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Notizie su Israele 464 - 30 maggio 2009

1. Una pagina di storia poco nota
2. L'Eurabia avanza
3. Vita quotidiana a Sderot
4. Hamas tra appeasement e persecuzioni
5. Libri
6. Musica e immagini
7. Indirizzi internet
Deuteronomio 10:14-16. Ecco, al Signore tuo Dio appartengono i cieli, i cieli dei cieli, la terra e tutto ciò che essa contiene; ma soltanto ai tuoi padri il Signore si affezionò e li amò; poi, dopo di loro, fra tutti i popoli scelse la loro discendenza, cioè voi, come oggi si vede. Circoncidete dunque il vostro cuore e non indurite più il vostro collo.
1. UNA PAGINA DI STORIA POCO NOTA




"Operazione Vendetta" nei boschi di Tarvisio,
criminali nazisti giustiziati dalla Brigata ebraica


Il racconto di Chaim Miller, 88 anni, tornato in Carinzia e in Friuli da Gerusalemme dove vive in un kibbutz. Decine di esecuzioni e i corpi sepolti nella Valcanale.

di Marco Di Blas

I boschi della Valcanale celano da oltre sessant'anni un segreto. Lungo le valli che si dipartono da Malborghetto, Camporosso, Tarvisio sono sepolti criminali nazisti giustiziati sommariamente da cellule della Brigata ebraica di stanza nella zona tra maggio e luglio del 1945, nell'ambito di un'operazione denominata "Nakam", che nella lingua ebraica significa "Vendetta". La loro ricerca, cattura e uccisione - con un colpo di pistola alla nuca o con un cappio al collo - costituisce un capitolo della storia della seconda guerra mondiale ancora non scritto, anzi rigorosamente taciuto per più di mezzo secolo.
    Del resto, neppure la storia della Brigata ebraica è molto conosciuta, almeno dalle nostre parti. Non ne sa nulla l'Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione. Non esistono
Aprile 1945 - Soldati della Brigata Ebraica stanno di guardia a prigionieri tedeschi in Italia
studi in materia all'Università di Udine. L'Associazione Italia-Israele di Gorizia è ovviamente a conoscenza dell'esistenza della Brigata ebraica, ma solo per i combattimenti a cui prese parte in Emilia e Romagna, inquadrata nell'Ottava Armata britannica, lasciando sul campo 700 caduti.
    In Friuli questa grande unità formata da volontari ebrei è transitata nel 1945 come un fantasma, apparentemente senza lasciare tracce. Ma dopo sessant'anni quelle tracce incominciano a riaffiorare. Un ampio articolo apparso sulla tedesca Die Zeit. Poi un documentario trasmesso, sempre in Germania, dall'emittente televisiva Zdf.
    La svolta arriva con il libro di Howard Blum La brigata. Una storia di guerra, di vendetta e di redenzione, edito in Italia dal Saggiatore nel 2005. E nello stesso anno arriva in Friuli il colonnello Jonathan Pelz, ex ufficiale della Brigata ebraica, che per la prima volta ne parla al Circolo ufficiali di Udine e a Tarvisio. Pelz riferisce non soltanto sulle operazioni militari della brigata, ma accenna anche «all'Operazione Vendetta nei confronti di criminali nazisti nascosti in Carinzia».
    Su questi episodi interviene ora un protagonista dall'Operazione Nakam, forse l'ultimo ancora in vita, che per la prima volta dopo 64 anni ritorna nei luoghi che lo videro giovane soldato della Brigata ebraica e rivela che le esecuzioni ebbero luogo non in Carinzia, ma proprio nel Tarvisiano, dove tuttora sono sepolti i corpi degli ex nazisti giustiziati.
    Si chiama Chaim Miller, è nato 88 anni fa a Vienna e ora vive in un kibbutz nelle vicinanze di Gerusalemme. Lo abbiamo incontrato a Villach, dove ha soggiornato in questi giorni, per rivisitare i luoghi dell'Operazione Nakam e renderli per la prima volta pubblici davanti all'obiettivo di una troupe televisiva (il documentario che ne deriverà sarà trasmesso dall'Orf e messo a disposizione di altre emittenti europee). La sua è una storia inedita, fino a ieri taciuta persino in famiglia. Ora invece ne parla senza esitazione, con voce robusta e giovanile. Soltanto l'udito un po' debole tradisce l'età avanzata.
    Perché dunque l'Operazione Nakam? Perché la vendetta?
    «Tarvisio - risponde - era diventata allora un punto di transito di migliaia di ebrei, che fuggivano da ogni angolo d'Europa per raggiungere il Mediterraneo e poi la Palestina. Noi li vedevamo passare e apprendevamo da loro le atrocità subite. Già in Palestina avevamo avuto notizia delle persecuzioni naziste, ma la realtà che ci veniva riferita da questa gente in fuga superava ogni immaginazione. L'idea di fargliela pagare è nata da questa esperienza. E dalla constatazione che le autorità britanniche, che presidiavano la Carinzia, non muovevano un dito per punire i nazisti che si erano macchiati dei crimini».
    L'Operazione Nakam si sviluppa attraverso la formazione, all'interno della Brigata ebraica, di cellule di 8-10 persone, che agiscono indipendentemente l'una dall'altra in tutta la Carinzia, fino al Tirolo orientale (Lienz) da una parte, ma anche fino a Vienna dall'altra.
La testimonianza di Chaim Miller si limita al suo gruppo, perché degli altri non ha informazioni certe, proprio per la segretezza dell'operazione: «Ricevevamo indicazioni sulla presenza di ex nazisti dai partigiani jugoslavi. Di giorno facevamo sopralluoghi per localizzare le persone. La nostra uniforme britannica (distinta soltanto dalla stella di Davide su una manica, ndr) ci consentiva di attraversare il confine di Coccau e di muoverci liberamente».
    La cattura delle persone accusate di crimini avveniva però sempre all'imbrunire: «Bussavamo alla porta, presentandoci come polizia militare. Invitavamo le persone ricercate a seguirci al comando per essere interrogate, ma anziché al comando le portavamo in Italia, dove potevamo agire senza problemi. Raggiungevamo una baita in un bosco tra Tarvisio e Malborghetto, dove la persona fermata veniva interrogata da altri membri della cellula. Se le accuse nei suoi confronti trovavano conferma, lo si fucilava sul posto, seppellendolo in una fossa che prima lo avevamo costretto a scavare».
    Miller non ha dubbi - come non ne aveva allora - che quell'esecuzione fosse giustificata e non teme che le vittime, in quello
Nella Brigata Ebraica militavano più di 30.000 soldati, di cui 734 sono caduti. Questo è il loro memoriale in Israele
stato di costrizione e di paura, potessero aver ammesso anche colpe non loro. A controprova menziona il caso di un sospettato lasciato libero dopo l'interrogatorio, perché le accuse nei suoi confronti non erano parse sufficientemente provate.
    Quante esecuzioni sono avvenute nel Tarvisiano nell'ambito dell'Operazione Nakam? Miller personalmente ha partecipato a una decina. Non sa dire nulla dell'operato delle altre cellule, ma, considerando il numero delle persone coinvolte e la breve permanenza a Tarvisio della Brigata ebraica (trasferita nell'estate 1945 in Belgio e Olanda), ritiene che il numero complessivo di nazisti eliminati sia inferiore a cento (ma il colonnello Pelz, in occasione della sua venuta in Friuli quattro anni fa, aveva parlato di 124 esecuzioni).
    Il velo di silenzio su questo tragico capitolo è stato appena sollevato. Ma le rivelazioni di Chaim Miller potranno essere di stimolo a ulteriori ricerche negli archivi britannici e israeliani per fare piena luce sugli accadimenti di 64 anni fa. Se non altro perché ora sappiamo che le vittime di quelle esecuzioni riposano ancora in terra italiana.

