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Notizie su Israele 406 - 9 novembre 2007

1. Iscrizione biblica ritorna nel suo paese d'origine
2. Missili che hanno un preciso progetto politico
3. Teoria del complotto - 1
4. Teoria del complotto - 2
5. Arabi che preferiscono essere israeliani
6. Dibattito nella comunità ebraica italiana
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Ezechiele 28:25-26. Così parla DIO, il Signore: Quando avrò raccolto la casa d’Israele in mezzo ai popoli fra i quali essa è dispersa, io mi santificherò in loro davanti alle nazioni, ed essi abiteranno il loro paese, che io ho dato al mio servo Giacobbe; vi abiteranno al sicuro; costruiranno case e pianteranno vigne; abiteranno al sicuro, quando io avrò eseguito i miei giudizi su tutti quelli che li circondano e li disprezzano; e conosceranno che io sono il SIGNORE, il loro DIO.
1. ISCRIZIONE BIBLICA RITORNA NEL SUO PAESE D'ORIGINE




Prova dell'affidabilità della Bibbia ritornata a Gerusalemme

Per un anno, la Turchia dà in prestito a Israele l'iscrizione di Siloam del re Ezechia di Giuda, intagliata nella pietra e risalente probabilmente all'anno 701 a.c.: è quanto ha annunciato l'ambasciatore turco in Israele a seguito di una richiesta di Uri Lupolianski, sindaco di Gerusalemme.

L'iscrizione di Siloam

In occasione del sessantesimo anniversario della fondazione dello Stato d'Israele, che sarà celebrato il prossimo anno, la Turchia è pronta a concedere in prestito per un anno la preziosa iscrizione in ebraico antico scoperta nel 1880, al tempo della dominazione ottomana, e poi trasportata in Turchia.
    L'iscrizione parla della costruzione di un tunnel per l'acqua scavato nella roccia sottostante la città di Davide, nel quartiere più antico di Gerusalemme, noto anche con il termine Siloah o Shiloach. È stata intagliata nella roccia in lingua paleo-ebraica a metà del tunnel. «Ezechia fu colui che turò la sorgente superiore delle acque di Ghion e le convogliò giù direttamente attraverso il lato occidentale della città di Davide», dice la Bibbia a proposito (2 Cr 32:30). In tal modo si voleva tagliare l'approvvigionamento idrico ai nemici assiri, provenienti dalla regione corrispondente all'attuale Iraq, durante il loro assedio a Gerusalemme. Questo capolavoro della tecnica, realizzato in tempi biblici, è nominato in vari passi della Bibbia, fra cui nel libro d'Isaia.
    La scritta sulla lastra di pietra, non del tutto conservata, recita: «[...] il tunnel [...] e questa è la storia dello scavo. Quando [ ... ] i picconi scavavano ancora l'uno contro l'altro e restavano ancora tre cubiti (unità di misura) da scavare [ ... ] la voce di uno [...] si sentiva chiamare dall'altra parte, [perché] c'era una fessura nella roccia, a destra e a sinistra ed il giorno che il tunnel (fu terminato) i tagliatori di pietra scavarono ognuno verso l'altra parte, piccone contro piccone e fluì l'acqua dalla sorgente fino al pozzo per 200 cubiti. E [...] cubiti era l'altezza dalla testa degli scavatori.»
    Dopo la scoperta del tunnel nel 1880 si trovò anche l'iscrizione. Insieme ad altre testimonianze in pietra dei tempi biblici, fra cui un'iscrizione monumentale della Collina del Tempio del tempo di Gesù, essa venne trasportata a Istanbul (nel Museo archeologico del palazzo Topkapi), ma lì fu negata alla vista della maggior parte dei visitatori. L'iscrizione proveniente dalla collina del tempio vieta ai pellegrini di avvicinarsi al cortile interno, pena la morte.
    Come ha comunicato la radio israeliana, Lupolianski sarebbe intenzionato ad esporre la pietra nella città di Davide a sud della Collina del Tempio. I turchi, invece, per motivi di sicurezza, preferiscono presentare al pubblico la preziosa e straordinaria iscrizione nel Museo d'Israele a Gerusalemme.
    In cambio del prestito dell'iscrizione di Siloam, dell'età di 2700 anni, che ha «un grande valore storico e culturale per il popolo ebraico», il sindaco di Gerusalemme offre la costruzione di un monumento ai soldati turchi caduti durante la Prima Guerra Mondiale in terra d'Israele.
    A Gerusalemme esistono vari cimiteri militari risalenti al primo conflitto mondiale, fra cui grandi tombe militari britanniche molto ben curate sul Monte degli Ulivi e a Talpiot, e un cimitero di guerra tedesco sul Monte Sion, dove ogni anno, nel giorno di lutto nazionale, l'addetto militare tedesco depone una corona. US

