I giorni dell'uomo sono come l'erba. come il fiore del campo egli fiorisce, se un vento gli passa sopra non c'è più, e il luogo dov'era non lo riconosce più. Ma la benignità dell'Eterno dura d'eternità in eternità, per quelli che lo temono, e la sua giustizia per i figli dei figli.
Salmo 103:15-17
 

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כאיל תערג, Come un cervo anela

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Predicazioni
Dio con noi
    MATTEO 1
  1. Or la nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe; e prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.
  2. E Giuseppe, suo marito, essendo uomo giusto e non volendo esporla ad infamia, si propose di lasciarla occultamente.
  3. Ma mentre aveva queste cose nell'animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prender con te Maria tua moglie; perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo.
  4. Ed ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati.
  5. Or tutto ciò avvenne, affinché si adempiesse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
  6. Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che, interpretato, vuol dire: «Iddio con noi».
    SALMO 145

  1. Io ti esalterò, o mio Dio, mio Re, e benedirò il tuo nome in eterno.
  2. Ogni giorno ti benedirò e loderò il tuo nome per sempre.
  3. L'Eterno è grande e degno di somma lode, e la sua grandezza non si può investigare.
  4. Un'età dirà all'altra le lodi delle tue opere e farà conoscere le tue gesta.
  5. Io mediterò sul glorioso splendore della tua maestà
    GENESI 2
  1. L’Eterno Iddio formò l'uomo dalla polvere della terra,
  2. gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente
    ISAIA 53
  1. Egli è cresciuto davanti a lui come un germoglio, come una radice che esce da un arido suolo.
    GIOVANNI 20
  1. Allora Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi”.
  2. Detto questo, soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”.
    PROVERBI 8
  1. Quando egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un cerchio sulla superficie dell'abisso,
  2. quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell'abisso,
  3. quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il suo cenno, quando poneva i fondamenti della terra,
  4. io ero presso di lui come un artefice, ero sempre esuberante di gioia, mi rallegravo in ogni tempo nel suo cospetto;
  5. mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, e trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini.
    GENESI 2
  1. E udirono la voce dell'Eterno Iddio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l'uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell'Eterno Iddio fra gli alberi del giardino.
    GIOVANNI 3
  1. Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figlio affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
    1 CORINZI 15
  1. Così anche sta scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente»; l'ultimo Adamo è spirito vivificante”.
    GENESI 3
  1. E io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la sua progenie; questa ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno”.
    ISAIA 7
  1. Perciò il Signore stesso vi darà un segno: ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele.
    GIOVANNI 12
  1. “Se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo, ma, se muore, produce molto frutto" .
    ESODO 3
  1. E l'Eterno disse: “Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; perché conosco i suoi affanni; 
  2. e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani.
    ESODO 29
  1. Sarà un olocausto perenne offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io vi incontrerò per parlare con te.
  2. E là io mi troverò con i figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E dimorerò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per dimorare tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro
    GIOVANNI 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.

Marcello Cicchese
febbraio 2024

Una grande gioia

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.


    Marcello Cicchese
    maggio 2016

L'interesse di Cristo
FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.


Marcello Cicchese
novembre 2006

Salmo 92
Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.

Marcello Cicchese
gennaio 2017

Saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.

Marcello Cicchese
aprile 2009

Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Preghiera sacerdotale 1

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.

    ATTI 10

  1. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: 
  2. vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio l'ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. 
  3. E noi siamo testimoni di tutte le cose ch'egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. 
  4. Esso ha Dio risuscitato il terzo giorno, e ha fatto sì ch'egli si manifestasse 
  5. non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.


Marcello Cicchese
agosto 2017

Preghiera sacerdotale 2

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.


Marcello Cicchese
ottobre 2017

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015



Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 11
    Liberazione di Iabes
  • Naas, l'Ammonita, salì e si accampò contro Iabes di Galaad. E tutti quelli di Iabes dissero a Naas: “Fa' alleanza con noi e noi ti serviremo”
  • E Naas, l'Ammonita, rispose loro: “Io farò alleanza con voi a questa condizione: che io vi cavi a tutti l'occhio destro e getti così questo disonore su tutto Israele”. Gli anziani di Iabes gli dissero: “Concedici sette giorni di tregua perché inviamo dei messaggeri per tutto il territorio d'Israele; e se non ci sarà chi ci soccorra, ci arrenderemo a te”. I messaggeri andarono dunque a Ghibea di Saul, riferirono queste parole in presenza del popolo e tutto il popolo alzò la voce e pianse. 
  • Ed ecco Saul tornava dai campi, seguendo i buoi, e disse: “Che cos'ha il popolo, perché piange?”. E gli riferirono le parole di quelli di Iabes. E quando ebbe udite quelle parole, lo Spirito di Dio investì Saul, che si infiammò d'ira; e prese un paio di buoi, li tagliò a pezzi e li mandò, per mano dei messaggeri, per tutto il territorio d'Israele, dicendo: “Così saranno trattati i buoi di chi non seguirà Saul e Samuele”.
  • Il terrore dell'Eterno s'impadronì del popolo e partirono come se fossero stati un uomo solo.  Saul li passò in rassegna a Bezec, ed erano trecentomila figli d'Israele e trentamila uomini di Giuda. E dissero a quei messaggeri che erano venuti: “Dite così a quelli di Iabes di Galaad: 'Domani, quando il sole sarà in tutto il suo calore, sarete liberati'”.
  • E i messaggeri andarono a riferire queste parole a quelli di Iabes, i quali si rallegrarono. E quelli di Iabes dissero agli Ammoniti: “Domani verremo da voi, e farete di noi tutto quello che vi piacerà”. Il giorno seguente, Saul divise il popolo in tre schiere, che penetrarono nell'accampamento degli Ammoniti prima dell'alba, e li batterono fino alle ore calde del giorno. Quelli che scamparono furono dispersi in maniera che non ne rimasero due insieme. 

    Saul riconosciuto re da tutto Israele
  • Il popolo disse a Samuele: “Chi è che diceva: Saul regnerà forse su noi? Dateci quegli uomini e li metteremo a morte”. Ma Saul rispose: “Nessuno sarà messo a morte in questo giorno, perché oggi l'Eterno ha operato una liberazione in Israele”. 
  • E Samuele disse al popolo: “Venite, andiamo a Ghilgal, e là confermiamo l'autorità regale”. E tutto il popolo andò a Ghilgal, e là, a Ghilgal, fecero Saul re davanti all'Eterno, e offrirono nel cospetto dell'Eterno sacrifici di ringraziamento. Saul e tutti gli uomini d'Israele fecero gran festa in quel luogo.

(Notizie su Israele, 30 dicembre 2025)


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Il vertice

Il corrispondente di Israel Heute riferisce sull'incontro tra Donald Trump e il primo ministro Benjamin Netanyahu: tanta simbologia, poche decisioni e conti in sospeso per il futuro.

di Itamar Eichner

GERUSALEMME - Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si sono incontrati lunedì 29 dicembre nella tenuta di Trump a Mar-a-Lago, in Florida, per un incontro che molti consideravano decisivo. Le aspettative erano alte: sarebbero stati raggiunti accordi su Gaza, l'Iran e il fronte nord? Sarebbero emerse forti divergenze? Alla fine, l'incontro si è rivelato più un momento di pubbliche relazioni che una svolta diplomatica.
Trump ha ricoperto Netanyahu di elogi, ha dichiarato che senza di lui Israele non esisterebbe, ha parlato di una possibile grazia da parte del presidente Isaac Herzog e ha volutamente lasciato la maggior parte delle questioni concrete nel vago. Ma dietro i sorrisi si nascondono questioni importanti: gli americani stanno prendendo tempo perché non sono ancora pronti, o stanno preparando il terreno per richieste più severe in un secondo momento? In definitiva, questo incontro è un classico esempio del metodo di Trump: prima “ammorbidire” il partner per ottenere poi delle concessioni. Netanyahu ha ricevuto un regalo elettorale, ma il conto potrebbe arrivare presto.
Uno dei temi centrali è stato Gaza. Trump ha ribadito il suo impegno a rendere il disarmo di Hamas una condizione preliminare per il passaggio alla fase B del suo piano in 20 punti. Sembra una buona idea, ma la domanda cruciale rimane: come? I dettagli sono rimasti vaghi. Trump ha menzionato i genitori del rapito ucciso Ran Gvili, che erano presenti nella tenuta e lo hanno incontrato. Alla madre Talik Gvili ha persino detto: “Ti riporterò tuo figlio”. Tuttavia, nonostante queste parole significative, non ha stabilito un chiaro collegamento tra il passaggio alla seconda fase e il ritorno di Guilys.
Uno dei motivi per cui non è stata esercitata alcuna pressione pubblica su Netanyahu – le dichiarazioni pubbliche sono state piuttosto lusinghiere e accoglienti – potrebbe essere che gli stessi americani non sono ancora pronti per la fase due. Manca loro una forza di stabilizzazione internazionale. Solo la Turchia e l'Italia hanno manifestato interesse a inviare truppe, ma Israele rifiuta categoricamente la presenza turca e l'Italia non è disposta ad agire da sola. L'Azerbaigian sembra aver cambiato idea, probabilmente sotto la pressione della Turchia, e anche l'Indonesia offre solo assistenza medica, senza truppe da combattimento. Anche questo è un passo indietro, dopo che il presidente indonesiano aveva inizialmente promesso di inviare 20.000 soldati.
Trump ha dichiarato che, nonostante le tensioni diplomatiche e la crescente preoccupazione per un possibile scontro, non ci saranno problemi tra Israele e la Turchia. Durante l'incontro ha cercato di convincere Netanyahu della presenza turca, ma su questo punto è rimasta una divergenza di opinioni.
Hamas, dal canto suo, non è disposta a disarmarsi e i negoziati con i mediatori sono in fase di stallo. In questa situazione, gli americani si accontentano del cosiddetto “piano verde di Rafah”, che prevede misure nelle zone sotto il controllo israeliano a est della linea gialla. Non hanno alcuna influenza sulla parte occidentale della Striscia di Gaza, dove quasi due milioni di palestinesi vivono sotto il dominio di Hamas. Il risultato: Trump non ha chiesto ulteriori ritirate israeliane, la linea gialla rimane in vigore. Si tratta di una vittoria tattica per Netanyahu, ma di un fallimento strategico: Israele persiste nella politica fallimentare dei cicli ricorrenti, invece di sviluppare una dottrina a lungo termine. Per quanto riguarda la Turchia, Trump ha fatto dichiarazioni di facciata a Recep Tayyip Erdoğan, ma non è prevedibile che imponga a Israele una presenza turca. Va bene così, ma ciò sottolinea la mancanza di progressi.
Probabilmente gli americani cercheranno di sviluppare misure volte a rafforzare la fiducia tra Israele e Turchia, per convincere poi Israele ad accettare la presenza turca e la partecipazione turca alla ricostruzione di Gaza.
Per quanto riguarda l'Iran, Netanyahu ha ricevuto il via libera per un attacco nel caso in cui Teheran dovesse riprendere il suo programma nucleare o missilistico. Questo è positivo, ma non bisogna costruirsi castelli in aria. Trump non ha escluso un attacco americano, ma non si è nemmeno impegnato: ambiguità è la parola chiave, come già con i precedenti presidenti, che hanno sempre lasciato “tutte le opzioni sul tavolo”. L'Iran sta attraversando una crisi economica e infrastrutturale, il regime potrebbe vacillare; un intervento immediato non è quindi indispensabile. Teheran non sta ricostruendo completamente il suo progetto nucleare, ma si sta concentrando maggiormente sulla riparazione degli impianti di produzione di missili piuttosto che sulla nuova produzione. Allo stesso tempo, rifiuta negoziati che includano i missili e la sovversione regionale.
Prima dell'inizio dell'incontro, Trump ha affermato che se l'Iran dovesse ricostruire il suo programma nucleare, ciò comporterebbe un attacco immediato e la distruzione del programma. Tuttavia, sul tema dei missili balistici si è mostrato molto più cauto e non ha indicato alcuna tempistica per un attacco immediato. Dopo l'incontro ha dichiarato che le informazioni presentate da Netanyahu sono inquietanti e preoccupanti, ma devono essere verificate. In altre parole: Netanyahu ha presentato informazioni dei servizi segreti, gli americani hanno ascoltato e hanno chiarito che intendono verificarle con le proprie fonti. Ciò dimostra che Trump non vuole essere coinvolto in un'altra guerra con l'Iran, perché ciò equivarrebbe ad ammettere che il precedente attacco da lui tanto decantato non ha avuto il successo sperato.
Trump sta usando minacce congiunte con Israele per esercitare pressione su Ali Khamenei e portarlo al tavolo dei negoziati. È una mossa intelligente, ma non garantisce risultati. In definitiva, Trump non vuole un conflitto con l'Iran, soprattutto in un anno di elezioni di medio termine.
Sul fronte nord – Libano e Siria – non ci sono state novità. Trump non ha presentato alcun piano per disarmare Hezbollah o stabilizzare il regime di Damasco. Si è espresso in modo molto positivo su Ahmed al-Sharaa, dicendo che non è un santarellino, ma un tipo tosto, ed è proprio quello che serve nel difficile contesto siriano. Riguardo a Hezbollah, Trump ha dichiarato che si comporta male nei confronti del governo libanese indebolito. Ciò equivale quasi a un via libera per Israele a continuare la sua tattica di attacchi mirati contro Hezbollah senza operazioni militari su larga scala.
L'unico ambito in cui sono emerse serie divergenze è stato quello della cosiddetta “Cisgiordania” (Giudea e Samaria). Trump e i suoi consiglieri, tra cui il segretario di Stato Marco Rubio, hanno espresso preoccupazione per la politica israeliana: l'espansione degli insediamenti, l'indebolimento dell'Autorità palestinese e, soprattutto, la violenza dei coloni contro i palestinesi. Per la prima volta nel secondo mandato di Trump, questo tema è stato affrontato in modo approfondito. Il messaggio era chiaro: cambiate la politica per calmare la situazione, altrimenti metterete a rischio la fine della guerra di Gaza e l'estensione degli accordi di Abramo. Netanyahu si è espresso con decisione contro la violenza dei coloni e ha promesso ulteriori misure, ma resta da vedere se alle parole seguiranno i fatti.
Trump ha dichiarato in conferenza stampa: “Non siamo d'accordo al 100% sulla Cisgiordania, ma Netanyahu farà la cosa giusta”. Sembra ottimistico, ma va ricordato che a settembre Trump ha bloccato l'annessione di parti della Giudea e della Samaria in risposta al riconoscimento europeo di uno Stato palestinese. Il governo vede un'escalation in Giudea e Samaria come una minaccia per le relazioni tra Israele e l'Europa e per gli accordi di normalizzazione. Per Netanyahu questa è una sfida politica: la lobby dei coloni è una componente centrale della sua coalizione e Trump sta di fatto spingendo per porre fine all'annessione de facto, solo due settimane dopo che il gabinetto ha approvato la costruzione di 19 insediamenti in Giudea e Samaria.
L'incontro a Mar-a-Lago non ha cambiato la situazione sul campo: Israele continua ad agire a Gaza e nel nord a propria discrezione, con un vago sostegno americano. Gli americani non sono pronti per il passo successivo perché mancano loro gli elementi decisivi: una forza di stabilizzazione, finanziamenti, un consiglio palestinese. Trump ha puntato sui complimenti per ammorbidire Netanyahu, forse in vista di concessioni future. Una cosa non va dimenticata: non esistono pranzi gratis. Netanyahu ha ricevuto sostegno dalla sua base in un anno elettorale, Trump ha ricevuto da Netanyahu il Premio Israele per il suo aiuto al popolo israeliano ed ebraico. Trump potrebbe persino recarsi in Israele il giorno dell'indipendenza per ritirare il premio. Israele potrebbe pagare il prezzo più tardi.
La domanda non è cosa sia successo durante l'incontro, ma cosa succederà dopo. Vedremo progressi reali o un ulteriore stallo? Il tempo lo dirà. Fino ad allora, i cittadini israeliani dovrebbero rimanere vigili.

(Israel Heute, 30 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il 7 ottobre era tutto già scritto

Un documento interno di Hamas prima del massacro, mostra le intenzioni dei terroristi

di Shira Navon

Un mese prima del 7 ottobre, mentre in Israele la sicurezza veniva ancora pensata come una questione di gestione e contenimento, Hamas aveva già messo nero su bianco la propria lettura della situazione. Non uno slogan né una dichiarazione propagandistica, ma undici pagine redatte da ufficiali dell’intelligence dell’organizzazione e destinate alla leadership. Un testo che oggi, riletto alla luce del massacro, appare come una radiografia fredda e lucida delle convinzioni che hanno portato alla decisione di colpire.
Il documento, presentato a Yahya Sinwar e a Muhammad Deif, parte da un assunto preciso. Israele non intende rovesciare il regime di Hamas a Gaza. La leadership israeliana, secondo l’analisi, è consapevole del prezzo elevato che un’operazione di questo tipo comporterebbe e preferisce una strategia di gestione del conflitto, fondata sulla deterrenza e su cicli di violenza controllata. Una scelta attribuita direttamente a Benjamin Netanyahu, mai disposto a fare del rovesciamento di Hamas un obiettivo politico esplicito.
Da questa lettura discende una conclusione che oggi pesa come una condanna. Se il nemico non mira a distruggerti, allora è possibile sorprenderlo. Se l’orizzonte israeliano resta quello della stabilità relativa, allora esiste uno spazio per infrangere le regole, rompere lo schema e colpire in modo imprevedibile. Non è un’intuizione improvvisata, ma il punto di arrivo di un percorso che, come spiegano diversi analisti, inizia almeno nel 2014.
Secondo il ricercatore Yonatan Duhoch Halevi del Jerusalem Center for Foreign and Security Affairs, l’operazione del 7 ottobre affonda le sue radici nel momento in cui Israele completa la barriera anti-tunnel attorno alla Striscia. A quel punto Hamas comprende che la strategia sotterranea non basta più e inizia a costruire un’opzione diversa, fondata sull’incursione terrestre. La nascita e l’addestramento della forza Nuhba, visibile già allora a chiunque volesse guardare, non erano un segreto.
Lo stesso stupore per l’entità della sorpresa israeliana è condiviso da Eran Ortal, ex comandante del Dado Center. L’idea di un attacco diretto al territorio israeliano, sostiene, era apertamente discussa da anni. Le immagini dei miliziani, delle moto, delle esercitazioni non richiedevano competenze da ufficiale d’intelligence per essere interpretate. Eppure sono rimaste sullo sfondo, come rumore di fondo di un conflitto considerato gestibile.
Nel documento, Hamas ricostruisce anche le tappe che hanno rafforzato questa convinzione. L’Operazione Margine Protettivo, le Marce del Ritorno, test pratici sulla barriera di confine, fino a Guardiano delle Mura. Quest’ultimo viene letto come una svolta, la prova che Gaza può fungere da detonatore capace di incendiare più arene contemporaneamente, dentro e fuori i territori. Non più un fronte isolato, ma una miccia.
Da qui la raccomandazione finale alla leadership. Agire in modo imprevedibile. Creare incertezza. Spezzare il ciclo ripetitivo su cui, secondo Hamas, Israele aveva costruito la propria sicurezza. La combinazione tra la convinzione che Israele non volesse rovesciare il regime e l’idea che un’azione inattesa potesse avere successo fornisce, agli occhi di Sinwar e Deif, la conferma decisiva. Il resto è cronaca.
Il documento, pubblicato integralmente dal Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center, non si limita però all’analisi strategica. Intorno alla figura di Sinwar emerge anche una dimensione più profonda, culturale e psicologica. La ricercatrice Ronit Marzan del Tamror Group e dell’Università di Haifa descrive un leader segnato da una mascolinità percepita come fallita all’interno di una società conservatrice. Incapace, nella sua stessa lettura, di proteggere e provvedere alla popolazione di Gaza, Sinwar avrebbe trovato nella violenza estrema anche uno strumento di riaffermazione personale e politica.
A distanza di due anni, questo documento non risponde a tutte le domande, ma ne rende impossibile una. Non si può più dire che Hamas abbia agito nel buio o per impulso. La strada verso il 7 ottobre era stata studiata, discussa e pianificata con cura. Israele, invece, continuava a leggere la realtà con le lenti rassicuranti della gestione. È in questo scarto, tra ciò che veniva scritto a Gaza e ciò che si credeva a Gerusalemme, che si è aperta la voragine. Una voragine che non nasce dall’assenza di segnali, ma semmai dall’incapacità di prenderli sul serio.

(Setteottobre, 30 dicembre 2025)

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Il segreto di Pulcinella: la rete di Hannoun e Hamas in Italia

Ora se ne accorgono

di Giovanni Giacalone

L’operazione “Domino” che sabato 27 dicembre ha portato all’arresto di Mohammad Hannoun e altri otto soggetti (due dei quali non ancora reperiti) ha scoperchiato un gigantesco vaso di Pandora sull’attività di Hamas in Italia e ora, improvvisamente, tutti i principali quotidiani e siti di news, italiani ed esteri, ne parlano e si indignano.
Eppure erano anni che l’attività di Hannoun e soci era nota e riportata da alcuni, senza che però la vicenda ricevesse la dovuta attenzione mediatica. Hannoun tra l’altro era già stato indagato dalla procura di Genova negli anni Duemila, ma l’inchiesta era stata archiviata. Insomma, il segreto di Pulcinella.
Il soggetto in questione è stato più volte indicato come uomo di Hamas in Europa e ci sono foto che lo ritraggono assieme a Khaled Meeshal e al defunto Ismail Haniyeh, l’ex leader di Hamas, eliminato a Teheran lo scorso luglio. 
Nel dicembre del 2021, Massimiliano Coccia scriveva su Repubblica del blocco dei conti di Hannoun e dell’indagine dell’antiriciclaggio nei confronti dell’ABSPP. Nel luglio del 2023, il Sussidiario aveva ripreso la faccenda.
In particolare emerse che nel 2021, dopo diverse segnalazioni all’Antiriciclaggio, l’Unicredit sospese l’operatività sui conti dell’associazione per una serie di anomalie; dalla mancata iscrizione al registro dell’Agenzia delle Entrate alla massiccia movimentazione di contante, in alcuni casi a soggetti iscritti nelle black list dei database europei. Nel dicembre 2023 anche Poste Italiane chiudeva unilateralmente il proprio rapporto. Subito dopo erano PayPal ed altri operatori tra cui Visa, Mastercard e American Express a bloccare le transazioni intestate a Hannoun e alla sua associazione. 
Le autorità israeliane avevano anche chiesto a quelle italiane di provvedere con il sequestro dei fondi di Hannoun in quanto indicati come ricompensa per le famiglie dei terroristi. 
Il Sussidiario aveva inoltre evidenziato nel luglio del 2023 che dall’indagine condotta dallo Shin Bet, era emerso che Hannoun disponeva di 500mila euro e che forniva sostegno economico a Hamas, senza alcuna ripercussione penale.
Nell’agosto 2022, un report pubblicato da OFCS Report svelava una serie di legami politici riguardanti Hannoun, a livello nazionale e internazionale, tra cui foto che lo ritraggono accanto ai leader di Hamas Ismail Haniyeh e Khaled Meshaal.
In seguito alla chiusura dei conti bancari, Hannoun aveva richiesto ai suoi sostenitori di consegnare direttamente denaro contante presso le rispettive sedi della sua associazione tant’è che, nel febbraio del 2024, una troupe dell’Inkiesta si era recata presso la sede romana a Centocelle per testare il nuovo “metodo Hannoun” e aveva lasciato un’offerta senza ricevuta, senza controllo. 
Sempre nel febbraio del 2024, Hannoun lanciava una nuova iniziativa presentata presso la parrocchia romana di San Lorenzo di Lucina e con un nuovo IBAN, quello di Modestino Preziosi, indicato dal palestinese su Facebook come “testimonial e garante del Convoglio Umanitario della Pace per Gaza”. All’iniziativa partecipavano anche Alfredo “Faysal” Maiolese, presidente della Lega Musulmana Europea, anch’egli di Genova e Monsignor Tommaso Stenico.
Nell’ottobre del 2024 Hannoun veniva sanzionato dal Dipartimento del Tesoro americano e indicato come “uomo di Hamas e suo collettore per l’Italia”, come già riportato da L’Informale. Nel giugno 2025 Hannoun subiva un secondo sanzionamento sempre da Washington.

Le dichiarazioni di Hannoun
  Per quanto riguarda l’eccidio del 7 ottobre, è bene rammentare che, soltanto tre giorni dopo, il 10 ottobre, Hannoun aveva dichiarato ai microfoni di Rai3 che l’attacco di Hamas era “legittima difesa”.
Il 13 ottobre 2023, Hannoun aveva utilizzato il pulpito del Centro Islamico di Genova per attaccare i paesi che sostengono Israele: “Abbiamo visto l’atteggiamento dei nostri governi italiano, europeo, americano e di alcuni paesi arabi che si sono schierati a favore di Israele, che hanno cominciato a piangere per le vittime, che hanno raccontato anche la menzogna per incoraggiare, a paragonare Hamas alla pari con l’Isis” … Tutto questo, per attaccare la “resistenza palestinese”.
Il video è poi scomparso dalla pagina Facebook del Centro Islamico di Genova e dall’account di Hannoun pochi giorni dopo.
A gennaio 2024 Hannoun aveva anche glorificato su Facebook Yahya Ayyash e Saleh al-Arouri, due terroristi di Hamas morti.
Ecco la traduzione del post:
In questo giorno è avvenuto il vigliacco assassinio; Misericordia ai martiri; Il leggendario ingegnere martire, che segnò una svolta nella storia della resistenza palestinese; Yahya Ayyash Abu Al-Baraa. La Palestina oggi ha un disperato bisogno del vostro spirito patriottico e della vendetta per lo spirito del martire Sheikh Saleh Abu Muhammad. I martiri non muoiono”.
Nel marzo del 2024, durante una manifestazione in stazione Centrale a Milano, Hannoun aveva affermato: “Concludo, con un applauso al popolo giordano, ai ribelli in Giordania che hanno obbligato il sistema di chiudere l’ambasciata israeliana. Invitiamo tutti i popoli arabi di fare lo stesso per cacciare via tutte le ambasciate israeliane, di chiudere e di trasformarle in centri per la resistenza. Un applauso alla resistenza dello Yemen, un applauso alla resistenza del Libano, dell’Iraq…”.
Il 9 novembre 2024, durante una manifestazione a Milano, Hannoun elogiava gli autori della “caccia agli ebrei” avvenuta ad Amsterdam il 7 novembre, quando teppisti islamisti attaccarono i tifosi del Maccabi Tel Aviv dopo la partita contro l’Ajax.

L’attività di Hannoun risale ai primi anni ‘90
  Si potrebbe andare ad oltranza per elencare tutte le esternazioni fatte da Hannoun, già ampiamente documentate a suo tempo e per le quali ha avuto anche un daspo da Milano. Il punto però è un altro: da quanto tempo il soggetto in questione operava liberamente in territorio italiano? La risposta si trova nei documenti dell’indagine:
Nel 1991 veniva segnalata la presenza presso il Centro Islamico genovese di una cellula di Hamas coordinata dal giordano-palestinese Hannoun Mohammad”.
E ancora:
Nel 2001 veniva eseguita una perquisizione locale a carico di Hannoun Mohammad nel corso del quale erano rinvenuti documenti del gruppo terroristico che l’indagato aveva dichiarato di aver reperito all’interno dei locali del Centro Islamico genovese… Nel contempo Hannoun aveva iniziato a organizzare congressi in cui venivano invitate personalità di spicco del mondo islamico i cui interventi esaltavano la strategia del terrore”.
Ci sono poi le intercettazioni, ad esempio, nell’aprile del 2002 Hanoun festeggiava assieme al fratello Said un attentato perpetrato da Hamas su un autobus di linea israeliano nel quale erano morti dieci civili.
Nell’agosto del 2002 i due gioivano per un attentato nel bar dell’Università di Gerusalemme che aveva causato la morte di nove civili.
Nel gennaio e nell’agosto del 2003 altri festeggiamenti per due attentati sugli autobus israeliani che avevano causato la morte di 64 civili inclusi diversi bambini.
Nel giugno del 2001 Hannoun chiedeva il contatto del leader spirituale di Hamas, Ahmed Yasin, per farlo intervenire in diretta durante un convegno a Torino.
Come indicato nelle carte processuali, l’inchiesta su Hannoun era stata riaperta subito dopo il massacro del 7 ottobre 2023 con CNR depositata il 18 del mese. Nell’ordinanza viene indicato che “Hamas risultava già inserita da parte di alcune organizzazioni internazionali nell’elenco delle organizzazioni terroristiche ma l’attacco contro Israele iniziato il 7/10/2023 aveva ulteriormente confermato la necessità di qualificare come terroristico il predetto gruppo paramilitare islamista”.
Insomma, c’è voluto un eccidio per riaprire le indagini? Ci sono voluti due sanzionamenti del Dipartimento del Tesoro statunitense per muoversi in maniera significativa sui fondi?
Per quale motivo le indagini su Hannoun erano precedentemente state archiviate? Alcuni sostengono che non era stato possibile provare la sua appartenenza a Hamas e il trasferimento di fondi all’organizzazione terrorista. Altri indicano poi che le autorità israeliane non avevano inviato la documentazione richiesta entro il termine delle indagini preliminari (anche questo citato nelle carte processuali).
Mettendo da parte le polemiche di natura tecnico-giuridica, il punto è un altro, ovvero che Hannoun operava in Italia assieme alla sua rete da più di trent’anni, ma i media mainstream e la politica se ne accorgono soltanto adesso.
In ultimo, se quanto attuato da Hannoun e soci fosse stato fatto a favore dell’ISIS, si sarebbe aspettato così tanto a muoversi? Sia mediaticamente che a livello di indagine?

(L'informale, 30 dicembre 2025)

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Israele apre un nuovo fronte diplomatico in Africa: ecco cosa cambia

di Samuel Capelluto

Il riconoscimento ufficiale del Somaliland da parte di Israele, primo Paese al mondo a compiere un simile gesto, ha innescato una reazione dura e quasi unanime nel mondo arabo: condanne formali, richiami al rispetto della sovranità somala e una richiesta urgente di dibattito al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Dalla Turchia all’Arabia Saudita, dall’Egitto all’Iran, la linea è stata compatta. Ma proprio questa compattezza ha fatto emergere un’assenza significativa: il silenzio degli Emirati Arabi Uniti.
  La decisione israeliana, annunciata nel fine settimana, viene spiegata apertamente da fonti politiche come una scelta strategica. “Basta guardare la posizione del Somaliland per capire tutto”, è la frase che sintetizza l’approccio di Gerusalemme. Il Somaliland si affaccia sul Golfo di Aden, a ridosso dello stretto di Bab el-Mandeb, uno dei corridoi marittimi più sensibili al mondo, attraversato da circa il 12% del commercio globale. È inoltre distante appena 250 chilometri dallo Yemen, da cui operano i ribelli houthi sostenuti dall’Iran.
  Il silenzio di Abu Dhabi non è casuale. Da anni gli Emirati sviluppano relazioni strette con il Somaliland e gestiscono una base militare nel porto di Berbera, dotata di una pista di quattro chilometri, hangar e infrastrutture portuali in espansione. Una presenza che ha avuto un ruolo anche nel conflitto yemenita. Ufficialmente gli Emirati non hanno riconosciuto il Somaliland, ma nei fatti lo considerano un asset strategico. La scelta israeliana si inserisce dunque in una geometria regionale già esistente, rafforzandola.
  Sul piano politico, Gerusalemme respinge le accuse di doppio standard provenienti dal mondo arabo. Fonti israeliane sottolineano l’ipocrisia di chi sostiene apertamente il riconoscimento di uno Stato palestinese nato da organizzazioni terroristiche, ma rifiuta quello del Somaliland, un’entità stabile, funzionante, con istituzioni democratiche e trent’anni di autogoverno pacifico.
  Dietro le quinte, i contatti tra Israele e il Somaliland sono maturati da anni. Il presidente del Somaliland ha visitato Israele in segreto la scorsa estate, incontrando il primo ministro, il ministro degli Esteri, quello della Difesa e il capo del Mossad. Un rapporto costruito con gradualità, fiducia personale e cooperazione strategica, sul modello di altre relazioni discrete che Israele intrattiene in Africa.
  Sul fronte militare, la mossa apre nuove possibilità operative. Pur senza conferme ufficiali sui dettagli, fonti di sicurezza israeliane ammettono che il riconoscimento offre profondità strategica, migliora la pianificazione aerea e rafforza la “lunga mano” di Israele contro le minacce provenienti dallo Yemen e dall’Iran. Dopo gli attacchi houthi e le difficoltà logistiche di operare a quasi duemila chilometri di distanza, il Somaliland rappresenta un cambio di paradigma.
  Resta il rischio di una contro-offensiva diplomatica guidata da Turchia, Qatar ed Egitto, ma Israele sembra aver scelto consapevolmente la strada dell’iniziativa. Non una risposta difensiva, ma un messaggio chiaro: Gerusalemme è pronta a giocare la partita regionale con gli stessi strumenti dei suoi avversari, costruendo alleanze, sfruttando la geografia e anticipando le mosse.
  In un Medio Oriente e in un Corno d’Africa sempre più intrecciati, il Somaliland non è una periferia dimenticata. È un nodo strategico. E Israele ha deciso di riconoscerlo per primo.

(Shalom, 29 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 10

  • Allora Samuele prese un vasetto d'olio, lo versò sul capo di Saul, lo baciò e disse: “L'Eterno non ti ha forse unto perché tu sia il capo della sua eredità?  Oggi, quando tu sarai partito da me, troverai due uomini presso il sepolcro di Rachele, ai confini di Beniamino, a Selsa, i quali ti diranno: 'Le asine che stavi cercando, sono state trovate; ed ecco tuo padre non è più in pensiero per le asine, ma è in pena per voi, e va dicendo: Che devo fare riguardo a mio figlio?'.  E quando sarai passato più avanti e sarai giunto alla quercia di Tabor, ti incontrerai con tre uomini che salgono ad adorare Iddio a Betel, portando l'uno tre capretti, l'altro tre pani, e il terzo un otre di vino.  Essi ti saluteranno e ti daranno due pani, che riceverai dalla loro mano.  Poi arriverai a Ghibea-Eloim, dove c'è la guarnigione dei Filistei; e avverrà che, entrando in città, incontrerai una schiera di profeti che scenderanno dall'alto luogo, preceduti da saltèri, da timpani, da flauti, da cetre, e che profetizzeranno.  E lo Spirito dell'Eterno ti investirà e tu profetizzerai con loro, e sarai cambiato in un altro uomo.  E quando questi segni saranno avvenuti, fa' quello che avrai occasione di fare, poiché Dio è con te.  Poi scenderai prima di me a Ghilgal; ed ecco io scenderò verso di te per offrire olocausti e sacrifici di ringraziamento. Tu aspetterai sette giorni, finché io giunga da te e ti faccia sapere quello che devi fare”. 
  • E appena egli ebbe voltato le spalle per separarsi da Samuele, Iddio gli cambiò il cuore, e tutti quei segni si verificarono in quello stesso giorno. E quando giunsero a Ghibea, ecco che una schiera di profeti andò incontro a Saul; allora lo Spirito di Dio lo investì, ed egli si mise a profetizzare in mezzo a loro. Tutti quelli che lo avevano conosciuto prima, lo videro che profetizzava con i profeti, e dicevano l'uno all'altro: “Cosa è mai accaduto al figlio di Chis? Saul è anche lui tra i profeti?”. E un uomo del luogo rispose, dicendo: “E chi è il loro padre?”. Da qui venne il proverbio: “Saul è anche lui tra i profeti?”. E quando Saul ebbe finito di profetizzare, si recò all'alto luogo. E lo zio di Saul disse a lui e al suo servo: “Dove siete andati?”, Saul rispose: “A cercare le asine; ma vedendo che non le potevamo trovare, siamo andati da Samuele”. Allora lo zio di Saul disse: “Raccontami, ti prego, quello che vi ha detto Samuele”. E Saul a suo zio: “Egli ci ha assicurato che le asine erano state trovate”. Ma di quello che Samuele aveva detto riguardo al regno non gli riferì nulla.

    Saul eletto re mediante la sorte
  • Poi Samuele convocò il popolo davanti all'Eterno a Mispa, e disse ai figli d'Israele: “Così dice l'Eterno, l'Iddio d'Israele: 'Io trassi Israele fuori dall'Egitto e vi liberai dalle mani degli Egiziani e dalle mani di tutti i regni che vi opprimevano'. Ma oggi voi ripudiate il vostro Dio che vi salvò da tutti i vostri mali e da tutte le vostre tribolazioni, e gli dite: 'Stabilisci su di noi un re!'. Ora, dunque, presentatevi nel cospetto dell'Eterno per tribù e per migliaia”. 
  • Poi Samuele fece accostare tutte le tribù d'Israele e la tribù di Beniamino fu designata dalla sorte. Fece quindi accostare la tribù di Beniamino per famiglie e la famiglia di Matri fu designata dalla sorte. Poi fu designato Saul, figlio di Chis; e lo cercarono, ma non fu trovato. Allora consultarono di nuovo l'Eterno: “Quell'uomo è già venuto qua?”. L'Eterno rispose: “Guardate, si è nascosto fra i bagagli”. Corsero a farlo uscire di là; e quando egli si presentò in mezzo al popolo, era più alto di tutta la gente dalle spalle in su. E Samuele disse a tutto il popolo: “Vedete colui che l'Eterno si è scelto? Non c'è nessuno in tutto il popolo che sia pari a lui”. E tutto il popolo proruppe in esclamazioni di gioia, gridando: “Viva il re!”. 
  • Allora Samuele espose al popolo la legge del regno e la scrisse in un libro, che depose alla presenza dell'Eterno. Poi Samuele rimandò tutto il popolo, ciascuno a casa sua. Anche Saul se ne andò a casa sua a Ghibea e con lui andarono gli uomini valorosi a cui Dio aveva toccato il cuore. Tuttavia, ci furono degli uomini da nulla che dissero: “Come potrebbe salvarci costui?”. Lo disprezzarono e non gli portarono nessun dono. Ma egli fece finta di non udire.

(Notizie su Israele, 29 dicembre 2025)


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Il silenzio imbarazzato di chi sfilava con loro 

Dove sono finiti quelli che andavano a sfilare in piazza con questi signori? 

di Maurizio Belpietro 

Più passano le ore, anzi i giorni, e più diventa imbarazzante il silenzio degli amici di Mohammad Hannoun. Ma come? Fino all'altro ieri erano sempre pronti a sposarne la causa, facendosi fotografare al suo fianco, ben lieti di abbracciarne la lotta per la Palestina libera, invocando una soluzione per Gaza e una condanna per genocidio nei confronti di Israele. E ora che l'architetto giordano è finito in manette, con l'accusa di aver finanziato i terroristi di Hamas e di essere a capo di un'associazione che agiva da collettore di fondi per il movimento armato dei fondamentalisti islamici, i compagni di piazza e piazzate che fanno? Si voltano dall'altra parte, facendo finta di niente, anzi di non conoscerlo? 
  Da molti anni l'attività del presidente dell'associazione dei palestinesi in Italia era oggetto di indagini della magistratura, alcune delle quali erano note. E da molto tempo era oggetto di inchieste giornalistiche, per le sue dichiarazioni estreme e per le sue discutibili frequentazioni. Già ieri ricordavo gli articoli apparsi su questo giornale a firma del nostro Giacomo Amadori. E Fausto Biloslavo l'altro ieri mi ricordava almeno una decina di servizi pubblicati su Panorama da quando ne sono direttore. Insomma, si sapeva o per lo meno di sospettava, che Hannoun avesse forti collegamenti con Hamas. E ci si immaginava che alcune delle associazioni di beneficenza da lui fondate per sostenere la causa palestinese non servissero a finanziare le famiglie in difficoltà, la costruzione di scuole, ospedali, acquedotti, come sarebbe stato giusto che fosse e come avrebbe dovuto essere se le promesse di Hannoun e dei suoi compagni fossero state veritiere. In realtà, da tempo si riteneva che quel denaro venisse usato per cause ben meno nobili, ovvero per armare i terroristi e pagare le famiglie dei miliziani finiti in carcere o al cimitero dopo gli attentati contro gli israeliani. In altre parole, quei fondi erano fondi investiti non per ragioni umanitarie, ma destinati a scopi bellici, compresa la strage del 7 ottobre 2023. 
  Di fronte a tutto ciò, al fiume di quattrini passato nelle mani di Hannoun e della holding immobiliare di Hamas (solo in Italia sarebbero una novantina gli edifici comprati allo scopo di impiegare la liquidità prima di consegnarla ai miliziani di Hamas), ci saremmo aspettati una presa di distanza e almeno qualche mea culpa da parte di chi, in questi anni, ha sposato la causa del «profugo» giordano-palestinese senza andare troppo per il sottile. 
  Invece, approfittando delle vacanze di Natale, da Laura Boldrini a Nicola Fratoianni, da Francesca Albanese ad Alessandro Di Battista paiono tutti in silenzio stampa. Desaparecidos. Tanto erano loquaci fino all'altro ieri, tanto sono silenziosi ora, forse annichiliti per aver abbondato con il panettone o intorpiditi per aver ecceduto nei brindisi. Alzare i calici a volte annebbia la mente, ma forse nel caso di Hannoun la mente dei compagni che con lui amavano scattarsi selfie era già annebbiata. 
  Anzi, su certi argomenti probabilmente lo è sempre stata. Al punto che oggi, di fronte agli arresti, non sanno che dire e preferiscono nascondersi, sperando che la Befana insieme alle feste si porti via anche la memoria degli italiani. Ma dimenticarsi di chi ha scambiato dei finanziatori di terroristi per nuovi rivoluzionari è difficile, se non impossibile. 

(La Verità, 29 dicembre 2025)


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Sua eccellenza Hannoun e lo stato emozionale pacifista

 di Giuliano Ferrara

Ai cretini di ieri oggi e domani, travestiti da sinistra istituzionale e parlamentare, che hanno trafficato legalmente e benevolmente con chi si prendeva i fondi umanitari, raccolti con la buona fede compassionevole di molti, e li consegnava a chi avrebbe saputo farne strumenti di morte e pogrom antigiudaico, francamente c’è poco da dire. Che conversazione civile ci può mai essere con quelli che sfruttano le emozioni primarie, scambiano i ruoli tra carnefici e vittime, gridano al genocidio e cercano di mettere su un po’ di peso con la propaganda pacifista? Matteo Renzi, non di quella schiatta, ha detto che, salve le garanzie giudiziarie, e salviamole anche noi, via, non costa nulla e fa figura (oltre tutto i pm si sono già scusati per aver dovuto procedere contro un totem dell’ideologia dell’appeasement, il presidente Sua Eccellenza dei Palestinesi in Italia), il contrabbando di credulità degli enti benefici del jihad dell’architetto Mohammad Hannoun e soci è “gravissimo e assurdo”.
  Perché assurdo? Si sapeva più o meno tutto. Israele aveva messo fuorilegge quel braccio finanziario e politico di Hamas in Italia dal 1982, bisognava essere gattini ciechi per non accorgersi che anche qui operava quella organizzazione paraterroristica di zona grigia che a Gaza e nei territori, sotto lo scudo dell’Onu e dell’Unrwa e di altre Ong, prospera da decenni. Armi al terrore, uno scambio contiguo e parallelo al blocco delle armi per Israele dei miei amici portuali di Genova.
  Ma nessuno deve scusarsi di alcunché, ci mancherebbe. Capire è più difficile, ma più utile. Centinaia di migliaia di persone, giustamente colpite dalle immagini di una guerra spietata di autodifesa di un paese assediato dalla guerra sterminatrice da quando è nato, hanno sfilato all’appello di Sua Eccellenza Mohammad per le strade e le piazze d’Italia, in connessione con un movimento mondiale di solidarietà ai palestinesi e di ostilità agli israeliani. La differenza tra autodifesa e volontà di annientamento non l’hanno compresa. Della connessione tra pace e giustizia non si sono dati pensiero. L’odio antiebraico era per le avanguardie combattenti e per chi convocava e organizzava, non per la grande maggioranza dei presenti. 
  Ora però, con l’inchiesta di Genova, qualcosa in più dovrebbe entrare nelle testoline dei dimostranti, salvaguardando il loro diritto al cuore, se non anche al suo monopolio, il monopolio del cuore, come diceva Giscard a Mitterrand tanti anni fa. Questo è interessante. Le zone grigie sono sempre esistite in tutti i conflitti più crudeli. Poi arrivano i fatti, i fatti che contano. E se si scopre che coloro che sollecitavano il tuo stato emozionale, creavano i miti neri di un’Israele bellicista e criminale, spargevano e spacciavano come una droga l’ideologia del genocidio, erano gli stessi capaci di depistare i fondi per la pace a un’armata di guerra nichilista, fanatica, il cui scopo è lo stesso cantato dalle folle, “dal fiume al mare” ovvero piazza pulita degli ebrei e della loro nazione stato popolo, si spera che qualcosa cambi. Mettete dei fiori nei vostri cannoni pacifisti, e cancellate il grigio della complicità in buona fede.

