1. TESTIMONIANZA DA GAZA
Ancora la guerra civile
Da Gaza, il racconto della tensione che torna a salire tra Hamas e Fatah
La Striscia di Gaza, purtroppo, non finisce mai di stupire. Alcune volte in modo positivo, dando speranza e dimostrando la forza e la volontà di un popolo di uscire dalle disgrazie che gli cadono addosso, altre volte invece in modo del tutto negativo, che non fa che peggiorare la situazione. In questi ultimi mesi, le due fazioni hanno iniziato di nuovo a scontrarsi: ad un anno di distanza, quasi fosse un anniversario, sono ripresi duri scontri tra Hamas e Fatah.
In seguito all'assurdo attentato al caffé El Hilal, frequentato da Hamas, che ha provocato la morte di sei persone tra cui una bambina, sono seguite ritorsioni e violenze nei confronti dei militanti di Fatah, accusati di aver provocato la strage. I cecchini sono tornati a sparare, gruppi di uomini armati hanno fatto irruzione in molti edifici. Molti di loro sono dovuti scappare in Israele, chiedendo "asilo" (ironia della sorte) a chi li tiene ancora sotto dura occupazione. Situazione assurda e paradossale, cosi come è paradossale quello che è accaduto in seguito: dura repressione, arresti di centinaia di persone, botte e chiusura di molti centri e associazioni culturali e sportive, affiliati al Fatah o riconosciute tali. Non che questo non succeda in altri paesi, però qui siamo in un contesto molto particolare, con un' occupazione in atto, dove la popolazione é già messa a dura prova da blocchi e violenze. Chiunque oggi provoca o mette in atto queste modalità, è di fatto in contraddizione con quello che va "predicando", sulla liberta' e la giustizia. Nella Striscia di Gaza quello che viene detto non è seguito dai fatti, e questa arroganza e falsità non fanno altro che rendere ancora più instabile la situazione.
A Gaza sono presenti molti soggetti, che in passato hanno preso parte a momenti di rivolta noti alla Palestina sotto occupazione. Molti di loro sono stati deportati dalle loro città, molti arrestati. Chi è stato deportato a Gaza, sta vivendo una situazione di punizione molto dura, forte separazione, e soprattutto uno sradicamento dalle loro famiglie, dalle loro città, dai propri affetti. Chi a Gaza, chi all'estero, chi in prigione per anni, hanno dovuto ricostruirsi una vita e fare i conti con una realtà per la quale oggi molti di loro si chiedono a che cosa sia servito tutto ciò. Ma ancora il calvario non è finito.
Durante l'esilio di Gaza molti combattenti si sono ritirati a vita privata, in attesa di essere rimpatriati ma dopo la presa del potere di Hamas, la situazione è cambiata. Chi apparteneva all'autorità è stato comunque individuato e gli è stato chiesto di prendere parte alla fazione vincente. Il rifiuto di farlo ha comportato un attrito, e risposte anche punitive, come quella che ha subito Mazen la scorsa settimana.
"Stavo camminando in strada, quando si è fermata una jeep con degli uomini mascherti a bordo. Non mi hanno detto nemmeno una parola: mi hanno caricato a forza e portato in un posto appartato, dove hanno cominciato a picchiarmi con il calcio del fucili e le spranghe di ferro. Mi hanno spezzato le ginocchia e un braccio. Sono andati avanti così per venti minuti circa, tirando sassi come se mi volessero lapidare. Poi mi hanno lasciato sulla strada, dove mi ha raccolto un abitante e trasportato con l'ambulanza in ospedale. Ora sono pieno di chiodi e di ferri, con le ginocchia e le braccia spezzate, la testa rotta. Sono costretto a stare a letto assistito 24 ore su 24. Il motivo di questo pestaggio non può che essere legato al mio rifiuto di far parte di un gruppo. Già nei mesi precedenti avevo ricevuto delle minacce. Molti come me hanno fatto la stessa fine. Anche le nostre famiglie sono preoccupate, e hanno chiesto ad Abu Mazen di fare il massimo degli sforzi per poterci riportare nelle nostre città. Ma anche questo è assurdo, perchè anche Gaza era la nostra Palestina e la gente ci ha sempre dimostrato affetto e amicizia.
