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Notizie su Israele 384 - 1 aprile 2007

1. Il flusso di denaro ai palestinesi
2. I dati di uno studio condotto in decine di paesi
3. Una donna che ha preso il passato sulle spalle
4. Conferme dagli scavi archeologici a Gerusalemme
5. Inchiesta sull'antisemitismo in Svizzera
6. Per formare i futuri leader del mondo ebraico
7. Gli israeliani vogliono mantenere le tradizioni ebraiche
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 45:15-17. In verità tu sei un Dio che ti nascondi, o Dio d'Israele, o Salvatore! Saranno svergognati, sì, tutti quanti delusi; se ne andranno tutti assieme coperti di vergogna i fabbricanti d'idoli; ma Israele sarà salvato dal Signore mediante una salvezza eterna; voi non sarete svergognati né delusi, mai più in eterno.
1. IL FLUSSO DI DENARO AI PALESTINESI




Gli aiuti internazionali al governo palestinese di Hamas
sono diminuiti veramente?

di Elena Lattes

Quante volte abbiamo sentito o letto che gli impiegati dell'Autorità Palestinese non ricevevano da mesi lo stipendio a causa dell'embargo? E quante volte abbiamo sentito o letto che i palestinesi morivano di fame per la mancanza di aiuti umanitari? E ancora, quante volte abbiamo sentito o letto che gli scontri interni tra Hamas e Fatah sono anch'essi dovuti all'embargo?
Insomma, l'embargo (o presunto tale e vedremo il perché) è diventato il nuovo mantra e come l'occupazione è stato in questi ultimi dodici mesi, il simbolo e l'apice di tutti i mali che affliggono il Medio Oriente, nonché la scusa per qualunque azione negativa perpetrata dai palestinesi.
E invece mercoledi scorso, tutti i media nel mondo riportavano un rapporto dell'Onu e del Fondo Monetario Internazionale secondo il quale nel 2006 i palestinesi avevano ricevuto più del doppio degli aiuti finanziari, rispetto al 2005.
Nonostante l'embargo adottato dagli USA e dall'Europa, i primi sono arrivati a dare (forse sarebbe più adatto usare il termine regalare) 468 milioni di Dollari, rispetto ai 400 del 2005, mentre la seconda si è accollata il completo mantenimento di un milione di persone equivalente ad un quarto degli abitanti di Gaza e West Bank.
Un rappresentante dell'Unione Europea a cui è stato chiesto se gli aiuti sarebbero stati maggiori nel caso in cui ci fosse stato il riconoscimento del nuovo governo, sempre guidato da Hamas, ma con qualche ministro di Fatah e altri partiti minori, si è messo a ridere affermando che probabilmente sarebbero stati invece inferiori.
Mentre questi aiuti, sempre secondo il rapporto, sono andati direttamente alla popolazione, i 100 milioni di dollari, provenienti dalle rimesse doganali, che Israele ha versato a gennaio a Mahmoud Abbas, sono stati usati anche per pagare gli stipendi degli uomini armati da Hamas, che in parte erano già stati pagati nella seconda metà del 2006 proprio dai Paesi Occidentali.
Come se non bastasse, l'Onu, soltanto nell'inizio del 2007, ha provveduto a raddoppiare i contributi dati nello stesso periodo dell'anno precedente, pari a 450 milioni di dollari.
In questo modo l'Autorità Palestinese risulta essere terza al mondo in quantità di aiuti ricevuti, immediatamente dietro a Sudan e Congo e davanti ad altri 18 Paesi devastati da guerre o disastri naturali.
Tutto questo, naturalmente, senza contare il flusso di denaro e armi che arriva copioso da vari Paesi arabi e dall'Iran di Ahmadinejad che supporta non soltanto Hezbollah, ma anche Hamas.
A questo punto verrebbe da chiedersi a cosa serve tutto questo denaro, considerando che la soglia di povertà nei territori dell'AP è aumentata, contrariamente a quanto sarebbe dovuto ovviamente accadere.
In effetti questi finanziamenti gratuiti sono una droga che indebolisce il sistema economico palestinese, già sfibrato e che continua irrimediabilmente ad affondare, contribuendo ad aumentare la mentalità assistenziale che s'aggrappa agli aiuti internazionali come risorsa di ordinaria sopravvivenza.
Verrebbe anche da chiedersi a cosa è servita la richiesta che i Radicali avanzarono al Parlamento Europeo negli anni bui della seconda intifada di render conto dei soldi elargiti all'allora vivo Arafat e soprattutto a cosa serve dichiarare un boicottaggio che in realtà non è mai stato seriamente applicato.
Tanto più oggi che mentre alcuni politici mostrano di voler appoggiare pienamente il governo di Hamas e quello siriano, la comunità internazionale ha votato per l'inasprimento delle sanzioni verso la teocrazia iraniana.