Il Foglio, 29 dicembre 2025)


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“La nostra amatissima Albanese”

di Niram Ferretti

L’arresto di Mohammad Hannoun in una operazione congiunta da parte della Digos, dell’antiterrorismo, della polizia tributaria e dei carabinieri, mette al sicuro il principale operativo di Hamas in Italia, così indicato dal Dipartimento del Tesoro americano nel 2024.
  Le trecento ottantacinque pagine dell’ordinanza cautelare, (un faldone lungo come un romanzo), esibiscono, tra le altre cose, una serie di intercettazioni che mettono in luce la sua affiliazione all’organizzazione terrorista salafita operativa a Gaza e i suoi rapporti e agganci con alti membri di Hamas come Ismail Haniyah, eliminato da Israele a Teheran nell’estate del 2024.
  Hannoun, nella cui abitazione di Genova sono stati rinvenuti in un sacco, un milione di euro in contanti e una macchina conta soldi, come nel covo di un narcotrafficante, prima dell’arresto, sentendo che la morsa si stava stringendo su di lui, era in procinto di espatriare in Turchia, dove, da fratello musulmano, avrebbe potuto godere della protezione del governo in carica.
  Qui in Italia, con il paravento di associazioni umanitarie a favore dei palestinesi, Hannoun raccoglieva il denaro necessario all’organizzazione criminale di cui faceva parte e sul quale, ovviamente, da bravo travet, lucrava personalmente. Qui in Italia incontrava esponenti politici, tutti rigorosamente di sinistra, che gli aprivano festosi le porte di Montecitorio e lo consideravano interlocutore degno di rispetto. Qui in Italia faceva da apripista a manifestazioni rigorosamente contro Israele e il “genocidio”, dove si inneggiava alla distruzione di Israele, e dove, come è accaduto a Genova, partecipava la star ormai in declino della galassia pro-pal, Francesca Albanese, la “nostra amatissima Albanese”, come l’aveva apostrofata durante quell’incontro Hannoun stesso, quella medesima “amatissima” non più così amata dall’Università di Georgetown negli Stati Uniti che ha eliminato dal suo sito ogni riferimento al suo curriculum.
  Ovviamente Albanese, Ascari, Furfaro, Fratoianni, Boldrini, e altri, non sapevano nulla della affiliazione di Hannoun con Hamas, loro lottavano, lottano come Hamas e Hannoun, contro l’oppressione israeliana in Palestina, contro l’apartheid, il genocidio, i crimini inenarrabili di cui Israele si è macchiato.
  È tutta una galassia di amatissimi, fondata appunto sull’amore, quello per la verità, la giustizia, il trionfo del bene. Mille miglia lontano da sacchi di denaro, e quei sette milioni e duecentomila euro e passa che Hannoun aveva raccolto per gli “oppressi” di Gaza e che invece sono finiti bene al sicuro dentro i forzieri di Hamas.

(L'informale, 28 dicembre 2025)


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Israele e quel fardello dell’obbligatorietà dell’azione penale

di Stefano Piperno

Se vi era qualche motivo per essere favorevoli alla separazione delle carriere, all’istituzione di due CSM separati e di una corte suprema, la comunicazione dei pm di Genova relativa all’inchiesta sui sodali di Hamas in Italia non può che confermare tale convinzione.
  Lo stupore misto a sgomento è il sentimento che deve accogliere tanta improntitudine e protervia mostrate da magistrati che dovrebbero assoggettare sé stessi alla riservatezza, al senso di opportunità e alla lontananza dalla faziosità politica, più volte — e vanamente — raccomandata dal capo dello Stato nella sua funzione di presidente del CSM.
  Fermo restando il principio di presunzione di innocenza, mentre si indaga e si eseguono arresti di presunti affiliati e fiancheggiatori di un’organizzazione terroristica, così definita anche dall’ONU, da parte di quei magistrati inquirenti si sente il bisogno quasi di scusarsi, ribadendo un giudizio accusatorio su Israele non richiesto, anzi assolutamente fuori misura e fuori contesto.
  È come se, al tempo delle BR, mentre si perseguivano i terroristi rossi, i pm avessero espresso contemporanei giudizi negativi sulla piega presa dallo Stato, quasi a giustificare il loro operato, imposto dalle leggi vigenti.
  Quella dichiarazione è, se ce ne fosse bisogno, un’ulteriore dimostrazione che Hamas è considerata una controparte legalmente rappresentativa dei cosiddetti palestinesi, con diritto di esistere e di compiere massacri in nome di un buon diritto che “viene da lontano”.
  L’abnormità di un tale comportamento da parte di quei Pm sta nell’implicita dichiarazione di non poter fare a meno di perseguire quegli eventuali reati… malgrado…

(InOltre, 29 dicembre 2025)

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Con il Somaliland, Israele smaschera l'ipocrisia dell'ONU

Mentre il mondo occidentale era ancora immerso nella tranquilla atmosfera post-natalizia, Israele ha creato una situazione che va ben oltre il Corno d'Africa.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Il riconoscimento del Somaliland è più di una semplice firma diplomatica, è la rinascita e la modernizzazione della classica “dottrina della periferia” israeliana, ma con una differenza fondamentale: Israele esce dalla difensiva. Per decenni Gerusalemme ha subito le lezioni di una comunità internazionale che si aggrappava a finzioni diplomatiche; si sostenevano Stati falliti e si corteggiavano regimi terroristici in nome della stabilità, ignorando realtà democratiche funzionanti come il Somaliland. Con questo passo, Israele smette di partecipare a questo teatro dell'assurdo. Invia un messaggio cristallino: non aspettiamo più il permesso dell'ONU o la grazia dell'Occidente per stringere le nostre alleanze. Ridefiniamo la legittimità, non attraverso documenti, ma attraverso la realtà, la stabilità e gli interessi comuni. Questo passo è un boomerang geopolitico per i nemici di Israele. Per anni l'Iran e la Turchia hanno cercato di circondare lo Stato ebraico con un “anello di fuoco”. Ora Israele ribalta la situazione. Dal Mediterraneo orientale al Caucaso fino al Mar Rosso sta nascendo un contro-anello che rende nervosi Ankara e Teheran. Quello a cui stiamo assistendo è il passaggio da una dottrina di sicurezza reattiva a una forza proattiva, pronta a sacrificare le vacche sacre della diplomazia per garantire la propria sopravvivenza.
Questo passo ridefinisce la geopolitica nel Corno d'Africa. Questa alleanza segna un doppio colpo strategico: da un lato funge da baluardo militare contro i ribelli Houthi, garantendo così le vie commerciali vitali di Israele sul Mar Rosso. Dall'altro lato, Gerusalemme porta avanti la sua offensiva diplomatica; nello spirito degli accordi di Abramo, le relazioni con il mondo musulmano vengono approfondite e l'influenza israeliana nel continente africano viene notevolmente ampliata.

Cos'è la dottrina israeliana della periferia?
  Era la risposta strategica di Ben-Gurion all'accerchiamento arabo ostile, in particolare negli anni 1950-1980. Israele cercò alleanze mirate con Stati non arabi e minoranze come l'Iran, la Turchia, l'Etiopia o i curdi. L'obiettivo era quello di rompere il proprio isolamento e neutralizzare indirettamente i regimi arabi ostili. Questo concetto sta vivendo oggi una rinascita, ad esempio nelle relazioni con il Somaliland, l'Azerbaigian o gli Stati degli accordi di Abramo.
L'idea precedente che il Somaliland potesse accogliere i rifugiati palestinesi dalla Striscia di Gaza risale a una fase molto precoce dei colloqui, quando Israele cercava in tutto il mondo paesi disposti a farlo. Sebbene all'epoca il Somaliland avesse segnalato una disponibilità di massima, oggi la questione è completamente fuori discussione. Nessuno si aspetta più che il Somaliland accolga i rifugiati palestinesi; per quanto ne so, non ha alcun ruolo negli sviluppi attuali.
Ciò che ha spinto Israele a compiere il passo storico di riconoscere ufficialmente il Somaliland è dovuto a due altri motivi.

  1. Il Somaliland offre a Israele un avamposto strategicamente importante nel Corno d'Africa, vicino alle rotte marittime internazionali, un vantaggio geopolitico di notevole valore.
  2. Israele mette così il mondo arabo e musulmano di fronte a uno specchio e ne smaschera la doppia morale.

Mentre molti di questi Stati chiedono a gran voce il riconoscimento di uno Stato palestinese, le cui strutture politiche sono fortemente influenzate dal terrorismo, gli stessi Stati rifiutano di riconoscere il Somaliland, uno Stato che da oltre 30 anni esiste in modo stabile, democratico e pacifico. Proprio questa ipocrisia è ora evidente: si chiede il riconoscimento di uno Stato nato dalla violenza, ma lo si nega a uno Stato che si è sviluppato democraticamente con le proprie forze. Israele rompe questa contraddizione. Qui si manifesta l'ipocrisia dell'ONU e anche quella dell'Egitto. Esiste un'autonomia funzionante con un sistema stabile e democratico, che governa in modo responsabile e aspira legittimamente alla propria indipendenza. Eppure la comunità internazionale le nega il riconoscimento. Finora solo Taiwan (che non è membro dell'ONU) e ora anche Israele hanno compiuto questo passo. Si tratta di un doppio standard nella sua forma più pura.
Ma così facendo Israele irrita ancora di più i suoi nemici nella regione. L'Iran mette in guardia dal caos nel Corno d'Africa. Dure critiche all'iniziativa di Israele sul Somaliland. Teheran condanna il riconoscimento israeliano del Somaliland come “flagrante violazione” della sovranità somala e lo considera un tentativo mirato da parte di Israele di minare la stabilità nel Mar Rosso e nel Corno d'Africa. Altri paesi che condannano l'alleanza di Israele con il Somaliland sono l'Egitto, la Turchia, la Lega Araba, l'Iraq e, naturalmente, Hamas. Il Qatar e l'Arabia Saudita esprimono il loro disappunto per la violazione dell'integrità territoriale, ma rinunciano a una condanna severa, dando un segnale di moderazione.
A proposito: poche ore dopo il riconoscimento del Somaliland da parte di Israele, l'ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti (EAU) ha lasciato la Somalia. Il motivo è significativo. Avete notato che da Abu Dhabi non è arrivata alcuna condanna della mossa israeliana? Non è un caso. Dietro le quinte, gli Emirati sostengono massicciamente sia il Somaliland che l'iniziativa israeliana, poiché vi hanno già una forte presenza militare ed economica. Il riconoscimento di Israele coincide quindi pienamente con gli interessi strategici degli Emirati.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro degli Esteri Gideon Saar e il presidente della Repubblica del Somaliland, Abdirahman Mohamed Abdillahi, hanno firmato una dichiarazione congiunta reciproca. Netanyahu si è congratulato con il presidente Abdillahi e ha elogiato la sua leadership e il suo impegno per la stabilità e la pace nella regione. Allo stesso tempo, ha invitato il presidente a una prima visita ufficiale in Israele. Il presidente Abdillahi ha ringraziato Netanyahu per la decisione storica e ha sottolineato gli sforzi di Israele nella lotta al terrorismo e per la pace regionale. Il ministro degli Esteri Gideon Saar, che ha parlato al telefono con il presidente Abdillahi, ha dichiarato che le relazioni sono cresciute nel corso dell'ultimo anno sulla base di un dialogo continuo.
Al di là della dimensione della sicurezza e della politica estera, Israele intende ampliare immediatamente la cooperazione con il Somaliland anche in settori civili fondamentali, come l'agricoltura e la tecnologia, attraverso il trasferimento di conoscenze e progetti comuni, il rafforzamento dei sistemi sanitari e l'espansione del commercio bilaterale.
Israele dimostra ripetutamente coraggio politico, che spesso manca ai paesi europei. L'Europa rifiuta il riconoscimento principalmente per il timore di creare un pericoloso precedente per le proprie aspirazioni separatiste, come la Catalogna in Spagna o la Scozia nel Regno Unito, e di violare il principio dell'inviolabilità dei confini. Invece di onorare i fatti democratici, Bruxelles preferisce aggrapparsi alla finzione politica di una Somalia unita per evitare attriti diplomatici con l'Unione Africana.

La Turchia è in preda al panico
  Ma i paesi arabi vicini sono spaventati. Il sito di notizie libanese Al-Nashra ha dipinto in una recente analisi il quadro di un terremoto geopolitico che costringe la Turchia ad agire contro Israele. Dal punto di vista israeliano, la Turchia è il nemico più pericoloso di Israele dopo l'Iran. Il messaggio chiave è che Ankara non può più permettersi di rimanere un osservatore passivo ai margini degli sconvolgimenti regionali, poiché l'espansione del conflitto da parte di Israele da operazioni di sicurezza limitate a una guerra aperta e transfrontaliera minaccia ora direttamente la sicurezza nazionale turca. La dottrina turca dei “zero problemi” non ha quindi portato alla pacificazione, ma ha lasciato un vuoto strategico che Israele ha colmato con l'approvazione occidentale. Sotto la guida di Ahmet Davutoglu, la Turchia ha perseguito per anni la dottrina dei “zero problemi con i vicini”. L'obiettivo di questa strategia era quello di sostituire i confronti militari con la diplomazia e la cooperazione economica, al fine di risolvere tutti i conflitti di confine e affermare la Turchia come potenza centrale di mediazione e ordine nella regione. Ora tutto questo è finito. Ankara si trova di fatto esposta a un “accerchiamento strategico”. Nel Mediterraneo, le alleanze israeliane con la Grecia e Cipro hanno creato un fronte militare, mentre un'entità curda potenzialmente indipendente al confine è temuta come avamposto indiretto di Israele.
Per correggere questo squilibrio e ripristinare la deterrenza regionale, il presidente Erdogan sta pianificando una visita a sorpresa a Teheran. Al centro dell'attenzione c'è un'offerta militare esplosiva, che può essere intesa come un “regalo” turco ai mullah. La Turchia potrebbe proporre lo schieramento di nuovi sistemi di allarme radar in Siria. Ciò consentirebbe all'Iran di individuare tempestivamente gli attacchi israeliani, dopo che Israele ha distrutto i precedenti sistemi del vecchio regime. Allo stesso tempo, Teheran sta esercitando pressioni affinché Ankara contribuisca a chiudere lo spazio aereo siriano e iracheno ai caccia e agli aerei da ricognizione israeliani, in modo da chiudere questi “corridoi sicuri”.
Tuttavia, questo riorientamento strategico pone la Turchia di fronte a complessi dilemmi. Un avvicinamento all'Iran entra in conflitto con la stretta partnership turca con l'Azerbaigian, che recentemente ha fatto parte di un'alleanza internazionale contro Teheran e che a sua volta intrattiene stretti rapporti con Gerusalemme. A complicare le cose si aggiunge l'asimmetria economica, perché mentre la valuta turca è sotto pressione e gli investimenti occidentali sono scarsi, Israele ha un'enorme influenza sui centri finanziari e politici occidentali. In definitiva, secondo l'analisi, la Turchia si trova di fronte a una scelta esistenziale: o Ankara paga il prezzo elevato per aver abbandonato la sua precedente cautela, oppure rischia di perdere definitivamente la sua rilevanza geopolitica in un nuovo ordine regionale dominato in modo determinante dagli interessi israeliani.

(Israel Heute, 29 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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NILI, l’unità segreta che rintraccia i terroristi del 7 ottobre

di Luca Spizzichino

Una stanza anonima, nel Comando Sud, lontana dai riflettori e dal rumore delle operazioni militari. È da qui che opera NILI, una piccola unità di intelligence dell’IDF incaricata di una delle missioni più complesse e sensibili della guerra: identificare, rintracciare e neutralizzare tutti coloro che il 7 ottobre hanno attraversato il confine israeliano partecipando a rapimenti, omicidi e atrocità contro civili e militari. Il nome dell’unità non è casuale. NILI è l’acronimo di un versetto biblico: “L’Eterno d’Israele non mentirà”, e racchiude una promessa: nessuno di quei terroristi verrà dimenticato. Ne racconta la storia e i segreti il quotidiano online Ynet.
   Il lavoro di NILI è metodico. Ogni terrorista viene trasformato in un fascicolo dettagliato: chi è, cosa ha fatto, dove vive, con chi parla, come si muove. Il database dell’unità ha superato quota 6.000 nomi e comprende non solo chi ha partecipato direttamente all’attacco, ma anche chi ha custodito ostaggi, preso parte ai trasferimenti o alla propaganda. Le fonti sono molteplici: interrogatori dello Shin Bet, human intelligence e intercettazioni, materiale recuperato sul campo, video pubblicati dagli stessi terroristi, testimonianze degli ostaggi rientrati. Ogni informazione viene incrociata, verificata, validata. Nulla è lasciato al caso.
   La parola chiave è una sola: certezza. Nessun attacco viene autorizzato se non c’è la certezza che il bersaglio sia presente nel luogo indicato e che non vi siano civili coinvolti. Moschee, scuole, mercati affollati diventano automaticamente “zone rosse” se non è possibile isolare il terrorista. Per questo, spesso, l’attesa dura settimane. A volte mesi. Gli analisti seguono i bersagli fino a conoscerli meglio di quanto conoscano se stessi: cosa mangiano, quando pregano, dove dormono. È lì, nei cosiddetti “ancoraggi”, i luoghi in cui il terrorista è statico e prevedibile, che avviene l’azione.
   Uno dei casi simbolo è quello di Ahmed Shaer, uno dei rapitori coinvolti nel sequestro di Noa Argamani e Avinatan Or, immortalato in uno dei video più sconvolgenti del 7 ottobre. Shaer, estremamente cauto e quasi invisibile, è rimasto per mesi fuori dai radar. Non usciva, non comunicava, non lasciava tracce. Per quasi dieci mesi, analisti e ufficiali di NILI hanno ricostruito pazientemente ogni frammento della sua vita: movimenti, abitudini, contatti, luoghi frequentati. Quando l’intelligence ha finalmente ristretto il cerchio, il dossier era pronto. Il 25 marzo, in un’operazione chirurgica coordinata con l’aeronautica e i servizi di sicurezza interni, Shaer è stato colpito nel luogo in cui dormiva. La conferma della sua morte è arrivata solo giorni dopo, attraverso messaggi di lutto apparsi sui canali locali di Gaza.
   All’interno dell’unità una parola non viene mai pronunciata: vendetta. Gli ufficiali sono netti nel rifiutare questa logica. L’obiettivo è duplice: offrire un senso di chiusura alle famiglie delle vittime e impedire che uomini con esperienza operativa, conoscenza del territorio israeliano e status simbolico possano guidare nuovi attacchi in futuro. Molti di questi terroristi, spiegano, vengono celebrati come eroi, promossi nei ranghi, trasformati in modelli per altri. Eliminarli significa interrompere una catena di emulazione e ridurre una minaccia concreta alla sicurezza.
   Anche ora, durante le fasi di cessate il fuoco, il lavoro non si ferma. I dossier vengono aggiornati, le tracce seguite, i nomi aggiunti. “Noi saremo sostituiti”, spiegano nell’unità. “Ma il lavoro continuerà. Finché l’ultimo di loro non sarà stato trovato”.

(Shalom, 28 dicembre 2025)

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Cile – L’estrema destra di Kast, l’eredità anti-Israele di Boric: ebrei cileni al bivio

Via il presidente antisionista, dentro quello filo-israeliano. Le recenti elezioni per scegliere il prossimo presidente del Cile hanno segnato una rottura in tutti i sensi. Al turno di ballottaggio e vigilia di Chanukkah, era il 14 dicembre, il candidato del Partito Repubblicano, José Antonio Kast, ha battuto la candidata comunista Jeannette Jara – va ricordato che il presidente uscente Gabriel Boric non si è ricandidato perché la Costituzione cilena non permette due mandati presidenziali consecutivi.
  La presidenza di Boric è stata marcata da forti tensioni con Israele e con la comunità ebraica cilena, 14 mila persone su una popolazione di 20 milioni di abitanti. Basti ricordare che quando nel 2019 ebrei di Santiago regalarono all’allora deputato Boric un vasetto di miele augurandogli il dolce inizio di un nuovo anno ebraico, lui affermò: «Ho gradito il gesto ma sarebbe stato meglio se avessero chiesto a Israele la restituzione dei territori occupati», parole di odio con cui, in un paese che ospita 400 mila cittadini di origine palestinesi, Boric discriminò i cileni di fede ebraica imputando loro le politiche dello stato ebraico. L’esplosione di antisemitismo su scala globale a seguito del 7 ottobre 2023 non ha certo migliorato le cose. «Boric ha contribuito al deterioramento dei rapporti con Israele», conferma al telefono Daniela Rusowsky, ebrea cilena, documentarista e studiosa di ebraismo. «Da mesi i cileni sono ossessionati da Israele», aggiunge, segnalando il rafforzarsi di narrative non solo antisioniste – «e Boric ha anche cercato di respingere le credenziali dell’ambasciatore d’Israele» – ma anche apertamente antisemite secondo cui «gli ashkenaziti non hanno niente a che vedere con il popolo d’Israele, gli ebrei uccidono i bambini, Israele è uno stato coloniale e Gesù, ovviamente, era palestinese».
  Con Kast tutto questo dovrebbe finire. Il presidente eletto si vuole amico del popolo e dello stato ebraico così come il presidente Usa Donald Trump o come il presidente argentino Javier Milei. «Ma Kast è un figlio di un ufficiale nazista attivo in Italia, arrestato dagli Alleati, fuggito in Germania e poi scappato in Cile, infine raggiunto dalla moglie». Il suo Partito Repubblicano, spiega ancora Rusowsky, è la formazione di destra più estrema dell’arco costituzionale in Cile e se essere il figlio di un nazista «non è una colpa né una scelta», Kast non ha condannato nettamente il passato del padre. «E quando è andato in Germania ha incontrato rappresentanti del partito di estrema destra Afd».
  In Cile il voto è obbligatorio e secondo Daniela Rusowsky, «alcuni ebrei hanno votato Kast, ma tanti altri hanno annullato la scheda elettorale visto che l’alternativa a Kast era la candidata Jara, che aveva già promesso di interrompere le relazioni diplomatiche con Israele». Un voto difficile, insomma, per gli ebrei cileni. «Fino a pochi anni fa eravamo 20 mila, poi molti sono emigrati verso gli Stati Uniti e Israele». dan.mos.

(moked, 28 dicembre 2025)

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«Vanità delle vanità»

"E’ tremendo pensare che il godimento di tutti i possibili piaceri offerti dalla vita possa condurre a odiare la vita."

di Marcello Cicchese

    “Vanità delle vanità”, dice l'Ecclesiaste; “vanità delle vanità, tutto è vanità”. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole? Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
    Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l'uomo
    ” (Ecclesiaste 1:2-3; 12:15).

“Temi Dio e osserva i suoi comandamenti”, questa è la conclusione a cui arriva l’Ecclesiaste al termine del suo libro. E’ una conclusione un po’ banale, penserà qualcuno. Molti, anche tra gli increduli, trovano avvincente il libro dell’Ecclesiaste per il suo carattere enigmatico, paradossale, inquietante: si può quindi capire che possano restare delusi dalla sua conclusione, considerata forse un po’ troppo piatta e moralistica.
  Ma la conclusione a cui arriva l’Ecclesiaste è proprio questa: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti”.
  Chi non ha letto il libro potrebbe pensare che l’autore sia un tipo un po’ all’antica, uno di quei dogmatici intransigenti che in nome di astratti imperativi etici proibiscono a sé e agli altri di godere senza troppi scrupoli le tante cose buone che ci sono nella vita. Ma non è così.

    “Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!»” (Ecclesiaste 2.1).

Anche l’Ecclesiaste avrà sperimentato, come tutti noi, quegli acuti sentimenti di insoddisfazione che segnalano un vuoto, qualcosa che dovrebbe esserci ma non c’è, qualcosa che la vita offre ma non viene sperimentato, e che dunque si deve ricercare. L’Ecclesiaste non ha voluto restare nel dubbio che il suo senso di vuoto potesse essere causato dal fatto che gli mancava qualche esperienza di felicità. Essendo un potente re d’Israele, non ha avuto difficoltà a procurarsi tutto quello che desiderava: piaceri della tavola, realizzazioni architettoniche, gratificazioni artistiche, soldi, comodità, donne. Tutte le cose piacevoli che la vita poteva offrire, l’Ecclesiaste le ha ottenute (Ecclesiaste 2:1-11). E tutto quello che ha raggiunto è espresso in queste parole:

    “Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento” (Ecclesiaste 2.17).

E’ tremendo pensare che il godimento di tutti i possibili piaceri offerti dalla vita possa condurre a odiare la vita! Ci saremmo aspettati il contrario. Ci saremmo aspettati un atteggiamento di gratitudine verso la vita e un rinnovato desiderio di continuare ad assaporare i gusti piacevoli che essa offre. Invece l’Ecclesiaste continua a ripetere il ritornello che fa da sottofondo al suo discorso: “Tutto è vanità”.
  E’ importante sottolineare la parola tutto. Sappiamo bene che nella vita ci sono piaceri frivoli e vacui che non vale la pena di inseguire; ma sappiamo anche che la vita sa offrire molte cose valide e belle; e siamo capaci di fare le dovute distinzioni: questi piaceri sono buoni, questi altri sono cattivi; questi sono leciti, questi altri sono illeciti: i primi sono da ricercare, i secondi da fuggire.
  Ma l’Ecclesiaste dice, dopo averne fatto personale esperienza, che tutto è vanità. Questo vuol dire che da nessuna parte sotto il sole esiste qualcosa che possa colmare il senso di vuoto che afferra chi vive in una realtà distaccata da Dio. E’ vano sperare di trovare sotto il sole un rimedio alla vanità: tutto è vanità. 
  Chi non crede questo ed è convinto che da qualche parte sotto il sole ci sia qualcosa che possa riempire la vita, è destinato a fare l’esperienza dell’Ecclesiaste: dopo averle provate tutte, le illusioni cadranno ad una ad una e alla fine si farà avanti lo spaventoso pensiero che il vuoto è incolmabile. Non è strano, in queste condizioni, che si arrivi a odiare la vita.
  Ma allora è proprio vero, penserà qualcuno, che l’Ecclesiaste è un libro tetro, pessimista. Se anch’io penso così, e per questo motivo non mi sento attratto da questo libro, vuol dire che ho bisogno di rileggerlo e di meditare sulla sua conclusione:

    “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l'uomo”  (Ecclesiaste 12.13).

Forse avrei preferito che l’Ecclesiaste avesse usato un po’ più di moderazione: avrebbe potuto dire che quasi tutto è vanità, e avrebbe potuto invitarci a scegliere, tra le molte cose inutili e nocive, le poche cose utili e buone. Ma se tutto, proprio tutto, è vanità, come si fa ad evitare che il senso di vuoto ci attanagli?
  L’Ecclesiaste non ammorbidisce il suo discorso, non fa come certi padri cristiani che nel timore vedere i figli “sganciarsi” da loro e andarsi a cercare i piaceri nel mondo fanno capire che la frase di Gesù: “Così dunque ognuno di voi, che non rinunzia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo” (Luca 14:33), non deve essere presa troppo alla lettera. In fondo - si pensa - è comprensibile che i giovani si prendano le loro legittime soddisfazioni.
  Il rimedio dell’Ecclesiaste al tedio della vita non consiste nell’attenuare il suo discorso, ma nel portarlo fino alle sue estreme conseguenze. E le conclusioni a cui arriva sono due: una intermedia e una conclusiva. Quella intermedia è:Tutto è vanità”; quella conclusiva è: “Temere Dio e osservare i suoi comandamenti è il tutto per l’uomo”.
  Sembra che oggi i cristiani sopportino male le forti contrapposizioni bibliche come vita-morte, luce-tenebre, verità-menzogna, salvezza-perdizione. Si preferisce parlare in forma sfumata, attenuata. Naturalmente, parole taglienti di Gesù come “Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la salverà” (Luca 9:24)  non vengono negate, ma si cerca di “contestualizzarle” inserendole in un discorso complessivo più ampio e ben calibrato, in modo da non turbare troppo né chi ascolta né chi parla.
  La Bibbia invece è un libro di forti contrasti: il paesaggio che descrive ha picchi altissimi e baratri spaventosi. Anche il libro dell’Ecclesiaste non fa eccezione. C’è un “tutto” negativo che conduce alla morte e un “tutto” positivo che conduce alla vita. Non ci sono altre possibilità. Non si prendono in considerazione casi intermedi, perché le questioni di vita e di morte non si esprimono in termini di percentuale.
  Sotto la guida di Dio, l’Ecclesiaste è portato dalla sua esperienza a soffermarsi principalmente sul “tutto” negativo, descrivendo estesamente i suoi tentativi di raggiungere la felicità e riportando con sincerità le analisi e le riflessioni che lo hanno condotto a riconoscere amaramente che tutto è vanità
  L’autore del libro fa un grande uso della prima persona singolare: “Io ho visto, ho detto, ho riconosciuto, ho esaminato, mi sono applicato, ho trovato, ho preso la decisione, ho intrapreso grandi lavori, ecc.”. Manca in tutto il libro l’espressione tipica della Scrittura: “Così parla l’Eterno”
  Sembra che l’Ecclesiaste abbia voluto, per un certo tempo della sua vita, verificare fin dove si può arrivare senza ascoltare altre voci e ubbidire ad altri stimoli che non siano i propri pensieri e i propri desideri. Quello che alla fine arriva a dire è noto: Tutto è vanità”
  Ma perché tutto? Perché sono considerate vanità anche cose che in sé sembrano buone e lecite, come edificare case, piantare vigne, costruire parchi e giardini? Vane non sono le cose, vano è l’uomo che con il conseguimento di obiettivi scelti in piena autonomia s’illude di raggiungere quella pienezza di vita di cui ha bisogno e che inutilmente ricerca nella felicità che spera di trovare nelle cose. L’uomo che si è allontanato da Dio ha un vuoto di dimensione infinita dentro di sé, e la speranza di riuscire a colmare quel vuoto infinito gettando in esso un numero sempre maggiore di oggetti finiti non può che far crescere la disperazione. E l’Ecclesiaste lo ammette:

    “Così sono arrivato a far perdere al mio cuore ogni speranza su tutta la fatica che ho sostenuta sotto il sole” (Ecclesiaste 2:20).

Ma riconoscere che tutto è vanità, se forse è stata la conclusione di un cammino di esperienza dell’Ecclesiaste, è soltanto l’inizio del discorso contenuto nel suo libro. Un inizio che forse si prolunga per molte pagine, ma che in ogni caso non costituisce la conclusione del discorso. La conclusione, come sappiamo, è un altra:

    “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l'uomo”  (Ecclesiaste 12.13).

L’autore del libro non si sofferma molto a descrivere il “tutto” positivo a cui mirava fin dall’inizio, ma quello che dice è sufficiente a farci capire in quale direzione ci invita a guardare: il tutto per l’uomo è temere Dio e osservare i suoi comandamenti. 

    “Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra non desidero che te” (Salmo 73:25). 

Anche il salmista sottolinea, con altre parole, che per l’uomo, Dio è il tutto: non esiste, non deve esistere né in cielo né sulla terra altro oggetto di desiderio fuori di Lui. Tutte le altre realtà, persone e cose, pensieri e propositi, trovano il loro giusto posto solo in Dio, e non accanto a Dio. Fuori di Lui non c’è salvezza, né eterna né temporale, né in cielo né sulla terra.
  Poiché l’Ecclesiaste non possiede ancora la rivelazione piena della volontà salvifica di Dio, come poi si è espressa nel Signore Gesù Cristo, non è strano che nel suo libro manchino indicazioni complete e precise su quello che significa oggi temere Dio e osservare i suoi comandamenti. Altre parti della Scrittura, soprattutto del Nuovo Testamento, servono a questo scopo. Ma se l’Ecclesiaste non si addentra nella descrizione esauriente di quella che è la giusta Via, certamente si può dire che la indica in modo molto chiaro. E in modo ancora più chiaro indica e descrive con abbondanza di illustrazioni, riflessioni e ammonizioni la fallacità illusoria di ogni altra via che non sia quella del timore del Signore. E dei suoi severi ammonimenti abbiamo oggi un urgente bisogno. Ne abbiamo bisogno anche e proprio noi che ci confessiamo discepoli di Gesù Cristo, perché il tempo in cui viviamo è un tempo di seduzione. Una seduzione che assume spesso la forma dell’invito a “godere il piacere”  (Ecclesiaste 2.1); invito che naturalmente arriva corredato da  un’abbondanza di argomenti psicologici e teologici.
  Tuttavia, in questo libro che a qualcuno può sembrare tetro e deprimente si trovano inaspettati riferimenti alla gioia:

    Va', mangia il tuo pane con gioia, e bevi il tuo vino con cuore allegro, perché Dio ha già gradito le tue opere” (Ecclesiaste 9:7).

L’uomo che ha voluto mettere il suo cuore alla prova con la gioia e che dalla sua ostinata ricerca di piacere è uscito mortalmente disilluso, sa inserire nelle sue cupe riflessioni un vero e proprio inno alla gioia:

    “Così io ho lodato la gioia, perché non c'è per l'uomo altro bene sotto il sole, fuori del mangiare, del bere e del gioire; questo è quello che lo accompagnerà in mezzo al suo lavoro, durante i giorni di vita che Dio gli dà sotto il sole” (Ecclesiaste 8:15).

Forse può sembrare un discorso un po’ materialista; forse ci saremmo aspettati un linguaggio più “spirituale”. Ma anche qui, l’attenzione non deve essere posta sulle cose: quello che conta non è il rapporto dell’uomo con le cose, ma il rapporto dell’uomo con Dio. Chi cerca la felicità nelle cose senza interessarsi di Colui che ha creato ogni cosa, è destinato a inseguire per tutta la vita un sogno ingannevole che lo porterà ad odiare la vita. L’uomo che resta lontano da Dio e cerca la felicità nelle cose, non riesce mai a trovarla. Quindi è costretto a spingersi sempre più avanti, verso cose sempre più sofisticate, per arrivare infine a riconoscere che sta cercando qualcosa che non c’è. Trova il vuoto, la vanità. Non vuole ammetterlo, ma la fame che lo rende insoddisfatto è la necessità profonda di avere un rapporto vitale con il suo Creatore. E’ alla ricerca di qualcosa che sostituisca Dio, seguendo una spinta interna che gli è stata data proprio al fine di condurlo a Dio. Ma poiché Dio non ha sostituti, quello che trova è il vuoto. Il rapporto tra Dio e l’uomo non si stabilisce, e l’uomo resta con una fame che nessuna cosa creata può appagare.
  Al contrario, l’uomo che, invece di cercare affannosamente quello che presume essere il suo bene, si mette nella posizione di disponibilità a ricevere i beni che Dio vuole donargli, cominciando dal bene preziosissimo della Sua parola, risulta gradito a Dio e riceve da Lui il dono della gioia
  Il fondamento della gioia non sta dunque nelle cose, ma nel vivente rapporto d’amore tra il Creatore e la creatura. L’uomo che dà gloria a Dio accettando e vivendo questo rapporto d’amore non ha bisogno di piaceri sofisticati per sentirsi appagato: può mangiare il suo pane con gioia, e bere il suo vino con cuore allegro,  perché sa che Dio, nella Sua grazia, lo gradisce.

    “Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch'egli gradisce!” (Luca 2:14).

L’Ecclesiaste non ci accompagna per un lungo tratto sulla via giusta, perché la sua preoccupazione principale è quella di far capire quanto sbagliate siano tutte le altre vie tentate dall’uomo; ma l’indicazione che da lui riceviamo è chiarissima:

    “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l'uomo”  (Ecclesiaste 12.13).

Con la Parola Dio ha creato il mondo: quindi per ogni essere creato non ci sono spazi possibili al di fuori della Sua parola. Non ci sono per l’uomo zone neutre esterne alla vita: tutto quello che l’uomo pensa, decide e fa avviene nella vita. Dunque la vita è il tutto per l’uomo; e affinché non sia perso per l’eternità, questo tutto deve coincidere con l’ascolto della Parola di Dio, che è la fonte eterna della vita.

     “Sta scritto: Non di pane soltanto vivrà l'uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio” (Matteo 4.4)

L’Ecclesiaste descrive molte vie sbagliate e indica una sola via giusta. Alla luce di tutto il messaggio biblico, sappiamo che la via indicata dall’Ecclesiaste può essere soltanto Colui che ha detto di sé: “Io sono la via, la verità e la vita” (Giovanni 14.6).
  Temere Dio significa dunque riconoscere pienamente la dignità divina della Sua persona; e osservare i comandamenti significa sottometterci incondizionatamente all’autorità normativa della Sua parola.

    “Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14:21).

(Notizie su Israele, 28 dicembre 2025) - PDF


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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 9
    Saul unto re da Samuele
  • C'era un uomo di Beniamino, di nome Chis, figlio di Abiel, figlio di Seror, figlio di Becorat, figlio di Afiac, figlio di un Beniaminita. Era un uomo forte e valoroso; aveva un figlio di nome Saul, giovane e bello; tra i figli d'Israele non ce n'era uno più bello di lui; era più alto di tutta la gente dalle spalle in su. 
  • Ora le asine di Chis, padre di Saul, si erano smarrite; e Chis disse a Saul, suo figlio: “Prendi con te uno dei servi, alzati e va' in cerca delle asine”. Egli passò per la regione montuosa di Efraim e attraversò il paese di Salisa, senza trovarle; poi passarono per il paese di Saalim, ma non c'erano; attraversarono il paese dei Beniaminiti, ma non le trovarono. Quando furono giunti nel paese di Suf, Saul disse al servo che era con lui: “Vieni, torniamo indietro, altrimenti mio padre smetterà di pensare alle asine e comincerà a essere in pena per noi”. Il servo gli disse: “Ecco, in questa città c'è un uomo di Dio, che è tenuto in grande onore; tutto quello che dice succede sicuramente; andiamoci, forse ci indicherà la via che dobbiamo seguire”. E Saul disse al suo servo: “Ma, ecco, se ci andiamo, cosa porteremo all'uomo di Dio? Poiché non ci sono più provviste nei nostri sacchi e non abbiamo nessun regalo da offrire all'uomo di Dio. Che abbiamo con noi?”. Il servo replicò a Saul, dicendo: “Ecco, io mi trovo in possesso di un quarto di un siclo d'argento; lo darò all'uomo di Dio, ed egli ci indicherà la via”.  Anticamente, in Israele, quando uno andava a consultare Iddio, diceva: “Venite, andiamo dal Veggente!”, poiché colui che oggi si chiama Profeta, anticamente si chiamava Veggente. E Saul disse al suo servo: “Dici bene; vieni, andiamo”. E andarono alla città dove stava l'uomo di Dio. 
  • Mentre facevano la salita che porta alla città, trovarono delle fanciulle che uscivano ad attingere l'acqua, e chiesero loro: “È qui il veggente?”. Quelle risposero, dicendo: “Sì, c'è; è là dove sei diretto; ma va' presto, poiché è venuto oggi in città, dato che oggi il popolo fa un sacrificio sull'alto luogo. Quando sarete entrati in città, lo troverete di certo, prima che egli salga all'alto luogo a mangiare. Il popolo non mangerà prima che egli sia arrivato, perché è lui che deve benedire il sacrificio; dopodiché i convitati mangeranno. Ora dunque salite, perché lo troverete proprio ora”. 
  • Ed essi salirono alla città; e, quando vi furono entrati, ecco Samuele che usciva loro incontro per salire all'alto luogo. Ora un giorno prima dell'arrivo di Saul, l'Eterno aveva avvertito Samuele, dicendo: “Domani, a quest'ora, ti manderò un uomo del paese di Beniamino, e tu lo ungerai come capo del mio popolo d'Israele. Egli salverà il mio popolo dalle mani dei Filistei; poiché io ho rivolto lo sguardo verso il mio popolo, perché il suo grido è giunto fino a me”. E quando Samuele vide Saul, l'Eterno gli disse: “Ecco l'uomo di cui ti ho parlato; egli è colui che regnerà sul mio popolo”. 
  • Saul si avvicinò a Samuele nella porta della città, e gli disse: “Indicami, ti prego, dove sia la casa del veggente”. E Samuele rispose a Saul: “Sono io il veggente. Sali davanti a me all'alto luogo, e oggi mangerete con me; poi domattina ti lascerò partire e ti dirò tutto quello che hai nel cuore. E quanto alle asine smarrite tre giorni fa, non dartene pensiero, perché sono state trovate. E per chi è tutto quello che c'è di desiderabile in Israele? Non è per te e per tutta la casa di tuo padre?”. Saul, rispondendo, disse: “Non sono io un Beniaminita? di una delle più piccole tribù d'Israele? La mia famiglia non è la più piccola fra tutte le famiglie della tribù di Beniamino? Perché dunque mi parli in questo modo?”. 
  • Samuele prese Saul e il suo servo, li introdusse nella sala e li fece sedere a capo tavola fra gli invitati, che erano circa trenta persone. E Samuele disse al cuoco: “Porta qua la porzione che ti ho dato e della quale ti ho detto: 'Tienila in serbo vicino a te'”. Il cuoco allora prese la coscia e ciò che aderiva e la mise davanti a Saul. E Samuele disse: “Ecco ciò che è stato tenuto in serbo; mettitelo davanti e mangia, poiché è stato conservato apposta per te quando ho invitato il popolo”. Così Saul, quel giorno, mangiò con Samuele. Poi scesero dall'alto luogo in città, e Samuele si trattenne con Saul sul terrazzo. L'indomani si alzarono presto; allo spuntare dell'alba, Samuele chiamò Saul sul terrazzo, e gli disse: “Vieni, io ti lascio partire”. Saul si alzò, e uscirono fuori entrambi, lui e Samuele. Quando furono scesi all'estremità della città, Samuele disse a Saul: “Di' al servo che passi, e vada davanti a noi”. E il servo passò. “Ma tu adesso fermati, e io ti farò udire la parola di Dio”.

(Notizie su Israele, 27 dicembre 2025)


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Israele riconosce ufficialmente la Repubblica del Somaliland

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Il presidente della Repubblica del Somaliland, Abdirahman Mohamed Abdallah

Israele ha annunciato il riconoscimento ufficiale della Repubblica del Somaliland come Stato indipendente e sovrano, segnando un importante passo diplomatico nel Corno d'Africa. La decisione è stata resa pubblica dall'ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu.
In questa occasione, il primo ministro, il ministro degli Affari esteri Gideon Sa'ar e il presidente della Repubblica del Somaliland, Abdirahman Mohamed Abdallah, hanno firmato una dichiarazione congiunta e reciproca che sancisce tale riconoscimento. Il testo si inserisce esplicitamente nello spirito degli Accordi di Abramo, conclusi su iniziativa del presidente americano Donald Trump.
Benjamin Netanyahu ha elogiato la leadership del presidente Abdallah, sottolineando il suo impegno a favore della stabilità regionale e della pace, e lo ha invitato a effettuare una visita ufficiale in Israele. In cambio, il presidente del Somaliland ha ringraziato il capo del governo israeliano per questa dichiarazione storica, lodando i suoi sforzi nella lotta al terrorismo e nella promozione della pace regionale.
Il primo ministro israeliano ha inoltre espresso la sua gratitudine al ministro degli Affari esteri e al direttore del Mossad, David Barnea, per il loro contributo a questo progresso diplomatico.
Sulla scia di questi sviluppi, Israele prevede di ampliare immediatamente le sue relazioni con il Somaliland, con una cooperazione estesa nei settori dell'agricoltura, della sanità, della tecnologia e dell'economia. Gerusalemme desidera così accompagnare lo sviluppo del Somaliland e rafforzare un partenariato presentato come reciprocamente vantaggioso, basato sulla sicurezza, la prosperità e la libertà dei popoli.

