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Notizie su Israele 443 - 13 novembre 2008

1. Una data da non dimenticare
2. Pio XII: una questione non chiusa
3. La cattiva coscienza vaticana
4. Il papa gradito ai tedeschi
5. Uno studio storico documentatissimo
6. Chiese tedesche diventano sinagoghe
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Deuteronomio 4:27-29. Il Signore vi disperderà fra i popoli e solo un piccolo numero di voi sopravviverà in mezzo alle nazioni dove il Signore vi condurrà. Là servirete dèi fatti da mano d'uomo, dèi di legno e di pietra, i quali non vedono, non odono, non mangiano, non annusano. Ma di là cercherai il Signore, il tuo Dio, e lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua.
1. UNA DATA DA NON DIMENTICARE




La notte dei cristalli

di Elena Lattes

Domenica scorsa [10 novembre] si è commemorato l'anniversario della Notte dei Cristalli, la famigerata Kristallnacht (che Angela Merkel vorrebbe rinominare più giustamente come la Notte dei pogrom). Se ne è parlato anche in Italia e molte sono le fotografie che ritraggono alcuni di quelle tragiche ore.


Ma non è comune trovare un articolo come quello comparso sempre domenica sul sito online del quotidiano israeliano Yediot Aharonot che raccoglie alcune testimonianze dirette e che evidenziano che oltre ad una massiccia partecipazione da parte della popolazione (che non fu quindi ignara spettatrice) questo fu uno degli anelli di quella catena che cominciò con la propaganda denigratoria e diffamatoria e finì nei campi di sterminio, nelle camere a gas e nei forni crematori.
Ecco cosa scrive Ynet.com. Il corrispondente da Berlino del London Daily Telegraph scrisse il 10 novembre: "La marmaglia ha regnato a Berlino durante tutto il pomeriggio e la sera orde di hooligans hanno indulgiato in un'orgia di distruzione. Ho visto molte esplosioni di antisemitismo in Germania durante gli ultimi cinque anni, ma mai niente di nauseante come questo. L'odio razziale e l'isteria sembra aver preso il totale controllo di persone che in altre circostanze si comportano normalmente. Ho visto donne vestite alla moda applaudire e gridare allegramente, mentre madri rispettabili della classe media prendevano in braccio i loro bimbi per vedere il "divertente" spettacolo.
Questo è soltanto uno dei tanti articoli comparsi sulla stampa internazionale dopo le aggressioni naziste del 9 e 10 novembre del 1938 in tutta l'Austria e Germania, durante quel che venne definito poi come la "Notte dei cristalli" Durante l'orgia devastatrice furono uccisi almeno 96 ebrei, 1300 sinagoghe e 7500 negozi distrutti, numerosissimi cimiteri e scuole vandalizzati. 30mila ebrei furono arrestati e deportati.
I tedeschi e gli austriaci ne furono testimoni e in molti casi parteciparono ai pogrom. Non potevano affermare, come hanno fatto dopo la guerra, di non essere a conoscenza delle persecuzioni.

Michael Bruce, un inglese non ebreo, fornì questa testimonianza diretta della Kristallnacht: "Scendemmo di corsa in strada. Era affollata di persone che correvano verso la sinagoga vicina, urlando e gesticolando con rabbia. Ci aggregammo. Quando arrivammo ci fermammo e dalla rabbia rimanemmo in silenzio, a fianco della massa, le fiamme cominciarono ad alzarsi da una delle estremità dell'edificio. Fu l'inizio di un giubilo selvaggio. La folla si avvicinò e mani avide strapparono sedie e manufatti in legno dalla costruzione per alimentare il fuoco".
Bruce poi vide un gruppo di persone andare verso un grande magazzino dove erano impilati cubi di granito per riparare le strade. "Giovani, uomini e donne, ululando in delirio, scagliarono i blocchi verso le finestre e le porte chiuse. In pochi minuti le porte cedettero e la folla urlando e sgomitando, si accalcò dentro per saccheggiare e depredare".
Una parte di essa successivamente si avviò verso la periferia. Bruce la seguì e vide ciò che descrisse come "una delle esibizioni di bestialità più folli a cui abbia mai assistito". Gli sciacalli entrarono in un ospedale per bambini ebrei. "In pochi minuti le finestre furono in frantumi e le porte forzate. Quando arrivammo i maiali stavano gettando dalle finestre i piccoli con i piedi nudi e in camicia da notte. Le infermiere, i dottori e gli assistenti furono presi a calci e picchiati dai capi della folla, molti dei quali erano donne".

Inge Berner come ogni giorno andò a Berlino a lavorare: "Di fronte c'era una pasticceria. Guardai fuori e vidi che la finestra del negozio era rotta, le persone stavano prendendo le cose mentre l'anziana coppia proprietaria tremante stava semplicemente seduta. Pensai: "Cosa sta succedendo"? Il bibliotecario venne e mi disse "Sarebbe meglio se andassi a casa. Stanno uccidendo gli ebrei in tutta la città".
Cosa successe alla civiltà tedesca? Nel villaggio di Kehl, che si trova subito dopo il ponte per Strasburgo, gli ebrei furono costretti a marciare lungo le strade mentre venivano percossi, insultati, ricevendo sputi dai concittadini. Lungo la corsa tra le due file di picchiatori, furono costretti a cantare "Noi abbiamo tradito la madrepatria tedesca. Siamo responsabili per l'assassinio di Parigi".