(Notizie da Israele, Nr.4 - 2007)





2. MISSILI CHE HANNO UN PRECISO PROGETTO POLITICO




La pace è sotto minaccia, ecco perché

di Federico Steinhaus

Il binomio Gaza-odio pare indissolubile e destinato ad aumentare ancora in futuro. L'episodio che ha visto coinvolta la delegazione bolzanina non è che uno tra migliaia: negli ultimi quattro anni, infatti, migliaia di missili Kassam sono stati sparati da Gaza verso alcune città israeliane (non «colonie» ma città storicamente facenti parte dello Stato).
    I missili hanno causato danni enormi, qualche morto e moltissimi feriti. A Sderot, città-simbolo e città-martire, la normalità della vita che scorre tranquilla, notata da Claudio Degasperi, è solamente apparenza: in realtà i bambini dormono nei rifugi, fanno la pipì a letto per il terrore che non li abbandona mai, sono stati addestrati a correre al più vicino rifugio blindato in pochissimi secondi. Nessuno si sente al sicuro, in strada, negli autobus, a casa propria, in automobile, perché il missile arriva e colpisce a caso.
    Proviamo dunque a capire perché proprio Gaza, perché lì la guerra è realtà quotidiana, perché la storia stessa di Gaza non ha lasciato spazio alla pace.
    La striscia di Gaza avrebbe dovuto far parte dello Stato palestinese in base al piano di spartizione votato dall'Onu nel 1947 e rifiutato dai Paesi arabi; nella successiva guerra del 1948-49 è stata conquistata e annessa dagli egiziani. Israele conquistò quel territorio nel 1967, insieme alla Cisgiordania, e nella trattativa di pace del 1978 propose all'Egitto di restituirla insieme alla penisola del Sinai; ma il presidente egiziano Sadat, che firmò il trattato di pace con Israele in cambio della restituzione del Sinai, rifiutò di riprendersi anche Gaza.
    Gli accordi di Oslo del 1993 prevedevano l'assegnazione della striscia di Gaza all'Autorità Palestinese e il controllo dei confini da parte dell'esercito israeliano, cosa effettivamente avvenuta. La roadmap elaborata nel 2003 da Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite infine prevede (si tenta ancora di tenerla in vita) che Gaza vada a far parte del futuro Stato palestinese (che la roadmap, anche se a qualcuno questo può non piacere, pretende debba essere democratico).
    Nel settembre 2005 Israele si ritirò dalla striscia di Gaza senza nulla chiedere in cambio, esattamente come aveva fatto cinque anni prima ritirandosi dal Libano meridionale. E come era avvenuto nel Libano anche a Gaza furono le forze più estreme e violente a prendere il potere: Hezbollah nel Libano, Hamas a Gaza.
    Nel gennaio 2006 Hamas ha vinto le elezioni e ha subito iniziato a catturare, torturare e massacrare gli uomini del Fatah fedeli ad Abu Mazen. Hamas — unitamente alla Jihad Islamica, alle Brigate dei Martiri di Al Aqsa e al Comitato di Resistenza Popolare — è anche responsabile della morte di centinaia di civili israeliani, uccisi durante la seconda intifada in feste familiari, nelle pizzerie, negli autobus, nelle discoteche.
    La carta fondamentale di Hamas afferma, nel contesto di innumerevoli citazioni del Corano, che «la nostra lotta contro gli ebrei (si noti: gli ebrei, non gli israeliani) è grande e molto seria. Richiede ogni possibile sincero sforzo. È un passo che sarà necessariamente seguito da altri passi… Il Giorno del Giudizio non verrà fintanto che i musulmani combattono contro gli ebrei e li uccidono…». Il medesimo documento afferma, basandosi su citazioni religiose, che tutta la terra di Palestina è terra islamica e deve essere riconquistata perché Allah l'ha assegnata all'Islam.
    È dunque evidente che le migliaia di missili artigianali (ma pericolosissimi) che da Gaza vengono lanciati ogni giorno sui cittadini israeliani fanno parte di un preciso progetto politico. Questo significa che Israele si trova nella necessità di reagire alle aggressioni contro i propri cittadini, ma anche nell'impossibilità di adottare quelle misure che potrebbero essere veramente efficaci perché, in quanto democrazia e Stato di diritto, vuole e deve fare un uso controllato della forza.
    Questo è il dramma dei palestinesi e degli israeliani, che esprimono una maggioranza (silenziosa e minacciata quella palestinese, possente e rumorosa quella israeliana) di persone «normali » che vogliono vivere e convivere in pace.