Ora siamo sotto il fuoco di due parti: i nostri fratelli e gli occupanti israeliani".
Questo il racconto di Mazen, uno dei ventisei deportati della Chiesa della Natività, da sei anni a Gaza, insieme agli altri combattenti. Osò sfidare l'esercito israeliano, nei giorni dell'invasione del 2002. Una invasione militare, con carri armati, F16 e Apache che bombardavano le città e i campi profughi dei territori palestinesi controllati dall'Autorità Nazionale Palestinese. Tra le città attaccate e occupate c'era anche Betlemme, e in particolare la Chiesa della Natività, dove, durante i combattimenti, molti dei ricercati della resistenza palestinese si rifugiarono.
L'assedio durò quaranta giorni poi, con una decisione congiunta e un compromesso tra le autorità israeliane, palestinesi e la comunità internazionale, si arrivò a un accordo per salvare la vita alle duecento persone rifugiate, mandando in esilio una buona parte di essi: alcuni in Europa, altri nella Striscia di Gaza. Oggi molti di loro si chiedono a cosa sia servito tutto questo, ma soprattutto perchè si sono ritrovati in questa assurda situazione. Ma chi sono i mascherati che ogni giorno si affacciano sulle strade e cercano i soggetti da colpire? Chi gli da questo potere, e soprattutto chi gli da questo ordine cosi assurdo? Gli uomini mascherati che compiono questi atti fino ad ora non sono mai stati identificati e nessuno rivendica niente. Pare essere un nucleo che si occupa di "punire" duramente i militanti Fatah e tutti quelli che si rifiutano di abiurare l'autorità precedente. Non bastava l'occupazione militare, la disputa "immobiliare" sull'appartenenza di questa terra, le violenze e i bombardamenti; il conflitto è arrivato ad assumere aspetti di fanatismo e fondamentalismo religioso e di partito. E cosi, anche questo è diventato adesso motivo di disputa che vede come unico sbocco solo il caos senza fine. Una disputa concentrata solo a non facilitare lo sviluppo, tornando indietro nell'organizzazone e nella vita quotidiana della società. Tutto in nome di Dio.
(peacereporter, 28 agosto 2008)
2. RITORNO ALLE RADICI
Attraverso l'arte cristiana ho riscoperto la mia fede ebraica
di Aharon Appelfeld
Capire l'uomo con gli occhi di un bambino
|
Aharon Appelfeld |
Sono nato in una famiglia ebrea, anche se atea e razionalista. Nella nostra casa non c'era nulla di ebreo perché i miei genitori si consideravano europei e il tedesco fu la mia lingua fino all'età di otto anni. A volte chiedevo «chi è Dio?» e mi rispondevano: «la natura».
Vedendo i miei nonni pregare di sabato però, insistevo nel sapere perché lo facessero e se stessero pregando la natura, ma per i miei genitori era solo una routine, un'abitudine mancante di significato. Il fatto che avessero perso la fede dei propri genitori mi portava una sensazione molto dolorosa. Avevano abbandonato la fede dell'ebraismo ed erano sicuri, certi, di essere europei. Purtroppo gli europei non li accettarono come "europei" e i tedeschi come "tedeschi" e si ritrovarono così sradicati.
Ancora bambino venni diviso da mio padre; mia madre era già stata uccisa e dovetti fuggire ritrovandomi solo e senza alcun tipo di istruzione.
