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Notizie su Israele 462 - 9 maggio 2009

1. La città contesa e animata da mille volti diversi
2. Forze oscure, ma non troppo
3. Tracce di nazismo sul simbolo sonoro dell'Europa
4. Le nuove idee di Benjamin Netanhyau
5. L'Oci: organo rappresentativo del mondo musulmano
6. Panorama messianico da Gerusalemme
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 26:1-2. In quel giorno, si canterà questo cantico nel paese di Giuda: Noi abbiamo una città forte; l'Eterno vi pone la salvezza per mura e per bastioni. Aprite le porte ed entri la nazione giusta, che si mantiene fedele.
1. LA CITTA' CONTESA E ANIMATA DA MILLE VOLTI DIVERSI




Sui tetti di Gerusalemme

di Monica Genovese

GERUSALEMME - La città santa in Israele. La città contesa e animata da mille volti diversi perché diverse sono le usanze antiche, le religioni di appartenenza. E' in questo luogo che tutto inizia, che la storia si trasforma in quotidianità e che si vive sulla pelle di chi a Gerusalemme abita.
Non è solo una città. E' una sensazione, un'emozione da condividere, da esternare e che, non sempre, si riesce ad esprimere interamente perché, mano a mano che la si scopre Gerusalemme cambia aspetto. Ogni volta è nuova e ogni volta raccoglie una sfida. Quella più importante è la convivenza pacifica di più culture.
Cammino per le sue strade vedendo sfilare musulmani, ebrei, bambini con i riccioli che sfuggono dai tipici cappelli neri, viaggiatori, pellegrini. Qui c'è di tutto. E lo spazio è talmente vissuto in ogni suo angolo, talmente catturato dal desiderio che diventa bisogno di farlo proprio, che qui a Gerusalemme le persone diventano gatti.
Non bastano le strade a farmi conoscere la città. "Lei" vuole essere vista anche dall'alto. E allora eccomi, come altri, sui suoi tetti. Mi muovo agevolmente sui tetti delle case. Il percorso è semplice, comodo. E' come camminare in strada, ma più in alto. Più in alto delle abitazioni. Più vicino al cielo.
Non c'è da scalare o da arrampicarsi. E' sufficiente passeggiare, salire qualche gradino, inoltrarsi nei dedali di stradine create dai vari tetti e dalle differenti altezze delle case. E dall'alto non posso sapere a chi appartengano. Non posso sapere chi abiti in questi edifici, se musulmani o ebrei.
Un modo per conoscere la città vecchia da un'altra prospettiva. Un modo, adesso forse l'unico, affinché Gerusalemme non abbia distinzioni. Sui tetti le tensioni della città santa si smorzano. Diventano più sfumate, più impercettibili e i luoghi di culto, cristiano, musulmano, ebreo sembrano ancora più vicini di quanto non siano.
Formano un panorama unico fatto di guglie dorate, di croci, di mezze lune che si stagliano nel cielo come a volerlo raggiungere insieme. Seduta su uno dei tetti, sporgendomi un po' in avanti, ascolto le voci di una famiglia, che nella propria lingua madre, chiacchiera ridendo.
Immagino che siano a tavola o davanti alla tv. E' ora di cena. E mentre una voce femminile parla, quella maschile sembra rispondere, due bambini, correndo, sgattaiolano fuori dalla porta di casa. Probabilmente vanno a giocare. Li seguo con lo sguardo fin dove riesco, dall'alto della mia posizione, ma poi le strade si intrecciano, si aggrovigliano e li perdo.
Sento ancora quelle due voci. Mi domando cosa si dicano. Di cosa parlino, forse dei conflitti politici, religiosi, degli attentati. Ma, forse, semplicemente parlano dei figli, dei parenti o del lavoro. Argomenti comuni a tutto il mondo. Poi tacciono.
Resto ancora sui tetti. L'aria estiva è abbastanza fresca dopo una calda giornata e la sera, lentamente, inizia a calare. Questa è l'ora che preferisco. Quella del crepuscolo. Quando il giorno e la notte, per un istante, si sfiorano.

(il reporter, 6 maggio 2009)





2. FORZE OSCURE, MA NON TROPPO




Israele, una storia di lotta e sofferenza lunga tremila anni

di Aldo Chiarle

A intervalli regolari, forze "oscure", ma non troppo, cercano di sradicare Israele dal suo territorio. Nel 1929 gli ebrei della "Nuova Sion" sono massacrati dai palestinesi. Interviene in loro difesa Filippo Turati che da allora viene chiamato "l'israelita onorario" con una lettera al socialista Jarblum, segretario del Comitato Internazionale per la protezione del Sionismo, presieduto da Vandervelde, nella quale tracciò la vera causa di quei massacri. La lettera viene pubblicata il 6 settembre 1929 su "Italia", il Bollettino di Parigi della Concentrazione Antifascista, pubblicato con frequenza quindicinale, scritto in francese e in italiano e inviato per posta ad oltre tremila persone, fra esponenti del mondo politico europeo, giornalisti e giornali. È una lettera che merita essere conosciuta e meditata. Eccola nella sua parte essenziale:

"Parigi 6 settembre 1929.
    Caro Jatblum, dite agli ebrei della Palestina che nessun nucleo umano è in grado, come i proscritti italiani, di comprendere le loro pene e di essere sensibili alle loro sventure. Noi, cui fu contemporaneamente violata e rubata la patria, che abbiamo cercato di costituire e nobilitare con mezzo secolo di dura fatica; ed essi, i "leggendari senza patria" per tanti e tanti secoli, che cercano anche essi di riedificare la loro città sui sacri fiumi degli antenati. Siamo colpiti gli uni e gli altri dalla stessa vendetta ed espiamo il medesimo delitto: quello di aver sognato e cercato di portare in questo basso mondo, divorato dai parassiti, lacerato dagli odi infecondi, un mondo ideale. L'uragano, transitorio spero, che li colpisce, l'orribile uragano che si rovesciò su di noi e sulla opera nostra, hanno la stessa origine: sono le forze sinistre del passato che si ergono contro di noi, che si accaniscono a non voler morire e delle quali noi abbiamo il torto di non valutare abbastanza la tenace resistenza. Io non credo alla riscossa degli arabi, all'odio dei musulmani contro le vostre pretese usurpazioni. Questi non avevano altro che da guadagnare dall'opera di redenzione, agricola, industriale ed intellettuale che voi iniziate laggiù con così nobile ardore... è in nome dell'Internazionale che i proscritti italiani salutano i vostri dolori e preconizzano la vostra vittoria futura, immancabile.
Vostro Filippo Turati".