(Corriere della Sera, 7 novembre 2007)





3. TEORIA DEL COMPLOTTO - 1




La "Israel Lobby" non esiste

di David A. Harris*

Gli europei spesso non riescono a comprendere l'appoggio che gli Stati Uniti forniscono ad Israele. Piuttosto che accettare l'ovvio – cioè che la maggioranza degli americani si identifica con Israele – alcuni europei sembrano confortati da teorie di intrighi e manipolazioni. Forse è questo il motivo per il quale il nuovo libro dei professori Stephen Walt e John Mearsheimer, "La Israel Lobby", è stato così rapidamente scoperto da molti autorevoli editorialisti. "Mi dica il segreto", mi chiedono i miei amici europei: "come ha fatto la lobby ebraica a portare Washington dalla parte di Israele, contro i 'migliori interessi' dell'America, e persino a 'spingerli' alla guerra in Iraq?". Aspetti un secondo, io rispondo. Procediamo passo per passo. Primo, la parola "lobby" non è dispregiativa. Esistono migliaia di lobby che rappresentano orgogliosamente ogni interesse immaginabile. Sono un puntello nell'arena della politica pubblica. Alexis de Tocqueville, nella sua magistrale opera "La Democrazia in America", scritta 170 anni fa, celebra il ruolo chiave giocato dalle associazioni volontarie nella vita pubblica del giovane paese. Secondo, fra le lobby vi sono quelle che rappresentano gli interessi arabi.
    E a loro si sono uniti un numero crescente di organizzazioni arabe e musulmane attive negli Stati Uniti che, come gli altri gruppi, cercano di influenzare il processo decisionale e l'opinione pubblica. Terzo, non esiste una sola lobby israeliana, tutt'altro. Scherzando si dice "due ebrei, tre opinioni"; perché dovrebbe essere diverso quando si tratta di Medio Oriente? Ci sono gruppi attivi a sinistra, al centro e a destra, e ognuno tenta di convincere i legislatori su un particolare punto di vista. Qualcuno è più grande e meglio organizzato? Sì, riflettendo le diverse realtà della comunità ebraica. Quarto, quegli europei che condannano il potere delle lobby a Washington e specialmente di quelle che non gli piacciono, dovrebbero guardare al loro proprio cortile. Bruxelles è divenuta una calamita per letteralmente migliaia di gruppi di interesse. Quinto, gli ebrei comprendono il due percento della popolazione americana. Anche se ogni ebreo fosse allineato ad Israele — fatto probabile come quello che tutti gli americani votino per lo stesso candidato alle prossime elezioni — ciò non spiegherebbe il forte, sebbene assolutamente non incondizionato, sostegno di Washington a Israele.
    Ciò che molti non riescono ad afferrare è che la storia di Israele ha, per molte ragioni, catturato l'immaginazione degli americani. È quella la base dell'appoggio americano, non le macabre teorie cospirative che ultimamente "spiegano" la posizione dell'America. Sesto, secondo i sondaggi le ragioni chiave per l'appoggio americano includono l'impegno di Israele alla democrazia, l'affidabilità come alleato, la determinazione coraggiosa a difendersi contro quelli che vorrebbero distruggerlo, i tanti contributi alla civiltà umana e, non da meno, il drammatico risorgere dello stato ebraico dopo quasi 1900 anni di esilio. Settimo, la maggioranza degli americani non è terribilmente entusiasta dei contro-argomenti. Per decenni i palestinesi hanno appoggiato i più acerrimi nemici dell'America. Il terrorismo contro obiettivi americani, dalle ambasciate agli aerei di linea, non li ha avvicinati al cuore americano. Gli americani che costruirono una società di pionieri a prezzo di fatiche senza fine, hanno avuto difficoltà ad identificarsi con quelli che languiscono nei campi profughi a carico della comunità internazionale, piuttosto che costruirsi delle vite nuove.
    Gli americani credono nell'aspirazione profonda di Israele alla pace, ma si chiedono dove sia il corrispondente impegno dei palestinesi. L'assenza impressionante di elementari valori democratici in tutto il mondo arabo, incluso i diritti delle donne, dei cristiani e delle altre minoranze religiose, e il ruolo della legge, non li ha aiutati a farsi degli amici fra gli americani. Quando l'Arabia Saudita, per esempio, lanciò un'ampia campagna mediatica per cercare di promuovere valori comuni tra Riyad e Washington, era un imbroglio difficile per un paese che non permette alle donne di guidare e tiene la Cristianità sotto schiaffo.
(1 - continua)