Norbert Wollheim sentì che le sinagoghe stavano bruciando in tutta la capitale. "Non potevo crederci. Andai alla sinagoga dove celebrai la mia maggiorità religiosa e dove sposai, e vidi le fiamme provenienti dal tetto, dalla cupola di quel bell'edificio. Le autopompe erano lì, ma i pompieri non facevano niente, proteggevano soltanto le costruzioni accanto. Ancora non posso crederci.
Pensai che potesse essere una sola, così andai alla sinagoga centrale a Berlino Ovest e anche quella stava bruciando e in parte era già un rudere. Pensai: 'Questa è la gente con cui sei cresciuto, questi sono i poeti e i pensatori'. Cosa era successo alla civile Germania? C'era anche un gruppetto che fece dei pessimi commenti. Era contento, diceva: "Gli ebrei se lo sono meritato" e così via. Questo fu il vero shock della mia vita. Lo vidi, ma non lo digerii, né intellettualmente, né emotivamente".

Hans Waizner aveva soltanto 9 anni ma ricorda di esser stato costretto a trasferirsi dalla sua casa a Vienna a quella di sua nonna. Lui e sua madre, si trovavano su un camioncino pieno dei loro averi e videro i negozi degli ebrei che erano stati vandalizzati. Quando raggiunsero la strada dove abitava la nonna videro una folla che gettava i libri da una scuola ebraica in strada e li stava bruciando: "La mia memoria più vivida della Kristallnacht riguarda il nostro carretto che correva tra i ciottoli lungo le colonne di fumo proveniente dai libri religiosi. Non lo dimenticherò mai".

Michael Lucas viveva a Hoengen dove una piccola comunità ebraica aveva costruito una sinagoga su un prato di sua proprietà che si trovava di fronte alla sua casa. Una folla si avvicinò urlando: "abbasso gli ebrei". Michael guardò con orrore, mentre la gente rompeva l'Arca santa e gettava i rotoli della Torah (Pentateuco), come se fossero delle palle prima di buttarli fuori dalla porta nella strada fangosa. I bambini pestavano le pergamene mentre altri le strappavano a pezzi e rubavano i fregi in argento che ricoprivano i rotoli. Secondo suo nipote, Lucas, tentò di correre fuori, ma sua moglie lo trattenne temendo che la marmaglia lo uccidesse. "Si appoggiò al muro, le lacrime gli scendevano sul viso come fosse un bambino".

Se tutti i dettagli non furono subito disponibili, le testimonianze del pogrom, come quella sul Telegraph, comparvero su molte testate internazionali. Circa mille editoriali, la maggior parte critici verso la Germania, furono scritti da giornalisti che non si erano fatti ingannare dalla propaganda nazista, secondo la quale le violenze erano scoppiate spontaneamente. Solo alcuni giornali, tuttavia, collegarono le violenze alle farneticazioni antisemite dei nazisti.

(Agenzia Radicale, 12 novembre 2008)





2. PIO XII: UNA QUESTIONE NON CHIUSA




Dubbi e polemiche. Un Papa senza pace

La comunità ebraica contro il processo di beatificazione: «Rimase in silenzio durante la tragedia della Shoah»

A 50 anni dalla morte, papa Pio XII non ha ancora trovato pace. Sulla sua figura aleggia, fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, il dubbio che nel tragico periodo della seconda guerra mondiale il Vaticano non si sia speso con ogni energia per denunciare — se non tentare di fermare — il genocidio degli ebrei. E la polemica è riesplosa nelle ultime settimane.

CROCIFISSIONE. Già nel 1951 lo scrittore cattolico francese Francois Mauriac scriveva, ancora vivo Pio XII: «Il papa non ha condannato con parola netta e chiara, e non con allusioni diplomatiche, la crocifissione di questi "fratelli del Signore"». Ma il caso divampa nei primi anni Sessanta. Nel 1963 Il Vicario, una pièce dello scrittore tedesco Rolf Hochhuth, è una violenta denuncia dell'atteggiamento di Pio XII su nazismo e Shoah. In Italia il governo ne vieta la rappresentazione.
Da allora a più riprese s'è riproposto il delicato tema dell'atteggiamento tenuto da papa Pacelli nei confronti di nazismo, fascismo e genocidio ebraico. Alimentato dalle forti riserve, quando non dalle dure critiche, provenienti dal mondo ebraico. Provoca ancora imbarazzo nei rapporti fra Israele e Santa sede la didascalia sotto la foto di Pio XII nel nuovo museo dell'Olocausto (Yad Vashem) inaugurato nel 2005 a Gerusalemme. La dicitura parla di «ambiguità» del papa, che «non reagì con proteste scritte o verbali allo sterminio del popolo ebraico da parte dei nazisti». Si denuncia il suo presunto «silenzio» davanti ai tragici eventi che hanno segnato la storia del Novecento. È stato padre Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione di Pio XII, a rinnovare qualche settimana fa le proteste cattoliche per quella targa, arrivando ad affermare che una visita di Benedetto XVI in Israele sarebbe condizionata dalla sua rimozione.

NUOVE POLEMICHE. Vere o no — sono state smentite o almeno attenuate da entrambe le parti — le parole di padre Gumpel hanno riaperto la questione Pio XII, e gravato di nuove polemiche la causa di beatificazione avviata 40 anni fa per volontà di Paolo VI. Da Israele il ministro Isaac Herzog ha definito «inaccettabile» il processo di beatificazione di Pio XII, provocando la reazione indignata della Chiesa. «No a intromissioni nelle nostre cose interne», ha detto il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, che seguì per la Santa Sede l'allacciamento delle relazioni diplomatiche con Israele. Lo storico Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, avverte che dall'apertura degli archivi segreti sul pontificato di Pio XII — il Vaticano ha annunciato che non sarà prima di 6-7 anni — si scoprirà che «Pacelli ha compiuto con riservatezza una vasta opera di solidarietà, il papa e i cattolici hanno lavorato per nascondere ebrei e ricercati di ogni genere», e si uscirà «da questa maledetta contrapposizione di tesi che diventa caricaturale». E Riccardi non è l'unico storico che invita a non sottovalutare l'azione faticosa del papato, in tempo di guerra, promossa per salvare in silenzio gli ebrei trovando spiragli nella rete del controllo nazista.