Altra epoca storica per Israele: 1973 e questa volta è il socialista Giuseppe Saragat dal Senato della Repubblica a parlare in difesa del popolo ebraico da sempre martoriato e alla ricerca di una pace effettiva. Ecco il suo intervento, tenuto il 17 ottobre 1973:

"La tragedia che sconvolge il Medio Oriente sconvolge la coscienza di noi tutti, e quella delle due superpotenze, una delle quali ha alimentato con massicci invii di armi gli eserciti del mondo arabo, mentre l'altra non ha saputo - e in questo siamo responsabili anche noi democratici europei - porre nei suoi veri termini il problema dei profughi palestinesi e dell'Egitto. C'è un dato terribile che occorre fare presente. Se Israele fosse invasa, il mondo assisterebbe ad un genocidio di proporzioni mostruose. Tre milioni di creature umane, donne, uomini e fanciulli verrebbero sterminati senza pietà. Occorre quindi porre in primo piano la salvezza di Israele. Non dimentichiamo che l'Urss che oggi soffia sul fuoco, è stata la prima superpotenza a riconoscere lo Stato di Israele; non dimentichiamo che molti degli attuali cittadini israeliti si sono rifugiati nella loro nuova patria per sottrarsi alle persecuzioni di cui sono stati oggetto nei Paesi arabi, dove i loro gruppi razziali abitavano da secoli. È un fatto che molti ignorano, convinti che i cittadini di Israele siano unicamente i superstiti e i figli dei superstiti delle stragi hitleriane. Non dimentichiamo che Israele è l'unico Stato veramente democratico del Medio Oriente; è l'unico lembo di quella civiltà fondata sulla libertà e sulla giustizia sociale, in cui noi crediamo… Lottare per la pace nel Medio Oriente comporta un piano di aiuti economici efficaci da parte di tutte le potenze civili del mondo. Lasciamo agli sceicchi con i loro forzieri pieni d'oro, la politica dell'antisemitismo più brutale, ma poniamo i governi democratici del mondo e in primo luogo quelli dell'Europa e degli Stati Uniti d'America di fronte alle loro responsabilità. Lottiamo per la vera pace, quella che garantisce l'inviolabilità delle frontiere di tutti i popoli che non potrà trionfare, se non interverrà fra l'altro una intesa leale fra le due superpotenze; senza la quale saranno giorni terribili per tutti".

Situazioni diverse, ma il problema è lo stesso: l'odio verso gli ebrei. Dall'intervento di Filippo Turati a quello di Giuseppe Saragat sono passati 44 anni, ma continuava lo stesso tentativo: distruggere Israele. Personalmente sono completamente dalla parte di Israele ora, come lo ero durante l'ultimo conflitto europeo quando Hitler, con i suoi campi di eliminazione, aveva deciso la "soluzione finale" per gli ebrei. Stalin qualche anno dopo aveva programmato la distruzione degli ebrei russi e solo la sua morte impedì lo sterminio totale. Anche i cattolici fecero la loro parte a iniziare dal 1492 con l'editto di Isabella la Cattolica di Spagna.

Un po' di storia: l'ebraismo è la più antica religione monoteista del mondo, e conta in tutto il mondo 14 milioni di fedeli. Una ben esigua minoranza se si considera che l'islamismo ha circa un miliardo e trecento milioni di seguaci, ed è la seconda religione, dopo la cattolica che conta due miliardi di fedeli. Iniziamo con un po' di storia perché temo che molti lettori non abbiano le idee chiare: Israele divenne una nazione nel 1312 a.C. e ben duemila anni prima della nascita dell'Islam. Sin da quella data, gli ebrei hanno avuto il controllo del Paese per un migliaio di anni con una continuità di presenza negli ultimi 3300 anni. L'unico possesso arabo dopo la conquista dal 635 d.C. durò solo ventidue anni. Gerusalemme è stata la capitale degli ebrei per oltre 3300 anni, mentre non è mai stata la capitale di una qualsiasi entità araba o musulmana. Anche quando i giordani occuparono Gerusalemme non pensarono mai di farne la loro capitale e nessun leader arabo andò mai a visitarla.
Gerusalemme è menzionata oltre settecento volte nel Tanach, le Sacre Scritture ebraiche, mentre non è menzionata neppure una volta nel Corano. Re David fondò la città di Gerusalemme; Maometto non andò mai a Gerusalemme; e ancora, mentre gli ebrei pregano con il volto verso la città, i musulmani pregano invece con la schiena rivolta a Gerusalemme. E mi pare che ce ne sia abbastanza.
La storia moderna di Israele inizia praticamente dopo la prima guerra mondiale, quando la Gran Bretagna ottiene il controllo della Palestina e condivide l'idea del ministro degli esteri di creare "una casa nazionale" per gli ebrei.
Nel 1929 scoppiano i primi disordini fra arabi ed ebrei per una disputa sul Muro del Pianto; ed anche i primi attentati terroristici. Nel 1939, e negli anni successivi, molti ebrei per sfuggire ai nazisti arrivano come profughi in Palestina, ma gli arabi si alleano per contrastarne l'insediamento.
Nel 1947, l'Organizzazione delle Nazioni Unite vota a favore della divisione della Palestina in due stati: uno arabo ed uno ebraico. L'indipendenza di Israele è annunciata da David Ben Gurion con grande entusiasmo. Infatti l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò nella seduta del 10 dicembre 1948 la "Dichiarazione Universale dei diritti dell'Uomo" e nel preambolo veniva precisato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. Ma sono valide queste parole e si può avere ancora fiducia nell'Onu se nel 1974, dichiarò che "sionismo è eguale a razzismo", se la conferenza a Durban nel 2001 contro il razzismo si tramutò in una conferenza contro Israele e se più del trenta per cento di tutte le risoluzioni della Commissione per i diritti dell'Uomo sono state contro Israele? Ma come si è comportata l'Onu nel 2004? A questa domanda rispose ben chiaramente nel suo libro "Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci". Ecco cosa ha scritto la grande scrittrice:

