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Notizie su Israele 489 - 10 luglio 2010

1. Il buon Mahmoud Abbas
2. Solenne annuncio
3. Un'inziativa di "Amici d'Israele"
4. Vivere a Gerusalemme
5. Il cammino difficile di chi sceglie di diventare ebreo
6. Strane sindromi
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Geremia 3:17. Allora Gerusalemme sarà chiamata "il trono dell'Eterno"; tutte le nazioni si raduneranno a Gerusalemme nel nome dell'Eterno, e non cammineranno più secondo la caparbietà del loro cuore malvagio.
1. IL BUON MAHMOUD ABBAS




Ci possiamo fidare del convitato di pietra?

di Daniel Pipes

Sotto Yasser Arafat l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) ha notoriamente detto una cosa ai musulmani e agli arabi e l'esatto opposto agli occidentali e agli israeliani, usando toni astiosi coi primi e dolci coi secondi. Che dire di Mahmoud Abbas, il mite successore di Arafat? Ha spezzato questo schema di doppiezza o ha continuato a seguirlo? La questione non è secondaria, visto che più voci affermano che Abbas sia pronto a vari compromessi territoriali e, inoltre, abbia fatto dei passi senza precedenti concedendo un'intervista ai giornalisti israeliani e incontrando i leader ebraici americani al A. Daniel Abraham Center for Middle East Peace. Con inaudita precisione, il quotidiano in lingua araba Al-Ayat rivela che Abbas ha informato l'amministrazione Obama della sua disponibilità a raggiungere un accordo sulla Cisgiordania e perfino su Gerusalemme (anche se l'AP(1) ha subito smentito). Nell'intervista Abbas si è mostrato realmente intenzionato a raggiungere un accordo di pace e ad accettare l'idea di truppe internazionali. Un assistente di Abbas ha asserito che questa iniziativa è stata un tentativo da parte del leader palestinese «di tendere la mano agli israeliani (…) vogliamo un partner israeliano per chiudere la partita, un partner che scelga la pace, non gli insediamenti, la pace e non l'occupazione». Lo stesso Abbas ha ammonito gli israeliani: «non fatemi perdere la speranza».
    Come sempre, l'Olp mostra una "Palestina" che rimpiazza Israele.E per finire, una trascrizione di quanto detto nell'incontro avvenuto allo Abraham Center rivela che quanto è stato asserito da Abbas agli astanti era proprio ciò che egli voleva sentirsi dire: vale a dire che lui condanna la violenza, riconosce i legami storici degli ebrei alla terra che Israele controlla, accetta la sicurezza israeliana e promette di eliminare l'istigazione dai media dell'AP e dai testi scolastici. Sulla delicata questione dell'Olocausto - un argomento su cui lo stesso Abbas scrisse la tesi del suo dottorato di ricerca conseguito in Unione Sovietica in cui egli accusava i sionisti di gonfiare le cifre degli ebrei uccisi per motivi politici - Abbas ha ammesso le sofferenze degli ebrei e ha ricusato il negazionismo dell'Olocausto. Che fare di tutto questo? Abbas ha detto di aver parlato ai leader ebraici americani «nello stesso linguaggio» con cui egli è solito parlare alle piazze palestinesi. Sì e no. In realtà, i media dell'AP hanno sfornato dichiarazioni per le "piazze" palestinesi che, a dir poco, hanno contraddetto le paroline dolci dirette agli israeliani e agli americani. Come giungono notizie di Abbas che tende la mano all'altra parte, così giungono anche voci dal Palestinian Media Watch di messaggi trasmessi ai palestinesi che dicono esattamente l'opposto.
    Ad esempio, la TV dell'AP, che è direttamente controllata dall'ufficio di Mahmoud Abbas, trasmette un gioco televisivo settimanale, The Stars, in cui i rappresentanti delle università palestinesi concorrono rispondendo alle domande. Di recente, due quesiti di geografia (qui semplificati) hanno implicitamente negato l'esistenza dello Stato di Israele. È stato chiesto: «Quanto è lunga la linea costiera della Palestina?»
    La risposta era: 235 km, se alla costa di Gaza (45 km) si aggiunge la costa mediterranea di Israele (circa 190 km). E ancora: «Quanto è larga la Palestina?» Risposta: 27.000 kmq incluse la Cisgiordania e la Striscia di Gaza (6.000 kmq) con quella di Israele (21.000 kmq). In un analogo esempio di doppiezza, Salam Fayyad, che dice di essere il primo ministro dell'AP, un anno fa disse in inglese ad Aspen, in Colorado, che gli ebrei saranno ben accetti se sceglieranno di vivere in un futuro stato della Palestina dove essi «godranno di (pieni) diritti e di certo godranno né più né meno dei diritti di cui ora godono gli arabi israeliani che vivono nello Stato di Israele». Davvero belle parole. Ma solo due giorni prima, Saeb Erekat, a capo del dipartimento dei negoziati dell'AP, ha detto esattamente l'opposto in arabo (come nella versione messa a disposizione dal Memri): «nessuno dovrebbe accettare che i coloni israeliani rimangano nello stato palestinese (…) Qualcuno dice che noi [saremo disposti a] concedere la cittadinanza ai coloni. Rifiutiamo a priori questa idea». Abbas e Fayyad si sono espressi in inglese parlando ad americani e israeliani. Erekat ha parlato in arabo ai palestinesi. Entrambe le dichiarazioni possono non essere veritiere; e certamente una deve essere falsa. Quale delle due, mi chiedo. I palestinesi fanno questo manifesto e ingenuo doppio gioco perché funziona. Gli israeliani, gli americani e anche gli altri spesso accettano i toni dolci che sentono con le loro orecchie e respingono le voci di parole dure di cui hanno solamente sentito parlare. L'AP continuerà in modo incurante a diffondere le sue menzogne finché il mondo presterà attenzione e ricuserà, perché premiare una pessima condotta invariabilmente porterà a un comportamento ben peggiore. Quando la smetteremo di illuderci che Abbas e l'AP cercano qualcosa di meno della totale eliminazione dello Stato ebraico? Che disastro dovrà accadere prima che noi apriamo gli occhi sulla realtà?