(i24, 26 dicembre 2025)

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Calo del sostegno negli Stati Uniti: Israele preoccupato per i rapporti con la comunità ebraica americana

Un nuovo sondaggio della Ruderman Family Foundation rivela una crescente preoccupazione in Israele per il futuro dei rapporti con gli Stati Uniti e con la comunità ebraica americana.

di Itmat Eichner

GERUSALEMME - Mentre Israele continua a fare affidamento sullo storico rapporto con l'ebraismo americano, un nuovo sondaggio della Ruderman Family Foundation evidenzia una crescente preoccupazione nell'opinione pubblica israeliana per il calo del sostegno a Israele negli Stati Uniti.
Il sondaggio sottolinea al contempo l'importanza del rapporto con gli Stati Uniti e la necessità di integrare le posizioni della comunità ebraico-americana nei processi decisionali politici in Israele. Allo stesso tempo, il sondaggio affronta la sensazione che lo Stato di Israele non stia facendo abbastanza per rafforzare queste relazioni e per combattere l'antisemitismo in tutto il mondo.
Il sondaggio, condotto su iniziativa della Ruderman Family Foundation e raccolto dall'istituto “Dialog”, si basa su un campione rappresentativo a livello nazionale di 1.002 adulti ebrei israeliani. Essa mostra che, nonostante la grande importanza che l'opinione pubblica attribuisce alle relazioni con l'ebraismo americano – il 78% le definisce importanti ed essenziali –, la fiducia nel futuro di queste relazioni sta vacillando sempre più.
I risultati riflettono anche le critiche dell'opinione pubblica israeliana al ruolo centrale del governo e della politica israeliana. Il 43% degli israeliani ritiene che il modo in cui è stata condotta la guerra nella Striscia di Gaza abbia indebolito il sostegno dell'ebraismo americano a Israele, mentre solo il 28% ritiene che la politica abbia rafforzato tale sostegno.
Parallelamente, solo il 17% degli intervistati ritiene che Israele contribuisca in modo significativo alla lotta contro l'antisemitismo negli Stati Uniti. Più di un terzo degli intervistati ritiene invece che il contributo sia minimo o inesistente. Alla domanda se lo Stato di Israele debba tenere conto delle posizioni degli ebrei americani nella sua politica, il 41% ha risposto che ciò dovrebbe avvenire in una certa misura, mentre un ulteriore 23% si è espresso a favore di una forte considerazione.
Quasi la metà degli israeliani (44%) ritiene che la giovane generazione dell'ebraismo americano sosterrà Israele in misura minore rispetto ad oggi; solo il 22% prevede un aumento del sostegno. Allo stesso tempo, il 67% ritiene che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump abbia un'influenza positiva o molto positiva su Israele, mentre solo il 12% valuta il suo impatto come negativo o molto negativo. Questa contraddizione riflette la preoccupazione per un cambio generazionale nell'arena americana, con il passaggio da una generazione di leader che sostengono Israele e sono al suo fianco a una generazione che potrebbe allontanarsi da Israele o addirittura sviluppare posizioni anti-israeliane.
Questa preoccupazione non è puramente teorica, ma è ampiamente condivisa. Quasi la metà degli intervistati (48%) dichiara di essere molto preoccupata per il calo del sostegno a Israele da parte dell'opinione pubblica americana, mentre un altro 30% è preoccupato in una certa misura. Ne consegue che quasi otto israeliani su dieci riconoscono l'emergere di un problema e molti di loro ritengono che sia già una realtà.
I recenti sviluppi nell'arena politica degli Stati Uniti, in particolare l'elezione del newyorkese Zohran Mamdani a sindaco, sono considerati una prova tangibile dell'ascesa di voci giovani, progressiste e critiche nei confronti di Israele. Allo stesso tempo, cresce la consapevolezza che queste voci non sono più percepite come un fenomeno marginale ed estremo nel dibattito americano, ma come espressione di una tendenza più ampia di crescente distacco da parte delle giovani generazioni nei confronti di qualcosa che fino a poco tempo fa era considerato solo una minaccia futura.
Oltre alle critiche, il sondaggio riflette anche una chiara aspettativa di un cambiamento di rotta e di un maggiore coinvolgimento politico. Una netta maggioranza dell'opinione pubblica – il 74% – ritiene che Israele debba compiere sforzi significativi per rafforzare il legame della giovane generazione ebraica in tutto il mondo con Israele e il sionismo. La metà degli intervistati ritiene inoltre che gli israeliani che vivono negli Stati Uniti rappresentino in larga misura un importante ponte tra le comunità; un ulteriore 32% è d'accordo in una certa misura.
Shira Ruderman, amministratore delegato della Ruderman Family Foundation, avverte che si tratta di un momento critico in cui è necessario agire:
"I dati del sondaggio mostrano che l'opinione pubblica israeliana comprende che qualcosa di fondamentale sta cambiando. L'ascesa di voci giovani e critiche negli Stati Uniti non è slegata dalla realtà, ma è il risultato di un lungo processo di alienazione e ignoranza nei confronti della situazione locale. Questo è un momento che costringe Israele a fermarsi, ascoltare e agire in modo diverso, passando dalla tattica alla strategia. Il rapporto con l'ebraismo americano è un valore strategico per la sicurezza nazionale dello Stato di Israele e del popolo ebraico. Trascurare questo rapporto oggi ci costerà caro domani. Sono i giovani americani che determineranno la rotta degli Stati Uniti nei prossimi anni, come eletti e come elettori, e influenzeranno in modo significativo le relazioni tra i due paesi".

(Israel Heute, 26 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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ONU. 100 milioni, il prezzo dell’odio

di Paolo Montesi 

Cento milioni di dollari l’anno. È questa, secondo la missione israeliana alle Nazioni Unite, la cifra che l’ONU destinerebbe a un insieme di attività che hanno un tratto comune: Israele come bersaglio quasi esclusivo. Non si parla di singole risoluzioni critiche o di prese di posizione politiche, ma di una struttura permanente, finanziata, organizzata e stabilmente inserita nei bilanci dell’organizzazione internazionale.
A dirlo senza giri di parole è l’ambasciatore israeliano presso l’ONU, Danny Danon, che parla di campagne pianificate “nero su bianco” nei documenti di spesa delle Nazioni Unite. Rapporti, commissioni speciali, dibattiti ricorrenti, programmi di comunicazione: un ecosistema che, secondo Israele, produce ogni anno decine di eventi e centinaia di documenti incentrati quasi esclusivamente sulla delegittimazione politica, giuridica e morale dello Stato ebraico.
Il cuore di questo meccanismo, sostiene Gerusalemme, è costituito da strutture dedicate in modo permanente alla cosiddetta “questione palestinese”. Divisioni interne al Segretariato, comitati dell’Assemblea generale, organismi con denominazioni tecniche e apparentemente neutrali, ma che nella pratica generano contenuti ripetitivi, politicizzati e orientati. La sola produzione, traduzione e diffusione di questi materiali costerebbe diversi milioni di dollari l’anno, a cui vanno aggiunti stipendi, missioni e costi logistici.
Al centro delle critiche israeliane c’è soprattutto l’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, che presenta una richiesta di bilancio annua di circa 86 milioni di dollari. Una parte consistente, secondo i dati diffusi dalla missione israeliana, proverrebbe dal bilancio ordinario delle Nazioni Unite e sarebbe destinata in larga misura al personale internazionale. Il tutto nonostante le accuse di infiltrazioni da parte di Hamas, i ripetuti scandali interni e le richieste di riforma rimaste finora lettera morta.
Non meno controverso è il ruolo del Consiglio dei diritti umani di Ginevra, indicato come un altro pilastro di questo sistema. La commissione d’inchiesta permanente su Israele, istituita nel 2021 con un mandato senza limiti temporali, avrebbe un costo stimato di circa quattro milioni di dollari l’anno. Ed è proprio qui che, secondo Israele, il linguaggio smette di essere quello dei diritti umani per scivolare nella delegittimazione: accuse di genocidio, parallelismi storici forzati, sostegno implicito a iniziative legali ed economiche contro Israele, comprese le liste nere di aziende.
L’effetto cumulativo, sostiene Gerusalemme, non è solo simbolico. Questo flusso costante di documenti e prese di posizione alimenterebbe procedimenti giudiziari internazionali e rafforzerebbe le campagne del movimento BDS, creando una catena che parte dall’ONU e arriva fino ai tribunali e ai mercati.
Israele insiste però su un punto che ritiene cruciale: la denuncia non è rivolta all’aiuto umanitario né alla critica legittima delle politiche di un governo. Il bersaglio è un sistema che, così come è strutturato oggi, istituzionalizza un pregiudizio politico e utilizza fondi pubblici per trasformarlo in prassi permanente. Una macchina che, sotto l’etichetta della neutralità multilaterale, ha smesso da tempo di funzionare come arbitro ed è diventata parte attiva del conflitto.

(Setteottobre, 26 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 8
    Israele chiede un re
  • Quando Samuele diventò vecchio costituì giudici d'Israele i suoi figli. Suo figlio primogenito si chiamava Ioel e il secondo Abia, ed esercitavano le funzioni di giudici a Beer-Sceba. I suoi figli però non seguivano le sue orme, ma si lasciavano sviare dall'avidità, accettavano regali e pervertivano la giustizia. 
  • Allora tutti gli anziani d'Israele si radunarono, andarono da Samuele a Rama, e gli dissero: “Ecco, tu ormai sei vecchio, e i tuoi figli non seguono le tue orme; ora dunque stabilisci su di noi un re che ci amministri la giustizia, come lo hanno tutte le nazioni”. 
  • A Samuele dispiacque questa loro affermazione: “Dacci un re che amministri la giustizia fra noi”; e Samuele pregò l'Eterno
  • E l'Eterno disse a Samuele: “Da' ascolto alla voce del popolo in tutto quello che ti dirà, poiché essi hanno respinto non te, ma me, perché io non regni su di loro.  Agiscono con te come hanno sempre agito dal giorno che li feci salire dall'Egitto a oggi: mi hanno abbandonato per servire altri dèi.  Ora dunque da' ascolto alla loro voce; abbi cura però di avvertirli solennemente e di far loro conoscere bene quale sarà il modo di agire del re che regnerà su di loro”. 
  • Samuele riferì tutte le parole dell'Eterno al popolo che gli domandava un re. E disse: “Questo sarà il modo di agire del re che regnerà su di voi. Egli prenderà i vostri figli e li metterà sui suoi carri e fra i suoi cavalieri, e dovranno correre davanti al suo carro; se ne farà dei capitani di migliaia e dei capitani di cinquantine; li metterà ad arare i suoi campi, a mietere la sua messe, a fabbricare i suoi ordigni di guerra e gli attrezzi dei suoi carri. Prenderà le vostre figlie per farsene delle profumiere, delle cuoche, delle fornaie. Prenderà i vostri campi, le vostre vigne, i vostri migliori uliveti per darli ai suoi servitori. Prenderà la decima delle vostre sementi e delle vostre vigne per darla ai suoi eunuchi e ai suoi servitori. Prenderà i vostri servi, le vostre serve, il fiore della vostra gioventù e i vostri asini per adoperarli nei suoi lavori. Prenderà la decima delle vostre greggi, e voi sarete suoi schiavi. E allora griderete a causa del re che vi sarete scelto, ma in quel giorno l'Eterno non vi risponderà”. Il popolo rifiutò di dare ascolto alle parole di Samuele, e disse: “No! ci sarà un re su di noi; anche noi saremo come tutte le nazioni; il nostro re amministrerà la giustizia fra noi, marcerà alla nostra testa e condurrà le nostre guerre”. Samuele, udite tutte le parole del popolo, le riferì all'Eterno. E l'Eterno disse a Samuele: “Da' ascolto alla loro voce e stabilisci su di loro un re”. E Samuele disse agli uomini d'Israele: “Ognuno se ne torni alla sua città”.

(Notizie su Israele, 26 dicembre 2025)


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Israele – La radio dell’esercito verso la chiusura: «Una palestra di giornalismo»

di Daniel Reichel

Il governo israeliano ha deciso: Galei Tzahal, la radio dell’esercito, sarà chiusa. Il ministro della Difesa Israel Katz, promotore del provvedimento, sostiene che l’emittente «non è utile, trasmette contenuti politici e divisivi, e rischia di demoralizzare i soldati». Una decisione che ha generato proteste, ricorsi annunciati e un dibattito acceso sul ruolo dell’informazione nel paese. Ma cosa rappresenta Galatz per Israele? Per capirlo, si può ascoltare chi quella radio l’ha conosciuta dall’interno e chi l’ha ascoltata per una vita.

La nascita della radio
  «Galei Tzahal è stata fondata nel 1950, appena due anni dopo la nascita dello Stato», racconta Inbal Elbaz, oggi avvocata, dal 2016 al 2019 soldatessa e producer nella redazione. «All’inizio era pensata per scopi militari: trasmettere informazioni utili all’esercito e far conoscere il mondo militare. In caso di necessità si prevedeva potesse convocare soldati. Accanto a questo c’era una finalità educativa: diffondere storia e cultura di Eretz Israel, in un paese appena nato, con l’esercito al centro della società». Col tempo, Galatz si è trasformata. «Oggi trasmette notizie, attualità, cultura, musica. Ha contribuito allo sviluppo della cultura israeliana moderna e mantiene un carattere unico: in studio arrivano intere unità dell’esercito, soldati che salutano le famiglie in diretta, giornalisti che aggiornano ogni ora sul paese». A questa si è affiancata Galgalatz, la versione musicale: «È la stazione più ascoltata in Israele, amata da tutte le età».
La sua caratteristica è la doppia anima, militare e civile, dove soldati e professionisti lavorano insieme. «È un’unità piccola, circa duecento persone. Metà sono soldati di leva, l’altra metà tra ragazzi con esenzione medica che scelgono di servire lì e professionisti civili. Entrare è difficile: devi avere una perfetta padronanza della lingua e saper parlare in pubblico. Ai nuovi arrivati si insegna a condurre programmi, montare servizi, scrivere notiziari. È un’esperienza che ti forma, ti apre al mondo. Per chi sogna il giornalismo è una palestra unica».
Almeno un terzo dei giornalisti più influenti del paese «è passato da qui», sostiene Inbal. Da Galatz sono usciti Ilana Dayan, Amit Segal, Itai Anghel e molti altri. «A 19 anni, io chiamavo politici, artisti, famiglie in lutto colpite da attentati. È un impatto emotivo enorme e una grande responsabilità, ma ti dà strumenti che rimangono per tutta la vita».

Una voce del pluralismo israeliano
  «Galei Tzahal è una delle stazioni radio più ascoltate in Israele», sottolinea Sergio Della Pergola, demografo, docente emerito dell’Università Ebraica e voce ascoltata degli Italkim, gli italiani d’Israele. «Per ragioni generazionali seguo Reshet Bet, la radio dell’emittente pubblica, ma Galatz la ascolto spesso: più vivace, più informale, più immediata. Un punto di riferimento». Per lui la chiusura è «una scelta politica sbagliata: danneggia pluralismo e libertà dell’informazione». La forza della radio, spiega, è la sua indipendenza: «Pur essendo militare, è imparziale e oggettiva. Ospita voci diverse, anche critiche verso governo ed esercito. Non è un megafono: è questo che le ha dato forza nel tempo». Galatz ha promosso anche cultura e musica. «Ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della musica israeliana contemporanea, promuovendo generi nuovi, sonorità sefardite e mizrachi». La componente militare però resta presente. «Ogni sera c’è una mezz’ora dedicata a strategia e analisi militare, con ufficiali in studio. È utile per capire cosa fa l’esercito». Poi ci sono rubriche su società, economia, politica. «Sono stato intervistato anch’io: tre minuti per spiegare cosa significa diaspora o demografia».
Per Della Pergola l’immagine di Galei Tzahal «è un soldato di guardia di notte: dalle due alle sei del mattino, in una garitta, con l’auricolare nell’orecchio mentre guarda nel buio per capire se c’è qualcuno. L’ho fatto anch’io per tanti anni. E intanto ascolti la radio dell’esercito per tenerti compagnia e collegato con il mondo».

Ascoltarla dall’Italia
  Anche Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Cdec di Milano, è un affezionato ascoltatore di Galei Tzahal. «Era la radio del kibbutz: una compagnia costante, una colonna sonora. Quando ero in Israele negli anni Ottanta era sempre accesa». E una volta rientrato in Italia? «Era l’unica radio israeliana captabile: con le onde corte la sentivi persino da qui». Con internet l’accesso è diventato più diretto: ««La considero la radio più concreta e più aperta al dialogo. Ilana Dayan è una delle mie giornaliste preferite: non è ideologica, ascolta tutte le campane, ma lo fa in modo critico. Lascia parlare l’interlocutore e allo stesso tempo mette in luce eventuali contraddizioni. Un grande esempio di giornalismo». Un ricordo emblematico per Luzzatto Voghera arriva dalla guerra di Gaza del 2014: «Intervistavano anche palestinesi da dentro Gaza, in diretta. Li chiamavano al telefono e raccontavano la situazione. Facevano una cronaca davvero libera, esemplare».

Il dibattito sulla chiusura
La chiusura arriva al termine di un confronto che in Israele va avanti da anni, ricorda Inbal. «C’è chi dice che non debba esistere una radio dell’esercito; chi teme un’influenza del Ministero della Difesa sulla copertura; e chi critica il finanziamento pubblico, anche se limitato. C’è poi chi sostiene che Galatz non rispetti più la sua missione di parlare soprattutto ai soldati e che sia troppo critica verso l’esercito». Ora il dibattito si è trasformato in atto politico. «Il governo ha fissato la chiusura al 1° marzo. Alcuni giornalisti hanno già ricevuto comunicazione della fine del contratto. Molti contestano il processo, dicendo che la commissione incaricata non abbia valutato correttamente il lavoro svolto».
Un aspetto però, nota Inbal, è passato in secondo piano: «Diversi ostaggi liberati hanno raccontato di aver ascoltato Galatz in prigionia. Sentivano le voci delle famiglie, le richieste di riportarli a casa. Li incoraggiava». E nei due anni di guerra, la radio è stata importante, conclude Inbal. «Oggi i giovani l’ascoltano meno, ma chi era a Gaza, in Libano o in Siria non aveva rete né tv ed è tornato alla radio. Per loro è stata un ponte con casa. Non dimentichiamo che siamo un paese in cui quasi tutti sono o sono stati soldati».

(moked, 26 dicembre 2025)

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Hamas, i flussi di denaro non si fermano: milioni di dollari all’ala militare durante la guerra

di Luca Spizzichino

Nel corso dell’ultimo anno sono stati raccolti e trasferiti decine di milioni di dollari a favore dell’ala militare di Hamas, oltre due anni dopo l’inizio della guerra. Lo ha rivelato l’esercito israeliano in una nota ufficiale diffusa mercoledì, in occasione dell’annuncio dell’uccisione di un esponente chiave dell’apparato finanziario dell’organizzazione terroristica.
Secondo quanto riferito dal portavoce in lingua araba dell’IDF, Avichay Adraee, l’operazione è stata condotta all’inizio del mese in un’azione congiunta tra l’esercito israeliano e il servizio di sicurezza interna Shin Bet. Nel raid è stato eliminato Abd al-Hai Zakout, operativo della sezione finanziaria dell’ala militare di Hamas, colpito nello stesso attacco in cui è stato ucciso Raad Saad, vice comandante di Hamas nella Striscia di Gaza.
“Nel corso dell’ultimo anno Zakout era responsabile della raccolta di decine di milioni di dollari e del loro trasferimento all’ala militare di Hamas, per proseguire i combattimenti contro Israele” si legge nella nota.
Sul piano operativo, le valutazioni israeliane indicano un cambio di strategia di Hamas all’interno di Gaza, sullo sfondo delle pressioni statunitensi per passare alla fase successiva dell’accordo di cessate il fuoco. I vertici dell’organizzazione agirebbero sempre più come latitanti, dirigendo le operazioni dalle reti sotterranee di tunnel, mentre quadri di livello inferiore risultano più attivi in superficie, spesso sotto copertura e con funzioni di controllo interno.
Israele ritiene che Hamas abbia rafforzato la propria presenza visibile in ampie aree della Striscia, da Jabaliya, nel nord, fino ad alcune zone di Rafah, nel sud. Pattuglie di Hamas operano quotidianamente per proiettare un’immagine di governo, mentre diversi dipartimenti municipali hanno ripreso l’attività, nonostante le gravi distruzioni infrastrutturali causate dal conflitto.
Secondo funzionari israeliani, Hamas avrebbe iniziato a convogliare nuovamente ingenti somme nelle proprie casse: decine o centinaia di migliaia di shekel al giorno. Parte di questi fondi proverrebbe dall’aumento degli aiuti umanitari consentiti da Israele: circa 4.200 camion a settimana, tra 600 e 800 al giorno, inclusi carichi provenienti dal settore privato. Le merci e i beni alimentari in ingresso verrebbero poi sfruttati da Hamas attraverso tassazione dei commercianti e la riscossione di pagamenti dalla popolazione, secondo le stime israeliane.
All’inizio del mese, l’IDF e lo Shin Bet hanno inoltre rivelato l’esistenza di una rete di cambio valuta di Hamas operante in Turchia, gestita da operatori basati a Gaza che sfrutterebbero l’infrastruttura finanziaria turca sotto la direzione dell’Iran.
Le autorità di sicurezza israeliane sostengono che i money changer agiscano in piena cooperazione con Teheran, trasferendo centinaia di milioni di dollari direttamente a Hamas e ai suoi leader. La rete svolgerebbe attività finanziarie estese all’interno della Turchia, occupandosi di ricevere, custodire e trasferire fondi iraniani. Documenti sequestrati mostrerebbero trasferimenti singoli di centinaia di migliaia di dollari
Ad agosto, un’inchiesta della BBC ha rivelato che Hamas è riuscita a continuare il pagamento degli stipendi ai propri membri nonostante la guerra in corso. Secondo il report, circa 30.000 appartenenti all’apparato civile avrebbero ricevuto complessivamente 7 milioni di dollari nel corso della guerra, attraverso un sistema di pagamenti in contanti.
Con le istituzioni finanziarie di Gaza in gran parte fuori uso e dopo i raid israeliani contro i punti di distribuzione del denaro, il meccanismo sarebbe diventato sempre più complesso: i membri di Hamas ricevevano messaggi sui propri telefoni – o su quelli di parenti – con inviti criptici a “bere un tè con un amico” in un luogo preciso. Lì, un intermediario, talvolta una donna, consegnava discretamente buste di contanti.
Un quadro che, secondo Israele, dimostra come l’infrastruttura finanziaria di Hamas continui a operare nonostante la pressione militare, sfruttando aiuti, reti internazionali e sistemi informali per sostenere la propria attività armata e di governo nella Striscia di Gaza.

(Shalom, 25 dicembre 2025)

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Che c'entra il Natale con la politica?

La vera storia del Natale parla di rivoluzione, cambiamento radicale e di un tipo di salvezza che stravolge il mondo.

di David Lazarus

GERUSALEMME - La maggior parte delle persone crede che il Natale non abbia nulla a che vedere con la politica. Tuttavia, l'inizio del Nuovo Testamento, la genealogia nel Vangelo di Matteo, ci insegna il contrario. La storia del Natale inizia con Matteo che elenca quattro donne nella storia della nascita di Gesù: Tamar, Rahab, Ruth e “colei che era stata la moglie di Uria”. Anche solo includere una sola donna nell'albero genealogico di un futuro re sarebbe stato significativo, ma qui vengono nominate ben quattro donne. Qui viene dichiarata guerra alla società patriarcale dominata dagli uomini del I secolo.
Va detto che non si tratta di donne qualsiasi. Tre delle quattro non erano nemmeno israelite. Tamar, Rahab e Ruth erano immigrate straniere. E «colei che era stata moglie di Uria» (come se si potesse nascondere la sua identità, ma sappiamo tutti chi è) era sposata con uno straniero.
Ah, sì, e solo per la cronaca:

  • Tamar – Vestita come una prostituta per sedurre suo suocero.
  • Rahab – Era una prostituta e una traditrice.
  • Ruth – Straniera, ma almeno era una donna gentile.
  • Bathseba – Commise adulterio con il re e fu sorpresa nuda mentre faceva il bagno in pubblico.

Qui, sulla base della storia di Betlemme, viene apertamente gettata nella terra della società ebraica del I secolo la prima pietra per l'avvento di un nuovo re e di un nuovo regno, che stravolgeranno le regole, i legislatori e le norme sociali.

Politica natalizia
E chi avrebbe mai pensato che un'altra donna, questa volta chiamata semplicemente “la madre di”, avrebbe tenuto il discorso di apertura in una lotta di potere che minaccia di scatenare il Natale? Il cosiddetto cantico di Maria nel Vangelo di Luca è diventato una romantica liturgia ecclesiastica, ma in realtà è un messaggio rivoluzionario che risuona dalla voce di una madre preoccupata.

“Egli stende il suo braccio potente e spazza via gli arroganti con i loro piani orgogliosi.
Rovescia i potenti dai loro troni, ma innalza gli oppressi.
Riempie di beni gli affamati e rimanda a mani vuote  ricchi ” (Luca 1,51-53).

Il carattere politico di queste dichiarazioni sovversive di giustizia, liberazione e distruzione del trono, che suonano più come un grido di guerra che come un canto, non è sfuggito ai suoi compatrioti. Re Erode lo capì immediatamente. Era abituato a soffocare sul nascere le contestazioni al trono: basti pensare che fece uccidere sua moglie, tre figli, sua suocera, suo cognato e uno zio, per non parlare di tutti i bambini ebrei nati nel periodo natalizio!
Anche i pastori erano “molto spaventati” quando gli angeli apparvero per annunciare loro la nascita di un nuovo re (Luca 2,9). Non sembra certo che siano usciti cantando quando hanno ricevuto la notizia. Betlemme si trova pericolosamente vicina a uno dei palazzi di Erode, e i pastori sapevano che Erode avrebbe presto cercato chiunque avesse osato sfidare la sua autorità.
Non dobbiamo dimenticare che Erode governava per conto delle potenze coloniali di Roma e che il popolo d'Israele e la sua terra vivevano sotto occupazione militare.
L'estensione del potere di Roma e del suo dominio permeava ogni aspetto del mondo della nazione ebraica. Luca racconta: «In quei giorni uscì un decreto di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutto il mondo». Giuseppe e Maria, che era ormai incinta, dovettero intraprendere il lungo e faticoso viaggio verso Betlemme per il censimento, al fine di pagare l'elevata tassa che Erode faceva riscuotere dagli ebrei tramite esattori corrotti.
In questo contesto, il cantico di Maria assume una prospettiva completamente nuova. Gli ebrei volevano la libertà e il Natale era come un colpo di stato.
Si potrebbe edulcorare la storia della nascita del Messia per farla sembrare una graziosa favola per bambini. Ma in realtà fu una lotta di potere piena di inganni, omicidi e intrighi politici. Messia significa «unto», un titolo conferito al re. Non si può dire re, sovrano o presidente ed escludere la politica.
La storia del Natale può essere inquietante e piena di violenza, ma promette anche la pace. Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, canta un inno di lode al bambino Messia che sta per nascere e che «ci guiderà sulla via della pace» (Luca 1,79). Anche gli angeli cantano alla notizia della sua nascita: “Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Luca 2,14).
Naturalmente, la pace promessa dalla Bibbia non è solo l'assenza di guerra. È “shalom”, che significa il ripristino dell'intera creazione sotto il dominio di Dio. I profeti, gli apostoli, gli angeli e lo stesso Messia non si preoccupano principalmente di migliorare la vita sulla terra, ma chiedono la piena redenzione. E questo significa capovolgere il nostro mondo per riportarlo sulla strada giusta.

(Israel Heute, 25 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Vin brulé e kippah

Strasburgo - Nella sedicente «capitale del Natale» vive una comunità ebraica attenta alle tradizioni. Come si concilia tutto questo? Un viaggio alla scoperta di biscotti e cioccolatini kosher dal «sapore di fine anno».

di Mascha Malburg

Ci vogliono solo dieci minuti dalla sinagoga principale di Strasburgo per raggiungere la bancarella di Attias al mercatino di Natale. È una delle prime bancarelle di legno che si vedono quando si va dal quartiere ebraico al centro storico, attraversando il ponte, passando davanti all'opera, e già risplende la scritta: «Buone feste!». Il plurale è il primo indizio. Dietro sacchetti fruscianti pieni di biscotti alla cannella e omini di pan di zenzero, c'è una donna che, su richiesta, assicura: «Sì, sì, è tutto kosher!». Solo che non lo scriva a caratteri cubitali, perché ci sono anche alcune persone «che non vedono di buon occhio il fatto che io sia qui».
Chi ora pensa che si tratti di un'altra storia sugli ebrei che si nascondono in tempi di antisemitismo dilagante in Europa, si sbaglia: la venditrice teme piuttosto che altri ebrei trovino problematico il fatto che lei venda biscotti kosher tra statuine del presepe e alberi di Natale. Per questo preferisce non rivelare il suo nome. E alza le spalle: «Come piccola pasticceria, bisogna pur sopravvivere». E mai come in questa stagione arrivano così tanti clienti in città.

Una nuvola di cannella e olio bollente
  «Capitale de Noël» – Capitale del Natale: così Strasburgo attira ogni anno più di due milioni di visitatori durante il periodo dell'Avvento. Arrivano turisti da tutta la Francia, escursionisti giornalieri dalla vicina Germania e persino americani e cinesi, che si fermano con gli occhi luccicanti davanti alle case a graticcio che sembrano quasi uscite da una fiaba Disney. L'isola della città vecchia brilla, luccica e scintilla, una nuvola di cannella e grasso fritto aleggia tra i vicoli e le bancarelle si affollano in ogni piazzetta, anche la più piccola.
La bancarella del signor Attias, che ha modificato il suo nome ebraico-marocchino in “Matthias” per renderlo più facile da ricordare agli alsaziani, fa parte del panorama locale da molti anni. “Siamo qui dalla domenica al giovedì, durante lo Shabbat vendono qui i non ebrei”, spiega la commessa.
Recentemente sono passati di lì alcuni israeliani ignari, racconta la donna. «Quando mio marito li ha salutati in ebraico, erano felicissimi!» Sorride. Le hanno comprato metà della merce, anche se sicuramente non sono così devoti da osservare le leggi alimentari. Ma uno stand ebraico in un mercatino di Natale è qualcosa di speciale. «E molti ebrei osservanti della città mi hanno detto quanto sono felici che siamo qui».
Una signora con una gonna lunga è già davanti allo stand: «Sono al latte o parve?», chiede indicando alcuni biscotti al burro. Anche senza cartelli, nella comunità si è sparsa la voce che al mercatino dell'Opera si trovano biscotti kosher.
A Strasburgo vivono attualmente circa 20.000 ebrei, con una tendenza in aumento. Molti provengono dal Marocco, dall'Algeria e dalla Tunisia, altri sono originari dell'Alsazia, dove nei piccoli villaggi i cimiteri ebraici testimoniano il fiorente ebraismo rurale di un tempo. Negli ultimi anni si sono trasferite qui anche famiglie religiose provenienti dalla Germania, dal Belgio o dall'Italia, che desideravano vivere in una comunità numerosa. A ciò si aggiunge il fatto che sempre più ebrei delle banlieues parigine scelgono questa tranquilla cittadina, dove l'odio è molto meno palpabile.
Indipendentemente dalla loro provenienza e dal loro grado di religiosità, gli ebrei di Strasburgo sono orgogliosi della loro tradizione, che viene tramandata di generazione in generazione. I ristoranti kosher sono pieni: giovani donne con le braccia tatuate mangiano accanto a signore con eleganti foulard drappeggiati. Genitori laici e charedim mandano i loro figli alla scuola ebraica, dove imparano l'Alefbet fin dalla tenera età, e tutti possono cantare insieme quando a tavola dello Shabbat si intonano melodie sefardite o yiddish. A differenza delle città tedesche, a Strasburgo i passanti con la kippah non attirano sguardi stupiti, e ci sono strade in cui si trovano più porte con la mezuzah che senza.

«Adoriamo la pista di pattinaggio»
  Come si inserisce questo ebraismo consapevole nella sedicente capitale del Natale? Per la maggior parte piuttosto bene: «Vado al mercatino di Natale per l'atmosfera», dice una giovane donna che indossa una parrucca e si è appena sposata. «Adoriamo la pista di pattinaggio», squittiscono alcune studentesse che escono dalla scuola superiore ebraica, e una signora anziana che si riposa nel parco davanti alla sinagoga sorride maliziosamente.
«I Babbi Natale di cioccolato sarebbero per me un limite», dice invece Daniel Elleb ridendo. Il quarantenne apre la porta cigolante della sua fabbrica di cioccolato kosher «Lévia» nella parte sud della città. Immediatamente il profumo intenso del cacao invade le narici. Al momento sta lavorando ai suoi «cioccolatini di fine anno», come li chiama Elleb: con ripieno di vin brulé e panpepato. «Sono i gusti che piacciono a tutti in questa stagione fredda», dice. Dietro di lui, i cioccolatini crudi vengono ricoperti di cioccolato caldo e poi immediatamente raffreddati. «In modo che facciano un bel rumore quando li si morde», spiega Elleb.
Dal suo camice bianco spuntano i tzitzit. Daniel Elleb è cresciuto a Bnei Brak, una delle città più ortodosse di Israele. «Ho fatto tutto: dal cheder alla grande scuola talmudica», dice con orgoglio. A vent'anni è tornato con i suoi genitori nella sua città natale, Strasburgo, ha conosciuto una donna, ha completato gli studi di giurisprudenza e si è reso conto che preferiva fare qualcosa con le mani. «Abbiamo creato il primo cioccolato in cucina e lo abbiamo regalato agli amici», racconta. Oggi i cioccolatini che produce con sua moglie sono in vendita in tutti i supermercati kosher della città. «Mi piacerebbe venderli anche al mercatino di Natale», dice Elleb. Ma quest'anno non è riuscito a ottenere uno stand.

Conflitto tra due panettieri kosher
  Elleb capisce che alcuni ebrei trovino difficile accettarlo. «È un argomento delicato», dice, raccontando che alle elementari non gli era permesso scrivere il segno più durante le lezioni di matematica perché ricordava troppo una croce. «La nostra storia con i cristiani è in gran parte segnata dalla violenza». Davanti alla cattedrale di Strasburgo, le cui statue oggi vegliano contemplative sul mercatino di Natale, il 14 febbraio 1349 furono bruciati quasi tutti gli ebrei della città. Secondo la leggenda, sopravvissero solo coloro che si convertirono al cristianesimo.
«Siamo stati costretti più volte ad adottare le usanze cristiane. Trovo comprensibile che ancora oggi si sia cauti al riguardo», afferma Elleb. Racconta di un conflitto tra due panettieri kosher a Strasburgo: «Uno offre sempre dolci natalizi, l'altro lo trova inaccettabile».
In effetti, nella Boulangerie Hanau, probabilmente la panetteria kosher più famosa della città, ci sono le «Bûches de Noël» in vetrina: queste torte allungate con la loro crema al caffè spalmata grossolanamente ricordano i tronchi d'albero e non possono mancare su nessuna tavola natalizia francese. «Torni tra due settimane, allora avremo anche le galettes des rois», esclama la commessa. In queste torte viene cotta una piccola statuina di porcellana e chi la trova mentre la mangia viene nominato «re», insieme a Caspar, Melchior e Balthasar. Ma anche le famiglie ebree comprano questa torta? «Certo», risponde la commessa ridendo. Molti bambini collezionano le statuine, che oggi a volte spuntano dall'impasto anche sotto forma di Pokemon.
Telefonata a Janine Elkouby. La 79enne è una sorta di grande dame degli ebrei alsaziani. Nata nel 1946, da giovane ha studiato con il Gran Rabbino di Strasburgo, ha lottato nella comunità per l'eleggibilità delle donne ed è poi diventata lei stessa vice presidente dell'intera regione. Inoltre, da decenni è impegnata nel dialogo ebraico-cristiano. Quindi, prima di tutto, la domanda cruciale: cosa ne pensa del mercatino di Natale? «Adoro le luci!», esclama Elkouby. Ma naturalmente non può parlare a nome di tutti. «La nostra comunità ebraica è molto diversificata, ed è proprio questo che la rende speciale!» Ciononostante, crede che la stragrande maggioranza degli ebrei ami vivere nella «Capitale de Noël». «Abbiamo davvero altri problemi», dice Elkouby. L'antisemitismo affiora anche in questa tranquilla città.
Solo all'inizio di dicembre, un minore di Strasburgo è stato arrestato a Parigi con l'accusa di aver pianificato un attentato contro gli ebrei. Nel 2018 il mercatino di Natale è stato teatro di un attentato islamista e da allora il centro storico è sorvegliato dalla polizia. «Ho anche notato che sempre più presepi stanno scomparendo dal panorama urbano», dice Madame Elkouby. Lei lo trova sbagliato. «Tutte le religioni dovrebbero poter essere sicure e visibili».
Dal mercatino di Natale alla sinagoga principale di Strasburgo ci vogliono solo dieci minuti a piedi. Attraversando il ponte, poi lungo l'Avenue de la Paix, che prende il nome dalla pace che si è instaurata qui dopo che i francesi hanno riconquistato la strada nel 1945. I vecchi cartelli stradali – i nazisti avevano battezzato il viale con il nome di Hermann Göring – sono stati rimossi e la sinagoga, che nel 1940 era stata prima bruciata e poi fatta saltare in aria, è stata ricostruita. Un edificio sacro in cemento, ricoperto di stelle di David in ferro battuto. Nel frattempo è calata la notte e dalle finestre brillano le candele: è la prima sera di Chanukkah.

(Jüdische Allgemeine, 25 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Lo Stato ebraico sarà sempre al fianco dei cristiani, afferma Netanyahu alla vigilia di Natale

Netanyahu ha sottolineato che lo Stato ebraico è l'unico Paese della regione in cui i cristiani continuano a vivere “con pieni diritti e in totale libertà”.

Gerusalemme sarà sempre al fianco dei suoi amici cristiani in Medio Oriente e in tutto il mondo, ha affermato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un messaggio alla vigilia di Natale mercoledì sera.
“Vi auguro un Buon Natale e un Felice Anno Nuovo da qui, dalla Terra Santa, Israele, l'unico Paese del Medio Oriente in cui la comunità cristiana è fiorente”, ha detto il premier nel video.
Netanyahu ha sottolineato che lo Stato ebraico è l'unico Paese della regione in cui i cristiani continuano a vivere “con pieni diritti e in totale libertà”.
Dove “i pellegrini cristiani sono accolti a braccia aperte e sono profondamente apprezzati, dove i cristiani possono celebrare con orgoglio le loro tradizioni e farlo apertamente senza alcun timore”, ha continuato.
Mentre il comune di Gerusalemme distribuisce alberi di Natale gratuiti da due decenni, i palestinesi nel centro terroristico di Jenin, in Samaria, hanno dato fuoco a un albero la scorsa settimana, ha detto, sottolineando: “Questa è la differenza”.
“Israele difende i cristiani di tutta la regione ovunque essi siano vittime di intimidazioni e persecuzioni diffuse”, secondo Netanyahu.
“Mentre la popolazione cristiana di Israele è in crescita, quella di innumerevoli aree della regione è in calo a causa della discriminazione e dell'oppressione sistematiche”, ha aggiunto.
La città di Betlemme in Giudea, controllata dall'Autorità Palestinese, che Netanyahu ha definito “il luogo di nascita di Gesù”, era cristiana all'80% quando le Forze di Difesa Israeliane ne hanno preso il controllo all'indomani della Guerra dei Sei Giorni del 1967, ma sotto il controllo dell'Autorità Palestinese è diminuita fino a raggiungere solo il 20%, ha osservato il primo ministro.
“La persecuzione dei cristiani o dei membri di qualsiasi religione non può e non deve essere tollerata”, ha affermato. “Anche lo sfollamento e gli attacchi dei militanti musulmani contro i cristiani in Nigeria devono finire, e devono finire ora”.
Ha concluso dicendo: “Sappiate che Israele sarà sempre al vostro fianco”.
In un altro post su X, il presidente israeliano Isaac Herzog ha augurato «a tutte le nostre sorelle e fratelli cristiani in Israele, in Medio Oriente e in tutto il mondo» un Buon Natale e un Felice Anno Nuovo.
«Provo un profondo orgoglio per le comunità cristiane di Israele, che sono parte integrante della nostra nazione», ha scritto Herzog, promettendo di «proteggere la libertà di culto per le persone di tutte le fedi e comunità».
Prima di Natale, ha visitato le suore francescane del convento di Sant'Antonio, ha osservato. “Abbiamo condiviso una preghiera per la pace e la fratellanza e ci siamo uniti contro ogni forma di odio ed estremismo”.
Anche il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa'ar ha augurato “Buon Natale e Felice Anno Nuovo ai nostri amici cristiani in tutto il mondo. Che sia un anno di gioia, salute e prosperità. Buon Natale!”.
Secondo un rapporto del Natale 2025 dell'Ufficio centrale di statistica israeliano, la popolazione cristiana in Israele è di circa 184.200 persone, pari all'1,9% della popolazione del Paese. La cifra rappresenta un aumento dello 0,7% rispetto all'anno precedente.

(JNS, 25 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 7
    Disfatta dei Filistei a Eben-Ezer. Samuele giudice d'Israele
  • Dal giorno che l'arca era stata collocata a Chiriat-Iearim era passato molto tempo; erano trascorsi vent'anni e tutta la casa d'Israele alzò grida di lamento verso l'Eterno
  • Allora Samuele parlò a tutta la casa d'Israele dicendo: “Se tornate all'Eterno con tutto il vostro cuore, togliete di mezzo a voi gli dèi stranieri e gli idoli di Astarte, volgete risolutamente il vostro cuore verso l'Eterno, e servite lui solo; allora egli vi libererà dalle mani dei Filistei”. E i figli d'Israele tolsero via gli idoli di Baal e di Astarte, e servirono soltanto l'Eterno. Poi Samuele disse: “Radunate tutto Israele a Mispa, e io pregherò l'Eterno per voi”. Ed essi si adunarono a Mispa, attinsero dell'acqua e la sparsero davanti all'Eterno, e là digiunarono quel giorno, e dissero: “Abbiamo peccato contro l'Eterno”. E Samuele fu giudice d'Israele a Mispa
  • Quando i Filistei seppero che i figli d'Israele si erano radunati a Mispa, i loro prìncipi salirono contro Israele. Quando i figli d'Israele udirono ciò, ebbero paura dei Filistei,  e dissero a Samuele: “Non cessare di gridare per noi all'Eterno, al nostro Dio, affinché ci liberi dalle mani dei Filistei”.  E Samuele prese un agnello da latte e l'offrì intero in olocausto all'Eterno; e gridò all'Eterno per Israele, e l'Eterno l'esaudì
  • Ora mentre Samuele offriva l'olocausto, i Filistei si avvicinarono per assalire Israele; ma l'Eterno tuonò quel giorno con grande fragore contro i Filistei e li mise in rotta, tanto che furono sconfitti davanti a Israele. Gli uomini d'Israele uscirono da Mispa, inseguirono i Filistei, e li batterono fin sotto Bet-Car. 
  • Allora Samuele prese una pietra, la pose tra Mispa e Sen, e la chiamò Eben-Ezer dicendo: “Fin qui l'Eterno ci ha soccorso”. I Filistei furono umiliati e non tornarono più a invadere il territorio d'Israele; e la mano dell'Eterno fu contro i Filistei per tutto il tempo di Samuele. Le città che i Filistei avevano preso a Israele tornarono a Israele, da Ecron fino a Gat. Israele liberò il loro territorio dalle mani dei Filistei. Ci fu pace fra Israele e gli Amorei. 
  • E Samuele fu giudice d'Israele per tutto il tempo della sua vita. Egli andava ogni anno a fare il giro di Betel, di Ghilgal e di Mispa, ed esercitava il suo ufficio di giudice d'Israele in tutti quei luoghi. Poi tornava a Rama, dove abitava; là giudicava Israele e là costruì un altare all'Eterno.

