Questa sarà la piaga con cui l'Eterno colpirà tutti i popoli che avranno mosso guerra a Gerusalemme: le loro carni marciranno mentre stanno ancora in piedi; i loro occhi marciranno nelle orbite; la lingua marcirà loro in bocca.
Zaccaria 14:12

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Jewish Dance
























La misteriosa fuga di Castiglioni l'alpinista che salvò gli ebrei

di Enrico Martinet

La Storia si mescola alla finzione e ne esce un giallo con due omicidi e una traccia che conduce a uno dei più grandi alpinisti degli Anni 30 del Novecento, Ettore Castiglioni. Intellettuale milanese, raffinato esteta dell'alpinismo, pianista e partigiano, morì assiderato ai piedi del Passo del Forno, tra Valtellina e Engadina, per sfuggire alla prigionia. La chiave del giallo e anche della misteriosa fuga di Castiglioni dalla Svizzera è nel libro Il codice Debussy (Elliot editore), di Lorenzo Della Fonte, musicista e direttore d'orchestra, docente al Conservatorio di Torino. Otto dei 24 preludi di Claude Debussy rappresentano il codice che guida il capitano dei carabinieri Giovanni Bassan.
   La vicenda si svolge tra l'autunno del 1944 e la primavera del 1945. I due omicidi (non storici) di cui si occupa lo portano da Asti (dove è stata uccisa una ragazza ebrea) a Valpelline, dove la vittima è invece una anziana perpetua. In questa località della Valle d'Aosta trova traccia di Castiglioni. Lui tenente degli alpini fino al 1943 alla Scuola militare di Aosta, diventa partigiano dopo 1'8 settembre e si rifugia nell'alpeggio Berio della conca di Ollomont, che si apre sulla Valpelline.
   Da quel posto appartato Ettore Castiglioni, con la sua banda partigiana incrocia la sua vita con ebrei in fuga. Fa il passeur e contrabbanda formaggio. Guida in Svizzera gli ebrei attraversando il col Fenètre, lo stesso passo che consentì al futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi di sfuggire all'arresto da parte dei fascisti.
   Il capitano uscito dalla fantasia di Della Fonte incontra la realtà storica nella ricerca di una misteriosa valigia. Lo aiuteranno i preludi di Debussy, autore preferito dallo stesso Castiglioni. Le pagine storiche riguardano i partigiani della lombarda Valtellina, l'aostano Edoardo Alessi, ufficiale dell'Arma, che muore come capo della Resistenza vicino a Sondrio. E le vicende di Castiglioni, arrestato due volte dagli svizzeri e poi, proprio perché famoso alpinista, tenuto prigioniero privato da ogni indumento, scarponi compresi. Ma fuggì all'inizio di marzo del 1944 avvolto in una coperta, con stracci ai piedi. Appena passato il confine al Passo di Forno, fatica e freddo lo imprigionarono per sempre.

(La Stampa, 29 settembre 2019)


"La vita spericolata di Camillo Castiglioni"


Israele - L'ipotesi del ritorno alle urne "sempre più realistica"

GERUSALEMME - Si fa sempre più realistica in Israele l'ipotesi che i cittadini debbano tornare alle urne per la terza volta nel giro di un anno. Lo sostengono le due principali emittenti televisive dello Stato ebraico, "Canale 12" e "Canale 13", secondo cui il primo ministro Benjamin Netanyahu dovrebbe rimettere la prossima settimana il mandato nelle mani del presidente Reuven Rivlin a causa dell'impossibilità a formare una maggioranza di governo. Dall'altra parte, la coalizione Kahol Lavan (Blu e bianco) del candidato rivale Benny Gantz sarebbe ormai rassegnata all'idea di non poter dividere il partito Likud per arrivare a governare. Mercoledì 25 settembre il capo dello Stato ha affidato a Netanyahu l'incarico di formare un esecutivo dopo le elezioni dello scorso 17 settembre. Il premier uscente ha a disposizione 28 giorni di tempo, con la possibilità di ulteriori 14 giorni aggiuntivi se necessari. Tuttavia, le fonti di "Canale 12" e "Canale 13" affermano che già dopo la festività religiosa di Rosh Hashanah (tra domenica e martedì prossimi) Netanyahu dovrebbe rinunciare all'incarico e attribuire a Gantz la responsabilità del fallimento.
   A quel punto Rivlin potrebbe affidare l'incarico di formare il governo allo stesso Gantz, ma le chance a disposizione di quest'ultimo sarebbero legate solo alla possibilità che una parte del Likud si rivolti contro il suo leader e si unisca a Kahol Lavan. Al momento resta ferma la posizione del partito della destra laica Yisrael Beytenu di Avigdor Lieberman, che ha chiarito che non si unirà ad alcuna coalizione di governo alla quale partecipino anche esponenti dei partiti ultra-ortodossi. Si tratta di una situazione simile a quella già delineatasi dopo le elezioni dello scorso 9 aprile. Dopo il voto del 17 settembre Netanyahu sembra in grado di poter contare sulla fiducia 55 membri della nuova Knesset, in alleanza con formazioni ultraortodosse e di destra.
   Dall'altra parte, a favore di un Gantz ci sono 54 deputati fra centristi, laburisti e arabi. Tre membri arabi della Knesset hanno fatto sapere che non appoggeranno nessuno dei due candidati alla guida del governo, mentre Lieberman insiste sulla necessità di un governo di unità nazionale "liberale e nazionalista" che includa sia il Likud che Kahol Lavan. Negli scorsi giorni il presidente Rivlin ha proposto un esecutivo di unità nazionale guidato a rotazione da Netanyahu e da Gantz per due anni ciascuno. Il Likud ha accettato, ma Kahol Lavan sostiene che i suoi elettori non accetterebbero una coalizione con il premier uscente, che è peraltro implicato in tre casi giudiziari per presunta corruzione. I precedenti in Israele indicano che un primo ministro non deve necessariamente dimettersi se rinviato a giudizio e nemmeno se condannato in primo grado.
   A pesare sulla scelta di Kahol Lavan di non entrare in coalizione di maggioranza con il Likud sarebbe soprattutto il numero due Yair Lapid, leader centrista secondo il quale accettare una tale ipotesi significherebbe "cadere in trappola". Un nuovo incontro tra le parti è in ogni caso previsto per la giornata di domenica 29 settembre. Pochi giorni dopo, mercoledì 2 ottobre, Netanyahu sarà ascoltato dal procuratore generale Avichai Mandelblit: si tratterà della sua ultima opportunità per evitare il rinvio e giudizio. Finora il premier israeliano ha negato tutte le accuse e si è detto vittima di un complotto politico che coinvolge media, opposizione, polizia e magistratura.

(Agenzia Nova, 28 settembre 2019)


Shana tova: gli auguri per il capodanno ebraico che quest'anno è il numero 5780

"L'Europa sarebbe diversa senza Sigmund Freud, Albert Einstein o Simone Veil, e l'ebraismo sarebbe più povero senza Maimonides o Raschi, Theodor Herzl o Golda Meir" il messaggio di Frans Timmermans

Shabbat Shalom, Shanà Tovà
: oggi sono circa 38mila i membri della comunità ebraica in Italia che festeggiano il "capodanno". Dalla sera del 29 settembre alla sera del 1 ottobre gli ebrei di tutto il mondo celebrano l'Erev Rosh Hashanah salutando il nuovo anno, il numero 5780.
  A differenza delle "feste" a cui siamo solitamente abituati, fatte di lustrini e talvolta follie, i festeggiamenti ebraici sono invece basati sulla riflessione e un personale rinnovamento spirituale. Niente goliardici propositi per l'anno nuovo, superstizioni o brindisi: per il Talmud il "capodanno" ebraico è il momento in cui il Signore esamina tutti gli uomini, tenendo conto delle buone e delle cattive azioni dell'anno precedente.
  Frans Timmermans, Primo Vice Presidente della Commissione Europea ha pubblicato un augurio ripreso da tutti i social mondiali, nel quale ricorda i valori profondi dell'ebraismo, che consentono di celebrare lo straordinario patrimonio e il contributo dato al nostro continente:
    "L'Europa sarebbe diversa senza Sigmund Freud, Albert Einstein o Simone Veil, e l'ebraismo sarebbe più povero senza Maimonides o Raschi, Theodor Herzl o Golda Meir. Rosh Hashanah ci offre l'occasione per valutare la situazione del continente: sfide come i cambiamenti climatici, le disuguaglianze sociali e la prossima rivoluzione tecnologica mettono alla prova i nostri valori e la nostra determinazione. In un mondo di incertezze l'Europa deve assumere un ruolo di primo piano nella difesa dei valori universali".
Qual è l'augurio utilizzato per l'inizio del nuovo anno? "Shanà Tovà" ovvero "un buon e dolce anno" abbreviazione del più antico: che il tuo nome possa essere inscritto e serbato (nel Libro della Vita) per un buon anno". A tutte le famiglie Shana tova u'metukah.

(TorinOggi, 28 settembre 2019)


Colpo di mortaio dalla Penisola del Sinai cade in territorio israeliano

GERUSALEMME - Un colpo di mortaio partito dalla Penisola del Sinai, in Egitto, è caduto questa mattina in territorio israeliano, all'interno dell'insediamento di Bnei Netzarim, senza tuttavia provocare vittime. Lo riporta il quotidiano "The Times of Israel", secondo cui l'episodio potrebbe essere legato agli scontri in corso nel Sinai tra le forze di sicurezze egiziane e i gruppi jihadisti attivi nell'area. Il mortaio ha provocato solo leggeri danni colpendo l'edificio che ospita una sinagoga e un'auto parcheggiata nelle vicinanze. Secondo il portale d'informazione "Ynet news", diversi fedeli si trovavano all'interno della sinagoga al momento dell'attacco. La polizia e l'esercito dello Stato ebraico stanno indagando sull'episodio. Ieri sera il ministero della Difesa egiziano ha reso noto di aver ucciso 118 militanti nel Sinai "nell'ultimo periodo". Sempre ieri, lo Stato islamico ha rivendicato un attacco contro un posto di blocco delle forze di sicurezza a Bir al Abed, facendo sapere di aver provocato "15 vittime" tra i militari, senza fare distinzione tra morti e feriti.

(Agenzia Nova, 28 settembre 2019)


Premio a Cremona Musica a Weinstein per il suo progetto sui violini della Shoah

di Federica Priori

Prosegue la fiera internazionale 'Cremona Musica', che quest'anno annovera fra gli ospiti il liutaio israeliano Amnon Weinstein ideatore del progetto 'Violins of hope' che consiste nel restaurare violini appartenuti ad artisti che hanno vissuto l'orrore della shoah. 'Il progetto rappresenta tutta la mia vita, la speranza è che non accada più una cosa simile", ha detto Weinstein che oggi, sabato 28 settembre, riceverà il premio 'Cremona Musica Award'.

(Cremonaoggi, 28 settembre 2019)


La dichiarazione shock dell'Iran: "Al minimo errore di Israele, di Tel Aviv non rimarrà più nulla"

"Se il regime sionista commettesse il minimo errore, non rimarrebbe nulla di quel Paese e il relitto di Tel Aviv verrebbe ritrovato nelle parti più profonde del Mar Mediterraneo". A pronunciare la dichiarazione shock è il vice comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane Abbas Nilforooshan.
   In una intervista a Tasnimnews, Nilforooshan ha aggiunto che Israele è troppo debole per essere considerato una minaccia contro un'istituzione così potente come l'Iran, che ha circondato il regime sionista da tutte le direzioni attorno ad esso.
   "Teheran è pronto per ogni possibile conflitto militare, ma non sarà il promotore di una guerra destinata a coinvolgere l'intera regione e accendere un fuoco che brucerebbe per primi gli aggressori", ha sottolineato.
   Il generale dei pasdaran ha anche affermato che Israele sta facendo il suo ultimo disperato tentativo di sopravvivere, poiché i segni del suo declino sono diventati evidenti. "Il regime sionista non è in grado di entrare in una guerra su vasta scala, perché manca di una" profondità strategica "a causa di una popolazione proveniente da tutto il mondo", ha aggiunto.
   L'intelligence israeliana teme che l'Iran possa lanciare missili da crociera dal territorio iracheno verso Israele, analogamente all'attacco sferrato di recente dall'Iran (almeno secondo servizi di intelligence occidentali) contro l'Arabia Saudita. Lo ha detto pochi giorni fa al quotidiano Israel ha-Yom il capo del dipartimento ricerca dell'intelligence militare Dror Shalom.
   Un eventuale attacco iraniano contro Israele, ha precisato, potrebbe avvenire a suo parere "mediante missili terra-terra, mediante missili da crociera o anche con droni capaci di colpire a 1.000-1200 chilometri? di cui l'Iran ha già fatto uso nel Golfo". Lungo i confini di Israele, ha proseguito l'ufficiale, si è creata una situazione "molto esplosiva".
   Una particolare preoccupazione riguarda il progetto degli Hezbollah libanesi di dotarsi di missili ad alta precisione. "Si tratta di una minaccia strategica grave" ha avvertito. I tentativi israeliani di sventarla, a suo parere, potrebbero innescare "giornate di combattimento con quella organizzazione".

