Inizio ยป
<- precedente        seguente ->


Notizie su Israele 428 - 16 giugno 2008

1. Una continua belligeranza contro Israele
2. Un paese verde
3. Una palma dei tempi di Erode
4. La storia degli ebrei di San Nicandro Garganico
5. Il gergo degli antenati
6. Un esempio di accoglienza
7. Isaac Newton come studioso di profezie bibliche
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Salmo 47:6-9. «Cantate a Dio, cantate; cantate al nostro re, cantate! Poiché Dio è re di tutta la terra; cantategli un inno solenne. Dio regna sui popoli; Dio siede sul suo trono santo. I capi dei popoli si riuniscono insieme al popolo del Dio d'Abraamo; perché a Dio appartengono i potenti della terra; egli è l'Altissimo.»
1. UNA CONTINUA, SANGUINOSA BELLIGERANZA CONTRO ISRAELE




Hamas - Le rovine di Gaza in un anno di dittatura terroristica
 
di Giulio Meotti

ROMA, 16 giugno - Hamas ha appena rivendicato la responsabilità per l'attentato suicida compiuto in un night club di Rishon LeZion nel 2002, in cui morirono 15 israeliani e decine furono i feriti. Hamas ha spiegato che aveva tardato sei anni ad assumersene la responsabilità per "ragioni di sicurezza". L'organizzazione ha anche rivendicato una lista di altri attentati: quello avvenuto su un autobus in Allenby Street a Tel Aviv nel settembre 2002, in cui persero la vita cinque persone e quelli falliti sulla ferrovia a Lod e contro un camion nel Pi-Gliloth Petrolium Terminal. Hamas ha anche annunciato di essere stata responsabile di attacchi a fuoco nella zona degli insediamenti di Beit Hagai e Gush Etzion. La rivendicazione giunge a un anno esatto da quando l'organizzazione ha assunto il controllo sulla striscia di Gaza ricorrendo alla forza e ai kalashnikov. Nei fatti, Hamas si è insediata a Gaza e ne ha assunto la sovranità come un governo legittimo. L'anarchia dei primi mesi è scomparsa come se non ci fosse mai stata. Oggi gli abitanti non osano più nemmeno sparare raffiche in aria durante i matrimoni, come era loro consuetudine.
    "Gaza sta diventando un simbolo" scrive il celebre columnist Amnon Rubinstein sul Jerusalem Post. "Tale è la politica di Hamas: non solo un'infinita e sanguinosa belligeranza contro l'entità sionista, ma anche la disponibilità a perdere persino il controllo su Gaza nel corso di questa guerra. Il che significa la disponibilità a sacrificare non solo la vita di singole persone – uomini, donne, bambini – ma anche quello stesso regime da loro instaurato poco meno di un anno fa con un golpe violento. In altre parole, un suicidio politico in senso lato: shahid (martire) non è solo il singolo individuo, ma il regime stesso. Dal momento in cui viene glorificato il suicidio individuale, dal momento in cui la morte in battaglia viene descritta come la chiave per un felice aldilà, dal momento in cui la guerra stessa viene santificata (jihad), perché questi concetti non dovrebbero estendersi dall'individuo alla collettività? Al regime stesso? Il suicidio diventa la via per la salvezza sia individuale che nazionale". Il giornalista e intellettuale palestinese Ahmad Abu Matar, che risiede in Norvegia, accusa Hamas di far circolare voci sulla nascita del Mahdi. Matar fa riferimento all'intervista al leader religioso musulmano di Gaza, Issa Badwan, alla tv di Hamas, dove si annuncia al popolo palestinese e a tutto il mondo arabo e musulmano, che il Mahdi islamico, il Messia, era nato a Gaza nel 2004 e che nel prossimo futuro la nazione araba avrebbe conosciuto grandi vittorie.
    Per sottolineare la sua critica, Abu Matar cita il liberale iracheno Abdul Khaliq Hussein che ha detto: "Per quanto tempo ancora... le masse continueranno a essere vittime dei chierici... e dei leader politici islamici?". "Hamas ha assunto il pieno controllo di università, uffici commerciali, mass-media, istituzioni pubbliche e sull'insieme della popolazione" racconta il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth. Hamas ha imposto la propria egemonia grazie a un governo dittatoriale che non permette alcuna possibilità di rivolta e nemmeno di protesta. "Di fatto, non esiste alcuna opposizione". La striscia di Gaza oggi è una realtà che rasenta l'assurdo: su un milione e 300 mila abitanti, il 70 per cento dipende da sussidi assistenziali elargiti da vari enti di aiuti; circa il 60 per cento si arrangia con meno di 2 dollari al giorno e vive sotto la linea di povertà. Non esiste una vera rete di acqua potabile e il sistema fognario è al collasso. Metà della popolazione è sotto i 18 anni e non vede un futuro. Dunque non sorprende che nei recenti sondaggi il 70 per cento degli abitanti dica che preferirebbe vivere in qualunque altro posto al mondo fuorché a Gaza. Israele fa arrivare aiuti umanitari, e le merci che non arrivano attraverso i valichi di Karni e di Sufa (peraltro costantemente bersagliati da terroristi controllati da Hamas) vengono contrabbandate nella striscia di Gaza attraverso i tunnel sotto Rafah che la collegano al Sinai egiziano.