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* Direttore dell'American Jewish Committee (traduzione italiana a cura di Carmine Monaco)

(L'Opinione,it, 7 novembre 2007)






4. TEORIA DEL COMPLOTTO - 2




Il sostegno popolare americano a Israele

di David Harris

Insistono i miei amici europei: cosa ci dici circa "l'empia alleanza" tra gli ebrei americani e la destra religiosa, di cui il Presidente Bush fa parte? Non è questa la vera lobby? Io rispondo che molti della destra religiosa sostengono Israele. Ma non hanno bisogno che gli ebrei americani li persuadano. Hanno le loro proprie ragioni. E si esprimono come vogliono — per la delizia di alcuni ebrei americani, e la costernazione di altri. Ma c'è di nuovo, qui, un problema di comprensione. Non sono solo loro ad identificarsi con Israele. Molti altri cristiani lo fanno, da molto tempo prima della rinascita di Israele. Infatti, ciò risale ai primi coloni europei che curarono teneramente la Bibbia ebraica ed il legame tra gli ebrei e la Terra Promessa. Effettivamente, John Adams, Ben Franklin e Thomas Jefferson proposero un'immagine dell'esodo ebraico dall'Egitto come l'emblema nazionale. E più recentemente, il Presidente Harry Truman attinse a questa sorgente di ispirazione per riconoscere Israele undici minuti dopo la sua creazione. Michael Beschloss, un eminente storico, analizza tale evento nel suo recente libro, "Presidential Courage": "Truman era felice di essere un Battista perché pensava che ciò dava ad un uomo comune il percorso più breve verso Dio.
    Lui sapeva che molti battisti speravano che gli ebrei potessero un giorno fare ritorno alla loro terra natia Sion. Il Salmo favorito di Truman era il 137: Lungo i fiumi di Babilonia, là noi ci sedemmo, piangendo, quando ricordavano Sion". E il Presidente Bill Clinton, che non può essere definito proprio un esponente della destra religiosa, frequentemente disse che il suo predicatore battista, prima di morire, fece promettere al giovane politico dell'Arkansas che non avrebbe mai fatto nulla per danneggiare Israele.
Ma i miei amici europei insistono ancora: che ci dici sull'Iraq e sull'influenza della "lobby" nel guidare gli Stati Uniti in una guerra ormai degenerata, che può servire gli interessi di Israele, ma non quelli americani? Se c'era un tam tam fra gli ebrei americani per spingere il paese alla guerra, io non l'ho sentito. Sì, c'erano ebrei americani – nelle loro funzioni ufficiali, non in quelle di ebrei – che si sono uniti ad altri dell'amministrazione Bush nel sostenere la causa della guerra. E così hanno fatto altri al di fuori del governo. Forse benefici residui per Israele erano parte dei loro calcoli, e forse per gli altri paesi nella regione, incluso Kuwait e Arabia Saudita.
    E sì, c'erano gruppi di ebrei che hanno sostenuto la decisione della guerra, ma non tutti. A proposito, i sondaggi tra gli ebrei americani effettuati prima e dopo l'inizio della guerra rivelarono una opposizione più forte e costante che fra il resto dell'opinione pubblica americana. E molti ebrei erano prominenti nelle file degli oppositori della guerra fin dal principio. Inoltre, negli anni precedenti la guerra del 2003, gli ufficiali israeliani, a cominciare dal Primo Ministro Yitzhak Rabin, posero l'accento sul fatto che fosse l'Iran, non l'Iraq, a porre la minaccia più grave al futuro di Israele. Gli eventi susseguenti rivelarono che Israele aveva ragione al riguardo. Ed infine i miei amici europei troppo spesso hanno adottato il concetto che agli americani sia stato impedito di