"Ma cosa è l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 2004? L'Onu è la somma di tutte le ipocrisie, il concentrato di tutte le falsità. È una banda di mangia-a-ufo che a New York si permettono ogni infrazione legale perchè possiedono l'immunità parlamentare. È una mafia di sottosviluppati e di imbroglioni che ci menano per il naso. Basta pensare che ai figli di Allah, l'Onu ha consentito di non firmare la 'Carta dei diritti umani' e sostituirla con la 'Carta dei diritti umani in Islam'. Vale a dire l'elenco degli orrori autorizzati o predicati dal Corano. L'Onu che fra i suoi segretari generali ha avuto Kurt Waldheim, cioè un tipo su cui ancora oggi pesa l'accusa di aver partecipato, come ufficiale della Wehrmacht, agli arresti degli ebrei, un tipo che durante il suo doppio mandato non ha mai perso una occasione per punire Israele e favoreggiare spudoratamente gli arabi. Cosa ha mai fatto l'Onu? Ha mai mosso un dito per chiudere i gulag e difendere le vittime di Stalin? Ha mai aperto bocca per frenare la spietata dittatura di Mao Tse Tung, per condannare i maoisti che distruggevano i millenari templi di Lhasa e massacravano i monaci buddisti e i contadini del Tibet? Ha mai fermato il genocidio compiuto in Cambogia? Ha mai tirato le orecchie al cannibale Bokassa che quando era presidente della Repubblica Centrafricana, cucinava i suoi avversari? Ha mai messo al bando il regime schiavista dell'ultra islamico Saddam? Ha mai criticato i talebani dell'Afghanistan?... L'Onu non ha mai condannato l'antisemitismo che appesta l'Europa. Nel 1975 dichiarò in compenso che sionismo è razzismo e lo scorso luglio ha votato contro il muro antikamikaze che Sharon sta costruendo al confine con i territori palestinesi. Contro il muro anche l'Unione Europea, e lo ha dichiarato illegale anche la Corte Internazionale dell'Aja. Un verdetto degno di Chamberlain e Daladier al Patto di Monaco… ".

Penso sia doveroso fare conoscere i millecinquecento anni di persecuzioni subite dagli ebrei. La "Shoah" è stato solo l'ultimo e tragico anello di una lunga serie di persecuzioni. Eccone la documentazione :

Anno 537: Editto di Giustiniano che priva gli ebrei dell'eguaglianza civile e della libertà religiosa;
Anno 613: I Persiani occupano Gerusalemme;
Anno 624: Maometto muove guerra agli ebrei che non riesce a convertire all'Islam;
Anno 629: Battesimi forzati ed espulsione degli ebrei di Francia sotto il regno di Re Dagoberto;
Anno 637: Il Califfo Omau si impossessa di Gerusalemme;
Anno 694: Tutti gli ebrei di Spagna vengono ridotti in schiavitù;
Anno 1070: I Segiuchidi prendono Gerusalemme;
Anno 1096: Prima Crociata e massacro delle comunità ebraiche in Europa;
Anno 1099: Goffredo di Buglione si impossessa di Gerusalemme e gli ebrei vengono cacciati;
Anno 1113: Primo pogrom a Kiev, in Russia;
Anno 1144: prima accusa di assassini rituali;
Anno 1147: Seconda Crociata;
Anno 1148: Massacri di ebrei ad opera degli Almoadi in Spagna. Luigi VII di Francia arriva a Gerusalemme;
Anno 1182-1198: Filippo Augusto mette al bando gli ebrei di Francia;
Anno 1187: Saladino prende Gerusalemme;
Anno 1189: Massacro degli ebrei in Inghilterra;
Anno 1204: Quarta Crociata;
Anno 1215: Il Papa Innocenzo III inventa un "distintivo" per gli ebrei;
Anno 1228: Federico II di Germania entra in Gerusalemme;
Anno 1244: I Turchi occupano Gerusalemme e si organizza una nuova Crociata; Anno 1254: in Francia banditi gli ebrei;
Anno 1290: Espulsione degli ebrei dall'Inghilterra;
Anno 1320: Crociata dei "Pastorelli" in Francia;
Anno 1330-1338: massacri di ebrei in Germania;
Anno 1348: La "Morte Nera" provoca uno sterminio fra gli ebrei;
Anno 1391: Massacro di ebrei a Siviglia e battesimi forzati in Spagna;
Anno 1394: Ultima cacciata degli ebrei di Francia per opera di Carlo VI;
Anno 1421: Espulsione degli ebrei da Vienna;
Anno 1481: Nasce l'Inquisizione in Spagna;
Anno 1492: Espulsione degli ebrei dalla Spagna;
Anno 1495: Espulsione degli ebrei dalla Lituania;
Anno 1498: Espulsione degli ebrei dal Portogallo;
Anno 1516: creazione del Primo Ghetto a Venezia;
Anno 1532: Opuscolo di Martin Lutero prima pro e poi contro gli ebrei;
Anno 1553: Il Papa dei cattolici brucia il Talmud a Roma;
Anno 1653-1656: Massacri di ebrei in Germania, Polonia, Ucraina e Austria;
Anno 1670: Espulsione degli ebrei da Vienna;
Anno 1764: Fine della autonomia delle Comunità ebraiche in Polonia;
Anno 1768: Pogrom in Polonia;
Anno 1815: Inizio in tutta l'Europa della reazione contro il movimento d'emancipazione degli ebrei;
Anno 1827: Lo zar Nicola I ordina la conversione forzata dei fanciulli ebrei;
Anno 1866: Pogrom di Jassy in Romania e gli ebrei diventano stranieri;
Anno 1870: Pogrom in Romania;
Anno 1883: Pogrom in Russia;
Anno 1891: Espulsione degli ebrei da Mosca;
Anno 1894: In Francia l'affaire Dreyfus;
Anno 1903: Pogrom di Kiscinev;
Anno 1905: In Russia pogrom di ottobre;
Anno 1918-1921: pogrom in Russia e pubblicazione dei falsi "Protocolli dei Savi di Sion";
Anno 1933: Arrivo al potere in Germania di Hitler ed inizia la lotta di annientamento agli ebrei;
Anno 1936-1940: legislazione antisemita e persecuzioni in Romania, Italia e Austria;
Anno 1939-1945: Seconda guerra mondiale: massacro nazista di 6 milioni di ebrei;
Anno 1943: Rivolta del ghetto di Varsavia e annientamento generale.