(TPI.it, 28 settembre 2019)



Antisemitismo evangelico

di Marcello Cicchese

«Antisemita io? Ma per carità! Ci mancherebbe.» Di questo tipo è spesso la reazione di chi si sente dire che forse il suo atteggiamento verso gli ebrei assomiglia molto a quello degli antisemiti. Chi reagisce così di solito ha in mente un antisemitismo dichiarato, esplicito, attivo, nel quale naturalmente non si riconosce.
   Ma accanto a un antisemitismo militante, facilmente riconoscibile, esiste un antisemitismo quiescente che può restare in stand by per molto tempo e, purtroppo, attivarsi nei momenti critici meno adatti. Del resto, per diventare o rimanere antisemiti non ci vuole molto: basta non fare niente. In questo modo, senza neanche accorgersene, si viene tranquillamente trasportati dal main stream, la principale corrente di questo mondo che segue gli impulsi del principe di questo mondo, che detesta e tenta continuamente di distruggere il popolo che Dio si è scelto. E' un antisemitismo per default, cioè in assenza di... In assenza di interesse e conoscenza si rimane, rispetto a Israele, indifferenti e ignoranti. L'antisemita per default "non ce l'ha" con gli ebrei e con Israele per il semplice fatto che di loro non si interessa: i suoi problemi sono altri. Fosse per lui, non ne parlerebbe proprio.
   Ma per sua sventura gli ebrei ci sono, Israele esiste e il mondo ne parla. Quindi, prima o poi anche lui è costretto a parlarne, e quando lo fa quasi sempre dice qualcosa di sbagliato. Naturalmente però non se ne accorge, a causa della sua ignoranza, e si sorprende se gli si fa notare che sta semplicemente ripetendo quello che tanti antisemiti dicono.
   La cosa è particolarmente grave quando l'antisemita per default è un cristiano evangelico, che in quanto tale dovrebbe avere la Bibbia come fondamento della sua fede e delle sue convinzioni. Perché è un fatto indiscutibile che nella Bibbia di Israele si parla dappertutto. Dicendo allora qualcosa di sbagliato su questo argomento si rischia di cadere nell'eresia; il che è grave, perché si può non essere d'accordo con molti, anche con gli ebrei, anche con Israele, ma non essere d'accordo con Dio è rischioso, perché si finisce per essere d'accordo con il suo nemico, che è Satana.
   In molti casi però l'eresia non si esprime con formulazioni di dottrine sbagliate, ma con l'assenza di dottrine giuste. E' un'eresia di omissione. Come ci sono i peccati di omissione, ci sono anche le eresie di omissione. Questo avviene quando un aspetto importante della rivelazione biblica, che compare più volte in tutte le parti della Scrittura, viene sistematicamente negletto e trascurato. E' il caso della dottrina su Israele.
   Qualche anno fa è comparso in Italia un "Dizionario di teologia evangelica" di più di 800 pagine. Ebbene, tra le oltre 700 voci elencate nel dizionario non si trova il termine "Israele". Non c'è. Non è strano? Non è significativa un'omissione come questa? E non è strano che certe parti della Bibbia vengano sistematicamente escluse dall'insegnamento nelle chiese? Ad un qualsiasi evangelico si potrebbe chiedere: quante volte nella tua chiesa hai sentito predicare sul libro di Ezechiele? E in particolare sugli ultimi nove capitoli che parlano del nuovo Tempio a Gerusalemme? E quante volte hai sentito un'istruzione ordinata sul concetto di "Regno di Dio" nei Vangeli? Riflettendoci su con calma, potremmo arrivare alla conclusione che la Bibbia per noi è come certi grossi programmi del computer: la usiamo sì e no al 30 per cento. Non potrebbe trovarsi in quel residuo 70 per cento l'eresia di omissione che riguarda la dottrina di Israele?
   La questione dunque è grave e non può essere trattata in poche battute, ma qui si vuole sottolineare che il tema Israele non è un'appendice della dottrina cristiana, ma sta al centro del messaggio evangelico, perché sta lì dove Gesù stesso sta. Il tentativo sempre ripetuto nella storia di staccare Gesù da Israele e Israele da Gesù è di natura diabolica, perché corrisponde all'interesse storico di Satana. E' triste doverlo riconoscere, ma in questa trappola diabolica sono caduti nel passato e cadono ancora oggi molti cristiani autentici, anche evangelici, anche nati di nuovo. Lo scandaloso caso di Lutero dovrebbe far capire che l'autenticità della fede personale in Gesù, se non è accompagnata da una dipendenza reale dallo Spirito Santo e dalla Parola di Dio nel preciso momento storico in cui si vive, non è una garanzia contro la possibilità di cadere in un autentico antisemitismo evangelico. Il quale - ed è una cosa grave - fa diventare anche i credenti in Gesù strumenti di Satana nel suo tentativo di disonorare prima e distruggere poi il popolo ebraico e, oggi, lo Stato d'Israele.
   Come l'acqua, che in natura si presenta in diversi stati ma ha sempre la stessa struttura molecolare, così l'antisemitismo si presenta nella storia in diverse forme ma ha sempre la stessa struttura spirituale: l'odio per gli ebrei. Si parla di "struttura spirituale" perché l'odio che si manifesta è espressione dell'intima ribellione a Dio dell'uomo peccatore. L'antisemitismo è un frutto della carne: una carnalità che ha l'aggravante pericoloso di non essere quasi mai riconosciuta come tale. Anzi, in molti casi si presenta come anelito ad una superiore virtù.
   Nel periodo storico in cui viviamo la carnalità dell'antisemitismo assume due forme tra loro collegate: una anti e una filo. C'è l'antisionismo e il filopalestinismo. Il primo è più esteso, il secondo più ristretto, ma entrambi sono presenti negli ambienti evangelici, e in questo caso meritano il nome di antisemitismo evangelico perché le sue motivazioni pretendono di essere tratte dalla Scrittura. E questo ne aumenta la gravità.
   Qualcuno sarà sconcertato da affermazioni così forti, altri saranno in netto disaccordo, altri ancora chiederanno di avere argomenti a sostegno di quanto si dice. Gli argomenti ci sono: chi è interessato può cercarli in questa rivista o in altri libri che possono essere indicati a chi lo desideri, ma qui è importante sottolineare ancora una volta che il tema Israele non può essere accantonato, perché è di enorme gravità spirituale. La preannunciata biblica apostasia degli ultimi tempi si sta avvicinando a grandi passi ed è penetrata anche in chiese evangeliche che un tempo si distinguevano per la loro fedeltà alla Scrittura. Una delle forme più gravi che questa apostasia sta assumendo è la conformazione al mondo nell'odio verso il popolo che Dio si è scelto per il suo piano di salvezza. Gli eventi incalzano e il tempo stringe: su Israele ciascuno ha il dovere di chiarirsi le idee e fare la sua propria scelta. Sulla sua responsabilità davanti a Dio.

(Chiamata di Mezzanotte, Nr.11/12 2014)

 


A che gioco sta giocando Trump con l'Iran e Israele?

Lascia francamente perplessi la disponibilità americana a togliere le sanzioni all'Iran subito dopo l'attacco iraniano alle infrastrutture saudite. Come se la violenza e l'aggressione potessero pagare

di Adrian Niscemi

Che qualcosa non tornasse nella politica in Medio Oriente del Presidente Trump lo avevamo già segnalato lo scorso mese di luglio.
Ora, dopo il teatrino al quale abbiamo assistito alla recente Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove il Presidente americano e quello iraniano si sono rincorsi senza incontrarsi, quel sospetto si fa più marcato.
A lasciare perplessi è la disponibilità di Trump a revocare tutte le sanzioni all'Iran nel caso il Presidente iraniano, Hassan Rouhani, avesse accettato di incontrare il suo omologo americano.
L'incontro non è avvenuto solo perché Rouhani voleva che le sanzioni venissero tolte prima dell'incontro mentre Trump lo avrebbe fatto solo successivamente.
La revoca delle sanzioni all'Iran vorrebbe dire permettere agli Ayatollah non solo di incamerare denaro attraverso il commercio di quei prodotti che oggi non possono commercializzare liberamente (come il petrolio) ma anche tornare in possesso di tutti quei fondi congelati dall'Amministrazione USA che andrebbero immancabilmente ad alimentare i gruppi terroristici legati a Teheran.
Solo l'idea che tali sanzioni possano essere effettivamente tolte sconquassa totalmente sia la politica americana in Medio Oriente così come vista fino ad oggi, che quella difensiva israeliana che sulla continuazione delle sanzioni ha puntato quasi tutto.
Eppure, secondo Rouhani, gli USA (Trump) erano disposti a farlo pur di sedersi ad un tavolo con gli iraniani.
Trump ha effettivamente annunciato il suo NO ad un incontro alle condizioni iraniane, ma la volontà di arrivare ad un compromesso è già di per se un campanello d'allarme non indifferente per Israele.
La cosa che lascia francamente basiti è la disponibilità mostrata da Trump verso l'Iran proprio dopo un devastante attacco iraniano all'Arabia Saudita, come se la violenza e l'aggressione ad altri Stati da parte iraniana potessero pagare.
Sinceramente questa politica di Trump verso l'Iran ci lascia fortemente perplessi perché nei fatti sta inguaiando notevolmente Israele e la sua strategia di contenimento che dava per scontato il fatto che le sanzioni all'Iran non venissero revocate, anzi, dopo l'attacco alle infrastrutture saudite ci si sarebbe aspettato un ulteriore giro di vite.
L'unico motivo che ci viene in mente per questo atteggiamento di Donald Trump è che il Presidente americano voglia ottenere una "vittoria diplomatica" prima delle elezioni, ma se questo deve avvenire a scapito della sicurezza di Israele allora lasciateci dire che è una politica da folli.

(Rights Reporters, 28 settembre 2019)


Trump regala un ospedale a Gaza, scontro Hamas-Anp

Per gli islamisti si tratta di un risultato delle proteste contro il blocco israeliano. L'Anp replica che l'ospedale è stato deciso aggirando il ministero della sanità palestinese per separare Gaza dalla Cisgiordania come vogliono Usa e Israele.

di Michele Giorgio

 
Ingresso dell'European Gaza Hospital nella Striscia di Gaza
GAZA - Mai la costruzione di un ospedale ha generato tante polemiche e sospetti come quello da campo che gli Stati uniti si preparano, attraverso una loro associazione privata, Friendship, ad allestire a nord della Striscia di Gaza, nei pressi del valico di Erez con Israele, su una superficie di quattro ettari. Per il movimento islamico Hamas, che controlla Gaza da 12 anni, il nuovo ospedale è uno degli esiti positivi della lotta contro il blocco israeliano di Gaza che migliaia di palestinesi portano avanti ogni venerdì dal 30 marzo 2018, con le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno (ieri un palestinese di 20 anni, Saher Othman, è stato ucciso, 63 i feriti dagli spari dei soldati israeliani). Per altre forze politiche invece la nuova struttura sanitaria è il frutto di intese poco trasparenti tra Hamas e Israele raggiunte la scorsa primavera - mediate dall'Egitto, finanziate dal Qatar e approvate dalla Casa Bianca - volte ad annullare le proteste popolari contro la chiusura di Gaza. Infine per l'Anp del presidente Abu Mazen, l'ospedale è un tassello del progetto di Israele e Usa per separare Gaza dal resto del territorio palestinese nel quadro dell'Accordo del Secolo, il piano per il Medio oriente che Washington dovrebbe annunciare nelle prossime settimane. A riprova dei suoi sospetti, l'Anp denuncia che tutte le parti coinvolte nella vicenda hanno volutamente aggirato il ministero della sanità, non solo nella sua sede centrale a Ramallah ma anche a Gaza.
  Di questo ospedale internazionale da campo non si era saputo nulla. Poi, a inizio settimana, Hamas prima e Israele poi hanno annunciato che nove autocarri carichi di attrezzature sono entrati nella Striscia per avviare i lavori di costruzione della struttura sanitaria mobile. Le notizie sono filtrate con il contagocce. Si è appreso che l'organizzazione che lo metterà in piedi ne aveva allestito uno simile in Siria, in aree controllate da organizzazioni jihadiste "ribelli", e che l'ospedale fornirà grazie a medici statunitensi, tedeschi e di altri paesi prestazioni ad alta specializzazione, ed esempio in campo oncologico, non disponibili a Gaza. Si dice che il premier israeliano Netanyahu avrebbe dato il suo ok dopo aver ricevuto l'assicurazione dall'Egitto che cesseranno da parte palestinese i lanci di palloncini incendiari e i tentativi di infiltrazione durante le proteste del venerdì. Hamas, secondo queste voci, dovrà garantire il ritorno della calma lungo le linee di demarcazione tra la Striscia e lo Stato ebraico. Cosa già visibile da alcune settimane. Le proteste del venerdì negli ultimi mesi sono diminuite di intensità anche se vi prendono ancora parte migliaia di persone.
  Hamas nega di aver pagato prezzi politici pur di avere l'ospedale da campo a Gaza. Un suo portavoce, Abdel Latif Qanou, ha insistito sui passi in avanti che la struttura «farà compiere alla sanità nella Striscia in grande difficoltà sotto ogni aspetto» e ha escluso che il progetto avrà riflessi sulle manifestazioni lungo il confine con Israele che, ha sottolineato, «andranno avanti e nessuno potrà fermarle». I punti oscuri tuttavia rimangono. Non è chiaro come e quando gli ammalati gravi potranno andare al nuovo ospedale e non è noto il livello di coordinamento che il personale medico straniero avrà con gli ospedali di Gaza. «Perché - si domandano in un comunicato i dirigenti del ministero della sanità palestinese - gli Stati Uniti che hanno tagliato ogni sostegno agli ospedali a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, mettendo a rischio la vita di tanti pazienti palestinesi, sono ora pronti a donare un ospedale Gaza?». Washington, aggiungono, «piuttosto avrebbe dovuto sostenere gli ospedali esistenti aiutandoli a svolgere al meglio il loro compito». Chi sospetta un «complotto», a sostegno della tesi di un progetto in linea con la separazione di Gaza dalla Cisgiordania, inclusa (secondo alcune anticipazioni) nell'Accordo del Secolo, afferma che l'allestimento dell'ospedale da campo è volto anche limitare i movimenti dei civili da una parte all'altra dei territori palestinesi.