prosegue ->
sentire gli altri punti di vista sul Medio Oriente. Se solamente lo avessero fatto, avrebbero visto la luce. Sciocchezze! È vero, ci sono più voci pro Israele nel dibattito americano che in Europa, ma ciò non impedisce ad altri di essere ascoltati. Al contrario, la discussione è ininterrotta.
    Dai professori Walt e Mearsheimer al presidente Jimmy Carter, da Tony Judt a Noam Chomsky, dagli innumerevoli discepoli accademici di Edward Said a Norman Finkelstein, e dai molti media che trasmettono o pubblicano storie critiche nei confronti di Israele – che vanno ad aggiungersi, naturalmente, alle voci delle varie lobby – ad Israele proprio non mancano quelli che sfidano una sua specifica politica o, per quella questione, la sua stessa esistenza. Ma, alla fine della fiera, non sono riusciti a far trionfare la loro causa. Forse è perché, come una volta disse il Presidente Abramo Lincoln, "Lei può imbrogliare tutte le persone per un certo tempo, ed alcune delle persone per tutto il tempo, ma lei non può imbrogliare tutte le persone per tutto il tempo". E ciò va a grande merito del popolo americano.
(2 - fine)
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* Direttore dell'American Jewish Committee
(traduzione italiana a cura di Carmine Monaco)

(L'Opinione,it, 8 novembre 2007)






5. ARABI CHE PREFERISCONO ESSERE ISRAELIANI




Migliaia di arabi di Gerusalemme chiedono la cittadinanza israeliana

In questi mesi che precedono l'ormai imminente conferenza di pace di Annapolis, i continui discorsi circa una futura divisione della città di Gerusalemme hanno innescato un sorprendente incremento delle richieste di cittadinanza israeliana da parte di arabi palestinesi residenti nella parte est della città, i quali desiderano sottrarsi ad una vita sotto giurisdizione dell'Autorità Palestinese.
    Oggi risiedono a Gerusalemme circa 250.000 arabi palestinesi. Dal 1967, solo 12.000 – una media di 300 all'anno – hanno cercato di ottenere i documenti di cittadinanza israeliana, un diritto riconosciuto loro dalla legge israeliana che ha decretato la riunificazione della città sotto giurisdizione israeliana.
    Ma negli ultimi quattro mesi il ministero degli interni ha registrato la cifra record di 3.000 domande, inoltrate per lo più da arabi che risiedono nei quartieri di Gerusalemme destinati con molta probabilità a non rimanere sotto sovranità israeliana in base ai vari progetti politici di spartizione della città attualmente in discussione.
    Oggi i 240.000 arabi palestinesi non naturalizzati israeliani che vivono a Gerusalemme hanno lo status di residenti permanenti. In quanto palestinesi residenti a Gerusalemme est, hanno anche il diritto di partecipare alle elezioni per l'Autorità Palestinese.
    Giacché accettare i documenti di cittadinanza offerti da Israele era considerato da molti arabi equivalente a una forma di tradimento, finora la maggior parte dei palestinesi di Gerusalemme aveva optato per lo status di residente permanente, che permette loro di godere dei benefici legati alla vita sotto sovranità israeliana – pieni diritti assistenziali, diritto di voto alle elezioni amministrative, nessun limite agli spostamenti – senza mettere in questione la propria lealtà all'Autorità Palestinese. Attualmente una famiglia media palestinese di Gerusalemme est riceve da Israele emolumenti per 770 dollari al mese.
    "Hanno valutato i pro e i contro della vita sotto Autorità Palestinese e quelli della vita sotto Israele, e hanno fatto la loro scelta", dicono gli abitanti di Gerusalemme est dei loro concittadini che chiedono la cittadinanza israeliana.
    Samar Qassam, 33 anni, dice che il motivo per inoltrare domanda di cittadinanza israeliana è stato cercare un futuro migliore per la sua famiglia. Con la moglie e il figlio, Samar Qassam una volta viveva nella Città Vecchia, ma di recente si è trasferito a Beit Safafa, un sobborgo arabo a sud di Gerusalemme. "Sono nato a Gerusalemme – spiega – qui è dove sono cresciuto e qui è dove mi guadagno da vivere. Tutta la mia vita è qui. Mia moglie viene dalla Cisgiordania e allora ho fatto domanda di cittadinanza anche per lei. Voglio continuare a vivere qui con mia moglie e il bambino senza dovermi preoccupare per il nostro futuro. Ecco perché voglio la cittadinanza israeliana. Non so cosa ci riserva il futuro – continua Samar Qassam – Si parla di un arrivo dell'Autorità Palestinese a Gerusalemme. Personalmente non credo che accadrà. Ma solo il Signore sa cosa succederà. Lavoro come meccanico per una ditta israeliana, ho amici sia arabi che ebrei. Parlo ebraico e spesso la sera vado a Tel Aviv e ad Akko. Voglio solo un futuro migliore".