(Liberal, 7 luglio 2010 - dall'archivio di Daniel Pipes)


(1) Daniel Pipes usa la dizione corretta: AP (Autorità Palestinese), non quella diffusa per ignoranza o malizia dai media: ANP (Autorità Nazionale Palestinese) n.d.r.





2. SOLENNE ANNUNCIO




Ahmadinejad: «Gli ebrei sono umani solo in apparenza»

"... Se uno confida nella potenza di Dio, la potenza degli altri è niente a paragone, [e questi], fondamentalmente, non hanno diritto di esistere. Non è che uno che crede in Dio e nella Sua potenza non debba prendere in considerazione le forze di altri e che non le debba temere - piuttosto, chiunque creda in Dio sa che non c'è altra potenza all'infuori della Sua…"

Gli ebrei sono "i più grandi e sporchi criminali, che di umano hanno solo l'apparenza":
"... Sessanta anni fa, loro [i.e. l’Occidente] hanno messo insieme i peggiori e più sporchi criminali, che di umano hanno solo l'apparenza [i.e. gli ebrei] da tutti gli angoli della terra, li hanno organizzati ed armati - con pretesti falsi ed artificiali, falsificando delle informazioni ed inventando storie [riferendosi allOlocausto]. Hanno dato [agli ebrei] appoggio militare e propagandistico in modo che potessero occupare le terre di Palestina e sradicare la nazione palestinese…"

Il nostro programma di cambiare l'ordine mondiale sta andando avanti passo a passo:

"[Durante la mia visita in Cina] un giornalista mi ha chiesto: tre anni fa, l'Occidente ha emanato alcune sanzioni [contro l'Iran], e quando io l'ho intervistata, lei si è messo a ridere; anche oggi, dopo che hanno emanato le nuove sanzioni, lei è venuto in Cina… lei si è incontrato con il popolo cinese ed ha riso dal mattino fino ad adesso…
<"gli ho risposto, perché dovrei preoccuparmi, quando io ho un piano per cambiare il mondo, dare nuova forma all'equilibrio [di potere] oppressivo nel mondo, e [cambiare questo] ordine mondiale unilaterale e discriminatorio? e noi stiamo facendo progressi, passo per passo, [nell'implementare] questo piano e siamo contenti e grati a dio che loro [i.e. loccidente] stiano facendo le mosse che ci attendevamo. vogliamo provare al mondo che il consiglio di sicurezza non ha alcuna legittimità, che è oppressivo, che usa un doppio standard, che è uno strumento degli usa e del regime sionista e che mente…"

La nostra missione è quella di liberare il popolo americano dalla dittatura:
<
"E una verità divina che tutti i programmi contro l'umanità e tutti i crimini e lo spargimento di sangue sono effettuati sotto la supervisione del governo USA e che la richiesta [di porvi fine] viene solo dalla nostra nazione… Questa loro mossa [i.e. probabilmente un riferimento agli appelli del presidente Obama ad appoggiare il movimento di protesta iraniano] ci obbliga ad impegnarci in un'altra missione internazionale, perché oggi, contro la nazione americana, viene esercitata la più brutale delle dittature, sottoponendola alla peggiore delle soffocazioni - la stampa non è libera di parlare dei crimini di Israele e dell'America e non si possono fare liberamente delle manifestazioni in risposta a questi crimini…
<"vi annuncio perciò che, da ora in poi, una delle maggiori aspirazioni della nazione iraniana sarà quella di liberare il popolo americano dal suo governo antidemocratico e prepotente."

