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Notizie su Israele 386 - 20 aprile 2007

1. Terapia del riso in Israele
2. Il senso di giustizia della comunità internazionale
3. Dopo il cessate il fuoco in Libano
4. La corsa al riarmo di Hezbollah
5. La cultura del martirio
6. I cristiani a Gaza danno fastidio
7. Libri
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 46:12-13. "Ascoltatemi, o gente dal cuore ostinato, che siete lontani dalla giustizia! Io faccio avvicinare la mia giustizia; essa non è lontana, la mia salvezza non tarderà; io metterò la salvezza in Sion e la mia gloria sopra Israele."
1. TERAPIA DEL RISO IN ISRAELE




Israele, paese meraviglioso

di Aviel Schneider


Frustrazione: il 78% della popolazione israeliana è scontento dell'attuale direzione dello Stato e soltanto l'8% si dichiara soddisfatto. Questo è il risultato di una recente intervista dell'Istituto per la Cittadinanza Israeliana. Negli ultimi 12 mesi l'insoddisfazione nella popolazione è cresciuta del 23%, perché nel marzo 2006 era al 55%. A quel tempo c'era ancora un 17% di israeliani che erano soddisfatti del loro governo sotto Ehud Olmert. Adesso il popolo è deluso del proprio governo, soprattutto del comportamento dei suoi politici.
    Però tra il piangere e il ridere la gente spesso sceglie di ridere su sé stessi. La cosa si può osservare per esempio in televisione, soprattutto nel programma satirico di grande successo Eretz Nehedert (Paese meraviglioso), mandato in onda ogni settimana il venerdì sera. Dopo le seriose notizie della sera, otto cabarettisti fanno una rassegna satirica dei fatti politici e sociali dell'ultima settimana. Bersagli ricorrenti sono il Primo Ministro Ehud Olmert. il Presidente della Repubblica Moshe Katzav, il leader del Likud Benjamin Netanyahu, l'ex generale di Stato Maggiore Dan Halutz, Shimon Peres e tutti i politici israeliani che secondo la gente dicono sempre "politiche scemenze".
Il Ministro Ben Elieser «sotto interrogatorio»
    Per molte famiglie israeliane questa satira televisiva dopo la cena di Shabbat è un divertente programma di intrattenimento per giovani e anziani. Ridiamo sul nostro "Paese meraviglioso". Nessuno è risparmiato, né i politici, né i diversi gruppi etnici nel paese e neppure i pericolosi leader di Hamas, dalla parte palestinese. Abu Tir, che con la sua barba rossa è stato rappresentato come personaggio principale in una commedia televisiva israeliana, si è talmente arrabbiato che ha minacciato di denunciare lo show televisivo Paese meraviglioso.
    Tornando alla realtà, il 68% della popolazione israeliana pensa che i politici attuali siano molto peggiori di quelli degli anni precedenti, cominciando da Jitzchak Shamir, Menahem Beghin, Golda Meir, Levy Eshkol e David Ben Gurion. "Quelli erano dei leader con carattere e coraggio civile, che perseguivano i loro obiettivi", ha detto Avigdor Liebermann a israel heute. "Israele ha bisogno di un governo stabile che porti il paese fuori dal vicolo cieco politico e non si lasci intimidire dal governo palestinese di Hamas." Dello stesso pare è il capo dell'opposizione e leader del Likud Benjamin Netanyahu, il quale sostiene che le persone in Israele hanno perso fiducia nel loro governo. "Il popolo vuole un nuovo goverrno!"
    Che resta da dire? I settimanali 45 minuti di terapia del riso praticata da Paese meraviglioso si concludono sempre con queste parole: "Non abbiamo altro paese, ma che Paese meraviglioso abbiamo! Shabbat Shalom!"

