Inizio ยป
<- precedente        seguente ->


Notizie su Israele 467 - 14 luglio 2009

1. Arabi israeliani avvertono il mondo islamico
2. Ricerca scientifica in Israele
3. «Io non so niente, non ho visto niente, non c'ero»
4. I coloni ebrei nell'immaginazione popolare
5. Le radici della cultura ebraica nel vicentino
6. Palestinesi salvano una donna ebrea e il suo bambino
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Ezechiele 37:28. Le nazioni conosceranno che io sono il Signore che santifico Israele, quando il mio santuario sarà per sempre in mezzo a loro.
1. ARABI ISRAELIANI AVVERTONO IL MONDO ISLAMICO




«Attenzione! vogliono costruire il Terzo Tempio!»

«Migliaia di politici possono parlare senza cambiare niente, ma la religione può fare quello che ai politici non riesce!» Raad Salach, lo sceicco del radicale Movimento Islamico in Israele ha avvertito il mondo islamico che il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu ha intenzione di costruire il terzo tempio in Gerusalemme. «Faccio appello a tutti quelli che hanno influenza politica. Netanyahu vuole costruire il falso tempio in Gerusalemme sulle rovine della sacra moschea Al-Aqsa», ha detto nel maggio scorso lo sceicco Salach davanti al pubblico in Doha (Qatar) dove è stato invitato come oratore dal sito arabo Islam Online.
    «E' un grave pericolo per la religione islamica in Gerusalemme. Viviamo in un tempo in cui si deciderà se Gerusalemme e la moschea Al-Aqsa sopravviveranno al governo ebraico in Gerusalemme».
    Il cittadino arabo israeliano si è anche lamentato del comportamento tenuto dalle autorità di Israele sulla piazza del Tempio. «E' semplicemente incredibile che delle guide israeliane spieghino ai turisti, nella moschea Al-Aqsa, che questa moschea è stata costruita sulle rovine del Tempio ebraico. E' una sfacciataggine! Per salvare Gerusalemme bisogna che il mondo islamico si mobiliti contro Israele, inclusi tutti gli imam, che devono reclutare le loro masse. E' un dovere di ogni musulmano!»
    Non è la prima volta che degli arabi israeliani fuori di Israele incitano il mondo arabo alla violenza contro lo stato ebraico. Da una parte i musulmani israeliani godono di libertà di parola in uno stato democratico come Israele, e dall'altra ne abusano per scopi politici contrari alla costituzione. In questi casi non si tratta di normale politica quotidiana, ma di nientedimeno che la distruzione del paese, che lo sceicco Salach predica da anni. Questo palestinese israeliano si prende una libertà che nemmeno un ebreo ha nello stato d'Israele.