(Il Giornale del Friuli Libero, 30 maggio 2009)





2. L'EURABIA AVANZA




Saremo tutti velati?

«Il Vecchio continente è già connivente di chi vuole costringerlo alla condizione di dhimmi». L'allarme di Bat Ye'or, autrice di Eurabia.

di Michael Sfaradi

«Il califfato universale è un obiettivo che l'Organizzazione della Conferenza Islamica (Oci) vuole ottenere usando diverse strategie, un progetto che porterà alla completa islamizzazione del mondo libero, una dominazione che sarà possibile anche grazie alla complicità dei governi occidentali». Conserva i toni forti e le affermazioni tranchant a cui ha abituato i suoi lettori Bat Ye'or, l'autrice di Eurabia che ha da poco dato alle stampe (per Lindau) Il califfato universale, un libro in cui prevede la completa sottomissione e connivenza dell'Europa all'islamismo.

- Come si realizzerà quello che lei chiama il califfato universale?

Per arrivare a questo ci sono diverse vie, una delle quali riguarda l'immigrazione. Guardando la dichiarazione di Durban 2 ci si rende conto che l'Oci chiede all'Europa di dare una via preferenziale ai flussi che arrivano dal Nordafrica. Tutto il mondo occidentale è coinvolto e il conflitto arabo israeliano è soltanto la punta dell'iceberg. Sarebbe errato focalizzare l'attenzione soltanto lì come viene fatto oggi perché la problematica è molto più ampia. L'Oci è composta dai ministri degli esteri di 57 paesi, elencati nel mio libro, una sorta di Onu islamico. C'è anche una carta costituente che dichiara la necessità di liberare Gerusalemme dove costruire la sua sede. Ha creato anche una corte di giustizia islamica internazionale, che ha giurisdizione su tutti i paesi che aderiscono all'Oci. Questa corte avrà la facoltà di perseguire i reati contro l'islam giudicandoli in base alla sharia.

- In Occidente c'è chi pensa però che la pace fra Israele e i suoi vicini possa essere la chiave di svolta per la pacifica convivenza con il mondo arabo. Cosa ne pensa?

Bisogna comprendere cosa vuole dire pace. Quello che l'Europa, l'America il mondo arabo vogliono creare è una pace senza Israele. Uno Stato sovrano dovrà essere eliminato e gli ebrei e cristiani che oggi lo abitano dovranno tornare alla condizione di dhimmi, di minoranza sotto la sharia. Questa non sarebbe pace ma soltanto umiliazione.

- Vuole spiegarci che cosa è la condizione di dhimmi?

È una condizione di estrema umiliazione che si fonda sul disprezzo dei non musulmani. Rafforza l'ideologia del jihad ed è inclusa nelle sue regole. Se noi vogliamo la pace nel rispetto dobbiamo pretendere che i musulmani abbandonino completamente questa ideologia altrimenti l'attrito fra le culture arriverà a scuotere il mondo fino ad una possibile terza guerra mondiale. Per garantire la nostra libertà abbiamo l'obbligo morale di non accettare che si possa anche soltanto pensare ad una superiorità del mondo musulmano o della sua religione sulle altre religioni. Un nostro cedimento in questo senso significherebbe vivere nell'umiliazione. L'assurdità è che i musulmani vedono l'offerta della condizione di dhimmi in maniera diversa, per loro è addirittura un favore e noi dovremmo ringraziarli per questa "protezione". Essere un dhimmi significa che non si può possedere terra, non si hanno diritti politici, culturali o linguistici. Ci obbligherebbe a sottostare a tasse e balzelli, a noi dedicati, che ci relegherebbero al ruolo di uomini di classe inferiore destinati a vivere in una condizione di povertà. In sostanza una situazione di pieno e completo razzismo nei nostri confronti.

