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Notizie su Israele 380 - 1 marzo 2007

1. A colloquio con il sindaco di Gerusalemme
2. Francia, +45% aggressioni a ebrei
3. Una via del male intrecciata a quella del bene
4. L'antisemitismo degli immigrati dall'ex URSS in Israele
5. L'antisemtismo ebraico e di sinistra
6. Considerazioni di un ebreo laico
7. Ebraismo e realtà virtuale
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Salmo 110:1-2. Il SIGNORE ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi». Il SIGNORE stenderà da Sion lo scettro del tuo potere. Domina in mezzo ai tuoi nemici!
1. TITOLO




Intervista a Uri Lupolianski

di Aviel Schneider

Da circa tre anni Uri Lupolianski è sindaco di Gerusalemme. Anche se all'inizio molti erano scettici su di lui, questo ebreo ultra-ortodosso e padre di dodici figli ha dimostrato di essere un sindaco della capitale di Israele abbastanza poco politico. Con il suo patrocinio è stato fondato perfino un consiglio interreligioso, formato da ragguardevoli personalità, che ha cercato di lavorare per un miglioramento della convivenza di ebrei, cristiani e musulmani.

Uri Lupolianski
Uri Lupolianski, nato nel 1951 a Haifa, nel 1976 ha fondato l'organizzazione di aiuto sociale Yad Sarah, in memoria della sua nonna Sarah di Karlsruhe. Yad Sarah aiuta malati, anziani e persone sole. Nel 1989 è stato eletto per la prima volta nel Consiglio comunale di Gerusalemme, e nel 2003 è diventato il primo sindaco ultra-ortodosso di Gerusalemme. Anche se gli hanno rinfacciato che sotto la sua amministrazione ha potuto svolgersi in Gerusalemme la parata di omosessuali e lesbiche, bisogna riconoscergli che come sindaco non ha il potere di permettere o vietare dimostrazioni o parate. Come sindaco adesso deve accontentare la variopinta popolazione di Gerusalemme, in tutto 700.000 abitanti: ebrei ortodossi, ebrei tradizionali, ebrei secolari, arabi, cristiani, ecc. ecc.

israel heute: Dopo tre anni di amministrazione, dove pensa che sia la più grande sfida?
Lupolianski: Essere sindaco di Gerusalemme non è un compito facile! Da nessun'altra parte si trova un simile complicato mosaico di persone come a Gerusalemme. Persone di diverse culture e religioni, con diverse lingue e da tutti gli angoli della terra vivono insieme a Gerusalemme.

israel heute: Che cosa fa, come sindaco, per far vivere insieme in pace queste persone?
Lupolianski: Io non parlo di politica, ma di persone! E' una cosa che ripeto spesso, sia all'arabo Mukhtars (sindaco della parte araba della città), sia ai responsabili cristiani della città. Gerusalemme è una città santa, una città di pace, e quindi siamo noi che dobbiamo preoccuparci della convivenza in Gerusalemme. Più che un fatto di alta politica, il nostro è un comitato familiare.

israel heute: Gerusalemme figura tra le tre città più povere di Israele. Come mai?
Lupolianski: L'amministrazione comunale ha il compito di provvedere alle necessità degli abitanti della città. Di solito, le capitali sono note per il loro alto livello di povertà, come p.es. Washington, Berna e altre capitali. Al contrario di Tel Aviv e di altre grandi città d'Israele, Gerusalemme non è un centro di scambi economici e commerciali, ma piuttosto una città di governo e studi. Le persone quindi dispongono soltanto di entrate medie. Gerusalemme non è una città povera, ma una parte degli abitanti vive sotto il livello di povertà israeliano, cosa che riguarda soprattutto gli ebrei ortodossi e gli arabi.

israel heute: Quali sono i suoi piani per la Gerusalemme del futuro?
Lupolianski: Voglio portare avanti Gerusalemme. Negli ultimi anni la città è diventata sempre più vivace. Si costruisce dappertutto. Vorrei che ogni abitante della città, indipendentemente dalla religione e dalla cultura, a Gerusalemme si senta bene e come a casa.

israel heute: Può Gerusalemme essere contemporaneamente la capitale di Israele e di uno stato palestinese?
Lupolianski: Mai! Non esiste neppure un esempio di una capitale con due corone. Gerusalemme è e rimane la capitale di Israele. Nei dintorni di Gerusalemme ci sono parecchi posti che potrebbero servire come capitale dello stato palestinese. Se vogliono, questi posti li possono anche chiamare Al Quds. Ma Gerusalemme appartiene a noi.

israel heute: In che modo i cristiani in tutto il mondo possono pregare per Gerusalemme?
Lupolianski: Pregate per Gerusalemme chiedendo che finalmente ci sia pace in questa città contesa. Gerusalemme è destinata a diventare nel mondo un simbolo del fatto che vicini di diverse religioni e culture possono vivere insieme in pace!