CONTRAPPOSIZIONE. Ma intanto la contrapposizione resta. Non più tardi di qualche giorno fa esponenti di rilievo della comunità ebraica italiana, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e Tullia Zevi, sono tornati con forza polemica sul tema, il primo rinfacciando a questa Chiesa, a differenza di quella di Giovanni Paolo II, di essere incapace di fare un mea culpa, la seconda prendendo come «dato di fatto non smentibile» il silenzio di papa Pacelli davanti allo sterminio degli ebrei. Ma il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, ha definito Pio XII «uno dei più grandi personaggi del XX secolo» e precisato che la «canonizzazione è un fatto religioso e di esclusiva competenza della Santa Sede», mentre papa Ratzinger sabato scorso è intervenuto di persona in difesa del predecessore definendolo «dono di Dio» e parlando a proposito della vicenda di «polemiche a senso unico», senza citare esplicitamente le polemiche sul presunto silenzio a proposito della Shoah. Benedetto XVI è stato peraltro ben attento, nelle ultime settimane, a evitare dissidi con Israele, rinnovando anzi il desiderio di visitare quel Paese.

DAGLI ARCHIVI. Tutto questo mentre dagli archivi continuano a uscire documenti in grado di mettere in luce diverse angolature della questione. Due studiosi hanno recentemente scoperto un rapporto britannico che dà conto dell'incontro del diplomatico Osborne con Pio XII all'indomani del rastrellamento del ghetto di Roma [ved. Notizie su Israele 441]. Ebbene, dal resoconto inglese sembra che il papa sorvoli sulla vicenda degli ebrei soffermandosi invece sulla «correttezza» dei tedeschi nella Città Eterna.
Un altro documento è un appunto di monsignor Domenico Tardini, addetto alla Segreteria di Stato vaticana retta dal cardinale Pacelli — futuro Pio XII — negli ultimi mesi del papato di Pio XI. Nel novembre 1938 papa Ratti si sarebbe lamentato proprio con Pacelli ritenendolo responsabile di una presunta «censura» di una sua nota antirazzista scritta, due mesi dopo il varo delle famigerate leggi razziali, per essere pubblicata sull'Osservatore Romano e apparsa invece non in versione integrale ma in sintesi ammorbidita. Lo stesso Pio XI, nel settembre di quello stesso 1938, a Castel Gandolfo aveva pronunciato un durissimo discorso contro la politica razziale e l'antisemitismo. Un discorso mai apparso sui giornali italiani per divieto del governo ma ripreso dalla stampa cattolica d'Oltralpe.
Una parola chiara di condanna che Pio XII, secondo i suoi detrattori, non ebbe mai il coraggio di pronunciare. (b.pi.)

(Brescia Oggi, 12 novembre 2008)