- I popoli europei capiscono il tipo di pericolo contro cui lei mette in guardia?

Sì, ma non sanno come reagire perché i governi, la stampa e la cultura sono oggi alleati con i paesi musulmani. L'Unione Europea è fortemente legata ai paesi arabi con accordi commerciali e le università hanno addirittura accettato libri approvati dall'Oci. Testi che hanno come base non la conoscenza obiettiva della storia, ma la storia vista secondo i dettami i-
slamici. In Europa vengono costruite moschee e scuole islamiche, delle vere e proprie madrasse (scuole coraniche), per far sì che le nuove generazioni crescano all'interno della Sharia, per evitare così la loro occidentalizzazione. Dobbiamo capire che l'unica strada che abbiamo è difenderci da questa organizzazione che conta al suo interno rappresentanti politici, ministri e presidenti delle peggiori dittature. In Europa la gente ha cominciato già da tempo a percepire una situazione di disagio ma questa strategia è complicata e tenuta, almeno per il momento, in un profilo molto basso. In questo modo è molto difficile difendersi contro qualche cosa che non si vede.

- Il governo italiano sta respingendo il flusso di clandestini che arrivano dal mare, potrebbe essere il segno di un cambiamento di politica almeno per quello che riguarda l'Italia?

Certamente, ma il mondo islamico non lascerà la presa soprattutto considerando il fatto che vuole fare pagare all'Europa lo sviluppo delle nazioni arretrate. Questa decisione è stata presa alla conferenza islamica del 2005, vertice durante il quale sono state anche decise le linee guida che caratterizzeranno i prossimi 10 anni di azione islamica. Nel mio libro fornisco la lista di queste decisioni. Credo e spero che in Europa si formi un movimento di opinione che possa costringere i governi europei, complici della politica di distruzione dell'Europa, ad un cambiamento. Solo in questo modo si può agire per salvaguardare il mondo così come lo conosciamo. Un altro aspetto positivo che riguarda l'Italia è che gli italiani hanno una grande coscienza della libertà, hanno lottato per essa. Quando io vengo in Italia vedo dappertutto la parola libertà e non è un caso che anche il partito di Berlusconi ha nel suo nome la parola libertà.

- Ci sono anche diversi musulmani che vorrebbero mantenere la cultura occidentale, in loro noi possiamo trovare degli alleati?

Ci sono molti musulmani che si battono per mantenere i valori universali di dignità e uguaglianza. Queste persone, che vengono costantemente minacciate, sono molto coraggiose e sanno che quando entrano in questa ottica si prendono dei rischi enormi sia per loro che per le loro famiglie. Vanno aiutati, seguiti e protetti, sono degli alleati preziosi ed insostituibili. C'è da augurarsi che i governi europei sappiano proteggerli come meritano.

(Tempi.it, 29 maggio 2009)





3. VITA QUOTIDIANA A SDEROT




Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam

di Alessandra Cardinale

«Se sei per strada e senti una voce metallica che dice Tzevah Adom, Tzevah Adom, devi subito correre a nasconderti nel palazzo più vicino, può essere un negozio, una palestra non importa. Poi ti devi sedere per terra, lontano dalle finestre e mettere le mani sulla testa. Ricordati che per fare tutto questo hai solo 15 secondi, hai capito?».
    Moshe si sforza di essere molto chiaro, gesticola con le mani e ogni tanto con l'indice si sistema gli occhiali da vista bene sul naso. «Quindi -dice - stai attenta e non metterti nei guai». Si gira di scatto e si allontana con lo zaino in spalla che a ogni passo saltella su e giù come i lunghi peot che gli arrivano quasi a sfiorare le spalle. Ha fretta perchè deve tornare a casa a fare i compiti. Moshe ha solo 11 anni ma parla e si muove come un adulto. A Sderot lo conoscono tutti perchè è il figlio di Sason Sara, il droghiere della città ma anche lo scrivano che si occupa tra un pacchetto di LM rosse e Parliament light di spedire al ministero dell'edilizia i reclami dei suoi concittadini stufi di aspettare la ricostruzione di palazzi e strade distrutte dai razzi Qassam che da otto anni Hamas lancia da Gaza.
    La guerra, quella coperta dai media fino al 20 gennaio scorso, è finita. Quella reale però continua: ogni tre o quattro settimane parte un razzo diretto verso le aree di Sderot o Ashkelon, rispettivamente a uno e dieci chilometri dalla Striscia. Dalla fine di gennaio a oggi si contano solo feriti nessun morto «nessuno sa quando deve morire e come quindi inutile agitarsi».
    Yafa Malka fa la parrucchiera «specializzata in tinture bionde». Anche lei, ovviamente, è bionda, truccatissima e con un neo sopra l'angolo destro della bocca che la fa sembrare un'attrice americana degli anni '50. Dal ripostiglio urla di seguirla. «Vieni, ti faccio vedere dove mi nascondo quando scatta il codice rosso». È una stanza adibita a magazzino delle tinture e degli shampoo ma che all'occasione diventa un piccolo monolocale barra bunker. Nessuna finestra, che come spiegava il piccolo Moshe sono pericolose, due fornelletti elettrici, una sedia, un divano letto e un paio di ventilatori. «C'è l'essenziale per massimo un paio di giorni nei casi peggiori altrimenti ti consigliano di aspettare 5-10 minuti dall'allarme per riuscire». Nel negozio due signore aspettano impazienti di essere toccate dalle «magiche mani di Yafa» come dice una delle due che viene da Ashkelon per farsi bella «all'inizio avevo paura di guidare fino a qua ma voglio una vita normale o almeno faccio finta di averla. In verità a volte immagino i titoli dei giornali: cinquantenne uccisa da un razzo Qassam mentre andava dal parrucchiere» e scoppiano tutte a ridere. L'altra signora racconta che nella scuola della figlia che si trova poco distante dal negozio di Yafa alcune aule vengono impiegate come rifugio «il preside del liceo le ha volute colorare di azzurro in modo tale che siano riconoscibili dagli studenti che se allo scattare dell'allarme dovessero entrare in panico possono facilmente individuare la stanza giusta».
    L'ultimo razzo è stato lanciato il 20 maggio scorso nei giorni in cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu era a Washington da Obama. «E non è un caso» spiega Nissim Peretz, il proprietario della casa colpita dal Qassam che ha fatto in tempo a rifugiarsi nella sua "security room". «Saremmo dovuti uscire dalla Striscia solo quando Hamas avesse smesso di lanciare razzi. Ora stiamo pagando gli errori di un governo la cui unica preoccupazione quattro mesi fa erano le elezioni». Nissim racconta anche delle lungaggini dell'esecutivo israeliano nel ricostruire alcuni dei 58 bunker statali che il governo ha messo a disposizione degli abitanti di Sderot ma che a conti fatti sono inagibili.
    «Alcuni non hanno elettricità e acqua e in altri le tubature sono scoppiate provocando allagamenti. Quindi meglio costruirselo in casa sacrificando magari la cantina». Nissim non ha voluto aspettare l'intervento del governo per ricostruire la parte danneggiata della casa ma ha fatto da solo con l'aiuto di alcuni amici. La prima cosa che ha rimesso a posto è stata la Hamsa, la mano protettrice che si appende sulla porta di casa che in ebraico recita «nessuna angoscia vivrà tra queste mura, nessuna paura passerà attraverso questa porta, nessun conflitto regnerà in questa dimora».