(israel heute, marzo 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. FRANCIA, +45% AGGRESSIONI A EBREI NEL 2006




PARIGI - Il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia ha denunciato che lo scorso anno le aggressioni fisiche contro ebrei sono aumentate del 45%.
Il dato è stato elaborato dal Servizio di protezione della comunità ebraica che registra le telefonate di denuncia e le confronta poi con il ministero dell'interno. E' così che nel 2006 sono state registrate dall'Spcj 213 azioni contro ebrei (134 nel 2005) con un aumento del 40%; mentre le aggressioni fisiche sono cresciute del 45% passando da 77 nel 2005 a 112 nel 2006.
In totale nel 2006 sono stati registrati 371 atti contro ebrei (dalla minaccia all'aggressione fisica), contro i 300 del 2005, con un incremento globale del 24%. Il Consiglio ha constatato però una diminuzione del 21% degli atti antisemiti negli ultimi tre mesi del 2006 e ha detto che questa tendenza si è confermata nel mese di gennaio di quest'anno.

(SwissInfo, 26 febbraio 2007)





3. UNA VIA DEL MALE INTRECCIATA A QUELLA DEL BENE




La Leica che salvò cento ebrei
     
di Salvo Mazzolini
     
A volte le vie del bene e del male si incrociano e si confondono creando uno strano intreccio in cui il bene, per affermarsi, dipende dal male. È quanto avveniva durante gli anni del nazismo negli stabilimenti della Leica, fiore all'occhiello dell'industria del Terzo Reich la cui produzione diede un contributo non secondario ai piani militari di Hitler. Nelle officine Leitz, a Wetzlar, non veniva prodotta solo la famosa macchina fotografica, a quei tempi un gioiello della tecnica, ma tante altre cose che servivano alle forze armate tedesche: strumenti ottici, apparecchiature fotografiche per la ricognizione aerea, lenti di ingrandimento per studiare i territori da conquistare oltre alle cineprese che ci hanno tramandato gran parte delle immagini sulla Germania nazista.
     Non c'era reparto della Wehrmacht o della Luftwaffe che non fosse dotato di strumenti con il marchio Leitz. Ma contemporaneamente alla produzione di materiale bellico, gli stabilimenti della Leica funzionavano segretamente come centrale di soccorso agli ebrei in fuga dalla Germania. Tra il '33 e il '39 centinaia di ebrei tedeschi furono assunti dalla Leitz e poi trasferiti negli Stati Uniti con il pretesto di curare gli interessi della ditta oltreoceano ma in realtà con il chiaro proposito di sottrarli alle persecuzioni razziali. La via del male si intrecciava a quella del bene. Una storia venuta alla luce solo recentemente che ricorda quella di Oskar Schindler, l'imprenditore tedesco che durante il Terzo Reich riuscì a salvare 1.200 ebrei polacchi impiegandoli nei propri stabilimenti anch'essi mobilitati per la produzione bellica. Il nuovo Schindler si chiama Ernst Leitz, proprietario della Leica, figlio del fondatore Guenther Leitz. Schindler e Leitz sono però due personaggi diversi. Schindler era un avventuriero che si improvvisò imprenditore e grazie al suo fiuto per gli affari riuscì a convincere la Gestapo che era più conveniente impiegare gli ebrei nei suoi stabilimenti anziché lasciarli inutilizzati nei lager. Leitz apparteneva al gotha dell'industria tedesca, aveva la tessera del partito, era quasi un personaggio ufficiale del regime tanto che dopo la guerra fu accusato di collaborazionismo (ma fu prosciolto come tanti altri industriali che contribuirono al riarmo di Hitler). Morì nel '56 e solo ultimamente e per un puro caso si è saputo che quell'uomo così legato all'establishment del Terzo Reich aveva escogitato un sistema per sottrarre gli ebrei a morte sicura. È stato un rabbino londinese, Frank Dabba Smith, appassionato di fotografia e collezionista di macchine Leica, a scoprire l'attività di benefattore di Leitz. Durante un viaggio in America Dabba Smith, alla ricerca di un vecchio modello, contatta l'ufficio newyorkese della Leica e qui incontra un anziano impiegato, Henry Enfield, un ebreo tedesco giunto in America nel '39. Tra i due ebrei il discorso si sposta sul passato e su come l'anziano impiegato è fuggito dalla Germania. Enfield dice che è tutto merito del suo Arbeitgeber, il suo datore di lavoro, Herr Leitz, e gli racconta dei corsi di specializzazione che c'erano alla Leica di Wetzlar. I più bravi venivano mandati come premio alla filiale di New York e Leitz faceva in modo che ogni anno tra i premiati ci fosse una forte percentuale di ebrei con il tacito accordo che una volta in America sarebbero rimasti a lavorare nella filiale o si sarebbero trovati un altro lavoro. E non era l'unico trucco che c'era a Wetzlar per far scappare gli ebrei.
     Molti ebrei anziani venivano assunti e dopo un tirocinio mandati nel Nord e Sud America con il pretesto di aprire nuovi punti di vendita. Ottenere i visti di espatrio non era facile ma le autorità chiudevano un occhio perché Leitz era un personaggio importante. Inoltre Leitz era riuscito a convincere i nazisti che i mercati d'oltreoceano erano importanti per le casse della ditta e quindi bisognava seguirli con personale mandato dalla centrale. Tornato a Londra il rabbino fotografo si appassiona alla storia, vuole saperne di più, si mette alla ricerca di altri ebrei salvati da Leitz, va a Wetzlar e contatta il figlio di Leitz, Guenther, che gli mette a disposizione i documenti custoditi nell'archivio di famiglia: lettere di ringraziamento, richieste di visti, ordini di trasferimento all'estero che provano con assoluta certezza che fino al '39, anno in cui i nazisti bloccarono gli espatri, Leitz riuscì a far scappare almeno 73 dipendenti, molti dei quali con i loro familiari. Ma secondo Kurt Rosenberg, altro ebreo tedesco trasferito da Wetzlar a New York negli anni Trenta, il numero complessivo degli ebrei salvati da Leitz sarebbe di gran lunga superiore perché molti trasferimenti sono avvenuti senza lasciare traccia oppure si è persa la documentazione durante i bombardamenti.
     La documentazione che prova l'attività di benefattore di Leitz è stata consegnata ad una delle più importanti organizzazioni ebraiche, la Anti-Defamation League, che dopo attento esame ha organizzato una cerimonia per onorarne la memoria. Resta da capire come mai Leitz non abbia mai voluto parlare di ciò che fece per gli ebrei neppure quando fu accusato di collaborazionismo. Una spiegazione l'ha data il figlio: «Mio padre diceva che davanti a ciò che è successo non c'è attenuante o giustificazione. E preferì tacere».