(il manifesto, 28 settembre 2019)


«Antisemitismo, accuse assurde». Di Segni difende sindaco e giunta

L'Unione delle comunità ebraiche italiane si dissocia dalla lettera del rabbino inglese Ginsberg Palazzi annuncia querele. La reazione dopo la lettera del rabbino inglese Ginsberg: «La legge ebraica va rispettata, ma qui siamo alla follia».

di Enrico Comaschi

«Ci dissociamo con decisione dalle accuse di antisemitismo rivolte al sindaco e alla giunta del Comune di Mantova». Noemi Di Segni, presidente dell'Unione comunità ebraiche italiane, ieri mattina ha fatto un salto sulla sedia leggendo sulla Gazzetta di Mantova le parole del rabbino Abraham Ginsberg che, da Londra, aveva inviato al sindaco Mattia Palazzi una lettera in cui si parla apertamente di antisemitismo istituzionalizzato.
   «Sui problemi emersi - commenta Di Segni - devono intervenire esclusivamente le autorità italiane e le istituzioni dell'ebraismo italiano: Ucei, Associazione rabbinica italiana e Comunità ebraica. Desidero ribadire il nostro apprezzamento per l'impegno messo in campo dall'amministrazione comunale in questi due anni. Vanno definite soluzioni compatibili con la Halakhah, la Legge ebraica, intorno ad un tavolo tecnico che lavori serenamente. È questo l'irrinunciabile punto di partenza per realizzare il piano di valorizzazione di un'antica presenza ebraica e di una tradizione cabalistica unica e di interesse mondiale. Non le pressioni esterne e le accuse infondate».
   Di Segni richiama poi l'attenzione anche sull'impellente tutela del cimitero, «che richiede una costante e incisiva manutenzione».
   La presidente dell'Ucei entra poi nel merito di una polemica che ha assunto carattere internazionale: «Si è messa in moto una specie di catena e tutti si sentono legittimati a dire qualcosa. In questo caso una totale assurdità. È chiaro che c'è l'esigenza di intervenire in coerenza con le regole ebraiche. Ma il come va deciso insieme alle autorità italiane». Di Segni rincara la dose sulla lettera di Ginsberg: «L'accusa di antisemitismo è gravissima. Gli altri hanno fatto un appello con toni civili, dal rabbino Kalmanowitz all'emissario del presidente Trump. Ma una cosa è dire che c'è un problema, un'altra è non sapere che da due anni stiamo andando avanti insieme. Non essendo informati, da Londra si sono agitati e si sono attivati. Ma che qualcuno possa attribuire atti e pensieri antisemiti non c'entra niente col problema del cimitero, è una cosa folle».
   Di Segni non nasconde, d'altra parte, i problemi legati ai lavori per Mantova Hub: «È giusto esigere di salvaguardare le regole ebraiche. Anzi: non solo esigiamo rispetto, ma vogliamo anche l'opportunità di valorizzare un luogo sacro che ha un appeal internazionale». I lavori programmati dal Comune prevedono scavi sia per i lavori necessari a rendere antisismiche le caserme, sia per costruire la passerella sopra il terreno del cimitero: «La competenza è dei rabbini. Devo sottolinearlo: dei rabbini italiani. Non è che chiunque arrivi dall'estero può dire come si deve fare qui. C'è l'autorità italiana, quindi Ucei e comunità locale, c'è l'Ari: queste sono le istituzioni con cui interfacciarsi. Chi arriva dall'estero non ha competenza in Italia. L'Ari dice che la passerella non si può fare, ma si possono trovare soluzioni architettoniche: è tutto rinviato ad un tavolo tecnico in cui si discuterà ma, me lo lasci dire un'altra volta: le accuse di antisemitismo sono assurde. Noi con i Comuni lavoriamo tutto l'anno».


*


Un'accusa inaccettabile

Durante il mio servizio militare di leva mi capitò spesso di andare a fare la guardia ai capannoni San Nicolò, in fregio al Lago inferiore e vedevo scorrazzare vari mezzi militari sul luogo in cui ho saputo in seguito esserci un antico cimitero ebraico.
Quel terreno era già allora (50 anni fa) in stato di vergognoso abbandono e usato quasi come discarica.
Era un peccato vedere una parte della città in quello stato, con il demanio militare che non sapeva che farsene. Quel luogo era stato usato durante le ultime fasi della guerra come campo di transito per i prigionieri militari italiani diretti verso la Germania e immediatamente dopo per rinchiudere temporaneamente i fascisti arrestati dai partigiani.
Poi, dagli anni ottanta del secolo scorso, il nulla.
Era diventato un non luogo, addirittura ignorato dalla maggioranza dei Mantovani. Finalmente tre anni fa circa appare l'idea del recupero con l'inserimento nel progetto di riqualificazione dell'ex ceramica.
Si capisce subito che l'ambizione del progetto deve coniugarsi con la delicatezza dei luoghi che sono interessati e tra questi riemerge quello dell'antico cimitero ebraico, violato per alcuni secoli, calpestato, lordato, ignorato e abbandonato.
Solo adesso però alcuni esponenti religiosi ebraici si scagliano contro un'ipotesi progettuale che si muove con grande rispetto per quell'area, usando termini decisamente fuori luogo e offensivi per chi ha mostrato grande sensibilità per quella parte di storia della nostra comunità mantovana legata alla presenza dei nostri fratelli ebrei. La mia storia personale e i miei studi sulle persecuzioni degli ebrei mi fanno dire che le accuse nei confronti del sindaco e della giunta sono del tutto ingiustificate, non hanno alcun fondamento e sono molto gravi. Inaccettabili.
Rodolfo Rebecchi
Pietole

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Lo sdegno in via Roma. Possibile una querela

«Esprimiamo stupore e sdegno per le inaccettabili accuse rivolte al Comune dal rabbino Ginsberg di Londra, direttore esecutivo dell'Organizzazione per la conservazione dei cimiteri ebraici in Europa. Sono accuse gravissime, totalmente ingiustificate, che non offendono solo noi, ma tutta la comunità mantovana». Sindaco e giunta rispondono così alle accuse di antisemitismo lanciate via lettera. E, anche se nella nota ufficiale non viene specificato, è possibile che Palazzi quereli il rabbino Ginsberg. «Mantova è esempio di accoglienza, tolleranza e rispetto - prosegue la nota - Mantova è la città che nel terribile periodo delle leggi razziali ha visto i suoi cittadini compiere innumerevoli gesta di difesa degli ebrei. Ringraziamo la presidente di Ucei, Noemi Di Segni, per aver preso le distanze da queste infamanti accuse e ci stringiamo attorno alla comunità ebraica mantovana».


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Arbib: «Mantova una capitale mondiale. Cerchiamo soluzioni»

«Le polemiche e le accuse non ci aiutano a capire. Io sono sempre per la via della pace». Il presidente dell'Associazione rabbinica italiana, e rabbino capo di Milano, Alfonso Arbib, è persona di grande equilibrio e saggezza. Tanto da stare lontano da tutto ciò che procura sgradevoli attriti. Ma questo non significa che accetti quelli che considera «seri problemi» nel progetto di Mantova Hub.
   «Dobbiamo sederci tutti insieme per capire, sono questioni complicate. Ma sono anche urgenti: il Comune vuole costruire all'interno del capannone 2 una struttura di due piani e deve adeguare l'edificio alle norme antisismiche. Nel progetto sono previsti scavi di 1,4 metri all'interno del capannoni. Questo per noi è inaccettabile perché significa andare a toccare le sepolture. Quello che abbiamo proposto è un'alternativa che va studiata e verificata per non scavare: una soletta rialzata».
   C'è poi la questione della passerella sul terreno: «Si tratta di trovare soluzioni adeguate. C'è un'idea accettabile, ma va verificata dal punto di vista tecnico. Non diciamo no a tutto, ma il progetto va ripensato. Insomma, me lo lasci dire: ormai il progetto Mantova Hub c'è, ma noi avremmo preferito un cimitero ripulito e valorizzato. Non mi fraintenda, però, noi non siamo in contrapposizione, vediamo di arrivare a compromessi, laddove siano possibili. Certo è tutto complicato e costa: chiediamo al Comune verifiche tecniche per adattare ebraicamente il progetto. Ad esempio sull'altezza del ponte: l'idea è che ci debba essere una separazione, poi c'è il problema dei piloni da piantare a terra. Ma guardi che le soluzioni ci sono».
   Al di là delle polemiche, c'è una cosa che molti faticano a comprendere: perché dall'estero c'è questa attenzione per Mantova? «Il cimitero ha valore internazionale, va ben al di là dei confini italiani. I fari della Qaballah? Guardi che parliamo di molto di più: stiamo parlando delle sepolture dei maestri dell'ebraismo mondiale. È sorprendente: Mantova non ha mai avuto una comunità enorme, ma può vantare grandissimi maestri. Giganti dell'ebraismo. Mi hanno scritto da Israele, tanto per dire, citandomi un libro di Mosè Zacuto, seppellito a Mantova. Ogni tanto mi capita un rabbino che a Zacuto ha dedicato la sua vita di studi. Mantova - conclude - è anche la capitale mondiale della normativa ebraica». - E.C.

(Gazzetta di Mantova, 28 settembre 2019)


Sopravvissuti all'Olocausto, i cugini si ritrovano 80 anni dopo: l'abbraccio è strappalacrime

Morris e Simon non si vedevano dal 1940, anno in cui scapparono separatamente dall'invasione nazista. Ognuno dei due pensava che l'altro fosse morto, poi i nipoti hanno fatto qualche ricerca su Facebook, riuscendo ad organizzare uno splendido incontro.

Erano stati divisi 75 anni fa, quando erano soltanto dei bambini, inconsapevoli di cosa stesse succedendo in quel particolare periodo storico. Entrambi erano convinti che l'altro fosse stato ucciso dai nazisti durante l'Olocausto, invece, dopo 75 anni i due hanno potuto riabbracciarsi nuovamente.
Come raccontato da People, Morris Sana, di 87 anni, e il cugino Simon Mairowitz, di 85 anni, sono riusciti a ritrovarsi grazie ai loro nipoti, che si sono messi in contatto tra di loro dopo essersi rintracciati su Facebook.
Morris e Simon non si vedevano dagli anni '40, quando entrambi erano scappati dalla Romania dopo l'invasione tedesca, prendendo però delle strade diverse. Dopo la fuga le loro strade si sono divise per sempre: adesso Sana vive in Israele, mentre Mairowitz ha trascorso la sua vita nel Regno Unito.
Il loro incontro dopo 75 anni, pubblicato su YouTube dalla rivista People, è a dir poco commuovente: l'abbraccio tra Morris e Simon rende difficile mantenere le lacrime.

(Today, 27 settembre 2019)


Gantz apre a un governo con la destra, Netanyahu vuole essere processato in tv

Qualcosa si muove per risolvere la crisi politica in Israele. Ieri Benny Gantz, leader di Blu e Bianco, ha aperto alla possibilità di un governo di unità nazionale insieme col Likud; fino a martedì il centrista aveva sempre escluso un'alleanza con Netanyahu, a causa delle inchieste in cui il premier uscente è coinvolto. Lo stesso Netanyahu ha intanto chiesto la diffusione in diretta sui media della sua audizione della settimana prossima davanti al procuratore generale Avichai Mandelblit, che dovrà decidere se incriminarlo. «Dopo tre anni di un diluvio di indiscrezioni incomplete e parziali, è venuto il momento che il pubblico ascolti tutto», ha detto Netanyahu in un video diffuso dai social. «Non solo non ho nulla da nascondere, ma voglio che tutto sia ascoltato», ha sottolineato il leader del Likud.