    I paesi europei pagano il carburante necessario per far funzionare le centrali elettriche e il governo di Hamas addebita agli abitanti i costi della traballante fornitura elettrica. I profughi (e i loro discendenti) ricevono assistenza dalle Nazioni Unite, mentre il governo di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e Salam Fayyad finanza l'assistenza sanitaria e il sistema scolastico. Fayyad è anche quello che paga la bolletta della compagnia israeliana Dor Energy per il carburante, e che continua a pagare gli stipendi mensili dei 78 mila abitanti di Gaza che erano impiegati nelle istituzioni dell'Autorità palestinese anche se, allo stato attuale, risultano senza occupazione. L'Iran copre tutte le spese del governo Hamas, comprese le spese militari. Donazioni provenienti dai paesi del Golfo vengono usate da Hamas a scopi assistenziali, e coloro che non ricevono aiuti dall'Onu ricevono tessere alimentari da altre organizzazioni internazionali. Tuttavia, sebbene gli abitanti della striscia di Gaza siano ridotti a vivere di elemosina, Hamas si occupa della sola cosa che veramente le interessa: la corsa al riarmo, con la creazione di un regolare apparato militare che comprende divisioni, compagnie e corpi professionali specializzati. Oggi l'esercito di Hamas conta già circa 16 mila combattenti ed è strutturato sul modello di Hezbollah. Molti di questi combattenti escono attraverso i tunnel di Rafah e vanno a ricevere addestramento militare in Iran e in Siria.
    Nel momento in cui celebra il suo primo anniversario, ecco dunque come si presenta l'"Hamastan" palestinese: "Un piccolo stato terrorista, violento e dittatoriale, che dipende totalmente dall'assistenza altrui". Nel frattempo le famiglie di circa 450 palestinesi uccisi negli scontri fra Fatah e Hamas hanno chiesto sabato ad Abu Mazen di adoperarsi per portare alla sbarra le milizie "assassine" di Hamas per le "atrocità" commesse. Dicono che alcune delle vittime, specialmente quelle appartenenti alle forze di sicurezza controllate da Fatah, vennero uccise a sangue freddo dopo essere state catturate da Hamas. "Gaza è un ostacolo alla creazione di uno stato palestinese" aveva detto il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni, nel suo discorso davanti al forum su Democrazia, sviluppo e libero scambio, tenutosi in Qatar. "Dobbiamo abbandonare la nozione antiquata secondo cui il conflitto israelo-palestinese sarebbe la radice dell'estremismo. Dobbiamo capire che la nostra capacità di risolvere il conflitto dipende dalla capacità degli estremisti di impedircelo".
    Secondo il Wall Street Journal deve essere chiaro che Hamas segue le regole del jihad, non della politica: rifiuta l'esistenza di Israele per ragioni religiose, non nazionaliste, e agisce di conseguenza in frontale contrasto con un Abu Mazen che invece rappresenta un puro nazionalismo arabo. Nel 1936-1939 la stessa dinamica portò il Gran Muftì, predecessore di Hamas (che intitola le proprie brigate al suo leader militare, Ezzedin al Qassam), a scatenare una guerra civile (e contro i sionisti) che costò seimila morti ai palestinesi, di cui ben 4.500 uccisi proprio da mano palestinese. Il suo antagonista era Raguib Nashashibi, ucciso nel 1941 a Bagdad; la stessa fine toccò al re Abdullah di Giordania eliminato nel 1951 a Gerusalemme sempre su ordine del Gran Muftì. Nella scelta di allora di dedicarsi al jihad affondano le radici del disastro del mondo arabo. Dalla scelta di Hamas di dedicarsi al martirio di stato deriva l'agonia odierna del popolo palestinese. E derivano pure le rovine di Gaza.
    
 (Il Velino, 16 giugno 2008)





2. UN PAESE VERDE




Israele, il deserto fiorito

di Stefano Magni

Lo Stato ebraico appare come un grande cuneo verde conficcato in un'immensa distesa color sabbia. L'auspicio del primo premier israeliano Ben Gurion ("Faremo fiorire il deserto") non era pura retorica: il deserto è realmente fiorito e ora la sfida si ripete con la colonizzazione e lo sfruttamento agricolo del Negev. Israele è prima nei sistemi di irrigazione "goccia a goccia", che permettono un utilizzo più intensivo dell'acqua
Fiori nel deserto del Negev