(Il Riformista, 28 maggio 2009)





4. HAMAS TRA APPEASEMENT E PERSECUZIONI




Se Hamas corteggia i cristiani

La strategia dell'appeasement e la politica delle persecuzioni. Così i fondamentalisti tengono sotto scacco la minoranza più a rischio dei Territori palestinesi

di Rodolfo Casadei

Lo sapevate che Husam al-Tawil, il candidato della circoscrizione di Gaza per il seggio riservato alla minoranza cristiana nel parlamento dell'Autorità palestinese, ha ottenuto l'elezione grazie ai voti di Hamas? Che a Ramallah la città è amministrata da una coalizione fra una formazione legata ad Hamas e una lista indipendente capeggiata da Janet Mikhail, un'insegnante cristiana cattolica che dalla fine del 2005 è sindaco della città? Che a Betlemme, dove i cristiani non rappresentano più la maggioranza della popolazione ma in base a uno statuto locale hanno diritto ad esprimere il sindaco, Hamas appoggia la coalizione del primo cittadino, il cristiano Victor Batarseh già militante del marxista Fronte popolare per la liberazione della Palestina? Lo sapevate che, nonostante siano ormai ridotti a 50 mila su 3 milioni e 750 mila abitanti, i cristiani palestinesi dei Territori hanno diritto a 6 dei 132 seggi del Consiglio legislativo palestinese (e ne occupano 8 avendo conquistato con loro candidati anche 2 seggi "liberi")?
    Che succede, non è più vero che il fondamentalismo islamico alimenta l'esodo dei cristiani dalla Palestina? I cristiani palestinesi si stanno gettando nelle braccia degli eredi dello sceicco Yassin? No, nemmeno per sogno. Ma è vero che l'analisi della situazione della minoranza cristiana nei Territori dovrebbe farsi più raffinata per capire meglio quello che sta succedendo.
    La persecuzione di cristiani palestinesi da parte di musulmani è una realtà, e non una trovata della propaganda israeliana come vorrebbero far credere numerosi esponenti dell'establishment locale, sia musulmani che cristiani. Nel 2004 Samir Qumsieh, direttore della tivù al Mahed, ha presentato con l'approvazione della Custodia di Terra Santa un dossier di 93 casi di violenze e soprusi commessi da gruppi islamici fra il 2000 e il 2004 contro cristiani nella sola zona di Betlemme. I volti della persecuzione sono molteplici e alcuni presentano motivazioni più sociologiche che ideologiche. Ma tutti hanno in comune la vittimizzazione dei cristiani. In alcuni casi si può parlare di martirio vero e proprio, come per la morte di Tami Khader Ayyad, il direttore della libreria della Società biblica palestinese a Gaza che, dopo reiterate minacce e un attentato esplosivo alla libreria, fu rapito davanti a testimoni e poi ucciso nell'ottobre 2007. O come Ahmad El-Achwal, un convertito di origine musulmana più volte arrestato e torturato, privato delle sue bibbie e libri religiosi nel corso di perquisizioni, infine assassinato sull'ingresso della sua casa nei pressi di Nablus il 21 gennaio 2004. In altri casi i cristiani sono colpiti come gruppo sociale: i commercianti della piazza della Natività a Betlemme, tutti cristiani, sono stati costretti alla serrata dei loro negozi nei lunghi mesi della seconda Intifada e di conseguenza ridotti sul lastrico. Elementi legati all'Autorità palestinese o a gruppi malavitosi o a entrambe le realtà si sono in molti casi impadroniti delle loro attività commerciali per un tozzo di pane o addirittura delle loro proprietà fondiarie. Il fenomeno è stato riconosciuto e descritto anche sul giornale palestinese al Ayyam. Altri soggetti a rischio sono le donne cristiane. Mediamente subiscono più molestie e più violenze carnali delle donne musulmane. Secondo il giornalista arabo israeliano Khaled Abu Toameh questo dipende dal fatto che i molestatori «nella loro testa pensano che contro i cristiani possono cavarsela. Si può fare del male a una persona che appartiene ad una