3. LA CATTIVA COSCIENZA VATICANA




Pio XII - La polemica infinita

di Danielle Sussmann

E destinata a rimanere tale se la Chiesa beatificherà e santificherà Pio XII sulla base di ineleggibili virtù storiche. Meglio avrebbe fatto Monsignor Franco a non aprire il vaso di Pandora nel 2007, a Yad Vashem, nel giorno della Shoah. Chi più saggio, ha preferito ignorare la questione, valutata per altro con profonda serietà dagli studiosi storici, sia ebrei che non ebrei. Più sono duri i toni del Vaticano, più duri sono i toni dell'ebraismo che, storicamente, ha sofferto l'unico grande e scientifico genocidio della storia e questo è accaduto durante il pontificato di Pio XII.
    Prima di entrare nel dettaglio della questione, io credo sia altrettanto importante fare una significativa riflessione sulla differenza della "soluzione finale", e come viene vissuta, applicata tra occidente e centro-est europeo. Per chi conosca la "Valle delle Comunità", nel comprensorio dello Yad Vashem, non saranno sfuggiti i numeri degli ebrei uccisi. Sono leggibili, con tanto di provenienza, sui monoliti di roccia delle nazioni europee. La maggioranza delle vittime proveniva dalle aree europee centrorientali. Agghiacciante è il Mausoleo dei Bambini: un milione e mezzo di giovani vittime che una rifrangenza di specchi ripropone alla luce eterna, o come simbolo di luci spente alla vita, insieme ad una voce registrata che ne elenca i nomi e l'età. Un milione e mezzo di bambini, tra cui giovani fino ai 18 anni uccisi con il gas ed inceneriti nei forni crematori. Dalla sola Romania: cinquecentomila. Per me che sono di origine romena, con un padre di origine russa e una madre di origini austro-ungariche, non c'è perdono che tenga, né facili riabilitazioni. Voglio sapere ogni verità, anche la più terribile. "La neve copre ogni verità" dice il regista polacco Wajda nello straordinario road movie "la strada di Levi". La Chiesa si è precipitata a costruire il convento delle Carmelitane, laddove c'erano i depositi di Zyclon B, togliendo in tal modo una testimonianza fisica della consistenza numerica delle lattine del gas dello sterminio. Grazie al processo Eichmann si è avuta la contabilità scritta. Accanto a documenti declassificati negli archivi Alleati - ancora sotto studio - studiosi di valore che non hanno alcun interesse a demonizzare Pio XII - a che pro poi? La Shoah c'è stata. I Giusti, riconosciuti ed ancora non tutti conosciuti. Perché prendersela con un papa più che con un altro, visto che tra papi e santi, la demonizzazione degli ebrei è sempre avvenuta nei secoli? - condannano il silenzio di Pio XII ed alcuni suoi atti. Il cardinal Bertone dichiara che gli archivi vaticani sarebbero aperti da sempre, ma che gli studiosi non hanno dimostrato interesse a consultarlo. Neanche una settimana prima, il Vaticano confermava che gli archivi non sarebbero stati consultabili prima di 6-7 anni, per le già note questioni tecniche addottate da tempo.
    Le contraddizioni in seno al Vaticano e nel clero sono tali e tante, che rendono ancor più ragionevole l'ipotesi che siano esistite in tempi in cui l'informazione non era accessibile a tutti, soprattutto in periodo di guerra. L'archivio vaticano consultabile - secondo Bertone e i gesuiti Gumpel e Molinari - è in realtà uno studio gesuita (con tutte le manipolazioni o, al meglio, interpretazioni del caso) conosciuto come gli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, editi tra il 1965 e il 1981, in un corpus di documenti costituito da 11 volumi, già noti agli storici. Proprio l'insistenza degli storici ebrei ad esaminare i documenti dell'archivio vaticano sugli anni 1939-1945 fece decidere il Vaticano, nelle persone del cardinale Kasper e padre Gumpel, ad interrompere la consultazione congiunta. Due insigni studiosi cattolici, il teologo Monsignor Hans Küng e John Cornwell hanno condannato Pio XII. Delle dichiarazioni di Monsignor Küng ho già scritto in un precedente articolo. Su John Cornwell, stralcio dall'articolo di Sarah Hoenig sul Jerusalem Post dell'8 novembre. Cornwell intendeva dimostrare l'innocenza di Pio XII dalle accuse di aver tradito gli ebrei nella loro stagione peggiore e fu accreditato a consultare alcuni documenti dell'archivio vaticano secretato. Anziché far emergere una difesa di Pio XII, quel poco che aveva letto lo aveva convinto a scrivere "il papa di Hitler" pubblicato nel 1999. Confessava di essere rimasto "nella metà del 1997 in uno stato di choc morale. Il materiale che stavo consultando non portava ad un esonero (della colpa) ma alla colpevolezza…L'evidenza era esplosiva. Per la prima volta avevo la dimostrazione che Pacelli era decisamente, lo provano le sue parole, antigiudaico. (Quel materiale) rivelava che aveva aiutato l'ascesa di Hitler al potere e, allo stesso tempo, aveva minato la potenziale resistenza cattolica in Germania. (Quel materiale) dimostrava che aveva implicitamente negato e banalizzato l'Olocausto, malgrado avesse concreta conoscenza della sua reale estensione. Peggio, risalta la sua ipocrisia, perché nel dopoguerra non ha fatto alcuna dichiarazione di condanna contro la persecuzione nazista degli ebrei." Appena il libro è stato pubblicato, il Vaticano ha scatenato una crociata in cui nessuno sforzo è stato risparmiato per screditare l'autore. Su Internet ancora dopo circa 10 anni, continuano gli insulti. A tal punto che, nel 2004, Cornwell ha parzialmente limitato il suo considerevole impegno. Ma, come scrive la Honig: il mancato discepolo di San Pio (XII) non può più rimettere il genio nella bottiglia. Il libro esiste, le fonti vengono attinte da qualificati storici. Come tutti costoro, anche Cornwell riconosce il coraggio individuale di rappresentanti del clero, così come l'allineamento antisemita di altri. Come ignorare, inoltre, la Rat-Line che permise ai gerarchi nazisti, e a tanti loro sottufficiali, di fuggire nei paesi arabi e in America. Di riparare e vivere tranquillamente anche in Italia, in Germania e in Austria. Chi sempre, chi temporaneamente, temendo le indagini dei Centri di Documentazione ebraica austriaco di Wiesenthal e francese dei Klarsfeld. Né vanno scordati i tanti bambini ebrei orfani battezzati che, per disposizione di Pio XII - quella sì documentata - non furono restituiti alle famiglie ebraiche che ancora li cercano sulla stampa ebraica come ha ricordato il ministro Herzog. Ministro che ha citato il nonno, rabbino, che dopo essere finalmente riuscito a parlare con Pio XII per risolvere questa drammatica questione, affermò di aver sentito la necessità di fare un miqweh, ossia, bagno purificatore. Sir Martin Gilbert, insigne storico e biografo ufficiale di Winston Churchill, è stato sbandierato da padre Gumpel - e da certa stampa - quale difensore di Pio XII. Non solo Gilbert attinge anche da Cornwell tra altri, ma benché ipotizzi che senza l'assenso di Pio XII il clero non avrebbe aperto le sue porte agli ebrei, nel suo tanto acclamato (dal Vaticano) libro "I Giusti" ciò che scrive porta ad intuire un ben più individualista - salvo opportunista - comportamento da parte del clero e del Vaticano. Nel capitolo dedicato all'Italia e al Vaticano, Gilbert ricorda lo straordinario e commovente coraggio di laici, suore e sacerdoti; un governo che dimostrava il suo fastidio allo zelo dello sterminio nazista e del collaborativo governo di Vichy, contrastando le deportazioni nelle aree sotto controllo italiano. Sfiora con due soli episodi, il più vasto - secondo gli studiosi e storici della Shoah - comportamento criminale o antisemita, presente sia in Italia che in altre nazioni europee. Quello della delazione, semplice e pura, quando non quello dell'estorsione dei pochi averi dei fuggitivi sotto minaccia di delazione. D'altronde, Gilbert non è mai stato un accreditato studioso di Shoah. Malgrado questo, è esaltato dal Vaticano come il più grande studioso della Shoah! A proposito dell'estorsione con minaccia di delazione, Gilbert ricorda la sventurata fine di una coppia di ebrei con il loro neonato che dovettero soffocare per poi impiccarsi.
    Il secondo episodio riguarda Villa Emma. Gilbert ricorda l'eroico padre Beccari che non si risparmiò per salvare i "suoi" 74 bambini. Si salvarono in 73, perché un ragazzo si era ammalato di tubercolosi e dovette essere ricoverato in ospedale dove si scoprì la sua identità ebraica essendo circonciso, e fu consegnato ai nazisti e deportato a Auschwitz. "Beccari persuase anche il rettore dell'abbazia benedettina (di Nonantola), inizialmente riluttante, a lasciar nascondere i bambini più giovani nell'abbazia." Ma se Pio XII avesse davvero ordinato al clero di proteggere e nascondere gli ebrei, perché un rettore di un'abbazia doveva essere "inizialmente riluttante"? Gilbert si sofferma soprattutto al 1943. In luglio, "Mussolini viene rovesciato durante una drammatica rivoluzione di palazzo", il governo fugge a sud per evitare la cattura da parte dei tedeschi che hanno invaso il nord, "il 1o settembre (il governo) informa gli Alleati di aver accettato