Vivendo nei boschi imparai a mangiare tutto ciò che offriva la natura e un giorno, durante un terribile inverno, venni adottato da un gruppo di criminali ucraini. Un russo o un ucraino decente non avrebbero mai accettato un bambino di dubbia origine, quindi entrai in questa banda: la mia seconda scuola, che mi riservò una lezione molto lunga. Come le altre bande avevano bisogno di cani e di bambini e mi trovai, a volte, a dover fare entrambe le cose. Potevano essere terribili, ma anche delle brave persone e con loro guadagnai gli strumenti che mi permisero di capire gli esseri umani.
Il destino, che mi avrebbe portato verso la scrittura, mi permetteva di vedere il bene, il male, la generosità, l'odio, la brutalità e tutti i sensi dell'essere umano. I bambini, pur senza avere tutta una serie di nozioni, riescono a cogliere il lato arcaico, mitologico della vita, ciò che l'uomo maturo non coglie più. Sono delle creature "religiose".
Non si può essere artisti senza l'ingenuità del bambino, all'arte infatti viene richiesta una profondità mitologica primaria, il resto è accessorio, conseguente. La mia scrittura deriva da ciò che ho visto da bambino e la gran parte dei miei personaggi ha un legame con il divino, anche se talvolta inconsapevole.
Mentre stavo con quei criminali portavo dentro di me un segreto: il fatto che fossi ebreo e circonciso. Se si fosse saputo sarei morto, per questo era un segreto terribile e dolce allo stesso tempo, pensavo: «Che bello, sono ebreo: sono una persona speciale e loro non lo sanno».
Arrivai in seguito in Italia, la mia prima "terra promessa". Mi ritrovai vicino a Napoli con molti altri profughi in un paese pieno di sole, con un bellissimo mare e un popolo meraviglioso. Per questo anche se vi rimasi solo tre mesi, in tutti i miei romanzi è possibile ritrovare un pezzettino d'Italia. Ero solo, assieme a tanti altri bambini profughi e persone senza volto e, ancor più importante, senza una meta e un fine. In questo stato giunsi in Israele.
Riscoprire le radici grazie alla Bibbia
In quegli anni Israele era un paese ideologicamente laico e l'ebraico mi riportò all'essenza dell'essere ebreo e agli obblighi che ne derivano. Era essenziale per me mantenere la fede, continuare a essere vicino ai miei genitori e mantenere un legame stretto con la vita dei miei nonni.
Il popolo ebraico un tempo credeva in Dio e per molte generazioni era stato disposto a morire per la propria fede. Improvvisamente però tutto ciò aveva perso di significato, la fede si era fossilizzata, ma questo sembrava non importare a nessuno, nemmeno all'establishment religioso.
Lavoravo in un kibbutz e incontrai le prime difficoltà con lo studio della lingua ebraica. Ero abituato a lavorare, non a studiare, ciononostante imparai le parole della lingua quotidiana e iniziai a studiare la Bibbia: un libro meraviglioso, con una lingua molto semplice, con pochi aggettivi, che elenca i fatti con un linguaggio apparentemente minimalista, ma che trasmette qualcosa del Divino anche senza parlarne direttamente. Gli "eroi" della Bibbia, diversamente da noi, sono legati alla terra e al cielo nello stesso momento e allo stesso modo! Fu il primo veicolo per un più ampio e vero concetto del mondo e mi diede le parole per diventare ebreo.
Da giovane mi rendevo conto che dovevo dare un significato, un senso alla mia vita, una speranza, perché il pericolo che corre chi ha vissuto l'esperienza dell'Olocausto e ha visto così tanto male è quello di diventare cinici.
La mia esperienza dell'Olocausto non è stata né laica né razionale, ma impossibile da spiegare. Non c'è una risposta razionale all'odio sperimentato nei confronti degli ebrei, è qualcosa di irrazionale. «Chi siamo per essere odiati così?» è la domanda che ancora mi tortura e che non può essere affrontata con gli strumenti della psicologia, della sociologia o della politica.