famiglia cristiana senza temere di essere assaliti da una folla di 300 persone».
    Si ripete spesso che le sofferenze dei cristiani si concentrano a Gaza, egemonizzata da Hamas. Ed è vero che nella piccola striscia di territorio si sono registrati eventi come l'omicidio di Tami Khader Ayyad e poi, nel 2008, assalti e attentati a una mezza dozzina di scuole gestite da suore e alla libreria protestante della Young Men Christian Association. Ma il bilancio in capo ad al Fatah non è affatto migliore: Ahmad El-Achwal è stato perseguitato dall'Autorità palestinese sotto il governo di Yasser Arafat prima di essere assassinato da sconosciuti, e vittima degli uomini del rais è stato anche Muhammad Bak'r, un musulmano convertito al cristianesimo torturato in prigione nel 2003 sotto la falsa accusa di aver venduto terreni agli ebrei. Arafat è anche il responsabile del tracollo demografico cristiano a Betlemme. Fu lui ad aggregare campi profughi e comuni vicini interamente musulmani al municipio betlemita, facendolo diventare un'amministrazione di 130 mila abitanti dei quali solo 23 mila cristiani. Gli esempi di mancata protezione dei cristiani da parte della sua polizia, sia che si tratti di reati di diritto comune come di vicende a sfondo politico, sono numerosi.
    
    E l'esodo non si arresta
    Normalmente sia Hamas che al Fatah che un certo numero di rappresentanti delle Chiese, messi di fronte al fatto dell'esodo dei cristiani dai Territori, spiegano che non ha niente a che fare con presunti problemi di convivenza coi musulmani, ma che dipende dalla lunga occupazione israeliana e dagli effetti negativi della barriera difensiva costruita dal governo di Tel Aviv. Non c'è dubbio che il muro e l'occupazione militare sono cause importanti della fuga dei cristiani, ma sta di fatto che quasi 3 mila cristiani (sui 50 mila presenti) hanno abbandonato i Territori fra l'ottobre 2000 e il novembre 2001, cioè quando l'occupazione israeliana era in atto già da 33 anni e il muro non esisteva ancora. Justus Reid Weiner, giurista israeliano autore di Human Rights of Christians in Palestinian Society, propone nel suo testo molti esempi di cristiani che dichiarano che la loro condizione è peggiorata dopo gli accordi di Oslo, cioè dopo che l'Autorità nazionale palestinese ha cominciato ad occuparsi di loro.
    In conclusione, Hamas e al Fatah stanno certo corteggiando le élites cristiane palestinesi per ragioni di ordine strategico, cioè per proiettare un'immagine di sé positiva e inclusiva a livello internazionale. Non sembrano però in grado di difendere i diritti dei cristiani delle classi medie e di quelle umili dagli abusi di individui e gruppi musulmani che rappresentano di fatto la base sociale dei loro movimenti. Hamas e al Fatah non vogliono (per ragioni elettoralistiche) e probabilmente non possono reprimere costoro. Si limitano a garantire privilegi, prebende e rispetto alle élites cristiane, ottenendo quello che per loro è un ottimo risultato: molti leader tendono spesso a minimizzare la persecuzione e le ingiustizie di cui i loro fratelli sono vittime.

(Tempi.it, 29 maggio 2009)





5. LIBRI




Yehuda Bauer, Ripensare l'Olocausto, Baldini Castoldi Dalai, 2009. p. 384, € 18,50.

Dalla seconda pagina di copertina:

Yehuda Bauer
È ancora possibile, a più di sessant'anni di distanza, dire qualcosa di nuovo sull'Olocausto? E, soprattutto, ha senso farlo? A questi due interrogativi, che costituiscono il filo rosso di Ripensare l'Olocausto, Yehuda Bauer risponde affermativamente. E lo fa con un saggio che, prendendo in considerazione aspetti noti e meno noti dello sterminio degli ebrei, riesce a fornirci un quadro esaustivo e inconsueto di questa tragedia senza precedenti nella storia dell'umanità. Instaurando un rigoroso e serrato confronto a distanza con studiosi e intellettuali come Elie Wiesel, Zygmunt Bauman, Daniel Goldhagen e Raul Hilberg, Bauer riesce a porre in evidenza problematiche e in congruenze di interpretazioni storiche ormai consolidate. Così, negli undici capitoli del libro, la definizione dell'Olocausto, delle sue cause e degli elementi che lo distinguono da altri genocidi, si intreccia con le descrizioni delle reazioni ebraiche agli eccidi di massa, del mutamento del ruolo delle donne ebree dopo l'uccisione dei loro padri e mariti, delle risposte che la teologia ha dato alla morte di milioni di persone, e, ancora, con il racconto delle vicende che portarono alla fondazione dello Stato di Israele da parte dei sopravvissuti. Tuttavia, questo accurato lavoro di scavo storico non ha solo lo scopo di sfatare una serie di luoghi comuni, che rischiano di rendere l'Olocausto un avvenimento metafisico che va al di là dell'umana comprensione (impedendo di attribuire precise responsabilità storiche e morali e di rendere giustizia alle vittime), bensì intende essere anche un monito per le generazioni future affinché non si ripeta un simile abominio e «possa sorgere sulle rovine del passato una civiltà nuova, umana, migliore».