(israel heute, luglio 2009 - trad. www.ilvangelo-israele.it





2. RICERCA SCIENTIFICA IN ISRAELE




Nasce a Gerusalemme un centro di ricerca sul cervello

di Viviana Kasam

La più ingente donazione mai fatta a un centro di ricerca israeliano - 50 milioni di dollari - è stata recentemente annunciata dall'Università Ebraica di Gerusalemme. La benefattrice è Lily Safra, predicente della Edmond J. Safra Foundation, e la somma sarà destinata alla realizzazione di un Centro Interdisciplinare di ricerca sul cervello. L'Università si è impegnata a contribuire con altri 80 milioni di dollari, che porteranno alla realizzazione di un centro di eccellenza, fra i primi al mondo, il cui progetto è stato messo a punto con la collaborazione di due premi Nobel, il professor Bert Sakmann di Heidelberg e il professor Richard Axel di New York.
    La scienza del cervello è tra le più giovani. Solo negli ultimi tre secoli se ne è compresa l'importanza - per millenni il cuore fu considerato l'organo più importante del corpo. Fu Descartes, filosofo, scienziato e matematico, a decretare l'egemonia del cervello: anche se erroneamente riteneva che fosse la ghiandola pineale la sede del pensiero e dell'anima. Ma mentre si sono fatti immensi progressi nella comprensione del funzionamento e nella terapia del cuore, non si può dire lo stesso nel caso delle malattie cerebrali. Soprattutto quelle legate al Sistema nervoso centrale, prevalenti nella popolazione che invecchia. Anche perché solo grazie alla tecnologia si riesce a penetrare nei processi di funzionalità cerebrale: la vecchia anatomia serve a poco o a nulla.
    Il cervello è oggi la nuova frontiera della ricerca medica. In tutto il mondo i ricercatori sono impegnati nello studio di questo organo le cui alterazioni funzionali si ripercuotono su tutto il corpo e su tutte le facoltà.
    L'Universita Ebraica di Gerusalemme è all'avanguardia in questo settore , che coinvolge molte discipline, dalle neuroscienze alla chimica, alla fisica, alla biologia, ma anche alla filosofia e all'arte. E infatti da anni esiste presso la HUJ un Centro interdisciplinare per lo studio del cervello, che manca però di una sede. Gli scienziati sono perciò distaccati in edifici e campus diversi, e comunicare comporta faticosi spostamenti, "e la necessità di prendere appuntamento" spiega Idan Segev, fondatore del Centro, che lo ha diretto fino all'anno scorso; "mentre sarebbe fondamentale poter essere sempre in contatto, tante idee nascono bevendo insieme un caffé o incontrandosi per caso nel corridoio".
    L'urgenza di comprendere il meccanismo di funzionamento e di degenerazione del cervello non è solo scientifica. "Entro una quindicina di anni non avremo la capacità finanziaria di provvedere ai problemi della popolazione che invecchia, dovuti in gran parte alla degenerazione del cervello, e che già oggi rappresentano un problema devastante, per il malato, la sua famiglia, la società" - spiega il prof. Eilan Vaadia, che è stato nominato direttore del Centro in fieri - "manca l'edificio, ma le ricerche interdisciplinari procedono".
    Nella nuova sede, dove lavoreranno fianco a fianco neuroscienziati, medici, biologi, chimici, psicanalisti, filosofi, artisti (grande interesse suscita in questo momento alla Hebrew University il rapporto tra cervello e creatività artistica), si studieranno i geni, le molecole e le cellule nervose del cervello; la struttura e il funzionamento dei circuiti neuronali; l'attività elettrica e la comunicazione tra aree diverse del cervello con l'obiettivo di comprendere come i sensi, il movimento e i pensieri sono creati; i processi cognitivi e la funzionalità cerebrale; e anche aspetti più teorici, come la costruzione di modelli del sistema nervoso centrale. "Ci proponiamo di arrivare a riparare il cervello, restaurando la normale attività cerebrale nelle persone anziane" spiega Vaadia. Ci sono nuove tecniche tridimensionali che consentono di identificare e seguire ogni singola cellula del cervello -cioè l'hardware- per comprenderne il software, il funzionamento.
    Parkinson, Alzheimer, autismo sono alcuni dei settori in cui la HUJ sta portando avanti ricerche rivoluzionarie. "Ma ci manca lo spazio" sostiene Haim Sompolinsky, tra i fondatori dell'attuale centro di ricerche interdisciplinari sul cervello; "la generosa donazione di Safra ci consentirà di portare in Israele i giovani più promettenti, istituire dottorati, cattedre, scambi internazionali. Guardiamo alla prossima generazione, cresciuta nella tecnologia per sviluppare modelli sempre più precisi del nostro computer organico".
    Israele, nonostante i quotidiani problemi legati alla sua sopravvivenza, è un faro nel mondo per la ricerca scientifica. Il nuovo centro, che nelle speranze dei suoi ideatori sarà anche un'opera d'arte architettonica a incoronare il Monte Scopus, simbolo di Gerusalemme, contribuirà a ratificare l'eccellenza del Paese, in uno dei settori più cruciali per l'umanità intera.
    "Invitiamo tutti ad aiutarci a realizzare questo progetto" invita Yoram Cohen, vicepresidente dell'Università Ebraica di Gerusalemme. "Dobbiamo raccogliere 80 milioni di dollari. Sembra un'utopia, ma noi israeliani ci siamo dimostrati capaci di realizzare le utopie".