E qual è la situazione, oggi? Non è cambiato nulla, perché la conferenza "Durban 2 antirazzista" è completamente fallita. Il testo presentato alla vigilia era chiaramente antisemita, tanto che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, nel corso di una conferenza stampa aveva dichiarato che "ad oggi non ci sono ancora le condizioni per cui l'Italia partecipi a Durban 2. Non esistono le condizioni per reimpegnarsi nel negoziato e pertanto l'Italia manterrà fermo un atteggiamento di disimpegno, così come hanno fatto anche gli Stati Uniti d'America". Ancora a pochi giorni dall'inizio della Conferenza il ministro Frattini aveva avuto lunghi contatti telefonici con i suoi colleghi di Gran Bretagna, Francia, Germania, Svezia, Olanda e Danimarca, spiegando loro i dubbi dell'Italia, innanzi tutto in relazione al richiamo che tuttora si fa alle conclusioni di "Durban 1", per cercare di trovare una posizione unitaria di tutti gli Stati dell'Europa sugli sviluppi dei lavori di Ginevra. Ha aggiunto Frattini: "Desideriamo una conferenza equilibrata e dunque continueremo fino all'ultimo a lavorare con gli altri colleghi europei per arrivare alle condizioni necessarie, ma per ora non ci sono".
La prima conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo si era tenuta nel settembre 2001 e dopo tre giorni Stati Uniti e Israele avevano lasciato i lavori per un duro attacco, sulla bozza da approvare, allo Stato di Israele. Anche questa volta non appena Ahmadinejad, presidente dell'Iran, prende a parlare è solo per sferrare un duro attacco ad Israele "i veri razzisti sono i sionisti" che provoca l'abbandono della sala da parte dei rappresentanti europei. Orrore e rabbia di Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, sopravvissuto all'olocausto che giustamente definisce Ahmadinejad "primo negazionista del mondo". E continua: "È una vergogna per le Nazioni Unite, per la democrazia, per l'umanità intera. L'Onu ha commesso un grande errore, gli ha permesso di dettare la linea a tutta la conferenza con il discorso di apertura. Neppure Auschwitz è riuscita a guarire il mondo dal male antico dell'antisemitismo". Ma nonostante il violento intervento del presidente dell'Iran, la Conferenza è terminata (anche se con due giorni di anticipo) con la approvazione di un documento da parte di tutte le delegazioni rimaste. Anche il Vaticano è rimasto, pur deplorando le posizioni estremiste e offensive.
Al ritorno in Iran, il presidente Ahmadinejad è stato accolto come un eroe e festeggiato, mentre i militanti fondamentalisti urlavano slogan come "Morte agli Stati Uniti d'America" e "Il regime sionista va sradicato". Conferenza inutile, se non gravemente dannosa e che ha dato ragione all'Italia e agli Stati Uniti d'America che l'hanno disertata.
Intanto proprio nei giorni della "Conferenza dell'Onu" Gerusalemme si è fermata al suono delle sirene per ricordare tutte le vittime dell'Olocausto. "Israele è forte e non ci sarà una seconda Shoah" ha assicurato il presidente premier Benjamin Netanyahu". Ne sono convito: la storia di Israele ha tremila anni e nessuno è riuscito a fermarla. Fra i tanti che hanno tentato non è riuscito Hitler e non ci riuscirà Ahmadinejad, il nuovo Hitler, forse più pericoloso ancora del suo maestro nazista.

(Avanti!, 4 maggio 2009)





3. TRACCE DI NAZISMO SUL SIMBOLO SONORO DELL'EUROPA




L'inno che odora di zolfo

da un articolo di Esteban Buch

Il simbolo sonoro dell'Europa è opera di un ex membro del partito nazista. Ecco perché e in quale senso preciso. L'inno europeo è la melodia strumentale dell'"Inno alla gioia" tratto dalla Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven, creata a Vienna nel 1824. Un Consiglio europeo gli ha riconosciuto questo statuto nel 1985, in conseguenza di un'iniziativa presa tredici anni prima dal Consiglio d'Europa.
    Ora, nel 1972 l'arrangiamento ufficiale fu realizzato da Herbert von Karajan, direttore della Filarmonica di Berlino, che ne pubblicò la partitura sotto le edizioni Schott, ne fece un'orchestrazione presso la Deutsche Grammophon e ne orchestrò il lancio nei media. Questo brano, che è sempre riconosciuto dal Consiglio d'Europa e dall'Unione europea, è tecnicamente un'opera di creazione tutelata dai diritti d'autore, e l'autore in questione è stato membro del NSDAP [il partito nazista] dal 1935 al 1945.
    Non che il contributo artistico di Karajan sembri impareggiabile [...] il lavoro dell'arrangiatore è consistito nel copiare/incollare tre frammenti di Beethoven. Il fatto è che Karajan, soprannominato Generalmusikdirektor d'Europa, era stato sollecitato soprattutto a causa della sua notorietà.
    Il 24 luglio 1971 il segretario generale del Consiglio d'Europa, Lujo Toncic-Sorinj, gli scrive da Strasburgo:

"Dopo aver consultato diversi colleghi dell'Assemblea, vorrei chiederti di dirigere la versione ufficiale dell'inno. Per fare questo mi rimetto completamente ai tuoi suggerimenti e ai tuoi desideri, ivi compreso quello che concerne l'orchestra e il luogo dell'esecuzione". La risposta da Salzburg non tarda ad arrivare: "Herr von Karajan è molto interessato alla prospettiva di arrangiare l'"Inno alla gioia" e di eseguirne la direzione per un disco".

Come si vede, l'idea di affidare a quest'ultimo non soltanto la direzione dell'inno ma anche il suo arrangiamento non è venuta dal Consiglio d'Europa, ma... da Karajan stesso.
    Nei mesi seguenti ci furono intense discussioni sui diritti d'autore, i quali, secondo un memorandum interno del 25 gennaio 1972, costituirono "una preoccupazione per numerose persone". Molti documenti mostrano che alti funzionari speravano di vedere il direttore d'orchestra rinunciare a questi diritti "nella preocupazione di evitare (così un memorandum del 28 gennaio) che l'inno europeo porti profitto finanziario a una persona o a una casa editrice".
    
Questi testi mostrano anche la tenacia con cui Karajan rifiutò ogni concessione su questo punto, e insistette affinché la partitura e la registrazione fossero fatte con i partner abituali, Schott e Deutsche Grammophon. Il segretario generale in persona gli chiese invano di cedere i suoi diritti: "Dopo aver contattato personalmente Monsieur von Karajan a Salzburg - spiega in un altro memorandum - lui ha fatto sapere al Comitato dei ministri che Monsieur von Karajan resta il proprietario del nuovo adattamento dell'opera di Beethoven, concepita come inno europeo."
E' in queste condizioni che il 5 maggio 1972, giornata dell'Europa, l'inno europeo è stato lanciato in Eurovisione sopra le immagini di Herbert von Karajan e della sua orchestra, mescolate con quelle della bandiera blu a dodici stelle. Evidentemente l'istituzione di Strasburgo non era stata capace di imporsi al musicista più potente d'Europa, come non era stato capace Toncic-Sorini, nonostante i suoi legami personali con lui.
    Questi legami tuttavia sembrano essere stati reali, perché nella prima lettera, mentre gli dice che ha l'indirizzo di suo fratello Wolfgang, gli dà del tu e del "caro amico". Herbert von Karajan è nato a Salzburg nel 1908, in una famiglia borghese diventata nobile, di sensibilità conservatrice. Lujo Toncic-Sorinj, nato a Vienna nel 1915 da una linea di aristocratici diplomatici, aveva vissuto a Salzburg durante la sua adolescenza.
    La sua elezione, nel 1969, alla testa del Consiglio d'Europa fu il coronamento di una carriera condotta dalla fine della seconda guerra mondiale in seno all'ÖVP (Partito del Popolo austriaco), che tra il 1966 e il 1968 l'aveva portato ad essere Ministro degli Affari Esteri del suo paese. Il suo successore a quest'ultimo posto fu il suo correligionario Kurt Waldheim, futuro segretario delle Nazioni Unite, il cui nome resta legato allo scandalo internazionale che scoppiò durante la campagna presidenziale del 1986 a proposito del suo passato di agente d'intelligence della Wehrmacht.