(Il Giornale, 27 febbraio 2007)





4. L'ANTISEMITISMO DEGLI IMMIGRATI DALL'EX URSS IN ISRAELE




Il Male assoluto

di Deborah Fait

Irina, 18 anni, originaria del Azerbaijan, vive in Israele, dice: " Il giorno del compleanno di Hitler ci riuniamo in un cimitero e festeggiamo suonando musiche e inni nazisti".
Sono arrivati dunque anche in Israele, antisemiti venuti a vivere in mezzo agli ebrei per esprimere al meglio il loro odio, per sfogare la loro rabbia di vivere, per una full immersion nel godimento del male assoluto, quanti ebrei da poter odiare ogni giorno, ebrei ad ogni angolo di strada, nei caffe', negli uffici, nei supermercati, ebrei dovunque. Una goduria!
Dicono che se il mondo dovesse esplodere gli unici a sopravvivere sarebbero gli insetti e i topi, infatti i topi di fogna nazisti godono sempre di ottima salute e dopo aver invaso e contagiato di peste l'Europa e il mondo sono arrivati nell'unico posto dove non dovrebbero esistere, Erez Israel.
Anche in Israele ormai si vedono scritte sui muri che dicono "Io odio gli ebrei", anche in Israele vengono dissacrate sinagoghe e vandalizzate scuole, vengono rubate dalle porte delle case le mezuzot ( astucci contenenti la benedizione dello Shema') e si vedono graffiti raffiguranti svastiche e scritte antisemite.
E' il risultato drammatico della grande aliya' dalla ex URSS degli anni 90 quando un milione di russi e' arrivato in Israele usufruendo della legge del ritorno. Il 60% di queste persone erano ebrei e hanno portato in Israele un bagaglio enorme di cultura, amore per il teatro, per la musica, tanti musicisti da poter formare decine di filarmoniche.
Questi russi hanno arricchito Israele, sono stati una benedizione per il Paese.
C'e' pero' quel 40% di ex sovietici non ebrei arrivati, per fuggire alla miseria dei paesi ex comunisti, con documenti falsi o colla scusa di avere da qualche parte una nonna ebrea, vera o falsa, o semplicemente perche' entrati a far parte, non si sa come, di quel enorme quantita' di gente che scappava dalla Russia e paesi limitrofi con destinazione Israele. Oggi una parte, per fortuna molto esigua, di questi immigrati incomincia a dare grossi problemi.
Si scoprono in continuazione siti internet che inneggiano al nazismo e al nazionalismo russo.
Nel 2003 venne scoperto un soldato di nome Ilia che aveva tatuata una svastica sul braccio e che disse di essere un "patriota russo". Sua mamma dichiaro' ai giornali di odiare gli ebrei e di far parte, con suo figlio, di un'organizzazione nazista russa che procurava nuovi adepti attraverso un sito internet.
Il ragazzo e' stato radiato dall'esercito, mandato a fare il servizio civile e in seguito lo hanno portato a fare un giro dei Campi della Morte in Polonia e in Germania perche' toccasse con mano il significato del simbolo che si era fatto incidere sulla pelle. La madre si spera sia tornata a odiare gli ebrei nel suo paesello natio.
I successori di Ilia sono diventati pero' piu' attenti e sofisticati quindi piu' pericolosi, usano servers russi e scrivono solo in russo. Il loro scopo e' di far tornare nei paesi dell'ex URSS tutti i non ebrei arrivati qua negli anni 90 e anche in seguito, di impedire agli ebrei che eventualmente lo volessero, di tornare anch'essi in Russia e di opporsi alle conversioni all'ebraismo.
La homepage di questi siti si presenta con la croce celtica o con la svastica e nei forum parlano degli ebrei usando il termine dispregiativo russo di zhid. Naturalmente un must ricorrente e' la negazione della Shoa' definita un mito e uno solo di questi forum ha riportato 118 risposte di simpatia e adesione, tutte scritte in russo.
All'owner di uno di questi siti, nome Alex, e' stato chiesto se l'emigrazione in Israele degli anni 90 sia stata un errore. La sua risposta e' stata " Far venire qui gli ebrei e liberare la Russia dalla loro presenza e' stata la cosa migliore che si potesse fare. Far venire qui anche i falsi ebrei e' stato un grave errore. Noi vi odiamo."