(Nuova Agenzia Radicale, 25 marzo 2007)






2. I DATI DI UNO STUDIO CONDOTTO IN DECINE DI PAESI




Sondaggio choc della Bbc: Israele e Iran nemici della pace

Il sondaggio fa scalpore. Tanto più perché a proporne i risultati non è un sito fondamentalista ma l''autorevole Bbc, modello di informazione seria e super partes. Dunque l''emittente inglese ha indagato in decine di Paesi e ne è emerso uno sconcertante verdetto di parità fra l''Iran atomico di Ahmadinejad e l''Israele di Olmert: entrambi "stati canaglia" (direbbe Bush), entrambi "pericolosi per la pace mondiale". In Germania ha un''opinione negativa di Israele il 77 per cento degli interpellati; seguono Francia (66), Gran Bretagna (65), Italia (58). Ma anche un americano su tre pensa male del miglior alleato degli Usa. E su scala mondiale, la bilancia pende addirittura a favore di Teheran: Israele riceve voti negativi in media dal 56 per cento degli intervistati, l'Iran dal 54.
'Come è potuto accadere?', titola il quotidiano israeliano Maariv, aprendo un dibattito che si preannuncia difficile e aspro. Nella terra assediata che è Israele si riaffacciano i fantasmi della cospirazione, dell''antisemitismo in agguato. Saranno le masse islamiche, come ipotizza la cantante Noa, che influenzano anche i Paesi occidentali dove emigrano sempre più numerose? Sarà la politica israeliana e, anche, l'immagine che ne viene data al mondo?
Un giornalista di Maariv, Ben Dror Yemini, ha pubblicato di recente uno studio che riassume in cifre la vicenda israelo-palestinese: secondo i suoi conti 1.800 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano nella prima intifada (1987-93) e altri 3.700 nella seconda (iniziata nel 2000). Nella rivolta cecena, sottolinea, i morti sono stimati in 80-300 mila. Nella guerra civile libanese furono 130 mila. In Algeria, la lotta di liberazione dall''occupazione francese, fece 500 mila vittime. Altre 100 mila nei conflitti successivi. In Sudan si è arrivati a 2,6 milioni di vittime. In Afghanistan la lotta contro le forze russe è costata la vita a oltre un milione di persone. In Iraq si sono avuti 1,5 milioni di vittime negli ultimi decenni. Quindi, conclude Yemini, anche se Israele ha commesso errori gravi (fra cui menziona la politica di insediamento) - "non è questa la radice dell'astio verso lo Stato ebraico. È in atto un processo di delegittimazione". E' così?