*

L'autore, come molti altri storici, e pur facendo parte del "popolo eletto", in questo libro si propone di esaminare la mostruosità dell'Olocausto in termini del tutto umani, considerando ogni ricorso a interventi "metafisici" come una fuga nel campo del mistero e dell'irrazionalità. Ma non è detto che il tenere pregiudizionalmente fuori da ogni spiegazione storica il possibile intervento di Dio sia del tutto razionale, soprattutto quando si tratta del popolo ebraico. Le considerazioni di Yehuda Bauer sono comunque interessanti e degne di attenzione. Per darne una presentazione ai lettori abbiamo pensato di fare un'«intervista virtuale» al professor Bauer. Abbiamo cioè formulato delle domande e abbiamo tratto le risposte dal testo del libro. M.C.

- Professor Bauer, dopo più di sessant'anni da quel tentativo di genocidio che è stato l'Olocausto si poteva pensare che l'interesse per questo fatto del passato si sarebbe affievolito. E' vero invece il contrario. L'attenzione per quell'avvenimento, accompagnata da un dibattito anche molto aspro, continua ad essere molto alta. Come mai?

L'Olocausto è stato un genocidio, ma particolare e senza precedenti. Negli ultimi due decenni o giù di lì un incredibile fenomeno si è verificato: l'Olocausto è diventato un simbolo del male in quella che, in modo impreciso, è conosciuta come civiltà occidentale e la consapevolezza di quel simbolo sembra essersi diffusa in tutto il mondo. Un museo nei pressi di Hiroshima commemora Auschwitz; in Cina una università ha tradotto una sintesi della letteratura sull'Olocausto in cinese. Quando si vuole paragonare la «pulizia etnica» nei Balcani o altri omicidi di massa a un evento simile, ci si riferisce non a un altro omicidio di massa qualsiasi ma all'Olocausto, anche se una simile analogia spesso è discutibile. Ogni mese compaiono libri, film, opere musicali, produzioni teatrali che hanno a che fare con l'Olocausto. La stampa, quella seria ma anche quella meno seria, dà grande spazio ai dibattiti legati a questo argomento. I politici vi si riferiscono spesso, l'industria televisiva gli dedica in continuazione talk show e documentari. (pp.10-11)

- Perché tutto questo?

Credo che la ragione di tutto ciò sia che si sta facendo strada la consapevolezza che l'Olocausto dice qualcosa di straordinariamente importante sull'umanità. Da una parte, si tratta di un genocidio e quindi deve essere paragonato ad altri genocidi; quella dimensione universale di comparabilità dovrebbe riguardare tutti, dalla Kamcatka alla Tasmania, dalla Patagonia alla Baia di Hudson. Dall'altra, si tratta di un genocidio unico, senza precedenti che, almeno fino a questo momento, non si è più ripetuto. Vi è poi un altro elemento: l'Olocausto riguarda uno dei principali gruppi dell' area in cui si è sviluppata la civiltà cristiano-musulmana, gli ebrei appunto, la cui cultura, che subì influenze medio-orientali, a sua volta è stata essenziale per la civiltà occidentale. L'Olocausto è quindi diventato il simbolo del genocidio, del razzismo, della xenofobia e, naturalmente, dell' antisemitismo. (p. 11)

- La gravità e l'imprevedibilità dell'Olocausto hanno condotto molti a dire che si tratta di un evento inspiegabile nella sua unicità. E' d'accordo?

Spesso si è affermato che se l'Olocausto è del tutto inspiegabile, misterioso, o «unicamente unico», allora ne consegue che esso è al di fuori della storia e che perciò non può essere affrontato razionalmente. L'assoluta unicità conduce quindi a una sua totale banalizzazione: se l'Olocausto è un fenomeno senza precedenti, inesplicabile, allora occuparsene diventa una perdita di tempo. Alcuni autori ci tengono a sottolineare che, quando essi parlano della sua inesplicabilità, non si riferiscono affatto al processo che determinò l'affermazione dello Stato nazista, o l'irrazionalità rappresentata dalla creazione dei ghetti o dei campi di concentramento, ma a una sua qualità intrinseca, l'insensata brutalità degli esecutori, il silenzio degli spettatori, la sorpresa delle vittime, la vastità del crimine e il coinvolgimento «inspiegabile» di un gran numero di persone civili.' In che modo delle fredde decisioni burocratiche si trasformarono in proiettili di mitragliatrice e in cristalli di gas venefico? La risposta, il più delle volte, è che impossibile venirne a capo. (p. 34)

- Qual è, invece, la sua risposta?

Dal canto mio posso rispondere da storico. Da un punto di vista storico - e la storia, dopo tutto, non è una scienza ma una ricostruzione a posteriori di una serie di avvenimenti umani in base a determinate leggi che ci permettono di selezionare i fatti e analizzare le fonti - si dovrebbero considerare diversi aspetti. In primo luogo, si può confrontare l'Olocausto con altri avvenimenti storici? Secondo, se la risposta è affermativa, quali sono le rispettive differenze e similitudini? Terzo, è possibile ricorrere a modelli di spiegazione che possano applicarsi agli sconcertanti problemi che l'Olocausto presenta? Infine, questi modelli sono sufficientemente convincenti da rendere spiegabile, in linea di principio, l'Olocausto, anche se ci scontreremo con interpretazioni alternative ancora per molto tempo?
    Se la risposta a queste domande è che determinati aspetti «intrinseci» dell'Olocausto vanno ben al di là di una spiegazione umana, allora si deve ancora contrastare la tesi che, in quel caso, l'Olocausto è al di là della storia e che può essere spiegato solo ricorrendo a forze che superano la nostra comprensione e quindi estranee all' esperienza umana. Se i nazisti vengono definiti «diabolici» e le vittime «sacre» allora il rischio di una conclusione del genere è reale, malgrado questi termini possano servire solo a qualificare moralmente gli esecutori e le vittime. Se Dio o il Demonio, o una combinazione di entrambi, o una qualche forza misteriosa vengono tirati in ballo per spiegare l'inspiegabile, o se l'avvenimento è lasciato semplicemente senza spiegazione, ancora una volta l'Olocausto finisce in una sfera astorica dove la ragione - e persino il tentativo di spiegare razionalmente l'irrazionale - ha ben poco spazio. La conclusione inevitabile è, ancora una volta, che se etichettiamo l'Olocausto come inesplicabile, esso finirà per prestarsi a tutto tranne che all' analisi storica. (pp. 35-36)