(MEMRI, 18 giugno 2010)





3. UNA INIZIATIVA DI "AMICI DI ISRAELE"




L'onore dell'Occidente è macchiato dalla secolare ostilità verso gli Ebrei

Pubblichiamo una dichiarazione d'intenti firmata da Jose Maria Aznar, David Trimble, John R. Bolton, Alejandro Toledo, Marcello Pera, Andrew Roberts, Fiamma Nirenstein, George Weigel, Robert F. Agostinelli e Carlos Bustelo. Obiettivo quello di ricordare a tutti che Israele è una democrazia occidentale e un Paese normale. Che vive in condizioni eccezionali.

Israele è una democrazia occidentale e un Paese normale. Ciononostante, sin dalla sua nascita Israele ha fronteggiato condizioni anormali. Infatti è l'unica democrazia occidentale la cui esistenza sia stata messa in discussione con la forza, e la cui legittimità venga tutt'ora messa in dubbio indipendentemente dalle sue azioni. La recente crisi legata alla questione della "Flottilla" nel Mediterraneo ha fornito ancora un'altra occasione per i detrattori di Israele di rinnovare la loro frenetica campagna. La situazione era la stessa anche prima che venissero alla luce i fatti del tragico incidente. Si è stati ciechi di fronte alle ragioni per le quali Israele ha dovuto rispondere alla chiara provocazione della Flottilla di Gaza.
    Poiché noi crediamo che Israele sia soggetto a un trattamento ingiusto e siamo convinti che difendere questo stato significa difendere i valori che costituiscono e sostengono la nostra civiltà occidentale, abbiamo deciso di lanciare l'iniziativa "Gli amici di Israele". Il nostro obiettivo è riportare alla ragione e alla decenza la discussione intorno a Israele. Siamo un gruppo eclettico, proveniente da Paesi diversi e che hanno differenti opinioni su tutta una serie di tematiche. Inutile dire che non parliamo a nome dello stato di Israele e non difendiamo ogni linea d'azione che esso decide si seguire. Siamo uniti, tuttavia, dalle seguenti convinzioni, principi e scopi: in primo luogo Israele è una normale democrazia occidentale, e dovrebbe essere trattata come tale. Il suo sistema parlamentare, le sue tradizioni legislative, il suo sistema d'istruzione, i suoi strumenti di ricerca scientifica e le sue conquiste culturali sono tanto fondamentali per se stesso quanto per qualsiasi altra società occidentale. Infatti, in alcune di queste aree, Israele è considerato un leader a livello mondiale.
    In secondo luogo, i tentativi di mettere in dubbio la basilare legittimità di Israele quale stato ebraico in Medio Oriente sono inaccettabili per chi crede nei valori liberali e democratici. Lo stato di Israele è stato fondato sulla scia della Risoluzione 181 delle Nazioni Unite, approvata nel 1947. Ed è anche sorto da una connessione, mai spezzata, fra gli Ebrei e la terra, che si porta dietro migliaia di anni. Israele non deve la sua legittimità, come sostengono alcuni, alla compassione scaturita dall'Olocausto. Essa gli deriva, piuttosto, dalle leggi internazionali e dallo stesso diritto all'autodeterminazione rivendicato da tutte le nazioni.
    In terzo luogo, in quanto membro completamente legittimato della comunità internazionale, il diritto fondamentale di Israele all'auto-difesa non dovrebbe essere messo in discussione. Né dovrebbe essere dimenticato che Israele fronteggia eccezionali minacce alla sua sicurezza - da parte di gruppi terroristici come Hezbollah ed Hamas e da un Iran alla ricerca di armi nucleari. Le condanne di Israele da parte dell'Onu, venute fuori dal Rapporto Goldstone dello scorso anno sulla recente guerra a Gaza, per esempio, ignorano le sfide alla sicurezza affrontate da Israele. Tutte le democrazie dovrebbero opporsi a queste campagne, che alla fine minano la legittimità non solo di Israele ma delle Nazioni Unite stesse. In quarto luogo, non dobbiamo dimenticare che Israele è dalla nostra parte nella lotta contro l'Islamismo e il terrorismo. È in prima linea in questa lotta in quanto baluardo dei valori giudaico-cristiani. La convinzione secondo cui il mondo democratico può sacrificare Israele per placare l'Islamismo è profondamente sbagliata e pericolosa. Il tentativo di pacificazione fallì nel 1930 e fallirebbe oggi.
    In quinto luogo, gli sforzi fatti in buona fede da chi vuol promuovere la pace tra Israele e i Palestinesi devono essere sempre supportati. Ma gli estranei dovrebbero guardarsi dai tentativi di imporre le loro soluzioni. Israeliani e Palestinesi dovrebbero sapere loro stessi come costruire una pace attuabile. Noi possiamo aiutarli, ma non possiamo forzarli. In sesto luogo, dobbiamo essere sensibili ai pericoli che la campagna contro Israele pone dal punto di vista del risveglio dell'anti-semitismo. L'ostilità verso gli Ebrei è stata per secoli una macchia per l'onore dell'Occidente. È una questione di basilare rispetto per se stessi quella di affrontarla attivamente e di opporsi a nuove manifestazioni di un vecchio e odioso problema.
    L'iniziativa "Gli amici di Israele" è nata con l'obiettivo di incoraggiare uomini e donne di buona volontà a rivalutare i loro atteggiamenti nei confronti dello stato ebraico, e di trasferirli nelle migliori tradizioni occidentali anziché nelle peggiori. Li esortiamo a riconoscere che è nel nostro maggiore interesse che la relazione tra Israele e altre democrazie liberali, sempre più logorata, venga messa in salvo e rinvigorita prima che sia troppo tardi per tutti.
    Aznar è un ex primo ministro spagnolo. Trimble è un ex primo ministro dell'Irlanda del Nord. Bolton è un ex ambasciatore americano delle Nazioni Unite. Toledo è un ex presidente del Perù. Pera è un ex presidente del Senato italiano. Roberts è uno storico britannico. Nirenstein è vice-presidente della Commissione degli Affari Esteri della Camera dei Deputati italiana. Weigel è un vecchio socio dell' Ethics and Public Policy Center. Agostinelli è managing director di Rhône Group. Bustelo è ex ministro dell'Industria in Spagna.