(Libero, 27 settembre 2019)


Corsa a ostacoli per formare un governo in Israele

di Lahav Harkov, The Jerusalem Post

Il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo rivale Benny Gantz si sono incontrati il 23 settembre davanti al presidente israeliano Reuven Rivlin per decidere come uscire dallo stallo seguito alle elezioni del 17 settembre. I negoziatori dei due partiti, Likud e Bianco e blu, si sono incontrati anche il giorno dopo, prima che i due leader tornassero di nuovo da Rivlin.
   Per ora non è stato raggiunto un accordo, ma sembra che l'unico modo per uscire dal caos postelettorale sia creare un governo di unità guidato da un premier a rotazione. Entrambi i leader aspirano all'incarico. Il partito di Gantz, Blu e bianco, ha ottenuto più seggi in parlamento: 33 contro i 32 del Likud. Ma Netanyahu può contare su una coalizione più grande, perché unendosi agli ultraortodossi di Shas e di Giudaismo unito nella Torah e all'alleanza di estrema destra Yamina arriverebbe a55 seggi, rispetto ai 54 che Gantz avrebbe con il sostegno del Partito laburista, dell'Unione democratica e della Lista araba unita. Anche cosi, però, nessuno arriverebbe alla maggioranza assoluta di 61 seggi. Per questo Rivlin sta spingendo per un governo di unità nazionale. Ma ci sono vari ostacoli.
   Blu e bianco ha promesso che non parteciperà a un governo con Netanyahu finché questo sarà in stato di accusa. L'udienza di Netanyahu con il procuratore generale Avihai Mandelblit è prevista per il 2 ottobre e molti ritengono certo il suo rinvio a giudizio. Ma se Blu e bianco decidesse comunque di creare un governo con il Likud, resterebbe la questione di chi diventa premier per primo. Se Netanyahu sarà rinviato a giudizio, potrà ricoprire l'incarico di premier, ma non di ministro. Questo significa che se il procedimento andrà avanti, Netanyahu non potrà far parte di un governo guidato da Gantz.

 Rimangiarsi la parola
  Un altro problema è rappresentato dai partiti ultraortodossi alleati di Netanyahu, dato che Gantz ha promesso "un governo di unità laico". La partecipazione degli ultraortodossi impedirebbe di unirsi al governo anche alla formazione Israel Beitenu di Avigdor Liberman, a favore di politiche laiche. Qualcuno accusa Netanyahu di voler tornare alle elezioni, che sarebbero le terze in un anno. Lui nega, ma il problema resta: come si può andare avanti con tutti questi ostacoli? Una cosa è certa: per evitare di tornare al voto qualcuno dovrà rimangiarsi la parola. Meno male che i politici non sono famosi per rispettare le promesse.

(Internazionale, 27 settembre 2019)


La nuova Silicon Valley dello sport è in Israele

In questo Paese esiste il più grande ecosistema di start-up a livello mondiale. ln totale sono presenti 200 aziende "attive" nel settore. Dal 24 al 27 novembre a Tel Aviv si svolgerà l'evento "Sport Tech Nation Summit" focalizzato soltanto sul segmento sport.

di Marcel Vulpius

La nuova sfida dello Stato d'Israele (nato appena 71 anni fa) è la promozione di start-up, ad alto contenuto tecnologico, in tutto il mondo, così da crescere globalmente per avere successo nelle sfide internazionali. Da questa semplice tesi parte l'idea dell'evento "Sport Tech Nation Summit" (24-27 novembre 2019) focalizzato esclusivamente sul segmento sport. Parteciperanno a questa prima edizione più di 60 realtà in chiave "Sport Tech". Si svolgerà a Tel Aviv capitale mondiale di questo segmento (ribattezzata, dagli addetti ai lavori, con il nome di "Silicon Wadi", sul modello californiano della Silicon Valley). L'industria "Sport Tech" vale oggi 8,1 miliardi di euro, con una previsione di sviluppo esponenziale ( entro il 2025, per esempio, si stimano affari per 28,3 miliardi). E' infatti uno dei comparti economici con maggiore crescita su scala globale. La tecnologia è destinata a cambiare, in modo radicale, il modo di vivere lo sport ( soprattutto "live").
   Lo Sport Tech in Israele è il più grande ecosistema di start-up a livello mondiale. In totale sono presenti ben 200 aziende "attive". Più di 639 milioni di euro il capitale investito (incluso quello degli investitori stranieri) in realtà ad alto contenuto tecnologico. Sempre questo stesso settore, fino ad oggi, ha generato un fatturato in area 910 milioni di euro. L'infrastruttura tecnologica israeliana, tra cui ingegneria informatica e software, intelligenza artificiale, oltre a Big Data e IoT (letteralmente "Internet of Things"), ha permesso, a decine di nuove start-up, di emergere, ogni anno, nel segmento dello sport. Queste giovani realtà aziendali coprono tutti gli aspetti dell'industria sportiva: game & performance tech, management & operations, media, fan engagement e il nuovo mercato degli eSports. Più in generale sono almeno sei i trend tecnologici che stanno cambiando il mercato dello sport: data analytics, stadi del futuro, fan engagement, sport elettronici, performance enhacement (letteralmente "aumento della performance"), new sponsorship asset, oltre al media e broadcasting.

 L'attenzione dei fan negli stadi
  Forme concorrenti di "consumo sportivo" stanno modificando l'attitudine dei tifosi a vivere lo stadio. Il 70% degli "appassionati di sport" (negli Usa), secondo quanto riferito dalle principali ricerche, preferisce guardare i match di sport comodamente a casa, piuttosto che all'interno di un'arena. Il più grande "declino", sempre tra gli appassionati di sport, è avvenuto nelle fasce di età comprese tra 12-17 e 18-34anni. Quest'ultimo segmento (per intenderci quella dei "millennial") attribuisce, ormai, un valore molto elevato ai dispositivi mobili (smartphone) e alle esperienze che si possono vivere in totale "mobilità". La transizione verso un ambiente "immersivo" con forme di tecnologia orientate al fan è già un elemento concreto. Questi cambiamenti si manifestano con il rinnovamento tecnologico, che sta ridefinendo l'esperienza sportiva dal vivo: dalla vendita dei biglietti, alla sicurezza, alla pubblicità e all'azione sul campo. Gli stadi del futuro, pertanto, dovranno munirsi di "accesso wifi ad alta velocità", "hardware e connessioni", "soluzioni complete per l'integrazione di dati e operazioni", "visualizzazione interattiva e coinvolgente" e "funzionalità, all'interno delle smart arenas (dedicate alle app per il coinvolgimento dei fan)". Più in generale, gli Usa sono all'avanguardia dell'innovazione tecnologica sportiva ma Israele sta crescendo velocemente. Gli attori del mercato sono sempre più coinvolti nella ricerca di soluzioni rivoluzionarie che miglioreranno e faranno avanzare il mondo dello sport Il numero delle start up che stanno entrando nell'ecosistema dello SportTech è in crescita ( solo in Israele la categoria in esame ha fatto registrare un + 100% in soli due anni). Queste aziende sfruttano la vasta esperienza del settore hi-tech di questo specifico Stato, un'ampia base di conoscenze e una competenza di alto livello in settori tecnologici quali l'analisi dei Big Data, la visione artificiale, la progettazione di piattaforme interattive, lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale, per creare e offrire nuove soluzioni/ applicazioni per il mercato sportivo globale.


Ecco le start-up israeliane più innovative

Un esempio: "Fans League Club": premia gli appassionati per il loro supporto (qualitativo) nei confronti del team

Giovani start-up innovative crescono. Sono ben 63 le aziende israeliane presenti alla prima edizione dello "Sport Tech Nation Summit" in programma a Tel Aviv. Un evento che fotograferà lo stato dell'arte di questo specifico settore. Tra le realtà Sport-Tech abbiamo selezionato le seguenti:
  • "Fans LeagueClub";: competizione digitale per la "categoria" dei fan. Misura e premia gli appassionati di sport per il loro supporto (qualitativo) nei confronti del team;
  • "Fantasy Network": azienda tecnologica che sviluppa i "Daìly Fantasy Sports" (DFS), nuova generazione di prodotti videoludici per operatori di iGaming. Ogni gioco è progettato per attirare pubblici diversi;
  • "Fan Zone": piattaforma online per gli organizzatori dì eventi e per i partecipanti. Consente di pianificare, a livello digitale, il viaggio collegato a manifestazioni sportive. Offrendo servizi multipli come autobus organìzzatì taxi condivisi, navigazione verso parcheggi e servizi basati sulla posizione (attraverso innovativi sistemi di geolocalizzazione );
  • "Fabula Garning": società di sviluppo di giochi sportivi, che fornisce alle organizzazioni una varietà di giochi per emozionare. ampliare e monetizzare le fan base di riferimento;
  • "Every Match": sviluppa un sistema basato su un "algoritmo" e una piattaforma di gestione. Nello specifico, si prevedono i bisogni degli utenti, facilitando la condivisione la loro passione sportiva e/o la creazione di eventi e gruppi;
  • "Fitto": bottiglia "intelligente" e personalizzata con baccelli che ottimizzano integratori alimentari dietetici e sportivi. Consente una alimentazione personalizzata per lo sport;
  • "FreeD" (riproduzione video technologies): formato video che consente allo spettatore di testare prospettive mai viste di eventi sportivi live, mostrando gli atleti in un modo innovativo come se indossassero le telecamere stesse.
  • "HyFit": sviluppa una "palestra indossabile", una veste intelligente. che consente agli utenti di allenarsi e tenere traccia del proprio allenamento in qualunque luogo.
  • "Kinitro": piattaforma sociale/motore di ricerca per lo sport attivo (ideale per fitness, benessere e divertimento puro).
  • "Life Beam": app in grado di creare esperienze basate sull'intelligenza artificiale per fitness e benessere.

(Tuttosport, 27 settembre 2019)


Prove di dialogo fra sindaco e comunità ebraica di Mantova sull'antico cimitero

di Gabriele De Stefani

Prove di dialogo tra la comunità ebraica e il Comune di Mantova sul maxi piano urbanistico che interessa l'area dell'antico cimitero in cui riposano eminenti cabalisti. I segnali di distensione, dopo il nulla di fatto di due giorni fa, arrivano sia dall'Unione delle comunità italiane che dal sindaco Mattia Palazzi. Obiettivo: rendere il progetto compatibile con il dettame religioso che vieta di scavare su un'area sacra. «Mantova Hub è un progetto ambizioso, che ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione della presenza della gloriosa comunità ebraica mantovana, dice Noemi Di Segni,presidente Ucei, ma non si può prescindere dall'osservanza, non negoziabile, delle prescrizioni ebraiche in materia di sepoltura e rispetto dei morti. Il mio invito è a ricercare soluzioni architettoniche compatibili. La valorizzazione dell'area come sito di interesse mondiale e la sfida di far conoscere Mantova, la sua comunità ebraica e l'intensa tradizione cabalistica sono alla base del protocollo siglato con il Comune. Lo spazio per proseguire in questa direzione c'è».

 La comunità ebraica chiede lo stop
  Chiaro il messaggio dell'Ucei: dialogo con il Comune, a patto però che si introducano le modifiche necessarie a rispettare le tradizioni ebraiche. Modifiche alle quali i progettisti stanno lavorando, a partire dall'ipotesi di una struttura a zattera che consenta di non scavare nel terreno. Il sindaco, intervistato dalla Gazzetta di Mantova, è sulla stessa lunghezza d'onda e si dice disposto ad accettare un rallentamento di quella che resta l'opera più importante del suo mandato: «Stiamo verificando la sostenibilità tecnica ed economica di una soluzione alternativa. Se necessario, accetteremo uno slittamento dei tempi. Purché non si mettano a rischio lavori già appaltati né si rinunci al piano».
  E mentre l'Assemblea dei rabbini d'Italia, con il presidente Alfonso Arbib, chiede "l'immediato stop dei lavori" e parla di "imminente grave profanazione", è su ben altri toni la lettera che il rabbinato europeo recapita al sindaco: «Lei e il consiglio comunale state attuando una politica istituzionalizzata di antisemitismo e razzismo», scrive Abraham Ginsberg, direttore del comitato per la tutela dei cimiteri ebraici in Europa. Un affondo che trova la replica secca di Palazzi: «Accuse totalmente inaccettabili. Chi le esprime con tanta leggerezza dovrebbe riflettere e scusarsi. Ma non intendo rispondere a tono: credo nel dialogo e lo pratico».

(La Stampa, 27 settembre 2019)


«Sindaco e giunta antisemiti»

L'attacco arriva da Londra. Intanto l’Ucei ritiene non negoziabili le prescrizioni religiose sulle sepolture.