In effetti, l'episodio dell'inno europeo fa parte delle ambiguità storiche della destra austrica nei riguardi dell'Anschluss e dell'estrema destra, rimessa all'ordine del giorno nel 2000, quando l'Austria incorse nelle sanzioni dell'Unione europea a causa dell'alleanza dell'ÖVP del cancelliere Wolfgang Schüssel con il partito di Jörg Haider.
    Così come il passato di Waldheim, dopo gli anni '80, l'appartenenza di Herbert von Karajan al NSDAP ha dato luogo a interpretazioni controverse. I fatti, tuttavia, sono stati accertati. Il direttore d'orchestra riempì un formulario [di richiesta di adesione al NSDAP, ndt] l'8 aprile 1933 a Strasburgo, ma la pratica non ebbe seguito a causa del blocco delle iscrizioni che seguì la presa del potere da parte di Hitler. Nel marzo 1935, quando era in procinto di essere nominato Generalmusikdirektor a Aix-la-Chapelle, consegnò una seconda domanda che, questa volta, fu completata in forma adatta e gli valse la tessera n. 3 430 914. L'esito negativo della prima domanda non dispensa dall'interrogarsi su quello che ha potuto spingere questo giovane austriaco a unirsi al partito nazista tedesco fin dall'aprile del 1933.
    Nonostante la scarsezza degli indizi, la prima ipotesi da considerare resta sempre la simpatia verso le idee del partito in questione. Quanto alla domanda del 1935, stando alle dichiarazioni di Karajan nel 1946, sarebbe dovuta a una condizione richiesta per ottenere il posto a Aix-la-Chapelle. E' dunque l'interesse all'origine della tesi di un comportamento opportunista, in partenza apolitico.
    Ma al di là del problema delle origini, ci si può chiedere se un tale cinismo al servizio dell'ambizione non sarebbe più vicino all'ideologia nazista di un atto obbligato di fedeltà al Führer. E' evidente che, nell'ambito di uno spettro che va dal bianco-resistente al nero-boia, si tratta di una forma di grigio scuro e, in nessun caso, di un comportamento esemplare di fronte alla dittatura.
    Ora, i simboli sono tenuti ad avere un carattere di esemplarità, se non vogliono affievolire i valori di cui sono la rappresentazione sensibile nello spazio pubblico. In quest'ultimo caso [i simboli] restano esemplari, certo, ma soltanto dei compromessi storici da cui sono usciti. L'"Inno alla gioia" di Beethoven fu scelto per rappresentare l'Europa non soltanto per la sua grandezza musicale, ma anche per i valori proclamati nel famoso verso di Schiller che la melodia strumentale evoca senza il canto: "Tutti gli uomini diventano fratelli". A priori, è meno convincente nella bocca di un membro del partito nazista, anche se dovesse essere, come alcuni pensano, il più brillante direttore d'orchestra. Per questo, a venti anni dalla morte di Herbert von Karajan, la vera questione sollevata dal suo arrangiamento della Nona supera quella delle convinzioni o motivazioni che aveva all'epoca della sua vita. La vera questione è, come un'ironia della storia, quella della traccia persistente dell'organizzazione responsabile della seconda guerra mondiale e della Shoa sul simbolo di una Europa che pretende di fare dei diritti dell'uomo e della democrazia lo zoccolo morale del suo progetto politico.
    Persistente, in effetti. Oggi l'arrangiamento di Karajan dell'inno europeo è sempre disponibile presso Schott e Deutsche Grammophon. E' sempre riconosciuto dal Consiglio d'Europa - che tuttavia ha lanciato delle "variazioni" sull'"Inno alla gioia" in stile jazz, rom o hip-hop, passando per il classico - come la sola versione ufficiale. E' regolarmente utilizzato dall'Unione europea per le sue cerimonie, sia in Europa che all'estero.
    In prossimità di elezioni europee segnate dalla crisi, si potrebbe pensare che questa contraddizione non abbia che un valore... simbolico, cioè insignificante. Ma si può ritenere invece che è un problema, e che l'Europa debba mettersi in accordo con i suoi valori. Un inno non è che quello che ne fanno le persone. In ogni caso, dal momento che si tratta di un simbolo politico, è anche una questione politica

(Le Monde.fr, 3 maggio 2009 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





4. LE NUOVE IDEE DI BENJAMIN NETANYAHU




"Ora i due Stati sono più difficili"

di Maurizio Molinari

«Ecco quali sono le nuove idee che ha in mente Benjamin Netanyahu».

Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum, è fra gli esperti di Medio Oriente americani più al corrente degli umori di Gerusalemme e parla di «nuovo approccio al negoziato».

- Di cosa si tratta?
- «Netanyahu appartiene a quegli israeliani che non credono più alla soluzione dei due Stati, perché comporta la volontà da parte dei palestinesi di accettare Israele come Stato ebraico. I palestinesi hanno dimostrato di non averla, come anche di non essere in grado di creare tale Stato. Dunque Netanyahu è portatore, come il ministro degli Esteri Lieberman, di un approccio differente ».

- Differente sotto quale aspetto?
- «Finora i governi israeliani hanno dato la priorità alla creazione politica dello Stato palestinese, negoziando su confini e forze di sicurezza, ora invece Netanyahu ritiene che la priorità debba essere il consolidamento, economico e sociale, di una società palestinese senza la quale uno Stato indipendente non può nascere. Per Netanyahu l'errore commesso dai governi israeliani precedenti, da Oslo in poi, è stato quello di dire "diamogli uno Stato e poi si pensa al resto", ma questo approccio non ha funzionato perché i palestinesi hanno dimostrato di non essere in grado di creare uno Stato indipendente, continuando invece a dedicare energie e risorse ad attaccare Israele».