l'armistizio… due giorni più tardi gli Alleati sbarcano in Sicilia…". E' l'epoca in cui iniziano ad aprirsi le porte del Vaticano per nascondere i 5000 ebrei romani, benché in più di mille furono deportati quasi sotto le finestre del papa ed uccisi nei lager. Posso capire la posizione di Giorgio Israel e di amici romani, i cui genitori e nonni sono scampati alla Shoah grazie all'aiuto del clero. La sua onestà intellettuale denuncia la "zona grigia", tra cui la mancata condanna di Pio XII sulle leggi razziali, in conflitto con la sua gratitudine. Giustamente conclude "gli storici esprimeranno il loro parere" dopo l'apertura degli archivi. Per quanto riguarda la maggioranza degli ebrei tedeschi e balcanici, il vissuto di quegli anni è stato ancor più drammatico, perché all'antigiudaismo popolare - sia cattolico che protestante che ortodosso - si è aggiunto un contagioso antisemitismo, fondato su basi politico-economiche in seguito alla Prima Guerra Mondiale. Una Germania distrutta, un'Ungheria che perdeva la sua via al mare - e il suo benessere dipendente - con la Croazia, un nazionalismo incandescente, tutti fattori che hanno contribuito a creare ed anticipare la soluzione finale della questione ebraica. I "volonterosi carnefici di Hitler" erano stratificati nel popolo e nel clero, altrimenti mai sarebbe stato possibile sterminare milioni di persone, nella piena consapevolezza di tutti i governi di allora, compreso il Vaticano. Il suo accanimento nel volersi considerare super partes, fino addirittura ad autoassolversi e santificarsi, colpevolizzando i discendenti delle vittime che non ci stanno, è inaccettabile. Non è più una questione religiosa quando un nunzio apostolico decide di non partecipare alle celebrazioni della Shoah - della Shoah, non di Israele, quindi di una tragedia universale - solo perché risentito per una non gradita didascalia che la storia ha scritto. Ciò che di scandaloso c'era negli archivi vaticani, Cornwell l'ha trovato. Oggi, ci si aspettano manipolazioni e sottrazioni. Ma quello che gli storici vogliono trovare, sono documenti che attestino indiscutibilmente che Pio XII si sia adoperato per la salvezza degli ebrei. Non ci sono evidentemente, altrimenti il Vaticano li avrebbe già resi noti e non si barricherebbe dietro alle testimonianze dei pochi salvati a confronto dei sei milioni di sommersi. Non si barricherebbe dietro a dichiarazioni d'ante, durante e post guerra che non hanno anch'esse alcuna legittimità storica, perché risalenti a chi ancora non conosceva la reale tragedia ebraica, o a chi - quando israeliani - cercava di stringere rapporti diplomatici, allora vitali, con il Vaticano.
    
(Informazione Corretta, 9 novembre 2008)





4. IL PAPA GRADITO AI TEDESCHI




La proposta segreta di Hitler a Pio XII

Il 9 maggio 1939 il ministro degli Esteri del governo Mussolini, Galeazzo Ciano, convoca l'ambasciatore del Regno presso la Santa Sede, il conte Bonifacio Pignatti Morano di Custoza. Come scrive il diplomatico nella relazione scritta di quell'incontro, Ciano l'ha chiamato per «impartirgli istruzioni».