Una lettera del Committee for the Preservation of Jewish Cemeteries in Europe di Londra, firmata dal direttore esecutivo rabbino Abraham Ginsberg, recapitata al sindaco Mattia Palazzi mercoledì, rende l'aria molto pesante dopo gli incontri dei giorni scorsi con il rabbino Chizkiya Kalmanowitz. «Gli accordi relativi alla conservazione dell'antico cimitero - si legge nella lettera - sono stati disattesi». E ancora: «Sembra che lei sia determinato a distruggere questo sito storico e sacro o a modificarne l'aspetto in modo da non renderlo più riconoscibile come cimitero ebraico. Sembra che tutte le promesse fatte ai nostri colleghi del Consiglio d'Europa per rispettare la santità e la struttura di questo sito storico e religioso non siano state mantenute. Gli ebrei sono vissuti a Mantova dal XII secolo. Se non ci fosse stata la persecuzione razziale ci sarebbero molti più discendenti di coloro che riposano in pace all'interno dello storico cimitero, e farebbero sentire la loro voce». L'attacco è diretto e brutale: «Siamo giunti alla conclusione che Lei e la giunta comunale di Mantova stiate attuando una politica istituzionalizzata di antisemitismo e razzismo nei confronti della più antica minoranza religiosa non cristiana d'Italia, il popolo ebraico. Non le chiediamo un solo euro, signor sindaco. Vi chiediamo di lasciare intatto ciò che ancora resta della storia ebraica di Mantova. Il cimitero deve essere lasciato così com'è».
   E quando sembrava che il Comune potesse contare sul supporto incondizionato dell'Ucei, la presidente Noemi Di Segni sembra aprire, almeno in parte, alle istanze dei rabbini: «Bisogna partire - dice infatti Di Segni - dall'osservanza, non negoziabile, delle prescrizioni ebraiche in materia di sepoltura e rispetto dei morti. In Italia la legge riconosce la rilevanza e la tutela dei siti religiosi. Conformemente a ciò, in ogni intervento che si vorrà attuare, le istituzioni coinvolte sono chiamate a tenere conto sia della legislazione vigente che dell'impostazione normativa religiosa. Le norme ebraiche cui attenersi sono quelle indicate dal rabbinato italiano e nello specifico dall'Assemblea rabbinica, che ha il ruolo di definire autorevolmente le questioni inerenti l'Halakhah, la legge ebraica, in Italia. L'invito e l'appello sono quindi a ricercare le soluzioni architettoniche e gli interventi compatibili in un tavolo che veda riuniti il Comune, l'Ucei, l'Ari, la Comunità ebraica locale e la sovrintendenza». E.C.

(Gazzetta di Mantova, 27 settembre 2019)


Un'apertura verso le proposte dei rabbini. «Ma devono essere fattibili e sostenibili»

Il sindaco Palazzi continua sulla strada del dialogo, pur promettendo ai mantovani che il progetto Mantova Hub si farà.

di Enrico Comaschi

- Sindaco, ha letto? Il rabbino Kalmanowitz vuole fermare il progetto Mantova Hub in ogni modo. Cosa gli risponde?
  «Rispondo che quasi sempre la via di mezzo è la migliore. Ho letto e sentito affermazioni e toni gravi, anche non corrispondenti alla realtà. Sono persino stato accusato di antisemitismo: per me, per la mia cultura e i miei valori, è una accusa inaccettabile e chi l'ha espressa con tanta leggerezza dovrebbe riflettere e anche scusarsi. Ma non intendo rispondere a tono, credo nel dialogo e io lo pratico davvero, nel rispetto della religione ebraica, nell'amicizia e vicinanza che da sempre ho con la comunità ebraica e nel diritto di dire no a richieste che, in assenza di diverse autorizzazioni, che non dipendono da me, produrrebbero danni al Comune. Chiedo solo il medesimo rispetto, non per me, ma per la città. Una città che è sempre stata esempio di accoglienza e difesa delle minoranze, soprattutto nel terribile periodo delle leggi razziali. Qui, da sempre, gli esponenti della comunità ebraica mantovana sono parte integrante del tessuto politico, economico, sociale della città. Questa è la storia della nostra comunità e tutti devono rispettarla e se non la conoscono, studiarla, con rispetto».

- Ha compreso i rilievi dei rabbini?
  «Ho chiesto come mai per almeno 50 anni nessuno si è interessato ad un'area chiusa, classificata come area militare, degradata, oggetto di incendi e atti vandalici. Un'area nella quale non costruiamo un solo metro quadrato in più, ma recuperiamo ciò che già c'è, con i vincoli della sovrintendenza che abbiamo ereditato. Io, ad esempio, avrei preferito abbattere i padiglioni militari, che di artistico non hanno nulla e strutturalmente sono un colabrodo, ma un sindaco rispetta le prescrizioni degli altri enti e nessuno può chiedermi di non farlo, quantomeno fin che restano tali. E sottolineo, come gli accordi formali dimostrano, che sin dall'inizio al fianco del progetto Mantova Hub ci sono la Comunità ebraica mantovana e l'Ucei anche con un tecnico incaricato ad hoc, il professor Palterer che ringrazio per il paziente e sapiente lavoro».

- Può entrare nel dettaglio degli interventi che saranno realizzati per valorizzare l'antico cimitero ebraico dove sono sepolti i padri della Qaballah?
  «Vorrei intanto far conoscere a tutti la storia dell'area, che era del Demanio militare e sulla quale c'è un vincolo che insiste per i capannoni e la vecchia polveriera. D'altronde l'area fu ceduta nel 1850 proprio al Demanio militare. Nell'area è possibile riconoscere cinque elementi determinanti della struttura e del carattere del luogo. Intanto i resti dell'abbazia di San Nicolò, la cui origine si ipotizza risalga al 703 d.C. a nord dell'area, demolita definitivamente intorno al 1828, i cui resti visibili possono ritrovarsi in un tratto di muro absidale al confine con la proprietà limitrofa e nelle fondazioni rinvenute a nord dell'ex polveriera. Poi ci sono i resti delle mura della terza cerchia risalenti al XVI secolo e delle modifiche alle fortificazioni sotto le dominazioni asburgiche e napoleoniche del XVIII e XIX secolo. Ancora: la memoria dell'antico cimitero la cui nascita risale al 1442. La definitiva cessione è del 1850. Poi c'è il rudere della polveriera di età asburgica. Infine ci sono i cinque capannoni della caserma dell'esercito, nel luogo che ospitò gli artiglieri del 4o Reggimento contraerei e i relativi armamenti fino al 1943, quando le SS tedesche lo adibirono a campo di concentramento e smistamento per militari italiani».

- Ci parli del progetto.
  «Non modifica l'area, semplicemente lavora sui padiglioni militari, recuperandoli. Inoltre, proprio per valorizzare la storia del cimitero ebraico, la polveriera diventerà la Casa della memoria. Abbiamo previsto di ricavare il camminamento all'interno dei capannoni mediante un portico interno. L'accesso all'area avverrà con un ponte per non camminare a contatto con la terra del cimitero».

- Ha considerato l'opportunità di un turismo religioso legato proprio alla Qaballah?
  «Sì, e anche per questo mi stupisco che si chieda di lasciare l'area nel totale stato di degrado nella quale è da mezzo secolo almeno».

- Il Comune ha trattato con l'Ucei il progetto di Mantova Hub per la parte che riguarda la memoria. Pensa che sia possibile modificare il progetto per andare incontro alle richieste del Comitato? Lei esclude che il Comune possa chiedere un contributo economico al Comitato per le eventuali maggiori spese da sostenere?
  «Intanto ribadisco che diverse delle soluzioni progettuali, a partire dalle prime indagini stratigrafiche, le abbiamo fatte come ci chiedevano i rabbini e con la loro supervisione e presenza fisica. Questo lo dico perché sin dall'inizio, ormai due anni fa, abbiamo dialogato e condiviso. Perché per noi, davvero, l'obiettivo è valorizzare la storia ebraica del cimitero e di Mantova. Questo obiettivo vede in me il primo convinto sostenitore. Io ho posto solo tre paletti per valutare possibili ulteriori soluzioni tecniche: il rispetto dei contratti e delle gare fatte per non produrre danni all'ente oltre al mantenimento delle funzioni previste per Mantova Hub. E che qualcuno ci metta le risorse in più che serviranno, perché serviranno».

- Lei non chiude le porte alle richieste dei rabbini, quindi.
  «Sto verificando qualche idea nella sua fattibilità tecnica e nei costi, ma non posso parlarne adesso, servono certezze tecniche ed economiche. Posso solo dire che tutti sanno, dal governo italiano, all'alto funzionario del governo americano, che il mio impegno è reale e sincero almeno quanto la volontà di difendere il diritto della città a prendersi cura del suo territorio e della sua storia. So che tale scenario potrebbe produrre uno slittamento dei tempi per l'area di San Nicolò, ma se si trova una soluzione praticabile sono disposto a metterlo in conto, perché ho sempre pensato che camminare insieme sia il dovere di chi guida una comunità. Sottolineo però, per i mantovani, che le opere nell'area dell'ex ceramica, come la nuova scuola, l'abbattimento dello scheletro di Fiera Catena e la realizzazione della palestra vanno avanti come previsto perché non c'entrano con l'area oggetto del confronto con i rabbini».

- La sepoltura di Azariah da Fano era stata segnalata dalla Gazzetta nel 2010 e già allora gruppi di rabbini erano venuti a pregare. Ci sono progetti per valorizzare il patrimonio documentale della Comunità ebraica? Ne avete già parlato con Emanuele Colorni?
  «Colami è una persona saggia e per me rappresenta un punto di riferimento come lo è stato il compianto Fabio Norsa. Penso che la Comunità ebraica meriterebbe sostegno per il recupero dell'attuale cimitero sulla strada Legnaghese. Spero che questa vicenda oltre ai problemi produca anche opportunità per la città di Mantova e la sua comunità».

LA STORIA

Una tradizione secolare che ha partorito lo Zohar

L'antico cimitero ebraico di Mantova fu autorizzato da Francesco Gonzaga nel 1442, segno delle ottime relazioni con la comunità locale che, del resto, esprimeva le più brillanti intelligenze. È proprio a Mantova, nel 1558, che viene stampato il libro dello Zohar, ovverosia il "Libro dello splendore", che è il testo più importante della tradizione cabalistica. Un documento di straordinaria importanza per l'ebraismo che, tra l'altro, è ancora consultabile nella biblioteca Teresiana, che possiede anche copie stampate successivamente. Nel 1620 nel cimitero viene seppellito il grande cabalista e talmudista Azariah da Fano. Ma la terra del cimitero accoglie anche le spoglie di Moshè Zacuto, Aviad Basilea, David Finzi, Yehudà Briel, fari della Qaballah. Nel 1786 il cimitero viene fatto chiudere da Giuseppe Il d'Austria. L'area viene ceduta al Lombardo Veneto nel 1850 a patto che restasse zona di culto.

(Gazzetta di Mantova, 27 settembre 2019)


Investito da un'auto. Muore il custode del cimitero ebraico

Ha attraversato la strada in un tratto buio e senza strisce. Rianimato dal 118 sul posto, il decesso poco dopo al Poma.

di Roberto Bo

Ha attraversato la strada in uno dei punti più bui e senza strisce pedonali per raggiungere la sua abitazione attaccata al cimitero ebraico di via Legnago. Ma in quel momento è sopraggiunta un'auto che lo ha investito in pieno. Il conducente della vettura quando ha visto quell'ombra in mezzo alla strada ha frenato ma non è stato in grado di evitare l'impatto. E purtroppo non c'è stato nulla da fare: l'uomo è morto poco dopo al pronto soccorso del Poma dove era stato trasportato in condizioni disperate.
   L'incidente è avvenuto ieri sera intorno alle 20. La persona deceduta è Nicola Gambarini, 54 anni, custode del cimitero ebraico di Mantova da almeno una dozzina di anni. Le sue condizioni sono apparse subito gravissime.
I sanitari dell'automedica del 118 con il rianimatore a bordo e della Croce Rossa hanno fatto l'impossibile praticando manovre rianimatorie per più di 30 minuti e alla fine erano riusciti a rimettere in moto il cuore del 54enne. Poi la corsa al pronto soccorso, dove però Gambarini è spirato poco dopo.
   Stando ai primi accertamenti Nicola Gambarini ha riportato un pesante trauma cranico e addominale, oltre ad altre ferite in varie parti del corpo.
   Sotto choc il conducente della vettura, un 35enne residente a San Giorgio che si stava recando in città per partecipare ad una riunione sportiva. I rilievi dell'incidente sono stati eseguiti dagli agenti della Polizia Stradale. Il traffico lungo via Legnago è rimasto bloccato per oltre un'ora per consentire il soccorso al ferito.
   In serata la notizia dell'incidente, prima del decesso, ha raggiunto anche il presidente della comunità ebraica di Mantova, Emanuele Colorni. «Sono molto dispiaciuto - ha detto - purtroppo quel punto della strada è molto buio e non è mai stato illuminato. A Nicola Gambarini abbiamo dato gratuitamente alcune stanze dove dimorare ma lui è legato ad una cooperativa come giardiniere».