(israel heute, aprile 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. IL SENSO DI GIUSTIZIA DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE




Per l'Onu solo Israele viola i diritti umani

di Dimitri Buffa

Il nome è cambiato la sostanza no. Il consiglio dei diritti umani dell'Onu, che una volta si chiamava Commissione per i diritti umani, da quando è stato istituito non è mai riuscito a formulare una mozione di condanna per paesi come Iran, Cuba, Siria, Corea del Nord. E nemmeno, recentemente per il governo del Sudan rispetto ai massacri del Darfour. In compenso in poco più di un anno di tempo trascorso dalla sua nascita ha già collezionato una decina di risoluzioni contro lo stato di Israele colpevole di rendere impossibile la vita ai poveri palestinesi con i troppi controlli antiterrorismo. Per non parlare della barriera difensiva. Queste risoluzioni vengono poi "implementate" sessione dopo sessione e gli stati islamici che tengono il boccino all'interno del Council for Human rights fanno il resto. Già, perché il problema è proprio nel manico: 17 dei 47 stati che compongono questa commissione sono anche aderenti all'Oic, organizzazione per la conferenza islamica. E sono tutti compatti nell'odio anti israeliano e anti ebraico.
    In una delle ultime risoluzioni anti israeliane, quella dello scorso 13 marzo, si criticano gli scavi degli archeologi israeliani a Gerusalemme Est sotto la spianata delle moschee, dove peraltro sono stati ritrovati importantissimi reperti del secondo tempio di Re Salomone, quello distrutto dai romani nello stesso anno dell'eruzione di Pompei. Questi scavi non sono per lo Hrc un normale diritto di uno stato di portare alla luce la propria storia ma un intollerabile abuso contro la libertà religiosa dei palestinesi. Che però non viene mai tirata in ballo allorché l'Anp viene chiamata a rispondere delle persecuzioni dei cristiani in Terrasanta nelle numerose denunce delle ong umanitarie, persino come Amnesty. Il paradosso di questa commissione è che se si mette sul motore di ricerca interno la voce inglese "Israel" escono fuori 10.200 risultati, se invece si mette Iran ne escono fuori solo la metà.
    E di sicuro non si tratta di documenti di condanna per violazione dei diritti umani. Se invece si passa a esaminare le risoluzioni contro le presunte violazioni israeliane nei confronti dei palestinesi o altre popolazioni arabe limitrofe allo stato ebraico, basti pensare che dal 10 febbraio 2006 al 30 marzo scorso il numero raggiunto è di 15 unità. Che comprendono anche violazioni ai danni dei siriani nelle alture del Golan, o dei libanesi nelle zone di confine. Non una parola sui soldati rapiti in territorio israeliano dagli hezbollah e da Hamas ovviamente. E non una condanna contro Iran e Sudan visto che gli stati islamici sono riusciti ad assicurarsi la presidenza delle tre sottocommissioni di Africa, Asia e Europa dell'Est. Infine non è inutile rilevare che l'Europa in quasi tutte queste risoluzioni di condanna ha sempre votato compatta con gli stati arabo-islamici. Come dice Baa't Yeor nel proprio libro "Eurabia", se non è appeasement questo, non si capisce quale concetto lo sia.

(RadioRadicale.it, 12 aprile 2007)