L'argomento è scottante: i rapporti fra la Germania nazista e la Santa Sede. Rapporti tesissimi, negli ultimi tempi. Papa Pio XI è morto da tre mesi, lasciando il mistero di un discorso preparato per il decennale del Concordato per condannare il nazismo, ma anche per esprimere duri giudizi sulle degenerazioni del fascismo dopo le leggi razziali. Due anni prima papa Ratti prima aveva manifestato la crescente angoscia della Santa Sede di fronte all'ideologia nazista della razza superiore e le sue derive paganeggianti e anticristiane scrivendo l'enciclica Mit Brennender Sorge, mentre nel maggio del 1938 aveva clamorosamente abbandonato il Vaticano per Castel Gandolfo (dopo aver fatto anche chiudere i Musei Vaticani) per non essere a Roma durante la visita di Adolf Hitler. «Questo è un giorno triste per Roma sopra la quale si erge una croce che non è la Croce di Cristo», disse alludendo alle svastiche che Mussolini fece esporre a Roma in omaggio a Hitler. Negli ultimi mesi del papato, i tempi del Concordato del 1929 sembravano lontanissimi: pessimi i rapporti fra Pio XI e Mussolini, che in privato parlava male dell'anziano pontefice («una rovina») e in pubblico lo faceva attaccare dai gerarchi.
    A Pio XI succede il cardinale Eugenio Pacelli, segretario di Stato vaticano fin dal 1930. Gli storici discutono ancora se fu lui, papa Pio XII, a scegliere di non rivelare il contenuto dell'ultimo discorso del predecessore, morto il 10 febbraio proprio alla vigilia del decennale dei Patti Lateranensi, l'occasione che sarebbe stata scelta per pronunciarlo per additare in colui che nel 1929 era «l'uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare» il promotore delle leggi razziali e l'alleato del nazismo. È una delle ombre che avvolgono la controversa figura di Pio XII. La cui causa di beatificazione procede con fatica — come è emerso in queste settimane in cui si celebrano i 50 anni dalla morte — anche per la difficile interpretazione del suo atteggiamento nel periodo bellico, e anche per la dura opposizione proveniente dalla comunità ebraica: fu troppo silenzioso davanti al destino tragico degli ebrei durante la seconda Guerra mondiale? Perché non denunciò l'orrore della Shoah? Non profuse ogni sforzo per salvare gli ebrei italiani? Fu addirittura indulgente se non benevolo nei confronti del nazismo in funzione anticomunista? Addirittura fu «il papa di Hitler», come è stato da alcuni etichettato?
    Per fare piena luce su questi passaggi delicati e controversi gli storici attendono l'apertura degli archivi storici del Vaticano relativamente al papato di Pio XII. Ci vorranno ancora sette anni, ha fatto sapere la Santa Sede incalzata dalle pressioni provenienti soprattutto dal mondo ebraico. Intanto, però, le annotazioni dell'ambasciatore Pignatti su quell'incontro del maggio 1939 confermano che la Germania nazista avvertiva come una svolta assolutamente favorevole l'avvento di Pacelli — già nunzio apostolico a Monaco di Baviera e a Berlino — al soglio di Pietro. Una svolta in grado di mettere fine all'incomunicabilità fra Germania e Vaticano. Lo stesso Pignatti l'aveva detto a Ciano in occasione del conclave, e Ciano l'aveva annotato nei suoi diari: i tedeschi si augurano che il prossimo papa sia Pacelli.
    Ma se le due pagine manoscritte di Pignatti rappresentano un ulteriore contributo per ricostruire il clima di quei mesi di transizione fra i papati di Pio XI e di Pio XII, aggiungono però un
L'ambasciatore Bonifacio Pignatti Morano di Custoza (a destra) con il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano
particolare: la volontà della Germania di avviare quanto prima un contatto con il nuovo Pontefice, con la mediazione del governo italiano, per approdare a «un'intesa». Le «istruzioni» a Pignatti di Ciano hanno infatti un obiettivo preciso: favorire il riavvicinamento della Germania nazista alla Santa Sede, «componendo la vertenza che si trascina da anni». Un riavvicinamento desiderato dagli stessi tedeschi, a quanto spiega Ciano a Pignatti, i quali però «non prenderanno mai l'iniziativa» pur considerando «il momento opportuno per un'intesa. La Germania ha constatato con compiacimento che il tono della Santa Sede verso di lei è mutato. L'ambiente è dunque propizio».
    Ciano — scrive Pignatti — ha chiesto a von Ribbentrop, ministro degli Esteri del Reich, se può far conoscere le intenzioni della Germania in Vaticano. «Gli è stato risposto affermativamente, purché non si facesse un passo. Se Hitler potesse solo supporre che gli si vuole attribuire un'iniziativa, si irrigidirebbe e si tornerebbe in alto mare. Però Ribbentrop ha acconsentito che del momento favorevole per un'intesa s'informi sotto il vincolo del segreto la Santa Sede».
    Tutto dunque deve svolgersi in gran segreto. E l'ambasciatore scrive che nel suo primo incontro con il nuovo Papa l'avrebbe informato della volontà di riavvicinamento espressa dai vertici nazisti «domandandogli il segreto». La missione diplomatica può prendere il via.
    Le annotazioni di Pignatti si concludono con un episodio raccontatogli da Ciano che «dà indizio dei migliorati sentimenti del Führer nei riguardi della questione religiosa». Si tratta di una recente conversazione fra Hitler e monsignor Cesare Orsenigo, il nunzio apostolico che a Berlino aveva preso il posto proprio di Pacelli. «Il Führer ha detto a monsignor Orsenigo che gli era dispiaciuto, nell'ultima sua visita a Roma, di non aver visto San Pietro. L'aveva osservato, lungamente, da lontano con il binocolo, ma si doleva di non averlo visto da vicino. Hitler», scrive ancora Pignatti, «si sarebbe aspettato che il nunzio avesse colta l'opportunità per entrare in materia. Avrebbe potuto dire di augurarsi che una visita del Führer a San Pietro potesse avere luogo presto. Il nunzio ha lasciato cadere l'occasione e Hitler s'è irrigidito ancor di più». b.pi.