L'essere ebreo per me rappresenta tuttora un grande mistero. Mi ci vollero molti anni per avvicinarmi, per identificarmi con la sofferenza degli ebrei, con l'apprendimento, con le lezioni degli ebrei. Martin Buber, mio maestro all'università, Gershon Sholem, Hugo Bergmann, erano come me, profughi che provenivano dalle Università europee e che si erano stabiliti in Israele. Buber mi ha regalato le chiavi per capire la Bibbia e il chassidim, Sholem mi ha dato le categorie per capire la cabala e Bergmann mi ha dato quelle del pensiero ebreo moderno.
Ho avuto dei maestri meravigliosi. Non erano delle persone religiose e come me provenivano da famiglie assimilate e da un ambiente pervaso dalla volontà di diventare europei, ma avevano il senso della religiosità ebraica. Anche non essendo religioso praticante in senso ortodosso, mi considero una persona religiosa e ho la percezione netta che la nostra vita non sia priva di un fine: siamo qui, abbiamo uno scopo e dobbiamo fare qualcosa.
L'arte, porta d'ingresso alla religiosità
Ho la sensazione che sia possibile avvicinarsi alla dimensione religiosa attraverso l'arte. Essa, siccome tocca qualcosa di primario è uno dei mezzi, dei veicoli in direzione della religiosità.
Ho percepito il senso religioso ascoltando Johann Sebastian Bach, la sua musica è stata per me la porta di ingresso verso i libri ebraici, il portone per poter poi leggere i testi della mia tradizione. Era come se avessi bisogno di un input sensorio e Bach per me è stato questo.
Penso che le persone che hanno una conoscenza profonda dell'arte o che la creano sono coloro che hanno una qualche forma di apertura, uno spiraglio nei confronti della religiosità, anche se inconsapevole.
Ricordo la grande impressione che mi fecero le due cameriere che erano nella casa dei miei genitori, quando estraevano le loro icone e cadevano ai loro piedi in ginocchio per pregare. Fu forse la prima espressione religiosa concreta che incontrai. Ogni tanto capitava che durante le passeggiate passassimo dalla chiesa, in cui ammiravo questo grande spazio vuoto decorato e in cui trovavo la figura di Gesù, da cui usciva molto sangue e che mi faceva paura. E' un interessante paradosso: sono arrivato alla fede e alla religiosità tramite il cristianesimo.
A un certo punto accadde un miracolo: a vent'anni circa iniziai a scrivere. Questo mi restituì immediatamente i genitori, i nonni, la città in cui ero nato, la casa, le cose meravigliose che accadono tra genitori e figli, il silenzio nella casa dei miei nonni. Non mi sono mai sentito orfano, ho sentito di avere una famiglia e ho ritrovato la fiducia nella vita.
Quando si diventa scrittori bisogna imparare che tutto ciò che si scrive dovrebbe avere l'autenticità del dettaglio del particolare. Aby Warburg, scrittore ebreo e studioso del Rinascimento, era solito dire: «Dio è piantato nei dettagli, nei particolari e non nella generalità, perché tutto non ci è dato di percepirlo».
|
|
L'arte fornisce l'aspetto particolare della vita, i particolari della vita, non le teorie astratte. Lo scrittore ha a che vedere con una persona, con un bambino che ha un nome, che vive in un luogo, il particolare è quindi una necessità per qualsiasi forma d'arte. D'altro canto la buona arte deve avere un'importanza universale: se non è universale, non è arte. La Bibbia è unica in questo senso: è molto dettagliata nel particolare, parla di una tribù particolare con tutte le
cose buone e cattive di quella tribù specifica, ma è universale, è un libro
dedicato all'universale.
Da scrittore faccio finta di essere uno scrittore ebreo che parla dell'ebreo moderno, dei problemi dell'ebreo moderno, ma ho la sensazione di scrivere per tutti.
(Corriere della Sera, 23 agosto 2008)
3. ON LINE I ROTOLI DEL MAR MORTO
TEL AVIV - Ci vorranno ancora alcuni anni ma, a progetto concluso, una banca dati permettera' agli studiosi e al vasto pubblico di tutto il mondo di accedere via internet ai Rotoli del Mar Morto, fotografati ad altissima risoluzione, e alla documentazione relativa.