Tratto da American Freedom
Traduzione di Alma Pantaleo


(l'Occidentale, 9 luglio 2010)





4. VIVERE A GERUSALEMME




Una sfida per le giovani famiglie israeliane

di Myriam Ambroselli

Ormai da anni le giovani famiglie costituiscono la parte più grande dei residenti di Gerusalemme che abbandonano la città lasciando dietro loro dei quartieri che cominciano a diventare vecchi. E' un fatto che non sfugge all'attenzione del sindaco di Gerusalemme Nir Barkat e dell'amministrazione della città. Nel 2009 i maggiori sforzi sono stati concentrati sul caso degli studenti, al fine di rendere Gerusalemme attraente e accessibile ai giovani adulti. Oggi l'amministrazione si interessa ai bisogni delle giovani famiglie, per le quali vivere a Gerusalemme costituisce spesso una vera sfida.

Da più di dieci anni Gerusalemme, che è una delle città più povere d'Israele, soffre di una immigrazione negativa. Le statistiche dell'Istituto di Gerusalemme per la Ricerca rivelano che delle 17.598 persone che hanno lasciato la città nel 2007, il 63% appartiene alla categoria delle giovani famiglie (adulti tra 25 e 44 anni e figli da 0 a 14 anni). L'amministrazione concentra i suoi sforzi sulle giovani famiglie della classe media laica e dell'ambiente religioso sionista. La posta in gioco è alta: molte ricerche rivelano il rapporto stretto che esiste tra la ricchezza di una città e la prosperità dei giovani adulti residenti. Essi costituiscono la parte più dinamica della popolazione attiva, creano un'atmosfera positiva e contribuiscono a forgiare la società. I bisogni e le preoccupazioni delle giovani famiglie sono ben più complessi di quelli degli studenti. Le famiglie hanno diversi bisogni di primaria importanza: un alloggio con un affitto ragionevole, un lavoro e una scuola o un asilo per l'educazione dei figli. La mancanza di lavoro e il prezzo troppo alto degli alloggi sono le prime cause nominate dalle famiglie che lasciano la città. Quelli che restano devono affrontare una vera sfida: l'educazione dei figli, parchi meno attrezzati e meno numerosi a Gerusalemme che in altre città d'Israele (problemi di pulizia o di vandalismo, d'assenza di infrastrutture per fare ombra d'estate, e di giochi in cattivo stato, per esempio), problemi di trasporto in generale, di attività extra-scolastiche troppo care, ecc.
    Le famiglie di Gerusalemme vorrebbero che i loro bisogni fossero presi in considerazione. Alcuni genitori sottolineano che sarebbe bene frenare un po' la costruzione di appartamenti di lusso per stranieri e cominciare a costruire immobili con appartamenti abbordabili dalle famiglie, sia per l'affitto sia per la vendita. Sono questi i temi sollevati specificamente dall'organizzazione Gerusalemme Famiglie e dalla Conferenza per le giovani famiglie. L'amministrazione cerca di rispondere attentamente alle loro necessità e di offrire un miglioramento della qualità della vita per incoraggiarli a restare o a venire a vivere a Gerusalemme: rinnovo dei parchi, aree di gioco e banchi di sabbia all'ombra, libri gratuiti per i ragazzi nelle librerie municipali, rimborso di spese dentistiche per ragazzi da sei a quattordici anni. L'amministrazione ha anche annunciato un potenziamento delle misure contro il vandalismo nei parchi pubblici e nelle aree di gioco, come anche sistematiche contravvenzioni per i veicoli parcheggiati sui marciapiedi che impediscono ai passeggini di circolare liberamente. Si lavora anche all'elaborazione di un sito internet destinato ai giovani adulti della città (genitori, studenti, soldati, ecc.): un sito che raccoglierà le informazioni sulle attività e i servizi destinati a loro.
    Un nuovo progetto di urbanismo audace si profila per la Città Santa.
    Giugno 2010: Nir Barkat ha annunciato un progetto comunale



