporto delle popolazioni fra di loro. Ne è risultato che la maggior parte degli israeliani e degli ebrei americani ha un atteggiamento amichevole verso la Germania.

GÜTERSLOH - Il rapporto tra tedeschi ed ebrei è significativamente migliorato negli ultimi quindici anni. E' il risultato che emerge da un'indagine pubblicata domenica sera a Gütersloh dalla Fondazione Bertelsmann sulla relazione tra tedeschi ed ebrei. E' stata eseguita a gennaio in Israele, in Germania e negli Stati Uniti, e, stando ai risutati, la maggior parte degli israeliani e degli ebrei americani ha un atteggiamento amichevole verso la Germania.
Viceversa, lo studio rileva che tra i tedeschi è cresciuto il senso di responsabilità per il popolo ebraico: i tedeschi hanno più simpatia per gli israeliani che per gli arabi nel conflitto mediorientale, e per quanto riguarda l'antisemitismo si può notare un leggero calo nel numero delle risposte antiebraiche.
Scendendo nei particolari, secondo la Fondazione Bertelsmann il numero degli israeliani che hanno un'idea positiva della Germania è cresciuto, dal 1991, dal 48 percento al 57 percento. Tra gli ebrei americani, il 56 percento ha un'opinione positiva della Germania, per il 14 percento è addirittura ottima. Viceversa, oggi soltanto il 9 percento degli israeliani ritiene di non potersi riconciliare con i tedeschi, rispetto al 22 percento di quindici anni fa. Nello stesso tempo, oggi molti più israeliani sono convinti che la Germania è una democrazia consolidata.

(Die Welt, 12 febbraio 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





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