- Può Barack Obama accettare questo nuovo approccio?
- «No ed è per questo che Netanyahu ci arriverà per gradi. Quando arriverà a Washington si dirà in favore dei due Stati ma lo farà con un linguaggio sufficientemente ambiguo da lasciare la porta aperta ad altri tipi di soluzioni. Netanyahu non ha alcun interesse a entrare in contrasto con Obama, farà di tutto per evitarlo e dunque si concentrerà con lui a parlare di questioni tecniche, non di grandi principi. In maniera simile a come faceva il premier Yizhak Shamir quando veniva a Washington negli anni prima gli accordi di Oslo».

- Israele sta ripensando gli accordi di Oslo?
- «La maggioranza degli israeliani, secondo i sondaggi, resta a favore della soluzione dei due Stati ma l'umore sta progressivamente cambiando. Oslo fu uno spartiacque perché da allora, nel 1993, Usa e Israele hanno condiviso un approccio al negoziato con i palestinesi fondato su progressive concessioni da parte di Israele al fine di far nascere lo Stato palestinese. Ma a 16 anni da allora possiamo dire che è stato un fallimento. Arafat a Camp David con Ehud Barack e poi Abu Mazen nel 2008 con Ehud Olmert hanno rifiutato di portare a compimento il processo di Oslo. Dunque ci avviamo a tornare alla fase pre-1993, quando c'era un disaccordo fra gli Stati Uniti, che premevano per ottenere concessioni da Gerusalemme, e Israele, che chiedeva prima di avere in cambio dei passi avanti da parte palestinese».

(La Stampa, 6 maggio 2009)