(Notizie su Israele, 24 dicembre 2025)


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L’ex ostaggio Alon Ohel sul palco per guarire

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TEL AVIV – «Nei momenti più difficili, quando Alon era in prigionia, chiudevo gli occhi e lo immaginavo suonare su un palco davanti a migliaia di persone, felice. E ora sta succedendo davvero». Con queste parole Idit Ohel ha accompagnato l’annuncio del concerto che il figlio, per due anni ostaggio di Hamas a Gaza, terrà il prossimo 9 febbraio a Tel Aviv.
   Alon, 23 anni, sarà al pianoforte per tutta l’esibizione, affiancato da una band e dal fratello Ronen. assieme all’ex ostaggio saliranno sul palco numerosi artisti israeliani e il ricavato del concerto sarà destinato a un fondo per la riabilitazione del musicista. «Sono molto emozionato per lo spettacolo», ha dichiarato Alon. «È la prima volta che salgo su un palco come questo ed è un grande onore per me condividere la scena con artisti le cui canzoni mi hanno accompagnato nel periodo buio della prigionia».
   Al concerto, intitolato Alon Ohel – Playing Life, parteciperanno tra gli altri Eviatar Banai, cantautore tra i più noti della scena israeliana, e Shlomi Shaban, pianista e compositore. Le loro canzoni facevano parte dell’ascolto quotidiano di Ohel prima del 7 ottobre 2023 e sono rimaste per lui un riferimento anche durante la prigionia, come ha raccontato dopo la liberazione. Durante il concerto, il giovane li accompagnerà al pianoforte, alternando l’esecuzione dei loro brani a pezzi personali.
   Tutti in Israele conoscono i dettagli della sua prigionia: l’occhio ferito dalle schegge, la vista che si era deteriorata, la lunga permanenza nei tunnel senza luce naturale né cure adeguate. Gli ex ostaggi avevano riferito che Ohel continuava a “suonare” anche nei tunnel, battendo le dita sul pavimento o su una parete. «Era il suo modo per dire: “Sono vivo. Sto resistendo”», aveva spiegato il padre.
   «La felicità è vedere i sogni che si realizzano», ha sottolineato la madre dopo l’annuncio del concerto. «Alon è qui con noi, vive la musica e vive la vita».

(moked, 24 dicembre 2025)

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La lingua è identità e traccia confini

Le parole hanno potere. Ma quanto potere ha una parola? Un termine può decidere della storia, dell'identità e del diritto? E cosa succede quando un popolo abbandona il linguaggio della propria storia e usa invece le parole dei propri avversari?

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - In linea di principio, nei nostri servizi giornalistici parliamo sempre del “cuore biblico della Giudea e della Samaria”. Occasionalmente utilizziamo un'aggiunta come: “... i cosiddetti territori occupati”. Lo facciamo solo in casi eccezionali e con un certo disagio interiore, ma alcuni lettori non riescono a collocare facilmente la Giudea e la Samaria sulla mappa, perché dai media mainstream conoscono solo termini come ‘Cisgiordania’ o “Territori occupati della Cisgiordania”. Non sorprende che per molti il termine “cuore biblico” suoni strano, poiché non conoscono abbastanza bene la storia moderna di Israele e spesso non conoscono affatto la storia antica. La storia di Israele inizia con la Bibbia e risale quindi a millenni fa.

Uso del linguaggio
  L'uso improprio del linguaggio ha drammaticamente distorto per decenni il diritto politico e storico e l'immagine di Israele. Agli occhi dell'opinione pubblica mondiale, Israele è diventato un “occupante” che si trova illegalmente su territorio straniero. Di conseguenza, anche gli “insediamenti” ebraici sono diventati un termine dispregiativo, perché suona come colonialismo. In realtà, però, si tratta di luoghi di residenza in Giudea e Samaria, come ad esempio Ariel o Maale Adumim. Chi parla in questo modo intende il ritorno nel cuore storico di Israele.
Purtroppo bisogna ammettere che Israele è corresponsabile di questo uso linguistico ambiguo. Nella loro politica estera, i ministri hanno troppo spesso rinunciato ai nomi biblici. Cedendo al termine politico, hanno involontariamente messo in discussione il diritto biblico di Israele di esistere in Giudea e Samaria. Infatti, la terminologia, sia in senso politico che spirituale, non è solo semantica, ma crea identità e giustifica. Le parole plasmano la coscienza e quindi la legittimità.
È stato quindi interessante che una notizia proveniente dai servizi segreti interni Shin Bet abbia fatto notizia sui media israeliani. Il nuovo capo dello Shin Bet, David Zini, la cui nomina era stata controversa perché associato a idee messianiche, ha tenuto una prima riunione con i capi regionali dei servizi di sicurezza. Durante la riunione ha rimproverato un agente per un'espressione che questi aveva usato. Un ufficiale aveva infatti parlato di una “missione in Cisgiordania”. Zini gli ha fatto notare che da quel momento in poi la terminologia dello Shin Bet sarebbe cambiata: “Cosa significa Cisgiordania? Da ora in poi cancellerete questa espressione dal nostro vocabolario, si dirà Giudea e Samaria”.

Storia biblica
  Non si tratta di una semplice correzione linguistica, ma di un riposizionamento teologico e storico: “Cisgiordania” è un termine coloniale e geografico, coniato dal linguaggio amministrativo britannico e successivamente giordano. Descrive l'area dal punto di vista giordano, a ovest del fiume Giordano. “Giudea e Samaria”, invece, sono i nomi biblici e storici del paese in cui regnavano i re d'Israele, dove operavano i profeti, dove camminava Abramo, dove Davide fu unto a Hebron. Chi dice “Giudea e Samaria” radica il presente e la politica di Israele nella sua storia biblica.
Il popolo ebraico è presente in Terra d'Israele da oltre tremila anni. Ciò è testimoniato dalla Bibbia, dall'archeologia, dalla tradizione ininterrotta della preghiera e dal desiderio di Sion. I nomi biblici Giudea, Samaria, Sion, Gerusalemme non sono solo termini storici, ma testimonianze viventi di questo legame storico. Al contrario, l'identità “palestinese” è un fenomeno molto moderno. È germogliata nella prima metà del XX secolo ed è stata alimentata in modo mirato dopo la fondazione dello Stato di Israele. La creazione artificiale di quel popolo è stata una reazione alla rinascita nazionale del popolo ebraico nella sua terra.
Lo stesso vale per l'idea che esistano “rifugiati palestinesi” o “discendenti di rifugiati”. Anche in questo caso, la scelta delle parole influenza la percezione, perché il termine ‘rifugiati’ evoca l'attuale espulsione, mentre il termine “discendenti” sottolinea la realtà di generazioni che vivono da tempo in altri paesi. È stato il grande successo propagandistico del primo leader dell'OLP, Yasser Arafat, che negli anni '60 ha promosso l'idea di un popolo e di una terra palestinesi. “De jure non esiste un popolo palestinese, ma de facto sì”, ha affermato l'ex ministro degli Esteri israeliano, presidente e artefice degli accordi di Oslo Shimon Peres.

Confini nazionali
  Lo stesso vale per i confini nazionali. L'espressione “confini del 1967” (molto popolare è anche il termine “linea verde”) suggerisce un confine di Stato riconosciuto. In realtà si tratta delle linee di cessate il fuoco del 1949, che avrebbero potuto anche essere tracciate in modo diverso e che non sono mai state riconosciute come confine. (Stranamente, la Giordania non rivendica alcun diritto su questo territorio, il che dovrebbe far riflettere). La terminologia influenza il pensiero politico sulla legittimità.
La capitale di Israele si chiama Gerusalemme. Quando si parla di “Gerusalemme Est e Ovest”, si riprende una logica di divisione che risale all'ordine postbellico del 1948. Se invece si dice: “Gerusalemme, la nostra capitale eterna e indivisa”, si fa riferimento alla continuità biblica e spirituale. “Da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore”, proclama il profeta Isaia (cap. 2). Qui il linguaggio stesso diventa la geografia della fede. “Sion” non è solo un luogo, ma una promessa, un centro spirituale. Dividendo Gerusalemme in “Est” e ‘Ovest’, il mondo distrugge il contesto spirituale che la Bibbia riassume con il termine “Sion”.

Identità
  Il linguaggio è quindi parte della sovranità. Chi definisce i propri concetti determina anche il quadro morale e storico delle proprie azioni. Ecco perché la correzione di Zini nello Shin Bet non è irrilevante, ma è un atto di autodefinizione nazionale. Un servizio segreto che dice “Giudea e Samaria” non opera in una terra di nessuno, ma nel cuore di Israele. Perché dovremmo rinunciare alla nostra identità, annacquare la nostra storia, solo per soddisfare il mondo, mentre i nemici di Israele non rinunciano a nulla, né all'odio, né alle menzogne, inventando persino un'identità solo per negare il diritto di Israele ad esistere?
La lingua è identità. Chi dice “Cisgiordania” parla come uno straniero. Chi dice “Giudea e Samaria” parla come un erede. Perché è qui che è iniziata la storia di Israele, non in Europa, non nella diaspora. Il ritorno ai nomi biblici non è nostalgia, ma affermazione di sé. Non siamo un progetto coloniale, ma un popolo che torna a casa. Forse qui calza a pennello ciò che dice il Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”. La parola crea la realtà. È il ponte tra l'invisibile e il visibile, tra lo spirito e la storia. Come la creazione è iniziata con il “Sia la luce”, così anche oggi la lingua plasma la nostra coscienza, il nostro senso di appartenenza, il nostro diritto di essere qui. Perché chi cambia la parola, tocca la realtà.
La parola è essa stessa un patto. «Io stipulerò il mio patto con te». Il patto stesso è un atto linguistico. Dio «parla» e il popolo «risponde». La parola è il legame tra cielo e terra, tra il Creatore e la nazione. Per questo ogni ritorno alla parola biblica è anche un ritorno al patto. «L'uomo diede un nome a tutti gli animali, agli uccelli del cielo e a tutti gli animali della campagna» (Genesi 2,20). Il primo mandato dell'uomo era la creazione del linguaggio. Dando un nome alle creature, Adamo riconosce e ordina il creato. Dare un nome non significa qui solo descrivere, ma anche conferire identità e relazione. Come Adamo diede un nome al mondo, così Israele ridà un nome e quindi un significato alla terra, alla sua terra. I cambiamenti di nome comportano cambiamenti di identità. Abramo divenne Abrahamo, il «padre di molti popoli», Giacobbe divenne Israele, colui che lotta con Dio e vince. Nella Bibbia un nome è sempre anche portatore di una missione, non è un'etichetta, ma una rivelazione. Quando Israele insiste sul proprio nome “Am Yisrael”, Giudea, Sion, non crea un marchio, ma afferma la sua vocazione divina.
Ecco perché questo conflitto è anche una lotta per le parole, e l'attuale governo lo capisce meglio di qualsiasi altro governo degli ultimi trent'anni. La parola è origine e arma, benedizione e pericolo allo stesso tempo. Ma in senso divino, la parola rimane creazione, non distruzione. Così ogni atto di restaurazione di Israele inizia con una parola, con il richiamo del vero nome. Parliamo quindi di Giudea, di Samaria e di Sion.

(Israel Heute, 24 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Con i salmi nei tunnel

Nell'opinione pubblica israeliana  compaiono spesso resoconti di ostaggi liberati. Molti parlano di una riscoperta della fede e i sondaggi indicano una crescente spiritualità tra gli ebrei israeliani.

di Marina Wall

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Bar Kuperstein

“Voglio ringraziare tutti coloro che hanno pregato, mi hanno sostenuto e non hanno mai smesso di sperare – e, cosa più importante, voglio ringraziare il Creatore, il Padre celeste".
Con queste parole Bar Kuperstein si rivolge all'opinione pubblica israeliana due giorni dopo il suo rilascio dalla prigionia di Hamas. Il ventitreenne era uno degli ultimi venti ostaggi ancora in vita, liberati il 13 ottobre 2025 dopo 738 giorni. E non è l'unico a parlare apertamente della sua fede. Sempre più spesso compaiono resoconti di ex ostaggi in cui i sopravvissuti testimoniano come, durante la prigionia, hanno iniziato a pregare Dio e a osservare lo Shabbat.

Sperimentare la bontà di Dio nel tunnel di Hamas
  C'è il soldato ventiduenne Matan Angrest, rapito il 7 ottobre 2023 da un carro armato in fiamme nella Striscia di Gaza. I suoi tre compagni sono caduti mentre difendevano la base di Nahal Os. In quanto soldato, è stato sottoposto a maltrattamenti particolarmente gravi. È stato torturato con scariche elettriche e picchiato così violentemente da perdere conoscenza.
Eppure, dopo il suo rilascio il 13 ottobre, Matan Angrest non solo ha raccontato delle torture e dei maltrattamenti subiti, ma anche di come, nei tunnel di Hamas, abbia iniziato a pregare tre volte al giorno, spesso recitando i Salmi. “Ho chiesto [ai terroristi] una cintura per la preghiera, un libro di preghiere e una Bibbia ebraica. Per qualche motivo me li hanno portati”. Insieme all'ostaggio tedesco-israeliano Gali Berman, durante i due anni di prigionia ha letto più volte i Cinque Libri di Mosè. Questo gli ha dato forza. Il ventottenne Berman è stato rapito dal kibbutz Kfar Asa.
C’è Omer Schem Tov, che era al Nova Festival con gli amici quando ha sentito gli spari. Ha corso per salvarsi la vita, finché non è stato catturato dai terroristi di Hamas. Durante la prigionia ha iniziato a osservare lo Shabbat e ha vissuto il suo personale miracolo di Hanukkah: una piccola bottiglia di succo mezza piena, sulla quale il ventitreenne recitava ogni venerdì sera la preghiera di benedizione (Kiddush), è durata ben cinque mesi senza esaurirsi o deteriorarsi.
“Questa è solo una piccola storia tra tante che mi ha mostrato quanto Dio sia buono e che era con me durante la prigionia”, racconta Omer Schem Tov in un video diffuso sui social media. È stato liberato nel febbraio 2025.

Stupore con i sopravvissuti
  I parenti degli ostaggi sopravvissuti sono rimasti stupiti dalla prima cosa che i loro cari hanno chiesto. Il ventunenne Rom Braslavski voleva avere i tefillin (phylacteries) già in ospedale. Keith Siegel, 66 anni, rilasciato all'inizio dell'anno, ha chiesto a sua figlia Schir una kippah e la coppa del Kiddush. Fino al 7 ottobre 2023, la tradizione ebraica era per lui soprattutto un ricordo d'infanzia. Durante la prigionia ha imparato di nuovo a pregare.
La fame quotidiana, la minaccia costante e i maltrattamenti regolari, a quanto pare hanno portato alcuni degli ostaggi sopravvissuti ad avvicinarsi alla fede ebraica. Ciò non è scontato in una società in cui, secondo i dati dell'Ufficio di statistica di agosto, il 43% della popolazione ebraica si definisce “laica”. Anche il quotidiano liberale israeliano “Ha'aretz” pone la domanda: “Perché gli ostaggi laici si rivolgono alle usanze ebraiche in condizioni di tortura e maltrattamenti?”
Una risposta viene dagli stessi ostaggi: “La forza che ho trovato lì”, dice ad esempio Rom Braslavski, “derivava dalla consapevolezza che... la ragione di tutto ciò che ho dovuto sopportare era il fatto di essere ebreo”. 
L'ostaggio Agam Berger, liberato alla fine di gennaio, ha avuto esperienze simili. La ventunenne scrive in un articolo sul “Wall Street Journal”: "Capire di essere sopravvissuta al massacro – mentre neonati, bambini, donne e anziani venivano uccisi solo perché erano ebrei – mi ha fatto capire che ero stata scelta da Dio e che Lui mi avrebbe protetta. Sapevo anche di non essere la prima ebrea credente ad essere stata imprigionata».

Nuovo risveglio della fede?
  Secondo «Ha’aretz», i resoconti degli ostaggi sono stati accolti in Israele in modo largamente positivo, se non addirittura entusiasta. Ciò potrebbe anche essere dovuto al fatto che la percentuale di ebrei religiosi è in costante aumento da anni. Il loro numero esatto varia a seconda degli studi. L'Istituto israeliano indipendente per la democrazia parla di circa il 14% di ebrei ultraortodossi (Haredim), mentre l'Ufficio di statistica indica la loro percentuale sulla popolazione ebraica all'11,4%. Insieme agli ebrei ortodossi, quasi un quarto degli adulti ebrei in Israele si definisce religioso. E gli esperti concordano sul fatto che questa tendenza è destinata a continuare, anche solo per il tasso di natalità nettamente più elevato nelle classi sociali religiose.
Ma in che misura il 7 ottobre 2023 ha influenzato la religiosità di ampie fasce della popolazione? “Chiddusch” (rinnovamento), un'organizzazione che si batte per la libertà religiosa e la parità di diritti per tutte le confessioni ebraiche, ha voluto scoprirlo. In un sondaggio rappresentativo, un quarto degli intervistati ha dichiarato che l'attacco ha rafforzato la propria fede, mentre il 7% ha affermato che l'ha indebolita.
Anche i dati dell'organizzazione moderatamente ortodossa “Zohar” (apertura, porta) vanno in questa direzione. La sua offerta – una serie di programmi e servizi relativi al ciclo di vita ebraico, come feste, matrimoni o nascite – si rivolge principalmente agli ebrei laici.
Negli ultimi due anni le richieste sono aumentate, ha dichiarato il presidente rabbino David Stav ai media israeliani in ottobre. Solo fino ad agosto 2025, “Zohar” ha celebrato più di 1.200 bar mitzvah, rispetto alle 999 del 2024 e alle 747 del 2023. Con il bar mitzvah, un ragazzo ebreo di 13 anni raggiunge la maturità religiosa. Anche la richiesta di matrimoni religiosi è aumentata. Nel giorno dell'espiazione Yom Kippur, la festività ebraica più importante, quest'anno “Zohar” ha gestito 426 centri di preghiera. Nel 2024 erano 406, un anno prima 359.

Elaborare esperienze limite
  Nonostante l'aumento delle richieste, Stav rimane cauto. Le persone sono alla ricerca di un legame con Dio, ma “non necessariamente attraverso la religione in senso tradizionale. Vogliono essere in contatto con Dio e allo stesso tempo mantenere il loro stile di vita abituale”. Anche la vicedirettrice di Chiddusch, Jifat Solel, si astiene da interpretazioni di ampia portata. Non vede un cambiamento fondamentale nella fede. “Non è che le persone laiche stiano diventando più religiose”, ha detto al sito di notizie israeliano “Times of Israel”. Piuttosto, le persone religiose stanno diventando ancora più religiose.
In un'intervista con “Ha'aretz”, lo psicologo David Rosmarin, che insegna all'Università di Harvard nel Massachusetts, sottolinea che la religione è adatta per elaborare esperienze limite. Gli israeliani “hanno probabilmente vissuto un risveglio religioso o spirituale, per quanto piccolo. Questa familiarità promuove la solidarietà. Ciò rafforza la comune identità ebraica e israeliana e l'orgoglio”.

Sempre nelle mani di Dio
  Bar Kuperstein, che secondo sua madre Julie non era religioso prima del rapimento, ha scoperto la fede ebraica nei tunnel di Hamas. Le guardie hanno spesso cercato di convertire lui e gli altri ostaggi all'Islam, ma invano: ogni venerdì sera gli ostaggi si scambiavano la tradizionale benedizione dello Shabbat. Bar recitava spesso anche la preghiera “Shema Israel” e i salmi che conosceva a memoria. Bar Kuperstein ha dichiarato ai media israeliani di essere sopravvissuto ai due anni trascorsi nei tunnel di Hamas solo perché sapeva di essere nelle mani di Dio.
In una situazione che ricorda come particolarmente terribile, un terrorista di Hamas aveva annunciato che avrebbe ucciso tre dei sei ostaggi. Chiese ai prigionieri di scegliere chi di loro sarebbe morto e chi sarebbe rimasto in vita. “Ricordo solo di aver implorato Dio e pregato: ‘Dio, salvami. Ora sono nelle tue mani’”. Una preghiera che ha recitato spesso nei tunnel. Alla fine il terrorista non ha portato a termine il suo piano.
Una volta tornato in libertà, Kuperstein ha saputo che sua madre era stata chiamata da uno dei terroristi di Hamas. Le chiese di recarsi all'Aia per adire la Corte penale internazionale contro il governo israeliano e ottenere così il rilascio di suo figlio, che era nelle mani di Hamas. Julie Kuperstein rispose: “Mio figlio non è nelle vostre mani, è nelle mani di Dio – e anche voi siete nelle mani di Dio”.
Questo è ora il motto della famiglia Kuperstein: “Sempre nelle mani di Dio”. Un braccialetto con queste parole ricorda costantemente come entrambi, madre e figlio, siano stati sostenuti da questa fede.

Agam Berger
Agam Berger, 21 anni, stava prestando servizio militare ed era una ricognitrice quando è stata rapita dalla sua base di Nahal Os. Al suo ritorno nel gennaio 2025, mentre era ancora sull'elicottero che la riportava da Gaza a Israele, ha scritto: “Ho scelto la via della fede e sono tornata sulla via della fede”.
Agam Berger è cresciuta in una famiglia laica a Holon, a sud di Tel Aviv. Al momento del suo rapimento, ha ripetuto più volte la preghiera “Shema Israel” (Ascolta Israele), ha raccontato dopo il suo rilascio. A Gaza ha imparato, come già i suoi antenati, che "la prigionia non può distruggere la vita spirituale interiore. La nostra fede e il nostro patto con Dio, la storia che ricordiamo durante la Pasqua ebraica, sono più forti di qualsiasi oppressore crudele". La sua compagna di prigionia Liri Albag ha persino scritto una Haggadah di Pesach improvvisata, in modo che potessero celebrare la grande festa della liberazione anche durante la prigionia. La Haggadah contiene la liturgia per il pasto del Seder della prima sera della Pasqua ebraica.
Questo atteggiamento ha anche portato la famiglia di Berger ad avvicinarsi nuovamente alla fede ebraica. Sua cugina, la YouTuber Ashley Waxman Bakshi, ha dichiarato ai media israeliani: “Due anni fa ero atea, ma Agam ha ispirato tutti noi”. Ora va alla sinagoga per la funzione dello Shabbat.
I genitori di Berger osservano lo Shabbat dal rapimento della figlia. Da allora la loro fede si è evoluta, hanno affermato. Soprattutto i racconti dei compagni di prigionia, liberati già nel novembre 2023, hanno lasciato un'impressione indelebile sui Berger: hanno saputo che Agam pregava prima dei pasti e si rifiutava di lavorare per i rapitori durante lo Shabbat. Sua madre ha deciso consapevolmente di considerare l'intollerabile situazione come una prova della sua fede. Non è stato facile per lei, ha raccontato ai media israeliani. Soprattutto nel primo mese e mezzo dopo il rapimento della figlia, si è isolata da tutti, “solo io e i salmi, 24 ore su 24”.

(Israelnetz, 23 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 6
    L'arca rimandata a Israele
  • L'arca dell'Eterno rimase nel paese dei Filistei sette mesi.  Poi i Filistei chiamarono i sacerdoti e gli indovini, e dissero: “Che faremo dell'arca dell'Eterno? Insegnateci il modo di rimandarla al suo luogo”. E quelli risposero: “Se rimandate l'arca dell'Iddio d'Israele, non la rimandate senza nulla, ma fate un'offerta per la colpa; allora guarirete, e così saprete perché la sua mano non si è allontanata da voi”.  Essi chiesero: “Quale offerta per la colpa gli offriremo?”. Quelli risposero: “Cinque emorroidi d'oro e cinque topi d'oro, secondo il numero dei prìncipi dei Filistei; poiché una stessa piaga ha colpito voi e i vostri prìncipi.  Fate dunque delle raffigurazioni delle vostre emorroidi e delle riproduzioni dei topi che vi devastano il paese, e date gloria all'Iddio d'Israele; forse egli allenterà la sua mano su di voi, sui vostri dèi e sul vostro paese.  E perché dovreste indurire il vostro cuore come gli Egiziani e Faraone indurirono il loro cuore? Dopo che egli ebbe manifestato contro di loro la sua potenza, gli Egiziani non lasciarono forse partire gli Israeliti, così che questi poterono andarsene? 
  • Ora dunque fatevi un carro nuovo, prendete due vacche che allattino e che non abbiano mai portato giogo, attaccate al carro le vacche e riconducete nella stalla i loro vitelli.  Poi prendete l'arca dell'Eterno e mettetela sul carro; e accanto a essa ponete, in una cassetta, i lavori d'oro che presentate all'Eterno come offerta per la colpa; e lasciatela, in modo che se ne vada.  E state a vedere: se sale per la via che conduce al suo paese, verso Bet-Semes, vuol dire che l'Eterno è colui che ci ha fatto questo gran male; altrimenti sapremo che non ci ha colpito la sua mano, ma che questo ci è avvenuto per caso”. 
  • Quelli dunque fecero così; presero due vacche che allattavano, le attaccarono al carro e chiusero nella stalla i vitelli. Poi misero sul carro l'arca dell'Eterno e la cassetta con i topi d'oro e le raffigurazioni delle emorroidi. Le vacche presero direttamente la via che conduce a Bet-Semes; seguirono sempre la stessa strada, muggendo mentre andavano e non piegarono né a destra né a sinistra. I prìncipi dei Filistei le seguirono fino ai confini di Bet-Semes. 
  • Ora quei di Bet-Semes mietevano il grano nella valle; e alzando gli occhi videro l'arca e si rallegrarono vedendola. Il carro, giunto al campo di Giosuè di Bet-Semes, vi si fermò. C'era là una grande pietra; essi spaccarono il legname del carro e offrirono le vacche in olocausto all'Eterno. I Leviti deposero l'arca dell'Eterno e la cassetta che le stava accanto e conteneva gli oggetti d'oro, e misero ogni cosa sulla grande pietra; e, in quello stesso giorno, quelli di Bet-Semes offrirono olocausti e presentarono sacrifici all'Eterno. I cinque prìncipi dei Filistei, visto ciò, tornarono il giorno stesso a Ecron. 
  • Questo è il numero delle emorroidi d'oro che i Filistei presentarono all'Eterno come offerta per la colpa; una per Asdod, una per Gaza, una per Ascalon, una per Gat, una per Ecron. E dei topi d'oro ne offrirono tanti quante erano le città dei Filistei appartenenti ai cinque prìncipi, dalle città murate ai villaggi di campagna che si estendono fino alla grande pietra sulla quale fu posata l'arca dell'Eterno, e che sussiste anche al giorno d'oggi nel campo di Giosuè, il Bet-Semita. 
  • L'Eterno colpì quelli di Bet-Semes, perché avevano guardato dentro l'arca dell'Eterno; colpì settanta uomini del popolo. Il popolo fece cordoglio, perché l'Eterno lo aveva colpito con una grande piaga. E quelli di Bet-Semes dissero: “Chi può sussistere in presenza dell'Eterno, di questo Dio santo? E da chi salirà l'arca, partendo da noi?”. E spedirono dei messaggeri agli abitanti di Chiriat-Iearim per dire loro: “I Filistei hanno ricondotto l'arca dell'Eterno; scendete e portatela presso di voi”.
  • Quelli di Chiriat-Iearim vennero a prendere l'arca dell'Eterno, e la trasportarono in casa di Abinadab, sulla collina, e consacrarono suo figlio Eleazar, perché custodisse l'arca dell'Eterno.
(Notizie su Israele, 23 dicembre 2025)


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La logica biblica delle zone cuscinetto

Il ritorno della geografia. Perché Israele sta ridisegnando i propri confini. Dalla tecnologia al territorio. Il “piano delle tre linee” per il Libano segna la fine di un'era e l'inizio di una nuova, dura dottrina di sicurezza.

di Aviel Schneider

L'impianto di confine tra Israele e Libano lungo la cosiddetta Linea Blu con un contrassegno delle Nazioni Unite, novembre 2025
GERUSALEMME - Le ultime notizie dal Libano dipingono un quadro di cambiamento strategico fondamentale, che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dovrebbe presentare a breve al presidente degli Stati Uniti Donald Trump a Washington. In sostanza, si tratta, tra le altre cose, di un piano di riorganizzazione del Libano meridionale, che non considera più l'area a sud del fiume Litani come un territorio omogeneo, ma la suddivide in tre zone di sicurezza funzionali. Questo approccio è molto più di una misura tattica locale, segna un cambiamento di paradigma nella dottrina di sicurezza israeliana, che presenta parallelismi con l'approccio adottato nella Striscia di Gaza e al confine siriano. Il trauma del 7 ottobre ha distrutto l'illusione politica di poter gestire il male ai propri confini. Israele sta ora tornando alla dura logica della Bibbia: chi tollera il nemico come vicino diretto, invece di respingerlo con decisione, si ritrova con “spine negli occhi” e “pungiglioni nel fianco”, un monito che si è concretizzato in modo sanguinoso.
Il modello delle tre linee. Una nuova geografia della sicurezza. Il piano prevede di suddividere lo spazio tra il confine israeliano e il fiume Litani in tre zone definite, al fine di prevenire una futura escalation e di esigere il disarmo di Hezbollah non solo sulla carta, ma anche fisicamente.
La Linea Blu. Confine internazionale. La prima linea è il confine esistente e riconosciuto a livello internazionale, la cosiddetta “Linea Blu”. Secondo il diritto internazionale, essa rimane la linea di demarcazione della sovranità israeliana. Tuttavia, a differenza di quanto avveniva prima del 7 ottobre, Israele non conta più sul fatto che questa linea possa essere protetta solo da recinzioni o osservatori dell'ONU.
La linea rossa. Zona di sicurezza sterile. Il cuore del piano è la creazione di una nuova “linea rossa” che si estende per circa tre-cinque chilometri nel territorio libanese. Questa striscia funge da corridoio di sicurezza ermeticamente chiuso. Qui Israele non richiede solo sicurezza teorica, ma assoluta libertà operativa. Ciò significa una presenza israeliana permanente e supportata dalla tecnologia con sensori, telecamere e sistemi di fuoco automatizzati, nonché il divieto di qualsiasi avvicinamento civile o militare. L'obiettivo di questa “zona sterile” è quello di interrompere il contatto visivo diretto di Hezbollah con le località di confine israeliane e rendere impossibile l'uso di armi a traiettoria bassa, come i micidiali missili anticarro Kornet, contro le case di Metulla o Shlomi.
La linea verde. Zona cuscinetto controllata. A nord di essa, nell'area compresa tra la linea rossa e il fiume Litani, a circa dieci-venti chilometri dal confine internazionale, dovrebbe sorgere una zona cuscinetto. Il termine “verde” è in questo caso ingannevole, poiché non si tratta di una zona libera, ma di un'area soggetta a severe restrizioni. Israele potrebbe acconsentire al ritorno della popolazione civile libanese, ma a condizioni draconiane: divieto assoluto di infrastrutture militari, divieto di stoccaggio di armi e un regime di sorveglianza molto stretto.
Il fenomeno della “frammentazione territoriale” è un modello regionale. Questa strategia in Libano non è un caso isolato. Fa parte di un modello regionale più ampio che può essere definito come divisione territoriale.
Israele applica ormai questo modello di difesa a strati in quasi tutte le zone vicine al fronte, spinto dalla consapevolezza che né i mandati internazionali né le recinzioni elettroniche possono garantire da soli la sicurezza. Il termine “difesa a cipolla”, spesso chiamato in inglese “Defense in Depth” o “Layered Defense”, è una strategia militare e di sicurezza. Si basa sul principio che un aggressore non deve superare un unico ostacolo, ma deve combattere attraverso diversi livelli di difesa sovrapposti per raggiungere l'obiettivo o il nucleo.
L'impianto di confine tra Israele e Libano lungo la cosiddetta Linea
Blu con un contrassegno delle Nazioni Unite, novembre 2025        
Uno sguardo agli altri fronti mostra la Striscia di Gaza e la “Linea Gialla”. Nella Striscia di Gaza, Israele ha suddiviso fisicamente l'enclave, ad esempio attraverso il corridoio di Netzarim, e ha stabilito un cosiddetto perimetro, una zona di sicurezza profonda circa un chilometro all'interno della Striscia di Gaza. La logica è identica: la guerra viene trasferita sul territorio nemico. La divisione serve a controllare i flussi di armi e i movimenti delle truppe e impedisce che le minacce si avvicinino alla recinzione di confine israeliana.
Siria e zona cuscinetto orientale. Qualcosa di simile sta accadendo, spesso sotto il radar dell'opinione pubblica mondiale, sul Golan siriano. Israele sta approfittando della debolezza del nuovo regime siriano per respingere verso est, oltre la vecchia linea di cessate il fuoco del 1974 (“linea Alpha”), le nuove minacce delle milizie jihadiste. Anche in questo caso viene creata una zona cuscinetto che separa fisicamente le nuove minacce dal confine israeliano.
Quello a cui stiamo assistendo è l'abbandono della difesa passiva – rifugi, muri, cupola di ferro – a favore di una dottrina di difesa territoriale offensiva. Questa si basa su tre pilastri:
Rifiuto della zona di schieramento. Una lezione traumatica appresa dal 7 ottobre e dai piani di invasione svelati di Hezbollah (“Piano per la conquista della Galilea”) è chiara: non si deve permettere al nemico di schierarsi direttamente lungo la recinzione di confine. Lo spazio davanti al proprio confine deve essere libero dal nemico.
Prezzo territoriale. Israele reintroduce una valuta comprensibile in Medio Oriente: la terra. L'aggressione viene punita con la perdita di territorio. Il calcolo alla base è che la perdita di terreno per nemici come Hezbollah o il regime siriano spesso pesa di più e rappresenta un deterrente più forte della perdita di combattenti.
Fine della fiducia. La fiducia nelle forze di protezione internazionali è crollata. Né l'UNIFIL in Libano né l'UNDOF in Siria sono state in grado di impedire l'armamento dei nemici. L'istituzione della “linea rossa” è il chiaro messaggio di Gerusalemme al mondo: “Non affideremo più la nostra sicurezza a nessuno, tranne che a noi stessi”.
Dietro le nuove linee militari di Israele si rivela una profonda dimensione biblica che spiega l'irrisolvibile dilemma della regione. Israele può e deve fare affidamento solo su se stesso, e per questo la strategia di Israele di mantenere una distanza fisica segue la dura logica della Bibbia. Qui si avverte che i nemici che si tollerano direttamente al proprio fianco diventano “spine negli occhi” e “pungiglioni nei fianchi”, anche se sono abitanti del paese.
“Ma se non scaccerete davanti a voi gli abitanti del paese, quelli che lascerete vi saranno spine negli occhi e spine nei fianchi e vi daranno fastidio nel paese in cui abiterete” (Numeri 33).
I ritiri dal Libano (2000) e dalla Striscia di Gaza (2005) hanno confermato in modo sanguinoso questo avvertimento: la vicinanza del nemico ha portato al terrore e al trauma del 7 ottobre. La nuova dottrina di Israele è quindi il tardivo tentativo di attuare militarmente questo avvertimento biblico e di rimuovere la spina attraverso la distanza.
Ora si potrebbe obiettare che questo versetto si riferisce ai popoli cananei all'interno del paese, che dovevano essere espulsi. Questo è corretto. Ma la geografia biblica non coincide con gli attuali confini politici degli Stati. Per molti israeliani l'avvertimento colpisce nel segno, perché sia la Striscia di Gaza che il Libano meridionale non sono, dal punto di vista biblico, paesi stranieri, tanto meno per l'attuale coalizione di governo israeliana. Gaza faceva parte del territorio della tribù di Giuda, mentre il Libano meridionale fino a Sidone appartiene al patrimonio storico della tribù di Aser, detta anche Naftali. I ritiri di Israele, sia dalla zona di sicurezza in Libano nel 2000 che da Gush Katif nella Striscia di Gaza nel 2005, sono stati, da questo punto di vista, un ritiro dal suolo biblico. Chiunque lasci il vuoto su questo antico patrimonio al nemico e tolleri il pericolo alle sue immediate spalle, trasforma inevitabilmente i vicini in spine che non danno tregua finché non pungono. La presenza del nemico proprio alle porte, come l'unità Radwan in Libano o Hamas nella Striscia di Gaza, soddisfa il principio del versetto: Sono così vicini che opprimono Israele nella terra in cui vivete, proprio come era stato predetto.
Ma i vicini arabi leggono la stessa mappa in modo completamente diverso. Guardano alle promesse della Bibbia, che estendono i confini di Israele fino al Libano e all'Eufrate. Laddove Gerusalemme vede oggi solo una cintura di sicurezza temporanea per l'autodifesa, il mondo arabo intravede l'inizio di una campagna di espansione teologica. Essi interpretano le zone cuscinetto non come una misura di protezione, ma come la graduale realizzazione di una “Grande Israele”. Ciò che per Israele è una mera protezione della propria esistenza, per i vicini è la prova delle loro più profonde paure di un'espansione biblica di Israele.
Spine negli occhi” e “pungiglioni nei fianchi” mettono in guardia dal cercare un modus vivendi con il male assoluto. Il male non si può gestire. Ricordiamo che i governi di Netanyahu hanno cercato per anni di gestire Hamas nella Striscia di Gaza, finché il 7 ottobre la situazione ci è esplosa in faccia. La strategia della tolleranza ha fallito. La logica biblica richiede una decisione chiara: o si respinge il male, sia al di là del confine che all'interno, oppure si accetta di esserne oppressi.

(Israel Heute, 23 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Abu Mazen avrebbe celebrato il 7 ottobre: la leadership palestinese è davvero “moderata”?

Il giornalista israeliano Amit Segal ha rivelato che “secondo un estratto di un’intervista pubblicato da Zvi Yehezkely”, Mahmoud Abbas avrebbe definito il 7 ottobre “il giorno più grande della storia palestinese davanti a decine di persone”. E mentre la popolarità del leader è al minimo fra i suoi, è sempre più reale il rischio che definire l’AP  il partner moderato a cui affidare il “dopo” Gaza si riveli un grande abbaglio.

di Davide Cucciati

In un lungo intervento pubblicato su X del 16 dicembre 2025, il giornalista israeliano Amit Segal ha rilanciato un contenuto che ha riaperto il dibattito sul ruolo dell’Autorità Palestinese. “Il “partner” di Israele per la pace sembra aver celebrato il 7 ottobre”, ha scritto Segal, precisando che, “secondo un estratto di un’intervista pubblicato da Zvi Yehezkely”, Mahmoud Abbas avrebbe parlato del pogrom del 7 ottobre in termini celebrativi. Abu Mazen avrebbe definito il 7 ottobre “il giorno più grande della storia palestinese”. Non una frase pronunciata in privato ma detta “davanti a decine di persone”.
La condanna delle violenze di Hamas sarebbe arrivata solo quasi due anni dopo e nel contesto di pressioni politiche legate alla spinta franco-saudita sulla statualità palestinese, con un ruolo rilevante anche degli Stati Uniti. La conclusione di Segal è netta e volutamente provocatoria: se per ottenere una condanna della violenza serve più fatica che strappare un dente, allora chiamare “moderato” l’interlocutore non descrive la realtà, ma una necessità diplomatica.

I dati PSR, cosa pensa oggi la società palestinese
Questo quadro non resta isolato se si guarda all’opinione pubblica palestinese. Come illustrato in un articolo pubblicato queste pagine il 3 novembre 2025, basato sull’ultima rilevazione del Palestinian Center for Policy and Survey Research, la società palestinese appare frammentata e polarizzata, ma con alcune linee di fondo molto chiare. Infatti, il sostegno all’attacco del 7 ottobre resta maggioritario: oltre il 50% degli intervistati favorevoli, in lieve aumento rispetto alla primavera 2025, alto in Giudea e Samaria (West Bank) nonché di nuovo in crescita anche a Gaza. Il disarmo di Hamas come via per porre fine al conflitto è rifiutato dall’85% degli intervistati in West Bank e dal 55% a Gaza. Questo induce a ipotizzare che le bande rivali di Hamas abbiano un consenso al momento limitato. Del resto, anche Abu Shabab, leader di una gang che a lungo è stata narrata come seria rivale di Hamas, è già deceduto senza esser riuscito a cambiare gli equilibri nella Striscia.
Un dato particolarmente significativo riguarda la percezione dei fatti del 7 ottobre: la maggioranza assoluta degli intervistati non crede che Hamas abbia commesso le atrocità riportate dai media internazionali.
Sul piano della leadership, il distacco è altrettanto marcato. Nei sondaggi presidenziali Abbas si ferma attorno al 13%, mentre Marwan Barghouti emerge come il leader più popolare.

Barghouti, il “Mandela palestinese” e la continuità con la violenza
Nello stesso intervento su X, Segal allarga lo sguardo proprio a Marwan Barghouti, spesso presentato nel dibattito occidentale come il possibile volto futuro della leadership palestinese, talvolta con l’etichetta del “Mandela palestinese”, attribuitagli anche da centinaia di personalità occidentali. Il giornalista israeliano osserva che Barghouti ha esortato a “non restare semplici testimoni, ma a diventare soldati attivi nella battaglia decisiva”, invitando il movimento giovanile di Fatah a trasformare l’anniversario della prima intifada “in un punto di svolta e nell’inizio dell’escalation della lotta contro il nemico israeliano, usando tutti gli strumenti e le capacità a disposizione”.

Il precedente ignorato, l’intervista a Repubblica del novembre 2023
  Questo scollamento tra narrazione internazionale e realtà interna non emerge solo oggi. Già nei giorni immediatamente successivi al 7 ottobre, un’intervista pubblicata da Repubblica nel novembre 2023 offriva una chiave di lettura sorprendentemente coerente con il quadro attuale. In quell’occasione Fadwa Barghouti, moglie di Marwan Barghouti, spiegava che Abu Mazen non rappresentava più i palestinesi, pur restando formalmente il presidente eletto, ricordando che l’ultima elezione risalisse a quasi vent’anni prima. La dichiarazione di Abbas secondo cui “Hamas non rappresenta i palestinesi” aveva provocato una chiamata all’insubordinazione da Fatah stessa. Nei cortei e sui muri compariva lo slogan della Primavera araba, “giù il regime”, con un obiettivo che, sottolineava, non era solo Israele.
Nella stessa intervista, Hamas veniva descritto non solo come un’organizzazione politica e militare, ma come un’idea, un sinonimo di resistenza e azione. In quel contesto Fadwa Barghouti formulava anche una previsione che, riletta oggi, colpisce per lucidità: Israele avrebbe eliminato Yahya Sinwar, per dichiarare Hamas decapitata, lasciando però intatto il problema strutturale. Sinwar è stato effettivamente ucciso ma la domanda posta allora resta aperta.

Lo spettro della “konzeptzia”
  Questo dibattito richiama un concetto che in Israele ha un peso storico preciso: la “konzeptzia”. Prima della guerra dello Yom Kippur, fu la convinzione che Egitto e Siria non avrebbero attaccato senza determinate condizioni a paralizzare l’analisi dell’intelligence. Dopo il 7 ottobre, la stessa parola è tornata per descrivere l’idea che Hamas fosse interessato soprattutto a consolidare la propria presa su Gaza e a ottenere concessioni economiche più che a pianificare degli attacchi. Oggi il rischio è di cadere in una “konzeptzia” diversa ma speculare, non militare bensì politica: l’assunzione che l’Autorità Palestinese sia per definizione il partner moderato a cui affidare il “dopo”, indipendentemente dal linguaggio che usa, dal consenso reale di cui gode e dal rapporto irrisolto con la violenza. Cambia l’oggetto della convinzione ma resta lo stesso errore di fondo: scambiare una necessità strategica per una realtà dimostrata.
La tentazione è anche un’altra: ridurre Gaza a un dossier di ricostruzione trattato con un lessico da valorizzazione immobiliare. Le dichiarazioni pubbliche di figure dell’area Trump, a partire dall’idea del “waterfront” come asset e dalla retorica della “Riviera”, mostrano una mentalità da real estate applicata a un teatro umano e politico. Su questo sfondo, i piani internazionali di stabilizzazione restano nebulosi: la Lega Araba è chiamata a dar seguito ai pur importanti annunci fatti nei mesi precedenti. Al momento, la composizione dell’International Stabilization Force non è nota e il primo ministro Netanyahu ha espresso scetticismo sulla capacità di una forza multinazionale di disarmare Hamas.

(Bet Magazine Mosaico, 23 dicembre 2025)

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Netanyahu riceve i capi di Stato di Grecia e Cipro

GERUSALEMME – Per la prima volta dal massacro terroristico del 7 ottobre, i capi di governo di Grecia, Israele e Cipro si sono riuniti nuovamente in un vertice. Lunedì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Likud) ha ricevuto a Gerusalemme il suo omologo greco Kyriakos Mitsotakis (Nea Dimokratia) e il presidente cipriota Nikos Christodoulides (senza partito).
Alla presenza dei suoi ospiti, Netanyahu ha sottolineato in una conferenza stampa la cooperazione economica tra i tre paesi mediterranei. Numerosi finanziatori israeliani stanno investendo in Grecia e aziende israeliane si stanno trasferendo a Cipro e in Grecia. Questo è un segno di buona politica in questi paesi. “Non siamo invidiosi. Crediamo nella concorrenza”.