(La Stampa, 25 marzo 2007)





3. UNA DONNA CHE HA PRESO IL PASSATO SULLE SPALLE




Io, unica ebrea che vive a Auschwitz

"Il mio modo di resistere: abitare a duecento metri dall'inferno"

di Marco Zatterin


BRUXELLES - Gli occhi chiari sembrano guardare nel vuoto. In realtà inseguono qualcosa che la donna vede benissimo, la proiezione della memoria e dell'orrore che la invade. La voce ferma e gentile racconta un albero genealogico in cui sono concentrati secoli di ferite europee. Il passato fa di me una rom ungherese della Transilvania, il presente dice che sono l'unica ebrea di Auschwitz». Prima di lei, l'ultimo si chiamava Gruber, è morto qualche anno fa. Poi il nulla, il nessuno. «Prendere casa a pochi metri dalla porta dell'inferno è stata una scelta volontaria, un atto di ribellione contro chi preferisce dimenticare». E contro chi fa dell'Olocausto un business redditizio. «Essere ebrei e andare a vivere laggiù da soli richiede una forte dose di fede e incoscienza. Eppure, ora che i testimoni spariscono uno dopo l'altro, essere ebrei a Auschwitz è una straordinaria vittoria contro l'oblio».
    Si presenta come Chantal, Chantal Maas, ma il vero nome è Cheana. È nata in Romania, a Cluj Napola, cinquantré anni fa. «Mia madre è stata uccisa quando ero bambina, durante il pogrom sovietico. Sono rimasta senza famiglia: nel 1958 mi hanno affidato all'ambasciata belga, così sono cresciuta qui a Bruxelles». Gli studi, un lavoro da giornalista e fotografa, il matrimonio, una figlia e un figlio ora grandi. La vita in una discreta casa nei pressi del parco reale di Laeken, con una banda di cani e gatti che se la spassano d'amore e d'accordo in un giardino arruffato alla stregua del loro pelo. «Il nonno mi ha trasmesso la Shoah come eredità personale senza darmi le istruzioni per l'uso. Ero schiacciata dalle domande e sono andata a cercarmi le risposte». Da principio non intendeva visitare i campi di sterminio. «Avevo paura della mia reazione, non mi sentivo pronta. Immaginavo che sarei diventata aggressiva. Ma non andare sarebbe stato come mancare di rispetto alle vittime». Così un sabato Chantal si è incamminata col suo clarinetto verso lo Stammlager. «Era presto, non c'era un'anima. Il primo incontro l'ho avuto con tre neonazisti davanti ai forni crematori. È stato uno choc. Ancora peggio la reazione dei pochi altri visitatori di fronte alle provocazioni. Abbassavano lo sguardo, che coraggiosi!». Le è parso, in quel momento, che il filo della memoria si stesse sfaldando. S'è chiesta cosa potesse fare se non diventare lei stessa il testimone della tragedia, il piccolo motore della riconciliazione. Lei, «un'ebrea viva ad Auschwitz».
    Non ci sono state difficoltà burocratiche. Chantal affitta per duecento euro al mese un piccolo appartamento nel cuore di quella che in polacco si chiama Oswiecim e lì ha trasferito tutto ciò che le era rimasto in Transilvania. «Ho caricato su un furgone ogni cosa, anche quelle di poco valore, doveva essere un viaggio simbolico che marcasse un nuovo inizio». L'otto agosto scorso le è stata riconosciuta la residenza. «Hanno messo su una bella facciata, dicono di essere contenti di avere un'ebrea in città. In realtà io sono il loro alibi: sebbene il primo papa non antisemita fosse di Cracovia, non si può discutere della Shoah con tutti i polacchi, non li fa sentire bene nella loro pelle. Hanno un senso di colpa profondo che cercano di cancellare mettendo in bella mostra la loro martirologia nazionale». Ogni giorno è scandito dalle ossessioni