Da un articolo di Moti Kaz su Ha'arez, si legge il commento Elana Gomel, studiosa del fenomeno " Dopo il collasso del comunismo, i paesi che hanno fatto parte dell'URSS hanno dovuto rinforzare in qualche modo il loro nazionalismo frustrato quindi il vuoto lasciato dal comunismo e' stato riempito con l'ideologia nazi-fascista"
Queste persone arrivate in Israele sono rimaste russe, non parlano una parola di ebraico, il retaggio antisemita e la enorme differenza di mentalita' e abitudini che li divide dagli israeliani fa il resto .
L'ironia e' che questi antisemiti quando tornano a vivere in Russia vengono discriminati e perseguitati a casa loro perche' considerati ebrei e comunque non sono piu' visti come russi puri, bianchi e patrioti.
Il vandalismo e' l'espressione del loro odio e quando vengono arrestati lo dicono chiaro e tondo. senza vergogna, sfrontatamente: " bruciamo, rompiamo oggetti sacri, dissacriamo sinagoghe, perche' odiamo gli ebrei e odiamo Israele".
Quasi tutti i giovanissimi antisemiti "israeliani" sono affiliati ai nazi-skinheads e il loro fine e' terrorizzare i religiosi, aggredirli, inseguirli, offendono e aggrediscono gli etiopi, sono razzisti con chiunque non sia russo. Il loro passatempo di ogni fine settimana e' andare nei boschi, sacrificare animali, per lo piu' poveri gatti randagi, ma anche topi o scoiattoli a Satana e ascoltare musica nazista.
Probabilmente fare questo nel Paese degli Ebrei procura loro un godimento ulteriore che i loro compagni europei non possono provare. Vivere da antisemiti in mezzo a 5 milioni di ebrei crea in queste persone un sentimento di superiorita' e potenza rispetto ai loro compagni d'Europa che devono arrangiarsi tra i relativamente pochi ebrei rimasti o addirittura in paesi dove ebrei non esistono più.
"Il giorno del compleanno di Hitler ci riuniamo in un cimitero e festeggiamo suonando musiche e inni nazisti" poi dissacrano le tombe, spaccano lapidi e disegnano svastiche, molti sono minorenni quindi non perseguibili, altri sono figli di famiglie sfasciate con padri e madri alcolizzati quindi "da compatire e aiutare".
Israele li aveva accolti tutti a braccia aperte senza preoccuparsi delle inevitabili mele marce, forse pensando che vivere in una democrazia, che oltretutto dava loro grandi aiuti economici, avrebbe favorito la loro assimilazione e che avrebbero imparato ad amare questo Paese cosi' diverso dal loro, cosi' vitale, cosi' caldo e accogliente.
Per molti il salto e' avvenuto ma non per tutti.
Finora il fenomeno e' preoccupante ma contenuto, il pericolo e' che attraverso internet abbiano modo di diffondere il loro marciume su larga scala, facendo nuovi adepti, creando sempre piu' simpatizzanti fra giovani privi di radici e di una salda e sana educazione famigliare.
L'antidoto e' educare i giovani all'amore per Israele, paese in cui loro, i loro genitori e nonni hanno scelto di vivere, lo si sta facendo nelle scuole e lo fanno molte organizzazioni di volontariato con la speranza che i figli di questi desolanti personaggi si sentano in futuro piu' israeliani che russi e imparino a capire che l'antisemitismo e' una brutta malattia responsabile della morte di milioni di persone con l'unica colpa di essere ebrei.
La speranza e' che i figli di tutte le Irine che oggi commemorano la nascita di Hitler un domani sventolino le bandierine di Israele davanti alla tomba di Ben Gurion, la' nel deserto di Giuda, cantando la Hatikva', l'inno nazionale di Israele.
Sarebbe un grande vittoria sul peggior virus della storia dell'umanita', sarebbe la vittoria del bene sul Male assoluto.
     
(Informazione Corretta, 27 febbraio 2007)





5. L'ANTISEMITISMO EBRAICO E DI SINISTRA




ll nuovo antisemitismo è ebraico e di sinistra. La scioccante accusa è contenuta in un paper intitolato "Pensiero progressista ebraico e nuovo antisemitismo", scritto dal professor Alvin H. Rosenfeld e pubblicato dall'American Jewish