(Gazzetta di Mantova, 27 settembre 2019)


Rabbini italiani sul cimitero ebraico di Mantova: rischio profanazione

'Chiediamo l’interruzione dei lavori, nel rispetto della legge'

ROMA - L'assemblea rabbinica italiana interviene con una nota sulla questione del cimitero ebraico di Mantova, che rischia a loro avviso di essere profanato da previsti lavori nell'area. Sulla vicenda il rabbino capo di Israele (ashkenazita) David Lau aveva scritto una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
  "Nell'incontro che si è svolto il 24 Settembre a Mantova con il Sindaco e rappresentanti dell'Ucei e dell'Assemblea dei Rabbini d'Italia - si legge nella nota - il Sindaco ha chiarito che sono previsti in tempi brevi lavori di scavo nel capannone 2, costruito sull'area cimiteriale, in profondità di 1,4 m con l'impianto di numerosi piloni. Questo intervento costituisce un'evidente profanazione delle sepolture sottostanti. Il Sindaco si è dichiarato disponibile a esaminare soluzioni alternative, purché senza aggravio economico e nel rispetto dei progetti di costruzione che sono comunque irrispettosi delle sottostanti sepolture. L'intervento sul capannone 2 è peraltro solo una parte di un progetto che presenta varie criticità".
  "L'imminente grave profanazione - prosegue il documento - costituisce non solo un'offesa alla tradizione religiosa ma a nostro parere è anche in contrasto con le leggi dello Stato sui vincoli cimiteriali e sulle specifiche leggi dello Stato sulle sepolture ebraiche. L'urgenza ci impone di sciogliere il riserbo che come rabbini abbiamo finora tenuto sull'argomento e a denunciare pubblicamente la situazione chiedendo l'immediata interruzione dei lavori e la revisione dei progetti nel rispetto della normativa religiosa".
  "Quello che ci troviamo ad affrontare - conclude la nota, firmata dal presidente dell'assemblea Alfonso Arbib - è un problema religioso e umano estremamente sensibile: il rispetto dei morti è alla base di qualunque società e tocca sentimenti profondi dell'animo umano. Il Comune di Mantova ha sicuramente fatto sforzi per tenere conto di questa sensibilità, chiediamo di fare un ulteriore sforzo e di evitare quella che a tutti gli effetti si configurerebbe come una profanazione."

(ANSA, 26 settembre 2019)


Delegittimazione di Israele: l'inaccettabile faccia dell'antisemitismo

di Luca Clementi

Continua la giornata dedicata alla lotta contro l'Antisemitismo organizzata dall'European Jewish Association con l'Europa Israel Public Affairs. Dopo la conferenza al Press Club di Bruxelles, i lavori si sono spostati al Parlamento Europeo, presso la Sala "Aldo Moro".
   Oltre agli intervenuti al Press Club, si sono aggiunti Katharina Von Schnuberin, Coordinatrice Europea nella lotta contro l'Antisemitismo, Traian Basescu, ex Presidente della Romania, Anna Asimakopolou, Europarlamentare greca, Anna Fotyga, Europarlamentare polacca.
   Tutti hanno ribadito l'esigenza di una maggior collaborazione a livello europeo per arginare l'antisemitismo e riconoscere nell'antisionismo una nuova forma di antisemitismo.
   Il Ministro israeliano della Sicurezza Pubblica e degli Affari Strategici Gilad Erdan ha ringraziato loro per l'impegno profuso nei confronti delle Comunità Ebraiche mondiali e dello Stato d'Israele ed ha ribadito i punti fondamentali del proprio report sull'Antisemitismo e sulla connessione di questo con il Movimento Boycott, Divestment, Sanctions, che nasce con l'obiettivo di boicottare lo Stato ebraico e mettere in discussione la sua stessa legittima esistenza (leggere l'articolo sull'incontro al Press Club per ulteriori info). Tutto questo con l'ausilio di una proiezione di video con manifestanti propal inneggianti allo sterminio degli ebrei e di un prospetto dei numerosi tweet antisionisti e antisemiti che vengono continuamente postati in rete.
   "Queste immagini non sono del 1930, ma di oggi - dice Erdan - Sono qui per dire che non dimenticheremo le lezioni imparate dall'Olocausto. Non dimentichiamo come il parlare antisemita si sia tramutato in azioni. Nel 2018 ci sono stati 30000 attacchi contro ebrei, solo perché ebrei. Never again è ora, ora è il momento di agire."
   Il ministro Israeliano accusa il BDS di aver normalizzato questo tipo di antisemitismo, rubando il linguaggio del progresso per promuovere razzismo anti-ebraico tramite la discriminazione dello Stato d'Israele.
   È dello stesso avviso Rabbi Menachem Margolin, Chairman EJA, intervenuto sia al Press Club che al Parlamento Europeo per affermare l'assoluta necessità di arginare il fenomeno della violenza anti-ebraica, pericolosamente in crescita.
   A concludere gli interventi, il discorso dell'Inviato Speciale USA per il monitoraggio e la lotta all'Antisemitismo Elan Carr, che ha ribadito il sostegno incondizionato del Presidente Trump nei confronti dello Stato d'Israele per arginare l'Antisemitismo in crescita, concordando con l'identità affermata da Erdan tra Antisemitismo e Antisionismo. "L'antisemitismo nel Medio-Oriente non è solo confinato lì, è un problema collettivo. È ora di dire basta, di girare pagina."

(Shalom, 26 settembre 2019)


Cybertech Europe: circa cento b2b per le start-up israeliane

 
Julia Kraut, direttore di Global Cybertech Events
ROMA - Le 13 start-up israeliane presenti alla terza edizione di Cybertech Europe 2019, appena concluso a Roma, hanno avuto complessivamente circa cento incontri "b2b". E' questo il risultato della presenza delle start-up israeliane al Cybertech Europe, il più importante evento e piattaforma europea dedicata al settore della cybersecurity organizzata in collaborazione con Leonardo e con l'innovation partner Accenture. "Si tratta di uno degli eventi più grandi dopo quello di Tel Aviv", ha spiegato Julia Kraut, direttore di Global Cybertech Events, durante un tour nella "Israel start-up zone" allestita all'interno della Nuvola a Roma, organizzato dall'ambasciata di Israele in Italia. "Vogliamo toccare ogni settore, le infrastrutture critiche, le assicurazioni, le banche, perché hanno bisogno di soluzioni sulla sicurezza cibernetica perché nessuno è al sicuro", ha spiegato la Kraut. Israele ha un "settore della sicurezza cibernetica sviluppato a causa di una necessità, dovuta alla posizione geografica, in un contesto di sfide geopolitiche", ha dichiarato da parte sua Jonathan Hadar, ministro consigliere, capo della missione economia e commerciale dell'ambasciata presso la sede di Milano. Hadar ha ricordato che dopo alcuni anni il governo ha deciso di creare un ufficio nell'ufficio del primo ministro dedicato alla sicurezza cibernetica, chiamato "Cyber Israel" perché "è un tema che riguarda tutto il paese". Negli ultimi anni, ha aggiunto, sono nate circa mille start-up, 200 delle quali sono scomparse, mentre altre sono state inglobate.

(Agenzia Nova, 26 settembre 2019)


Israele: lo stallo post elezioni si preannuncia lungo e difficile da sbloccare

Una paralisi del sistema politico israeliano che probabilmente si prolungherà, ma che non blocca lo stato o l'economia

di Ugo Volli

Le elezioni israeliane si sono concluse da una settimana, con un risultato molto diverso da quello che era stato annunciato dai primi analisti. Non è vero che Netanyahu sia stato sconfitto, né che Gantz abbia vinto, almeno se si considerano i risultati nel loro senso politico, e non come una competizione sportiva. Likud e Bianco-azzurri sono sostanziale parità (32 a 33), i due blocchi politici anche (55 a 54), se si bada alle raccomandazioni fatte al Presidente Rivlin su chi debba formare il nuovo governo. E infatti Rivlin ha designato Netanyahu per il primo tentativo.
  Bisogna fare quattro osservazioni a proposito di questi blocchi.
  La prima è che ovviamente nessuno dei due gruppi raggiunge la maggioranza di 61 deputati né ha la possibilità di raccoglierla facilmente se i confini attuali fra le forze politiche reggono.
  La seconda è che fra coloro che raccomandano Gantz vi sono dieci deputati dei partiti arabi (senza i tre estremisti di Balad che si sono dissociati dalla posizione della lista unitaria araba). Questi dieci deputati sarebbero indispensabili alla maggioranza di Gantz anche se al suo blocco si unisse per esempio il movimento di Liberman, che si è astenuto dalla designazione del candidato primo ministro. Ma su temi fondamentali, come il rapporto con l'Autorità palestinese e Hamas essi dissentono dai partiti sionisti, per la semplice ragione che sono contrari allo Stato ebraico. Dunque in casi critici come un'operazione a Gaza farebbero mancare la maggioranza al governo. Il loro è un gioco tattico contro Netanyahu, non una possibilità reale di governo. E dunque Gantz resta molto lontano dalla maggioranza.
  La terza osservazione è che la crisi attuale non è dovuta a un mutamento dei rapporti di forza o dell'opinione dominante dell'elettorato fra destra e sinistra. Semplicemente un frammento di quel che era negli ultimi dieci anni il blocco di destra, quello di Liberman, ha deciso di giocare in proprio contro Netanyahu e contro i partiti religiosi, spacchettando i temi che insieme costituivano l'identità comune del centrodestra israeliano e giocando una politica tutta mirata ad accrescere il proprio potere negoziale. Non è Netanyahu che abbia perso, né questa né la scorsa votazione, è Liberman che per affermare la propria posizione impedisce la formazione di un governo. Blocca la sinistra, perché sui temi della sicurezza si dice incompatibile con i partiti arabi e blocca la destra, perché rifiuta di stare in un governo presieduto da Netanyahu (per ostilità personale) e comunque non vuol fare compromessi con i religiosi.
  La quarta è che la sola alternativa a questo schieramento per blocchi è un governo di unità nazionale, che però è bloccato dal fatto che i bianco-azzurri si sono uniti sulla base del tentativo di eliminare politicamente Netanyahu, che resta solidamente il leader del Likud. Dunque o i bianchi-azzurro o una loro fazione rinuncia alla conventio ad escludendum di Netanyahu; o il Likud procede al parricidio del suo leader, o questo accordo non si può fare. Tutta questa situazione è dunque frutto della divisione dell'elettorato israeliano in "tribù" piuttosto piccole, spesso centrate su un leader e abbastanza litigiose: una divisione che il sistema elettorale proporzionale puro con una soglia bassa per l'ammissione alla rappresentanza non fa che esaltare.
  E' facile prevedere che in queste condizioni il tentativo di Netanyahu è destinato a fallire e probabilmente lo sarà anche quello successivo riservato a Gantz, se non altro per rappresaglia da parte del Likud. Potrà esserci forse un terzo tentativo estremo, in cui si accetti un'alternanza fra leader. Se anch'esso fallirà, si andrà di nuovo a elezioni. Sarà fastidioso e ci saranno lamentele, ma non si tratta di una situazione strana. I sistemi politici democratici in questo periodo risentono di una notevole instabilità e di un certo distacco fra rappresentanza ed elettorato, soprattutto perché vi è un distacco più generale fra ciò che i ceti intellettuali, i media e talvolta lo "stato profondo" (magistratura, servizi di sicurezza, organizzazioni economiche e internazionali) ritengono sia giusto e ciò che una frazione crescente della popolazione, spesso la maggioranza, sceglie. Si parla spesso di "populismo", come se il problema fosse dalla parte delle forze politiche che raccolgono questo movimento collettivo, ma la questione riguarda innanzitutto gli elettori, che nutrono idee e desideri difformi da quelli dell'establishment, che di fronte a questa offensiva fa blocco e nega le elezioni, come in Italia e in Gran Bretagna, o si divide, si estremizza senza riuscire a mettersi d'accordo come in Spagna (fra un paio di mesi di nuovo al voto per la quarta volta in un anno e mezzo), gli Stati Uniti o Israele.
  Per quanto riguarda lo stato ebraico, l'economia sta bene, la sicurezza è presa in cura lucidamente dal governo uscente, oltre che dai servizi e dalle forze armate. Insomma lo stato non è paralizzato. E' forse meglio rinviare la soluzione, chiedere all'elettorato di ripensare alle proprie divisioni e di dare un messaggio più chiaro sulla gerarchia delle scelte politiche, piuttosto che una soluzione pasticciata, che potrebbe portare alla paralisi vera o a un potere di veto da parte di partiti antisistema come il blocco arabo.