per la futura costruzione di più di 20 immobili destinati ad essere venduti al 20% in meno rispetto al prezzo di mercato, riservati unicamente ai giovani adulti di meno di 41 anni che non possiedono alcuna proprietà in città. Un progetto pensato in collaborazione con le grandi istituzioni della città, come per esempio l'Università Ebraica, i cui diplomi rappresentano un'élite che Barkat spera bene di mantenere a Gerusalemme.

(Un écho d'Israèl, 8 luglio 2010 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





5. IL CAMMINO DIFFICILE DI CHI SCEGLIE DI DIVENTARE EBREO




La comunità ebraica italiana davanti al problema dei gentili che chiedono di diventare ebrei


Si nasce. E talvolta si diventa

di Hulda Brawer Liberanome

Perché diventare ebreo, far parte di una minoranza poco compresa carica di una tragica storia, perché adattarsi a seguire le rnitzvot [precetti] che molti di noi non seguono? Sono le domande che rivolgo ad alcuni gherim (convertiti), fiorentini che vedo spesso al Tempio.
    Parlo di gherim con Yosef Levi, da quindici anni rabbino capo della Comunità di Firenze, israeliano e figlio del noto musicologo Leo Levi. Ogni anno, dice, ricevo due o tre richieste di ghiur (conversione), circa la metà di chi viene, per una prima presa di contatto. Molti hanno qualche legame familiare con ebrei, alcuni sono seconda perfino terza generazione ed è questo il maggior gruppo dei gherim che comprende naturalmente mogli di ebrei spesso con i loro figli. Poi ci sono singoli cattolici con percorsi lunghi e non facili, alla ricerca di un'altra fede religiosa. Il numero degli iscritti alla Comunità è attualmente di 907 persone, di cui circa la metà ha superato i cinquanta anni. La maggior parte dei candidati gherim, dice il rav, ha meno di quarant'anni e nella vita della Comunità sono ben accolti. I gherim sono attivi e molto presenti anche al Tempio e rappresentano una crescente percentuale, visto il numero dei giovani ebrei che lasciano la città o che scelgono di allontanarsi. Shulamit Levi, moglie del rabbino capo di Firenze che prepara le candidate mi parla di tre categorie di gherim, spesso interconnesse e cioè di chi è convinto per motivi teologici, di chi desidera diventare ebreo per motivi psicologici e di chi è attratto dal sistema di vita dell'ebreo osservante.
    Anna, psicologa, mi riceve nel suo bello studio in una zona residenziale di Firenze. Cresciuta in una casa appena fuori delle mura leonardiane, che portano fino allo splendido castello mediceo del Belvedere, è andata a scuola dalle suore perché vicina a casa. Il nonno materno, socialista, antifascista, viene picchiato dalle squadracce, la nonna materna, si saprà molto più tardi, fornisce informazioni agli inglesi. La tata, austriaca, è sposata ad un ebreo mandato ai campi. Lei scappa in Italia per salvare il figlio. Dopo la guerra, di domenica la famiglia va al cinema e spesso vede film sulla Shoah. A scuola delle suore, si prega, si studiano testi sacri. Anna fa tante domande, ma a scuola e anche a casa le consigliano di desistere. Le domande restano senza risposta. Dopo la maturità va all'università di Firenze e frequenta un corso di storia delle religioni. Si studia la Bibbia. "Mi si apre un mondo", dice. Alle domande ora risponde il professore. Comincia a frequentare il Tempio di sabato. Va in Israele all'ulpan dell'università di Gerusalemme, lo studio in un campus universitario le piace molto. Ritorna in Israele e va in un kibbutz e torna altre volte. una vacanza con la Fgei - Federazione giovanile ebraica, un'altra con la madre, proprietaria di una grande libreria universitaria, fa amicizie. A casa non tutti capiscono l'interesse per l'ebraismo e per Israele, e lei stessa è incerta, "teme di correre da sola". Ma la convinzione di diventare ebrea cresce dentro di lei, racconta, "come un bimbo nel grembo della madre ogni ora, ogni giorno".