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Committee, una delle più antiche istituzioni ebraico-americane che, oltre a pubblicare la rivista Commentary, dal 1906 si batte contro il fondamentalismo e l'antisemitismo nel mondo. Il documento di Rosenfeld ha provocato un gran dibattito sui giornali americani perché non si limita ad accusare di antisemitismo una parte del pensiero progressista ebraico, ma fa anche i nomi dei principali intellettuali ebrei e liberal che in questi anni avrebbero contribuito a diffondere l'odio contro Israele, alleandosi implicitamente con l'estremismo di destra e il radicalismo musulmano nella comune campagna per la distruzione dello stato di Israele.
I nomi sono quelli di Tony Judt, guru della sinistra intellettuale newyorchese, professore alla New York University, editorialista di The Nation e della New York Review of Books, di Tony Kushner, sceneggiatore cinematografico, premio Pulitzer e coautore con Steven Spielberg di "Monaco", di Richard Cohen, editorialista del Washington Post, di Noam Chomsky, linguista di Harvard, più vari accademici e seguaci di Edward Said, lo scomparso professore alla Columbia nonché dirigente dell'Olp di Yasser Arafat. Nessuno di loro chiede di cancellare Israele dalla cartina geografica, contestano però la legittimità della sua fondazione, propongono soluzioni binazionali che porterebbero all'estinzione di Israele, denunciano la "nazificazione della società israeliana" e chiamano "giudeo-nazisti" i soldati dell'esercito israeliano.
"Criticare le politiche israeliane non significa essere antisemiti – precisa il rapporto – ma definire Israele uno stato nazista, accusarlo di promuovere l'apartheid e di praticare la pulizia etnica o il genocidio va ben oltre la legittima critica". Il documento di Rosenfeld cita libri, articoli e discorsi pubblici di questi intellettuali in cui Israele viene regolarmente chiamato belligerante, crudele, sanguinario, pericoloso, corrotto, cataclismico, militarista, brutale, assassino, terrorista, cieco, pazzo, demoniaco, fanatico, razzista, criminale, matto, violento e così via. La critica di certa sinistra ebraica allo stato d'Israele, secondo l'American Jewish Committee, non è più rivolta alle politiche dei suoi governi e all'occupazione dei territori, ma viene fatta risalire al "peccato originale", "all'ingiustizia", "all'orribile errore", al "crimine", ovvero alla data di fondazione, nel 1948, dello stato ebraico. Costoro sostengono che Israele sia "un male per gli ebrei", paragonano il padre del sionismo Theodor Herlz ad Adolf Hitler, Israele alla Germania nazista, i palestinesi agli ebrei del ghetto di Varsavia eccetera. Sul Washington Post, Richard Cohen si chiede se "Israele debba esistere", una domanda improponibile sulla Svezia, sul Canada o sul Giappone. "L'impensabile, nel caso di Israele, è accettabile e la questione del diritto dello stato ebraico ad avere un futuro diventa una domanda legittima per un dibattito in classe".
L'antisionismo ebraico non è una novità. I marxisti ebrei consideravano il sionismo imperialista, razzista e repressivo e anche diversi gruppi ortodossi pensavano fosse blasfema l'idea di istituire uno stato ebraico prima della venuta del Messia. Ma una volta creato Israele nel 1948 e, soprattutto, in seguito agli attacchi subiti nel 1967, l'antisionismo ebraico è scomparso quasi del tutto. Il pensiero di alcuni intellettuali ebrei di sinistra ha prodotto un "revival antisionista", che altro non è se non "la forma che prende gran parte dell'odierno antisemitismo".

(Il Foglio, 2 febbraio 2007)





6. CONSIDERAZIONI DI UN EBREO LAICO




Noi ebrei erranti senza Papa

Inedita riflessione sul popolo d'Israele che, dai tempi di Mosè, non ama ubbidire, discutendo di tutto con Dio.