3. DOPO IL CESSATE IL FUOCO IN LIBANO




Unifil, primi bilanci e prospettive

di Giovanni Martinelli

Sono passati poco più di otto mesi da quando il 14 agosto dello scorso anno è entrato in vigore il cessate il fuoco che metteva fine a più di un mese di violento conflitto tra Libano, ovvero il movimento Hezbollah, e Israele. Sempre sulla base della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell'Onu approvata pochi giorni prima (11 agosto) si autorizzava il rafforzamento della missione Unifil, già presente in Libano, con l'afflusso di nuovi uomini e mezzi che sarebbe partito di lì a poco.
    Una missione alla quale il nostro Paese partecipa in maniera importante avendo messo a disposizione il contingente più numeroso e avendone assunto il comando a partire dal febbraio scorso. Diventa perciò quanto mai opportuno, nonostante un certo disinteresse generale determinato dal maggiore risalto dato alle vicende in Afghanistan e dal basso profilo imposto ai nostri militari dai vertici politici, tracciarne un primo bilancio e soprattutto ragionare sui possibili scenari futuri.
    Nata sotto auspici poco incoraggianti, con le difficoltà incontrate nell'allestire un contingente che fosse credibile dai punti di vista quantitativo e qualitativo, Unifil sta sì proseguendo regolarmente ma al tempo stesso senza la capacità di incidere sui problemi ancora presenti, finendo così con il riflettere fedelmente le ambiguità e le contraddizioni contenute nel mandato conferitole dalla 1701 che ne limita i compiti alla sola interposizione tra le parti.
    Resta infatti tuttora irrisolta la questione più importante: il disarmo di tutte le milizie irregolari presenti sul territorio libanese e in particolare quelle di Hezbollah. Un problema che era già stato affrontato da un'altra risoluzione Onu, la 1559 del 2 settembre 2004, e la cui soluzione era ed è affidata all'Esercito libanese. Al contingente Unifil l'incarico di assisterlo ma con un ruolo, di fatto, passivo.
    Il punto è che l'esercito del Paese dei cedri non è in grado, e forse non ha neanche la volontà, di svolgere tale compito, complice anche la crisi politica che continua a vedere contrapposte le forze politiche a favore del Governo guidato dal primo ministro Siniora, espressione di una coalizione anti-siriana, e le forze che fanno ancora riferimento all'ingombrante vicino, proprio la Siria del presidente Assad.
    Ciò consente a Hezbollah di proseguire in maniera pressoché indisturbata il proprio processo di riarmo e rafforzamento delle proprie strutture militari. È opinione diffusa che proprio dalle frontiere con la Siria, e grazie alla sua complicità, giungano in maniera incessante rifornimenti di armi (missile e razzi in particolare, ma non solo) e di consiglieri militari, se non anche combattenti, principalmente dall'Iran.
    In sintesi, nessuna delle cause che hanno portato al conflitto è stata rimossa o risolta; anche i due soldati israeliani rapiti il 12 luglio di un anno fa, episodio all'origine di quel mese è più di guerra, non sono stati liberati come chiedeva la stessa risoluzione 1701 e di loro, anzi, non si sa più nulla.
    Una situazione preoccupante, tenuta sotto costante controllo e con crescente nervosismo da Israele. E che il clima vada deteriorandosi sempre più lo dimostra l'aumento delle attività da parte dei due contendenti nelle zone di confine, al punto da far dire a più di un osservatore come si stiano creando le premesse, anche in tempi brevi, per un nuovo conflitto che potrebbe benissimo assumere l'aspetto nonché la sostanza di una vera e propria resa dei conti fra Israele stesso e il movimento degli Hezbollah.
    E allora, a un nuovo riesplodere della violenza, quale potrebbe essere il ruolo di Unifil? L'impressione è che si ritroverebbe nella stessa identica condizione in cui si trova fin dal 1978, anno della sua creazione; da allora a oggi, infatti, la sua presenza non è mai stata in grado di impedire conflitti su vasta scala, come nel 1982 e l'anno scorso, scontri o attacchi incrociati di ogni tipo e ha assistito impotente dapprima all'occupazione israeliana nel sud del Libano dal 1982 al 2000 e successivamente, dopo il ritiro di Israele, alla creazione di uno Stato in uno Stato: quello di Hezbollah nel Libano.
    Fino a quando dovrà fare riferimento a un mandato inadeguato, Unifil non potrà che essere un semplice spettatore di vicende sulle quali non ha alcuna possibilità di incidere. Una posizione non solo poco utile ma anche pericolosa per quei militari che già più di una volta hanno pagato con la loro vita il solo fatto di essere dispiegati su quella fascia di terreno così tormentata. Pensare, in altri termini, che la sua sola presenza esaurisca e risolva tutti problemi non solo è sbagliato ma anche illusorio; occorre aggiungere un'iniziativa politica forte che consenta di affrontare alla radice dei problemi che viceversa, se ignorati, corrono il rischio di raggiungere importanza e dimensioni non più gestibili. Non fare nulla oggi per paura delle conseguenze, potrebbe comportarne di ben più gravi in futuro.
    Del resto non deve trarre in inganno il rafforzamento del contingente; di fronte alla determinazione di contendenti che, dai rispettivi punti di vista e a torto o a ragione, sentono di dover lottare per la propria sopravvivenza, Unifil non appare certo un ostacolo insuperabile alla ripresa delle ostilità. L'auspicio è che lo scenario catastrofico sopra evocato non si verifichi, che non si arrivi per davvero a un nuovo scontro armato che questa volta potrebbe coinvolgere anche altri 'attori' ben più pericolosi (Siria e/o Iran). Ciò non toglie che per un elementare principio di prudenza sarebbe quanto mai opportuna una riflessione sul ruolo e il significato della nostra presenza che rischia di trasformarsi nella migliore delle ipotesi in un impegno quasi infinito, e nella peggiore come un semplice ma rischioso ingombro alle operazioni militari dei contendenti.