5. L'OCI: ORGANO RAPPRESENTATIVO DEL MONDO MUSULMANO




Come l'Europa è diventata complice dell'espansionismo musulmano

di Bat Ye'Or

La maggior parte degli europei non ha ancora compreso che le loro strutture nazionali e sovrane si sono già disintegrate nel multilateralismo e il multicolturalismo. Essi credono ancora di poter agire sul proprio destino nazionale restando nella sfera democratica che si sono creati. In realtà, il potere decisionale a livello nazionale relativo alla politica interna ed estera è sfuggito loro di mano. Oggi le popolazioni dell'UE sono gestite da organizzazioni internazionali, come le Nazione Unite, la Fondazione Anna Lindh, l'Alleanza delle Civiltà, l'Organizazione della Conferenza Islamica (OCI) e la sua filiale l'ISESCO, interconnesse in reti che diffondono la governance mondiale in cui predomina l'influenza dell'OCI sull'ONU. Il trasferimento del potere fuori dai confini nazionali dei singoli stati membri dell'Unione Europea verso le organizzazioni internazionali avviene attraverso strumenti detti «dialogo» e «multilateralismo» legati a reti designate dagli stati: Dialogo Euro-Arabo, Medea, Processo di Barcellona, Unione per il Mediterraneo, Fondazione Anna Lindh, Alleanza delle Civiltà, Parlamento Euro-Mediterraneo (PEM) ecc. Queste reti trasmettono direttive a delle sottoreti, a miriadi di ONG e ai rappresentanti delle «società civili» che scelgono essi stessi, attivisti dell'immigrazione e del multiculturalismo. La rete delle istituzioni politiche, i cosiddetti «think tank», spesso finanziata dalla Commissione europea, trasforma tali direttive in opinione pubblica mescolandole sulla stampa, nelle pubblicazioni, nei film, veri e propri inghiottitoi di miliardi.
    Le popolazioni europee sono chiuse in un gioco di specchi che si rinviano, a tutti i livelli sino all'infinito, le opinioni prefabbricate in base ad agende politiche e culturali che esse ignorano e spesso disapprovano. Questa trasformazione «di un'Europa delle Nazioni» in un'Europa unificata e integrata alle organizzazioni internazionali, come l'ONU, l'UNESCO, l'OCI, ecc., risponde alla strategia dell'UE in particolare nella sua dimensione mediterranea. Una tale ottica motiva le politiche sia dell'UE che dell'OCI, che si oppongono entrambe - per interessi diversi - ai nazionalismi culturali e identitari locali in Europa.
    Questo movimento promuove il multiculturalismo e l'internazionalismo di una popolazione europea destinata a trasformarsi e a sparire in virtù dell'unione delle due rive del Mediterraneo e di una immigrazione dell'Africa e dell'Asia incoraggiata dalla Dichiarazione Durban 2. Questa Dichiarazione è in conformità alla politica dell'OCI in riguardo all'emigrazione. A tale scopo, la nozione stessa e la coscienza di una civiltà europea peculiare e specifica, nel corso di millenni, si dissolve mentre si continuano a combattere con accanimento le identità culturali europee assimilate al razzismo.
    L'OCI segue un percorso simile all'Unione europea, organizzandosi come forza transnazionale, ma, contrariamente all'UE, si afferma grazie al radicamento della ummah nella sfera della religione, della storia e della cultura coranica. Cosa è l'OCI? Questa è un'organizzazione centrale creata nel 1969 per distruggere Israele. Essa riunice 56 stati membri (musulmani o a maggioranza musulmana) e l'Autorita Palestinese. Questi stati sono in Asia, Africa et Europa con l'Albania, la Bosnia Herzegovina e il Kossovo. L'OCI è la seconda organizzazione intergovernativa dopo le Nazioni Unite e rappresenta un miliardo trecento milioni di musulmani.
    All'11o Vertice islamico svoltosi a Dakar il 13 e 14 marzo 2008, l'OCI ha adottato una Carta che ne sancisce i principi e gli obiettivi, il primo dei quali consiste nell'unificazione della ummah (la comunità islamica mondiale) attraverso il suo radicamento nel Corano e nella Sunna, e la difesa solidale delle cause e degli interessi musulmani sul pianeta. Questa politica spiega la recrudescenza di religiosità musulmana in generale, inclusa l'Europa, e di odio contro Israele e l'Occidente.
    I suoi organi principali sono:
1) il Vertice islamico, che rappresenta l'istanza suprema di decisione ed è composto dai re e dai capi di stato;
2) il Consiglio dei ministri degli esteri;
3) il Segretariato generale, che costituisce l'organo esecutivo dell'OCI e 4) la Corte islamica internazionale di Giustizia, che diventerà l'organo giuridico principale dell'organizzazione (articolo 14) e giudicherà in conformità con i valori islamici. (art. 15).
    L'OCI è dotata di una struttura unica fra le Nazioni e le società umane. In effetti, il Vaticano e le varie Chiese non hanno un potere politico, anche se in concreto fanno politica, poiché nel cristianesimo come nel giudaismo funzioni religiose e politiche devono restare rigorosamente separate. Lo stesso vale anche per le religioni asiatiche, i cui sistemi non riuniscono in un'unica struttura organizzativa religione, strategia, politica e sistema giuridico. Non solo l'OCI gode di un potere illimitato grazie all'unione e alla coesione di tutti i poteri, ma a questi aggiunge anche l'infallibilità conferita dalla religione. Riunendo sotto un solo capo 56 paesi, alcuni fra i più ricchi del pianeta, l'organizzazione controlla la maggior parte delle risorse energetiche mondiali.
    L'OCI è un'organizzazione religiosa e politica che appartiene alla sfera di influenza dei Fratelli Musulmani con cui condivide in tutti i casi la visione strategica e culturale di una comunità religiosa universale, la ummah, ancorata al Corano, alla Sunna e all'ortodossia canonica della shari'a. Che la religione sia un fattore prioritario per l'OCI si evidenzia dal suo linguaggio e dai suoi obiettivi. Così la conferenza di Dakar (marzo 2008) prende il titolo di Conferenza del Vertice islamico, Sessione della ummah islamica del XXI secolo.
    Nel preambolo della Carta dell'OCI, gli stati membri confermano la loro unione e la loro solidarietà ispirate dai valori islamici al fine di rafforzare nell'arena internazionale i loro interessi comuni e la promozione dei valori islamici. Essi s'impegnano a rivitalizzare il ruolo di pioniere dell'islam nel mondo, a sviluppare la prosperità negli stati membri e, al contrario degli stati europei, ad assicurare la difesa della loro sovranità nazionale e della loro integrità territoriale. Dichiarano che la vera solidarietà implica necessariamente il consolidamento delle istituzioni e la profonda convinzione di un destino comune in base a valori comuni definiti nel Corano e nella Sunna (par. 4) che stabiliscono i parametri della buona governance islamica. Essi raccomandano che i mezzi di informazione contribuiscano a promuovere e sostenere le cause della ummah e i valori dell'islam mentre l'OCI si impegna in forme di solidarietà con le minoranze musulmane e le comunità di immigrati nei paesi non musulmani e collabora con le organizzazioni internazionali e regionali per garantire i loro diritti nei paesi stranieri.
    L'OCI si impegna inoltre a stimolare i nobili valori dell'islam, a preservarne i simboli e la loro eredità comune e a difendere l'universalità della religione islamica, in termini più chiari, la diffusione universale dell'islam (da'wah). Si impegna a inculcare i valori islamici nei bambini musulmani e a sostenere le minoranze e le comunità di immigrati musulmani all'esterno degli stati membri al fine di preservarne la loro dignità, identità culturale e religiosa e i loro diritti. Affermano il loro sostegno alla Palestina con capitale Al-Quds Al-Sharif, il nome arabizzato di Gerusalemme.
    L'OCI sostiene tutti i movimenti musulmani di lotta come quello del popolo turco di Cipro, in Sudan, in Cina, dei Palestinesi, condanna l'occupazione dell'Armenia in Azerbaigian, del Jammu e Kashmir, l'oppressione dei musulmani in Grecia, in Myanmar, in Caucasia, in Thailandia, in India e nelle Filippine.
    Sulla scena della politica internazionale, l'OCI ha creato vari comitati per coordinare le iniziative e la politica in campo politico, economico, sociale, religioso, mediatico, educativo e scientifico sul piano interstatale dei paesi musulmani e internazionale. Gli obiettivi strategici della Carta sono tesi a: «Assicurare una partecipazione attiva degli stati membri [dell'OCI] al processo mondiale di presa di decisione nei campi della politica, dell'economia e del sociale, al fine di garantire i loro interessi comuni» (I-5); e a «promuovere e difendere posizioni unificate sulle questioni di interesse comune nei forum internazionali».
    Fra i suoi obiettivi, la Carta dell'OCI elenca la diffusione, la promozione e la preservazione degli insegnamenti e dei valori islamici, la diffusione della cultura islamica e la salvaguardia del patrimonio islamico (I-11); la lotta alla diffamazione dell'islam, la preservazione dei diritti, della dignità e dell'identità religiosa e culturale delle comunità e delle minoranze musulmane negli stati non membri (I-16). Questo punto indica la tutela sugli immigrati musulmani all'estero e le pressioni esercitate dall'OCI, attraverso il canale dei dialoghi e dell'Alleanza delle Civiltà, sui governi dei paesi di accoglienza non musulmani.
    Essendo un'organizazione musulmana religiosa, come lo dice pure essa stessa, l'OCI dichiara essere l'organo rappresentativo del mondo musulmano. Rivendica la sua solidarietà con tutte le minoranze musulmane che abitano negli stati non membri dell'OCI (vale a dire i paesi non musulmani). Per queste minoranze, l'OCI domanda il godimento degli diritti dell'uomo elementari, fra cui la protezione dell'identità culturale, il rispetto delle loro leggi in modo da proteggersi contro qualsiasi forma di discriminazione, oppressione ed esclusione, il salvataggio del patrimonio culturale dei musulmani negli stati non musulmani. L'OCI considera suo compito proteggere il diritto alla cultura, alla religione e all'identità culturale degli immigrati musulmani e di promuoverli nelle sfere del potere, di autorita e di influenza.
    Onde assicurare la protezione delle minoranze musulmane immigrate e stabilite in Occidente, e preservarne l'identità, l'OCI ha deciso di internazionalizzare la lotta all'islamofobia attraverso la cooperazione fra l'OCI e le altre organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l'Unione Europea, il Consiglio d'Europa, l'OSCE, l'Unione africana e così via. Anche in questo caso la politica dell'Unione Europea intesa a sostenere «la legalità internazionale» dell'ONU rinforza in realtà il controllo mondiale dell'OCI che predomina in tutte le istituzioni internazionali.
    Ma la priorità politica dell'OCI è naturalmente la distruzione di Israele e l'islamizzazione di Gerusalemme. L'OCI prevede di trasferire la sua sede da Gedda (Arabia Saudita) a al-Kuds, la Gerusalemme islamizzata. Come l'OCI ha i caratteri di uno califfato universale, la Gerusalema ebraica e cristiana diventata al Kuds e sarà la sede dove la sharia governerà, come a La Mecca, Gaza e i luoghi tenuti dai Talebani. Questa strategia si sviluppa in associazione con molte chiese e l'Europa. L'OCI vuole che l'eliminazione di Israele sia fatto come un atto di profondo odio dall'insieme del pianeta, ma specialmente dagli Occidentali. In altre parole vuole che siano i Cristiani che distruggano la radice della loro spiritualità. Questo sarebbe un altro parricidio dopo la Shoah. La propaganda globale di odio contro Israele che si manifesta nei canali occidentali con l'argomento della vittimologia e l'innocenza palestinese proviene dall'OCI. L'Europa palestinizzata, e volontariamente colpevolizzata, continua a dare sostegno, finanziario, diplomatico, politico e mediatico alla Palestina e a promuovere l'emergenza del Califfato universale a al-Kuds sulle rovine dell'antica Gerusalemme.