(YnetNews, 7 novembre 2007 - da israele.net)





6. DIBATTITO NELLA COMUNITA' EBRAICA ITALIANA




Il famoso rabbino italiano sul fenomeno che iniziava a prendere piede anche in Italia

La Riforma? Una "sconcissima" cosa

di Shemuel David Luzzatto (Shadal) - 1800-1865

Shemuel David Luzzatto
Cosa nuova non è abusare delle parole e colorare con bei nomi sconcissime cose (...).
    Eccocene un funesto esempio. Alcuni Israeliti, bramosi di esonerarsi dalle pratiche religiose annesse al Giudaismo, e volendo fare con una specie di legalità, in guisa da non avere ad essere riguardati quali empi trasgressori della Legge di Dio, mascherando il loro progetto, di totalmente abolire la Legge mosaica, sotto lo specioso nome di Riforma. Ma questo nome è egli adeguato al disegno di questi uomini?
    Riformò Lutero la Chiesa, depurandola di varie credenze e di varie pratiche, che vi si erano nel corso de' secoli intruse, e restituendo il cristianesimo quale egli era, o quale egli credette che esso fosse, nei suoi primordi. Così tra noi i Caraiti hanno creduto riformare il Giudaismo, attenendosi scrupolosamente a ciò, che credettero essere il senso delle parole di Mosè. Ma con qual fronte osano chiamarsi Riformatori del Giudaismo uomini, i quali "rinunziano formalmente a tutti i riprovevoli esclusivi precetti e costumanze"? Il Giudaismo fu sin dalla sua origine una religione esclusiva. La famiglia d'Abramo si è sempre creduta un popolo eletto, una nazione di sacerdoti. Gl'Israeliti furono effettivamente i depositari di quelle sante dottrine, che, uscite dal loro grembo e propagatesi sulla faccia della terra, dissiparono le tenebre del mondo morale, e partorirono quel molto o poco di bene, di cui va superba la moderna civiltà, la quale è ancora ben lungi dalla sua perfezione, atteso l'elemento greco, che in essa è sempre in conflitto con l'elemento abramitico. In qualità di sacerdoti del genere umano, gl'Israeliti furono distinti con varie pratiche esclusive, le quali hanno potuto conservar loro un'esistenza, che conservare non seppero tante nazioni assai più forti e potenti. (...)
    Il Giudaismo è quindi essenzialmente un sacerdozio, e per conseguenza una religione esclusiva, carica di pratiche esclusive. È bensì lo spirito del Giudaismo una religione, una moralità universale (...) Ma il giudaismo, come Sacerdozio, come depositario e come propagatore di questa Dottrina, è inseparabile da molte pratiche esclusive; e chi le abolisce non riforma, ma distrugge il Giudaismo. È libero ognuno di rinunziare a questo Sacerdozio, a questa religione esclusiva; chiunque vuole può dal ceto giudaico separarsi; ma volersi chiamare Israelita, e volersi esonerare da tutte le pratiche, che contraddistinguono l'Israelita, questa è una contraddizione. Né vale il fingere di limitare le leggi esclusive, che si vogliono abolire, coll'aggiunta dell'epiteto "riprovevoli", quando non si spiegano i caratteri, che render possono un atto riprovevole. E d'altra parte i fatti dimostrano che i partigiani di questa Società non hanno nulla di sacro, e rigettano la stessa circoncisione, che è già da 36 secoli precipua caratteristica degli Abramiti. (...)