(Pagine di Difesa, 18 aprile 2007)





4. LA CORSA AL RIARMO DI HEZBOLLAH




Per chi nutrisse ancora dubbi sulle intenzioni belligeranti di Hezbollah, l'intervista rilasciata al Guardian dal numero due del movimento sciita, lo sceicco Naim Kassem, dovrebbe fugare le ultime perplessità. Hezbollah, spiega lo sceicco al quotidiano britannico, si sta preparando «a una nuova guerra» contro Israele, che potrebbe esserci già la prossima estate. La responsabilità di un nuovo conflitto, va da sé, nella percezione del rappresentante Hezbollah dovrebbe ricadere interamente su Tsahal e sugli Stati Uniti, «che lo spingono in quella direzione». Nel dubbio, quindi, il partito di Dio sta provvedendo al riarmo, in barba alla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza che proibisce il traffico di armi e di materiali paramilitari (paragrafo 15 A) sul territorio libanese, per non parlare della richiesta di «disarmo di tutti i gruppi armati», di cui Hezbollah proprio non vuole sapere.
    Nell'intervista, però, le accuse del numero due di Hezbollah non si rivolgono solamente a Washington e allo Stato ebraico. Certo, «Dick Cheney ha ordinato una guerra sotto copertura contro Hezbollah», tuona lo sceicco. Ma il vero nemico è il governo di Fouad Siniora, colpevole di «facilitare» il lavoro degli agenti americani. In realtà, il livore del partito di Dio nei confronti del governo libanese, democraticamente eletto, sembra avere a che vedere con il rifiuto del primo ministro di aprire la coalizione agli estremisti sciiti. Inoltre, Hezbollah sa bene che provvedere al disarmo di tutte le milizie rientra nei compiti del governo di Beirut, anche se per il momento l'esercito libanese non sembra nelle condizioni di affrontare la questione.
    A ben vedere, le parole dello sceicco Kassem suonano come excusatio non petita in vista della nascita di una commissione speciale Onu che dovrebbe presto fare luce sul traffico di armi lungo il confine tra Siria e Libano, caldeggiata soprattutto da Usa, Francia e Gran Bretagna. A denunciare il traffico di armi illegali è stato il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.

(Il Riformista, 12 aprile 2007)





5. LA CULTURA DEL MARTIRIO




Allah vuole la morte di tutti gli ebrei e la conquista del mondo da parte dell'Islam

di Federico Steinhaus

Hamas e l'Autorità Palestinese hanno celebrato a modo loro Yom ha Shoah, la giornata in cui gli ebrei ricordano i loro 6 milioni di morti. Non vi è nel mondo una sola famiglia ebraica che non abbia familiari ed amici assassinati dai nazisti e da chi diede loro volonterosamente una mano e pertanto questo ricordo fa parte del sentimento collettivo del popolo ebraico; proprio questa sua natura al contempo intima e nazionale ne fa un bersaglio privilegiato dell'irrisione e degli insulti da parte di chi odia gli ebrei.
    Non è una novità che nel mondo arabo (e non solo: gli iraniani non sono arabi) la Shoah venga negata o che, nella migliore delle ipotesi, gli ebrei siano accusati di averla sfruttata ai loro ignobili fini. Del resto è proprio da questa regione e da questa cultura che proviene il filone principale del nuovo antisemitismo, quello che lega gli stereotipi dell'omicidio rituale, dell'avvelenamento dei pozzi, del complotto mondiale alle finalità di una linea politica che si prefigge la distruzione dello stato d'Israele.
    Lo scorso 30 marzo il portavoce di Hamas Ismail Radwan ha pronunciato un discorso alle televisione dell'Autorità Palestinese, dicendo tra l'altro:

"La resurrezione (islamica) non vi sarà fintanto che i musulmani non combattano e non uccidano gli ebrei, e la roccia e l'albero diranno: O musulmano, servo di Allah, dietro di me vi è un ebreo, uccidilo!"
"Noi dobbiamo ricordare alla nostra nazione araba e musulmana, ai suoi leaders

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ed al popolo, ai suoi dotti e studenti, che la Palestina e la moschea di Al Aqsa non saranno liberate per mezzo di riunioni di vertice né da risoluzioni internazionali, ma solo per mezzo dei fucili. Non saranno liberate per mezzo di negoziati, ma per mezzo dei fucili, perché questa occupazione non conosce altro linguaggio che quello della forza... O Allah, rafforza l'Islam ed i musulmani, e porta la vittoria ai tuoi fedeli che combattono la jihad, in Palestina ed ovunque... Allah si prenda gli oppressori ebrei ed americani e chi li sostiene!".

    Dunque per Hamas, ed è solo una conferma, la liberazione della Palestina (tutta) è direttamente legata all'uccisione degli ebrei (tutti), voluta da Allah.
    Ma Hamas non si ferma qui, la sola Palestina non basta ai suoi obiettivi strategici di dominazione religiosa e politica. Come viene riportato da Al-Ayyam del 25 marzo, alla commemorazione dello sceicco Ahmad Yassin l'ex ministro degli Esteri del governo palestinese e leader di Hamas Mahmoud Al-Zahar ha detto che Hamas si basa su due princìpi fondamentali, uno coranico e l'altro profetico. Quello coranico (cap.17, Sura Al-Israa) è la liberazione della moschea di Al Aqsa; quello profetico invece "è il messaggio del profeta Maometto che l'Islam entrerà in ogni casa e si spargerà nel mondo intero". Ed ha aggiunto: "La nostra posizione è la liberazione della Palestina, di tutta la Palestina. Questa è per noi la soluzione finale e strategica".
    Palestine Media Watch, che raccoglie e traduce dall'arabo in inglese queste notizie, ha anche verificato come l'esistenza stessa della Shoah continui ad essere cancellata dai libri di testo scolastici dell'Autorità Palestinese.
    Così ad esempio la nuovissima edizione (del 2006) del libro di storia per il Livello 12 ("Storia degli arabi e del mondo nel ventesimo secolo", pagg. 38, 40, 123) descrive per sommi capi l'ideologia razzista dei nazisti e ricorda che alcuni capi del regime nazista furono condannati come criminali di guerra, ma non cita mai gli ebrei, la Shoah, o le ragioni per le quali furono condannati. Il silenzio equivale in questo caso alla cancellazione dei fatti.
    Il Middle East Media Research Institute si occupa invece di monitorare l'insieme delle tendenze culturali, sociali e politiche in atto nel mondo islamico; dall'ampio spettro delle documentazioni che produce raccogliamo alcuni spunti interessanti per proporli ai nostri lettori.
    Parallelamente alle posizioni di Hamas anche Hezbollah esprime una linea strategica bellicosa. Il vice segretario generale Sheikh Naim Qassem ha affermato in una intervista trasmessa dalla televisione Al-Kawthar lo scorso 16 aprile che "il martirio è un valore sacro, rispettabile e grande...è un onore per noi essere accusati di credere nella cultura del martirio... Cos'è il martirio? E' la morte per la gloria di Allah ed in difesa di ciò che è giusto" ed ha precisato che per diventare martiri è necessario avere il permesso giuridico (nel senso del diritto teologico), che è stato concesso loro dall'Ayatollah Khomeini. Commentando queste dichiarazioni l'autorevole esponente di Hezbollah ha spiegato che "l'occidente materialistico, e gli atei in generale" cercano di convincere l'Islam ad abbandonare "la cultura del martirio" perché sanno che la fede dell'Islam è in grado di prevalere su di loro.
    Se però qualcuno pensa che Hamas, Hezbollah, Al Qaeda ed i gruppi dei loro sostenitori vivano in un lontano passato fatto di sanguinose guerre contro gli infedeli si sbaglia. Essi conoscono l'uso dei più moderni mezzi messi a loro disposizione dal progresso informatico e ne fanno il loro primo strumento di comunicazione e suggestione.
    Lo scorso primo aprile la Brigata della Jihad Mediatica – il nome è un programma! – ha inserito in alcuni siti islamisti un testo di 118 pagine dal titolo "La completa enciclopedia della sicurezza" che in 10 capitoli si occupa di protezione dei dati e delle informazioni, comunicazioni telefoniche sicure e distorsione della voce, ma anche di quali parole evitare nelle conversazioni perché potrebbero destare sospetti. Altre materie dell'enciclopedia sono l'acquisto sicuro di armi ed esplosivi, esercitazioni, tecniche di spionaggio, come ingannare le macchine della verità.
    Il 10 aprile un sito islamista ha indicato come si possano inviare in sicurezza finanziamenti all'organizzazione qaedista irachena "Lo Stato Islamico dell'Iraq", ad esempio per il tramite di negozi on-line la cui URL sarebbe comunicata solo a persone fidate per e-mail, in modo da far sembrare gli invii di denaro come pagamenti di merci. E' da notare che questa organizzazione si presenta ai media come governo legittimo del paese, con i suoi ministeri e con leggi che essa emana.
    Ma i siti islamisti servono anche ad altro. Il 5 aprile Al-Jayish Al-Islami, un importante gruppo di jihad sunnita nell'Iraq, ha postato un comunicato articolato in cui accusa il gruppo qaedista Lo Stato Islamico dell'Iraq di violare le regole sacre della sharia colpendo i sunniti; il gruppo qaedista algerino, invece, lo scorso 11 aprile e sempre attraverso siti web islamisti ha rivendicato gli attacchi di Algeri ed ha concluso come segue: "Per Allah! Noi non rimetteremo le nostre spade nei foderi né gioiremo della vita finché non avremo liberato ogni angolo della terra islamica dai Crociati, dagli apostati e dai loro collaboratori, e fintanto che i nostri piedi ritualmente lavati non cammineranno sulla terra rubata dell'Andalusia e nella Gerusalemme sconsacrata".
    Fortunatamente esistono anche arabi diversi da questi. La scrittrice egiziana Nonie Darwish, figlia di un comandante fedayin, in una intervista ad Al-Arabiya del 23 marzo ricorda che visitando Israele disse "Sono venuta per dirvi che vi perdono per aver ucciso mio padre e vi chiedo di perdonarci per il terrorismo e le uccisioni di cui ci siamo macchiati". Nel corso dell'intervista ella ribadisce il suo amore per il popolo arabo, per i suoi concittadini egiziani, per i palestinesi, ma sottolinea anche la necessità di dare ad Israele giustizia e sicurezza mediante la pace.