*

Ormai la decisione è presa. Va a Roma e parla con rav Toaff. Quando si viene a sapere in Comunità che si è iscritta, molti si meravigliano perché la credevano sempre ebrea. Che cosa, domando ancora, ti ha attratto nell'ebraismo? La mancanza di dogmi, le discussioni, gli scambi di opinioni e il fatto che, salvo per pochi concetti fondamentali, non c'è verità assoluta e c'è molta libertà di pensiero. Più tardi sposa un ebreo anch'egli iscritto alla Comunità ed hanno due figli.
    Marco e Filomena mi ricevono nel loro loft circondato da una grande terrazza che sembra quasi a ridosso alla splendida cupola brunelleschiana del Duomo di Firenze. Un panorama mozzafiato. "A tutti - racconta Marco - dicevo di essere figlio di ebreo o addirittura di essere un ebreo. Non era la verità. lo volevo esserlo ma non lo ero". Perché tutto questo? gli domando. Marco, oggi consulente immobiliare che lavora per enti ecclesiastici, mi racconta la sua vita. Non stava bene in famiglia e ha lasciato la casa patema a Paestum all'età di quattordici anni. Viaggia, lavora da semplice operaio, impara i vari mestieri della manutenzione di case. Arriva a Firenze e se ne innamora ma è molto solo. Incontra per caso un gruppo di ebrei che lo accolgono bene. Comincia a lavorare per alcune famiglie ebraiche e poi, molto spesso, per la Comunità e viene abbastanza regolarmente al Tempio. "In Comunità ho trovato la famiglia che non avevo, vengo accolto con affetto", racconta. Un giorno decide di parlare con rav Levi che lo invita a riflettere molto bene. Poi quattro anni fa incontra la giovane e simpaticissima Filomena, anche lei meridionale trapiantata a Firenze per gli studi universitari e attualmente maestra di scuola elementare. Parlano del sogno di Marco di diventare ebreo. Lei si convince. Studiano da soli, al computer, con il rav e con Shularnit. Decidono di andare un mese in Israele per imparare l'ebraico.

*

Un anno dopo ritornano in Israele. Questa volta lui va ad una yeshivah [centro di studi della Torah] sefardita a Gerusalemme, lei studia a casa con maestri. Studiavamo dalle nove la mattina per dieci, undici ore, racconta Filomena, "ma ci piaceva tanto". Al ritorno osservano la kasherut [insieme delle norme alimentari ebraiche] e lo Shabbat e vanno spesso al Tempio. La nostra casa era ormai una casa ebraica, dice Filomena. La kasherut, racconta, non le sembrava strana perché le ricordava qualche usanza seguita dalla nonna forse discendente dai marrani, chi sa. Nel dicembre 2009, dopo poco più di tre anni, sono gherim. In gennaio si sposano al Tempio maggiore di Firenze alla presenza di numerosi membri della Comunità In febbraio nasce la loro figlia Rebecca Rivka . Noi siamo gherim, dice Marco orgoglioso, ma la nostra Rivka nasce ebrea e ora, impaziente come ogni bimbetta, vuole essere allattata. Enrico, uomo di teatro e di musica ebraica, fra le altre sue attività, dirige l'orchestra multietnica di Arezzo. Figlio di un professore all'università di Firenze, ebreo, di madre non ebrea, cresce in una casa laica e di sinistra. I genitori avrebbero potuto al momento della sua nascita farlo ebreo, ma preferivano che la decisione la prendesse lui stesso da adulto. Perché l'hai fatto? Gli domando. Racconta: "Dopo l'autunno del 1943 furono mandati nei campi 12 membri della famiglia compresi il nonno e il bisnonno, hazan, nessuno ha fatto ritorno.
    La nonna, coraggiosa, è riuscita a scappare con il bimbo e vivere in un paese da parenti con documenti falsi. Passavano, come altri, da sfollati e nessuno li ha denunciati. Una vera fortuna", dice Enrico. Ritornano a casa a Ferrara. La vita riprende il suo ritmo e il padre di Enrico, cresciuto con la madre laica, finisce gli studi. Riceve dalla zia qualche nozione di ebraismo. Si va al Tempio, per le grandi feste. Si fa seder [cena pasquale ebraica] in case di parenti. Sarà poi la vita di Enrico, "un quasi ebreo" anche se inserito nella vita della famiglia ebraica e nella comunità.
    Si interessa molto alla storia della famiglia paterna, ben nota a Ferrara, ed è appassionato di musica ebraica e non, e di teatro. Si laurea brillantemente in fisica all'università di Firenze e vince una borsa dì studio per una prestigiosa università americana. Esce un suo dvd di musica ebraica. Che fare? Deve scegliere e sceglie la musica ed il teatro ebraico. La famiglia è piuttosto stupita. Ben presto si presenta un'altra scelta importante da fare, quella dello stile di vita. Continuare a essere un laico, "quasi ebreo", oppure cercare di diventare ebreo vero e proprio che in più segue le tradizioni e può pregare in un minyan [numero minimo di uomini per una preghiera sinagogale], leggere la Torah al Tempio? Muore la nonna paterna, che ha avuto un ruolo importante nella vita di Enrico, che si domanda se con suo padre finisca la storia ebraica della famiglia. E' il momento di decidere ed Enrico opta per il ghiur. E' stato, dice, relativamente facile. La moglie, attrice e regista, ebrea di nascita, segue un percorso analogo.