Avvertimento alla Turchia
  Secondo Netanyahu, i tre politici vogliono portare avanti alcuni progetti già avviati. Tra questi figura in particolare il corridoio economico che collega l'India all'Europa attraverso la penisola arabica e Israele. Inoltre, tutti e tre i paesi sostengono l'estensione degli accordi di Abramo e la “sovranità del Libano”, ovvero un Libano libero dall'influenza iraniana.
Netanyahu ha rivolto un messaggio alla Turchia, senza nominarla: "A coloro che sognano di ricostruire i loro imperi sui nostri paesi, dico: scordatevelo. Non succederà, non ci pensate nemmeno“.
La Grecia, Israele e Cipro sono ”vere democrazie nel Mediterraneo orientale“, ha continuato Netanyahu. Tutti e tre vogliono rafforzare la cooperazione in materia di economia e difesa. ”Insieme creiamo stabilità attraverso la forza, prosperità attraverso la forza e, cosa più importante, pace attraverso la forza".

Megaprogetto ritardato
  I paesi coinvolti hanno concordato il previsto corridoio economico tra l'India e l'Europa attraverso la penisola arabica e Israele a margine del vertice del G20 nel settembre 2023. Pochi giorni dopo, Netanyahu ha elogiato le possibilità offerte da questo progetto nel suo discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ma poi il massacro terroristico del 7 ottobre 2023 e la guerra che ne è seguita hanno ritardato la sua attuazione.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (AKP) disapprova il progetto perché esclude la Turchia. In linea di principio, le relazioni della Turchia con i tre paesi del vertice sono tese: Erdogan minaccia Israele di annientamento, la Turchia occupa Cipro Nord dal 1974 ed è in conflitto con la Grecia per i giacimenti di gas nel Mediterraneo.
Da tempo la Turchia cerca inoltre di espandere la propria influenza nella regione e oltre, ad esempio in Africa. Nei suoi discorsi Erdogan allude spesso all'antico potere dell'Impero Ottomano. A seguito della caduta del regime di Al-Assad più di un anno fa, Ankara vede l'opportunità di rafforzare la propria presenza in quella zona. 

(Israelnetz, 23 dicembre 2025)

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Il tempio e il suo luogo

di Daniel Frick

Da decenni gli arabi palestinesi cercano di negare il legame tra il popolo ebraico e la terra di Israele. Durante i negoziati di Camp David nel luglio 2000, Yasser Arafat (1929-2004) affermò che a Gerusalemme non era mai esistito un tempio ebraico, ma solo un obelisco. Il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, egli stesso battista, replicò indignato al presidente dell'Autorità Palestinese: «Mai esistito un tempio ebraico? Mi sta dicendo che la mia Bibbia è sbagliata?»
La tradizione di questa negazione è portata avanti dal successore di Arafat, Mahmud Abbas, come ad esempio questa primavera. Il 23 aprile il Consiglio centrale dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) si è riunito a Ramallah. Nel suo discorso trasmesso in televisione, Abbas ha affermato che i due templi ebraici si trovavano nello Yemen. A tal proposito ha fatto riferimento al Corano e ad “altri libri divini”. “Chi ama leggere di religione può verificarlo”.
Che i templi ebraici si trovassero a Gerusalemme è dimostrato anche da fonti extra-bibliche e testimonianze antiche. L'Arco di Tito a Roma, ad esempio, raffigura il saccheggio del tesoro del tempio dopo la conquista di Gerusalemme nel 70 d.C.

Falsificazione della storia alle Nazioni Unite
  Ciononostante, la comunità internazionale ha volentieri sostenuto la falsificazione della storia a favore dei palestinesi. Ad esempio, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) ha utilizzato nelle risoluzioni pertinenti esclusivamente il nome arabo dell'area (“Haram el-Sharif”/“Sacro Patio”) ignorando così il riferimento ebraico. Tuttavia, per i musulmani questo luogo è il terzo più sacro dopo La Mecca e Medina, mentre per gli ebrei è il più sacro.
L'intento di queste negazioni è chiaro: giustificare la “causa palestinese” e conferirle maggiore sacralità. Chi nega il legame degli ebrei con la terra di Israele arriva rapidamente a considerare gli ebrei come coloni e i palestinesi come abitanti originari. Da qui il passo è breve per arrivare a rivendicare una “Palestina dal fiume al mare”, ovvero la distruzione di Israele.

Una guida turistica significativa
  È quindi ancora più sorprendente che i musulmani influenti nel paese a ovest del Giordano un tempo parlassero con naturalezza del Tempio di Gerusalemme. Cento anni fa, il Consiglio Supremo Musulmano, la massima autorità musulmana nell'allora territorio sotto mandato della Palestina, pubblicò una guida turistica in lingua inglese sul “Santuario Sublime”. Nelle osservazioni introduttive sulla storia dell'area si legge: “La sua corrispondenza con il sito del Tempio di Salomone è indiscutibile”.
Gli autori affermano inoltre che, “secondo la credenza popolare”, si tratta del luogo in cui Davide un tempo offriva sacrifici. A tal proposito citano la Bibbia ebraica, precisamente 2 Samuele 24,25: “E Davide costruì là un altare al Signore e offrì olocausti e sacrifici di ringraziamento. E il Signore tornò ad avere misericordia del paese, e la piaga si allontanò dal popolo d'Israele”.
È interessante notare che all'epoca il presidente del Consiglio Supremo Musulmano era il famigerato Amin al-Husseini(1895-1974), che in seguito i nazisti fecero trasmettere da Berlino discorsi radiofonici antisemiti per gli arabi. L'antisionista era Gran Muftì di Gerusalemme dal 1921 e dal 1922 era a capo del Consiglio. La lotta per la terra era già iniziata all'epoca, al più tardi con i disordini di Nabi Musa del 1920, che Al-Husseini aveva contribuito ad alimentare.

Dalla propaganda all'odio al terrorismo
  Ben presto iniziarono le menzogne sul Monte del Tempio. Nel 1929 fu avanzata per la prima volta l'affermazione che gli ebrei volessero distruggere la moschea di Al-Aqsa. Anche in questo caso Al-Husseini fu responsabile dell'incitamento. Ciò portò al massacro di Hebron, in cui furono uccisi 67 ebrei della città dei patriarchi.
Tale affermazione è ancora oggi molto diffusa. La situazione raggiunse il culmine dieci anni fa, quando i palestinesi uccisero numerosi ebrei a causa di tale incitamento, questa volta proveniente dalla bocca di Abbas e dai media dell'Autorità Palestinese.
Tra ottobre 2015 e marzo 2016, le autorità di sicurezza israeliane hanno registrato 211 attacchi con coltello, 83 con arma da fuoco e 42 con auto. Sono stati uccisi 38 israeliani e 235 palestinesi, di cui 130 mentre stavano compiendo un attacco.

Interpretazione azzardata
  La tesi del “tempio nello Yemen” è leggermente più recente delle voci su Al-Aqsa. Il suo autore è Kamal Salibi (1929-2011). Nel 1985, l'allora professore di storia e archeologia all'Università Americana di Beirut – e cristiano convinto – pubblicò un libro su questo argomento. Secondo tale tesi, re Salomone un tempo regnava nella regione di Asir, nel sud-ovest dell'attuale Arabia Saudita, e lì costruì il tempio. La rivista tedesca “Spiegel” dedicò all'epoca a questa tesi una serie in tre parti, che fu respinta dal mondo accademico.
Salibi sosteneva che numerosi nomi di luoghi che compaiono nella Bibbia ebraica si trovano nella regione di Asir, quindi le storie bibliche si svolgono lì. Secondo questa teoria, gli Israeliti arrivarono lì dall'Egitto e solo dopo l'esilio babilonese raggiunsero l'area oggi conosciuta come Israele. Con le “altre scritture divine” Abbas intendeva quindi, in aprile, la Bibbia ebraica nell'interpretazione di Salibi.
Già Arafat aveva ripreso questa tesi: nel 2003 aveva trasferito retoricamente i templi nel sud-ovest della penisola arabica, dopo che tre anni prima, durante i negoziati di Camp David, li aveva ancora collocati a Nablus. Egli stesso aveva visitato lo Yemen, disse ai leader arabi del nord di Israele il 25 settembre 2003. Lì aveva visto con i propri occhi il sito degli antichi templi nello Yemen. In un certo senso, questa è un'intensificazione della menzogna del “tempio di Nablus”, perché in questo modo il luogo più sacro per gli ebrei non ha più alcun riferimento alla terra di Israele.
Questo tipo di distorsione non solo porta ad atti di violenza, ma è considerato l'ostacolo definitivo alla pace: la mancata accettazione della presenza ebraica nella terra di Israele. Durante i negoziati di Camp David, Arafat ha sottolineato che non poteva scendere a compromessi perché non c'era stato alcun tempio ebraico a Gerusalemme e quindi la sovranità israeliana, anche parziale, non era giustificata.
La comunità internazionale sembra sempre più disposta ad accettare tali punti di vista. Al contrario, Clinton all'epoca aveva replicato con rabbia ad Arafat: «Lasci che le dica una cosa, signor presidente: quando il mio Messia Gesù Cristo camminava sul Monte del Tempio, non vedeva nessuna moschea, non vedeva Al-Aqsa, non vedeva la Cupola della Roccia. Vedeva solo il tempio ebraico!».

(Israelnetz, 22 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Mai più”, dicevano. Ma comincio ad avere qualche dubbio

di Stefano Piperno

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Ho raccontato, in un libro scritto a quattro mani con un mio cugino, la storia della mia famiglia, scampata al 16 ottobre del ’43.
Dopo la pubblicazione non lo avevo più riaperto. Pochi giorni fa, però, spinto dagli eventi degli ultimi due anni, l’ho fatto, e mi sono accorto di quanto, in poco tempo, il suo intento di raccontare il trionfo del bene sul male lo abbia allontanato dalla realtà attuale.
Per chiarire: il libro si chiude con il ricordo di mio nonno che, in un giorno di Kippur degli anni Cinquanta, benedice, coprendoli col manto rituale, i cinque nipoti, felice di vivere da cittadino libero in un Paese democratico.
Lui stesso, che aveva vissuto due guerre mondiali e la discriminazione razziale, sul letto di morte disse: «Due cose sono importanti nella vita: la pace e la libertà».
Lo aveva ripetuto per molti anni, incompreso e irriso, a suo figlio – mio padre – entusiasta balilla e poi capo centuria avanguardista.
Nel 1938 mio padre e mia madre, compagni di classe, furono cacciati dal liceo; nel ’41 lui fu congedato d’urgenza dall’esercito, dove era stato arruolato per errore, nonostante fosse ebreo.
Non so quando capì. Non gliel’ho mai chiesto, né lui lo ha mai spiegato. Posso solo dire che tutto questo oggi mi fa pensare a Hannah Arendt e alla “banalità del male”: come adattamento progressivo, come assuefazione, come rinuncia quotidiana. Come dicono i francesi: «On se fait à tout».
Ed è esattamente ciò che sta avvenendo oggi. Gli eventi del 7 ottobre 2023 hanno generato un’onda di tsunami che ha travolto tutto, comprese fragili difese psicologiche, sensi di colpa e pulsioni sopite nel profondo dell’animo.
Mi alzo ogni mattina, faccio le mie cose, poi all’improvviso penso a ciò che sta accadendo intorno a me: a un’atmosfera che non avrei mai creduto di vivere, a qualche amico con cui non sono più in sintonia, a giornali e televisioni convergenti su tesi che non condivido e che mi atterriscono.
Poi mi ripeto che passerà, che non può essere che il mio mondo – quello in cui ho comodamente vissuto per ottant’anni – si sia rivoltato come un calzino. Ma allo stesso tempo mi interrogo su quando tutto questo sia cominciato.
Certo, lo so: l’antisemitismo è un fiume carsico. Lo so che certe forze hanno speso molto e lavorato a lungo per insinuarsi nella cultura e nella politica. Lo so che i social sono come acceleratori di particelle, capaci di innescare reazioni a catena. Lo so che la risposta di Israele al 7 ottobre è stata la miccia che ha fatto esplodere tutto. Lo so che l’Islam è impermeabile, non solubile: al massimo un miscuglio, come acqua e olio. Ma tutto questo non basta a spiegare.
Leggo dotte dissertazioni geopolitiche, sociologiche, persino filosofiche, e mi convinco che è il principio di realtà ad essere saltato. E ciò che è più grave è che questo non riguarda solo le opinioni pubbliche, ma purtroppo anche le classi dirigenti.
Non è tanto la portata dei giudizi, quanto il meccanismo mediatico che li produce: da tempo sempre più come riflesso di un trend indotto, in modo non più sottile ma eclatante.
Sono nato nel 1944: non ho vissuto gli anni bui, ma ho ascoltato i familiari che raccontavano, che spiegavano, che concludevano sempre con le stesse parole: «mai più». Ed è forse proprio questo che oggi mi inquieta.
Una lettura, nemmeno troppo approfondita, degli anni Trenta del secolo scorso sarebbe sufficiente a capire i rischi che stiamo correndo, con l’aggravante, oggi, delle armi atomiche.
Sollevo gli occhi dal tablet, lo poggio sul tavolino e penso.
Mia moglie è contraria agli animali in casa, così sono qui, seduto nel giardino del mio solito bar, da solo, senza nemmeno un cagnolino a farmi compagnia. Mi godo il sole invernale e ho scritto queste note.

(InOltre, 22 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 5
    L'arca presso i Filistei
  • I Filistei, dunque, presero l'arca di Dio e la trasportarono da Eben-Ezer ad Asdod; presero l'arca di Dio, la portarono nella casa di Dagon e la collocarono accanto a Dagon. 
  • E il giorno dopo, gli Asdodei si alzarono di buon'ora e trovarono Dagon caduto con la faccia a terra, davanti all'arca dell'Eterno. Presero Dagon e lo rimisero al suo posto.  Il giorno dopo, si alzarono di buon'ora e trovarono che Dagon era di nuovo caduto con la faccia a terra, davanti all'arca dell'Eterno; la testa ed entrambe le mani di Dagon giacevano mozzate sulla soglia, e non gli restava più che il tronco. Perciò, fino al giorno d'oggi, i sacerdoti di Dagon e tutti quelli che entrano nella casa di Dagon ad Asdod non mettono il piede sulla soglia. 
  • Poi la mano dell'Eterno si aggravò su quelli di Asdod, portò fra loro la desolazione, e li colpì di emorroidi, ad Asdod e nel suo territorio.  E quando quelli di Asdod videro che avveniva così, dissero: “L'arca dell'Iddio d'Israele non rimarrà presso di noi, poiché la sua mano è troppo pesante su di noi e su Dagon, nostro dio”. 
  • Mandarono quindi a convocare presso di loro tutti i prìncipi dei Filistei, e dissero: “Che faremo dell'arca dell'Iddio d'Israele?”. I prìncipi risposero: “Si trasporti l'arca dell'Iddio d'Israele a Gat”. E trasportarono là l'arca dell'Iddio d'Israele. E quando l'ebbero trasportata, la mano dell'Eterno si volse contro la città, e vi fu un immenso scoraggiamento. L'Eterno colpì gli uomini della città, piccoli e grandi, e un flagello di emorroidi scoppiò fra loro
  • Allora mandarono l'arca di Dio a Ecron. E quando l'arca di Dio giunse a Ecron, quelli di Ecron cominciarono a gridare, dicendo: “Hanno trasportato l'arca dell'Iddio d'Israele da noi, per far morire noi e il nostro popolo!”. 
  • Mandarono quindi a convocare tutti i prìncipi dei Filistei, e dissero: “Rimandate l'arca dell'Iddio d'Israele; torni al suo posto, e non faccia morire noi e il nostro popolo!”, poiché tutta la città era in preda a un terrore di morte, e la mano di Dio si aggravava grandemente su di essa. Quelli che non morivano erano colpiti da emorroidi, e le grida della città salivano fino al cielo.

(Notizie su Israele, 22 dicembre 2025)


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Gli israeliani considerano la divisione interna come la più grande minaccia per la nazione, ancora prima dell'Iran

Uno sguardo più approfondito basato sull'Indice della società israeliana del dicembre 2025, che classifica la polarizzazione sociale come il pericolo più grave per il futuro di Israele.

di Ryan Jones

GERUSALEMME - Alla domanda sulla minaccia più grave per lo Stato di Israele, una netta maggioranza degli israeliani non fa riferimento ai missili o agli eserciti stranieri, ma alle fratture all'interno della propria società.
Secondo l'Indice sociale israeliano pubblicato nel dicembre 2025 dal Jewish People Policy Institute (JPPI), il 55% degli intervistati israeliani considera la polarizzazione sociale e la divisione interna come il pericolo più grave per lo Stato, ancora prima della minaccia iraniana e del conflitto israelo-palestinese di lunga data. Tra gli ebrei israeliani, la percentuale sale al 59% che considera la divisione interna come il principale rischio esistenziale, rispetto al 23% che cita l'Iran e al 18% che fa riferimento alla questione israelo-palestinese.
Ciò segna un profondo cambiamento nella coscienza pubblica: per la prima volta da molto tempo, gli israeliani considerano il nemico interno una minaccia più critica rispetto ai tradizionali avversari esterni, sottolineando così le preoccupazioni relative alla polarizzazione politica, alla perdita di coesione sociale e al crescente divario ideologico che attraversa le fasce d'età, le regioni geografiche e le comunità.

L’inquietudine interna supera le minacce convenzionali
  Il sondaggio JPPI ha chiesto agli intervistati di scegliere tra tre potenziali fonti di pericolo:

  • polarizzazione sociale e divisione interna
  • la minaccia iraniana
  • il conflitto israelo-palestinese

Una netta maggioranza ha scelto la polarizzazione interna, segnalando che gli israeliani ritengono che la discordia interna possa indebolire la nazione in modo più profondo rispetto all'ostilità esterna. Questa preoccupazione è condivisa da tutti gli schieramenti ideologici, ma è particolarmente forte nello spettro centro-sinistra, dove il 76% considera la polarizzazione interna come la minaccia più grave.
Questa preoccupazione trova eco nella lunga storia del popolo ebraico.
In passato Israele ha affrontato pericoli esistenziali quando la frammentazione politico-religiosa e la reciproca sfiducia hanno compromesso il processo decisionale nazionale e la resilienza collettiva. In un periodo di conflitti continui e alleanze mutevoli, molti israeliani oggi percepiscono l'unità, o la sua mancanza, come il fattore decisivo per la sopravvivenza nazionale.

Percezione delle minacce esterne: l'Iran rimane al primo posto, la Turchia al secondo
  Nonostante i crescenti timori di divisioni interne, le tradizionali minacce regionali rimangono rilevanti.
Quando agli intervistati è stato chiesto di classificare otto paesi vicini in base al livello di minaccia che rappresentano per Israele, è emersa la seguente classifica:

  1. Iran
  2. Turchia
  3. Libano
  4. Qatar
  5. Siria
  6. Yemen
  7. Egitto
  8. Arabia Saudita

L'ascesa della Turchia davanti a Libano, Qatar e Siria segnala un cambiamento drammatico nella percezione della minaccia. Solo pochi anni fa, la Turchia era considerata da gran parte della società israeliana un attore regionale ambivalente o addirittura amichevole; oggi, invece, è ampiamente vista come una minaccia geopolitica significativa.
I dati indicano che la percezione della minaccia iraniana rimane significativa, ma è leggermente diminuita rispetto al periodo immediatamente successivo all'operazione “Rising Lion” - tuttavia, rimane centrale per il senso di pericolo esterno in Israele.

Iran: la percezione della minaccia è nuovamente in netto aumento
  A sei mesi dal grande scontro con l'Iran, il JPPI registra un nuovo aumento della percezione pubblica della minaccia iraniana.

  • Il 31% degli israeliani (il 34% degli ebrei) afferma che l'Iran rappresenta una grave minaccia esistenziale
  • rispetto al 16% di luglio, subito dopo l'operazione Rising Lion
  • Il 38% afferma che l'Iran rappresenta in una certa misura una minaccia esistenziale
  • Il 20% afferma che lo è in misura minore
  • L'8% afferma che l'Iran non rappresenta più una minaccia esistenziale

Nel complesso, una netta maggioranza degli israeliani ritiene che l'Iran continui a rappresentare una minaccia esistenziale nonostante la recente campagna militare.
La rivalutazione pubblica dell'operazione in Iran nel giugno di quest'anno è mista:

  • il 24 % ritiene che il risultato sia stato migliore di quanto inizialmente previsto
  • il 28 % ritiene che sia stato peggiore
  • il 35 % afferma che la propria valutazione non è cambiata

Gli intervistati di destra ritengono significativamente più spesso di quelli di sinistra che la campagna abbia superato le aspettative.

Turchia: una minaccia strategica complessa
  Il fatto che la Turchia sia la seconda minaccia esterna più citata per Israele non può essere separato dai mutevoli sviluppi geopolitici regionali.
Gerusalemme e Ankara si trovano su fronti opposti in diversi teatri, tra cui la Siria, dove entrambi i paesi sono impegnati militarmente a sostegno di fazioni rivali. Questa vicinanza geografica aumenta la probabilità di scontri involontari, uno scenario che gli israeliani guardano con crescente preoccupazione.
È importante sottolineare che un confronto militare diretto con la Turchia sarebbe molto più complesso e problematico per Israele rispetto a uno scontro con l'Iran, per diversi motivi fondamentali:

  • La Turchia è membro della NATO: un'escalation comporta il rischio di complicazioni diplomatiche con gli alleati occidentali e limita la libertà d'azione di Israele.
  • Legami politici con gli Stati Uniti: il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha coltivato un rapporto personale con la leadership statunitense che potrebbe limitare la disponibilità di Washington a schierarsi chiaramente in caso di conflitto.
  • Equilibrio di potere militare convenzionale: a differenza dell'Iran, che rappresenta principalmente una minaccia strategica in termini di missili e proxy, la Turchia dispone di capacità convenzionali che potrebbero mettere alla prova le forze armate israeliane in combattimenti aerei, marittimi e terrestri.

Gli analisti affermano che gli israeliani non reagiscono solo alla retorica, ma sono ben consapevoli che uno scontro con la Turchia non rientrerebbe nei paradigmi di deterrenza consolidati e richiederebbe una strategia diplomatica più ampia.

Relazioni USA-Israele: fiducia con riserva
  Nonostante le notizie di tensioni tra Gerusalemme e Washington in relazione a Gaza, il sondaggio mostra che una forte maggioranza degli israeliani continua a credere che il presidente degli Stati Uniti agirà in modo appropriato nei confronti di Israele.

  • Il 67% esprime un certo grado di fiducia nel presidente degli Stati Uniti Donald Trump
  • Il 18% esprime alta fiducia
  • Il 49% esprime una certa fiducia
  • Il 28% dichiara di non avere fiducia nel presidente degli Stati Uniti

Tra gli intervistati ebrei, i livelli di fiducia sono leggermente più alti:

  • Il 70% esprime fiducia (18% alta, 52% certa)
  • Il 27% non esprime alcuna fiducia

Allo stesso tempo, l'atteggiamento nei confronti dell'influenza americana sta diventando sempre più complesso:

  • Il 39% afferma che gli Stati Uniti sono un alleato fondamentale e che Israele dovrebbe compiere sforzi significativi, anche compromessi che non mettano a rischio la sicurezza, per preservare l'alleanza
  • Il 50% afferma che Israele dovrebbe agire in modo indipendente e non sentirsi vincolato alle posizioni di Washington
  • L'8% ritiene che l'importanza degli Stati Uniti stia diminuendo e che Israele dovrebbe smettere di comportarsi come se la sua sopravvivenza dipendesse dall'amicizia americana
  • Il 6% afferma che gli Stati Uniti stanno ormai causando più danni che benefici a Israele

Posizione globale di Israele: la maggioranza la definisce “cattiva”
  Il sondaggio evidenzia inoltre un profondo pessimismo dell'opinione pubblica riguardo alla posizione internazionale di Israele dall'inizio della guerra di Gaza.
Secondo il JPPI:

  • Il 52% degli israeliani ritiene che la posizione internazionale di Israele sia cattiva
  • Il 22% afferma che sia molto cattiva
  • Il 30% afferma che sia piuttosto cattiva
  • Il 25% descrive la posizione globale di Israele come media
  • Solo il 21% ritiene che la posizione di Israele nel mondo sia buona
  • Solo il 5% la ritiene ottima

È interessante notare che questa valutazione negativa è condivisa sia dagli intervistati ebrei che da quelli arabi, il che indica un ampio consenso sul fatto che Israele sia sempre più isolato dal punto di vista diplomatico.

Una netta divisione ideologica
  Il JPPI ha rilevato che le percezioni della posizione internazionale di Israele sono fortemente polarizzate lungo linee ideologiche.
Tra gli israeliani che si identificano come di sinistra:

  • il 64% ritiene che la posizione di Israele sia molto negativa
  • il 33% la ritiene piuttosto negativa
  • per un totale del 97% di valutazioni negative

Tra coloro che si identificano come di destra:

  • Solo il 4% dice: molto cattiva
  • Il 19% dice: abbastanza cattiva
  • per un totale del 23% ha una valutazione negativa

Questa divisione ideologica non solo sottolinea la polarizzazione politica, ma anche visioni del mondo fondamentalmente diverse sul posto di Israele nel sistema internazionale.
Per gli osservatori che credono nella Bibbia, questa realtà sarà frustrante, nella misura in cui Israele è spesso trattato in modo ingiusto, ma non sorprende, poiché le Scritture parlano di un giorno in cui il mondo si rivolterà contro questo popolo.

“In quel giorno farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli. Tutti quelli che vorranno sollevarla si feriranno sicuramente. E tutte le nazioni della terra si raduneranno contro di essa” (Zaccaria 12,3, oltre a numerosi altri passaggi).

Gli israeliani di sinistra tendono meno a concordare con ciò che dice la Bibbia al riguardo, o addirittura a esserne consapevoli, e quindi considerano la situazione più problematica.
Gli israeliani di destra tendono maggiormente a prendere sul serio le Scritture su questo tema e a vedere la situazione attuale come esattamente ciò che Dio aveva annunciato, e quindi sono meno preoccupati.

Un richiamo strategico
  Il sondaggio del JPPI dipinge un quadro di una società israeliana a un bivio: vigile verso l'esterno, ma insicura al suo interno, consapevole delle minacce tradizionali e allo stesso tempo profondamente preoccupata per le fratture all'interno dei propri confini.
Mentre lo Stato affronta guerre, mutamenti nell'ordine regionale e alleanze complesse, la paura più grande dell'opinione pubblica israeliana non è più un esercito straniero, ma il disgregarsi del tessuto nazionale stesso. La soluzione a questo problema è meno ovvia.
Nonostante le sue ridotte dimensioni geografiche e demografiche, Israele ospita un mix sempre più eterogeneo di gruppi e movimenti etnici, ideologici e religiosi, molti dei quali probabilmente non vivranno mai in armonia tra loro. L'unica cosa che sembra unire la maggioranza della popolazione è una grave crisi esistenziale imposta da un nemico esterno, e anche in questo caso solo per un periodo di tempo limitato.

(Israel Heute, 22 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Intifada globale: gli allarmi lanciati dagli ebrei del mondo trovano conferma

Attacchi fisici e violenti contro ebrei in tutto il mondo, ma anche attentati sventati in nome dell’islamismo radicale, programmati per colpire mercatini di Natale e feste di capodanno: questi eventi non rappresentano una sequenza casuale di fatti di cronaca, ma il ritratto inquietante di una vera e propria Intifada globale sempre più radicalizzata.

di David Zebuloni

Il più grave attentato terroristico nella storia dell’Australia, avvenuto la scorsa settimana e diretto contro la comunità ebraica di Sydney, ha scosso non solo il lontano continente, ma l’intera comunità internazionale. Dopo due anni in cui gli ebrei di tutto il mondo hanno gridato “antisemitismo, antisemitismo”, mentre il resto del mondo liquidava quegli allarmi come il classico “al lupo, al lupo”, improvvisamente molti (non tutti, naturalmente) hanno iniziato a comprendere che forse avevano ragione. Che forse, davvero, gli ebrei vivono sotto una minaccia costante.
La tragedia sulle spiagge di Bondi, tuttavia, non è l’unico episodio antisemita registrato nell’ultima settimana. È il più grave, il più tragico, ma certamente non l’unico. Sotto il radar dell’attenzione pubblica, come accade ormai da due anni, episodi grandi e piccoli, più o meno violenti, continuano a scuotere la quotidianità degli ebrei della diaspora, erodendo progressivamente il loro senso di sicurezza.
In California, per esempio, la casa di una famiglia addobbata per la festa di Hanukkah è stata bersaglio di colpi di arma da fuoco. Un video diffuso sulla piattaforma X mostra un’auto che transita davanti all’abitazione, dalla quale vengono sparati circa venti proiettili contro l’edificio. Al termine della raffica si sente un grido che non lascia spazio a dubbi: “Fuck the Jews”. L’episodio si è concluso, per puro caso, senza feriti, ma il livello di allarme e di paura all’interno della comunità è ulteriormente aumentato.
A New York, intanto, alcuni membri della comunità di Chabad, sempre di ritorno da un evento di Hanukkah tenutosi a Manhattan, sono stati aggrediti nella metropolitana. Il sito The Yeshiva World ha riferito che due uomini sono saliti sul vagone e hanno iniziato a rivolgere ai giovani ebrei insulti e pesanti offese antisemite. Temendo per la propria incolumità e con l’intento di documentare l’accaduto per la polizia, uno dei ragazzi ha estratto il telefono cellulare e ha iniziato a filmare la scena.
In pochi istanti, le molestie verbali sono degenerate in violenza fisica: uno degli aggressori ha afferrato per il collo il ragazzo ebreo, completamente indifeso. Secondo le testimonianze, l’aggressione è proseguita con pugni, calci e spinte all’interno di un vagone affollato, mentre i passanti intervenivano solo in modo marginale. Una fermata dopo, ancora prima di raggiungere la loro destinazione, le giovani vittime sono scese dal treno in preda al panico.
E la situazione non accenna a migliorare. Questa settimana un professore ebreo del Massachusetts Institute of Technology è stato ucciso a colpi di pistola nella propria abitazione. Nuno Loureiro, 47 anni, noto per le sue posizioni apertamente filo-israeliane, è stato trovato in condizioni critiche nella sua casa nel prestigioso sobborgo di Brookline, nell’area di Boston. Trasportato d’urgenza in ospedale con ferite da arma da fuoco, è deceduto il giorno successivo. Le autorità statali hanno aperto un’indagine per omicidio, ma finora non sono stati effettuati arresti.

Nemico è chi è contro la dottrina islamista
La realtà, tuttavia, ci mostra che a diventare bersaglio non sono soltanto gli ebrei, bensì chiunque non si allinei alla dottrina islamista più estrema, che negli ultimi anni ha messo radici profonde in Europa. Questa settimana cinque sospetti sono stati arrestati dalla polizia tedesca con l’accusa di aver pianificato un attentato terroristico in un mercatino di Natale nel sud della Baviera, nel distretto di Dingolfing-Landau. Secondo le autorità, il piano prevedeva “l’uso di un veicolo per uccidere o ferire il maggior numero possibile di persone”.
Un episodio analogo si è verificato in Polonia, dove uno studente di giurisprudenza di 19 anni è stato arrestato con l’accusa di aver pianificato un attentato in un mercatino di Natale. Le autorità hanno riferito che il giovane aveva “tentato di entrare in contatto con un’organizzazione terroristica islamista”. Durante le perquisizioni avvenuta a Lublino, gli agenti dei servizi di sicurezza interna hanno sequestrato dispositivi elettronici e documenti religiosi che potrebbero costituire prove rilevanti per l’indagine. Un giudice ha disposto la custodia cautelare del sospetto per tre mesi, in attesa del processo.
E si torna ancora una volta negli Stati Uniti, più precisamente a Los Angeles, dove un’organizzazione di estrema sinistra e filo-palestinese avrebbe pianificato, secondo gli inquirenti, di far esplodere zaini contenenti ordigni esplosivi nella notte di Capodanno, esattamente allo scoccare della mezzanotte. L’azione sarebbe dovuta essere, nelle intenzioni degli organizzatori, un atto di protesta contro “l’imperialismo americano”. Secondo l’FBI, i quattro arrestati erano già noti alle autorità per la loro ideologia anti-governativa e per precedenti azioni contro le forze dell’ordine.
Questi eventi non rappresentano una sequenza casuale di fatti di cronaca, ma il ritratto inquietante di una realtà globale (o meglio, di una vera e propria Intifada globale) sempre più radicalizzata. Antisemitismo, terrorismo ideologico e violenza politica non sono più fenomeni marginali, bensì elementi ormai integrati nella quotidianità dell’Occidente liberale: nelle strade, sui treni, nei mercati e persino nelle abitazioni private. Continuare a considerarli “eccezioni locali” o “falsi allarmi” significa, semplicemente, scegliere di chiudere gli occhi.

(Bet Magazine Mosaico, 22 dicembre 2025)

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Il senatore repubblicano Lindsey Graham chiede che ad Hamas venga dato un ultimatum

Il potente senatore repubblicano Lindsey Graham intervistato dal Times of Israel interviene a tutto campo su Hamas, Iran e Hezbollah

di Sarah G. Frankl

Ieri sul Times of Israel è stata pubblicata una intervista al senatore repubblicano degli Stati Uniti, Lindsey Graham, intervista che dovrebbe essere letta anche dai consiglieri del Presidente Trump. Ecco i punti salienti.
Primo punto: Ad Hamas dovrebbe essere data una scadenza per la consegna delle armi. Se tale data non venisse rispettata Israele avrà mano libera per riprendere le operazioni militari nella Striscia di Gaza.
La seconda fase del piano in 20 punti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per Gaza prevede il disarmo di Hamas e la smilitarizzazione della Striscia. Ma i leader del gruppo terroristico hanno dichiarato pubblicamente e costantemente che non rinunceranno a tutte le loro armi e non hanno mai aderito alla seconda fase del piano.
«Metteteli sotto pressione», ha detto il potente senatore repubblicano parlando da un hotel di Tel Aviv. «Se non si disarmano in modo credibile, allora scatenate Israele contro di loro».
Uno dei punti più importante della seconda fase del piano è la costituzione di una forza di pace internazionale che dia sicurezza durante la transizione di potere e la ricostruzione di Gaza, ma senza il completo disarmo di Hamas non ci sono paesi disposti a inviare propri soldati. O meglio, ci sarebbe la Turchia che però Israele giustamente non vuole per la sua vicinanza ad Hamas.
Domenica mattina, Graham ha incontrato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il Ministro degli Esteri Gideon Sa’ar. La sua visita di due giorni precede di una settimana il viaggio programmato di Netanyahu negli Stati Uniti per incontrare Trump.
«Il mio consiglio al Presidente Trump è che finché Hamas non sarà fuori dai giochi militarmente e politicamente, le possibilità di successo saranno piuttosto remote», ha detto.
«Anche di fronte alla minaccia di nuove operazioni militari israeliane ad alta intensità a Gaza», ha affermato Graham, «ci sono poche possibilità che Hamas si disarmi volontariamente».
Secondo punto: l’Iran, sponsor di Hamas e di Hezbollah, sta tramando qualcosa. Israele è preoccupato che Teheran stia ricostruendo il suo arsenale di missili balistici. A Gerusalemme sono forse più preoccupati di questo che del programma nucleare.
Durante la prossima visita di Netanyahu alla Casa Bianca, il Premier israeliano presenterà al Presidente Trump il piano per un nuovo possibile attacco all’Iran.
«Se l’Iran sta davvero cercando di arricchire nuovamente l’uranio e di espandere il suo programma di missili balistici», ha affermato Graham, «sarebbe nel nostro interesse nazionale colpirlo ora».
Terzo punto: Hezbollah rifiuta di disarmare e di consegnare le armi all’esercito libanese. Secondo Graham anche in questo caso andrebbe data una scadenza temporale dopo di che Israele sarebbe libero di agire per disarmare Hezbollah con la forza. Noi aggiungiamo anche che secondo fonti di intelligence israeliane qualificate, il Partito di Dio sta ricevendo armi e denaro da Teheran nonostante i controlli.
Secondo Graham nel caso Hezbollah creasse problemi gli Stati Uniti si dovrebbero unire a Israele in una eventuale operazione in Libano.

(Rights Reporter, 22 dicembre 2025)

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L'UNESCO contraddittoria

Quest'anno l'UNESCO ha inserito nel suo patrimonio documentario mondiale un manoscritto del Talmud babilonese. Esso si trova nella Biblioteca statale bavarese di Monaco di Baviera. Il 19 novembre è stato consegnato il certificato. È una buona notizia. Tuttavia, l'organizzazione educativa delle Nazioni Unite contraddice se stessa con questa inclusione.
Il Codex hebraicus 95 della Biblioteca statale bavarese risale al 1345 ed è stato realizzato in Francia. È noto come il “manoscritto di Monaco del Talmud babilonese”. Il codice è l'unico manoscritto conservato al mondo che comprende l'intero testo di questa raccolta di discussioni e interpretazioni rabbiniche.
La motivazione dell'inserimento recita: “Con il suo contesto e la sua storia, questo manoscritto costituisce un ponte tra Oriente e Occidente ed è di importanza veramente globale. Grazie alla sua unicità, alla sua storia, al suo valore scientifico e al suo significato religioso, il manoscritto di Monaco del Talmud babilonese è uno dei tesori librari più preziosi e il patrimonio documentario più significativo dell'umanità”.

Il Talmud tratta del Tempio di Gerusalemme
  Un tema importante nel Talmud è il servizio del tempio ebraico a Gerusalemme. Il trattato “Sevachim” (Sacrifici) ne tratta ad esempio. Il Talmud contiene anche una descrizione dettagliata del santuario, distrutto dai Romani nel 70 d.C. Nel Talmud babilonese si legge (trattato Kiddushin, 69a): “Il Monte del Tempio e quindi anche Gerusalemme stessa sono situati più in alto rispetto al resto della terra”.
L'UNESCO, invece, in diverse risoluzioni sul Monte del Tempio ha utilizzato esclusivamente il nome arabo (“Haram el-Sharif”/“Santuario Sublime”). In questo modo ha ignorato il riferimento ebraico.

Gli arabi riprendono l'occultamento del riferimento ebraico
  La notizia si è diffusa anche tra gli arabi. Alcuni anni fa, durante una visita alla città vecchia di Gerusalemme, mi sono ritrovato coinvolto in una discussione con un commerciante arabo che voleva assolutamente vendermi qualcosa. Affermava addirittura che glielo avessi promesso. Durante la discussione ho menzionato il Monte del Tempio. Lui reagì con irritazione: non avevo forse notato che nemmeno l'UNESCO vedeva alcun riferimento ebraico a quell'area? Il nome corretto era “Haram el-Sharif”.
Nonostante la promessa da lui inventata, alla fine gli comprai qualcosa: due portachiavi con un candelabro a sette bracci su cui era scritto “Gerusalemme”. La menorah era un importante oggetto di culto nel Tempio di Gerusalemme. Sull'Arco di Tito a Roma è raffigurato come i soldati la trascinano via in un corteo trionfale insieme ad altri oggetti sacri del Tempio conquistati.
La contraddittorietà non si riscontra quindi solo nell'organizzazione culturale delle Nazioni Unite, ma anche negli arabi, che accettano con entusiasmo le loro affermazioni storicamente insostenibili.
L'UNESCO farebbe bene a prendere sul serio documenti come il manoscritto di Monaco ora riconosciuto anche nelle risoluzioni pertinenti su Gerusalemme e a chiarire il legame ebraico con il Monte del Tempio. Perché solo i profani della cultura ignorano le verità storiche quando fa comodo loro.

(Israelnetz, 22 dicembre 2025)

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Netaim, un ponte educativo tra Israele e le scuole ebraiche in Italia

di Gilat Makme

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Nei giorni scorsi il progetto educativo israeliano Netaim è arrivato nelle scuole ebraiche in Italia, portando con sé energia, contenuti e un forte spirito di connessione. Dopo alcune giornate di attività nella scuola ebraica di Roma, una delegazione di tre giovani educatrici israeliane ha fatto tappa anche a Torino, dove ha incontrato studenti dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola secondaria.
  Il progetto Netaim nasce in Israele con l’obiettivo di creare un ponte vivo e concreto tra Israele e il mondo ebraico della diaspora. Attraverso missioni educative in occasione delle festività, il progetto invia educatori ed educatrici nelle scuole ebraiche di tutto il mondo per rafforzare l’identità ebraico-israeliana, il legame con Israele e la lingua ebraica.
  Le attività proposte si basano sui principi dell’educazione non formale: imparare facendo, attraverso il gioco, il movimento, la musica, il dialogo e la creatività. In questi giorni dedicati a Chanukkà, i bambini e i ragazzi hanno cantato, ballato, ascoltato e parlato ebraico, scoperto i valori della festa e riflettuto sul significato della luce, della resilienza e dell’identità.
  Sia a Roma sia a Torino, l’accoglienza è stata estremamente positiva. Studenti e insegnanti hanno partecipato con entusiasmo, apprezzando un approccio educativo dinamico, inclusivo e adattato alle diverse fasce d’età. Le educatrici hanno saputo creare un clima di coinvolgimento e curiosità, portando in classe storie, esperienze e voci autentiche da Israele.
  La visita di Netaim ha rappresentato non solo un momento di festa e apprendimento, ma anche un esempio concreto di come l’educazione possa rafforzare il senso di appartenenza e il dialogo tra Israele e le comunità ebraiche nel mondo.

(Shalom, 22 dicembre 2025)

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Un'interpretazione salvifica di Galati 4,4-5
e un incoraggiamento per il nostro tempo

di Norbert Lieth

1. Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio...
  Un proverbio dice: «Alla fine tutto andrà bene, e se non va ancora bene, allora non è ancora la fine».
  Ne è un chiaro esempio un uomo di nome Michea, vissuto nell'VIII secolo a.C., contemporaneo del profeta Isaia. Tuttavia, non era così famoso come quest'ultimo; il suo libro comprende solo sette capitoli. Ma almeno una delle sue profezie è nota in tutta la cristianità e famosa in tutto il mondo: 

    «E tu, Betlemme Efrata, troppo piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te uscirà colui che sarà il sovrano d'Israele; e le sue origini sono dall'eternità, dai giorni dell'antichità» (Michea 5,1).

Cosa significa questo?
  Betlemme, tu sei troppo piccola, troppo insignificante... per essere annoverata tra le grandi città di Giuda. Ma proprio da te verrà il più grande, le cui origini sono dall'eternità, cioè dai tempi antichi. Egli regnerà su Israele.
  Scofield disse: «Questo conferisce alla piccola Betlemme la massima importanza. Qui non nasce un uomo da uomini, ma Dio si fa uomo». 
  Gesù è il culmine della storia - allora, oggi e in futuro.
  In Matteo 2,6 leggiamo dell'adempimento: 

    «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la più piccola tra i principi di Giuda, perché da te uscirà un capo che pascerà il mio popolo Israele».

Notiamo la sfumatura leggermente diversa ispirata dallo Spirito Santo. In Michea, prima della nascita di Gesù, si diceva: «troppo piccola...». Matteo scrive dopo la nascita di Gesù: «non sarà affatto la più piccola».
  Qual è la differenza? La venuta di Gesù. Con la nascita di Cristo a Betlemme, il luogo acquista un'importanza suprema e mondiale.
  Questo mi ricorda ciò che Paolo dice della comunità: 

    «Considerate la vostra vocazione, fratelli: non ci sono molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili; ma Dio ha scelto le cose stolte del mondo ... le deboli ... le ignobili e le disprezzate ... quelle che non sono nulla» (1 Corinzi 1,26-27).