(Informazione Corretta, 18 aprile 2007)





6. I CRISTIANI A GAZA DANNO FASTIDIO




Di nuovo un attentato dinamitardo contro la Società Biblica Palestinese nella città di Gaza

di Johannes Gerloff

Nella notte di domenica [15 aprile] la libreria della Societa Biblica Palestinese (PBS) nella città di Gaza è stata gravemente danneggiata dall'esplosione di una bomba. Nell'attentato non ci sono state persone ferite.
    Collaboratori della Società Biblica riferiscono che alle due di notte l'impianto di allarme ha cominciato a suonare. In un primo momento hanno pensato che si trattasse di un falso allarme, ma dopo alcuni vicini hanno avvisato che effettivamente era esplosa una bomba davanti all'ingresso del negozio di Bibbie. Nell'esplosione il negozio e alcune case vicine hanno subito gravi danni.
    Quattro collaboratori della Società Biblica si sono avviati subito verso l'edificio della PBS, vicino a piazza Palestina, nel centro della città di Gaza. Quando sono entrati si sono accorti che la polizia e i giornalisti erano già lì. La domenica mattina le televisioni palestinesi locali, la televisione israeliana e l'emittente araba Al-Jazeera hanno riferito sull'accaduto.
    Dopo l'ultimo attentato dinamitardo alla libreria nella città di Gaza nel febbraio 2006, la PBS aveva assunto una guardia. Alla chiamata telefonica fatta immediatamente dal direttore della PBS non ha risposto. In seguito si è appurato che all'incirca alle 24, poco prima dell'esplosione, alcuni "passanti" l'avevano pregato di aiutarlo a spingere un auto. Dopo di che gli hanno messo da dietro un sacco sulla testa, l'hanno picchiato e l'hanno portato in un posto lontano. Dopo qualche ora l'hanno lasciato libero.