di Amos Oz

Democrazia e tolleranza implicano umanesimo, umanesimo implica pluralismo - in altre parole il riconoscimento del diritto comune a tutti gli uomini ad essere diversi l'uno dall'altro. La diversità fra gli uomini non è un male passeggero, piuttosto una fonte di benedizione: siamo diversi l'uno dall'altro non perché alcuni fra noi ancora non vedono la luce, bensì perché al mondo di luci ce ne sono tante e non una sola; tante fedi e opinioni e non una fede e una opinione.
     Gli ebrei non hanno un papa. Se facesse tanto di presentarsi un papa ebreo, ogni correligionario andrebbe a dargli una bella pacca sulla spalla, dicendogli: senti un po', tu non mi conosci e io nemmeno conosco te, ma tuo nonno e mio zio in passato hanno fatto affari insieme, a Zithomir, a o Marrakesh... Perciò, dammi due minuti che ti spiego una volta per tutte che cosa esattamente vuole Dio da noi. Certamente, si sono visti cialtroni d'ogni sorta e c'è stato chi li ha seguiti ad occhi chiusi. Ma lungo la sua storia il popolo d'Israele non ama ubbidire. Chiedete a Mosè, chiedete ai profeti. Dio stesso si lamenta continuamente del fatto che il popolo d'Israele non ubbidisce e invece discute su tutto; il popolo discute con Mosè. Mosè discute con Dio, gli presenta pure le dimissioni e alla fine le ritira - ma solo dopo una trattativa e solo dopo che Dio si è piegato ad accogliere la sostanza delle sue rivendicazioni (Esodo 32, 33). Abramo contratta con il Signore a proposito di Sodoma come un commerciante di auto usate: cinquanta giusti, quaranta, trenta... E osa persino rinfacciare a Dio una colpa non da poco, «Il giudice di tutta la terra non giudica secondo giustizia» (Genesi 18, 25-32); peraltro non vediamo calare un fuoco dal cielo che divora all'istante il nostro patriarca, per queste sue parole così eretiche. Il popolo litiga con i profeti, i profeti litigano con Dio, i re litigano con il popolo e con i profeti, Giobbe protesta rivolto al cielo. Che per parte sua si rifiuta di confessare di aver fatto un torto a Giobbe e tuttavia gli elargisce dei risarcimenti personali. Anche nelle ultime generazioni ci sono stati molti uomini pii che hanno condotto Dio di fronte al giudizio della Torah.
     La cultura di Israele ha un nucleo anarchico: non vogliamo disciplina. Non si ubbidisce tanto per: si esige giustizia. Un asinaio o pastore di gregge qualunque su cui si posa lo spirito santo ha diritto di regnare sul popolo d'Israele o di comporre i salmi. Un raccoglitore di sicomori una mattina si sveglia e comincia a profetare. Un qualunque pastore originario di Calba Shavua, un calzolaio, un fabbro, chiunque di loro ha potuto insegnare la Torah e commentarla e con ciò lasciare un'impronta indelebile sulla vita quotidiana di tutto il popolo d'Israele. Ciononostante - la domanda aleggia sempre, o quasi sempre: che ci fai tu qui? Come facciamo a sapere che sei proprio tu, quello? Sei veramente forte nella Torah, ma chi ci dice che nella via qui dietro non abiti un altro capace di smontarti e arrivare a una conclusione opposta? Non di rado, infatti, «tanto queste quanto queste altre sono parole del Dio vivente».
     Quasi sempre la domanda di autorità si vede costretta ad affermarsi in virtù di un consenso parziale, non unanime. La storia culturale di Israele negli ultimi millenni è una catena di aspre divisioni, alcune spregevoli e turbolente, altre fertili. In generale non ci fu mai alcun meccanismo costrittivo di autorità ufficiale; per lo più Tizio era più illustre del suo collega perché ritenuto tale, punto e basta. La cultura ebraica al suo meglio è sempre stata una cultura della mediazione, della trattativa, degli aspetti per un verso e per l'altro, di aspra forza di convincimento, di obiezioni «in nome del cielo», di litigi per «accrescere e onorare la Torah», nonché di possente impulsività camuffata da dotta diatriba. Questo fondamento spirituale bene s'innesta nell'idea di democrazia come polifonia - un coro di voci diverse accordate da un sistema di regole da rispettare. Tante luci, non una soltanto. Tante fedi e tante opinioni, non una sola.
     In effetti, c'erano e ci sono nella cultura d'Israele delle «enclaves» di obbedienza cieca. Che sono, a mio parere, una forma di devianza dalla tradizione, anche quando pretendono di essere il riscatto della tradizione. L'obbedienza cieca non può essere tradizionale. «Faremo e ascolteremo» (Esodo 24, 7) significa: faremo a condizione di poter ascoltare.
     Ormai da migliaia di anni non è più successa una cosa che tutti gli ebrei come un sol uomo fossero d'accordo a considerare un miracolo, un prodigio. Immancabilmente ci sono scettici e diffidenti e negatori. Davanti a quasi ogni autorità ne compare un'altra opposta. Sono ben pochi quelli che i contemporanei e coloro che sono venuti dopo hanno considerato autorevoli senza ricorsi. Alla fin fine, «la fonte dell'autorità» nella cultura d'Israele è la disponibilità del popolo - o di parte di esso - ad accettare quel maestro, quel giureconsulto, quel sant'uomo che ha dato prova di miracoli, o quella guida spirituale, come autorevole. La gerarchia è volontaria. In questo senso, la cultura ebraica ha un carattere democratico profondo e inequivocabile.
     Userò qui la definizione che ho imparato da mia figlia Fania, il professor Fania Oz-Salzberger dell'università di Haifa: «La democrazia liberale è l'organizzazione di una società o uno stato, il cui scopo dichiarato è stabilire un ordine logico fra i desideri dei singoli appartenenti, preservandone la libertà. Il sistema media così fra le volontà singole attraverso l'indicazione e la decisione della maggioranza».
     Aggiungerei: e la preservazione dei diritti della minoranza con un sistema di compromessi. Scrive ancora il dottor Fania Oz Salzberger che la seconda istanza nella discussione fra democratici è: «La libertà politica è sostanzialmente negativa - vivi e lascia vivere - o positiva: vivi nel modo giusto per essere libero veramente?». Da mia figlia ho anche appreso che i democratici dichiarati dell'inizio dell'era moderna erano proprio gli estremisti religiosi, gli ugonotti in Francia e i levellers in Gran Bretagna, che lottarono contro i tentativi del governo di costringerli ad accettare la religione della maggioranza.