(Informazione Corretta, 6 maggio 2009)





6. PANORAMA MESSIANICO DA GERUSALEMME




Ebrei messianici sotto i riflettori

«Io ho annunziato, salvato, predetto, e non è stato un dio straniero in mezzo a voi; voi me ne siete testimoni, dice il SIGNORE... » (Isaia 43:12)

di Gershon Nerel

In Israele l'interesse del pubblico per gli ebrei credenti in Yeshua continua ad essere alimentato da reportage dei media in ebraico e in inglese. Venerdì 13 febbraio 2009 è apparso un altro lungo articolo su Up Front, il supplemento settimanale del Jerusalem Post in lingua inglese. L'attenzione dei lettori su questo articolo è stata attirata da un vistoso titolo sulla prima pagina del Jerusalem Post. Il titolo diceva: «La fede avanza: 7.000 credono in Gesù come loro Redentore». Nel supplemento è stato aggiunto un sottotitolo: «Con grande irritazione dell'establishement in Israele».
    Il servizio sugli ebrei messianici occupava sei intere pagine con foto a colori. Sulla copertina del supplemento settimanale si poteva vedere la foto di due giovani. Portavano T-shirt rosse con la scritta ebraica: «Yehudim Lema'an Yeshua» (Ebrei per Gesù) e distribuivano volantini per strada. Larry Derfner, il reporter del Jerusalem Post è riuscito a fare un articolo completo e obiettivo. Ha abilmente evitato di destare o confermare pregiudizi nei lettori.
    Nel suo articolo cita, senza censurarle, molte dichiarazioni di ebrei credenti in Yeshua. Qui di seguito alcuni esempi. «Yeshua è l'incarnazione del Dio di Abraamo, di Isacco e di Giacobbe - in una nuova epoca». «Io sono nato ebreo, ma nella fede non c'è differenza tra me e un cristiano evangelico». «Se mi rifiutassi di parlare di Gesù ai miei simili, sarebbe come se conoscessi la medicina per guarire l'AIDS e la tenessi per me».
    Dall'articolo si viene a sapere che il 50 percento dei circa 7.000 ebrei messianici in Israele sono nuovi immigrati dall'ex Unione Sovietica. Secondo altre stime, il numero degli ebrei messianici in Israele dovrebbe però arrivare a circa 10.000. Tra questi ci sono anche centinaia di nuovi immigrati dall'Etiopia. Su questo gruppo il giornalista scrive che «molti di loro preferiscono tenere per sé la loro fede». Simili credenti «nicodemiti» si possono trovare anche tra gli immigrati da altri paesi. Per paura della pressione sociale, economica e giuridica preferiscono per il momento tenere segreta la loro fede.
    Nell'articolo si fa anche notare che ci sono ebrei messianici che soffrono sotto angherie e persecuzione. La cattiva disposizione contro questi credenti viene aizzata da almeno due "Organizzazioni anti-missionarie" ultra-ortodosse, e precisamente Yad L'achim (Mano ai fratelli) e Lev L'achim (Cuore per i fratelli). Queste istituzioni arrivano ai limiti del legalmente lecito e del decoro, e qualche volta vanno anche oltre, denigrando e attaccando gli ebrei messianici. Gli attivisti ultra-ortodossi cercano di screditare pastori e anziani di comunità nei loro immediati dintorni attaccando in posti pubblici pashkevilim, cioè manifesti con le loro fotografie e con minacce.
    Secondo i dati esposti dal giornalista, in Israele ci sono circa 100 comunità messianiche. Ciascuna di loro costituisce un gruppo chiuso in se stesso, ma esiste tuttavia «una grande fluttuazione» nell'appartenenza alla comunità. Il reporter dichiara inoltre che gli ebrei messianici non gestiscono alcun centro chiuso in cui «i nuovi convertiti sono sottoposti a un lavaggio del cervello o a un 'bombardamento con amore'». I nuovi arrivati nelle comunità messianiche non vengono nemmeno allontanati dalle loro famiglie o dai loro amici. Se un membro vuole abbandonare la comunità, né lui né altri vengono obbligati a rimanere.
    Nel suo resoconto l'autore dell'articolo cerca di comportarsi come «obiettivo osservatore dall'esterno». Da una parte scrive: «Gli ebrei messianici in questo paese hanno una reputazione pessima», perché come attivi «missionari» parlano apertamente di Yeshua ad ogni ebreo (o non ebreo) che manifesta interesse. D'altra parte i «messianici» per il reporter non sono una setta, perché i credenti ebrei in Yeshua non hanno né una singola figura leader né un gruppo di leader, e a nessuna persona del loro ambiente attribuiscono proprietà divine. Nella sua esposizione mette anche in evidenza due aspetti contraddittori dello scenario ebreo-messianico in Israele: da una parte si nota una tendenza dei figli a non seguire la fede in Yeshua dei loro genitori; dall'altra si può osservare in altre famiglie una continuità della fede in Yeshua che passa di generazione in generazione, come per esempio in Yad Hashmona, un villaggio messianico (Moshav) nella zona collinare ebraica.
    Alla fine dell'articolo il giornalista descrive un concerto di musica messianica organizzato da credenti in Yeshua. A questa manifestazione hanno partecipato circa 1.000 visitatori. L'autore scrive: «Mille credenti messianici, di cui molti hanno genitori ebrei, si sono riuniti in una specie di 'casa protetta' per cantare inni a Gesù. Non sembravano minacciosi, anzi piuttosto innocui e vulnerabili. In questo spazio al sicuro dagli occhi del pubblico hanno potuto esprimere liberamente la loro fede.»

(Nachrichten aus Israel, aprile 2009 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

Messianic Jews worshipping Yeshua

NOTA - Chi volesse avere, per uso personale, il testo completo dell'articolo in inglese di Larry Derfner può richiederlo al nostro indirizzo.





MUSICA E IMMAGINI




Shabbat Shalom Yerushalayim




INDIRIZZI INTERNET




European Jewish Congress

1948, Naissance de l'État d'Israèl




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