Così appariva il negozio dopo l'attentato

    L'attentato dinamitardo della primavera del 2006 era stato preceduto da minacce inviate su volantini in cui si diceva che le attività della PBS, membro dell'Associazione mondiale delle Società Bibliche, erano considerate "diffusione di una dottrina anti-islamica" e "azione di crociata evangelistica sostenuta da crociati-occidentali". Per circa sei settimane il negozio della Società Biblica nella Striscia di Gaza è rimasto chiuso. Questa volta l'attentato è arrivato del tutto inaspettato.
    La polizia ha iniziato le indagini. Per il momento nessuno sa dire chi ci sia dietro l'attentato. Il sito israeliano di notizie Ynet riporta dichiarazioni di funzionari di sicurezza palestinesi, i quali suppongono che il responsabile dell'attentato sia una "polizia dei costumi" di estremisti musulmani. Ynet riferisce anche di altre due esplosioni di bombe nella stessa notte, nelle quali due caffe-internet in Gaza sono stati distrutti, mentre l'agenzia di notizie palestinese Ma'an era in grado di riferire di un altro attentato a un caffè-internet occidentale di Gaza.
    Ma'an riferisce, a questo proposito, di altri simili attentati nei mesi scorsi a circa trenta caffè-internet e negozi di musica che offrono musica pop. Ynet riferisce che un pressochè sconosciuto gruppo dal nome "Spada della verità" ha rivendicato la responsabilità delle esplosioni, nelle quali ci sono stati danni materiali, ma nessun danno alle persone.
    Il negozio della Società Biblica Palestinese nella città di Gaza è stato aperto nel marzo 1999 come progetto di collaborazione con la società missionaria "Open Doors". La Società Biblica Palestinese, la cui sede principale si trova nella Gerusalemme Est, amministra altri centri simili in Bir Seit vicino a Ramallah e in Nablus. Il centro PBS in Bir Seit, che porta il nome "Living Stones" ("Pietre viventi"), già nel novembre 2005 è stato oggetto di un attentato incendiario.

(Israelnetz Nachrichten, 15 aprile 2007 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





7. LIBRI




Carlo Panella, Fascismo islamico, Rizzoli, marzo 2007.