(La Stampa, 24 febbraio 2007 - trad. di Elena Loewenthal)






7. EBRAISMO E REALTA' VIRTUALE




Il precedente articolo di Amos Oz, "Noi ebrei erranti senza Papa", è un altro degli innumerevoli tentativi degli intellettuali ebrei di spiegare al mondo i "misteri della fede laica", cioè i reconditi motivi per cui - senza far intervenire un qualsiasi riferimento a Dio - l'ebraismo continua ad esistere e a mantenere una sua riconoscibilità. Molti di questi tentativi presentano tesi come queste: il nocciolo dell'ebraismo non sta nella particolarità della terra promessa ma nell'universalità della diaspora, non nella verità assoluta ma nell'incertezza discutibile, non nell'unità del popolo ma nella frammentarietà delle correnti, non nell'unica Parola di Dio ma nella varietà dei linguaggi umani. Uno di questi tentativi, indubbiamente interessante, è contenuto nel libro di Jonathan Rosen, "Il Talmud e Internet - Un viaggio tra mondi", Einaudi 2001. Ne riportiamo alcuni estratti.

Spesso, riflettendo sulle pagine del Talmud, ho pensato che mostrino una strana somiglianza con le home page di Internet in cui non vi è nulla che sia completo. Le icone e i riquadri che le costellano sono come porte attraverso cui il visitatore può accedere a una infinità di conversazioni e testi che rimandano l'uno all'altro. Prendiamo una pagina del Talmud. Vi sono alcune righe tratte dalla Mishnah, le conversazioni che i rabbini hanno portato avanti (per centinaia di anni prima che venissero codificate intorno al 200 dell'Era Volgare) intorno a una vasta gamma di questioni giuridiche che per lo piu scaturiscono dalla Bibbia ma che vanno a toccare una miriade di altri argomenti. Sotto queste righe vi è poi la Ghemarah, che comprende le conversazioni che altri rabbini di un'epoca successiva hanno portato avanti intorno alle conversazioni dei rabbini dell'epoca precedente incluse nella Mishnah. Dal momento che sia la Mishnah che la Ghemarah si sono sviluppate oralmente per centinaia di anni prima di essere codificate, accade che, nel breve spazio di poche righe,, rabbini di periodi diversi partecipino al dialogo, e questo avviene sia all'interno di ciascun frammento che nella giustapposizione dei frammenti sulla pagina, dando l'impressione che i rabbini conversino direttamente gli uni con gli altri. Oltre alle norme giuridiche, il testo include anche racconti fantastici, frammenti di storia e di antropologia e interpretazioni bibliche. All'interno della pagina si estende poi una sottile striscia verticale in cui si trovano i commenti dell'esegeta medievale Rashi, che interpretano sia la Mishnah che la Ghemarah, e i brani della Bibbia (elencati anche in un altro punto della pagina) all'origine di suddette riflessioni. Sull'altro lato rispetto alla Mishnah e alla Ghemarah vi sono poi gli scritti dei discepoli e discendenti di Rashi, i tosafisti, che commentano l'opera del loro maestro e i commenti che a sua volta Rashi espone nel suo testo. Inoltre la pagina è costellata di rimandi ad altri brani del Talmud, a svariate codificazioni della legge ebraica (come ad esempio quella di Maimonide) e al Shulchan Arukh, la famosa codificazione cinquecentesca della legge ebraica a cura di Yosef Qaro. A questo miscuglio naturalmente bisogna aggiungere il punto di vista dello studente intento a leggere la pagina, il quale si trova inevitabilmente a prendere parte a una conversazione che si estende nell'arco di oltre duemila anni.
Indubbiamente tutto questo è molto lontano dall'immensa mole di ricette, notizie telegrafiche, bollettini meteorologici, chat rooms, biblioteche universitarie, foto pornografiche, riproduzioni di Rembrandt e verbosità promozionali d'ogni tipo che fluttua indisturbata nel cyberspazio. Il Talmud è frutto dell'imperativo morale della legge ebraica, del libero pensiero di grandi menti, delle oppressioni dell'esilio, del cosciente bisogno di tenere unita una cultura e del forte desiderio di capire e seguire la rivelazione della parola di Dio. Non vi era nessuno che cercasse di acquistare un biglietto aereo o di darsi un appuntamento galante. Inoltre il Talmud fu redatto dopo centinaia di anni di trasmissione orale, e fu messo per iscritto da redattori (per lo piu) sconosciuti, maestri dell'erudizione e dell'invenzione che vagano come fantasmi di area in area offrendo i loro suggerimenti anonimi, sollevando quesiti, suggerendo risposte e confutazioni, e a causa della loro molteplicità si ha la sensazione di trovarsi al cospetto di un'intelligenza organizzatrice al lavoro.
Eppure, quando guardo le pagine del Talmud e vedo tutti questi testi uno vicino all'altro, intimi e invadenti, come bambini di immigrati che devono dormire nello stesso letto, mi viene comunque in mente la cultura frammentaria e caleidoscopica di Internet. Per centinaia d'anni, norme relative a quasi tutti gli aspetti della vita ebraica si sono spostate in volo avanti e indietro, da ebrei dispersi in un angolo remoto del mondo ad altrettanti centri di studi talmudici. Anche Internet è un universo pervaso da un illimitato desiderio di sapere, fatto di informazioni e dispute, in cui chiunque sia dotato di modem può girovagare per un po' e, lasciandosi alle spalle il caos del mondo, fare domande e ricevere risposte. Mi conforta pensare che un mezzo della tecnologia moderna riecheggi un mezzo così antico.