risparmiandone la quantità. La nuova frontiera del verde, comunque, è la tutela dell'ambiente. E di questo gli israeliani si stanno occupando attivamente, con lo stesso zelo con cui sinora si sono lanciati nello sviluppo agricolo. Il verde israeliano è la dimostrazione che l'opera costruttiva dell'uomo che modifica l'ambiente e la preservazione della natura non sono affatto in conflitto tra loro. Gli alberi hanno un'importanza speciale in questo Paese. Al museo della Shoah, lo "Yad Vashem" di Gerusalemme, gli alberi sono piantati per ricordare i Giusti di Israele, gli uomini e le donne che contribuirono a salvare gli ebrei da morte sicura durante lo sterminio della Seconda Guerra Mondiale. Un albero viene tradizionalmente piantato in memoria di un defunto. Interi boschi sono nati in onore dei caduti, come quello di Tel Hai, piantato nel 1920 per ricordare l'omonima battaglia, uno dei primissimi scontri tra ebrei e arabi. Ma anche al di là del valore simbolico e tradizionale, ovunque in Israele gli alberi si moltiplicano. Sembra strano passare in mezzo a grandi boschi nel percorso che va da Tel Aviv a Gerusalemme, in pieno Medio Oriente, una zona del mondo che di solito ci si immagina come un deserto. Nessuno di questi boschi è naturale, preesistente all'arrivo dei primi pionieri ebrei nell'ultimo ventennio del XIX Secolo.
    I boschi più "antichi" hanno un secolo di vita: sono un vanto del Paese e portano i nomi di chi li ha piantati e aiutati a crescere, decennio dopo decennio. In molti casi è una storia di tentativi, errori e correzioni, come quelli commessi per la creazione dal nulla della foresta di Herzl, voluta dal padre del sionismo nel 1909. Inizialmente si pensava a un bosco di ulivi, ma quegli alberi non potevano crescere nel suolo di Hulda, acquistato quattro anni prima da proprietari arabi e già inadatto alla coltivazione. Gli ulivi morirono in massa e ora ne sono rimasti pochi. In compenso, dal 1912, tutto attorno è stata piantata una grande pineta, molto più adatta a quel clima. E' così ovunque, per tutti i tipi di ambiente: nelle zone più torride (come la depressione del Mar Morto) si trovano distese di palmeti, ben curati e delimitati, per la raccolta dei datteri; sulle rocce vulcaniche delle alture del Golan sorgono boschi di pini e querce e sembra di essere in Svizzera; nel deserto vicino al parco archeologico di Beit She'an si trovano oasi paradisiache, dove ci si può sdraiare all'ombra degli eucalipti, con i koala tra i rami... Koala?
    Sì, perché il kibbutz di Nir David ha deciso di importare dall'Australia anche animali esotici, tra cui koala e canguri, che ora vivono felici in mezzo a un ambiente molto simile a quello in cui sono nati e cresciuti i loro avi australiani. Non sono le uniche razze protette: il piccolo Paese è costellato da parchi naturali, ben custoditi da guardie forestali, dove si trovano lepri, daini, e "topi delle rocce" all'apparenza marmotte, ma lontani parenti degli elefanti. Si può trovare anche qualche tigre. Che effettivamente crea qualche problema agli altri animali. L'acqua è la principale benedizione per chi arriva disidratato dal deserto. E nella "Terra Promessa" la custodia e il risparmio delle acque è di primaria importanza, sin dai piccoli particolari. Dall'acqua salatissima del Mar Morto si ricavano i preziosi sali, trattati dai kibbutz locali e venduti in tutto il mondo. E proprio nella regione del Mar Morto, si sta progettando un canale lungo 180 km per unire le sue acque al Mar Rosso, in cooperazione con la vicina Giordania (uno dei pochi Paesi arabi con cui Israele ha regolari rapporti diplomatici) in modo da impedirne il prosciugamento, altrimenti inevitabile nel lungo periodo. Gli ecologisti israeliani non sono del tutto d'accordo su questo progetto faraonico, perché ritengono che possa danneggiare l'ecosistema della zona. Ma chi può resistere alla tentazione di ricoprire di verde un'area ancora desertica? E salvare uno degli specchi d'acqua più famosi del mondo?
    Per scaldare l'acqua per uso domestico non si usa il gas, ma l'energia del sole. Non c'è una sola casa in Israele che non abbia la sua cisterna sul tetto e il suo pannello solare. E' una caratteristica del paesaggio urbano locale: cilindri bianchi che spuntano su tutti i tetti, senza alcuna eccezione, molto più numerosi delle antenne e delle paraboliche. In molti casi l'acqua viene scaldata direttamente dal sole, senza ricorrere a impianti fotovoltaici: basta una cisterna nera esposta al potente calore di un clima desertico per avere la possibilità di farsi un bagno o una doccia calda. Questo aspetto introduce anche a un altro dei punti cari agli ambientalisti: l'energia pulita. Oltre ai pannelli fotovoltaici, iniziano ad essere diffuse, da quindici anni a questa parte, anche numerose aree di sfruttamento del vento.
    Sulle alture del Golan, per esempio, si nota una lunga schiera di pale eoliche, già funzionanti da un decennio. Anche in quel caso gli ecologisti locali hanno protestato, perché i grandi e moderni mulini hanno rovinato parte del paesaggio montano. Ma permettono, per lo meno, un piccolo risparmio sull'uso delle centrali a carbone e a petrolio, che sono tuttora la principale forma di produzione elettrica. Negli ultimi anni si sta cercando di rimediare anche a quel problema. Ad Ashkelon, nel Sud del Paese, è entrata in funzione una prima turbina a gas, molto più ecologica. Per i prossimi anni, il Governo ha avviato un programma di conversione massiccia delle centrali dal carbone e dal petrolio al gas, in modo da obbedire maggiormente a criteri di riduzione delle emissioni. Paradossalmente, il popolo che ha ideato la bomba atomica e che probabilmente possiede più di un centinaio di testate nucleari (mai dichiarate) non ha potuto sinora dotarsi di una centrale termonucleare per usi civili. Fino agli ultimi anni, infatti l'ambiente politico e diplomatico ostile che circonda Israele, lo ha impedito. Ora le cose stanno cambiando anche su questo fronte. Se Paesi come l'Egitto e l'Arabia Saudita si stanno impegnando in programmi civili e l'Iran rivendica il "diritto alla tecnologia nucleare", non si capisce perché proprio Israele non possa sfruttare la forza dell'atomo per permettere ai suoi abitanti di scaldarsi e avere luce.