(Notiziario Ucei, 7 luglio 2009)





3. «IO NON SO NIENTE, NON HO VISTO NIENTE, NON C'ERO»




Francia. Salimi, Selam e le direttive europee contro il razzismo

di Elena Lattes

Tre anni fa, nel gennaio del 2006 una banda di giovani della banlieue parigina rapiva un loro coetaneo Ilan Halimi, lo torturava e seviziava per tre settimane per poi abbandonarlo in fin di vita sul ciglio di una strada. Il processo al capo e la mente di questo gruppo, colui che assassinò con le proprie mani il giovane Halimi, Youssouf Fofana e ai suoi complici, si sta svolgendo da oltre due mesi e questo fine settimana verrà resa pubblica la sentenza definitiva.
    Nonostante si stia tenendo a porte chiuse, alcune notizie agghiaccianti sono trapelate. L'imputato, infatti, già condannato ad un anno di detenzione per furto aggravato e oltraggio ai magistrati, alla richiesta di fornire le sue generalità, ha dichiarato come data di nascita il giorno e il luogo dell'abbandono e della morte di Ilan, il 13 febbraio 2006, a Sainte-Geneviève des- Bois, come cognome "africana barbara armata rivolta salafista", come nome "fara" (guida in arabo) e ha diverse volte gridato "Allah hu akbar" (Dio è grande).
    Ha minacciato la giuria, dicendo che aveva le foto di tutti i componenti e che sapeva dove abitavano. A metà giugno, poi, il giudice ha dovuto interrompere il processo, dopo il lancio delle scarpe da parte di Fofana ai rappresentanti legali della famiglia di Halimi.
    Ilan fu rapito solo perché ebreo e mentre veniva torturato, fu richiesto alla sua famiglia (una famiglia molto povera) un riscatto esoso perché, secondo i suoi aguzzini, gli ebrei sono tutti ricchi e se qualcuno non lo è, può contare sempre e comunque sulla solidarietà della comunità. Ucciso quindi, non per le sue idee o per gesti considerati sbagliati, ma per puri pregiudizi razzisti non molto diversi da quelli che dilagavano nell'Europa dei primi decenni del secolo scorso.
    In tutto questo la società parigina ha in un certo senso una parte della responsabilità. Non solo perché non ha saputo combattere a sufficienza l'emarginazione dei nuovi immigrati, ma anche e soprattutto perché pare che la polizia non abbia svolto bene il suo lavoro. Gli agenti hanno cercato, ma non nella direzione giusta. Lo stesso Fofana fu arrestato nel periodo in cui era prigioniero Ilan, ma fu subito rilasciato. A parte i 26 complici, che hanno preso parte attiva nel sequestro, gli abitanti degli appartamenti vicini a quello in cui era prigioniero Ilan, inoltre, sentivano le urla strazianti, ma nessuno denunciò o si preoccupò di capire cosa stesse succedendo.
    E poi il garzone che consegnava i pasti pronti, l'uomo che prestò l'automobile per trasportare il prigioniero e altri ancora... Possibile che a nessuno venne qualche sospetto? Anche sul processo stesso tanti lamentano un eccessivo silenzio, quasi a voler nascondere questo efferato delitto a cui hanno partecipato altri ventisei giovani musulmani: le porte chiuse hanno avuto come motivazione ufficiale che alcuni dei responsabili in quel periodo erano ancora minorenni, ma anche i principali giornali francesi hanno dato poco rilievo all'evento.
    Secondo la blogger che ha seguito quotidianamente la vicenda di questi ultimi due tre mesi, Elsa Vigoureux, i giornalisti non si sono nemmeno presentati regolarmente, riportando solo le notizie più eclatanti (come per esempio il lancio di scarpe) e probabilmente se non fosse stato per la costanza e la pazienza della Vigoureux, molti dettagli non sarebbero stati resi noti. Le fotografie della prigionia di Ilan pubblicate dalla rivista "Choc", per esempio, sono state addirittura ritirate dalle Autorità.
    Non si può nemmeno dire che il caso di Halimi sia un episodio unico e del tutto isolato. Nel 2003 (3 anni prima quindi), sempre in Francia, un altro giovane musulmano, Adel, con la complicità di altri due giovani, sgozzò un coetaneo Sebastien Selam, suo vicino di casa che frequentava fin da piccolo, gridando poi: "Ho ucciso un ebreo. Andrò in paradiso!" e alla polizia, durante l'interrogatorio, dichiarò di essere "felice per la morte di un ebreo".
    Fu arrestato due anni dopo, nel 2005 per uso di stupefacenti e condannato a 3 mesi di carcere. Dopo il processo per l'efferato delitto, fu mandato in una clinica psichiatrica e da lì in un'altro istituto che non è mai stato reso noto. Il caso fu anche riaperto, nel 2007, perché alla mamma della vittima non fu mai comunicata la decisione della corte. La busta relativa era rimasta su uno scaffale nell'archivio del tribunale.
    Sarebbe bene ricordare a questo proposito che, secondo l'articolo 11 della Direttiva 2000/43/CE, i membri della Comunità Europea (e dunque anche la Francia) si "impegnano ad assicurare un'effettiva cooperazione giudiziaria per quanto riguarda i reati basati su comportamenti razzisti o xenofobi; mentre nell'articolo 16 la stessa Direttiva sottolinea che "è importante proteggere tutte le persone fisiche contro la discriminazione per motivi di razza o di origine etnica" e nell'articolo 20 "l'efficace attuazione del principio di parità richiede l'adeguata protezione giuridica in difesa delle vittime".
    Siamo sicuri che in Francia questa direttiva viene presa seriamente in considerazione?