Il Verbo, nel giudaismo, non si è mai fatto carne. La volta che Dio si è avvicinato di più a una qualche incarnazione fisica, palpabile, e dove lo spirito di Dio, proprio come i fantasmi dell'oltretomba di Ulisse, si nutriva del sangue dei sacrifici animali. Ma il Tempio è stato distrutto. Nel giudaismo dunque è la carne che si è fatta parole.

La promessa del Talmud [...] è di non essere solamente un libro: è una sorta di tramaglio per catturare Dio, una rete che si distende nel tempo e nello spazio allargandosi sempre di più. Il fatto stesso che la rete riesca a catturare davvero tutto - questioni legali e questioni sartoriali e questioni culinarie e questioni agricole e questioni calendiaristiche e questioni epistemologiche, l'equivalente talmudico di focene e tartarughe e stivali vecchi - fa parte della lezione che il Talmud ci impartisce. Le preoccupazioni quotidiane contano quanto le aspirazioni nobili. In questo senso il Talmud è una rete per afferrare Dio ma nel fare ciò intrappola anche gli uomini e le donne.

L'esilio e il successivo ritorno degli ebrei dopo la distruzione del Tempio trasformarono il giudaismo da religione locale in una fede in grado di attraversare le frontiere e di vivere anche senza una patria. Durante il ritorno nella terra di Israele, venne ricostruito il Tempio ma, cosa ben piu importante, Esdra lo scriba iniziò a trascrivere i frammenti che furono poi raccolti a formare la Bibbia. Il popolo ebreo iniziò a essere consapevole del fatto che soltanto le parole possono durare nel tempo. Si costituì una sorta di schema fisso di esilio e ritorno, di perdita e trascrizione che sarebbe stato di grande utilità agli ebrei soprattutto in seguito alla distruzione ben piu definitiva del secondo Tempio nel 70 dell'Era Volgare. Il Talmud, completato circa mille anni dopo la distruzione del primo Tempio, fu il prodotto di una cultura che aveva già capito che non era assolutamente possibile identificare la fede con un'unità architettonica o religiosa.

Il Talmud è di per sé una sorta di cattedrale costruita attraverso le epoche che si estende su tutta la terra - o forse dovrei dire che è un Tempio, o perlomeno la traduzione di un Tempio, costruito con parole e leggi e storie. Il Talmud ha unito gli ebrei al di là del tempio e oltre le frontiere.

Nel giudaismo, l'idea di ritorno ha un significato sia letterale sia metafisico. Ma ritornare non è mai stato facile per una cultura che ha trascorso cosi tanto tempo della sua formazione in esilio. I rabbini sostengono che Adamo ed Eva furono creati fuori dall'Eden e furono portati nel giardino da Dio alla fine della creazione. In altre parole, quando Dio li caccia via dal giardino hanno la possibilità, in un certo senso, di ritornare a casa, vale a dire in esilio. Per loro è l'Eden a essere terra straniera.
Ma naturalmente queste sono riflessioni di una cultura radicata nell'esilio che tenta di giustificare la sua cacciata cercando di ridefinire la natura stessa dell'esistenza. Siamo a casa in esilio, implicano i rabbini, e arrivano a dire che lo spirito di Dio, o Shekinah, si unì agli ebrei nella diaspora, proprio come affermano che anche Dio passa il tempo a studiare il Talmud. Il sionismo invece presupponeva un istinto opposto, secondo cui il tornare a casa, in senso fisico, rappresenta una possibilità reale. Il Verbo diventerebbe cosi di nuovo una cosa concreta. Ma neanche il sionismo è riuscito a eliminare l'ombra interiore della diaspora.

Mi è sempre piaciuta molto la storia del rabbino che in una tasca teneva un pezzo di carta su cui aveva scritto «polvere e cenere» e nell'altra teneva un pezzo di carta su cui aveva scritto «un po' più in giù degli angeli». Ogni giorno tirava fuori dalla tasca i due pezzetti di carta, li leggeva e contemplava il destino umano. E' un racconto che cattura bene lo spirito del Talmud, che forgiò una cultura intesa per essere una sorta di via di mezzo tra due estremi - tra la distruzione e la ricreazione, tra i morti e i vivi, tra Dio e l'uomo, tra la propria terra e l'esilio, tra il dubbio e la fede, tra il comportamento esteriore e l'inclinazione interiore. Potrebbe anche essere una grande illusione, ma ho la sensazione che i cambiamenti della cultura moderna non siano affatto in antitesi con il mio bisogno di conciliare tra di loro le due forze, l'antico e il moderno, ciò che è secolare e ciò che è religioso. La logica vaga e associativa propria di Internet e la cultura che riflette non è solamente specchio degli sconvolgimenti di un mondo in frantumi ma offre anche una sorta di armonia disgiunta. Il Talmud aiutò gli ebrei a sopravvivere dopo la distruzione del Tempio rendendo la cultura ebraica portatile e personale. Allo stesso modo, ci sono elementi dell'universo onnicomprensivo di Internet che ben si adattano a un mondo che è al tempo stesso più sradicato e più connesso di quanto non lo sia mai stato prima d'ora. Trovare casa nell'esilio, trovare unità nell'infinito, trovare se stessi in un mare di voci in competizione tra loro era una sfida del mondo antico ma è anche una sfida della modernità.





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