Gesù dà significato alla tua vita. Lui fa la differenza. Senza di lui, ti perdi nella massa senza significato, con lui sali alle vette celesti. Quando Gesù nasce in te, raggiungi il massimo significato. Miriadi di angeli ti conoscono: «Così c'è gioia in cielo per un peccatore che si pente». 
  Ma prima che Gesù nascesse a Betlemme, trascorse molto tempo e accaddero molti eventi che avrebbero potuto far pensare che la promessa non si sarebbe mai avverata. L'arrivo del Messia fu profetizzato settecento anni prima della nascita di Gesù, ma poi trascorsero trecento anni in cui la parola non si adempì. E poi, dopo Malachia, l'ultimo profeta dell'Antico Testamento, Dio rimase in silenzio per quattrocento anni, fino a Giovanni Battista.
  Non soffriamo anche noi a volte per il silenzio di Dio? In questi settecento anni si verificarono sconvolgimenti politici e culturali a livello mondiale. I Greci avevano sconfitto i Persiani e ora erano anche i signori di Israele. Così si diffusero la cultura greca, il suo stile di vita, la sua filosofia e la sua lingua.
  In Israele, in questo periodo si verificò una divisione interna e sorsero due forti gruppi religiosi: i farisei, che aggiunsero molte leggi speciali alla legge di Mosè, e i sadducei, che avevano un atteggiamento più liberale. Essi erano influenzati dal pensiero greco, rifiutavano di credere nella resurrezione e accettavano solo i libri di Mosè. Entrambe le parti avevano una grande influenza religiosa e politica in Israele. 
  Se ci chiediamo: «Cosa è vero e cosa non lo è? A cosa posso aggrapparmi?», ci rendiamo conto che la base più sicura è offerta dalla Bibbia.
  Poi Roma salì al potere mondiale e nel 63 a.C. i Romani occuparono la terra d'Israele e da allora la governarono. In quel periodo non insediarono un re ebreo in Israele, ma nominarono re l'Edomita Erode. Gli governatori romani avevano il comando e il potere su Israele non era detenuto da un sovrano ebreo, ma dal Cesare di Roma.
  Maria e Giuseppe vivevano allora a Nazareth.
  Tutto sembrava andare contro la profezia. Tutto sembrava allontanarsi sempre di più. Ma la verità era che il compimento si avvicinava sempre di più. Giunse il momento in cui Dio mandò suo Figlio nel mondo come Salvatore. Quello fu il culmine di tutta la storia.

    «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna e sottoposto alla legge, perché riscattasse quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione a figli» (Gal 4,4-5).

Un decreto imperiale chiamò Giuseppe e Maria da Nazareth a Betlemme. Il greco era diventato la lingua mondiale, ideale per la diffusione del Vangelo. Si può dire che Dio ha fatto della lingua greca, flessibile ed espressiva, il veicolo del Vangelo; e la Grecia filosofica è diventata la culla della comunità delle nazioni.
  I Romani avevano costruito strade che favorivano la diffusione del Vangelo. Regnava una pace sufficiente (Pax Romana) e la libertà di viaggiare, il che favoriva ulteriormente la diffusione del Vangelo.
  Paolo era cittadino romano. Con la frase civis romanus sum («Sono cittadino romano») si faceva riferimento al diritto di cittadinanza romana in tutto l'Impero Romano. Non da ultimo per questo motivo Paolo fu chiamato da Dio in quel periodo. In seguito avrebbe raggiunto gran parte del mondo di allora con il Vangelo. 
  Ciò che sembrava così oscuro, dove non sembrava più esserci luce, ciò che sembrava così confuso e difficilmente risolvibile, dove tutto sembrava regnare tranne Dio, divenne l'ora di Dio!
  Possiamo applicare questo anche oggi alla nostra vita personale e agli eventi mondiali. Possiamo crederci, anche in vista del ritorno di Gesù.
  Egli ha il suo programma per quanto riguarda la sua storia della salvezza.
  Questo è spesso in contraddizione con il pensiero umano e il senso del tempo.
  Il tempo e gli eventi prima di Cristo erano tutti un'introduzione al Salvatore del mondo. Il tempo dopo Cristo è tutto un preludio al sovrano del mondo. La sua prima venuta ha risolto la questione della colpa, la sua seconda venuta risolverà la questione del potere. Gustav Heinemann ha pronunciato la famosa frase: «I signori di questo mondo se ne vanno, Gesù Cristo viene!» 
  Un resoconto che coincide nei dettagli con quello della Bibbia si trova in Flavio Giuseppe:
  «Erano ormai trascorsi tre anni da quando lui (Erode Agrippa) era in possesso di tutta la Giudea, quando si recò a Cesarea, che in precedenza si chiamava Stratonsturm. Qui organizzò spettacoli in onore dell'imperatore, perché sapeva che proprio in quel momento si stava celebrando una festa religiosa in suo onore; a questa festa si riunì una grande folla di grandi e potenti provenienti da tutta la provincia. Il secondo giorno, all'alba, si recò al teatro indossando un abito lavorato con meravigliosa maestria interamente in argento. Qui l'argento, colpito dai primi raggi del sole, appariva in uno splendore così meraviglioso che l'occhio doveva distogliere lo sguardo, abbagliato e trepidante. Allo stesso tempo i suoi adulatori lo acclamavano da ogni parte, chiamandolo Dio e dicendo: «Sii misericordioso con noi! Anche se finora ti abbiamo considerato un essere umano, d'ora in poi vogliamo venerare in te qualcosa di più elevato di un essere mortale». Il re non li rimproverò e non respinse le loro lusinghe blasfeme; ma poco dopo, quando alzò lo sguardo, vide sopra la sua testa il gufo reale che gli era ben noto, appollaiato su una corda. Sapeva che quello che in passato gli aveva predetto la fortuna, ora gli annunciava una grave sventura, e per questo provò un amaro rimorso. Non passò molto tempo, però, che le sue viscere furono lacerate da dolori terribili, che iniziarono con una violenza inaudita... Si fece quindi portare rapidamente nella sua dimora e ben presto si sparse la voce che fosse in fin di vita... Dopo aver sopportato per altri cinque giorni il tormento nelle viscere, morì all'età di 54 anni e nel settimo anno del suo regno» (Antichità giudaiche, XIX.8.2).
  I signori di questo mondo se ne vanno, Gesù Cristo viene. 

2 .... Dio mandò suo Figlio, nato da una donna 
  Recentemente si è letto che il primo ministro israeliano sarebbe disposto a pagare 5 milioni di dollari per ogni ostaggio liberato dalla Striscia di Gaza. Immaginiamo ora che egli si offra come ostaggio in cambio della loro liberazione.
  Gesù Cristo lo ha fatto. Il Creatore è diventato creatura; è venuto nel nostro mondo per liberarci dal giogo del peccato e dalle sue conseguenze.
  Gesù è il culmine della storia - allora, oggi e in futuro.
  Solo come uomo poteva vincere la morte, conseguenza del peccato (Ebrei 2,14-15). Rinunciò ai suoi diritti divini (Filippesi 2,6-7) e venne nei limiti di questo mondo. Divenne in tutto simile a noi, eccetto che nel peccato.
  Il Figlio eterno di Dio diventa il Figlio dell'uomo. 

    «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con le nostre debolezze, ma uno che è stato tentato in ogni cosa come noi, eccetto il peccato» (Ebrei 4,15).

Il Creatore sa cosa significa essere umani. Conosce tutti gli alti e bassi dell'esistenza umana, tutte le prove, le tentazioni, le oscillazioni emotive e le paure. Non viene come giudice, ma come salvatore. Viene come colui che perdona i peccati e redime dalle colpe. Viene e ci porta l'amore di Dio.
  Avvento significa che Dio viene per venire a vivere con noi, ma anche per farci entrare nella sua gloria. 

3 .... e sottoposto alla legge, affinché liberasse coloro che erano sotto la legge

    « ... poiché quello che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva debole, Dio lo ha fatto mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne,  affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito» (Romani 8,3-4). 

Qualcuno una volta disse: «La legge rende peccatori anche i più grandi santi; il Vangelo rende santi i più grandi peccatori». E Gesù libera tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato, dalla legge del cuore che ci condanna. 
  La seguente storia sottolinea questa verità: «John Newton, l'uomo che scrisse l'inno più popolare e conosciuto d'America, Amazing Grace, lo sapeva bene. Era figlio unico e sua madre morì quando lui aveva solo sette anni. Divenne marinaio e all'età di undici anni prese il mare. Da adulto divenne capitano di una nave negriera e partecipò attivamente alle terribili umiliazioni e alla disumanità della tratta degli schiavi. Ma quando aveva ventitré anni, il 10 marzo 1748, mentre la sua nave era in pericolo di affondare al largo della costa di Terranova, gridò a Dio chiedendo pietà e la trovò. Non dimenticò mai quanto fosse incredibile che Dio lo avesse accolto, per quanto fosse malvagio. Per ricordarselo, appese alla parete sopra la mensola del camino del suo studio le parole di Deuteronomio 15:15: «Ricordati che sei stato schiavo in Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha liberato». Se teniamo a mente questo – ciò che eravamo un tempo e ciò che siamo ora in Gesù Cristo – faremo bene il nostro dovere.
  I figli di Dio fanno la volontà di Dio, non per dovere, non per obbedienza alla legge, non per paura. Dio ha dato loro una nuova natura in Cristo: un cuore nuovo che vuole fare il bene e non il male. È un impulso ispirato dallo Spirito a seguire la legge dello Spirito del Nuovo Testamento. Sono diventati servitori della Nuova Alleanza.
  Nell'Antica Alleanza Dio guidava dall'esterno. Nella Nuova Alleanza Dio guida dall'interno. Nell'Antica Alleanza c'era la colonna di fuoco sopra tutto il popolo. Nella Nuova Alleanza, nel giorno di Pentecoste, apparvero lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di loro. Dove viene introdotta una Nuova Alleanza, l'Antica Alleanza viene abolita (Ebrei 8,13).
  Non si mette una toppa nuova su un vestito vecchio, né si versa vino nuovo in otri vecchi (Marco 2,21-22). L'Antico Patto era un patto tra Dio e Israele. Comprendeva leggi e prescrizioni che regolavano la vita e il culto del popolo. Il Nuovo Patto si basa sulla grazia e sul sacrificio di Gesù Cristo, che ha adempiuto tutto e vale per tutti. Attraverso di lui si instaura un tipo di relazione completamente nuovo tra Dio e gli uomini; si instaura un rapporto personale attraverso lo Spirito Santo che dimora in noi. 

4 ... affinché egli riscattasse quelli che erano sotto la legge, affinché ricevessimo l'adozione a figli
  Qui è avvenuto un cambiamento, prima: la redenzione dalla legge, poi: l'introduzione nell'adozione a figli. Si è creato un rapporto completamente nuovo.
  Ti ricordi quando tuo figlio ha detto «papà» per la prima volta? Che gioia è stata!
  Tutta la paternità e la famiglia hanno la loro origine in Dio, il Padre celeste (Efesini 3,14-15). Forse non hai avuto un padre esemplare. Ma in Dio lo hai.
  Il termine «padre» era già presente nell'Antico Testamento. Esprimeva il rapporto del popolo d'Israele con Dio, ma non il rapporto personale del singolo con Lui. Nel Nuovo Testamento le cose sono cambiate.
  Attraverso Gesù siamo guidati verso un nuovo rapporto; attraverso una nuova nascita diventiamo figli e figlie di Dio e possiamo chiamare Dio «Padre».

    «Poiché voi non avete ricevuto lo spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, per il quale gridiamo: “Abbà! Padre!”. 16 Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio 17 e, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pur soffriamo con lui, affinché siamo anche glorificati con lui.
    La gloria futura dei figli di Dio. Perché io stimo che le sofferenze del tempo presente non siano per nulla paragonabili alla gloria che deve essere manifestata a nostro riguardo. 19 Infatti la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio» (Romani 8,15-18). 

L'opera di redenzione di Gesù non consiste solo nel perdono dei peccati e nella salvezza; essa ha un effetto molto più profondo: Dio è diventato nostro Padre. Questo è un rapporto diverso da quello che si ha con un capo di Stato o un re. Invece di vivere nella paura e nella schiavitù, possiamo invocare Dio come nostro amorevole Padre. 
  C. H. Spurgeon disse: «Forse conosci un giudice. Guardalo mentre esercita la sua funzione in toga. Lo guardi con rispetto e non oseresti rivolgerti a lui in modo diverso da: “Signor Giudice, “Signor Consigliere “ o “ Signor Presidente “. Al termine del suo orario di lavoro, torna a casa. A casa ha un figlioletto che gli corre incontro e, senza badare al suo rango o al suo abito, si arrampica sulle spalle del padre. “ Ma Hans, non è molto irrispettoso da parte tua? “ gli chiedi. “ Oh, è mio padre! “ risponde il ragazzino, e il padre dice: “ Sì, Hans, sono io, e non desidero che tu ti rivolga a me come fanno le persone in tribunale, chiamandomi “ Signor Giudice “. Così ai figli di Dio è permesso di essere completamente schietti con Dio, e Dio non lo considera come una libertà indebita che ci si prende nei suoi confronti. Al contrario, gli fa piacere quando si presentano davanti a lui con gioia, con spirito infantile» (Il libro delle immagini e delle parabole, Oncken, 1903).
  Così, attraverso Gesù, siamo diventati suoi eredi. Apparteniamo alla famiglia divina. Ciò significa che attraverso Gesù abbiamo parte in tutto ciò che appartiene a Dio. Siamo coeredi con Cristo, il che significa che siamo inclusi nella gloria che appartiene a Cristo. 
  Non vivere come un orfano se tuo padre è vivo! Tuttavia, essere figli di Dio significa anche dover sopportare la sofferenza. Il Natale ci ha portato una grande gioia, ma dalla mangiatoia alla croce il cammino del Signore Gesù è stato un cammino di sofferenza. Eppure è risorto nella gloria e, al momento della sua ascensione, è stato coronato di gloria e onore (Ebrei 2,9). 
  «Alla fine tutto andrà bene, e se non va ancora bene, allora non è ancora la fine.»

(Mitternachtsruf, dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 4
    Israele sconfitto dai Filistei che si impadroniscono dell'arca.
  • Israele uscì contro i Filistei per dare battaglia, e si accampò presso Eben-Ezer; i Filistei erano accampati presso Afec.  I Filistei si schierarono in battaglia di fronte a Israele e, ingaggiato il combattimento, Israele fu sconfitto dai Filistei, che uccisero sul campo di battaglia circa quattromila uomini.  Quando il popolo fu tornato nell'accampamento, gli anziani d'Israele dissero: “Perché l'Eterno oggi ci ha sconfitti davanti ai Filistei? Andiamo a prendere a Silo l'arca del patto dell'Eterno, e venga in mezzo a noi e ci salvi dalle mani dei nostri nemici!”. Il popolo quindi mandò gente a Silo, e di là fu portata l'arca del patto dell'Eterno degli eserciti, il quale sta fra i cherubini; e i due figli di Eli, Ofni e Fineas, erano là, con l'arca del patto di Dio

     Morte dei figli di Eli
  • Quando l'arca del patto dell'Eterno entrò nell'accampamento, tutto Israele elevò grandi grida di gioia, così che ne rimbombò la terra. I Filistei, all'udire quelle alte grida, dissero: “Che significano queste grandi grida nell'accampamento degli Ebrei?”. E seppero che l'arca dell'Eterno era arrivata nell'accampamento. E i Filistei ebbero paura, perché dicevano: “Dio è venuto nell'accampamento”. Ed esclamarono: “Guai a noi! poiché non era così nei giorni passati.  Guai a noi! Chi ci salverà dalle mani di questi dèi potenti? Questi sono gli dèi che colpirono gli Egiziani con ogni sorta di piaghe nel deserto. Siate forti, Filistei, e comportatevi da uomini, affinché non diventiate schiavi degli Ebrei, come essi sono stati schiavi vostri! Comportatevi da uomini e combattete!”. I Filistei dunque combatterono, Israele fu sconfitto e ciascuno se ne fuggì nella sua tenda. La strage fu enorme, e caddero trentamila fanti d'Israele. L'arca di Dio fu presa, e i due figli di Eli, Ofni e Fineas, morirono. 

     Morte di Eli
  • Un uomo di Beniamino, fuggito dal campo di battaglia, giunse correndo a Silo quello stesso giorno, con le vesti stracciate e la testa coperta di terra. Al suo arrivo, ecco che Eli stava sull'orlo della strada, seduto sulla sua sedia, aspettando ansiosamente, perché gli tremava il cuore per l'arca di Dio. Quando quell'uomo entrò nella città portando la notizia, un grido si alzò da tutta la città. Ed Eli, udendo lo strepito delle grida, disse: “Che significa il chiasso di questo tumulto?”. E quell'uomo andò in fretta a portare la notizia a Eli. Ora Eli aveva novantott'anni; la vista gli era venuta meno, pertanto non poteva vedere. Quell'uomo gli disse: “Sono io che vengo dal campo di battaglia e che ne sono fuggito oggi”. Ed Eli disse: “Com'è andata la cosa, figlio mio?”. E colui che portava la notizia, rispondendo, disse: “Israele è fuggito davanti ai Filistei e c'è stata una grande strage fra il popolo; anche i tuoi due figli, Ofni e Fineas, sono morti, e l'arca di Dio è stata presa”. Appena ebbe menzionato l'arca di Dio, Eli cadde dal suo seggio all'indietro, accanto alla porta, si ruppe la nuca e morì, perché era un uomo vecchio e pesante. Era stato giudice d'Israele quarant'anni. 

    Morte della nuora di Eli
  • Sua nuora, moglie di Fineas, era incinta e prossima al parto; quando udì la notizia che l'arca di Dio era presa e che suo suocero e suo marito erano morti, si curvò e partorì, perché sorpresa a un tratto dai dolori. Mentre stava per morire, le donne che l'assistevano le dissero: “Non temere, poiché hai partorito un figlio”. Ma lei non rispose e non ne fece caso. E chiamò il suo bambino Icabod, dicendo: “La gloria si è allontanata da Israele”, perché l'arca di Dio era stata presa, e a causa del suocero e del marito. E disse: “La gloria si è allontanata da Israele, perché l'arca di Dio è stata presa”.
(Notizie su Israele, 20 dicembre 2025)


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Israele. La pace come miraggio, il riarmo come certezza

di Shira Navon

A Washington e nelle capitali occidentali si discute con eleganza e doverosa apprensione del “giorno dopo”, ma a Gaza il tempo sembra congelato. Il piano Trump promette disarmo, stabilizzazione e una nuova architettura politica per la Striscia; peccato che, sul terreno, la realtà segua una traiettoria diversa, ostinata e, senza apparire allarmisti, brutale. Hamas non è scomparsa, non è collassata, non ha deposto le armi. L’organizzazione criminale sopravvive, si riorganizza e recluta. Ma soprattutto aspetta.
La distanza tra il progetto americano e ciò che accade realmente a Gaza è ormai strutturale. L’idea di una forza internazionale incaricata di disarmare Hamas appare, agli occhi di gran parte degli addetti alla sicurezza israeliani, poco più di una costruzione teorica. Non esiste oggi una forza, né locale né esterna, in grado o disposta ad affrontare decine di migliaia di miliziani radicati nel territorio, protetti da ciò che resta della rete di tunnel e da un controllo sociale che, pur indebolito, resta attivo. Il cessate il fuoco, lungi dall’essere una parentesi neutra, ha creato lo spazio necessario perché Hamas tornasse in superficie, ristabilisse le proprie gerarchie locali e riaffermasse il monopolio della forza.
La Striscia è devastata, priva di risorse e schiacciata da una crisi umanitaria profonda. Ed è proprio l’assenza di un’alternativa politica credibile ad aver consentito – e a continuare a consentire – ad Hamas di colmare il vuoto. Non come il regime compatto e onnipotente di prima del 7 ottobre, ma come un potere di fatto che gestisce l’ordine pubblico, la distribuzione degli aiuti, i mercati e i prezzi. Chi osa discostarsi viene punito, e in modo durissimo, proprio per non lasciare spazio a dubbi su chi comanda. Non si tratta di una rinascita trionfale, quanto di una sopravvivenza organizzata. E a Hamas questo basta e avanza.
A rafforzare questo quadro c’è un altro elemento che raramente entra nel dibattito occidentale: Hamas sta reclutando in modo massiccio. Migliaia di nuovi combattenti starebbero già affluendo nelle sue fila. Meir Dahan, specialista di questioni di sicurezza, descrive questa dinamica come uno degli aspetti più sottovalutati della fase attuale. In una Gaza distrutta, senza lavoro né prospettive, il reclutamento non è un problema ma una leva. Bastano pochi dollari, un’arma, una promessa di appartenenza. Questo dato pesa direttamente sulla strategia israeliana, perché indica che Hamas non si limita a resistere: sta lentamente ricostruendo il proprio capitale umano militare.
Il punto centrale, spesso eluso nel dibattito occidentale, è che Hamas non mostra alcuna intenzione di disarmare davvero. Le dichiarazioni della sua leadership sono esplicite: le armi resteranno finché non esisterà uno Stato palestinese. Tutto il resto è tattica. Distinzioni tra armi “offensive” e “difensive”, depositi sorvegliati, processi graduali: formule che consentono di negoziare senza cedere il cuore del potere. È qui che si annida il bluff: un disarmo sulla carta, accompagnato da una realtà in cui fucili, RPG e milizie restano intatti.
In questo quadro, il ruolo di Qatar e Turchia diventa decisivo. Entrambi spingono per soluzioni che preservino Hamas come attore rilevante, mascherando la continuità sotto il linguaggio della stabilizzazione. Il loro peso su Washington è noto, così come l’interesse a evitare che Gaza diventi un precedente di smantellamento reale di un’organizzazione armata islamista. Il rischio per Israele è evidente: una distensione temporanea che congela l’azione militare e consente ad Hamas di completare la propria riorganizzazione. Due anni di calma apparente possono bastare per preparare il prossimo round.
L’ansia americana di “voltare pagina” rischia così di trasformarsi in un campo minato strategico. Se Hamas resterà in piedi, il messaggio che si diffonderà nell’intero asse della resistenza sarà chiaro: Israele non è riuscito a sconfiggerci. Da Gaza a Beirut, da Teheran a Sana’a, la lezione sarebbe una sola. E le conseguenze non si fermerebbero ai confini della Striscia.
Il paragone con il Libano si impone come un avvertimento. Un territorio in cui un’organizzazione armata resta sovrana di fatto, mentre lo Stato è assente o impotente, è la definizione stessa di instabilità permanente. Senza un progetto politico solido, senza un’alternativa palestinese credibile e sostenuta, Gaza rischia di diventare una nuova versione di quel modello: Hamas indebolita ma intoccabile, Israele costretto a interventi periodici, la guerra sempre rimandata ma mai conclusa.
La verità, scomoda ma impossibile da ignorare, è che nessuno oggi sembra davvero pronto a disarmare Hamas: non la comunità internazionale, non le forze regionali, non i mediatori. L’unica opzione che resta sul tavolo, prima o poi, è quella che nessuno vuole nominare apertamente: un capitolo due della guerra. Non perché sia inevitabile per natura, ma perché lo diventa quando la politica si accontenta dei bluff e chi controlla le armi non ha alcun interesse a posarle.

(Setteottobre, 20 dicembre 2025)

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Posa della prima pietra della metropolitana di Tel Aviv: il più grande progetto infrastrutturale di Israele diventa realtà

Tre linee, 109 stazioni sotterranee e fino a due milioni di passeggeri al giorno: la nuova metropolitana cambierà in modo sostenibile il traffico nel centro del Paese.

di Dov Eilon

Il 18 dicembre 2025, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu posa la prima pietra della metropolitana di Tel Aviv a Petach Tikwa
GERUSALEMME - Con un atto simbolico a Petach Tikva, Israele ha compiuto un passo storico nell'espansione delle sue infrastrutture. Giovedì il primo ministro Benjamin Netanyahu ha posato la prima pietra della metropolitana di Tel Aviv, una rete ferroviaria sotterranea considerata il più grande progetto infrastrutturale nella storia del Paese. Un progetto di cui si è parlato per decenni e che ora sta per essere realizzato.
Nel suo discorso, Netanyahu ha ricordato che già il fondatore dello Stato di Israele, David Ben-Gurion, aveva parlato di una ferrovia sotterranea nel centro densamente popolato del Paese. “Molti ne hanno parlato”, ha detto il primo ministro. “Ma le parole da sole non bastano”. I sogni sono necessari, ma senza la loro realizzazione rimangono privi di significato. “Abbiamo promesso, manterremo questa promessa e la realizzeremo”.
Il progetto ha dimensioni enormi. Si prevede di investire circa 50 miliardi di dollari USA per costruire un sistema metropolitano in grado di trasportare fino a due milioni di persone al giorno. La messa in funzione è prevista tra circa un decennio e mezzo. Sono previste tre linee principali con una lunghezza totale di circa 160 chilometri e 109 stazioni completamente sotterranee. La rete si estenderà su 24 comuni nell'area metropolitana di Tel Aviv, da Kfar Saba e Ra'anana a nord fino a Rehovot e Lod a sud.
La metropolitana è concepita come la spina dorsale di un nuovo sistema di trasporto integrato. Sarà collegata alla metropolitana leggera di Tel Aviv, la cui prima linea è entrata in funzione due anni fa, nonché ad altri collegamenti ferroviari esistenti e in progetto. L'obiettivo è quello di creare una rete efficiente che alleggerisca in modo significativo il traffico stradale cronicamente congestionato nel centro economico e demografico di Israele.
L'area metropolitana di Tel Aviv è una delle regioni più densamente popolate del Paese. Da anni il numero di veicoli cresce più rapidamente delle infrastrutture di trasporto. Ingorghi, lunghi tempi di pendolarismo e un elevato impatto ambientale caratterizzano la vita quotidiana di molte persone. La nuova metropolitana dovrebbe portare un cambiamento fondamentale in questo senso, con collegamenti rapidi, frequenze elevate e una capacità che corrisponde al fabbisogno effettivo.
Durante la cerimonia di posa della prima pietra, il ministro dei Trasporti Miri Regev ha parlato di un progetto di portata nazionale. La metropolitana non solo cambierà la mappa dei trasporti di Israele, ma porrà il Paese al livello dei principali progetti infrastrutturali internazionali. Oltre ad alleggerire il traffico, il governo spera di ottenere impulsi economici, una migliore qualità della vita e uno sviluppo urbano più sostenibile.
Nonostante i costi enormi e i lunghi tempi di costruzione, il progetto è considerato necessario da tutti i partiti. Israele sta crescendo dal punto di vista demografico, economico e territoriale. Senza un massiccio potenziamento del trasporto pubblico, il centro del Paese rischia di raggiungere definitivamente i propri limiti. Con la metropolitana di Tel Aviv, Israele investe in un futuro in cui la mobilità non sarà più un collo di bottiglia, ma un pilastro fondamentale della vita urbana.

(Israel Heute, 20 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele è forte perché è libero

di Iuri Maria Prado

Non è un caso che Israele, nonostante sia bersagliato da ogni fronte diplomatico e politico, proprio in questi giorni concluda contratti e instauri rapporti di scambio commerciale con i Paesi a democrazia avanzata. Succede perché Israele è forte. Ma non è forte perché ha un esercito forte. Israele è forte perché ha investito in sapere scientifico, in ricerca, nell’istruzione, nell’avanzamento tecnologico.
   Soprattutto, Israele è forte perché la società israeliana è libera e perché sono liberi i cittadini che l’hanno costruita. Le reti produttive, finanziarie e industriali delle democrazie economicamente avanzate che commerciano e definiscono protocolli di collaborazione con Israele non lo fanno valutando il numero dei carri armati e dei caccia di cui dispone lo Stato ebraico. Lo fanno perché Israele è affidabile, e perché rinunciare a esserne partner significa rinunciare a possibilità di sviluppo e di posizionamento competitivo. Se non è mai esistita nessuna politica di isolamento, di embarghi e boicottaggi nei confronti delle democrazie economicamente avanzate non è perché queste proteggevano con le armi la propria azione produttiva e commerciale: è perché l’efficienza di quelle economie, fondate su società libere e sorrette da sistemi democratici affidabili, remuneravano in benessere più diffuso e in maggiore stabilità il circuito dei partecipanti a quel sistema virtuoso.
   Per questo motivo non funzionano le architetture di blocco disegnate nelle risoluzioni, nelle mozioni, nelle raccomandazioni rivolte alla chiusura dei rapporti economici e commerciali con Israele. Non perché sono ingiuste, ma perché sono incompatibili con la realtà che va necessariamente da un’altra parte perché non può rimanere inviluppata in quelle limitazioni insensate. Non senza ricordare che, oltretutto, non una delle iniziative vagheggiate in campo internazionale e umanitario a detrimento delle possibilità produttive, economiche e commerciali di Israele porterebbe qualsiasi vantaggio alla popolazione palestinese, né avvicinerebbe anche solo di poco la soluzione del conflitto. I sistemi di difesa, i farmaci, le biotecnologie, le intelligenze artificiali, le invenzioni nella produzione agricola, i ritrovati in campo medico, sanitario e diagnostico che vengono da Israele arricchiscono di progresso le società che li adottano e se ne valgono. Immaginare che si tratti di un dispositivo di profitto organizzato dall’entità coloniale che scarica bombe sul diritto di autodeterminazione dei palestinesi, magari con la complicità di multinazionali e Stati senza scrupoli, va bene per i pamphlet delle agitatrici dell’Onu che straparlano di “economia del genocidio”. Ma sono soltanto, ancora una volta, desolanti dimostrazioni di ideologico attaccamento all’irrealtà. Se Israele prospera, essendo passato in pochi decenni da un’economia da Terzo Mondo alla posizione attuale, cioè al vertice qualitativo dei sistemi democraticamente avanzati, è perché ha investito in sé stesso, nella propria libertà e nel proprio futuro. È perché non ha investito in una rete di tunnel. Resta così anche se si fa finta che non sia così.

(Il Riformista, 20 dicembre 2025)

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Strage a Fiumicino, un docufilm racconta il terrorismo palestinese in Italia

Forse pochi lo ricordano ma il terrorismo palestinese è stato l’artefice di una lunga scia di morti in Italia. Accadde davanti al Tempio Maggiore di Roma, nell’attentato del 9 ottobre 1982 costato la vita al piccolo Stefano Gaj Taché. E per due volte è successo all’aeroporto di Fiumicino. La prima, il 17 dicembre del 1973, un commando sparò all’impazzata nel terminal e poi diede fuoco ai passeggeri di un boeing della Pan Am diretto a Teheran, uccidendo in tutto 34 persone. La seconda, il 27 dicembre del 1985, uomini collegati ad Abu Nidal aprirono il fuoco contro i passeggeri in coda per il check-in dei bagagli agli sportelli dell’israeliana El Al e dell’americana TWA, facendo 13 vittime. Un docufilm punta a rinfrescare la memoria di chi avesse dimenticato. Si tratta di “Fiumicino 1985 – Attacco all’aeroporto”, scritto da Luca Lancise e diretto da Simone Manetti. Prodotto da Think Cattleya in collaborazione Rai Documentari, il docufilm sarà trasmesso dal servizio pubblico nel giorno dell’anniversario, ma è stato intanto proiettato alla Sala della Regina di Palazzo Montecitorio.
   Come ha spiegato il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, attentati come quello del 1985 sono «attacchi contro ognuno di noi» e «fin quando ciò non sarà chiaro e patrimonio di tutti» non sarà davvero possibile contrastare con forza il terrorismo. «Cosa c’è di diverso tra l’attentato di Fiumicino e il 7 ottobre?», si è poi chiesto Mulè. «Nulla, perché è lo stesso identico, sistematico e ridondante messaggio di odio che viene ripetuto nel tempo». È lo stesso pensiero di Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera, secondo il quale «quell’integralismo è lo stesso demone che abbiamo visto riaffiorare nel barbaro eccidio del 7 ottobre». Mollicone ha definito l’attentato del 1985 «una sfida frontale all’Occidente e alla sovranità italiana» e messo in guardia rispetto a «un rigurgito di antisemitismo inaccettabile nelle nostre piazze». L’attacco a Fiumicino «non arrivò all’improvviso», ha osservato Piero Corsini, vicedirettore di Rai Cultura ed Educational. Per il dirigente Rai, il docufilm di Manetti «non è memoria storica, ma memoria della storia». Anche l’ambasciatore israeliano Jonathan Peled ha ricordato il prezzo di sangue pagato dal nostro paese al terrorismo palestinese. «L’Italia ha già sperimentato quella che viene chiamata l’Infifada globale, una violenza che ha l’intento di destabilizzare le istituzioni democratiche», ha affermato. «Oggi ritroviamo questa dinamica in nuove forme di intimidazione e violenza ed eventi come quelli accaduti a Sidney ci dimostrano che la minaccia non è superata e nessun paese può considerarsi immune». a.s.

(moked, 19 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 3
    Vocazione di Samuele
  • Il piccolo Samuele serviva l'Eterno sotto gli occhi di Eli. La parola dell'Eterno era rara a quei tempi e le visioni non erano frequenti.  In quello stesso tempo, Eli, la cui vista cominciava a offuscarsi e non gli consentiva di vedere, se ne stava un giorno coricato nel suo luogo consueto;  la lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele era coricato nel tempio dell'Eterno dove si trovava l'arca di Dio. 
  • E l'Eterno chiamò Samuele, il quale rispose: “Eccomi!”  e corse da Eli e disse: “Eccomi, poiché tu mi hai chiamato”. Eli rispose: “Io non ti ho chiamato, torna a coricarti”. Ed egli se ne andò a coricarsi. 
  • L'Eterno chiamò di nuovo Samuele. E Samuele si alzò, andò da Eli e disse: “Eccomi, poiché tu mi hai chiamato”. Egli rispose: “Figlio mio, io non ti ho chiamato; torna a coricarti”. Ora Samuele non conosceva ancora l'Eterno e la parola dell'Eterno non gli era ancora stata rivelata. 
  • L'Eterno chiamò di nuovo Samuele, per la terza volta. Ed egli si alzò, andò da Eli e disse: “Eccomi, poiché tu mi hai chiamato”. Allora Eli comprese che l'Eterno chiamava il bambino.  Ed Eli disse a Samuele: “Va' a coricarti; e, se sarai chiamato ancora, dirai: 'Parla, o Eterno, poiché il tuo servo ascolta'”. Samuele andò dunque a coricarsi al suo posto. E l'Eterno venne, si fermò lì vicino, e chiamò come le altre volte: “Samuele, Samuele!”. Samuele rispose: “Parla, poiché il tuo servo ascolta”. 
  • Allora l'Eterno disse a Samuele: “Ecco, io sto per fare in Israele una cosa tale che chi la udrà ne avrà intronati entrambi gli orecchi. In quel giorno io metterò a effetto contro Eli, dal principio fino alla fine, tutto ciò che ho detto circa la sua casa. Gli ho predetto che avrei esercitato i miei giudizi sulla sua casa per sempre, a causa dell'iniquità che egli ben conosce, poiché i suoi figli hanno attratto su di sé la maledizione, ed egli non li ha rimproverati. Perciò io giuro alla casa di Eli che l'iniquità della casa di Eli non sarà mai espiata né con sacrifici né con oblazioni”. 
  • Samuele rimase coricato fino alla mattina, poi aprì le porte della casa dell'Eterno. Egli temeva di raccontare a Eli la visione. Ma Eli chiamò Samuele e disse: “Samuele, figlio mio!”, egli rispose: “Eccomi”. Ed Eli: “Qual è la parola che egli ti ha detto? Ti prego, non me la nascondere! Iddio ti tratti con il massimo rigore, se mi nascondi qualcosa di tutto quello che egli ti ha detto”. Samuele allora gli raccontò tutto, senza nascondergli nulla. Ed Eli disse: “Egli è l'Eterno: faccia quello che gli sembrerà bene”. 
  • Samuele intanto cresceva, l'Eterno era con lui e non lasciò cadere a terra nessuna delle sue parole. Tutto Israele, da Dan fino a Beer-Sceba, riconobbe che Samuele era stabilito profeta dell'Eterno. 
  • L'Eterno continuò ad apparire a Silo, poiché a Silo l'Eterno si rivelava a Samuele mediante la sua parola.

(Notizie su Israele, 19 dicembre 2025)


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Rappresentanza degli interessi o politica? Come le manifestazioni per gli ostaggi sono diventate eventi di odio anti-statale

Gli appelli per la liberazione dei rapiti un tempo univano gli israeliani, ma con il progredire della guerra le proteste settimanali a Tel Aviv si sono trasformate in aspri campi di battaglia politica.

di Judith Segaloff

Già prima della guerra, gli israeliani erano abituati a una forte cultura di protesta. Le manifestazioni contro la riforma della giustizia, le controversie sulla preghiera pubblica a Tel Aviv e le marce anti-harediche a Bnei Brak mantenevano il Paese in uno stato di tensione politica permanente. I dibattiti accesi alla Knesset erano all'ordine del giorno, quasi non degni di nota.
Poi arrivò il 7 ottobre 2023.
Nei giorni immediatamente successivi agli attacchi di Hamas, le divisioni sembravano scomparire. Da un giorno all'altro sono nate massicce iniziative di volontariato e una società divisa si è trasformata in una società che agiva con insolita coesione e compassione.
L'8 ottobre, nella cantina di Shelly Shem Tov, madre del rapito Omer Shem Tov, si sono riunite le famiglie dei rapiti, sostenute dai rappresentanti di circa 1.400 altre famiglie.
Da questo incontro è nato il Forum degli ostaggi e delle persone scomparse (Hostages and Missing Persons Forum, HMFF), un'iniziativa popolare e volontaria che si è rapidamente estesa da Israele a più di 70 paesi. La leadership del forum ha sottolineato che l'organizzazione è apolitica. Ma lo è mai stata davvero?
Quasi immediatamente lo slogan “Bring Them Home Now” è apparso su manifesti, magliette, striscioni e adesivi per auto. Molti israeliani, tuttavia, hanno avuto l'impressione che il messaggio spostasse implicitamente la responsabilità da Hamas, i rapitori terroristi, attribuendola invece chiaramente al governo israeliano.
Sebbene l'HMFF si definisse apartitico, le dichiarazioni dei singoli membri raccontavano una storia diversa.
Sagit Dinnar, il cui marito è stato assassinato il 7 ottobre e che è stata lei stessa rapita e poi rilasciata, è diventata una delle voci più autorevoli del gruppo. Ha spesso sostenuto che la strategia del governo nei negoziati per il rilascio degli ostaggi fosse dettata più dalla sopravvivenza politica che da considerazioni di sicurezza, e non ha esitato a criticare aspramente il primo ministro Benjamin Netanyahu.
In una sessione pubblica di domande e risposte su Internet nell'aprile 2024, Sagit Dinnar ha scritto: “Hamas non rilascerà mai un numero di ostaggi tale da rendere accettabile il prezzo della sua distruzione”. In questo modo si è espressa a favore di accordi parziali per salvare vite umane.
Ha accusato il governo di essere «disposto a pagare qualsiasi prezzo, anche quello della vita degli ostaggi o dei soldati».
Altre famiglie hanno dissentito e si sono organizzate.

L’ascesa del Tikva Forum
  In risposta alle prime campagne di pressione dell'HMFF, Tzvika (Zvika) Mor, padre del soldato dell'IDF rapito Eitan Mor, e diverse famiglie che la pensavano allo stesso modo hanno iniziato a incontrarsi informalmente. In seguito hanno fondato il Tikva Forum. A differenza degli attivisti dell'HMFF, che consideravano le concessioni un dovere morale, i membri del Tikva Forum sostenevano che i negoziati con Hamas avrebbero messo in pericolo gli ostaggi rimasti e favorito futuri rapimenti.
“Durante una guerra, e in particolare mentre sono in corso i negoziati, le manifestazioni contro il governo danneggiano la conduzione della guerra”, ha detto Mor a JNS. “Abbiamo visto Hamas pubblicare video dei rapiti poco prima delle manifestazioni settimanali. Le manifestazioni che attaccavano il governo servivano Hamas”.
Gli approcci dei due gruppi si sono evoluti in modo nettamente diverso.
Nel marzo 2024, molto prima che la maggior parte degli ostaggi fosse stata liberata, le manifestazioni dell'HMFF hanno iniziato a sovrapporsi alle proteste anti-riforma in Kaplan Street. L'incrocio Begin-Kaplan, ribattezzato dai manifestanti “Piazza della Democrazia”, è diventato il luogo di eventi congiunti in cui le famiglie degli ostaggi e gli attivisti critici nei confronti del governo hanno chiesto contemporaneamente un accordo e elezioni anticipate.
Tra gli oratori delle manifestazioni congiunte c'erano famiglie come quella di Einav Zangauker e i parenti dell'ostaggio Noam Peri, che chiedevano negoziati urgenti e allo stesso tempo criticavano il primo ministro.
Gruppi vicini a Kaplan come Brothers and Sisters in Arms (Achim LaNeshek) fornivano supporto logistico e finanziario, rendendo ancora più confusi i confini tra la rappresentanza degli interessi degli ostaggi e la mobilitazione politica.
Non tutte le famiglie dell'HMFF hanno partecipato, ma la fazione dominante ha accolto con favore la collaborazione. I leader del Tikva Forum hanno accusato gli attivisti di Kaplan di “strumentalizzare” il trauma delle famiglie degli ostaggi per rovesciare il governo.

Ritorno delle proteste politiche
  Con il ritorno della maggior parte degli ostaggi, l'HMFF ha dichiarato che la sua ultima manifestazione settimanale si sarebbe tenuta il 1° dicembre. Tuttavia, le proteste sono continuate in una nuova forma. Alcuni giorni dopo, i manifestanti si sono riuniti davanti al tribunale di Tel Aviv, accusando il governo di anteporre “la sopravvivenza politica alla giustizia”.
Gli attivisti di Kaplan hanno chiesto una commissione d'inchiesta statale sulle mancanze del 7 ottobre. Alcune famiglie in lutto hanno dato la colpa direttamente a Netanyahu, sostenendo che le continue violazioni del cessate il fuoco da parte di Hamas e le decisioni militari di Israele avevano messo in pericolo i loro cari.
Nel frattempo, i gruppi di sinistra continuano a organizzare piccole proteste contro la guerra, mentre grandi manifestazioni haredi contro le esenzioni dal servizio militare paralizzano Gerusalemme.
Con le elezioni nazionali previste per il 2026 e il trauma nazionale che continua a farsi sentire, la maggior parte degli analisti prevede che le proteste in Israele aumenteranno, anziché diminuire, nel prossimo anno. Quando l'ultima bandiera degli ostaggi sarà ammainata, si aspettano che nuovi striscioni, cori e barricate prenderanno il loro posto.
Le proteste aiutano o danneggiano Israele? Per Mor e il Tikva Forum la risposta è chiara. “Quando si organizzano manifestazioni contro il governo per esercitare pressione, le organizzazioni terroristiche imparano che possono usare i cittadini israeliani contro il governo e a proprio vantaggio”, ha detto a JNS. “Le proteste danno potere ai nostri nemici”.