della memoria. «I simboli sono pesanti - confessa Chantal - La terra, le pietre e anche il sole sono impregnate di raccapriccio. Gli odori... Il riscaldamento è a carbone e i fumi saturano l'aria, oggi come allora quando i forni lavoravano a ciclo continuo. Come si può fare la doccia a Auschwitz? Io ci sono riuscita solo due volte». Una vita sospesa, a tratti tormentata dai fantasmi. «Le sere sono tristi, le notti troppo lunghe. Anche quando mi addormento facilmente, mi risveglio all'improvviso fra i sudori. Il silenzio può essere insopportabile. Il più piccolo suono fa sussultare. Sono le associazioni di idee terribili che scattano senza preavviso in questi luoghi». Nessuna minaccia in città, «solo frasi spiacevoli quando capita». Talvolta Cheana si sente gli occhi addosso, «non gli scappa nulla di ciò che faccio». Cerca gli altri ebrei, «perchè non è possibile che non ce ne siano, devono essere nascosti, non si dichiarano perchè hanno paura». Lei, invece, non ne ha. «Non mi fermo davanti a così poco - dice mentre si accende l'ennesima Gitane - Sono i neonazisti che non hanno coraggio. Sanno che non li temo e se ne stanno alla larga, come scandalizzati dall'idea che io sia lì indifesa e pronta al dialogo».
    Quando calano le tenebre, Chantal si chiude nell'unica casa ebrea di Auschwitz. Su uno scaffale c'è il menorah, vicino all'entrata è appesa la mezuzzah. Tiene a bada gli spettri che le tentano lo spirito, scrive versi sull'Olocausto, glorifica l'accettazione della cultura degli altri e inveisce contro gli «adulti capricciosi/indifferenti/in cerca di nuovi/giocattoli da demolire». Dà tempo al tempo e «guarda nel suo cuore». Legge, scatta foto che mette su un sito internet (www.tolerance-au-feminin.com), ferma pensieri e esperienze su un diario online (est.skynetblogs.be). Lavora a un Piano, al progetto della sua vita: «Vorrei costruire una casa di legno, piccola, come nella tradizione ebraica. Un luogo aperto a tutti, l'antitesi del museo mangiasoldi, dove parlare del senso del giudaismo e confrontare le fedi dell'uomo nel nome della tolleranza». Il business di Auschwitz la disgusta. L'espressione di Chantal si fa ombrosa quando descrive il traffico «senza senso» degli stranieri che arrivano da Cracovia coi tour operator. «Visitano le mostre, guardano i documentari sugli schermi, e quasi non si accorgano di essere in un campo di sterminio». A Birkenau, protesta, «vanno a vedere un set cinematografico, li senti dire "guarda, è qui che hanno girato Schindler's List». Hollywood si mette la coscienza in pace girando pellicole sulla Shoah. Lo stato polacco incassa, si fa pagare le mostre, il parcheggio, le guide...».
    Con la sua costruzione di legno questa donna di ferro vuole cambiare il mondo. Ma non ha i soldi. «Ho venduto la casa in Transilvania - confessa - ora cerco i ventimila euro per comprare il terreno». I polacchi non glieli danno, le propongono di creare una fondazione nella quale non potrebbe avere voce in capitolo in quanto straniera. «Non ci sto - sbotta - non gli lascio il controllo. Peccato che, fuori dal paese, nessuno sia ancora andato oltre il sostegno morale». Il sindaco le ha proposto di lavorare al museo. Ha rifiutato. Non ambisce a essere una foglia di fico. Tirerà avanti da sola. «Quando avevo vent'anni non volevo sentire parlare del mio passato - sussurra - Adesso me lo sono preso sulle spalle e ho una bandiera, sono l'unica ebrea in un luogo dove ne sono morti più di un milione. E, viva, sfido chi vuole far finta che non sia successo nulla».