(L'Arena.it, 12 novembre 2008)





5. UNO STUDIO STORICO DOCUMENTATISSIMO




Ma la Chiesa ha aiutato anche i nazisti
a mettersi in salvo


Lo storico Steinacher racconta la fuga dei criminali nazisti e il ruolo centrale di Bressanone.

di Luca Masiello

È la città vescovile, paese d'arte, meta turistica, è anche sede delle vacanze di Papa Benedetto XVI; ma da quando è uscito il libro di Gerald Steinacher, Bressanone è anche uno dei nodi cruciali della fuga dei criminali nazisti dal Reich verso il Sudamerica e tutte quelle altre mete dove - chi più chi meno - hanno trovato la salvezza. E' anche per questo motivo che l'autore di «Nazis auf der Flucht» ha voluto organizzare la prima presentazione del suo volume proprio nel capoluogo della Valle Isarco. Invitato dall'associazione Heimat, lunedì sera Steinacher si è trovato dinanzi ad un pubblico davvero folto, nella sala congressi dell'accademia Cusanus (centro studi della diocesi locale) per parlare della sua ultima fatica, un volume di oltre 350 pagine in cui descrive per la prima volta nella storia, come molti nazisti siano riusciti ad acquisire - ed acquistare - una nuova identità grazie alla complicità della Chiesa locale, che a suon di raccomandazioni scritte, è riuscita a fare in modo che la Croce Rossa internazionale fornisse loro dei passaporti falsi, ma validi per il loro espatrio. «Il mio non è un libro che si vuole fermare a Bressanone o solo all'Alto Adige, ma è un'opera di respiro molto più ampio», spiega l'autore.
    Certo, ma come descrive dettagliatamente nel suo libro, per scappare dalla Germania verso l'estero nazisti e criminali di guerra non avevano grandi possibilità di scelte: in Jugoslavia c'era Tito, nell'Europa dell'est le forze sovietiche e la Spagna era troppo lontana; l'unica soluzione era la linea retta verso il sud, verso i porti liguri, e per arrivarci, l'unica maniera era passare attraverso il confine del Brennero. Una scelta obbligata ma che si rivelò decisamente fortunata per i nazisti, visto che è proprio qui, nella sede della diocesi di Bressanone e poi a Bolzano e a Merano, che persone come Josef Mengele si «trasformarono» in Helmut Gregor di Termeno, Adolf Eichmann nel bolzanino Riccardo Klement, e Gerhard Blast in Franz Geyer di Valdaora, tanto per citarne alcuni. Nuova identità, nuova vita, nuove possibilità. Il tutto grazie all'intercessione della Chiesa, che attraverso alla Pontificia commissione assistenza del Vaticano - del vescovo romano Alois Hudals, di quello di Bressanone Geisler e del vicario generale Alois Pompanin, in primis - chiedeva alla Croce rossa di rilasciare dei passaporti internazionali.
    «Molti nazisti venivano ribattezzati e a loro veniva dato un nuovo nome, e in Alto Adige questa era una prassi molto comune - ha spiegato Steinacher durante la presentazione - dall'esame di alcuni atti resi pubblici solo recentemente, è emerso che i sacerdoti locali hanno aiutato in maniera continua moltissimi criminali di guerra: è stato reso noto solo ultimamente che durante il processo di Gerusalemme Adolf Eichmann aveva dichiarato di essere stato accolto a Vipiteno dal parroco locale, padre Corradini, che lo aveva addirittura ospitato a casa sua.
    E solo dopo pochi anni era riuscito a raggiungere l'Argentina». Certo, perché come emerge dall'opera di Steinacher, i nazisti non avevano avuto fretta nel lasciare l'Europa: subito dopo la Liberazione i controlli erano troppo serrati; ovunque, tranne che in Alto Adige, una sorta di terra di nessuno, dove i fuggitivi potevano vivere sotto mentite spoglie attendendo i documenti per l'espatrio. In «Nazi auf der Flucht», poi, Steinacher vuole sfatare un mito, quello dell'Odessa, la «Organization Der Ehemalige Ss Angehoerige, un'organizzazione che secondo la coscienza popolare avrebbe organizzato l'espatrio ed il mantenimento dei criminali di guerra «È una convinzione sbagliata, che è giunta fino a noi a causa anche di una letteratura che ha travisato i fatti storici - spiega - in realtà la fuga dei nazisti era basata essenzialmente sull'improvvisazione: si muovevano senza grandi mete, e molti di questi non avevano un soldo in tasca: quando gli agenti del Mossad hanno trovato Eichmann, non volevano credere che si trattasse di lui, perché si erano trovati dinanzi ad un poveraccio.
    Ad altri, chiaramente, è andata meglio: Mengele, per esempio, aveva vissuto quattro settimane in un lussuoso hotel di Vipiteno grazie al sostegno della sua famiglia». Ma come facevano dunque a sopravvivere? Lavorando per imprenditori locali e soprattutto per i frati nei conventi locali: molti di loro hanno vissuto anni nel convento dei Cappuccini a Bressanone e in quello dei Francescani a Bolzano. Il libro di Gerald Steinacher, dunque, è una miniera di informazioni, di nomi, di fatti mai resi pubblici descritti minuziosamente. Un saggio che si legge come un romanzo, anche se per ora, il pubblico altoatesino di lingua italiana interessato alla materia è costretto a consultarlo con il vocabolario in mano.