Lo ha annunciato oggi [27 agosto] a Gerusalemme l' Autorita' per le Antichita' di Israele nel presentare un ambizioso progetto pilota che ha tra i suoi obiettivi anche la conservazione e il monitoraggio delle condizioni dei preziosi rotoli tramite il ricorso a tecniche avanzate, sviluppate da scienziati della Nasa (l'ente spaziale americano).
"I Rotoli - dice Pnina Shor, capo del dipartimento per la cura e la conservazione dei reperti - sono un patrimonio dell'Umanita' e noi pensiamo che sia nostro dovere fare in modo che siano accessibili a tutti".
I Rotoli, che furono scritti alla fine del terzo secolo a.C. e in gran parte tra il primo secolo a.C. e il primo secolo d.C., furono scoperti da un beduino in una grotta del Mar Morto nel 1947. Comprendono il piu' antico testo scritto esistente del Vecchio Testamento (ad eccezione del Libro di Ester), oltre a salmi, inni e testi apocrifi.
I Rotoli, che hanno enorme importanza storica, religiosa e culturale, aiutano a far luce su un periodo di grandi sconvolgimenti nella storia del popolo ebraico alla fine del Secondo Tempio cosi' come sulla storia del primo Cristianesimo.
Si tratta di una vera e propria antica biblioteca che fa da perno tra il Giudaismo e il Cristianesimo. Per 35 anni un gruppo di soli dieci studiosi aveva monopolizzato la pubblicazione dei testi. A parte pochi lunghi Rotoli, tutti gli altri consistono in circa 12 mila frammenti - conservati nel Museo di Israele - che i ricercatori hanno raccolto con certosina pazienza in circa 1200 lastre. Nel 2001 ne e' stata completata la pubblicazione.
A progetto concluso, afferma la signora Shnor, chiunque potra' accedere alla banca dati, vedere i frammenti dei Rotoli a cui e' interessato, la loro trascrizione, traduzione e tutta la relativa documentazione e bibliografia.
Un problema centrale e' la conservazione dei Rotoli che sono estremamente fragili e che avevano cominciato a deteriorarsi, una volta estratti dalla grotta in cui per le particolari condizioni ambientali si erano perfettamente conservati. A questo fine l' Autorita' per le Antichita' aveva creato nel 1991 un laboratorio ad hoc e recentemente, anche con la collaborazione dei ministero per i beni e le attivita' culturali italiano e di esperti di livello internazionale, ha deciso di riconsiderare le tecniche di conservazione adottate dei Rotoli, che sono stati fotografati una sola volta negli anni cinquanta.
Da allora pero' la tecnologia ha fatto grandi passi avanti e il ricorso a imaging a raggi infrarossi ha ora permesso non solo fotografie molto piu' nette ma ha anche messo in luce testi prima illeggibili. Grazie a queste tecniche l' Autorita' ha ora cominciato la digitalizzazione dell' intera raccolta dei testi dei Rotoli.
Il ricorso alla tecnica dell' imaging spettroscopico permettera' di rilevare eventuali alterazioni nei Rotoli e di intervenire in tempo per prevenire danni.
(RaiNews24, 27 agosto 2008)
4. AL JAZEERA INTERVISTA UN ESPERTO ISRAELIANO
"Gerusalemme appartiene a noi e non a voi"
GERUSALEMME - L'esperto israeliano di Medioriente, Mordechai Kedar, nella sua recente intervista televisiva con l'emittente araba Al Jazeera ha messo a dura prova il suo interlocutore arabo quando ha dichiarato in modo inequivocabile che Gerusalemme non viene citata nemmeno una volta nel Corano. Il colloquio è stato trasmesso in diretta nel mondo arabo a oltre 50 milioni di spettatori dallo studio televisivo qatareno di Gerusalemme. L'intervistatore arabo Jamal Riyan ha aperto il colloquio facendo riferimento all'annuncio che Israele non vuole interrompere le costruzioni in Gerusalemme. "Dovremo piantare gli ultimi chiodi sulla bara delle trattative israeliano-palestinesi?" ha chiesto Jamal Riyan al suo ospite israeliano.