(Agenzia Radicale, 12 luglio 2009)





4. I COLONI EBREI NELL'IMMAGINAZIONE POPOLARE




Cisgiordania, viaggio nelle colonie ebree dove la vita è «congelata»

di Fiamma Nirenstein

Il mondo chiede di sospendere la crescita interna degli insediamenti ma la realtà è che lo sviluppo di molte comunità è bloccato da anni. Il sindaco di Efrat: «Tutto è fermo dal tempo della Road Map».

Quei diavoli negli insediamenti. Anzi: quei diavoli di «coloni», con a parola che implica truci memorie di sfruttamento e imperialismo. Tutto il mondo ne parla in questi giorni, e lo ha fatto anche il G8, per chiedere il «congelamento» della loro presenza in Cisgiordania. E l'idea viene dal presidente Obama in persona. I coloni nell'immaginazione popolare hanno il fucile sempre in mano, devastano gli ulivi palestinesi, sono fanatici religiosi, producono figli come conigli così da rendere la loro «crescita naturale» un'arma devastante.
    Ma chi è in realtà un colono? Siamo andati in giro a dare un'occhiata. Intanto, è una figura minuscola sullo sfondo dei conflitti mediorientali, il suo giganteggiare politico odierno ha ben lpoco a che fare con una jihad che dagli anni Venti proibisce agli