(Morasha, 20 marzo 2007)





4. CONFERME DAGLI SCAVI ARCHEOLOGICI A GERUSALEMME




Vangelo di Giovanni: costruzione mitologica tardiva?

Gli scavi a Gerusalemme confermano nell'autore di Giovanni una conoscenza insospettata della città prima della distruzione. L'autore dimostra di sapere come fosse la città al tempo di Gesù. Questo Vangelo nomina alcuni luoghi che i tre sinottici ignorano: tra questi la piscina di Betesdà e il Litostroto.
Ora, entrambi, sono stati oggetto di scoperte clamorose.
La questione della composizione storica dei Vangeli è molto complessa. Gli storici sono comunque giunti a conclusioni abbastanza sicure, dettate dalla papirologia e dalla scienza filologica degli ultimi due secoli di studi.
I Vangeli più antichi e più attestati come numero di papiri e di codici sono quelli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni.
Risalgono a pochi decenni dalla morte di Cristo. Abbiamo alcuni papiri che risalgono alla fine del primo secolo, in base a criteri filologici, chimici, archeologici. Tra i più antichi possiamo ricordare: Papiro Chester Beatty II (P. 46) risale a 10-20 anni dalla stesura dell'originale, a trent'anni dalla morte di Cristo.
Fondamentale e' il Papiro Rylands (P. 52): è un frammento a 30 anni dall'originale di San Giovanni, scritto alla fine del primo secolo. E' stato ritrovato in Egitto ed é stato datato intorno al 125 A.D.
E' attualmente conservato presso il Giovanni Rylands Library di Manchester, Inghilterra.
E' stato pure dimostrato che il papiro è la copia di un originale scritto ad Efeso

prosegue ->
intorno al 100.: quindi il Vangelo di Giovanni già intorno al 100 aveva la sua forma definitiva:
Crolla miseramente la tesi della costruzione mitologica tardiva del Vangelo di Giovanni.

(Il Legno storto, 27 marzo 2007)





5. INCHIESTA SULL'ANTISEMITISMO IN SVIZZERA




Critici nei confronti di Israele, ma non antisemiti

La maggior parte degli svizzeri rispetta la minoranza ebraica, ma uno studio dell'Istituto di ricerca gfs.bern rivela che un abitante su dieci ha un'attitudine sistematicamente antisemita.
    Critico è invece l'atteggiamento nei confronti d'Israele. Più della metà degli intervistati è dell'opinione che lo Stato ebraico sia governato da fanatici religiosi, che vogliono eliminare il popolo palestinese. La percezione degli ebrei in Svizzera si basa spesso su pregiudizi. È quanto emerge dalle conclusioni dello studio "Atteggiamenti antiebraici ed antiisraeliani in Svizzera", pubblicato venerdì e condotto dall'istituto di ricerca gfs.bern con il sostegno della Commissione federale contro il razzismo e in collaborazione con il settimanale ebraico "Tachles".
    Gli ebrei sono considerati come persone d'affari ricche e di successo, assidue, intelligenti, solidali tra loro ed artisticamente dotate. Solo pochi li considerano sospetti. Una rilevante maggioranza li ritiene però inconcilianti, avidi di denaro ed assetati di potere.

Tipizzazioni stereotipe
    È vero che ebrei ed ebree sono ancora oggi, in Svizzera, vittime di tipizzazioni stereotipe, ma queste sono per la maggior parte ad indirizzo positivo.
    La popolazione svizzera tratta la minoranza ebraica nel Paese fondamentalmente con rispetto. Il 55% degli intervistati si è espresso in questo senso. Il 45% lamenta però una volontà di non integrarsi nel resto della popolazione da parte degli ebrei.
    Le teorie di cospirazione non trovano invece grande sostegno: il 49% degli interpellati non crede ad una strapotenza degli ebrei negli avvenimenti mondiali ed addirittura il 72% la rifiuta in relazione alla Svizzera.

Incomprensione
    Dopo la conclusione del dibattito sul suo comportamento nella seconda guerra mondiale, la Svizzera non è più considerata come una vittima. Solo il 29% approva infatti l'asserzione che il paese sia stato ricattato da organizzazioni ebraiche a causa della sua politica durante il secondo conflitto mondiale.
    Più critica è invece l'immagine di Israele presso la popolazione. Lo Stato ebraico appare oggi prevalentemente come uno paese normale, da trattare con rispetto. In relazione al conflitto israelo-palestinese si diffondono però sentimenti di delusione e di incomprensione.
    Il 54 % degli interrogati pensa che Israele sia governato da fanatici religiosi e il 50 % percepisce lo Stato ebraico come un Golia impegnato in una guerra di distruzione contro la popolazione palestinese. Il 58 % approva anche l'asserzione che lo Stato con la stella di Davide nella bandiera sia oggi un braccio prolungato degli USA. Questa irritazione emotiva contro la politica estera israeliana non sembra però accrescere gli atteggiamenti antisemitici, affermano gli specialisti dell'istituto.
    Lo studio arriva inoltre alla conclusione che oggi uno svizzero su dieci ha una predisposizione sistematicamente antisemitica. In questo gruppo si annoverno in particolare persone degli strati socioeconomici più bassi, politicamente a destra e che non conoscono personalmente nessun ebreo. Essi sono inolte rappresentati in quantità superiore alla media nella Svizzera italiana e in campagna.