*

Giovanni, nativo di Arezzo, è maestro di yoga. Viene da una famiglia di cattolici osservanti, impiegati in enti pubblici, a suo tempo sostenitori del regime fascista. Come sei arrivato all'ebraismo? gli chiedo. Mi apre il messale della mamma e legge la preghiera del venerdì santo antecedente il concilio ecumenico secondo. Nella preghiera i fedeli supplicano e Giovanni mi cita: "affinché D-o tolga il velo dal cuore dei perfidi ebrei", che successivamente vengono definiti "popolo cieco". Giovanni si chiede spesso il perché. Terminati gli studi sente un grande desiderio di allontanarsi dall'atmosfera chiusa e bigotta di casa. Legge molto sulla Shoah e segue con entusiasmo i primi anni dello Stato di Israele. Si iscrive al partito comunista. In famiglia è isolato. Il radicale cambiamento del partito verso Israele lo turba. Lascia il Pci. Va a lavorare a Roma e viaggia all'estero. Per la prima volta incontra ebrei e per curiosità qualche volta va in sinagoga a Roma, a New York, ma cerca la via maestra alla pace interiore nello yoga, teoria e pratica. Diventa maestro professionale di yoga e vive a FIrenze. La pratica lo appassiona, ma la teoria dello yoga lo delude. Cerca il ritorno al cattolicesimo, questa volta frequentando i frati benedettini ed è particolarmente interessato alle radici ebraiche del primo cattolicesimo. Studia la Bibbia. A un certo punto parla con uno dei frati di Israele e sente dire che la soluzione per il conflitto israelo palestinese è l'eliminazione degli israeliani. A questo punto comincia a frequentare il Tempio di FIrenze. E' molto attratto da quello che chiama "il mistero dell'ebraismo, la libertà morale, lo scambio di opinioni, l'assenza di intermediari fra l'ebreo ed il suo D-o". Decide di diventare ebreo. Parla con rav Levi. Il percorso dura dieci anni. Troppi, dice Giovanni e aggiunge "mi hanno privato di tanta gioia". Intanto è sempre presente al Tempio e agli eventi culturali organizzati dalla Comunità. Dà lezioni di yoga in comunità alla quale versa il ricavato. Fa molte amicizie. "Sto bene, dichiara, ho trovato quello che cercavo".

(pagine ebraiche, luglio 2010)





6. STRANE SINDROMI




La «sindrome paolina» e l'esclusione di Israele

di Donatella Di Cesare

È difficile capire l'attuale esclusione di Israele dalla comunità mondiale, se non si guarda molto indietro nei secoli. Perché ciò che opera sotterraneamente in tutto lo spettro politico, nei media e in molte organizzazioni «umanitarie», è quella che si potrebbe chiamare la sindrome paolina della manipolazione.
Quando ha voluto fondare la propria identità il cristianesimo delle origini ha tentato di dissociare Israele in carne e in spirito; ha relegato quindi gli ebrei allo statuto inferiore della carne e ha conferito ai cristiani la parte migliore di Israele, il suo spirito. Che di ciò si possa ritenere responsabile solo Paolo è questione aperta. Ma il cristianesimo, nella sua ambizione a soppiantare Israele con la universalità, con la «cattolicità», ha costituito il primo sistema compiuto di esclusione degli ebrei come popolo. Paolo legge la elezione di Israele in modo gerarchico e particolaristico, non come una benedizione per le nazioni. Pone quindi le basi dell'elezione cristiana contro il popolo ebraico, condannato a perdere ogni legittimità. Passa il «messaggio» che il cristianesimo abbia fornito all'ebraismo una apertura universale di cui era privo. Peccato che l'espansione dell'universale cristiano, cioè l'evangelizzazione, abbia assunto nella storia forme imperialistiche e che l'universale cristiano sia stato universale … meno uno, che abbia potuto proclamarsi tale solo con l'esclusione del popolo ebraico, riprovevole perché refrattario e ribelle alla universalizzazione.
La sindrome paolina funziona ancora. Ed è la stessa antica riprovazione che colpisce oggi Israele ed elegge (ma non aiuta) i palestinesi. Si spiega così quanto questa manipolazione sia diffusa, anche solo per inconsapevolezza e ignoranza, tra i cattolici e gli ex-cattolici di sinistra (ma la diffusione è trasversale). E si spiega anche la fortuna recente, nel pensiero contemporaneo, della «teologia politica di Paolo» che passa attraverso una appropriazione grave e arbitraria delle splendide pagine di Jacob Taubes.
La manipolazione consiste nel proiettare il ruolo di vittima che il popolo ebraico, suo malgrado, ha dovuto subire, e soprattutto la dimensione profonda della «speranza» di cui Israele si è fatto portatore, la grandiosa eredità della sua storia, a profitto dei palestinesi, il nuovo popolo eletto della morale internazionale, chiamato a nascere sulle rovine di Israele.