"Non capisco la domanda", ha risposto Kedar. "Perché mai Israele dovrebbe chiedere a qualcuno nel mondo se può costruire in Gerusalemme? Da 3000 anni Gerusalemme è la capitale ebraica. Vivevamo già in questa città quando i vostri progenitori si ubriacavano, seppellivano vive le loro figlie e adoravano idoli." Il moderatore televisivo arabo ha reagito inorridito a questa risposta storicamente fondata, ma non ha ceduto. "Mi scusi, signor Kedar! Ma se vogliamo parlare di storia, allora discutiamo sul Corano. Lei non può negare l'esistenza di Gerusalemme nel Corano! La prego quindi di avere riguardo ai sentimenti degli arabi e dei musulmani", ha dichiarato Riyan. "Ma Gerusalemme non viene nominata nemmeno una volta nel Corano", ha replicato Mordechai Kedar al suo interlocutore arabo.
Riyan allora è diventato furioso e ha tentato di citare un versetto nel Corano che secondo l'interpretazione islamica fa riferimento a Gerusalemme. "Il Corano non cita Gerusalemme nemmeno una volta", ha ripetuto di nuovo Kedar.
"Parliamo di politica, per favore. L'illegale costruzione di insediamenti ebraici in Gerusalemme Est non è in contrasto con gli accordi fondamentali dell'americana Roadmap?" ha chiesto Riyan all'esperto israeliano dell'Università Bar-Ilan di Tel Aviv. "Per niente. In nessun articolo la Roadmap parla della capitale d'Israele, Gerusalemme", ha detto Kedar provocando il suo interlocutore arabo. "Gerusalemme non è oggetto di trattative. Gerusalemme appartiene agli ebrei. Punto. Voi continuate a toccare sempre lo stesso punto di contrasto, nonostante che Gerusalemme non sia sul tavolo delle trattative. Amico mio, legga ancora una volta, da cima a fondo, l'accordo della Roadmap." A questo punto il giornalista arabo ha cercato di cambiare discorso: "Dunque Israele possiede tutta la riva occidentale?"
"Mio caro amico", ha replicato il dr. Kedar gentilmente, "Israele non s'immischia nella costruzione di appartamenti nella penisola qatarena. Che cosa volete allora da Gerusalemme? Gerusalemme è per sempre la nostra capitale, e nessuno, nemmeno Al Jazeera, ha un diritto su questa città."
(israel heute, agosto 2008 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
5. ARCHEOLOGIA
Il complotto per uccidere Geremia
di Davide Frattini
GERUSALEMME - Geremia e la sua disperazione finiscono in fondo a una vecchia cisterna piena di fango. I notabili di Gerusalemme temono che i suoi annunci di sventura demoralizzino i soldati, durante l'assedio babilonese alla città. Il profeta minaccia una punizione, se il popolo non tornerà a rispettare l'alleanza con Dio. I ministri del regno di Giuda vorrebbero zittire la propaganda negativa: cospirano per eliminarlo, fanno pressioni sul re.
Un astuccio ritrovato a Gerusalemme, negli scavi alla Città di Davide, porta impresso su un sigillo il nome di uno di loro, Gedalyakhu Ben Pashur (Godolia, figlio di Pascùr), che Geremia cita assieme a quello di Yehukual ben Shelemyahu (Iucàl, figlio di Selemia). I due ministri - racconta il profeta - cercarono di convincere il re Sedecia a giustiziarlo, perché esortava la città sotto assedio ad arrendersi. «Sefatià figlio di Mattàn, Godolia figlio di Pascùr, Iucàl figlio di Selemia e Pascùr figlio di Malchia udirono queste parole che Geremia rivolgeva a tutto il popolo: "Dice il Signore: Chi rimane in questa città morirà di spada, di fame e di peste, mentre chi passerà ai Caldei vivrà: per lui la sua vita sarà come bottino e vivrà. Dice il Signore: Certo questa città sarà data in mano all' esercito del re di Babilonia che la prenderà"».