(L'Opinione.it, 9 giugno 2008)





3. UNA PALMA DEI TEMPI DI ERODE




La pianta è nata da un seme di oltre duemila anni fa ritrovato in un sito archeologico.
Lo conferma uno studio israeliano, pubblicato su Science 


Si chiama Matusalemme. Non perché sia vecchia, ma perché detiene il primato della pianta nata dal seme più antico finora ritrovato.
La capacità dei semi di restare vitali anche a distanza di periodi molto lunghi era stata già provata grazie alla germinazione di un seme di loto di 1.300 anni fa. Ora è stata confermata dalla pianta di palma giudea (Phoenix dactylifera l.), conosciuta anche come "Albero della vita", nata da un seme che la datazione al radiocarbonio fa risalire a ben 2.000 anni fa (con uno scarto di 50 anni in più o in meno).
I semi della pianta sono stati recuperati dagli studiosi negli anni Sessanta dal sito archeologico di Masada, nei pressi del Mar Morto (Israele), in quella che era la sede del Palazzo del Re Erode. Di tre semi piantati, uno ha germogliato dando vita, dopo otto settimane, a una giovane palma del tutto simile alle specie attuali eccetto che per delle macchie bianche presenti sulle prime foglie, probabilmente causate della carenza di clorofilla nelle prime fasi dello sviluppo.
Secondo i ricercatori, coordinati da Sarah Sallon dell'Hadassah medical Organization (Gerusalemme), il microclima secco del sito di Masada, caratterizzato da alte temperature e scarse precipitazioni, ha contribuito a mantenere il seme vitale.
Anche se i dati dell'analisi genetica di una singola specie possono fornire informazioni solo parziali, la nascita di Matusalemme e i futuri studi su questa pianta potranno essere utili per ricavare informazioni sulle antiche popolazioni agricole della regione, celebre in passato proprio per la coltivazione intensiva e la presenza di foreste di palme, addomesticate oltre cinquemila anni fa. (e.r.)

(Galileo, 13 giugno 2008)





4. LA STORIA DEGLI EBREI DI SAN NICANDRO GARGANICO




La tribù perduta degli ebrei pugliesi

di Francesca Paci

Prima di emigrare in Israele, i bambini della mia strada mi tiravano sassi e mi chiamavano "sabatista" perché facevo festa il sabato anziché la domenica» racconta Ester Tritto in puro dialetto pugliese mostrando l'album di foto in bianco e nero nel salone del suo appartamento a Biriya, una decina di chilometri da Tzfat, la celebre città dei cabalisti nel nord della Galilea. Centrini all'uncinetto sui braccioli delle poltrone, un telo di plastica trasparente a proteggere il tavolo laccato, alle pareti il calendario del Parco Nazionale del Gargano e la bandiera con stella di Davide. Era il 1943, Ester aveva nove anni e frequentava la terza elementare, l'ultimo anno di studi prima di essere cacciata dalla scuola «fascistissima» di San Nicandro Garganico perché rifiutava di segnarsi con la croce. La madre, un tempo fervente cattolica, si era convertita all'ebraismo prima della sua nascita, seguendo l'insegnamento del compaesano Donato Manduzio, e le aveva dato due nomi, Incoronata Box davanti all'impiegato dell'anagrafe e Ester davanti a Dio. Sessantacinque anni dopo Ester scherza sui gusti «immutabili» del marito Eliezer Tritto, tira fuori dal forno una teglia di pizza «sannicandrese» doc e ricorda l'esodo degli ebrei di Puglia, «la più piccola delle tribù perdute d'Israele», un viaggio mistico ricostruito nel 1995 in un saggio di Elena Cassin pubblicato da Corbaccio.
    Quella dei coniugi Tritto è la storia di venti famiglie illuminate dall'Antico Testamento negli anni Trenta, mentre l'Italia si prepara all'avvento del fascismo e lo Stato d'Israele è poco più d'un vago sogno sionista. Braccianti, artigiani, calzolai, gente semplice, cresciuta nel Mezzogiorno d'inizio secolo tra santini della Madonna anneriti dalle candele e credenze contadine, che un bel giorno s'appassiona alle parole del «profeta» Manduzio e s'incammina sulla via dell'ebraismo fino all'alya, il ritorno alla Terra Promessa.
    «All'inizio la sinagoga di Roma non ci voleva» ricorda Ester. Il popolo eletto non fa proselitismo, il processo di conversione è lungo, accurato, controverso, come dimostra la polemica odierna sui nuovi ebrei della diaspora che i rabbini ortodossi di Gerusalemme rifiutano di riconoscere. Gli anni sono quelli delle leggi razziali, tempi bui per