Potenziale antisemitico
    Chi condivide solo sporadicamente delle emozioni negative, opinioni o stereotipi nei confronti della popolazione ebraica, di regola non fa parte di coloro che sono da annoverare potenzialmente fra gli antisemiti. La condizione di antisemitismo è raggiunta solo quando questi sentimenti sono condivisi in modo sistematico e ripetuto.
    Un atteggiamento del tutto positivo nei confronti degli ebrei e delle ebree è mostrato dal 37% della popolazione. Il restante 10% non può essere classificato, perché il suo comportamento si è dimostrato vacillante nel rispondere.

(SwissInfo, 30 marzo 2007)





6. PER FORMARE I FUTURI LEADER DEL MONDO EBRAICO




Il programma MASA stabilisce legami con Israele
    
di Jacob Berkman

Editado del Jewish Telegraphic Agency (JTA)

MASA è un programma che l'Agenzia Ebraica per Israele e dal governo israeliano gestiscono congiuntamente. MASA mira ad aiutare i giovani della Diaspora a stabilire legami profondi con Israele; allo stesso tempo offre alcuni servizi sociali di cui lo stato ebraico ha bisogno.

GERUSALEMME — Jared Baluvan viene da Highland Park, New Jersey. Jared Blumenfeld è nato e cresciuto a Beverly Hills, California. Entrambi hanno 18 anni ed entrambi sono in Israele per frequentare il corso annuale Giovane Giudea, che li porta a lavorare come volontari su un'ambulanza.
    Tuttavia, mentre i 15.000 dollari di tasse d'iscrizione al programma non erano un poblema per la famiglia Blumenfeld, per i Baluvan si trattava invece di una spesa non indifferente.
    È per assistere le famiglie come i Baluvan che l'Agenzia Ebraica per Israele e il governo israeliano hanno creato il programma MASA, che offre agli ebrei della Diaspora di età compresa tra i 18 e i 30 anni borse di studio per partecipare a programmi di lungo termine in Israele. Ciascuna borsa può arrivare a valere fino a 10.000 dollari.
    Quest'anno il programma ha aiutato a portare in Israele circa 7.800 ragazzi provenienti da 50 Paesi diversi. Partecipano a programmi che spaziano dalle yeshiva ortodosse ai movimenti laici della gioventù sionista.
    Secondo i funzionari MASA trascorrere un certo tempo in Israele e immergersi totalmente nella società locale è il modo migliore per costruire un'identità ebraica e stabilire un legame con lo stato ebraico.
    MASA vuole usare questa esperienza per formare i futuri leader del mondo ebraico e per mostrare che Israele non è più uno stato che si limita a ricevere soldi dalla Diaspora, ma che è diventato un partner con pari responsabilità nella costruzione ed espansione della comunità ebraica mondiale.
    "Si tratta di colmare il divario tra Israele e la Diaspora", ha detto Ze'ev Bielski, presidente dell'Agenzia Ebraica durante un incontro con i giornalisti a Gerusalemme lunedì scorso.
    In prospettiva MASA vorrebbe portare in Israele 20.000 giovani ebrei ogni anno. Sia il governo che l'Agenzia Ebraica, che contribuiscono al programma in egual misura, si sono impegnati a spendere fino a 50 milioni di dollari all'anno per il MASA.
    Grazie ai finanziamenti MASA sempre più ragazzi come Ben Pitt potranno partecipare a programmi come Livnot U'Lehibanot — che unisce insieme volontariato, studio ed escursioni.
    Pitt, 23 anni, sentiva il bisogno di fare una pausa, per chiarire a se stesso cosa fare della propria vita dopo il conseguimento della laurea presso la Brown University. Era stato spesso in Israele con la famiglia e aveva partecipato a uno dei viaggi Birthright, ma desiderava tornare dopo la fine degli studi per fare qualcosa di più concreto e produttivo.
    Nato a Providence, Rhode Island, Ben ha scelto l'antica città di Safed, dove vive con altri 18 volontari del programma Livnot. Qui, in una città famosa per l'atmosfera di misticismo ebraico che la pervade e dove una conversazione tipo "inizia parlando del tempo e in meno di dieci minuti si passa a discutere del perché noi esistiamo", Ben sta trovando la sua strada.
    Durante il giorno Pitt e gli altri volontari di stanza a Safed lavorano come volontari insegnando inglese agli allievi delle scuole elementari. Durante il tempo libero esplorano il Paese.
    Il programma MASA è stato inaugurato nel 2004. Allora i programmi coinvolti erano 45, ora sono 165. Volendo assicurare una diversità di approcci, MASA desidera attirare un maggior numero di programmi che promuovano il pluralismo e aiutino a costruire movimenti religiosi non ortodossi in Israele, oltre che aiutare i segmenti della società israeliana più deboli e poveri.