arabi di considerare Israele come uno Stato definitivamente atterrato nella Umma islamica. Israele, agli occhi di molti fedeli dell'Islam, è un grande insediamento. In secondo luogo, anche se ora il delegato americano Mitchell e Netanyahu stanno forse per presentare una sospensione di sei mesi nella crescita interna degli insediamenti, molti villaggi e comunità sono già bloccati da anni. Oded Revivi, il sindaco di Efrat, fiorente insediamento del Gush Etzion, è netto: «Da noi, quando i giovani decidono di sposarsi sanno che è il tempo di fare la valigia. Tutto è fermo dal tempo della Road Map. Siamo già strangolati. I prezzi sono come nel centro di Tel Aviv».
    Congelati: questo è ciò che già sono tutti gli insediamenti fuorché tre. La popolazione di 21 insediamenti della Cisgiordania nel 2007 è rimasta statica o è declinata, 74 sono cresciuti di 100 persone o meno, e solo Modi'in Illit, Betar Illit e Ma'ale Adumin, tre comunità dentro i confini della barriera di difesa - che sarebbe facile lasciare in pace con un accordo di scambio territoriale, se i palestinesi fossero interessati alla pace - rappresentano il 57 per cento della crescita naturale raggiungendo, in totale, i 110mila abitanti su un insieme di 286mila in Cisgiordania. Insomma, se invece di schiamazzare «congela il settler» ci si concentrasse su tre insediamenti per stabilire se quelli sono intoccabili e in cambio di che cosa, mentre gli altri sono cedibili, ovvero si tenessero colloqui di pace invece che perorazioni, sarebbe molto più utile a tutti.
    I settler sono in molti casi persone normali ma molto costanti e anche duri, che si considerano parte di un lavoro ancora in corso: Israele. Non sono convinti, come dice Leiter «che qui, in Giudea, io debba lasciare spazio a un nuovo piccolo Stato autoritario e islamico, forse iraniano come Hamas». Fra loro c'è gente che voleva case a buon prezzo. Ma anche estremisti pericolosi; in genere sono idealisti che considerano per motivi storici e di difesa la terra della Giudea e della Samaria, dal '48 al '67 occupata dalla Giordania, indispensabile. I governi israeliani che si sono succeduti negli anni hanno oscillato, generando grande confusione, fra il considerare quelle terre come moneta di scambio per raggiungere la pace coi palestinesi o, invece, terra liberata che poteva conferire al piccolo Israele sicurezza e protezione insieme alle memorie storiche.
    A molti non importa della Bibbia, ma certo bisogna ammettere che è una bella pezza d'appoggio quando cita l'indirizzo di casa tua. Netayahu non ha spiegato, anche se qualche insediamento è irrinunciabile e altri invece no, quali scelte intende fare. I settler hanno, quasi tutti, le ragioni di gente che ha costruito la casa con le mani nude e rischia la vita ogni volta che torna a casa la sera. E che quando a Gaza fu deciso lo sgombero obbedirono nella tragedia.
Lo stereotipo dei settler sono giovani teenager che prendono una tenda e un caravan e si piazzano su una cima, perché là c'è un ricordo storico. Come loro, anche il più buono, per esempio l'olicoltore Yair Hirsch di Achya, pensa che i palestinesi non si placherebbero se riuscissero a cacciarlo dalla sua casa, combatterebbero, dice, per Tel Aviv; lui, un tipo pacifico, sa che paga duro per la sua scelta, antipatia politica, vita di pericolo, spesso penuria e solitudine. Al 98% il settler non c'entra niente con lo stereotipo che lo ha reso una figura da smantellare, sembrerebbe oggi, più della bomba atomica iraniana.
    Mitchell sa che gli insediamenti non sono illegali; molti outpost, invece, fuori dei confini delle comunità, sì, e il governo intende smantellarne subito 22. Ce ne sono in tutta la Cisgiordania; per esempio nella zona di Kiriat Arba, attaccata a Hebron, dove vivono i più aggressivi, dove Elyakim Haezni, un leader fra i più duri, ci domanda, e non è religioso, perché mai dovrebbe pensare ad andarsene, perché gli ebrei non dovrebbero vivere presso la grotta di Machpelà, presso il grande sepolcro erodiano di Abramo e Sara. Perché? Solo perché ci è stata costruita sopra una moschea? E cos'è questa idea incontestata di un mondo arabo pulito dagli ebrei mentre in Israele vivono da liberi cittadini un milione e 400mila arabi israeliani? Cosa dice Amnesty, chiede Haezni ironico. Ma se un futuro Stato palestinese fosse pronto a accoglierlo come cittadino? Innanzitutto non potrebbe mai vivere sotto una dittatura, dice. In secondo luogo, e cita Hobbes: «La vita sarebbe sgradevole, brutale, e breve. Soprattutto breve».
    Kiriat Arba è considerata dallo stesso movimento dei coloni un caso limite, spirale di sangue e violenza. Ma fra i settler c'è di tutto, religiosi e non religiosi, ideologi e gente semplice, austeri e fricchettoni. Oded Revivi, avvocato, sindaco di Efrat, voleva una bella casa in vista di Gerusalemme senza spendere troppo, e oggi si pregia della convivenza stabilita con gli arabi che vivono e lavorano i loro ulivi dentro l'insediamento stesso. Ma anche lui mi mostra da lontano la capitale e dice che senza difenderla con questo breve spazio di terra, gli attentati si moltiplicherebbero, i missili pioverebbero come da Gaza su Sderot. Dall'altra parte di Gerusalemme, saliamo sul cocuzzolo di Kida nella valle di Shilo per incontrare la giovane Tzofia Dorot, abbronzata e attiva madre di due bimbi; il marito ufficiale è lontano, pochi vicini vivono come lei in roulotte pulite e curate; Tzofia è appena riuscita a istituire il giardino d'infanzia, si occupa di fisioterapia. Ma la ventosa Kida può sparire dato che sarebbe nella lista dei 22 avamposti. Come reazione, Tzofia ha ricevuto proprio oggi un architetto di Tel Aviv, è un posto magnifico per il turismo, le ha detto, quelle tre roulotte sono già camere in cui si viene nel weekend per godere la natura. Poco lontano, un altro avamposto, Givat Arel che Daniel Bin Nun ha costruito con le sue mani in memoria di Arel, un suo fratello ucciso; anche suo padre è stato ucciso. L'aria buona non è gratis. L'avamposto contiene un maneggio ippico terapeutico, dove Daniel cura 100 bambini provenienti da tutta Israele.
    Yehiel Leiter spiega un altro punto fondamentale delle sue ragioni: la sicurezza. «Per Israele la continuità territoriale è tutto. Per esempio, abitare la valle di Shilo anche da ovest ad est, cioè, grosso modo, dalla costa verso la Giordania è per Israele l'unico modo di restare in contatto con la Valle del Giordano. Chi ha attraversato tutte le guerre e tutti i rifiuti palestinesi dal '48 al rifiuto recentissimo di Abu Mazen nei confronti di Olmert, non desidera piacere all'opinione pubblica internazionale, ma difendere il Paese. Dietro la Giordania ci sono l'Irak, la Siria e poi l'Iran». Insomma, Dice Yehiel, non scherziamo, anche gli americani sanno che senza spazio territoriale sei a grande rischio. Non basterà la promessa di Bibi di uno Stato palestinese demilitarizzato, perché non c'è garanzia che esso possa restare tale negli anni.
    Storia, difesa territoriale e alla fine senso di identità a chi non piace non piacerà per quante spiegazioni si possano dare, dice Shaul Goldstein, capo della organizzazione di zona del Gush Katif. «Vede - ci tiene a aggiungere - Sharon disse a Bush che avrebbe sgomberato Gaza se gli avesse promesso uno scambio di terra per alcuni insediamenti irrinunciabili. Ciò che Bush fece con una lettera. Forza, dica chiaro Bibi quali sono. E il mondo dica una volta per tutte: la storia è importante? Il retaggio è importante? Perché se non lo è, cambiamo tutto, rivediamo il concetto di nazione per tutti i popoli del mondo, non solo per noi».