indossare la kippa. Manduzio e i suoi non si arrendono: «Non mangiavamo maiale, facevamo festa il sabato. Mio padre, come molti uomini del paese, non era contento. Da principio alle riunioni di Manduzio c'erano tutti, poi man mano che venivano fuori i divieti, padri e mariti si allontanavano, certe volte picchiavano le mogli perché non volevano cucinare le salsicce o il coniglio». La scure dell'esclusione si abbatte sugli studenti come Ester ma, per quanto «bizzarri», gli ebrei sannicandresi fanno parte della comunità , sono compaesani: quando arrivano i tedeschi gli ufficiali del podestà non li denunciano.
    Saranno gli Alleati a emancipare la tribù pugliese, rimasta nel frattempo orfana del capostipite, morto all'indomani della Liberazione: «Con l'ottava armata britannica c'erano molti ebrei, ci riconobbero». Allora, solo allora, 4 agosto 1946, la comunità capitolina accoglie i neofiti con il rito della circoncisione. A ottobre viene inaugurata la sinagoga di San Nicandro. Due anni dopo i sionisti del Gargano s'imbarcano alla volta di Haifa.
    «Io ed Elizier ci sposammo prima di partire» continua Ester. Alle sue spalle una gigantografia della giovane coppia nel campo di smistamento di Ashkelon. Nel kibbutz Alma, una ventina di chilometri da Zfat e quindici dal confine libanese, gli anziani li ricordano, «gli italiani». Zion, un ebreo di origine tunisina con la barba bianca, siede nella veranda e annuisce: «Erano venti famiglie, ci conoscevamo eccome, sono sefarditi come noi. Parlavano tanto, cucinavano per tutti». Ester ed Elizier lo fanno ancora. A Tzfat hanno aperto un chiosco di falafel che è ormai il tempio delle polpette di ceci, il cibo nazionale per gli israeliani ma anche per i palestinesi. Vendere la pizza «sannicandrese»? Troppo complicato. E poi, tranne Elizier, chi conosce più il sapore del passato? Di certo non i 5 figli con i 19 nipoti e i 16 pronipoti che vivono sparsi tra Tel Aviv, Ashdod, Akko, come i Bonfitto, dei Santamaria, gli eredi della «più piccola tribù perduta d'Israele», figli di un Dio minore ancora, in fondo, alla ricerca dell'identità mitica che riscatti la conversione.

(La Stampa, 10 giugno 2008)





5. IL GERGO DEGLI ANTENATI




Così parlava lo zio Oreste

Inedito. Il vocabolario portatile di Primo Levi, lo yiddish-piemontese del suo "vecio parlar".