(Israel Heute, 19 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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È ufficiale: Israele sigla con l’Egitto un accordo di 34,7 miliardi di dollari sul gas

Nei primi quattro anni lo Stato incasserà circa 500 milioni di shekel all’anno (155 milioni di dollari), cifra destinata a crescere progressivamente fino a raggiungere i 6 miliardi di shekel (1,9 miliardi di dollari) annui entro il 2033.

di Nina Prenda

Dopo le prime indiscrezioni, arriva l’ufficialità: Israele ed Egitto siglano un’intesa definita “storica” sul gas.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato mercoledì 17 dicembre 2025 l’approvazione di quello che ha definito «il più grande accordo energetico nella storia di Israele»: un’intesa sul gas naturale del valore complessivo di 112 miliardi di shekel, pari a circa 34,7 miliardi di dollari, che prevede forniture al mercato egiziano attraverso la società americana Chevron e partner israeliani.
In una dichiarazione video congiunta con il ministro dell’Energia Eli Cohen, Netanyahu ha sottolineato l’impatto economico dell’accordo: 58 miliardi di shekel (circa 18 miliardi di dollari) finiranno direttamente nelle casse pubbliche. Nei primi quattro anni lo Stato incasserà circa 500 milioni di shekel all’anno (155 milioni di dollari), cifra destinata a crescere progressivamente fino a raggiungere i 6 miliardi di shekel (1,9 miliardi di dollari) annui entro il 2033.
«Queste risorse rafforzeranno istruzione, sanità, infrastrutture, sicurezza e il futuro delle prossime generazioni», ha affermato il premier, precisando di aver dato il via libera all’intesa solo dopo aver verificato che fossero garantiti gli interessi vitali di Israele. Netanyahu ha inoltre assicurato che le aziende coinvolte saranno obbligate a vendere gas anche al mercato israeliano «a un buon prezzo». Con una metafora simbolica, ha concluso: «Abbiamo portato un’altra brocca d’olio alla nazione di Israele», richiamando il miracolo di Hanukkah.
Accanto a lui, il ministro Cohen ha parlato di «un momento storico», definendo l’accordo il più grande mai concluso da Israele sul fronte delle esportazioni. «Il gas naturale è una risorsa strategica», ha ribadito, sottolineando il valore politico oltre che economico dell’intesa.
L’annuncio arriva dopo mesi di incertezze. Già ad agosto la società israeliana NewMed Energy aveva comunicato la firma preliminare di un accordo da circa 35 miliardi di dollari per la fornitura di gas all’Egitto. Tuttavia, l’iter si era arenato quando Cohen aveva inizialmente rifiutato di concedere l’approvazione governativa, lamentando l’assenza di garanzie su prezzi equi per i consumatori israeliani e paventando il rischio di un’eccessiva erosione delle riserve nazionali, con conseguenze sulla sicurezza energetica.
Sul dossier avrebbe pesato anche la pressione degli Stati Uniti. Secondo fonti riportate da Axios, Washington avrebbe svolto un ruolo chiave nel favorire l’intesa, al punto che il segretario all’Energia statunitense Chris Wright avrebbe annullato una visita ufficiale in Israele lo scorso ottobre dopo il temporaneo stop imposto da Cohen. L’interesse americano è legato alla volontà di rafforzare i rapporti tra Israele ed Egitto attraverso interessi economici condivisi, soprattutto dopo il raffreddamento delle relazioni seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e alla guerra a Gaza.
«L’accordo rafforza in modo significativo la posizione di Israele come superpotenza energetica regionale e contribuisce alla stabilità dell’area», ha sostenuto Netanyahu, aggiungendo che l’intesa potrebbe incoraggiare altri Paesi a investire nell’esplorazione di gas nelle acque israeliane. Secondo Axios, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump starebbe lavorando per mediare un vertice tra Netanyahu e il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi; la firma di un accordo strategico sul gas sarebbe una delle principali concessioni richieste per favorire l’incontro.
In una nota diffusa mercoledì sera, NewMed Energy ha confermato di aver ricevuto l’autorizzazione all’esportazione di gas verso l’Egitto, aprendo la strada all’attuazione dell’accordo. «È un giorno storico per il settore del gas naturale», ha dichiarato l’amministratore delegato Yossi Abu, «che garantisce investimenti continui in Israele e stabilità normativa per gli anni a venire».
Negli ultimi anni sia Israele sia l’Egitto sono emersi come attori di primo piano nel mercato del gas grazie a importanti scoperte offshore. Oggi il gas israeliano copre tra il 15 e il 20 per cento del consumo egiziano, secondo i dati della Joint Organization Data Initiative. C’è da sottolineare, però, che all’inizio dell’anno il Ministero delle Finanze israeliano ha avvertito che, con l’attuale ritmo di crescita della domanda interna e delle esportazioni, il Paese potrebbe trovarsi ad affrontare una carenza di gas nei prossimi 25 anni, con il rischio di un aumento dei prezzi dell’elettricità.
Il giacimento di Leviathan, una delle più grandi scoperte di gas in acque profonde al mondo, rifornisce il mercato interno israeliano dal dicembre 2019. Le esportazioni verso l’Egitto sono iniziate nel gennaio 2020, in base a un accordo per 60 miliardi di metri cubi da completare entro i primi anni del prossimo decennio. A settembre 2025, Leviathan aveva già fornito al mercato egiziano 23,5 miliardi di metri cubi di gas.

(Bet Magazine Mosaico, 19 dicembre 2025)

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“Sovranità digitale per l'Europa” – non senza Israele

di Daniel Frick

Chi segue le partite casalinghe della Bundesliga del Bayern Monaco o del VfB Stoccarda in questa stagione, vede anche la pubblicità a bordo campo dell'azienda Schwarz Digits: questa promette “Sovranità digitale per l'Europa”. Ciò che si intende è l'obiettivo di diventare più indipendenti dai fornitori extraeuropei nel mondo digitale, ad esempio per quanto riguarda l'offerta cloud, sempre più importante. Anche l'allenatore della nazionale tedesca di calcio Julian Nagelsmann fa pubblicità all'azienda.
Tali ambizioni non sono nuove, ma hanno acquisito una nuova urgenza. A metà novembre, il Ministero federale dell'Interno ha comunicato in un rapporto sulla situazione che, soprattutto nel periodo delle elezioni federali e della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, si sono verificati numerosi attacchi informatici alle infrastrutture pubbliche. L'obiettivo era quello di minare la fiducia nello Stato. Il principale sospettato è la Russia.
Il grande scenario da incubo è inoltre il “kill switch”: l'interruzione di servizi importanti da parte degli Stati Uniti o della Cina in caso di controversie politiche. Per questo motivo, in Europa dovrebbe nascere un'architettura digitale indipendente: social network, processori, intelligenza artificiale (IA) dall'Europa per l'Europa – o proprio i servizi cloud pubblicizzati da Schwarz Digits.

“Nuova era della guerra cibernetica”
  Tuttavia, l'obiettivo non sembra raggiungibile senza l'aiuto di Israele: nella sua pubblicità, l'azienda promuove anche il suo reparto XM Cyber, una società israeliana di sicurezza cibernetica. Il gruppo Schwarz, noto per i marchi Kaufland e Lidl, ne ha acquisito la quota di maggioranza nel 2021. Entrambe le parti hanno concordato una partnership strategica.
XM Cyber è stata fondata nel 2016 da ex membri dei servizi segreti israeliani, tra cui l'ex capo del Mossad Tamir Pardo. Nel frattempo, protegge, tra l'altro, le risorse digitali del Bayern Monaco e ha un ufficio nella tranquilla Neckarsulm, dove ha sede il gruppo Schwarz.
XM Cyber non è l'unico pilastro israeliano di Schwarz Digits: a settembre l'azienda ha annunciato l'intenzione di approfondire la partnership strategica con SentinelOne. L'israeliano Tomer Weingarten ha fondato l'azienda nel 2013 insieme a due partner e la dirige ancora oggi. Nel frattempo, ha sede a Mountain View, in California.
Con XM Cyber e SentinelOne, Schwarz Digits promette una protezione completa e integrata che fa ricorso all'intelligenza artificiale. Weingarten ha formulato la questione della sicurezza in modo piuttosto drastico durante la presentazione della partnership: “Ci troviamo in una nuova era di guerra cibernetica, in cui l'IA combatte contro l'IA”.

Successo organizzato
  Il ricorso all'esperienza israeliana non sorprende. Lo Stato ebraico è considerato una superpotenza nel campo della sicurezza informatica. Con il 5% delle esportazioni mondiali in questo settore, occupa il secondo posto dietro agli Stati Uniti. Secondo i dati del governo israeliano, attualmente nel Paese ci sono circa 400 centri di ricerca che si occupano di sicurezza informatica.
Anche in questo caso Israele registra valori record: nel 2024 sono stati investiti 4 miliardi di dollari in start-up attive nel settore della sicurezza informatica. A titolo di confronto: in Germania, un Paese con una popolazione otto volte superiore, secondo la Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) nello stesso periodo sono stati investiti circa 500 milioni di dollari in start-up attive in questo settore.
Il successo israeliano non è casuale: dall'esperienza di una minaccia esistenziale si è sviluppata la sensazione fondamentale di dover essere migliori dei paesi della regione per sopravvivere. In questo senso, Israele ha riconosciuto presto, alla fine degli anni '90, l'importanza del cyberspazio per la difesa. Quando il settore ha acquisito importanza, il Paese era già un centro high-tech.
Secondo gli osservatori, un'altra pietra miliare è stata la visita del capo del governo Benjamin Netanyahu (Likud) alla leggendaria unità di ricognizione 8200 dell'esercito nel 2010. Rimase così colpito dalle sue capacità che lanciò un'iniziativa: Israele doveva diventare uno dei cinque migliori paesi nel campo della sicurezza informatica. All'inizio del 2012, la direzione cyber del governo ha iniziato a coordinare gli sforzi in tal senso.

Selezione rigorosa, responsabilità precoce
  Il principale motore del successo è l'esercito stesso, che già nelle scuole del Paese è alla ricerca di talenti che possano essere inseriti nelle unità competenti. Grazie al servizio militare obbligatorio, l'esercito ha accesso a queste nuove leve per alcuni anni. I candidati devono sottoporsi a un rigoroso processo di selezione. L'esercito offre loro poi una formazione intensiva.
Dopo il servizio militare obbligatorio, le aziende e le università hanno a disposizione questi talenti formati, che hanno già una notevole esperienza. Infatti, di norma nell'esercito vengono loro affidati presto compiti di responsabilità, ovvero applicano la sicurezza informatica contro i nemici.
Israele punta inoltre sulla collaborazione tra esercito, servizi di sicurezza, aziende e università. Nella capitale del deserto, Be'er Sheva, questi sforzi dovrebbero convergere. L'unità 8200 e il Cyber Directorate del governo si trasferiscono lì, nella zona industriale di Gav Jam hanno sede aziende cyber e l'Università Ben-Gurion dispone anche di un centro di ricerca cyber rinomato a livello mondiale.
Oltre alla vicinanza di talenti e competenze, il governo punta su una promozione mirata. Nel 2019 l'esercito e il ministero della difesa hanno fondato un centro di innovazione per sostenere le giovani imprese che sviluppano strumenti informatici commerciali che possono essere utilizzati anche in ambito militare. Anche i servizi segreti esteri Mossad hanno già avviato un programma di sostegno simile.

Tradizioni favorevoli
  Anche le caratteristiche della società israeliana e dell'ebraismo contribuiscono al successo. Lo sottolinea il Centro Begin-Sadat per gli studi strategici. Tra queste caratteristiche figurano un forte apprezzamento per l'istruzione e un rispetto meno marcato per le autorità e le norme, unito a un pizzico di chutzpah israeliana.
Nel campo della sicurezza informatica, ciò porta a mettere in discussione gli approcci convenzionali e a elaborare nuovi metodi. A ciò si aggiungono forti legami sociali, che nascono non da ultimo dal servizio militare. In questo modo, gli israeliani rimangono aggiornati sugli sviluppi tecnologici o sulle nuove offerte di lavoro.
Per Israele, il vantaggio nel cyberspazio non significa solo successo economico, ma anche diplomatico. Gli accordi di Abramo del 2020 sono stati conclusi anche perché i paesi coinvolti volevano condividere le competenze israeliane.
Anche la Germania sa quanto vale Israele. Alla fine di giugno, il ministro federale dell'Interno Alexander Dobrindt (CSU) si è recato in Israele per rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza informatica. La Germania vuole trarre vantaggio dalla forza innovativa di Israele e concludere un patto sulla sicurezza informatica con Israele, ha sottolineato il ministro.
Il dominio nel settore dell'alta tecnologia ha però un retrogusto amaro: il massacro terroristico del 7 ottobre 2023 ha dimostrato che un Paese può affidarsi troppo alla propria tecnologia e perdere la necessaria vigilanza. Il grande attacco contro Israele è stato compiuto con mezzi relativamente semplici.
Ciò non toglie che la sicurezza informatica rimanga un pilastro della difesa nazionale. Il ricorso all'esperienza israeliana da parte della Germania e dell'Europa è la prova del vantaggio che Israele ha in questo settore.

(Israelnetz, 19 dicembre 2025)

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Yemen. Quando Hamas sapeva di danneggiare i palestinesi

di Shira Navon 

È venuta alla luce una registrazione del 2008 che oggi suona come una confessione anticipata. Una telefonata tra Ali Abdullah Saleh, allora presidente dello Yemen, e Khaled Meshaal, leader politico di Hamas, trapelata in questi giorni e rilanciata da media yemeniti. Non è un documento qualunque e andrebbe ascoltato con il dovuto impegno. Si tratta di una conversazione in cui un capo di Stato arabo accusa Hamas, senza giri di parole, di usare i razzi non per colpire Israele ma per offrirgli una giustificazione perfetta per attaccare Gaza, scaricando il prezzo sui civili palestinesi.
La chiamata risale al 28 dicembre 2008, il giorno dopo l’inizio dell’operazione Piombo Fuso. Saleh è diretto, quasi brutale. Dice a Meshaal che quei razzi non hanno colpito Israele, che sono stati del tutto inefficaci dal punto di vista piano militare, e che invece hanno portato morte e distruzione a Gaza. I numeri che cita sono secchi come colpi di tamburo: pochi morti palestinesi prima dei raid, centinaia dopo. La conclusione è altrettanto netta. Questa strategia, dice duro e preoccupato il presidente dello Yemen, non serve alla causa palestinese, la danneggia.
Non si tratta solo una critica militare. Saleh rimprovera Hamas di non aver dato istruzioni ai civili di tenersi lontani dagli obiettivi militari noti e accusa l’organizzazione di esporre deliberatamente la popolazione a un massacro prevedibile. Parole che oggi, dopo il 7 ottobre e dopo mesi di guerra a Gaza, risuonano con una forza inquietante e smontano una delle narrazioni più ripetute: l’idea che Hamas agisca per difendere il suo popolo e che le conseguenze siano solo il frutto di una risposta israeliana sproporzionata.
La risposta di Meshaal è altrettanto rivelatrice. Non contesta l’efficacia dei razzi, non nega il costo umano. Insiste su un altro piano: l’assedio, i valichi chiusi, Rafah, la pressione su Egitto e Autorità Palestinese. La violenza usata come leva politica, come strumento per forzare aperture che altrimenti non arriverebbero. È una logica che Hamas non ha mai nascosto del tutto, ma che raramente emerge in modo così esplicito, soprattutto in un dialogo interno al mondo arabo.
Il contesto della fuga di notizie non è neutro. La registrazione è stata diffusa da ambienti legati ai ribelli Houthi, oggi pienamente allineati all’asse iraniano e schierati con Hamas nella guerra contro Israele. Mostrare Saleh come una voce critica serve anche a marcare una distanza politica: lui, che pure governò lo Yemen per oltre trent’anni, non era “abbastanza” dalla parte di Hamas. Un paradosso tragico, se si considera che Saleh è stato ucciso dagli stessi Houthi nel 2017.
Ma al di là delle manovre propagandistiche, il contenuto resta e pesa come un macigno su tutto il modo di raccontare in Occidente la vicenda mediorientale. Un leader arabo che dice a Hamas ciò che molti sanno e pochi ammettono: la scelta dei razzi e della provocazione armata non è solo inefficace, è cinica. Produce immagini, martiri, pressione internazionale, ma di certo non migliora la vita dei palestinesi. Sembra il contrario, la peggiora sistematicamente.
Riascoltare oggi quella telefonata significa togliere un velo. Significa riconoscere che la tragedia di Gaza non è solo il risultato di decisioni israeliane, ma anche di una strategia criminale e cinica di Hamas, lucidamente consapevole del prezzo umano che avrebbe imposto al proprio popolo. E questo, forse, è l’aspetto più scomodo di tutti e che nessuno, nelle società occidentali animate dal fervore propalestinese vuole ascoltare.

(Setteottobre, 18 dicembre 2025)

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Torino, sgomberato Askatasuna: la fine di una zona franca al servizio della violenza pro-Pal

di Stefano Piazza

Lo sgombero del centro sociale Askatasuna avvenuto oggi non è un fatto isolato né tantomeno un eccesso repressivo. È l’atto finale di una lunga tolleranza istituzionale verso un luogo che negli anni è diventato cerniera politica e logistica delle frange più violente del movimento pro-Pal a Torino.
Il blitz all’alba con l’intervento di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, chiude un capitolo di illegalità iniziato nel 1996 e mai realmente contrastato. Askatasuna non è mai stato solo uno spazio occupato. È stato un punto di riferimento stabile per cortei degenerati in assalti, per azioni di forza contro sedi istituzionali, aziende, media e infrastrutture cittadine.
Negli ultimi mesi Torino è stata teatro di ripetute violenze pro-Pal: devastazioni, imbrattamenti, blocchi stradali, aggressioni alle forze dell’ordine e incursioni mirate contro obiettivi simbolici. Episodi che non nascono dal nulla, ma da un ecosistema antagonista che ha sempre trovato copertura politica, narrazione compiacente e spazi sicuri.In questo quadro Askatasuna ha rappresentato una vera zona franca, un luogo dove la protesta smetteva di essere dissenso e diventava metodo. Qui si organizzavano mobilitazioni, si costruiva la legittimazione ideologica dello scontro, si normalizzava la violenza come strumento politico. Il tutto mentre la città subiva blocchi, danni e un clima di intimidazione permanente.
Il fallimento del patto di collaborazione con il Comune era scritto e chi pensava il contrario era solo un illuso. La presenza di persone all’interno dello stabile, in violazione delle prescrizioni, ha solo fatto emergere ciò che era evidente: le regole valgono per tutti, tranne che per chi si proclama antagonista. Il tentativo di trasformare un’occupazione abusiva in “bene comune” si è rivelato per quello che era: una resa politica mascherata da mediazione. Nel pomeriggio, la scena si è ripetuta secondo copione. Presidio, blocchi, slogan, tentativi di forzare la mano alle forze dell’ordine. Ancora una volta la stessa dinamica: provocazione, vittimismo, racconto distorto. Ma senza più la protezione di uno stabile occupato, la retorica della “resistenza” si è dissolta rapidamente.
Le indagini in corso collegano lo sgombero a una sequenza di assalti e atti violenti avvenuti durante le manifestazioni pro-Pal degli ultimi mesi. Non episodi marginali, ma un’escalation precisa che ha colpito luoghi simbolici della città. Danneggiamenti, invasioni, resistenza, lesioni: il vocabolario penale racconta molto più di mille slogan. Le difese politiche parlano di repressione, di quartieri traumatizzati, di cultura sgomberata con la forza. Ma la realtà è più semplice e più dura: non era un centro culturale, era un avamposto dell’illegalità militante. E nessuna parola come “solidarietà” o “dissenso” può giustificare anni di violenze sistematiche tollerate. Askatasuna non è stato sgomberato per le sue idee, ma per il ruolo che ha svolto nel legittimare e alimentare la violenza pro-Pal a Torino. Lo Stato è arrivato sicuramente tardi. Ma questa volta è arrivato ed è una buona notizia.

(L'informale, 18 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 2
    Cantico di Anna
  • Allora Anna pregò e disse: “Il mio cuore esulta nell'Eterno, l'Eterno mi ha dato una forza vittoriosa, la mia bocca si apre contro i miei nemici perché gioisco per la liberazione che tu mi hai concesso. 
  • Non c'è nessuno che sia santo come l'Eterno, poiché non c'è altro Dio fuori di te; né c'è rocca pari al nostro Dio.  Non parlate più con tanto orgoglio; non esca più l'arroganza dalla vostra bocca; poiché l'Eterno è un Dio che sa tutto, e da lui sono pesate le azioni dell'uomo. 
  • L'arco dei potenti è spezzato, e i deboli sono rivestiti di forza. Quelli che una volta erano sazi si offrono a giornata per il pane, e quelli che soffrivano la fame non la soffrono più; perfino la sterile partorisce sette volte, mentre quella che aveva molti figli diventa fiacca. 
  • L'Eterno fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire.  L'Eterno fa impoverire e arricchisce, egli abbassa e innalza. Rileva il misero dalla polvere e tira su il povero dal letame, per farli sedere con i prìncipi, per farli eredi di un trono di gloria; poiché le colonne della terra sono dell'Eterno, e sopra queste egli ha poggiato il mondo. 
  • Egli veglierà sui passi dei suoi fedeli, ma gli empi periranno nelle tenebre; poiché l'uomo non trionferà per la sua forza. Gli avversari dell'Eterno saranno frantumati. Egli tuonerà contro di loro dal cielo; l'Eterno giudicherà gli estremi confini della terra, darà forza al suo re, farà grande la potenza del suo unto”. Elcana se ne andò a casa sua a Rama, e il fanciullo rimase a servire l'Eterno sotto gli occhi del sacerdote Eli.

    Scelleratezze dei figli di Eli
  • Ora i figli di Eli erano uomini scellerati; non conoscevano l'Eterno. Ed ecco qual era il modo di agire di questi sacerdoti riguardo al popolo: quando qualcuno offriva un sacrificio, il servo del sacerdote veniva, nel momento in cui si faceva cuocere la carne, avendo in mano una forchetta a tre punte; la piantava nella caldaia o nel paiolo o nella pentola o nella marmitta; e tutto quello che la forchetta tirava su, il sacerdote lo prendeva per sé. Così facevano a tutti gli Israeliti che andavano là, a Silo. E anche prima che si fosse fatto bruciare il grasso, il servo del sacerdote veniva e diceva all'uomo che faceva il sacrificio: “Dammi della carne da fare arrostire, per il sacerdote; poiché egli non accetterà da te carne cotta, ma cruda”. E se quell'uomo gli diceva: “Si faccia, prima di tutto, bruciare il grasso; poi prenderai quello che vorrai”, egli rispondeva: “No, me la devi dare ora; altrimenti la prenderò per forza!”. Dunque, il peccato di quei giovani era grandissimo agli occhi dell'Eterno, perché la gente disprezzava le offerte fatte all'Eterno. 
  • Ma Samuele faceva il servizio davanti all'Eterno; era un bambino, e portava un efod di lino. Sua madre gli faceva ogni anno una piccola tunica e gliela portava quando saliva con suo marito a offrire il sacrificio annuale. Eli benedisse Elcana e sua moglie, dicendo: “L'Eterno ti dia prole da questa donna, al posto del dono che lei ha fatto all'Eterno!”. E se ne tornarono a casa loro. E l'Eterno visitò Anna, la quale concepì e partorì tre figli e due figlie. E il bambino Samuele cresceva presso l'Eterno. 
  • Ora Eli era molto vecchio e udì tutto quello che i suoi figli facevano a tutto Israele e come si univano alle donne che erano di servizio all'ingresso della tenda di convegno. E disse loro: “Perché fate queste cose? poiché odo tutto il popolo parlare delle vostre azioni malvagie. Non fate così, figli miei, poiché quello che odo di voi non è buono; voi inducete il popolo di Dio a trasgredire. Se un uomo pecca contro un altro uomo, Iddio lo giudica; ma, se pecca contro l'Eterno, chi intercederà per lui?”. Quelli però non diedero ascolto alla voce del padre loro, perché l'Eterno li voleva far morire. Intanto, il piccolo Samuele continuava a crescere ed era gradito sia all'Eterno sia agli uomini.

    La rovina della casa di Eli predetta
  • Un uomo di Dio andò da Eli e gli disse: “Così parla l'Eterno: 'Non mi sono io forse rivelato alla casa di tuo padre, quando essi erano in Egitto al servizio del Faraone? Non lo scelsi io forse, fra tutte le tribù d'Israele, perché fosse mio sacerdote, salisse al mio altare, bruciasse il profumo e portasse l'efod in mia presenza? E non diedi io forse alla casa di tuo padre tutti i sacrifici dei figli d'Israele, fatti mediante il fuoco?
  • E allora perché calpestate i miei sacrifici e le mie oblazioni che ho comandato mi siano offerti nella mia dimora? E come mai onori i tuoi figli più di me, e vi ingrassate con il meglio di tutte le oblazioni d'Israele, mio popolo?'. Perciò così dice l'Eterno, l'Iddio d'Israele: 'Io avevo dichiarato che la tua casa e la casa di tuo padre sarebbero state al mio servizio, per sempre'; ma ora l'Eterno dice: 'Lungi da me tale cosa! Poiché io onoro quelli che mi onorano, e quelli che mi disprezzano saranno disprezzati.
  • Ecco, vengono i giorni in cui io troncherò il tuo braccio e il braccio della casa di tuo padre, in modo che non ci sarà in casa tua nessun vecchio. Vedrai lo squallore nella mia dimora, mentre Israele sarà ricolmo di beni, e non ci sarà più mai nessun vecchio nella tua casa. E quello dei tuoi che lascerò sussistere presso il mio altare, rimarrà per consumarti gli occhi e rattristarti il cuore; e tutti i nati e cresciuti in casa tua moriranno nel fiore degli anni.
  • E ti servirà di segno quello che accadrà ai tuoi figli, Ofni e Fineas: entrambi moriranno in uno stesso giorno. Io mi susciterò un sacerdote fedele, che agirà secondo il mio cuore e secondo l'anima mia; io gli costruirò una casa stabile ed egli sarà al servizio del mio unto per sempre. E chiunque rimarrà della tua casa verrà a prostrarsi davanti a lui per avere una moneta d'argento e un tozzo di pane, e dirà: Ammettimi, ti prego, a fare qualcuno dei servizi del sacerdozio perché io abbia un boccone di pane da mangiare'”.

(Notizie su Israele, 18 dicembre 2025)



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Gedeone – il potente guerriero

In Israele, i nomi delle operazioni militari e delle unità sono spesso ispirati a personaggi biblici. Uno di questi è il giudice Gedeone.

di Gundula Madeleine Tegtmeyer

L'attacco antisemita avvenuto a Sidney, in Australia, durante Erev Chanukkah, la prima sera della festa di Chanukkah, dimostra ancora una volta che il terrorismo contro gli ebrei può colpire in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo del mondo.
Le forze armate israeliane, i reparti di polizia e le unità speciali spesso traggono ispirazione dai modelli biblici per i loro nomi. Il brutale attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 e la successiva operazione militare a Gaza sono stati chiamati Carro di Gedeone, in consapevole riferimento al Gedeone biblico. Il suo nome significa in italiano “colui che abbatte” e anche “colui che taglia gli alberi”, e con questi appellativi si intende un guerriero formidabile.
Il nome Gedeone lo ritroviamo anche nel deserto del Negev, vicino a Mizpe Ramon. Lì, nel centro di addestramento degli ufficiali, c'è un grande cartello che ricorda Giudici 7,17:

    E disse loro: «Guardate me e fate come faccio io! Ecco, quando arriverò al limite dell'accampamento, fate come faccio io!
    Con questo motto gli ufficiali delle forze di difesa israeliane giurano fedeltà all'esercito e allo Stato di Israele.

Nome per unità di combattimento
  Il Gedeone biblico ha ispirato una serie di unità di combattimento che hanno sostenuto la causa sionista: nel 1913 l'organizzazione clandestina N.I.L.I. era inizialmente chiamata “Gedeoniti” . Nili è l'acronimo di: Nezah Jisrael Lo Jeschaker (1 Samuele 15,29). Il nome significa “L'Eterno di Israele non mentirà”. Si trattava di una rete di spionaggio ebraica che sosteneva il Regno Unito britannico nella sua lotta contro l'Impero ottomano durante la prima guerra mondiale.
Nel 1938 i commando notturni furono chiamati “Truppe di Gedeone”. L'unità 33,Jechidat haGid’ōnīm (“Unità dei Gedeoni”, è un'unità di polizia che opera sotto copertura. Un altro nome è Cherev Gidʿōn, in italiano “Spada di Gedeone”.
L'unità fu istituita nel 1994 dal commissario di polizia Assaf Chefez, che in precedenza era stato responsabile della creazione dell'unità “Jamam”. La Jamam è un'unità speciale paramilitare della polizia di frontiera israeliana Magav, i cui compiti principali sono la lotta al terrorismo e il salvataggio di ostaggi. Anche questo nome è un acronimo ebraico, in questo caso di: Jechidat Mischtartit Mejuchedet, in italiano: Unità di polizia speciale.

Concentrazione sui compiti di polizia
  Dal 1998, i Gidʿonim si sono concentrati maggiormente sui compiti di polizia tradizionali, che corrispondono piuttosto alle squadre SWAT negli Stati Uniti. L'acronimo inglese SWAT sta per “special weapons and tactics” ed è un termine che indica unità speciali tattiche i cui membri sono addestrati ed equipaggiati per situazioni di polizia speciali. In Germania, i compiti corrispondenti sono svolti dalle squadre speciali, chiamate anche SEK.
Il battaglione Golani, noto anche come “truppa Gideon”, gode di grande prestigio in Israele. È ufficialmente il 13° battaglione di fanteria delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), un'unità di fanteria attiva e altamente decorata della brigata Golani (brigata n. 1). Il 22 febbraio 1948 è stato fondato ufficialmente come terzo battaglione della neonata brigata Golani durante la guerra d'indipendenza.
Anche questo battaglione collaudato in battaglia prende il nome dal giudice e comandante militare biblico Gideon Ben Joasch, famoso per la sua vittoria sui Madianiti con una piccola truppa d'élite. Il colore marrone del berretto simboleggia il profondo legame con la terra israeliana, mentre il distintivo quadrato raffigura il simbolo della loro unità: ulivo, tromba, brocca e torcia. Questi simboli ricordano la tattica di combattimento di Gedeone contro i Midianiti, che erano molto più forti.
La brigata Golani, ovvero il battaglione Gideon, ha partecipato alle battaglie più decisive della storia di Israele. Durante la guerra d'indipendenza, la brigata è stata ufficialmente incorporata nelle forze armate israeliane e ha combattuto nella valle del Giordano contro gli eserciti di Siria, Libano, Giordania e Iraq. È riuscita a conquistare Beit She'an e Nazareth.
Nella campagna del Sinai del 1956, la brigata conquistò l'area intorno a Rafah, consentendo così il passaggio delle truppe corazzate. Nella guerra dei sei giorni del 1967, la brigata Golani ottenne numerosi successi, uno dei più significativi fu la battaglia di Tel Faher, in cui fu conquistato l'avamposto siriano ai margini delle alture del Golan. Sei anni dopo, nella guerra dello Yom Kippur (1973), riuscì a riconquistare la vetta del monte Hermon.

Ruolo importante nella prima guerra del Libano
  Durante la prima guerra del Libano, la brigata ha svolto un ruolo significativo nella conquista di Beaufort e nella battaglia di Kfar Sil. Alla fine della guerra era responsabile del mantenimento delle postazioni nella zona di sicurezza. Oggi le reclute dell'unità onorano le battaglie della guerra dello Yom Kippur scalando il monte Hermon per ricevere il distintivo dell'unità.
Durante la “Seconda Intifada”, la brigata guidò l'operazione “Scudo protettivo”. Partecipò anche all'operazione “Pioggia estiva” nel 2006. Con lo scoppio della seconda guerra del Libano, la brigata guidò i combattimenti nella città libanese di Bint Jbeil.

Combattimenti nella Striscia di Gaza
  La brigata Golani ha partecipato all'operazione “Piombo fuso” contro le infrastrutture terroristiche nella Striscia di Gaza, dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009. A seguito dell'attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, il battaglione ha partecipato in modo determinante ai combattimenti nella Striscia di Gaza dalla fine del 2023 all'inizio del 2024. Ha eliminato centinaia di terroristi, ma ha anche subito perdite significative, tra cui il suo comandante, il tenente colonnello Tomer Grinberg. Questa operazione è denominata Charvot Barsel, in italiano “Spade di ferro” e in inglese “Swords of Iron”.
Il battaglione Gideon si distingue per il coraggio e la leadership. L'associazione per i veterani e i superstiti, la “Gideon Association”, in ebraico: Amutat Gid'on, sostiene i soldati e commemora i caduti.
Il libro biblico dei Giudici fornisce importanti spunti di riflessione sulle crisi e i cambiamenti culturali delle tribù ebraiche immigrate in Canaan. Da esse nascerà in seguito il regno di Israele. Il Gedeone biblico è una figura centrale nel libro dei Giudici (capitoli 6-8), un eroe esitante ma chiamato da Dio che liberò Israele dall'oppressione dei Madianiti. Con solo 300 uomini, secondo le istruzioni di Dio, riesce a sconfiggere il potente esercito nemico.

Nuovo nome: Jerubbaal
  Dio gli ordina di distruggere un altare del dio pagano Baal, il che gli vale il soprannome di Jerubbaal, il “nemico di Baal”, o anche “Baal combatti con lui”. Gedeone inizia la sua lotta contro il culto di Baal con 32.000 uomini, ma Dio gli ordina di ridurre il suo esercito a 300 uomini scelti. Con trombe, torce e pentole che rompono, Gedeone e i suoi combattenti confondono i Madianiti, che finiscono per combattere tra loro. Questa storia biblica insegna: Una vittoria ottenuta con l'aiuto di Dio e non con la forza umana.
  Gedeone era figlio di Joas, della tribù di Manasse, il figlio maggiore di Giuseppe e di sua moglie Asnat. Era uno dei giudici d'Israele. Un angelo del Signore gli apparve mentre trebbiava il grano per nasconderlo ai Madianiti (Giudici 6,12-24).

    Allora l'angelo del Signore gli apparve e gli disse: «Il Signore è con te, o valoroso guerriero!». Gedeone gli rispose: «Se il Signore è con noi, perché tutto questo ci è accaduto? E dove sono tutti i suoi miracoli di cui ci hanno parlato i nostri padri, quando dicevano: “Il Signore non ci ha forse fatto uscire dall'Egitto?”». Ora invece il Signore ci ha abbandonati e ci ha consegnati nelle mani di Madian». Allora il Signore si rivolse a lui e disse: «Va' con questa tua forza e salva Israele dalle mani di Madian. Non ti ho forse mandato io? Ma egli gli disse: «Signore, con cosa potrei salvare Israele? Ecco, il mio millesimo è il più piccolo di Manasse, e io sono il più giovane nella casa di mio padre». Allora il Signore gli disse: «Io sarò con te e tu sconfiggerai Madian come un solo uomo». Egli gli disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, dammi un segno che sei tu che mi parli. Non ti allontanare da qui finché non tornerò da te con il mio dono e te lo porgerò». Egli disse: «Rimarrò finché non tornerai». Gedeone entrò, preparò un capretto e pane azzimo con un efa di farina. Mise la carne in un cesto e il brodo in una pentola. Lo portò fuori sotto il terebinto e lo mise davanti a lui. L'angelo di Dio gli disse: «Prendi la carne e i pani azzimi e mettili su questa roccia. Ma versa il brodo! E lui fece così. Allora l'angelo del Signore stese l'estremità del bastone che aveva in mano e toccò la carne e i pani azzimi. Allora un fuoco uscì dalla roccia e consumò la carne e i pani azzimi. E l'angelo del Signore scomparve ai suoi occhi. Allora Gedeone vide che era stato l'angelo del Signore e disse: «Guai a me, Signore Dio! Ho visto l'angelo del Signore faccia a faccia! Allora il Signore gli disse: «Pace a te! Non temere, non morirai». Gedeone costruì lì un altare al Signore e lo chiamò Jahvè-Shalom.
Gedeone è menzionato nel Nuovo Testamento, in Ebrei 11,32-34, come uno dei grandi eroi della fede della Bibbia ebraica. La sua storia è un esempio incoraggiante di fiducia in Dio, anche quando le circostanze sembrano insormontabili:
    E che altro dire? Non basterebbe il tempo per raccontare di Gedeone, Barak, Sansone, Jefte, Davide e Samuele e dei profeti, che per fede conquistarono regni, fecero giustizia, ottennero promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la potenza del fuoco, sfuggirono al taglio della spada, trassero forza dalla debolezza, divennero forti in guerra, respinsero eserciti stranieri.
Gedeone superò i suoi dubbi e seguì la chiamata di Dio. La sua storia ci incoraggia a confidare in Dio.

(Israelnetz, 18 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Quell' errore ideologico di chi divide Israele e gli ebrei

di Fiamma Nirenstein

Nessuno si illuda: gli ebrei non cercheranno rifugio dall’antisemitismo abbandonando Israele, al contrario, ne saranno sempre di più il bastione in tutto il mondo. Anche di più dopo Bondi, o New York. La stella d’Israele, del Sionismo, è quella di tutto il popolo ebraico. Il fondo difficile da definire “contro l’antisemitismo” di Antonio Polito sul Corriere di ieri, è una delle analisi della serie: “L’ antisemitismo, che diventa globale propone l’errata identificazione di tutti gli ebrei con Israele”. Contiene una disamina di come alla fine sia pensiero maggioritario e si riverberi su tutti gli ebrei che Israele sia genocida, criminale, e l’autore se ne dispiace ma non contesta il contenuto del pregiudizio. Anzi, dice: “Che c’entrano tutti gli ebrei?”. L’ antisemitismo è per lui l’estensione smodata di una critica accettata: e che si tratti di un uso abnorme di accuse e terminologia come “colonialismo”, “genocidio”, delle colpe del pessimo Netanyahu, è peccato, ma logico. Non se ne occupa. Eppure quante prove che nella guerra di difesa Israele sia stata coperta di vecchie balle antisemite e dalla criminalizzazione dei Paesi arabi, dell’ONU, dell’UE, etc.  
   Non viene in mente al commentatore che a questo antico delitto ideologico di massa, si debba rispondere contestando la radice marcia dell’antisemitismo originario scatenatosi durante la guerra di difesa contro Hamas; che vada riletto rigettando la storiografia inventata, cancellando i titoli di giornale che rovesciano la verità, che criminalizzano Israele. Che si studi la storia, si dica la verità finalmente: così si combatte l’antisemitismo! Per Polito, si deve “spezzare quel circolo vizioso che identifica l’intero ebraismo con Israele” perché questo “sarebbe decisivo per contrastare l’antisemitismo di ritorno”. Follia. Che allora si spari solo agli israeliani e ai sionisti? Questo si può approvare? Martin Luther King lo aveva già detto nel 1968 “quando critichi i sionisti, critichi gli ebrei, fratello. Sei antisemita”.  
   Perché, per mille ragioni, vi piaccia o no, ebrei e Israele sono una cosa sola, e pazienza per qualche cacciatore di consensi opportunista. È un popolo che esercita il suo diritto al ritorno, un popolo indigeno che combatte contro jihadisti, nazisti, comunisti, che lo perseguitano da sempre, non dalla guerra in avanti. Questo popolo ha un ideale irrinunciabile, una società democratica e ebraica. Gerusalemme è la sua casa, Sionismo non è solo storia dello Stato Ebraico: è quella di un Popolo che difende la libertà di tutti. Chi vuole combattere l’antisemitismo, deve difendete Israele. Altrimenti, pazienza, facciamo da soli. 

(il Giornale, 18 dicembre 2025)

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«Nessun evento ebraico dovrebbe mai essere cancellato»

Dopo il massacro di Sydney, il presidente del Consiglio centrale Josef Schuster si rivolge con un messaggio personale a tutti gli ebrei in Germania: non lasciatevi privare della gioia di Chanukkah!

di Josef Schuster 

FOTO
Josef Schuster

Il crudele attentato durante una festa di Chanukkah a Sydney ci ha lasciati tutti sgomenti. Almeno 15 persone hanno perso la vita a causa del terrorismo, molte altre sono rimaste ferite. Sebbene l'attentato sia avvenuto a 24 ore di volo di distanza, per molti di noi queste perdite sembrano essere avvenute proprio nel nostro ambiente. I nostri pensieri vanno alle vittime e ai loro familiari.
L'attacco di Sydney ci sembra così vicino perché abbiamo già assistito troppo spesso ad attentati contro gli ebrei in tutte le parti del mondo. Questa violenza, questo terrorismo antisemita, non è una sfortunata coincidenza e tanto meno un caso isolato. È stato pianificato e preparato meticolosamente. Ci ricorda la sinagoga di Halle durante lo Yom Kippur del 2019, la sinagoga di Manchester durante lo Yom Kippur del 2025. Soprattutto, ci ricorda il massacro del 7 ottobre 2023 durante Simchat Torah. Ora Sydney durante Chanukkah.
La cosa particolarmente perfida di questi attacchi è che sono state utilizzate le festività ebraiche per attaccare e uccidere delle persone. L'obiettivo di questi attacchi non è solo quello di uccidere gli ebrei, ma anche di demoralizzarci e intimidirci. Agli ebrei deve essere tolto ogni senso di sicurezza.
Tutti noi sentiamo che l'antisemitismo è cresciuto in modo esplosivo negli ultimi due anni. Ha conosciuto una disinibizione inimmaginabile. Ciò che molti prima pensavano solo in segreto, ora è diventato dicibile. Gli appelli alla violenza hanno creato un clima che genera atti sanguinosi. Chi grida «Globalize the Intifada» evoca esattamente ciò che è successo quest'anno a Manchester e ora a Sydney: omicidi di ebrei, commessi per il solo motivo che sono ebrei.
Chi crede di poter relativizzare questi omicidi facendo riferimento alle presunte azioni del governo israeliano, alla fine non fa altro che smascherare il proprio odio verso gli ebrei. Non ci lasciamo ingannare da tutti coloro che ora fingono di essere sconvolti, ma che fino a poco tempo fa hanno alimentato con la loro cosiddetta “critica a Israele” e il loro “antisionismo” l'odio che ora è esploso. Ricominceranno a incitare all'odio contro lo Stato ebraico e la vita ebraica. Non dobbiamo stancarci di smascherare la loro ipocrisia.
Altrettanto ipocriti sono i presunti amici che ora dicono di aver sempre saputo come nasce l'odio verso gli ebrei e che ci presentano la loro lotta contro l'immigrazione e la società aperta come soluzione al problema. Per questi falsi amici, la lotta contro l'antisemitismo ha solo un valore strumentale. La usano per alimentare i pregiudizi. La protezione della vita ebraica per se stessa non significa nulla per loro.
Atti come l'attentato di Sydney ci rendono più uniti come comunità ebraica. A nome di tutti gli ebrei tedeschi, ho espresso ai nostri fratelli e sorelle in Australia il nostro profondo cordoglio. La comunità ebraica in Australia è forte e vivace. Sa di non essere sola, perché gli ebrei di tutto il mondo sono al suo fianco. Ma lo Stato australiano ha deluso la comunità ebraica locale. Il fatto che due terroristi abbiano potuto occupare senza difficoltà un ponte centrale e sparare indisturbati sui partecipanti alla cerimonia è un clamoroso fallimento delle autorità di sicurezza locali.
In Germania, l'attacco alla sinagoga di Halle nel 2019 ha scosso la politica e le autorità di sicurezza di tutto il Paese. I concetti di sicurezza sono stati sottoposti a una revisione critica, l'infrastruttura di sicurezza delle istituzioni ebraiche è stata modernizzata e migliorata. La protezione assoluta non è mai possibile, dobbiamo guardare in faccia questa realtà. Tuttavia, in Germania tutti i partiti che hanno governato negli ultimi anni hanno riconosciuto l'importanza di proteggere la vita ebraica. In questo spirito, ci aspettiamo che le nostre autorità di sicurezza continuino a rimanere vigili e non allentino la protezione delle istituzioni e degli eventi ebraici. Nessuna festa di Hanukkah e nessun altro evento ebraico dovrebbe mai essere cancellato.
Perché gli attacchi alle istituzioni e agli eventi ebraici colpiscono in primo luogo gli ebrei, ma in ultima analisi sono sempre atti contro il nostro modo di convivere, contro i nostri valori, contro la nostra democrazia nel suo complesso. Ogni attacco contro gli ebrei colpisce direttamente il cuore della nostra società. È nostro compito, come ebrei, vostro e mio, fare in modo che ogni democratico onesto comprenda questo messaggio e lo interiorizzi.
L'attacco a Bondi Beach ci ha sconvolti all'inizio di Chanukkah. Chanukkah è la festa dell'affermazione ebraica. In questi giorni le luci degli Chanukkiot brillano in tutto il Paese, ogni giorno una in più. I terroristi di Sydney non sono riusciti a spegnere queste candele né a impedirne la combustione. Questo fa parte dell'esperienza collettiva e della nostra identità ebraica. Non importa quanta sofferenza i nostri nemici ci causino: falliranno sempre nel loro intento di rendere invisibile la vita ebraica.
Vi auguro quindi, nonostante le minacce dell'antisemitismo, nonostante l'attentato di Sydney, un felice e sereno Chanukkah. Non permetteremo al terrorismo di privarci di questo.
Am Israel chai!