- Ritiene che l'Olocausto oggi possa ripetersi, anche se in forma naturalmente diversa?

Viviamo in un tempo in cui sono possibili avvenimenti simili all'Olocausto. Ovviamente, esso avrebbe potuto essere impedito da forze che ben poco avevano a che fare con gli ebrei. Ho già parlato della rinuncia, da parte di Francia, Gran Bretagna e Unione Sovietica, ai colloqui che, nell' estate del 1939, avrebbero dovuto portare a una alleanza militare contro la Germania nazista. Questo esito si rivelò fatale anche per loro, giacché avrebbero potuto evitare milioni di vittime. Si potrebbe citare un altro esempio di mancanza di determinismo nello sviluppo della situazione che rese possibile l'Olocausto. Ma se non si fosse verificato tale evento, avremmo potuto affermare che un Olocausto era stato impedito? Di sicuro no, dal momento che non avremmo mai saputo che cosa era un Olocausto. Una volta verificatosi, tuttavia, possiamo affermare che viviamo in un tempo in cui gli elementi che hanno prodotto l'Olocausto sono ancora tra noi. Poiché gli avvenimenti storici non si ripetono mai esattamente, cioè non sono mai identici nei dettagli, si deve dire che un Olocausto è possibile in condizioni simili o equivalenti a quelle che si verificarono nel corso della seconda guerra mondiale.
    Le difficoltà potrebbero aumentare ma anche, paradossalmente, diminuire se si afferma che tutta la storia umana è, in un certo senso, inesplicabile e deve essere guidata da qualche forza extrastorica, buona o cattiva (o sia buona che cattiva), o da forze cui mancano quei valori che noi definiamo umani. L'Olocausto sarebbe allora soltanto la forma estrema di questa sostanziale inesplicabilità del destino umano. È molto difficile controbattere a una tale interpretazione, ma si deve comunque considerare che, in tutti i casi, abbiamo a che fare con azioni umane, compiute in favore o contro gli uomini. il presupposto è che tutti gli esseri umani condividono la medesima natura, e che azioni compiute da un individuo possono, in via di principio, essere commesse anche da altri, così che la intelligibilità di azioni simili è alla base dei rapporti umani. I comportamenti umani in una qualsiasi società e in un qualsiasi momento sono distinti e riconoscibili e, data la loro correlazione, devono essere compresi così da avere un senso per ognuno. Da qui deriva l'influenzabilità, almeno in linea di massima, delle azioni di un individuo o di un gruppo da parte di altri. (pp. 36-37)

- Oggi molti vorrebbero togliere all'Olocausto quel carattere di unicità che invece altri vorrebbero lasciargli. Lei che cosa pensa a questo riguardo?

L'unicità - d'ora in poi userò il termine «senza precedenti», malgrado un certo disagio - dell'Olocausto non riguarda il livello di brutalità raggiunto dai nazisti e da coloro che li aiutarono, anche se senza dubbio raggiunse il culmine. Il genocidio degli ebrei non è stato né migliore né peggiore di altri. Il ricorso a termini come «bestiale» e «bestialità» per descrivere i nazisti rappresenta un insulto al regno animale da evitare, dal momento che gli animali non fanno cose del genere. Il comportamento dei nazisti non fu «inumano», tutt'altro. Fu malvagio, non inumano, e fu probabilmente - nella sua violenza non del tutto senza precedenti - la migliore approssimazione a quello che si potrebbe definire il male «assoluto» che la storia umana abbia mai conosciuto. [...]
    Allora se non fu la brutalità, cosa ci fu di straordinario nell'atteggiamento dei nazisti nei confronti degli ebrei? È importante notare che per i nazisti la «questione ebraica» non riguardava soltanto la Germania o l'Europa, ma rappresentava un problema globale di prima grandezza. La liberazione dell'umanità dagli ebrei fu concepita in termini pseudoreligiosi e messianici: dalla «soluzione» del problema dipendeva il futuro dell'umanità. L'Olocausto allora è senza precedenti fondamentalmente a causa delle motivazioni che ne sono alla base. Questo aspetto è perfettamente spiegabile. (p. 43)

- Lei preferisce non usare il termine "unico" in riferimento all'Olocausto. Potrebbe spiegare allora in che senso comunque è stato diverso e "senza precedenti" rispetto agli altri eccidi?