di Alberto Cavaglion

Primo Levi e Armand Lunel. Siamo nel 1975. Due scrittori s'interrogano sul gergo dei loro antenati senza sapere di avere in comune gli antenati di cui parlano. In Argon, racconto di apertura del Sistema periodico, Primo Levi trae spunto dai cognomi-toponimi dei suoi avi provenzali-piemontesizzati: Montmélian-Momigliano, Foix-Foa e altri. Levi ci offre un saggio delle sue doti di linguista e fa rivivere una lingua morta. Negli stessi giorni Armand Lunel pubblica a Parigi, per Albin Michel, Juifs du Languedoc, de la Provence et des Étas français du Pape: un saggio dove in chiave autobiografica si esamina il gergo di antenati divenuti francesi senza «sprovenzalizzarsi». I due libri escono a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, ma i due autori non si conoscono ancora.
    Armand Lunel (1892-1977) era ed è uno scrittore francese in Italia poco conosciuto. Il romanzo Nicolo-Peccavi ou l'affaire Dreyfus à Carpentras (Gallimard), con cui vince il Prix Renaudot nel 1926, non è tradotto. Saggista, autore di libretti d'opera per Darius Milhaud (altro cognome-toponimo provenzale piemontesizzato in Migliau), negli ultimi anni della vita ha operato per la salvaguardia del «judéo-comtadin», vantandosi di essere l'ultimo ebreo francese capace di parlare una specie di yiddish minore, diffuso nelle terre avignonesi, in particolar modo nel Contado Venassino (Comtat Venaissin).
    Nello studiare quello che è forse il racconto più bello di Levi (Notizie su Argon, Instarlibri, 2006) avevo ipotizzato, senza prove alla mano, che fra le due opere vi fosse un nesso. Grazie a David Jessula, genero di Lunel, cui va la mia riconoscenza, ora è possibile chiarire i termini della questione.
    E' Lunel a farsi avanti, il 7 novembre 1975, dopo aver letto in Argon le righe dedicate alle metamorfosi piemontesi della sua famiglia: «Il nome della cittadina di Lunel, presso le Bocche del Rodano, fra Montpellier e Nîmes, è stato tradotto nell'ebraico Jaréakh (= luna), e di qui è derivato il cognome ebreo-piemontese Jarach». La lettera dà l'avvio a una intensa corrispondenza ora conservata presso la Biblioteca Méjanes (Aix-en-Provence). Si può immaginare la gioia di Levi, quando scoprì nell'opera di questo suo alter ego la stessa ironia, lo stesso amore per i giochi linguistici (dabra davar), per i soprannomi (Abranet è il cugino provenzale di Barbabramín, criticato in Argon per i suoi focosi amori ancillari), per le ingiurie bonarie (mamzèr).
    Trovato un interlocutore così affettuoso e competente, nel marzo dell'anno successivo, Levi si fa coraggio e spedisce a Lunel quattro pagine dattilografate, che qui riproduciamo. Di Argon, il lettore troverà i fondali, i costumi di scena, gli attrezzi di lavoro, qui decontestualizzati, ridotti ad asciutto lemmario. Un dizionario portatile di quello che Zanzotto chiama il vecio parlar: una lingua rustica, «lunare» e perciò sacra (v. alla voce Lassòn acòdesh).


In massima parte questi termini mi sono stati forniti da mio zio Oreste Colombo, di Venasca, morto verso il 1950, e dalla Sig.ra Nilda Jachia ved. Segre di Torino morta poco dopo.
Primo Levi