(il Giornale, 13 luglio 2009)





5. LE RADICI DELLA CULTURA EBRAICA NEL VICENTINO




«Ebrei spesso inascoltati. La cultura non passa»

IL PERSONAGGIO. È stata la prima a ricostruire le sofferenze di tutti quelli che vennero internati nel Vicentino.

di Chiara Roverotto

Paola Farina
Paola Farina nasce a Vicenza nel 1954, a 18 anni si trasferisce a Londra e conosce il complesso mondo dell'ebraismo ultra ortodosso. Nel 1973 vive la Guerra del Kippur e da quel momento decide "sempre dalla parte di Israele". È la prima a ricostruire le sofferenze degli ebrei internati nel Vicentino. Fa parte di parecchi gruppi sostenitori di Israele. Vive un rapporto molto intenso con la comunità ebraica di Verona e Vicenza, pur essendo molto legata agli ebrei profughi dalla Libia e dalla Russia.

Quali sono le radici della cultura ebraica nel Vicentino?
    Risalgono al Medioevo e ci sono presenze fino all'inizio della seconda guerra mondiale. L'unico sito rimasto in città è quello del cimitero ebraico, ora acattolico. Ma di sicuro c'era un ghetto in centro storico, non c'è mai stata una sinagoga, ma una "schola" sì, un luogo d'incontro.

La comunità vicentina, che resta unita a quella veronese, da quante persone è rappresentata?
    Un centinaio, tutte culturalmente molto attive.

Lei si occupa di rapporti professionali con Israele, coinvolge anche ditte vicentine?
    Trovo poco dialogo in città, sono una consulente free lance dell'ufficio commerciale di Israele a Milano, in pratica il dicastero dell'industria e del commercio israeliano. Nel territorio veneto trovo molte chiusure, sia che io mi presenti personalmente o sotto l'egida del Ministero.