recensione di Mario Secomandi

Carlo Panella, nella sua ultima fatica saggistica dal titolo Fascismo islamico, mette in evidenza come l'islam radicale e fondamentalista stia dando vita ad un vero e proprio movimento totalitario, che assume i connotati di un nuovo nazismo. Tra il dittatore tedesco dello scorso secolo Adolf Hitler, l'attuale presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, e i movimenti rivoluzionari politico-religiosi come il palestinese Hamas, il libanese Hezbollah, le milizie irachene di Moqtada Al Sadr, per non parlare di Al Qaeda di Osama Bin Laden, non pochi sono i punti in comune. Primo fra tutti il messianismo apocalittico mirante a perseguire l'utopia totalitaria della costruzione dell'Uomo nuovo da ottenersi in concomitanza all'annientamento e sterminio della «razza inferiore»: gli ebrei. Il «complotto ebraico», secondo i fondamentalisti, ispirati in ciò da quanto detto dallo stesso Maometto, sta alla base delle divisioni intestine alla umma islamica, frutto della cospirazione di giudei e cristiani e dell'alleanza tra Stati Uniti, Europa ed Israele.
    Dopo Bin Laden, protagonista dell'11 settembre, è il leader iraniano Ahmadinejad ad essere il capofila della vocazione egemonica all'espansionismo islamico al fine di giungere alla dominazione del pianeta e disegnare un nuovo ordine mondiale per mezzo della Jihad, la guerra santa da condurre sia contro Israele che contro gli apostati islamici, gli infedeli cristiani e gli occidentali, visti come servi del «Grande Satana» americano. Il progetto di dotarsi dell'arma atomica, il proposito più volte ribadito ed esplicitato di «cancellare Israele dalla cartina geografica» ed eliminare per sempre e definitivamente gli ebrei, il rifiuto spregevole di commemorare la Shoà nazista, costituiscono la cartina di tornasole di come l'Iran rappresenti la minaccia numero uno per la pace e la stabilità mondiale. Non si può passare sotto silenzio il fatto che Teheran, inoltre, stia intessendo una fitta rete di alleanze strategiche e geopolitiche, oltre che con la Siria e gli altri movimenti fondamentalisti mediorientali, anche con la Cuba di Castro, il Venezuela di Chavez, la Bolivia di Morales, all'insegna dell'intreccio perverso tra i ricatti connessi allo sfruttamento delle rendite petrolifere e la proliferazione di armamenti per il consolidamento di gruppi paramilitari pronti ad immolarsi e dare manforte alla Jihad globale.
    L'Occidente non può assolutamente permettersi, pena il rischio di una propria auto-distruzione, di non affrontare subito e prendere di petto la situazione commettendo l'errore compiuto nei confronti del nazismo, e l'Europa deve abbandonare «l'ottundimento da laicismo» che non le permette di comprendere che alla base dell'instabilità mediorientale c'è una questione religiosa. Non c'è pace tra Israele e Palestina non tanto per un mero contenzioso nazionalistico legato alla precisa quantità di terra da assegnare all'una parte ed all'altra, ma per un a priori fondamentalista da parte arabo-islamica: tutta la Palestina è considerata alla stregua del Dar al islam, del territorio islamico, dove deve regnare un califfato retto sulla legge coranica. Ne consegue che Israele non vi ha diritto all'esistenza. L'obiettivo, la soluzione finale, pena il non trovarsi pronti al ritorno del dodicesimo imam, contestuale al giudizio universale ed all'apocalisse, è l'annientamento totale di Israele.
    Sembra difficile se non impossibile trovare un compromesso con le forze fondamentaliste come Hamas e Hezbollah. Loro possono concedere solo una tregua, dopodichè riprenderà - come loro stessi ribadiscono - più forte di prima la guerra santa. La pace, per loro, non vuol dire assenza di conflitto, ma raggiungimento di un regime in cui gli ebrei siano stati tolti di mezzo, e tutti gli altri siano posti in uno stato di dhimmitudine, ossia sottomessi alla casta sacerdotale islamica dominatrice.
    Europa e Stati Uniti sono chiamate a fronteggiare risolutamente la minaccia del fondamentalismo islamico non tanto puntando su forze laiciste, quanto favorendo l'emersione in Medioriente di una nuova classe dirigente ispirata alle correnti riformiste e modernizzatici dello stesso islam, per lavorare a che vi s'impiantino più reali condizioni di democrazia, libertà civile, economica e religiosa, laicità, rispetto della dignità della persona umana e parità di diritti tra uomo e donna. L'Occidente deve difendere le proprie radici giudaico-cristiane, proteggere Israele come avamposto mediorientale di democrazia, modernità e libertà, e scrollarsi di dosso quel falso ed assurdo senso di colpa, tanto in voga nella sinistra, secondo cui l'antisemitismo e il fondamentalismo islamico sarebbero delle reazioni conseguenti alle malefatte dell'imperialismo americano e sionista.
    E' necessario opporsi nettamente al nuovo totalitarismo di marca neonazi-fascista dell'islam radicale, che sta esaltando ed infiammando le piazze arabe, cercando di diffondersi a macchia d'olio anche in terra europea foraggiando la proliferazione come funghi di moschee e promuovendo gli attentati terroristici (Londra e Madrid) e le sommosse nelle banlieues, perché esso non solo si basa sull'interpretazione del Corano come legge increata, eterna, immutabile, frutto delle rivelazioni di un Dio totalmente trascendente, arbitrario ed incomprensibile, ma non accetta una fede ancorata alla ragione, propugna l'adozione ed applicazione estensiva della Sharia, la legge coranica; non contempla alcuna distinzione della politica dalla religione, non vuole tirarsi fuori dal proprio medioevo di arretratezza civile, culturale e scientifica, e persegue la violenta sottomissione della donna all'uomo, l'utilizzo e sfruttamento dei bambini come scudi e martiri per la jihad apocalittica, la conversione degli infedeli per mezzo della spada e la messa a morte degli apostati. Nel XXI secolo, queste cose sono francamente inaccettabili.

(Ragion Politica, 13 aprile 2007)





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