Aissà: la Madonna (lett. "la donna").
Bachié, bahié: piangere. C'è nel Kaddish. "Naina 'l ben c'à bahìa". Attraverso il romanesco ha dato "baccagliare", in origine "lamentarsi".
Beemà: bestia, belva; usato nel senso di "persona malvagia"; scherzosamente anche di bambini.
Berachà (anche Abrachà): benedizione. "N'abrachà a côi gôjim c'a l'an fait ij lòsi".
Berìt: la circoncisione: per estensione il membro virile: "N'afé dèl B."
Catàn: piccolo. "B. catàn".
Cavòd: lett. "gloria". "Feje 'n po''d c.", per "festeggiare qc."
Davàr: lett. "cosa, parola", ma usato nel senso di "niente". "Dabra d."; una minestra "c'a sa 'd d. shebañolàm". Ebr. "Ein D."
Dabré: parlare.
Ebreô frust: nel senso di "trasandato". Lett. "usato", "logoro".
Ganàu: ladro, mercante esoso. "Ganavié", rubare.
Ghéser: il povero. Anche " 'n por Satàn".
Ghevìr, ghivìr: lett. "il ricco", "il principe"; usato per "il mezzadro", "il contadino".
Galàch: il prete. "Gran G." o "G. gadòl": il Papa.
Khachàm: sapiente. Anche: il Rabbino.
Khaburié: mangiare. "Bôna neuit, e halômiite che 'l Satan a t'khaburia".
Khalòm: sogno. Bahalòm: "in sogno", cioè per nulla affatto. Anche: "Bahalòm balaila", lett. "in un sogno di notte".
Khaiàt: sarto. Femm.: khaiatèssa".
Khamòr: asino, ignorante. Femm.: "Khamortà".
Khanèc: la strozza. Khanichésse: impiccarsi. "C'at resta ant 'l khanèc". Anche "veleno": "Kh. ti sia". Khaltrum, khantrum: bigotteria (ma principalmente cristiana); "un dèl Kh.", un bigotto. L'ebreo bigotto è detto "bôn Judì", femm. "bôna Judìssà". Non dall'ebraico: in giudeo-mantovano esiste "khalto", che vale appunto "cristiano bigotto".
Kharisé, kharisié: ridere.
Khasìr: maiale. Femm. "khasirtà"; "khasirud" vale "porcheria".
Khassìd: uomo pio. Femm. "Khassidà".
Khavertà: serva. "Khavertùd", "servitorame".
Khavrudià: comunella, cerchia.
Khamisôsa: nel senso di "miscuglio". Propriam. è l'assortimento di frutta che si dona ai bambini al Capodanno degli alberi (15 di Shevàt) proviene appunto da "quindici", Khamissà 'assar, attraverso la pronuncia Yiddish.
Khamissidò: schiaffo; lett. "il suo quinto" (le 5 dita?).
Khen: garbo, grazia.
Lassòn acòdesh: l'ebraico (Lett. "lingua santa"): ma usato anche per designare il presente gergo. "Lasônié" vale "parlare".
Maftech: chiave. prop. Maftéach.
Mañòd: danaro. "Saròd e senssa m.", di zitella senza dote.
Makhané: gozzo.
Makhazòr: tesoro (propriam. "libro di preghiere").
Mamzér, femm. Mamzertà: malvagio, furbo (propr. bastardo).
Menôkhà: gioia; anche "festa famigliare" o "tranquillità".
Med: morto. "Medà meshunà": morte improvvisa, accidente. "'Na m.m. faita a paraqua".
Morenô: il rabbino (propr. "nostro maestro": barba M.).
Môñed: festa.
Môssau: cesso (lett. "sedile").
Nassir: ricco. "Massòd ñassiròd", le azzime dolci.
Nazazèl: il diavolo
Niròn: ricco.
Narmôniòd: castagne.
Nashamòd: le ossa (specie di tacchino): "'A scaôda fiña i N." Anche "avanzi".
Nilüf: svenimento, schifo ("A fa fiña ñilüf").
Navòn: peccato, specialm. nel senso di "occasione perduta".
Nàin: malocchio (lett. "occhio"). "Che béla masnà, senssa ñ."
Pàkhad: paura; anche: "pakhadina".
Pedaìd: uomo tardo, lumacone.
Pegherà: morte; pegarié: morire, crepare. "J'eu viagià côn 'na pegartà, viturin fermé".
Rech-Rukhòt-Rekhol-Rùach: vento, odore ecc.; "a tira 'n gran ruach e a fa sefokh".
Saròd: è propriam. il plur. di Tzarà, sventura. Un oggetto o persona di scarso valore. Anche Sarôdìn.
Savàr: collo. A rôta 'd s.
Scòla: la sinagoga. Andé a S.
Sefinà (va 'n s.): va al diavolo.
Sefokh: vomitare, scoppiare. C'è nell'Agadà.
Shamdé, shamdesse: battezzare, battezzarsi. (lett. "cancellare, distruggere").
Sicòr: ubriaco. S. mars; 'nsicôriesse côme 'n ôrs.
Sôkhié: dormire. S. 'd la quarta (allude al "4°sonno" del filugello).
Sod: egli, quello. Naina 'l s.
Sôtià: matta. Il masch. Sôté è meno usato.
Sòman: grasso (specie d'oca). "A va tut an s."
Sônà: prostituta.
Sôà: escremento (anche come insulto).
Tafùs: prigione.
Tàkhad: il sedere.
Tônevà: la chiesa. "Andé 'n t.".
Pôñèl, pôñaltà: contadino, villano. "'Na stofa c'a fa p.", vistosa.
Khalaviòd: i seni.
Besim: testicoli.
Lakhtì: fuggire: "lakhtìs pèr sôta" (=fuggi per vie traverse). Anche riporre, nascondere". "Lakhtìs 'l maftèch", nascondi la chiave.

(La Stampa, 12 giugno 2008)





6. UN ESEMPIO DI ACCOGLIENZA




Araba musulmana diventa membro di un kibbutz

di Graziella Moschella   

Un'araba israeliana di religione musulmana, Amal Carmiyeh, è divenuta nei giorni scorsi membro a pieno titolo, assieme ai due figli, di un kibbutz, quello di Nir Eliahu, vicino a Kfar Saba. Carmiyeh, originaria di Kalansuwa , aveva già mandato i suoi due due figli a Nir Eliahu, quando erano piccoli. Successivamente, è stata assunta come infermiera e poi, diversi anni fa, ha iniziato a vivere nel kibbutz (forma associativa volontaria di lavoratori dello stato di Israele basata su regole rigidamente egualitaristiche e sul concetto di proprietà comune. Risale all'inizio del XX secolo, ed è stato uno degli elementi fondamentali nello sviluppo di Israele, sia per la forte carica ideologica socialista, sia per il fattore innovativo che portava in un'area in cui l'agricoltura era a puri livelli di sussistenza).
    Carmiyeh e i suoi figli sono stati accettati come membri effettivi già da cinque famiglie. "Il che significa che i kibbutzim hanno una visione liberale della vita, accettando senza remore anche le diversità culturali e religiose", ha riferito Leshem Aviv, portavoce del Movimento Kibbutz. "I membri del Kibbutz hanno rispetto per la scelta di Amal Carmiyeh, e la scelta di accoglierla tra i propri membri, è di certo una scelta legittima. Anche se questo non va interpretato come un atto politico, o l'inizio di una nuova tendenza". "L'ameremo e saremo tutti felici di vivere con lei, ma non diamo altri significati alla questione", ribadisce la responsabile del centro di accoglienza del kibbutz. Amal possiede un'apertura mentale che le permette di acccettare le nostre diversità. Ma credo non vi saranno molti esempi come questo."