    I programmi devono rispondere a una serie di requisiti, tra cui l'insegnamento dell'ebraico, il rafforzamento dell'identità ebraico-sionista e una qualche forma di coinvolgimento nella società israeliana attraverso opere di volontariato. Ciascun programma viene stipendiato.
    Tradizionalmente, erano gli ortodossi a dominare gli studi di lungo termine in Israele (di solito, dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore e prima di iniziare il college, i giovani religiosi americani trascorrono uno o due anni di studio in una yeshiva israeliana).
    Ma Lior Shmueli, portavoce del programma MASA, racconta che i finanziamenti MASA hanno promosso l'apertura di circa 40 nuovi programmi che attirano un pubblico ebraico molto diverso e diversificato, racconta.
    Sia la scuola di musica Rimon (jazz e musica contemporanea) a Tel Aviv che l'accademia di arte e design Bezalel a Gerusalemme hanno inaugurato nuovi programmi per studenti stranieri. Il movimento riformato in Israele ha sviluppato o aggiornato cinque diversi programmi.
    Opportunità come queste hanno ribaltato la proporzione di studenti ortodossi e non ortodossi stranieri che trascorrono un anno in Israele dopo le scuole superiori. Si calcola che prima del 2004 circa 2.000 studenti stranieri ortodossi studiassero nelle yeshiva israeliane, mentre gli studenti non ortodossi iscritti all'università e ai programmi pre accademici risultavano in tutto circa 2.000.
    Quest'anno gli studenti ortodossi iscritti a programmi di lungo termine sono circa circa 3.000, mentre i non ortodossi sono 5.000, dice Shmueli.
    Il numero di studenti ortodossi che ricevono i finanziamenti MASA potrebbe continuare a diminuire in quanto oggi i funzionari MASA controllano con maggior rigore che le yeshiva iscritte al programma siano conformi ai requisiti sionisti del programma.
    MASA può anche aiutare a rispondere ai bisogni della società israeliana. Mentre da un lato l'economia viene sempre più privatizzata e il governo continua a tagliare i fondi previdenziali, i partecipanti ai programmi MASA garantiscono più di 200.000 giorni di servizio comunitario all'anno in 400 campi diversi.
    MASA può anche diventare una manna per le comunità in cui i partecipanti al programma trascorrono un anno di studio e volontariato. Spesso i programmi hanno bisogno di affittare appartamenti per i loro partecipanti, qualche volta proprio in quei quartieri poveri che sono i destinatari dei servizi da loro offerti. Oltre all'affitto, ci sono le tasse e i conti dell'acqua e dell'elettricità che vengono pagati ai comuni locali.
    Molti partecipanti dicono di aver preso in considerazione la possibilità di fare l'aliyah, ma questo non è l'obiettivo del programma MASA. I funzionari MASA preferirebbero che i partecipanti diventassero leader nelle loro comunità ebraiche d'origine, come attivisti prima e come filantropi poi.
    Sin dagli esordi del programma MASA si è discusso se fosse o meno il caso di abbinarlo a Birthright Israel, che dal 1998 ha portato in Israele più di 100.000 giovani ebrei per un viaggio gratuito di 10 giorni.
    Sembra comunque che le posizioni dei due gruppi si stiano avvicinando. Lunedì scorso Maimon, il vice primo ministro che funge da collegamento tra governo israeliano e MASA, ha detto ai giornalisti di aver parlato una settimana prima a Gerusalemme con l'amministratore delegato del programma Birthright per discutere la questione.
    Maimon dice che alcuni funzionari di entrambi i programmi si incontreranno a breve per discutere possibili strategie di collaborazione tra i due rispettivi dipartimenti di marketing.
    A rendere nervosi alcuni direttori del programma è anche il fatto che dall'anno prossimo i finanziamenti MASA verranno distribuiti diversamente. Invece di conferire fino a 10.000 dollari a partecipante esclusivamente sulla base dei bisogni dei singoli, MASA offrirà 2.000 dollari a ogni studente americano iscritto a una laurea di primo livello e 4.500 dollari a ogni studente americano iscritto a una laurea di secondo livello.
    ELAN Ezrahi, amministratore delegato del MASA, ha spiegato che il programma riserverà le borse fino a 10.000 dollari per i partecipanti provenienti dall'ex-Unione Sovietica e alcune altre zone, e disporrà di un fondo di 2,5 milioni di dollari per ulteriori borse da destinarsi a studenti americani bisognosi. Ma ha aggiunto che per coprire i buchi ciascun programma dovrà pensare a raccogliere parte dei fondi da solo.
    "È questo un momento emozionante ", dice Ezrahi. "Gli ebrei iniziano a mostrare un qualche interesse per i servizi sociali e ora possono venire qui in Israele e prestare servizio di volontariato in modo pluralistico e nazionalistico".
    MASA, ha concluso, "è il merger dei due mondi".