Tre anni fa, un altro sigillo - appartenente a Yehukual ben Shelemyahu - era stato trovato nella stessa zona, tra i resti della distruzione del primo Tempio.
«Solo raramente gli archeologi - commenta Eilat Mazar, docente all'università di Gerusalemme e direttrice degli scavi - si imbattono in ritrovamenti che hanno legami così concreti con figure storiche significative e che permettono di riportare in vita quello che succede nel Vecchio Testamento».
I sigilli misurano un centimetro di diametro. Nell'astuccio, sono conservate lettere in antico ebraico, ancora leggibili. Non è la prima volta che nell'area della Città di Davide, vengono scoperti sigilli con nomi e riferimenti biblici. Nel 1982, l'archeologo Yigal Shilo aveva recuperato la bolla di Gemayahau ben Shaphan, citato come ministro e scriba durante il governo di Ioiachin, terzo figlio di Giosia. E' proprio sotto la guida di Giosia, che il regno prospera. La pace del periodo è offuscata dalle visioni negative di Geremia, che predica tra il 622 fino a oltre il 587 a.C. Il piccolo regno di Giuda è coinvolto nel gioco delle grandi potenze (Egitto, Assiria, Babilonia). Geremia annuncia un'invasione, i babilonesi guidati da Nabucodonosor, e consiglia di sottomettersi al loro potere, invece che cercare un'alleanza con gli egiziani.
Dopo la caduta di Gerusalemme, resta in quella che è ormai una provincia dell'impero babilonese. I suoi nemici lo avrebbero catturato e portato in Egitto, dove muore.
(Corriere della Sera, 17 agosto 2008)
6. LIBRI
Olocausto : storie perdute
Roberto Satloff, Tra i giusti - Storie perdute dell'Olocausto nei paesi arabi, ed. Marsilio, pagg. 288, € 19,50
Quanto è accaduto nel Nord Africa durante l'Olocausto è rimasto fino ad oggi coperto dalla sabbia del deserto malgrado migliaia di ebrei siano stati espropriati dei loro beni, siano stati imprigionati nei campi di lavoro, siano stati deportati nei campi di sterminio in Europa.
Nulla si sapeva e l'autore ha impiegato quattro anni per ricostruire le vite di molte famiglie, rintracciare i pochi superstiti a Londra, Parigi, Tunisi, cercare notizie in undici nazioni del Nord Africa anche raggiungendo zone abbandonate nel deserto per trovare quanto ancora rimane dei campi di lavoro dove sono morti centinaia di ebrei.
Non si può ricostruire la storia delle persecuzioni agli ebrei compiute dai nazisti, dal governo di Vichy e dai fascisti in Nord Africa senza tener conto del ruolo svolto dalle popolazioni locali: molti collaborarono, molti altri tradirono i loro vicini di casa, i loro amici, coloro con cui lavoravano, ma in tanti invece li salvarono, rischiando in prima persona e comportandosi da eroi.
Il libro di Satloff ci racconta la loro storia.
Robert Satloff, esperto in politica dei paesi arabi e islamici, è direttore del Washington Institute per la politica del Vicino Oriente. Dopo l'11 settembre ha vissuto a Rabat per compiere le ricerche che gli hanno consentito di scrivere questo libro.
(Osservatorio sulla Legalità e sui Diritti, 18 agosto 2008)
RIFLESSIONI
Perché molti cristiani non s'interessano di Israele?
MUSICA E IMMAGINI
Baklava
INDIRIZZI INTERNET
Israel Wonders
Kehilat Hamaayan
Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse
liberamente, citando la fonte.
|