(Agenzia Radicale, 12 giugno 2008)





7. ISAAC NEWTON COME STUDIOSO DI PROFEZIE BIBLICHE




Il terzo Tempio nel regno millenario

«Le nazioni conosceranno che io sono il Signore che santifico Israele, quando il mio santuario sarà per sempre in mezzo a loro» (Ez 37:28).

di Gershon Nerel

Una speciale ed originale esposizione è stata organizzata nell'estate del 2007 alla «Biblioteca nazionale ed universitaria ebraica» in collaborazione con il «Centro Einstein» dell'Università ebraica di Gerusalemme. Il tema era: I segreti d'lsaac Newton: i suoi manoscritti che appartengono alla collezione della Biblioteca nazionale. I manoscritti esposti hanno rivelato il grande interesse che aveva il celebre fisico inglese (1642-1727) per le questioni teologiche ed escatologiche. Egli si è interessato in modo intensivo alle profezie dell'Apocalisse. Questo aspetto della sua opera non era stato portato fino ad oggi, tranne che in qualche raro caso, alla conoscenza del pubblico.
    Newton si è interessato al passato ed all'avvenire del Tempio di Gerusalemme. Egli ha così redatto un articolo intitolato: «Una descrizione del Tempio di Salomone» al quale ha accluso le proprie bozze che rappresentano il Tempio ed il cortile, con al centro l'altare degli olocausti. Vi si trova una spiegazione della misura in «cubiti» (in ebraico: ama) utilizzati nella Bibbia per descrivere le dimensioni del Tempio: il «cubito sacro» corrispondeva secondo lui a circa 56 cm. Basandosi su questa unità di misura, egli tentò di rappresentarsi il futuro Tempio di Gerusalemme.
    Secondo il parere dello scienziato inglese, i profeti ebrei hanno profetizzato il ritorno degli Ebrei nel paese dei loro antenati, il ritorno di Gesù sulla terra, la risurrezione dei morti, il giorno del giudizio e l'instaurazione di un regno millenario sotto la sovranità di Gesù e dei suoi santi.
    La sua comprensione del futuro regno millenario di pace si fondava sulle visioni dei profeti Isaia (cap. 2) e Michea (cap. 4) così come sull'Apocalisse (20:6). Questa base biblica ha permesso a Newton di comprendere in modo molto chiaro che la città di Gerusalemme ed il suo Tempio formeranno il centro del regno messianico di pace.
    In merito a questa visione profetica del regno di pace a venire, si nota che Mordechai Ardon - artista ebreo contemporaneo - ha rappresentato su una grande vetrata multicolore le spade trasformate in vomeri di aratri e le lance trasformate in falci. Questa magnifica opera d'arte si trova alla Biblioteca nazionale ebraica a Gerusalemme, nello stesso edificio dove è stata organizzata l'esposizione consacrata a Newton. In un catalogo che l'Università ebraica ha pubblicato in occasione di questa esposizione (sotto la direzione dei professori Yemima Ben Menahem, Mordechai Feingold e Stephen Snobelen), leggiamo nella pagina 55 la seguente annotazione: «Newton era convinto che l'adorazione ed i riti ebraici - in particolare il servizio nel Tempio - costituiscano una chiave di interpretazione per comprendere i libri di Daniele e dell'Apocalisse. Ai suoi occhi, il Tempio ebraico ed il suo rituale formano il contesto che permette di comprendere le visioni dell'Apocalisse. Dal suo punto di vista, è necessario che l'interprete della Bibbia si familiarizzi con l'architettura e la disposizione del Tempio così come la sua organizzazione». I manoscritti di Newton rivelano così che egli attendeva la costruzione concreta del terzo Tempio - con i sacrifici, le cerimonie, compresi anche tutti i dettagli come la decorazione delle lampade.
    Lo studio degli ultimi tempi ha costituito una grande sfida per Newton. Tuttavia, gli mancava una chiave di interpretazione importante per comprendere gli sviluppi annunciati dai profeti. La chiave che gli mancava era il ritorno effettivo d'Israele nel paese della promessa. La restaurazione dello Stato d'Israele, che ha avuto luogo nel secolo scorso, ci permette di avere ora una migliore comprensione degli avvenimenti escatologici futuri. Gerusalemme è ormai la capitale riunificata dello Stato ebraico: si tratta qui di una realtà storica. Israele non ha ancora tuttavia la totale sovranità sul monte del Tempio - dove si trovano ancora due moschee. Ma Dio rimane fedele alla sua Parola. Egli manterrà i suoi piani ed il suo calendario relativi alla costruzione del terzo Tempio sul monte Morià a Gerusalemme. Il profeta Ezechiele ha dedicato a questo nuovo Tempio i capitoli da 40 a 48 del suo libro.
    
(Chiamata di Mezzanotte, anno IV, n.5, 2008)





MUSICA E IMMAGINI




Sigalyot




INDIRIZZI INTERNET




European Jewish Congress

Lo Statuto di Hamas




Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.