(Notiziario Ucei, 28 giugno 2010)


COMMENTO - "Paolo legge la elezione di Israele in modo gerarchico e particolaristico, non come una benedizione per le nazioni. Pone quindi le basi dell'elezione cristiana contro il popolo ebraico, condannato a perdere ogni legittimità."
A un'intellettuale sarebbe lecito chiedere se è in grado di esibire un'analisi critica completa ed esauriente dei testi paolinici, inseriti naturalmente nel complesso dei testi neotestamentari e delle corrispondenti citazioni veterotestamentarie, a sostegno delle sue sintetiche conclusioni, così nette e così gravemente ricche di conseguenze culturali e politiche. Nello stesso stile sintetico dell'autrice, si potrebbe dire come commento che le conclusioni a cui essa giunge sono un insieme di sciocchezze. Ma certamente anche questa affermazione dovrebbe essere supportata - e potrebbe esserlo - da precisi richiami testuali. Un amichevole consiglio si vorrebbe far arrivare agli ebrei che leggono queste righe, soprattutto agli intellettuali fra di loro: se volete parlar male dei cristiani, delle chiese dei cristiani, della politica dei cristiani, fatelo pure e in moltissimi casi coglierete nel segno. Ma se volete prendere il toro per le corna e affrontare di petto i testi storici che sono a fondamento della fede cristiana, cioè i libri del Nuovo Testamento, allora sarebbe saggio, oltre che onesto e culturalmente obbligatorio, muoversi con prudenza e rigore, perché è molto facile mancare il bersaglio. Un intellettuale che voglia fare esplicite dichiarazioni sui testi storici e teologici del Nuovo Testamento non può limitarsi a rimaneggiare commenti altrui ricevuti di seconda o terza mano, ma deve sentire l'obbligo culturale e morale di leggere, analizzare e valutare criticamente di persona il complesso dei testi biblici, e fare tutto questo con la stessa accuratezza, rigorosità ed esaustività che userebbe, per esempio, con testi (molto meno importanti) di Aristotele, Descartes, Kant o Heidegger. Il suggerimento dunque è semplice: leggere, analizzare criticamente e studiare in modo approfondito tutto il Nuovo Testamento. Ma un avvertimento è d'obbligo: molti, anche tra i più agguerriti nemici del cristianesimo, l'hanno fatto. E ci hanno lasciato le penne. Ma non se ne sono mai pentiti. M.C.





TESTIMONIANZE




Arnold G. Fruchtenbaum

«Dal diciassettesimo fino al diciannovesimo secolo, la Polonia aprì le porte agli Ebrei rifugiati che scappavano dalla persecuzione in altre aree d'Europa. Al tempo della prima guerra mondiale, la comunità ebraica polacca contava tre milioni di persone ed era la più grande comunità ebraica nel mondo. All'interno di questa comunità una setta religiosa cominciò a crescere fintanto che arrivò a permeare l'intero Giudaismo. Queste persone passarono alla storia come Chassidim (letteralmente "i pii"), cioè gli Ultra-Ortodossi. Andavano sempre vestiti di nero, con larghi cappelli di pelliccia, lunghe barbe e riccioli ai lati del capo: il loro tradizionale abbigliamento.
Dopo la morte del loro fondatore, il movimento si suddivise in ulteriori gruppi basati soprattutto sulle aree geografiche.
Fra i conduttori di uno di questi gruppi (conosciuto come Gerer Chassidim) vi era la famiglia dei Fruchtenbaum. Mio nonno, suo padre e così via erano fra i conduttori di questo gruppo. Per diventare capo gruppo mio nonno dovette sottostare ad una rigorosa preparazione. All'età di tredici anni aveva già memorizzato i primi cinque libri di Mosè in ebraico. All'età di diciotto aveva memorizzato l'intero Vecchio Testamento. All'età di ventuno era in grado di indicare la posizione di tutte le parole della Bibbia ebraica. Se qualcuno prendeva una pagina a caso, mio nonno era capace di recitargliela a memoria, parola per parola nel corretto ordine pagina dopo pagina. Questo era il livello di memorizzazione richiesto a tutti i componenti di quel piccolo gruppo.»





MUSICA E IMMAGINI




Adon Olam




INDIRIZZI INTERNET




Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea

Osservatorio sul Pregiudizio Antiebraico Contemporaneo




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