    Nel mentre che anche noi riconosciamo che l'attuale giudaismo contiene varie modificazioni ed aggiunte, dalla pietà e dalla profonda sapienza degli antichi Sinedrii portate nel Mosaismo, a seconda dei bisogni dei variati tempi e dietro le norme tradizionalmente tramandate dallo stesso Mosè; come pure varie dottrine intruse ne' bassi tempi sotto l'influenza d'una cultura straniera; crediamo ben diversa dalla nostra essere la "convinzione" di questi pretesi riformati, dopodiché essi dichiarano aver del tutto rinunziato all'odierno giudaismo (...).
    Se il Giudaismo attuale comandasse azioni men che morali, o indirettamente conducesse ad una Morale rilasciata; o ispirasse sentimenti antisociali, ed antiumani, saremmo prontissimi anche noi a depurarlo o ad abiurarlo. Ma la santità della Morale giudaica è troppo nota; e noi (e chi no?) abbiamo conosciuto e conosciamo troppi esempi di uomini strettamente osservanti le leggi del giudaismo ed insieme modelli d'ogni più rara virtù sociale -- uomini, il cui numero va ogni giorno, col crescere dell'indifferentismo religioso, a grave danno della società, diminuendo?
    Non esitiamo dunque di dare a quelli tra i nostri correligionarii, le cui convinzioni sono in discrepanza col giudaismo, il seguente consiglio:
    Fratelli! abituate nuovamente le vostre mani all'esercizio delle avite costumanze; fatelo in onore dei vostri antenati, che per esse versarono il loro sangue; e, nel farlo, sperate di conseguirne quella contentezza, quell'interna soddisfazione, quella gioia, ch'essi ebbero in mezzo alle vessazioni, e di cui voi, in mezzo alla libertà, agli onori, ed ai piaceri, siete privi. Fatelo, e le vostre convinzioni a poco a poco si cangeranno, e voi comincerete a sentire i vantaggiosi frutti dei volontari sacrifizii; dai quali il vostro spirito acquisterà sempre crescente predominio sulla materia, e si alzerà dalla Morale mondana, basata sulla prudenza o sull'onore, guide ambedue spessissimo fallaci, alla celeste, basata sulla santa Provvidenza, la quale, tosto che comincerete a pensarvi, non mancherà di appalesarvisi, nei grandi avvenimenti e nei minimi, mostrandovi anzi come nulla cosa è piccola, ma le minime essere origine dalle massime.
    Il vostro esempio formerà a religione ed a virtù le vostre famiglie e i figli vostri, i quali renderanno beata la vostra vita e la canizie vostra, e voi con lieto cuore benedirete il Dio, che vi elesse e che ci diede la sua legge.

(Morasha.it, 1 novembre 2007)

* * *

Un rappresentante dei movimenti riformati non digerisce l'articolo di Shadal.