Cosa possono perdere le aziende vicentine?
    Israele eccelle nella tecnologia, ma ha poche industrie manifatturiere, ci sono centinaia di progetti in incubatrice, controllati dai massimi vertici della ricerca scientifica del Ministero che meriterebbero di essere visionati. Peccato non creare sinergie tra l'imprenditorialità veneta e quella israeliana, soprattutto nell'agricoltura:zootecnia, tecnologia idrica, energie alternative e rinnovabili, industria della sicurezza che comprende segmenti ed applicazioni molto diversificate, ma anche nel packaging e nell'agro-alimentare.

Spesso parlare di ebrei è ancora difficile: perché?
    Essere ebreo è un insieme inscindibile di vita, fede e tradizione: non è solo una religione, né una cultura o un punto di vista sull'esistenza. È una combinazione di tutto questo, un patrimonio complessivo e complesso, in cui ogni elemento è indissolubilmente legato all'altro. Significa credere e avere fede in un unico Dio, ma è anche e, soprattutto, il riconoscimento di un rapporto "esclusivo" con questo Dio. Se l'ebraismo fosse stato e fosse solo una religione, probabilmente l'interminabile storia della Diaspora avrebbe avuto un percorso diverso.

Per la giornata europea della cultura ebraica, che si terrà il prossimo 6 settembre, lei ha scritto a tutti i Comuni vicentini, ma in pochi le hanno risposto: come mai?
    Un plauso va al presidente della Provincia, Attilio Schneck che ha concesso il patrocinio a tempo di record, seguito dal sindaco Achille Variati, e il programma "Vicenza" è stato definito. Due patrocini bastano. Per il resto, su 121 Comuni, ad oggi più di 110 sono "latitanti".

Qual è il messaggio che non passa?
    Per capire l'ebraismo è necessario avere una mente viaggiatrice, ascoltare suoni inusuali, vedere i colori con gli occhi degli altri, saper gustare sapori non nostrani, leggere nelle culture e nelle anime altrui ed avere uno sguardo proiettato nel mondo. Bisogna trovare il coraggio di accantonare (non dimenticare) cultura e tradizioni nelle quali si è stati educati ed interpretare le espressioni di vita altrui... si trovano così nuove qualità ed altre priorità, il valore è nella funzionalità di una nuova conoscenza, nell'alchimia del nuovo contatto, solo così si possono comprendere i valori dell'anima ebraica, che non è assolutamente così lontana e distante da quella cristiana.

(Il Giornale di Vicenza, 12 luglio 2009)





6. PALESTINESI SALVANO UNA DONNA EBREA




Gli abitanti del villaggio palestinese Tekoa, vicino a Gerusalemme, sono accorsi in aiuto di una donna ebrea e del suo bambino, la cui macchina si era capovolta in un incidente. Uno degli arabi accorsi, Ahmed Alen, ha detto all'agenzia di stampa palestinese "Maan" che la macchina israeliana andava troppo forte e che la donna al volante aveva perso il controllo. Dei ragazzi palestinesi che avevano visto l'incidente sono subito corsi sul posto. «Prima di tutto abbiamo tirato fuori dall'auto il bambino, e poi la madre, dopo aver rotto il finestrino. La donna era in stato di choc. Uno degli uomini ha chiamato il servizio di soccorso israeliano, che è subito arrivato e ha portato i due in ospedale.» Alla domanda, che cosa pensasse dell'accaduto, Alen ha risposto che non ha esitato a portare aiuto, perché il bene delle persone è più importante della rabbia per l'odio dei coloni dei dintorni.
Da molto tempo quella strada di accesso è oggetto di contesa tra israeliani e palestinesi. Secondo "Maan", negli ultimi tempi perfino degli scolari palestinesi sono rimasti feriti in scontri con gli israeliani.

(israel heute, luglio 2009 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





MUSICA E IMMAGINI




Od Yishama Beharei Yehudah




INDIRIZZI INTERNET




Jerusalem Newswire

Welcome to Gilgal




Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.