(Progetto Dreyfus, 26 settembre 2019)


L'ambasciatore d'Israele a Roma Dror Eydar in visita alla Comunità di Milano

 
(da sin.) Milo Hasbani, Dror Eydar, Liliana Segre e Michal Gur-Aryeh, portavoce dell'Ambasciata d'Israele a Roma
«Noi ebrei oggi, in Israele e in diaspora, viviamo in un'era miracolosa in cui per la prima volta dopo duemila anni possiamo proteggerci e difenderci da soli. In Israele e all'estero non c'è separazione e differenza, siamo una sola famiglia». Così il nuovo ambasciatore di Israele a Roma, Dror Eydar, che ha da pochi giorni presentato le credenziali al Presidente Sergio Mattarella, si è rivolto alla Comunità ebraica di Milano nel corso di un cordiale incontro nella Sala consiliare, dopo la visita alla Scuola ebraica di via Sally Mayer. Nella mattinata ha avuto un colloquio con il Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib e ha visitato il Memoriale della Shoah.
   In Comunità è stato accolto dalla Senatrice Liliana Segre, dal Presidente CEM Milo Hasbani, da una nutrita rappresentanza di consiglieri, compreso il past president Raffaele Besso, e dai rappresentanti di tutti gli Enti ebraici milanesi.
   Si è intrattenuto qualche minuto con la Senatrice Segre alla quale ha raccontato la storia dei suoi nonni deportati ad Auschwitz: «Sono molto emozionato, per questo, di conoscerla. Solo pochi giorni fa ho consegnato a Roma due Medaglie di Giusti delle Nazioni alle famiglie Cencelli e Gessini, salvatori della famiglia ebraica dei Terracina». Un altro ramo della sua famiglia proviene dall'Iran: «Appena lo Stato di Israele è stato fondato hanno cercato subito di emigrare e poi sono stati 10 anni in un campo profughi prima di costruire la loro casa, come migliaia di israeliani» - ha raccontato. «Quando ho incontrato il Presidente Mattarella, egli ha voluto ricordare la Shoah e io ho proseguito dicendo che Israele, lo Stato degli ebrei ha raccolto i sopravvissuti anche grazie all'Italia e questo legame tra Israele e Italia è inscindibile».
   «Sono stato diverse volte in Italia, ma questa è la prima volta a Milano. Sono ambasciatore di Israele in Italia, non nella comunità ebraica, perché tutti voi siete come me ambasciatori di Israele; siamo una famiglia. Le ultime due generazioni di ebrei hanno vissuto sotto la protezione di uno Stato ebraico indipendente come mai negli ultimi duemila anni. È un imperativo, difendere tutti gli ebrei in Israele e fuori. È una responsabilità dello Stato verso tutti gli ebrei del mondo e se dipendesse da me, tutti gli ebrei del mondo voterebbero alle elezioni israeliane».
   «Io sono uno storico esperto anche in storia delle religioni e ha spesso colloqui con prelati della Chiesa. Recentemente, - ha raccontato Eydar - negli Stati Uniti ho incontrato un Vescovo che mi ha detto 'Io amo gli ebrei e Israele, ma se non riconoscete che Gesù è morto e dopo tre giorni è risorto, andrete all'inferno. Gli ho risposto: 'Pastore, prima di tutto Gesù era ebreo e quindi questa è una questione interna alla nostra famiglia, nella quale voi non dovreste entrare. Poi quando è finita la seconda guerra mondiale? Nel 1945. Quando è nato lo Stato di Israele? Nel 1948. Dopo la Shoah il nostro popolo, tutto il popolo ebraico era annientato; i vivi e i morti giacevano in un'unica fossa desolata. Ma dopo tre anni il popolo ebraico è risorto nello Stato di Israele. Dalla distruzione alla Redenzione, siamo tornati a casa. Siete voi che dovere credere a questo miracolo».
   L'ambasciatore si è poi soffermato su Israele Start-up Nation, paese dell'innovazione, della tecnologia e del futuro. «Tutti noi dobbiamo essere consapevoli di questo miracolo».

(Bet Magazine Mosaico, 26 settembre 2019)


A Netanyahu l'incarico di formare il nuovo governo

di Giordano Stabile

Benjamin Netanyahu ha ottenuto l'incarico per formare un nuovo governo in Israele. La decisione è stata annunciata ieri sera dal presidente Reuven Rivlin, dopo che le trattative con il rivale Benny Gantz per dar vita ad un esecutivo di unità nazionale erano fallite. Rivlin ha spiegato che il partito del premier, il Likud, gli aveva dato garanzie «che avrebbe restituito il mandato» in caso di fallimento. Netanyahu ha dichiarato che il suo intento era di arrivare a un governo di «unità», soprattutto «di fronte alla minaccia dell'Iran» e all'avvicinarsi dell'annuncio del piano di pace americano, «l'accordo del secolo» promesso da Donald Trump, e alla necessità di «stabilire le frontiere orientali» di fronte alle richieste statunitensi. Il premier aveva promesso in campagna elettorale di annettere la Valle del Giordano, al confine con la Giordania.

 I rapporti con Gantz
  La grande coalizione sembra però un obiettivo difficile da raggiungere. Subito dopo ha parlato Gantz e ha detto che il suo partito, Blu e Bianco, «non siederà in un governo guidato da un premier che deve fronteggiare accuse gravissime». L'annuncio di Rivlin è arrivato a sorpresa ieri sera. Martedì il capo dello Stato aveva detto che avrebbe atteso fino al 2 ottobre, per dare tempo al Likud e a Blu e Bianco di negoziare il governo di unità. Ma dopo un nuovo incontro fra Netanyahu e Gantz, ha cambiato idea, perché ha dovuto constatare che le posizioni era inconciliabili. Su un punto in particolare, chi dovesse guidare il governo. Netanyahu ha proposto una staffetta, due anni ciascuno. Rivlin lo ha appoggiato. Gantz ha chiesto di essere il primo e di ricevere lui l'incarico. Netanyahu si è impuntato ed è saltato tutto.
  Ieri la commissione elettorale ha annunciato i risultati definitivi. Il Likud ha guadagnato un seggio a scapito del partito ortodosso haredi. Ora ne ha 32 contro i 33 di Blu e Bianco. Ma a livello di coalizione il centrodestra ha 55 deputati contro i 54 del centrosinistra. Queste limature hanno convinto Rivlin a concedere un'altra chance a Netanyahu. Il 2 ottobre è anche il giorno dell'audizione del premier nell'ufficio del Procuratore generale Avichai Mendelblit. Il rischio di finire a processo per corruzione e abuso di ufficio è molto alto. Un conto però è affrontarlo come primo ministro incaricato, un altro da sconfitto, con la possibilità di perdere anche la leadership del Likud. Rivlin aveva anche proposto che in caso di rinvio a giudizio Netanyahu avrebbe potuto restare in carica mentre le sue funzioni sarebbero state esercitate da Gantz. Una proposta respinta dell'ex generale. Ora Netanyahu ha 42 giorni di tempo per trovare un maggioranza. In caso di fallimento è alto il rischio di tornare al voto per la terza volta.

(La Stampa, 26 settembre 2019)


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Salta l'intesa in Israele, a Netanyahu l'incarico

Nonostante il secondo posto, Bibi ha una coalizione più ampia: proverà a formare il governo

Alle ultime elezioni il Likud di Netanyahu e i tre alleati di destra hanno ottenuto 55 seggi su 120 Benny Gantz si è posizionato avanti al rivale (33 a 32 seggi). Lieberman sta a guardare coi suoi 9 seggi

di Davide Frattini

GERUSALEMME - I biglietti segnaposti già rivelavano a sala vuota quale sarebbe stato l'annuncio. In prima fila solo rappresentanti del Likud e il loro capo Benjamin Netanyahu. Che dopo il fallimento di sei mesi fa può provare una seconda volta a mettere insieme i numeri per formare la coalizione.
   Il presidente Reuven Rivlin avrebbe preferito che i due partiti principali usciti dalle elezioni del 17 settembre - Blu Bianco con 33 seggi e il Likud con 32 - trovassero un'intesa e creassero un governo di unità nazionale. Ha invitato Netanyahu e l'ex capo di Stato Maggiore Benny Gantz alla residenza ufficiale, i consiglieri hanno cercato di mediare, sembrava evidente fin dall'inizio che la diffidenza non sarebbe stata superata.
   Fonti di Blu Bianco spiegano al giornale Yedioth Ahronoth che Netanyahu avrebbe deragliato i colloqui quando ha capito che non gli sarebbe stato concesso di sedere per primo sulla poltrona di premier, l'ipotesi era la rotazione, due anni a testa.
   Adesso Bibi, com'è soprannominato, ha 28 giorni (più un'estensione di 14) per riuscire a raccogliere i 61 deputati necessari. Parte dalla base di 55 nel blocco della destra e dovrà cercare di convincere i partiti che hanno supportato Gantz a passare dalla sua parte: impossibile succeda con la sinistra radicale, gli analisti si concentrano sulle decisioni del laburista Amir Peretz.
   Per ora Avigdor Lieberman resta a guardare. E stato il capo della formazione che raccoglie voti tra gli immigrati dall'ex Unione Sovietica a forzare Netanyahu verso le elezioni anticipate. Suo alleato, si era dimesso da ministro della Difesa - prima crisi che aveva portato al voto di aprile - e dopo la vittoria di Netanyahu si era rifiutato di tornare al governo con lui, così gli israeliani sono dovuti riandare alle urne giorni fa.
   E difficile che Gantz accetti un posto da ministro (anche se Netanyahu formalmente rilancia il governo di unità), in campagna ha ribadito di non poter cooperare con un premier accusato di corruzione e il procuratore ha già annunciato di voler incriminare Netanyahu.
   Se Bibi dovesse tornare dal presidente fra un mese e mezzo, o molto prima, senza la maggioranza, il secondo tentativo toccherebbe a Gantz, con il rischio di nuove urne, la terza volta in pochi mesi.

(Corriere della Sera, 26 settembre 2019)


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La scommessa di Rivlin: un nuovo incarico a Netanyahu

Il primo tentativo del presidente nella crisi di governo

di Fiammetta Martegani

La responsabilità di formare il prossimo governo sarà data al primo ministro Benjamin Netanyahu». Così ha deciso ieri sera il presidente israeliano Reuven Rivlin alla fine di una tornata di consultazioni tra i due grandi rivali delle elezioni che si sono svolte la scorsa settimana: il premier uscente Benjamin Netanyahu, leader del Likud, e il capo del partito Blu Bianco, Benny Gantz.
   «Accetto l'incarico: occorre un governo di unità nazionale che sappia riconciliare il Paese, passo che in questo momento è essenziale», ha risposto Netanyahu, riconducendo la necessità di essere uniti, alle tante emergenze cui sta andando incontro Israele: «l'Iran, la situazione economica, e il Piano di pace di Trump che, se non ci fosse un governo, potrebbe anche saltare del tutto». "Bìbi", ben consapevole delle difficoltà cui andrà incontro nel formare un esecutivo, si è di nuovo detto pronto a stipulare un accordo di rotazione nella premiership con Gantz. Ipotesi, al momento, improbabile dato il rifiuto di quest'ultimo. «Non entrerò in un esecutivo il cui premier ha un incriminazione grave», ha detto. Eppure l'alleanza con il Blu Bianco potrebbe essere l'unica equazione possibile nella complessa matematica governativa di Netanyahu: gli occorre una maggioranza di 61 seggi sui 120 della Knesset. Ma non ce l'ha.
   Rivlin ha spiegato di aver affidato l'incarico all'ex premier, nonostante in termini di maggioranza relativa avesse ricevuto meno seggi di Gantz (31 contro 33), poiché nel corso delle consultazioni con gli altri partiti aveva ottenuto il sostegno di 55 deputati, mentre il suo avversario solo 54, «dieci dei quali - ha sottolineato il presidente - sono deputati arabi, che comunque non accetterebbero di prendere parte al governo».
   Il capo dello Stato ha precisato che Netanyahu ha a disposizione 28 giorni, ai quali, se necessario, potrebbero venire aggiunti altri 14. Rivlin, inoltre, ha ribadito che l'obiettivo da raggiungere resta quello di un «governo di unità nazionale» che eviti il terzo ritorno alle urne in un anno. Secondo i media israeliani, sotto traccia potrebbe esserci in atto una precisa strategia di Gantz, attuata con l'appoggio del presidente, ovvero: affidare la "mission impossible" a Bibi, attendere il fallimento, e vedersi affidare l'incarico per un governo di unità. Ma, a questo punto, tutti i giochi sono aperti.

(Avvenire, 26 settembre 2019)


Israele e l'identità dei laici

Rav Michael Ascoli

"Hadatà": chiunque abbia seguito il dibattito politico in Israele in tempi recenti conosce questa parola, che viene usata con il significato di coercizione religiosa. Con toni decisamente esagerati ogni cosa, perfino l'eventuale citazione di un versetto in una classe, può essere additata come tentativo subdolo di "irreligiosire" la società. Nell'ultima campagna elettorale il "salvare l'ebraicità dello stato" è stato ossessivamente sventolato da una parte contro l'altrettanto ossessiva "necessità di preservare uno stato libero dall'oppressione religiosa".
   Sono andato a controllare sul vocabolario, e come in fondo mi aspettavo, la parola "hadatà" non esiste. O meglio, non esisteva ancora nel 1997… Una veloce ricerca sul sito della "Accademia per la Lingua Ebraica" ci informa che la parola venne portata all'attenzione della Accademia soltanto nel 2006 e dato che era già in uso venne consigliato di accettarla come parola del vocabolario ebraico. Il sito sottolinea anche che inizialmente la parola aveva più il senso di descrivere un fenomeno sociologico che non quello di indicare coercizione. Nella sua prima accezione, ha un termine contrario, "chillùn", che indica la tendenza di un determinato pubblico a recedere dalla propria posizione religiosa.
   A questo punto sarà anche opportuno notare che la stessa parola "dat" per indicare religione è tutt'altro che "originariamente ebraica" (nel Tanakh compare nel libro di Ester, come legge dello stato persiano…) e probabilmente entrò in uso come traduzione di religione nel Medio Evo. "Datì" per indicare "religioso" sembra infine rispondere all'esigenza di tradurre l'europeo concetto di "religioso" (tradizionalmente, un ebreo si sarebbe definito piuttosto "osservante", "shomèr mitzwoth").
   Torniamo alla "hadatà" nel senso oggi in voga: perché si parla tanto di coercizione? Perché non esiste la parola contraria, benché non manchi certo chi in Israele palesi il proprio sentimento anti-religioso in modo vistoso e rumoroso? Si dirà che i religiosi sono diventati di più, in alcuni casi sono divenuti estremisti e che quindi i "laici" sentono una maggiore pressione, si sentono insidiati nella loro libertà. Qui però sembra esserci un equivoco fondamentale, ovvero l'esistenza di uno spazio neutro, non occupato. Come noto, invece, se si crea un vuoto - a meno che questo non sia artificialmente conservato - questo viene immediatamente riempito. Uno spazio pubblico neutro non esiste: l'atmosfera predominante può essere religiosa oppure no, la pubblica piazza può essere ricca di simboli religiosi, tradizionali, o può esserne scevra. Non potrà mai essere neutra. Ciò che può essere, o non essere, è tollerante e pluralista. La contrapposizione fra religiosi e anti-religiosi si riconduce così ancora una volta alla contrapposizione fra moderati e estremisti. C'è però un'altra questione, quella identitaria dell'israeliano laico: ora che non è più pioniere dello stato e che non è neanche laico-ma-studioso-del-Tanakh alla Ben Gurion, chi è? E cosa ne fa degli "ideali dei profeti di Israele" sanciti nella Dichiarazione di Indipendenza? Come si rapporta alla propria storia e alle proprie tradizioni?