Una differenza sostanziale tra l'Olocausto e altre forme di genocidio è che le considerazioni pratiche furono centrali in tutti gli altri genocidi rispetto a quelle ideologicamente astratte. Con l'Olocausto [invece] le considerazioni pratiche furono del tutto marginali. Uno sforzo incredibile fu compiuto per privare gli ebrei dei loro beni o di impossessarsene dopo la loro uccisione, ma nessuno storico serio ha mai sostenuto che furono queste depredazioni a determinare l'eccidio. Esse furono una conseguenza non una causa dell'Olocausto. Gli ebrei non avevano alcun territorio da conquistare e, al contrario di quanto si pensa comunemente, gli ebrei tedeschi non controllavano affatto l'economia di quel Paese, sebbene occupassero posizioni di rilievo in alcuni settori, e non agirono come un gruppo unito bensì come individui in competizione tra loro. Inoltre, non avevano alcun potere militare e, nella stessa Germania, quello politico fu nel migliore dei casi marginale. Politicamente, l'unico ebreo importante nella Repubblica di Weimar dopo il 1920 fu Walter Rathenau, il ministro degli Affari esteri, ucciso da estremisti di destra nel 1922. La motivazione di base fu essenzialmente ideologica, radicata nel mondo immaginario sognato dai nazisti, dove una cospirazione ebraica a livello internazionale per la conquista del mondo si opponeva alle mire ariane. Nessun genocidio, almeno fino a quel momento, si era mai basato così radicalmente su miti, deliri collettivi, su una ideologia astratta, non pragmatica, e portato a termine con modalità e mezzi molto razionali e pratici. Proprio come l'antisemitismo cristiano era basato su speculazioni teologiche che avevano importanti risvolti pratici, così l'antisemitismo nazista - che aveva origine dalle stesse errate convinzioni cristiane e che presto abbandonò i princìpi morali cristiani insieme alle sue credenze religiose - trasformò le sue astrazioni omicide sviluppando gradualmente una politica che condusse alla segregazione, alla fame, all'umiliazione e, infine, all' omicidio di massa pianificato. L'uccisione degli ebrei si verificò perché una ideologia di morte la giustificò, ma solo dopo aver sconfitto idee e opinioni contrarie all'interno della società tedesca alle prese con una serie di crisi convergenti.
    Un secondo motivo per cui l'Olocausto è senza precedenti è il suo aspetto globale, universale. Tutti gli altri genocidi sono stati circoscritti da un punto di vista geografico; nella maggior parte dei casi il gruppo preso di mira viveva in una ben definita area geografica (gli indiani nelle Americhe, i khmer e i cham in Cambogia [Kampuchea], i tutsi soprattutto in Ruanda, Uganda, Burundi e Zaire). I turchi presero di mira gli armeni nelle zone di etnia turca e non si preoccuparono di quelli che abitavano altrove; persino gli armeni di Gerusalemme, che era considerata etnicamente araba ed era controllata dai turchi, non subirono alcunché. I gruppi rom nomadi e stanziali furono uccisi in Germania ma, al di fuori del Paese, i rom stanziali non destarono particolare interesse e i nazisti non cercarono di schedare i rom al di fuori del Reich. Nel caso degli ebrei, la persecuzione iniziò in Germania ma si diffuse in tutta quella che per i tedeschi era la loro sfera di influenza in Europa, per poi trasformarsi in sterminio totale. Poiché i tedeschi volevano dominare non solo l'Europa ma il mondo intero, direttamente o tramite alleati, questo significò che bisognava dare la caccia agli ebrei dappertutto. La ben nota affermazione di Hitler, secondo la quale nel combattere l'ebreo egli compiva l'opera del Signore, aveva una chiara implicazione universale e fu proprio l'antisemitismo a essere esportato ovunque dalla Germania nazista. Questo carattere globale dell'assassinio premeditato di tutti gli ebrei è senza precedenti nella storia dell'umanità.
    Un terzo elemento differenzia l'Olocausto dagli altri genocidi, la sua aspirazione totalitaria: i nazisti erano alla ricerca di tutti gli ebrei. In base alla loro politica, tutte le persone con tre o quattro nonni ebrei dovevano essere condannate a morte perché colpevoli di essere nate. Un'impresa simile non era mai stata realizzata nella storia umana e senza dubbio sarebbe stata portata a termine universalmente se la Germania avesse vinto la guerra. Se confrontiamo questo genocidio con altri - ad esempio quello delle popolazioni caraibiche che furono sterminate dagli spagnoli - troviamo che in essi non ci fu alcuno scopo premeditato, né si trattò di un' espressa politica statale, anche se il risultato pratico fu quello. Nella Turchia ottomana alcune donne armene e alcuni bambini furono risparmiati dalla violenza sessuale o da un'educazione turca. Inoltre, come ho già sottolineato, gli armeni dovevano essere sradicati soprattutto nelle aree di etnia turca, non necessariamente altrove. Le tribù indiane del Nordamerica furono vittime di un genocidio per ragioni di cupidigia e di sfruttamento e l'assassinio fu il risultato di politiche nazionali. Ancora una volta, però, non ci fu alcun piano del governo di sterminio totale. Nei genocidi prima del XX secolo la tecnologia, da un lato, e i complessi apparati burocratici guidati da ideologie utopistiche con pretese universali, dall'altro, non si erano ancora sviluppati. Si potrebbe affermare che se l'assassinio delle popolazioni caraibiche e degli indiani del Nordamerica si fossero verificati in un momento in cui lo sterminio di Stato era possibile, sarebbe stata seguita quella politica. Potrebbe anche darsi, il che dimostra non solo che L'Olocausto fu senza precedenti ma che la civiltà umana vi si rivela incline quando le condizioni sono mature, il che rappresenta un altro punto centrale del nostro ragionamento. L'Olocausto, in altre parole, può ripetersi, non proprio nello stesso modo, non da parte dei tedeschi, non contro gli ebrei, ma con soggetti diversi. L'ultima volta ha colpito gli ebrei e non sappiamo chi potrebbe toccare prossimamente. (pp. 73-78)




    
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