Gli ortodossi e gli struzzi

di Claudio Canarutto

Passi che Shadal oltre centocinquanta anni fa', non percepisse le grandi possibilità insite nella Riforma ebraica, che stava muovendo i primissimi suoi timidi passi. Ma volersi nascondere oggi la realtà viva, rappresentata dal 90% del popolo ebraico nel mondo, costituito, per l'appunto da ebrei non ortodossi, in gran parte riformati od anche conservatives o semplicementi laici significa comportarsi come lo struzzo, che nasconde la testa nella sabbia.
    Neghiamo l'ebraicità del 90% degli ebrei? Sono la quasi totalità degli ebrei americani e del mondo anglosassone: sono coloro, anche, che sostengono finanziariamente, dall'estero, la vita, la difesa dello Stato di Israele. E Israele, da tempo, ne riconosce la loro ebraicità.
    Sono ebrei che non fanno dipendere la loro ebraicità, come direbbe Shemuel David Luzzatto dall'osservanza esclusiva di precetti e costumanze. Ma anzi, usando le sue stesse parole, sono fra gli eredi di coloro che dissiparono le tenebre del mondo morale. Sono anche, possiamo aggiungere noi, coloro che, come tutti gli ebrei, non riconoscono la necessità di adorare una miriade di dei o santi, come li si voglia chiamare, e che non ritengono di aver bisogno di una serie di intermediari tra loro stessi e Dio, si chiamino essi sacerdoti, vescovi o papi.
    Il loro Dio è colui che dettò loro le Leggi di convivenza civile ed essi Lo onorano seguendole ed applicandole. Il mondo ebraico riformato mantiene vivi questi principi, li insegna ai propri figli e così facendo rende attuale l'antico messaggio, l'antica Legge dei propri Padri.
    C'è solo un paese al mondo ove i movimenti ebraici moderni non godono cittadinanza. E' il nostro, l'Italia, ove le Comunità sono (teoricamente) solo ortodosse. Ma quante persone, quante famiglie, tra di noi, sono quelle che uniformano la loro vita ai precetti seguiti nei tempi andati e che dovrebbero essere il fondamento della vita dei veri ortodossi? Siamo sinceri con noi stessi! Forse se ne salverebbe un mero 10%. (Un parametro forse potrebbe essere di facile accertamento: il rapporto fra i frequentatori del Beth Akeneset lo Shabbat (non diciamo i giorni feriali per non essere subito classificati tra i cattivi") e quelli di Yom Kippur. (Probabilmente il pre-detto 10% sarebbe ancora molto ottimistico!)
    Ed allora che ne dovemmo dedurre che il 90 % e più non sono ortodossi (e questo potrebbe anche avvicinarsi alla realtà), e che pertanto essi dovrebbero essere cancellati da queste autodefinite ortodosse Comunità? Nossignori!
    Le Comunità sono "Ebraiche". Tout court: e quindi di tutti gli Ebrei che risiedono in una data circoscrizione. E quindi devono essere gli Ebrei, tutti gli Ebrei (e non solo gli Ebrei Ortodossi) a definire le regole di convivenza all'interno della Comunità.
    C'è una norma, in particolare, imposta dalla minoranza ortodossa, che è assolutamente auto-lesionista per la sopravvivenza delle nostre Comunità. E' quella che non riconosce come ebreo il figlio di solo padre ebreo.
    (Va da se che quando i nostri Maestri chiarirono che il figlio di madre ebrea - senza curarsi chi fosse il padre - è sicuramente ebreo, presero la decisione Giusta. Meno giusta è la successiva interpretazione che non è sufficiente la volontà del solo padre ebreo, per riconoscere l'ebraicità del figlio, come invece era normale nell'antichità, anche ebraica).
    E dal momento che nel mondo aperto in cui viviamo, i giovani si sposano con chi è loro simpatico, e non è detto che la scelta cada su un altro ebreo/a, la Comunità che non riconosce l'ebraicità del figlio di solo padre ebreo, perde non pochi suoi eredi potenziali.
    Ogni ebreo perso oggi è perso per le generazioni future: questi figli e nipoti non potranno essere perciò nè ebrei riformati, nè ortodossi: semplicemente non saranno ebrei. Gli eredi invece di un ebreo riformato d'oggi, se lo vorrà, potrà diventare anche un sapiente ortodosso.
    Mi permettete una domanda impertinente? Per voi, anche questo è "una sconcissima cosa"?
    Grazie per l'attenzione. Chi sa se vorrete pubblicare queste modestissime osservazioni?
    Shalom

(Morasha.it, 8 novembre 2007)





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