(moked, 26 settembre 2019)


"Antico cimitero ebraico di Mantova, valori non negoziabili da tutelare"

La zona del cimitero ebraico
Torna ad accendersi l'attenzione mediatica sull'antico cimitero ebraico di Mantova, al centro del progetto di rigenerazione urbana Mantova Hub.
   Alcune criticità emerse sono state il tema di un incontro che si è svolto nelle scorse ore tra rappresentanti del Comune, dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dell'Assemblea dei Rabbini d'Italia.
    "Nell'incontro il sindaco ha chiarito che sono previsti in tempi brevi lavori di scavo nel capannone 2, costruito sull'area cimiteriale, in profondità di 1,4 m con l'impianto di numerosi piloni. Questo intervento costituisce un'evidente profanazione delle sepolture sottostanti. Il sindaco si è dichiarato disponibile a esaminare soluzioni alternative, purché senza aggravio economico e nel rispetto dei progetti di costruzione che sono comunque irrispettosi delle sottostanti sepolture. L'intervento sul capannone 2 - riferisce in una nota il presidente dei rabbini italiani rav Alfonso Arbib - è peraltro solo una parte di un progetto che presenta varie criticità".
   "L'imminente grave profanazione - prosegue rav Arbib - costituisce non solo un'offesa alla tradizione religiosa ma a nostro parere è anche in contrasto con le leggi dello Stato sui vincoli cimiteriali e sulle specifiche leggi dello Stato sulle sepolture ebraiche. L'urgenza ci impone di sciogliere il riserbo che come rabbini abbiamo finora tenuto sull'argomento e a denunciare pubblicamente la situazione chiedendo l'immediata interruzione dei lavori e la revisione dei progetti nel rispetto della normativa religiosa".
   "Quello che ci troviamo ad affrontare - afferma il presidente dell'Ari - è un problema religioso e umano estremamente sensibile: il rispetto dei morti è alla base di qualunque società e tocca sentimenti profondi dell'animo umano. Il Comune di Mantova ha sicuramente fatto sforzi per tenere conto di questa sensibilità, chiediamo di fare un ulteriore sforzo e di evitare quella che a tutti gli effetti si configurerebbe come una profanazione".
   Noemi Di Segni, presidente UCEI, parla di Mantova Hub come di un "progetto ambizioso che ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione della presenza di una gloriosa Comunità ebraica nel territorio mantovano, tra le più importanti d'Italia per storia, tradizione, studiosi e personaggi che l'hanno animata nel corso dei secoli". Ma anche di sfida che, in ogni sua fase, "non potrà prescindere da alcuni punti fermi, a partire dall'osservanza, non negoziabile, delle prescrizioni ebraiche in materia di sepoltura e rispetto dei morti".
   "In Italia - aggiunge Di Segni - la legge sull'Intesa (101/89) riconosce rilevanza e la tutela dei siti religiosi. Conformemente a ciò, in ogni intervento che si vorrà attuare, gli enti e le istituzioni coinvolte sono chiamate a tenere conto sia della legislazione vigente che dell'impostazione normativa religiosa. Le norme ebraiche cui attenersi sono quelle indicate dal rabbinato italiano e nello specifico dall'Ari, che ha il ruolo di definire autorevolmente le questioni inerenti l'Halakhah, la Legge ebraica, in Italia. L'invito e l'appello è quindi a ricercare le soluzioni architettoniche e interventi compatibili, in un tavolo che veda riuniti Comune, UCEI, Ari, Comunità ebraica locale, Soprintendenza".
   Conclude la Presidente UCEI: "La valorizzazione dell'area cimiteriale come sito di interesse nazionale e mondiale e la sfida di far conoscere a un pubblico ancor più vasto Mantova, la sua antica Comunità ebraica e l'intensa tradizione cabalistica che da questa città si irradiò nel mondo intero, sono alla base del protocollo siglato ad aprile 2018 con l'amministrazione cittadina. Lo spazio per proseguire in questa direzione esiste, definendo azioni chiare a tutela di principi e valori irrinunciabili".

(moked, 26 settembre 2019)


Mantova, braccio di ferro sul cimitero ebraico violato. "Il Comune fermi i lavori"

La protesta dei rabbini contro i cantieri nell'area sacra. Il caso sul tavolo di Conte.

Nel 2010 alcuni rabbini ultra-ortodossi partono dall'Olanda per pregare sulla tomba di Azariah da Fano, tra i più celebri cabalista italiani, morto a Mantova nel 1620. La comunità ebraica vendette il terreno del cimitero al Regno lombardo-veneto nel 1850, alla condizione che rimanesse zona dedicata al culto. Cosa che non avvenne. Nel 2016 un israeliano dice di aver ritrovato l'elenco delle sepolture. Il rabbino di New York chiede al sindaco Palazzi di fermare il progetto Mantova Hub.

di Ariela Piattelli

 
Potrebbe essere una soluzione architettonica a chiudere il braccio di ferro sul progetto Mantova Hub che prevede i lavori di rigenerazione urbana sull'antico cimitero ebraico. Un ponte fisico e non, sul quale possano incontrarsi le posizione distanti tra Comune, ebraismo italiano e mondiale. Come riportato dalla Gazzetta di Mantova, pochi giorni fa il leader spirituale ashkenazita d'Israele Dovid Lau ha scritto al premier Conte, chiedendo di impedire un sacrilegio, ovvero che si scavi sul terreno dove riposano grandi maestri e rabbini del `400 e del `500: secondo la tradizione ebraica infatti l'estinto è padrone del posto dove è sepolto, e da li non si può spostare, principio recepito anche dalla legge italiana.
   A rendere il terreno ancora più importante è la rilevanza dei rabbini italiani che vi sono sepolti: nel cimitero riposa il cabbalista Moshe Zacuto, autore di testi fondamentali. Vi è sepolto poi il cabbalista Menahem Azariah da Fano, che portò la Cabbalà da Safed in Europa. È proprio la sua tomba ad aver fatto riscoprire il cimitero: dimenticato per secoli, con una storia travagliata, che lo vede prima dismesso, poi venduto agli austriaci, passato al Regno d'Italia, dopo all'esercito e infine al demanio, il cimitero è stato riscoperto nel 2010, quando sul posto giunge un gruppo di rabbini a pregare sulla tomba di Azariah da Fano. Da lì la riscoperta di un terreno lasciato al degrado per 50 anni. Nel 2017 è iniziato il progetto di Mantova Hub, per il quale il Comune, il Politecnico di Milano e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane hanno firmato un protocollo d'intesa sul recupero e la valorizzazione del cimitero.
   Poi sono emersi i timori delle autorità rabbiniche per gli scavi. La richiesta di bloccare tutto è stata ribadita nei giorni scorsi al sindaco Mattia Palazzi dall'Ari (Assemblea Rabbinica Italiana) e dall'esperto israeliano Chizkiya Kalmanowitz. «Non possiamo permettere che distruggano un terreno sacro, fermeremo il progetto in ogni modo», ha detto il rabbino. Ma il primo cittadino ha detto che non farà marcia indietro, viste le risorse già investite, garantendo però di valorizzare l'area. Sul caso, dunque, continuano a susseguirsi richieste di «stop» ai lavori: si è fatta sentire anche una voce vicina all'amministrazione Trump. Ora caso è sul tavolo di Palazzo Chigi. «Gli esponenti dell'ebraismo ci hanno chiesto indagini stratigrafiche sul terreno — spiega Palazzi — e abbiamo accolto la richiesta. Nell'area del cimitero non realizzeremo nulla, faremo un ponte affinché non si possa calpestare. Per rispettare le leggi italiane dobbiamo rafforzare le fondamenta, scavando. Se troveremo soluzioni tecniche che consentiranno di mantenere le funzioni previste, di non interrompere il cantiere per evitare contenziosi con le ditte, e di recuperare, non dal Comune, le risorse e i costi da sostenere, noi le adotteremo».
   Su un punto sembrano tutti d'accordo. Il recupero dell'antico cimitero è un'opportunità: «Uno degli obiettivi è realizzare una Casa della Memoria - continua il Sindaco -. Vogliamo valorizzare la storia ebraica di Mantova e rendere il sito sempre più internazionale». «C'è una legge italiana che impone di tutelare i siti religiosi - sottolinea la Presidente dell'Ucei Noemi Di Segni. C'è anche l'opportunità di valorizzare un sito che ha un'importanza culturale non solo per gli ebrei. La ricerca di soluzioni deve basarsi sulle indicazioni dell'Ari». Il punto d'incontro è quindi rendere compatibili le direttive architettoniche con quelle religiose. «L'antico cimitero ha un grande potenziale, se salvaguardato, - dice il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni - come polo attrattivo per il turismo, soprattutto quello religioso». Mantova potrebbe diventare dunque un'altra Praga, dove il cimitero ebraico del `400 è uno dei monumenti più visitati. Un'altra tappa dell'Italia ebraica, sempre che le parti in causa si incontrino.

(La Stampa, 26 settembre 2019)


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"Un'idea di fondamenta senza scavi. E il prato non verrà calpestato"

Intervista a Vincenzo Corvino. Il progettista studia una soluzione alternativa per il cimitero di Mantova: "La costruzione potrebbe essere come una zattera appoggiata a terra".

di Gabriele De Stefani

Il punto è come riuscire a costruire senza scavare, o almeno penetrando il meno possibile nel terreno, così da rispettare sia la sacralità dell'area che le norme antisismiche. Per Vincenzo Corvino, dello studio Corvino + Multari impegnato nella progettazione di Mantova Hub, ora si tratta di rimettere mano al lavoro.

 Come avete cercato di tutelare il cimitero?
  «Abbiamo lavorato due anni con il Comune, la Sovrintendenza, il Politecnico di Milano e la Comunità ebraica. Il progetto era definito e i lavori avviati. Tutta l'area è stata perimetrata, come previsto per i cimiteri ebraici. E, per evitare che venga calpestata, abbiamo deciso di non pedonalizzarla e di costruire un ponte di oltre trenta metri per chi dovrà muoversi a piedi. Il prato rimarrà e sarà indicato che il luogo è sacro e di alto valore storico. Inoltre non abbiamo aggiunto volumi, ma solo lavorato sui cinque capannoni già costruiti nei decenni passati quando l'area era stata violata. Il rispetto della memoria è assicurato, come era stato concordato in tutte le sedi. Ora sono sopraggiunte altre istanze di natura religiosa e i nostri tecnici cercheranno di dare la miglior risposta possibile».

 A quali ipotesi progettuali state lavorando?
  «Queste richieste sono emerse solo nelle ultime ore, ma un'ipotesi che potremmo riconsiderare è quella della fondazione a zattera, cioè adagiata sul terreno. In sostanza, si getta il cemento armato a terra e si solleva l'edificio. Potremmo così evitare di scavare o farlo il meno possibile».

 È una soluzione collaudata? E può comportare costi aggiuntivi?
  «L'avevamo considerata fin dall'inizio, ma l'avevamo scartata perché non è la migliore per questo progetto: di solito si usa quando c'è poco ancoraggio per ragioni geologiche. Dal punto di vista dei costi, non ci sono aggravi. Attendiamo però le verifiche tecniche e scientifiche, soprattutto dal punto di vista antisismico. E naturalmente non possiamo rinunciare agli spazi necessari per ospitare gli edifici previsti dal piano.

(La Stampa, 26 settembre 2019)


Articoli che abbiamo riportato nel 2016 su questo argomento:
-> Mantova - Città capitale della cabala. Seppelliti qui i grandi maestri
-> Cimitero ebraico di Mantova, richiesta senza fondamento
-> Mantova - Gli ebrei ortodossi di tutta Europa rivogliono l'antico cimitero perduto
-> Cimitero ebraico di Mantova, una verifica è fondamentale
-> Ripulito con le ruspe l'antico cimitero ebraico di Mantova
-> Ruspe al cimitero ebraico di Mantova, Ucei in allarme
-> Mantova - «Nessun danno all'antico cimitero ebraico»


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