(Alto Adige, 10 settembre 2008 - da Morasha.it)

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Il manoscritto di Eichmann: «Nascosto dai Francescani»

BOLZANO. Riassumere in poche righe 380 pagine di uno studio storico approfondito e documentatissimo, oltre che impossibile, pare inutile, o peggio. Occorrerebbe leggerselo tutto, per capire tutto. Vale comunque la pena citare qualche episodio. Un paio delle centinaia di storie romanzesche raccontate da Gerald Steinacher.
    Per esempio, la fuga di Adolf Eichmann. (Per chi non lo ricordasse, fu proprio lui a organizzare la logistica ferroviaria dell'Olocausto). Steinacher ha ricostruito la fuga grazie a un manoscritto dello stesso Eichmann, vergato in carcere durante il celebre processo di Gerusalemme, nel 1961, e fatto sparire per non imbarazzare il Vaticano, in periodo di dura Guerra fredda. Steinacher l'ha scovato negli archivi della Cia, in quel di Washington.
    Be' insomma: ai primi di maggio del 1950 Adolf Eichmann arrivò a Vinaders am Brenner, in Austria, a sei chilometri dal passo del Brennero. «A Vinaders - racconta Steinacher - c'era un'osteria. Un bel posticino, da cui sono passati davvero in molti...».
    Da lì, l'ingegnere dell'Olocausto percorse un sentiero nel bosco: la via più breve per arrivare a un niente dalla Statale, a Terme di Brennero. Qui, ad attenderlo con la bicicletta, c'era il parroco di Vipiteno, Johann Corradini. «Eccezionale ciclista», annotò Eichmann nel suo diario. I due raggiunsero Vipiteno. Poi, smessi i panni da tirolese, con tanto di cappello piumato, Eichmann si concesse «un bicchiere del buon vino sudtirolese». Rimase in parrocchia per qualche giorno; in seguito, scese a Bolzano a bordo di un taxi. Nel capoluogo venne alloggiato per qualche settimana al convento dei Francescani, in pieno Centro. Infine, grazie a un documento d'identità ricevuto in omaggio dal comune di Termeno, se ne poté partire alla volta di Genova. Col nome di Riccardo Klement, nato a Bolzano. Optante, dunque apolide. E così, con in tasca il suo bel passaporto rilasciato dalla Croce rossa, si imbarcò sul piroscafo Anna, in classe C. Destinazione: Argentina. Chapeau.
    Altra storia, assolutamente magnifica, è quella del pilota Hans-Ulrich Rudel. Un asso della Luftwaffe, conosciutissimo nel Terzo Reich. Non un criminale, certo, ma un convinto, un eroe del nazismo. Be', nel 1948 arrivò in Austria, risalì la Zillertal, scollinò in valle Aurina, raggiunse la Pusteria e infine si stabilì a Bolzano, a casa di un vecchio camerata. Nel suo diario scrisse entusiasta della magnifica aria libera di Bolzano, bellissima terra tedesca. Anche Rudel finì in Argentina. Perché il governo Peròn, desideroso di raggiungere la supremazia in Sudamerica, voleva dotarsi di un'aeronautica efficiente e moderna. E chi, meglio degli assi della Luftwaffe? Così, il governo argentino aveva spedito dei messi in Alto Adige, per reclutare piloti, tecnici e quant'altro. Allo scopo ci si era serviti anche di personale sudtirolese, che procacciava uomini a seconda della bisogna. La ciliegina sulla torta è questa: Rudel arrivò in Argentina mica da solo, ma si portò dietro l'intera sua squadriglia. E negli anni dopo, tutti insieme si occuparono di ridisegnare l'aeronautica argentina.
    Poi, ci sarebbe la storia di Franz Stangl, il comandante del campo di sterminio di Treblinka (un milione di morti, circa). Lui preferì il passo di Resia e la Venosta. A Merano, dove a Castel Lauders c'era un punto logistico ad hoc, si incontrò con vari altri colleghi del lager. E anche lui espatriò tranquillo e beato.
    E che dire di Josef Mengele, quello degli esperimenti sugli esseri umani a Auschwitz? Messo piuttosto bene economicamente, a Vipiteno si sistemò in un bell'albergo.
    Una storia che lascia stupiti riguarda infine Erich Priebke (eccidio delle Fosse Ardeatine). Dopo aver ricevuto un documento di identità - secondo il quale era un direttore di albergo lettone, apolide, di nome Otto Pape - se ne stette bel bello a Bolzano, in attesa che gli venisse spedito il passaporto della Croce rossa internazionale. Il suo indirizzo? Via Leonardo Da Vinci numero 24. Si trattava di un piccolo edificio parte del vecchio ospedale civile. (da.pa)

(Alto Adige, 15 agosto 2008 - da Morasha.it)





6. CHIESE TEDESCHE DIVENTANO SINAGOGHE




Negli ultimi tempi si è manifestata una nuova tendenza in Germania: chiese cristiane che si trasformano in sinagoghe.
La prima sinagoga di questo tipo ha aperto le sue porte a Bielefeld, ed è stata chiamata "Beit Tikwa" (Casa della Speranza). Il grande edificio di 300 posti era una volta la chiesa evangelica Paul-Gerhardt. Alla sua inaugurazione è intervenuto anche il presidente della regione Nord Renania-Westfalia Jürgen Rüttegers. Mentre una volta i nazisti cercavano di distruggere le sinagoghe in Germania, oggi molte città in Germania si premurano di rianimare la vita e la cultura ebraiche. Ci è voluto un anno per trasformare l'interno della chiesa in un luogo adatto ai culti ebraici. Per l'acquisto e la ristrutturazione del luogo di culto la comunità ebraica ha dovuto spendere 2,5 milioni di euro.
Sono anche state trasformate in sinagoghe l'ex chiesa cattolica San Guido a Spira e l'ex chiesa evangelica-luterana Gustav-Adolf a Hannover.

Un edificio ecclesiastico in Bielefeld cambia religione: si inaugura una nuova sinagoga

(israel heute, novembre 2008 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





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