(Keren Hayesod, 16 marzo 2007)





7. GLI ISRAELIANI VOGLIONO MANTENERE LE TRADIZIONI EBRAICHE




La metà dei giovani israeliani è favorevole a una separazione tra religione e stato; 70% pensano che possa essere colmata la frattura tra ebrei religiosi ed ebrei laici. Soltanto 35% degli uomini e 25% delle donne sono del parere che le distanze siano incolmabili.
Questi dati provengono da un sondaggio dell'Istituto TGI fatto tra 10.000 giovani, maschi e femmine, compresi tra i 18 e i 35 anni di età. Circa 55% pensano che lo statu quo relativo alle frontiere tra stato e religione dovrebbe rimanere inalterato. Soltanto 30% ritengono che i centri di intrattenimento non dovrebbero essere aperti il sabato.
65% dicono di sentirsi più israeliani che ebrei. Tuttavia, 82% degli uomini e 85% delle donne pensano che le tradizioni ebraiche debbano rimanere in vita. Circa 30% dicono che baciano le mezuzà (piccoli astucci con versetti biblici agli stipiti delle porte) quando entrano in una casa o la lasciano.
Un'altra inchiesta, condotta dall'organizzazione "Nuova Famiglia", ha mostrato che il numero degli israeliani che sostengono un matrimonio esclusivamente civile è salito da 45% a 53%. (Yedioth Ahronoth, 25.03.07)

(Botschaft des Staates Israel - Berlin, 27 marzo 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





MUSICA E IMMAGINI




Fishelech




INDIRIZZI INTERNET




Shavei Israel

Standing with Israel




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