(Jüdische Allgemeine, 17 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele firma un accordo storico sul gas con l'Egitto per 112 miliardi di shekel

Mercoledì sera il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato la firma di un importante accordo sul gas tra Israele ed Egitto, per un valore totale di 112 miliardi di shekel (circa 28 miliardi di euro), il più importante mai concluso dallo Stato ebraico nel settore energetico.
In una dichiarazione congiunta con il ministro dell'Energia Eli Cohen, Netanyahu ha affermato di aver dato il via libera all'accordo con il gruppo americano Chevron, dopo essersi assicurato che fossero preservati gli interessi essenziali di Israele in materia di sicurezza.
Secondo il capo del governo, 58 miliardi di shekel derivanti da questa transazione torneranno direttamente nelle casse dello Stato israeliano. “Si tratta della più grande transazione di gas nella storia di Israele”, ha sottolineato, aggiungendo che l'accordo impone alle compagnie energetiche di vendere il gas a un prezzo vantaggioso per i consumatori israeliani.
Nei primi quattro anni, lo Stato dovrebbe incassare circa 500 milioni di shekel, prima che le entrate annuali raggiungano, a termine, quasi sei miliardi di shekel all'anno, grazie in particolare a importanti investimenti nelle infrastrutture, tra cui l'estensione dei gasdotti.
Queste entrate, ha precisato Netanyahu, saranno destinate a rafforzare i settori dell'istruzione, della sanità, dell'industria, della difesa e “il futuro delle generazioni a venire”.
Ritorno sulle critiche mosse in passato allo sfruttamento del gas naturale nel Mediterraneo orientale, il primo ministro ha affermato che questi progetti hanno infine generato importanti benefici economici per Israele. Ha concluso affermando che questo accordo rafforza lo status di Israele come potenza energetica regionale e contribuisce alla stabilità strategica del Medio Oriente.

(i24, 17 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

1 SAMUELE

Capitolo 1


    Nascita di Samuele
  • C'era un uomo di Ramataim-Sofim, della regione montuosa di Efraim, che si chiamava Elcana, figlio di Ieroam, figlio di Eliù, figlio di Tou, figlio di Suf, Efraimita. 2 Aveva due mogli: una di nome Anna, e l'altra si chiamava Peninna. Peninna aveva dei figli, ma Anna non ne aveva.  E quest'uomo, ogni anno, saliva dalla sua città per andare ad adorare l'Eterno degli eserciti e a offrirgli dei sacrifici a Silo; e là c'erano i due figli di Eli, Ofni e Fineas, sacerdoti dell'Eterno. 
  • Quando venne il giorno, Elcana offrì il sacrificio, e diede a Peninna, sua moglie, e a tutti i figli e a tutte le figlie di lei le loro parti;  ma ad Anna diede una parte doppia, perché amava Anna, benché l'Eterno l'avesse fatta sterile.  La rivale mortificava continuamente Anna per inasprirla perché l'Eterno l'aveva fatta sterile.  Così avveniva ogni anno; ogni volta che Anna saliva alla casa dell'Eterno, Peninna la mortificava in quel modo; così lei piangeva e non mangiava più.  Elcana, suo marito, le diceva: “Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non valgo io per te più di dieci figli?”. 
  • E, dopo aver mangiato e bevuto a Silo, Anna si alzò. Il sacerdote Eli a quell'ora stava seduto sulla sua sedia all'entrata del tempio dell'Eterno. Lei aveva l'anima piena di amarezza e pregò l'Eterno piangendo a dirotto. Fece un voto, dicendo: “O Eterno degli eserciti! se hai riguardo all'afflizione della tua serva, e ti ricordi di me, e non dimentichi la tua serva, e dai alla tua serva un figlio maschio, io lo consacrerò all'Eterno per tutti i giorni della sua vita, e il rasoio non passerà sulla sua testa”. 
  • E, mentre lei prolungava la sua preghiera davanti all'Eterno, Eli stava osservando la sua bocca. Anna parlava nel suo cuore e si muovevano soltanto le sue labbra ma non si sentiva la sua voce; perciò Eli credette che fosse ubriaca e le disse: “Quanto durerà questa tua ubriachezza? Va' a smaltire il tuo vino!”. Ma Anna, rispondendo, disse: “No, signor mio, io sono una donna tribolata nello spirito e non ho bevuto né vino né bevanda alcolica, ma stavo spandendo la mia anima davanti all'Eterno. Non prendere la tua serva per una donna da nulla; perché l'eccesso del mio dolore e della mia tristezza mi ha fatto parlare fino ad ora”. Allora Eli replicò: “Va' in pace, e l'Iddio d'Israele esaudisca la preghiera che gli hai rivolto!”. Lei rispose: “Possa la tua serva trovare grazia agli occhi tuoi!”. Così la donna se ne andò per la sua strada, mangiò, e il suo aspetto non fu più quello di prima. 
  • L'indomani, lei e suo marito si alzarono di buon'ora e si prostrarono davanti all'Eterno; poi partirono e ritornarono a casa loro a Rama. Elcana si unì ad Anna, sua moglie, e l'Eterno si ricordò di lei. Nel corso dell'anno, Anna concepì e partorì un figlio che chiamò Samuele, “perché”, disse, “l'ho chiesto all'Eterno”. 
  • E quell'uomo, Elcana, salì con tutta la sua famiglia per andare a offrire all'Eterno il sacrificio annuale e per adempiere il suo voto. Ma Anna non salì, e disse a suo marito: “Io non salirò finché il bambino non sia svezzato; allora lo condurrò, perché sia presentato davanti all'Eterno e rimanga là per sempre”. Elcana, suo marito, le rispose: “Fa' come ti sembra bene; rimani finché tu lo abbia svezzato, purché l'Eterno adempia la sua parola!”. Così la donna rimase a casa, e allattò suo figlio fino al momento di svezzarlo. E quando lo ebbe svezzato, lo condusse con sé, e prese tre giovenchi, un efa di farina e un otre di vino; e lo condusse nella casa dell'Eterno a Silo. Il fanciullo era ancora molto piccolo. Elcana e Anna immolarono il giovenco e condussero il fanciullo da Eli. Anna gli disse: “Signor mio! Com'è vero che vive l'anima tua, o mio signore, io sono quella donna che stava qui vicino a te a pregare l'Eterno. Pregai per avere questo fanciullo e l'Eterno mi ha concesso quello che io gli avevo domandato. E, dal canto mio, lo dono all'Eterno; e, finché vivrà, egli sarà donato all'Eterno”. E si prostrarono là davanti all'Eterno.

(Notizie su Israele, 17 dicembre 2025)


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I drusi in Israele: “Proteggiamo la nostra patria. Siamo israeliani e siamo fieri di fare parte di questo Paese”

La minoranza drusa è ancora in lutto per la strage di Majdal Shams, dove un missile di Hezbollah ha ucciso 12 bambini e adolescenti drusi e ferendone oltre una trentina. Per capire come vivono i drusi israeliani, abbiamo parlato con un esponente di spicco di questa comunità, il diplomatico Bahij Mansour: già ufficiale dell’IDF, è stato ambasciatore d’Israele in diversi paesi, ha fatto parte della delegazione israeliana all’ONU, e dal 2019 al 2024 è stato sindaco del villaggio druso di Isfiya. 

di Nathan Greppi

Un aspetto che viene spesso trascurato in merito alla guerra scoppiata dopo il 7 ottobre 2023, è che in Israele non sono stati solo i cittadini ebrei a subire gravi perdite, ma anche le minoranze etniche e religiose: arabi, beduini e drusi hanno avuto diverse vittime sia negli attacchi di Hamas del 7 ottobre, sia tra i soldati dell’IDF caduti in guerra.
  In particolare, la minoranza drusa (circa 150.000 persone, poco più dell’1% di tutta la popolazione israeliana) è ancora in lutto per la strage di Majdal Shams, avvenuta il 27 luglio 2024 quando un missile di Hezbollah ha colpito l’omonima località nel nord d’Israele, uccidendo 12 bambini e adolescenti drusi e ferendone oltre una trentina.
  Per capire come viene vissuta la situazione dai drusi israeliani, abbiamo parlato con un esponente di spicco di questa comunità, il diplomatico Bahij Mansour: già ufficiale dell’IDF, è stato ambasciatore d’Israele in diversi paesi, tra cui la Repubblica Dominicana, Giamaica, Haiti, Angola e Nigeria. Ha fatto parte della delegazione israeliana all’ONU, e dal 2019 al 2024 è stato sindaco del villaggio druso di Isfiya. L’8 dicembre, è stato a Roma come ospite dell’evento Voci dal Medio Oriente per un futuro di pace, organizzato dall’associazione Cristiani per Israele Italia.

- Dopo il 7 ottobre, diversi militari drusi hanno perso la vita a Gaza e in Libano. Qual è lo stato d’animo della vostra comunità?
  Siamo molto tristi per tutti i soldati che sono caduti, tra cui anche i drusi. Noi siamo cittadini israeliani, e siamo fieri di esserlo. Proteggiamo il paese in cui siamo nati, qualcosa che deriva dalle nostre credenze, le quali ci insegnano che dobbiamo proteggere la nostra patria.

- Quali sono le radici storiche del vostro legame con Israele?
  Le nostre relazioni con il popolo ebraico sono iniziate prima della nascita dello Stato d’Israele. Nel 1948 ci siamo arruolati nell’IDF come volontari, e nel 1956 abbiamo iniziato a servire nell’esercito per il servizio militare. Dal ’48 ad oggi, centinaia di soldati drusi hanno sacrificato le loro vite per proteggere il paese. Questo è ciò che siamo, e speriamo che questa relazione continui, perché abbiamo molti nemici intorno a noi, motivo per cui dobbiamo essere forti.

  - Come viene vissuto, nella comunità drusa israeliana, il ricordo di Majdal Shams?
  Ciò che Hezbollah ha fatto, uccidendo dei ragazzi drusi di età compresa tra i 12 e i 15 anni mentre giocavano a calcio, è una vergogna. Loro conoscono esattamente l’ubicazione di località come Majdal Shams, e credo che l’abbiano fatto apposta per cercare di aumentare le tensioni tra Israele e la popolazione drusa. Ci rattrista molto che dei bambini che giocavano a calcio nella zona siano morti per niente.

- Dopo l’eliminazione del loro capo Hassan Nasrallah, come è cambiata la situazione con Hezbollah?
  Spero che abbiano capito che non possono fare quello che vogliono, sparando razzi contro i civili. Mi auguro che i terroristi di Hezbollah mettano fine alle loro attività perché, se andranno avanti, Israele continuerà a rispondere. E confido che prima o poi il governo libanese prenda contromisure contro questa organizzazione.

- In che rapporti sono i drusi israeliani con i loro correligionari in Siria e in Libano?
  La relazione tra i drusi in Israele e in Siria è molto buona, perché la comunità drusa siriana, in particolare nella città di Al-Suwaida (abitata prevalentemente da drusi, ndr), soffre molto perché non hanno cibo, medicine e gasolio, oltre a dover affrontare un duro inverno. La comunità drusa in Israele si è mobilitata per portare loro aiuti umanitari, e abbiamo chiesto al governo israeliano di proteggere i drusi in Siria, cosa che stanno facendo.

- Dopo la caduta di Assad e l’ascesa del nuovo regime di Al-Jolani in Siria, come è cambiato l’atteggiamento d’Israele?
  Dopo che, a luglio, sono stati massacrati numerosi drusi nell’area, Israele ha mandato l’aviazione e bombardato il quartier generale dell’esercito siriano per indurli a smettere di attaccare i drusi. In futuro, spero che qualunque accordo tra Israele e la Siria preveda un corridoio umanitario e garanzie di sicurezza non solo per la comunità drusa, ma anche per altri gruppi. Il nuovo regime sta uccidendo anche cristiani e alawiti, perché Al-Jolani ha una formazione da terrorista, e continuerà ad avere questo stile, nonostante ora parli all’Occidente di pace con Israele.

- In questi due anni, è aumentato il numero di arabi, beduini e drusi che si arruolano nell’IDF. Ritiene che le minoranze si stiano integrando maggiormente nel tessuto sociale israeliano?
  Non posso parlare a nome dei beduini, ma la comunità drusa ha scelto da tempo di essere parte di questo paese e di continuare ad essere coinvolta nella società. Questa è la nostra mentalità e la nostra tradizione: la nostra fede ci insegna che dobbiamo proteggere la terra dove viviamo. Il nostro rapporto con gli ebrei è molto buono, tanto che in passato, quando il governo d’Israele ha intrapreso azioni negative nei confronti dei drusi, il popolo israeliano è venuto da noi ad esprimere la propria solidarietà. Noi siamo israeliani, e siamo fieri di far parte di questo paese.

(Bet Magazine Mosaico, 16 dicembre 2025)

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L’antisemitismo giustificato come opinione, e il corto circuito giuridico che legittima l’odio

La Corte d’appello di Torino stabilisce che sostenere la legittimità del pogrom del 7 ottobre rientra nella libertà di pensiero e non segnala pericolosità sociale.

di Carlo Panella

A proposito della strage di ebrei di Sidney e di prevenzione e di contrasto dell’antisemitismo, si prenda atto che la sentenza della Corte d’appello di Torino sull’espulsione dell’imam di San Salvario certifica che «non integra gli estremi reato e che è espressione di pensiero» affermare: «Io personalmente sono d’accordo con quello che è successo il 7 ottobre. Noi non siamo qui per la violenza, ma quello che è successo il 7 ottobre non è una violazione, non è una violenza». Il tutto, si badi bene, in un discorso pubblico da parte di un imam che sostiene queste tesi nelle sue prediche in moschea.
Dunque è agli atti che, per gli illustrissimi magistrati torinesi, non solo non è reato predicare che trucidare mille duecento civili ebrei, donne e bambini inclusi, non «è violenza», quindi di conseguenza è lecito, si può fare, ma anche che queste prediche non possono bastare «per formulare un giudizio di pericolosità».
Ma non basta: Mohamed Shahin è andato oltre e ha anche sostenuto che questa sua idea della non violenza, tanto apprezzata dai magistrati torinesi, è strettamente collegata al fatto che Israele è uno Stato illegittimo che «occupa» illegalmente la Palestina da ottanta anni, dal millenovecentoquarantacinque, quindi: «Non posso parlare solamente del 7 ottobre, che è il risultato di un’occupazione di ottanta anni, di undici guerre che sono successe prima di quella data».  Ne consegue che è lecito non solo massacrare ebrei, ma anche che questo deve essere fatto per eliminare dalla faccia della terra Israele, obiettivo peraltro esplicito di Hamas con il pogrom del 7 ottobre.
Non stiamo forzando le interpretazioni: le parole sono chiare e nette e lo ribadiamo: l’imam sostiene che non è violenza trucidare mille duecento ebrei, ne consegue che è lecito. A seguire, la Corte d’appello di Torino sentenzia che questo ferreo sillogismo non solo non costituisce reato, ma non è neanche sintomo di pericolosità sociale. Valutazioni aberranti.
Questo è dunque lo stato sconcertante del contrasto all’antisemitismo a Torino, dal quale può trarre una lezione e incentivo chiunque auspichi di trucidare ebrei e cancellare lo Stato di Israele. Gli basta seguire lo schema tipico dei Fratelli Musulmani, a cui Mohamed Shahin aderisce, basato sulla Taqiyya, l’arte islamica della dissimulazione, e può impunemente predicare che trucidare ebrei non è un reato. Per farlo, per ingannare persino un vescovo e un Fratoianni, evidentemente ben disposti a farsi ingannare quando a rimetterci sono gli ebrei, basta fare in moschea dei corsi sulla Costituzione, una preghiera comune qua e là, esaltare il dialogo interreligioso e parlare tanto, tanto di pace.
A Sidney è esattamente quello che è successo nei mesi scorsi. La fine è nota.

(LINKIESTA, 17 dicembre 2025)

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Insieme contro l’antisemitismo



Incontro a Poggio Ubertini
Montespertoli (Firenze)
19-21 dicembre 2025




(G. Melchionda e V. Troisi, 16 dicembre 2025)

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Elimina l'esilio o l'esilio eliminerà te

Come i pogrom dei secoli passati, il massacro della prima notte di Hanukkah insegna una triste lezione: non c'è più futuro per gli ebrei in Australia, non in Gran Bretagna, e certamente non in Francia, Belgio o Canada. Nostri fratelli e sorelle nella diaspora, il vostro posto è qui, anche adesso.

di Dror Eydar*

Guardare con rabbia mentre gli assassini musulmani stavano sul ponte, sparando per lunghi e agonizzanti minuti a ebrei, bambini, donne e anziani che erano venuti a celebrare Hanukkah, senza alcuna risposta da parte delle forze di sicurezza australiane. Che vergogna, e che profanazione del nome di Dio.
Non è solo l'Australia che è cambiata; quasi tutto l'Occidente è cambiato. La civiltà occidentale viene lentamente conquistata dall'Islam, senza alcuna risposta da parte del mondo cristiano. La reazione più comune è la critica a Israele, come se ciò salvasse coloro che vengono invasi. Catturati nel mezzo, in questo scontro di civiltà, ci sono gli ebrei, ancora aggrappati alle corna d'altare degli stati democratici, sperando che qualcuno si svegli e torni in sé.
Non succederà. I governi progressisti sono prigionieri dei loro elettori musulmani e delle ricche organizzazioni musulmane, e li preferiscono al futuro dei propri paesi. Il governo del primo ministro Anthony Albanese farà una certa nozione di rumore e farà dichiarazioni stupide, ma per gli ebrei che sono stati assassinati, non importa più. Non c'è futuro per gli ebrei in Australia, non in Gran Bretagna, e certamente non in Francia, Belgio o Canada.
Il governo australiano non ha combattuto il terrorismo o l'antisemitismo; lo ha incoraggiato attraverso le sue azioni e dichiarazioni. Il governo di Canberra ha fatto poco quando le sinagoghe sono state bruciate, non ha arrestato nessuno quando, ai piedi della Sydney Opera House, una folla frenetica ha cantato "Gas the Jews". I musulmani che sventolano le bandiere di Hezbollah e Hamas, insieme a quelle di altre organizzazioni terroristiche, hanno manifestato liberamente. Il ministro degli Esteri australiano Penny Wong è stato apparentemente l'unico ministro a visitare Israele durante la guerra, ma non ha trovato il tempo di visitare il luogo del massacro.
Dov'era l'intelligence australiana? Dopo tutto, hanno espulso l'ambasciatore iraniano. Hanno monitorato l'incitamento nelle moschee o esaminato i conti bancari per il trasferimento di fondi per il terrorismo? I terroristi sapevano che questo era il posto più facile per effettuare attacchi. Quindi, non hanno fatto quasi nulla, eppure sapevano come accusare Israele di bugie, mettere bastoni fra le ruote della guerra al terrore e, soprattutto, il governo australiano è arrivato al punto di dichiarare il riconoscimento di uno stato terroristico palestinese. Cosa gli importa? Ora sta diventando uno stato di terrore all'interno dei propri confini.
Se abbandonare gli ebrei è il peccato, la punizione cadrà su tutta l'Australia. Gli ebrei sono la prova di una società. I pogrom contro di loro sono il preludio agli attacchi ad altre minoranze e, in definitiva, al crollo della società. Il primo ministro Albanese ha abbandonato gli ebrei australiani al loro destino. Lui non li proteggerà.

Ti riposerai per una generazione solo per essere sradicato di nuovo
  Circa 20 anni fa, ho visitato lo Zimbabwe, precedentemente Rhodesia. Solo pochi ebrei rimangono lì. Nei primi anni '80, quando il dittatore Robert Mugabe salì al potere, la maggior parte di loro fuggì in Australia. Gli ebrei arrivarono in Rhodesia alla fine del XIX secolo da Rodi. Coloro che non migrarono in Africa e rimasero a Rodi furono inviati ad Auschwitz durante la seconda guerra mondiale. Da dove vengono gli ebrei di Rodi? Dalla Sicilia, alla fine del XV secolo, dopo essere stati espulsi per ordine della corona spagnola insieme al resto dell'ebreo spagnolo.
E così, gli ebrei vagarono dalla Sicilia a Rodi, da lì alla Rhodesia, che divenne Zimbabwe, da cui fuggirono in Australia, riposando per una generazione o due, solo per essere sradicati di nuovo. E ora dove? Non è arrivato il momento di capire il verdetto della storia?
Cari ebrei, nostri fratelli e sorelle, cosa aspettate? Non hai futuro nella diaspora. Torna a casa. Fai Aliyah. Questo è il tuo posto.
* Ex ambasciatore di Israele in Italia

(Israel Hayom, 16 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

DEUTERONOMIO

Capitolo 31
    Ultime parole di Mosè. Giosuè successore di Mosè
  • Mosè andò e rivolse ancora queste parole a tutto Israele. Disse loro: “Io ho centovent'anni; non posso più andare e venire, e l'Eterno mi ha detto: 'Tu non passerai questo Giordano'.  L'Eterno, il tuo Dio, sarà colui che passerà davanti a te, che distruggerà davanti a te quelle nazioni, e tu possederai il loro paese; e Giosuè passerà davanti a te, come l'Eterno ha detto.  E l'Eterno tratterà quelle nazioni come trattò Sicon e Og, re degli Amorei, che egli distrusse con il loro paese.  L'Eterno le darà in vostro potere, e voi le tratterete secondo tutti gli ordini che vi ho dato.  Siate forti e coraggiosi, non temeteli e non spaventatevi di loro, perché l'Eterno, il tuo Dio, è colui che cammina con te; egli non ti lascerà e non ti abbandonerà”.
  • Poi Mosè chiamò Giosuè, e gli disse in presenza di tutto Israele: “Sii forte e coraggioso, perché tu entrerai con questo popolo nel paese che l'Eterno giurò ai loro padri di dare loro, e tu sarai colui che gliene darà il possesso. L'Eterno cammina egli stesso davanti a te; egli sarà con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non perderti d'animo”.

    Mosè scrive la legge, e ordina che sia letta ogni sette anni
  • Mosè scrisse questa legge e la diede ai sacerdoti figli di Levi che portano l'arca del patto dell'Eterno, e a tutti gli anziani d'Israele. Mosè diede loro quest'ordine: “Alla fine di ogni sette anni, al tempo dell'anno della remissione, alla festa delle Capanne, quando tutto Israele verrà a presentarsi davanti all'Eterno, al tuo Dio, nel luogo che egli avrà scelto, leggerai questa legge davanti a tutto Israele, in modo che egli la oda. Radunerai il popolo, uomini, donne, bambini, con lo straniero che sarà nella tua città, affinché odano, imparino a temere l'Eterno, il vostro Dio, e abbiano cura di mettere in pratica tutte le parole di questa legge. E i loro figli, che non ne avranno ancora avuto conoscenza, lo udranno e impareranno a temere l'Eterno, il vostro Dio, tutto il tempo che vivrete nel paese del quale voi andate a prendere possesso, passando il Giordano”.

    Violazione futura del patto
  • L'Eterno disse a Mosè: “Ecco, il giorno della tua morte si avvicina; chiama Giosuè, e presentatevi nella tenda di convegno perché io gli dia i miei ordini”. Mosè e Giosuè dunque andarono e si presentarono nella tenda di convegno. L'Eterno apparve, nella tenda, in una colonna di nuvola; e la colonna di nuvola si fermò all'ingresso della tenda. E l'Eterno disse a Mosè: “Ecco, tu stai per addormentarti con i tuoi padri; e questo popolo si alzerà e si prostituirà, andando dietro agli dèi stranieri del paese nel quale va a stare; e mi abbandonerà e violerà il mio patto che io ho stabilito con lui. In quel giorno, l'ira mia si infiammerà contro di lui; e io li abbandonerò, nasconderò loro la mia faccia e saranno divorati, e cadranno loro addosso molti mali e molte angosce; perciò in quel giorno diranno: 'Questi mali non ci sono forse caduti addosso perché il nostro Dio non è in mezzo a noi?'. E io, in quel giorno, nasconderò del tutto la mia faccia a causa di tutto il male che avranno fatto, rivolgendosi ad altri dèi. Scrivetevi dunque questo cantico, e insegnatelo ai figli d'Israele; mettetelo loro in bocca, affinché questo cantico mi serva di testimonianza contro i figli d'Israele. Quando li avrò introdotti nel paese che promisi ai loro padri con giuramento, paese dove scorre il latte e il miele, ed essi avranno mangiato, si saranno saziati e ingrassati, e si saranno rivolti ad altri dèi per servirli, e avranno disprezzato me e violato il mio patto, e quando molti mali e molte angosce gli saranno piombati addosso, allora questo cantico alzerà la sua voce contro di loro, come una testimonianza; poiché esso non sarà dimenticato, e rimarrà sulle labbra dei loro posteri; poiché io conosco quali siano i pensieri che essi concepiscono, anche ora, prima che io li abbia introdotti nel paese che giurai di dare loro”. Così Mosè scrisse quel giorno questo cantico e lo insegnò ai figli d'Israele. Poi l'Eterno diede i suoi ordini a Giosuè, figlio di Nun, e gli disse: “Sii forte e coraggioso, poiché tu sei colui che introdurrà i figli d'Israele nel paese che giurai di dare loro; e io sarò con te”. E quando Mosè ebbe finito di scrivere in un libro tutte quante le parole di questa legge, diede quest'ordine ai Leviti che portavano l'arca del patto dell'Eterno: “Prendete questo libro della legge e mettetelo accanto all'arca del patto dell'Eterno, che è il vostro Dio; e là rimanga come testimonianza contro di te; perché io conosco il tuo spirito ribelle e la durezza del tuo collo. Ecco, oggi, mentre sono ancora vivente tra voi, siete stati ribelli contro l'Eterno; quanto più lo sarete dopo la mia morte! Radunate presso di me tutti gli anziani delle vostre tribù e i vostri ufficiali; io farò udire loro queste parole e prenderò come testimoni contro di loro il cielo e la terra. Poiché io so che, dopo la mia morte, voi certamente vi corromperete e lascerete la via che vi ho prescritto; e nei giorni che verranno la sventura vi colpirà, perché avrete fatto ciò che è male agli occhi dell'Eterno, provocandolo a indignazione con l'opera delle vostre mani”. Mosè dunque pronunciò dal principio alla fine le parole di questo cantico, in presenza di tutta la comunità d'Israele.

(Notizie su Israele, 16 dicembre 2025)


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Roma, la luce della Channukià in piazza Barberini: tra festa e commozione per la strage a Sydney

di Michelle Zarfati

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A piazza Barberini, nel cuore della Capitale, domenica si è rinnovata la tradizionale accensione della Channukià, organizzata dal movimento internazionale Chabad-Lubavitch. L’evento, giunto alla sua XXXVII edizione, ha visto la partecipazione di cittadini ed esponenti delle associazioni nel segno della luce contro l’oscurità. Un momento importante per la Comunità romana, specialmente dopo la strage avvenuta lo stesso giorno a Sydney, in Australia, durante una celebrazione di Channukà, in cui decine di persone sono state uccise in un attentato definito terroristico dalle autorità locali.
  Le misure di sicurezza a Roma sono state rafforzate sin dalle prime ore del pomeriggio: presidio delle forze dell’ordine e controlli attorno ai principali luoghi frequentati dalla comunità ebraica, dell’ex Ghetto fino alla stessa piazza Barberini, secondo quanto riferito dalla Prefettura. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, intervenuto alla cerimonia, ha espresso innanzitutto vicinanza alle vittime australiane e alle loro famiglie. “È molto triste oggi festeggiare con le notizie terribili di questo attentato che ha ucciso persone con una chiara matrice antisemita. Esprimiamo la nostra solidarietà a chi soffre e alla nostra comunità ebraica romana” ha detto, sottolineando come eventi di odio non possano oscurare “i valori della convivenza” e l’accoglienza nella città. Victor Fadlun, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha ricordato le vittime con parole di fermezza e speranza: “Non ci toglieranno mai speranza e luce, una luce di pace e rispetto reciproco”. Anche Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha affermato che “la risposta alla follia dell’odio deve essere la continuità della vita ebraica, con l’impegno a non piegarsi di fronte alle minacce”.
  Dal palco è arrivato anche un messaggio di fratellanza più ampio: mentre le fonti ufficiali australiane definiscono chiaro il movente antisemita del massacro a Bondi Beach, e le reazioni globali puntano a intensificare la sicurezza per gli eventi di Channukà in tutto il mondo, la Capitale ha voluto trasformare la festa delle luci in un simbolo di resistenza spirituale e civica. La cerimonia di piazza Barberini è proseguita con l’accensione delle luci, canti e momenti di preghiera, scandendo il significato profondo della festa: la luce come segno di speranza, unità e continuità. In una piazza che brilla nonostante il dolore per gli avvenimenti internazionali, la comunità ha voluto sottolineare che la festività di Channukà non è solo un rito religioso, ma anche un messaggio di pace contro ogni forma di violenza e discriminazione.

(Shalom, 16 dicembre 2025)

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Abu Mazen ad Atreju a fianco della Meloni. Intanto l’antisemitismo dilaga

di Giovanni Giacalone

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La presenza del leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas “Abu Mazen” ad Atreju a fianco della premier Giorgia Meloni desta non poche perplessità in un momento in cui c’è invece bisogno di una chiarezza pragmatica che vada al di là delle semplici dichiarazioni e le espressioni di solidarietà; chiarezza sulle posizioni da tenere sia per quanto riguarda la questione del terrorismo palestinese che ha oramai preso una dimensione globale e sia sul dilagare dell’antisemitismo, un fenomeno che va di pari passo con il primo. L’ultimo massacro, quello di domenica 14 dicembre a Sydney ne è del resto l’ennesima drammatica dimostrazione pratica.
Certo, in molti affermano: “Abu Mazen è contro Hamas e ha condannato l’eccidio del 7 ottobre”. Chi non è però molto addentro alla questione certe cose non le sa o non le ricorda, mettendo da parte chi ha invece la memoria corta. E allora ci pensiamo noi a rinfrescare le idee.
Premesso che, come evidenziato anche dal Pinsker Centre, Abu Mazen ci mise cinque giorni a condannare l’eccidio del 7 ottobre limitandosi a un: “Rifiutiamo le pratiche di uccisione o di abuso di civili da entrambe le parti”, ma focalizziamoci su un altro aspetto, quello dell’antisemitismo.
Nell’agosto 2023, durante un discorso al Consiglio Rivoluzionario di Fatah, Abbas affermò che Hitler uccise gli ebrei a causa del loro “ruolo sociale” di usurai, piuttosto che per antisemitismo:
“Dicono che Hitler uccise gli ebrei perché erano ebrei e che l’Europa odiava gli ebrei perché erano ebrei. No. È stato spiegato chiaramente che li combattevano per il loro ruolo sociale e non per la loro religione“.
Abu Mazen aveva poi chiarito che si riferiva a “usura, denaro e così via”.
Il leader dell’ANP aveva poi affermato che gli ebrei ashkenaziti sarebbero discendenti dei Cazari, una tribù nomade turca convertitasi all’ebraismo durante il periodo medievale, teoria ampiamente screditata.
Le sue affermazioni erano state duramente condannate da Stati Uniti, Unione Europea, Francia e Germania mentre il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, aveva immediatamente revocato ad Abbas la Medaglia della Città di Parigi.
Una dura condanna era arrivata anche da parte dell’inviata speciale degli Stati Uniti per la lotta all’antisemitismo, Deborah Lipstadt:
“Il discorso ha diffamato il popolo ebraico, distorto l’Olocausto e travisato il tragico esodo degli ebrei dai paesi arabi. Condanno queste dichiarazioni e chiedo scuse immediate”.
Questo episodio si è verificato appena due anni fa e un paio di mesi prima dell’eccidio del 7 ottobre; non parliamo dunque di decenni. Ci sarebbero poi altri casi per quanto riguarda le affermazioni antisemite di Abu Mazen, come ad esempio la denuncia del 2018 avanzata dall’International Holocaust Remembrance Alliance e quella di Yad Vashem.
Le idee di Abu Mazen sugli ebrei sono ben note ed è difficile non esserne al corrente se si ricoprono certi ruoli politici.
Sorge spontaneo chiedersi perché Abu Mazen sia stato invitato ad Atreju. Certo, è vero che all’evento era presente anche Rom Braslavski, l’ex ostaggio israeliano rilasciato da Hamas lo scorso ottobre in seguito all’implementazione della prima fase del piano di pace voluto dal presidente americano Donald Trump. Una presenza, quella di Rom, che rappresenta un elemento positivo ma non se fatta per compensare la presenza di Abu Mazen, è assolutamente priva di logica in quanto si sarebbe eventualmente dovuto chiamare un rappresentante diplomatico israeliano.
Inoltre, nonostante non si abbiano dubbi sulla genuinità dell’invito, qualche malpensante potrebbe addirittura arrivare ad affermare che la presenza di Rom sia stata strumentalizzata per controbilanciare l’invito del leader dell’ANP evitando però di esporsi con rappresentanze ufficiali israeliane e dunque rendendo più difficili potenziali accuse politiche da parte di chi è contro Israele, sia da sinistra dove il sentimento dilaga, ma anche tra quegli elettori di destra che non amano affatto lo Stato ebraico.
Perché cacciarsi in un pasticcio del genere? La risposta potrebbe essere nella seguente dichiarazione fatta dalla Meloni nei confronti di Abu Mazen:
“La sua presenza fa giustizia delle falsità degli ultimi due anni contro il governo”.
Quali falsità? Plausibilmente la premier italiana fa riferimento alle accuse di “complicità” in un inesistente “genocidio” avanzate da sinistra, estrema sinistra, islamisti radicali filo-Hamas e pro-Pal. Vista però l’origine e il poco spessore di tali accuse, che senso ha volere dimostrare qualcosa di inesistente? C’era bisogno della presenza di Abu Mazen?
C’è poi la scritta sullo sfondo del palco di Atreju: “Mahmud Abbas (Presidente della Palestina). Quale “Palestina” ?
Abu Mazen è presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, non della “Palestina”. Lo stato di Palestina non esiste. Non a caso il governo Meloni ha più volte ribadito tramite il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che non si può riconoscere uno stato palestinese perché prima si deve costruire, poi eventualmente lo si riconosce. Tajani aveva anche affermato che riconoscere prematuramente uno stato palestinese sarebbe un messaggio negativo per la pace in quanto contro Israele.
Nel frattempo qualcosa è cambiato? Se così non è, allora che senso ha quella scritta?
L’impressione è che la Meloni si stia sbracciando per mostrarsi al fianco dei palestinesi e c’è da chiedersi il perché. Per non perdere i voti degli elettori di destra anti-Israele? Per timore di ripercussioni sulla pubblica sicurezza? In effetti la risposta del governo al dilagare dell’estremismo pro-Pal è risultato fino adesso quanto meno blanda.
Basti pensare che due soggetti sanzionati dagli Stati Uniti, ovvero Mohammad Hannoun e Francesca Albanese, il primo indicato da Washington come “collettore di Hamas in Italia” e la seconda come “antisemita” e “sostenitrice del terrorismo” (recentemente finita al centro di uno scandalo per una sua presenza a un evento assieme a alti funzionari di Hamas e Jihad Islamica), sono ampiamente attivi in territorio italiano nonostante le continue segnalazioni.
Nel frattempo l’antisemitismo in Italia dilaga con continue aggressioni, intimidazioni ed atti vandalici al punto che l’Osservatorio Antisemitismo CDEC è arrivato a registrare quasi un migliaio di casi segnalati per mese. Nel 2024, lo stesso ente ha ricevuto 877 denunce di episodi antisemiti in Italia, rispetto alle 454 del 2023 e alle 241 del 2022.
Le leggi di contrasto all’antisemitismo tardano ad arrivare e nel contempo la propaganda di odio diffusa da esponenti islamisti e dai pro-Pal si espande a macchia d’olio. L’ultima cosa da fare era quindi invitare Abu Mazen.
Come ha giustamente dichiarato il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun:” C’è un clima di odio antiebraico coltivato dal mondo ProPal che sfocia in eventi drammatici”.
E’ stato detto all’inizio e lo ripetiamo: da parte del governo serve una chiarezza pragmatica, operativa, che vada ben oltre le semplici dichiarazioni perché, senza le necessarie misure, restano parole campate per aria a fronte del rischio di un evento drammatico come quello di Sydeny.

(L'informale, 16 dicembre 2025)
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“La sua presenza fa giustizia delle falsità degli ultimi due anni contro il governo”. Una frase come questa conferma che la Presidente Giorgia Meloni non ha una seria conoscenza personale della questione israeliana. Collegare in questo modo il dramma israeliano alle schermaglie della politica interna italiana è puerile. Il guaio per Israele e per gli ebrei è che più di questo da un governo italiano probabilmente non riusciranno a ottenere. Per avere una conferma si può leggere l'articolo che segue. M.C.


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Ambasciata italiana: l'affermazione di Meloni sul “presidente della Palestina” non implica il riconoscimento dello Stato

Il leader italiano ha ospitato Abbas a Palazzo Chigi solo cinque settimane dopo il loro precedente incontro nello stesso luogo.

di Akiva Van Koningsveld

L'Italia non ha riconosciuto lo Stato palestinese, ha dichiarato lunedì l'ambasciata di Roma a Tel Aviv a JNS, nonostante il primo ministro Giorgia Meloni abbia definito Mahmoud Abbas “presidente della Palestina” durante una visita venerdì.
“L'Italia non ha riconosciuto lo Stato di Palestina, né a settembre né negli ultimi giorni”, ha dichiarato un portavoce dell'ambasciata in una dichiarazione a JNS. “L'opposizione, infatti, sottolinea che l'Italia avrebbe dovuto riconoscerlo”.
Roma usa il termine “Palestina” da ‘secoli’ e tale termine non ha alcuna “implicazione giuridica o politica”, secondo il portavoce.
Meloni ha accolto Abbas a Palazzo Chigi venerdì, appena cinque settimane dopo aver ospitato il leader novantenne dell'Autorità Palestinese.
I due leader “hanno discusso degli ultimi sviluppi nella regione e in particolare della necessità di consolidare il cessate il fuoco a Gaza attraverso la piena attuazione del piano di pace [del presidente degli Stati Uniti Donald Trump”], ha twittato Meloni.
Meloni ha affermato di aver “ribadito la determinazione dell'Italia a svolgere un ruolo di primo piano nella stabilizzazione e nella ricostruzione di Gaza” e ha espresso il proprio sostegno alla riforma amministrativa dell'Autorità Palestinese, “che riveste un'importanza fondamentale anche nel contesto del necessario rilancio di un processo politico che porti a una pace giusta e duratura basata sulla soluzione dei due Stati”.
Dopo l'incontro al palazzo, Abbas ha fatto la sua comparsa al festival “Atreju” del partito di destra Fratelli d'Italia del premier, dove Meloni ha affermato che il “presidente della Palestina” ha ricevuto un “caloroso benvenuto”.
“Sono molto felice che Abu Mazen sia qui ad Atreju”, ha detto Meloni sul palco del festival annuale, usando il soprannome arabo di Abbas, secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa italiana Agenzia Nazionale Stampa Associata.
“La sua presenza dimostra il ruolo di primo piano che l'Italia ha svolto nella difficile crisi in Medio Oriente e come possa ancora avere un ruolo centrale nel difficile percorso verso la pace in una prospettiva di due Stati”, ha affermato.
Abbas nel suo discorso ha dichiarato che “l'assenza di uno Stato palestinese è fonte di instabilità ed estremismo che influisce sull'intera sicurezza della regione”, secondo quanto riportato dall'Agenzia Nazionale Stampa Associata.
Ha dichiarato che la ‘Palestina’ “non sarebbe una preoccupazione per la sicurezza di nessuno, ma un partner nella costruzione della pace” in tutta la regione.
Il leader dell'Autorità Palestinese non ha ancora condannato pubblicamente in arabo il 7 ottobre 2023, il giorno più sanguinoso per gli ebrei dall'Olocausto. Inoltre, Abbas, la cui tesi di dottorato negava l'Olocausto, ha spesso diffuso stereotipi antisemiti e calunnie.
Dopo che il mese scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto Abbas come partner di pace, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha esortato Parigi a “attenersi ai fatti, attenersi alla realtà e non cercare di sfuggirla”.
“La realtà è che il leader palestinese Abbas, che in questo momento è festeggiato a Parigi, paga i terroristi per uccidere gli ebrei”, ha detto Netanyahu. “Più ebrei uccidono, più vengono pagati. Si prendono cura delle loro famiglie”.
Un meccanismo riformato definisce i sussidi al terrorismo come “sostegno sociale” e il sistema di assegnazione dei pagamenti è stato trasferito da un ente ufficiale dell'Autorità Palestinese a una fondazione ‘indipendente’ sotto il controllo di Ramallah, ma Abbas ha affermato che non dedurrà “nemmeno un centesimo” dal fondo.
Netanyahu ha aggiunto che durante i 21 anni in cui Abbas è rimasto in carica, in quello che era iniziato come un mandato di quattro anni, l'Autorità Palestinese ha continuato a intitolare piazze a massacratori e a utilizzare libri di testo che invocano la distruzione di Israele.
“Se si guardano i fatti, la forza per la pace, la forza per la stabilità, la forza per il progresso non è l'Autorità Palestinese, ma Israele”, ha affermato.

(JNS, 15 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Hanukkah di sangue

di Kishore Bombaci

Nel secondo secolo d.C. con la rivolta dei Maccabei contro l’Impero seleucide, gli ebrei riconquistarono Gerusalemme e, come primo gesto simbolico, vollero riconsacrare il Tempio.
  Si narra che l’olio per accendere le otto candele della Channukia non fosse sufficiente a garantire luce per tutti gli otto giorni necessari; tuttavia, grazie all’intervento divino, la sola fiaschetta d’olio presente alimentò la luce per il tempo previsto.
  Per gli Ebrei fu segno tangibile della presenza di Dio e da quel giorno iniziarono a festeggiare il miracolo della Luce che vince l’oscurità.
  Oggi più che mai questo miracolo deve essere fatto rivivere quotidianamente, allorché l’oscurità imperversa e prende le forme più varie, dalla propaganda antisemita alla violenza altrettanto antisemita.
  Proprio questa festa, Hannukkah stavano festeggiando oltre duemila ebrei a Sidney quando un commando di almeno due terroristi islamici (pakistani probabilmente) ha aperto il fuoco seminando il terrore sulla spiaggia di Bondi Beach e lasciando il tragico bilancio di 16 morti e una quarantina di feriti
  E, ancora più inquietante pare che a bordo del veicolo utilizzato dai terroristi sia stato rinvenuto un ordigno pronto a esplodere lasciando intuire un potenziale stragista addirittura peggiore di quello verificatosi. Da lodare poi il coraggio di un venditore di frutta, Ahmed al Ahmad il quale da solo e a mani nude è riuscito a disarmare uno dei terroristi consentendone l’arresto.
  Non importa se fosse musulmano o cristiano maronita, è stato un gesto da uomo vero, e non come i vigliacchi che hanno portato a termine il massacro di innocenti.
  Uno scenario di morte, un barbaro assalto di matrice antisemita, condotto in un giorno di Festa che declina una guerra dichiarata agli ebrei (e non solo) ormai da anni. Una guerra ibrida, che si nutre di pericolosa propaganda che arma le mani degli assassini, a Sidney come altrove.
Inutile negarlo! Siamo in guerra, e chi non lo capisce, chi minimizza, o peggio chi sostiene le ragioni del nemico, è complice.
  Chi non condanna, chi tace innanzi alla morte di 16 persone è altrettanto complice.
  Non vi sono più spazi per le mezze parole, per toni oltremodo diplomatici ed ecumenici che finiscono per suonare ipocriti e per legittimare gli amici del terrorismo.
  È giunto il momento di ribellarsi al politicamente corretto che nasconde solo la vigliaccheria di non chiamare le cose col proprio nome.
  Questo atto è il risultato di anni di antisemitismo profuso a piene mani in questi due anni. Sono quegli slogan, quella propaganda diffusa in modo goebbelsiano dalle piazze e persino da alcune istituzioni ad armare la mano dei folli e chi se ne è fatto latore è altrettanto colpevole rispetto a chi ha premuto il grilletto spezzando vite innocenti strappate a Sidney e non solo.
  L’antisemitismo è il presupposto della morte degli ebrei e non importa che lo si chiami ipocritamente antisionismo, peraltro ignorandone completamente il significato.
  La realtà è che quelle 16 persone uccise e quella quarantina di feriti- fra cui un rabbino di Chabad e una bambina – sono state massacrate in quanto ebree. Non sioniste, non pro Netanyahu (che pure sarebbe ingiusto e inaccettabile), ma solo e semplicemente ebree. Innanzi a ciò non può che preoccupare il tenore soft, omertoso e omissivo anche di quelle prese di posizione che, pur condannando il gesto, non hanno avuto il coraggio di andare fino in fondo tutto questo non può che preoccupare perché è perfettamente coerente con una certa narrazione che minimizza il contesto in cui è maturata la strage o peggio ancora, ne rivolge le responsabilità contro le stesse vittime.
  Non facciamoci ingannare da chi dice che l’antisemitismo è responsabilità di Netanyahu e del governo israeliano.
  Non facciamoci ingannare da chi dipinge i terroristi islamici come portatori di istanze da comprendere. Non facciamoci ingannare da chi occulta il proprio antisemitismo con la pelosa solidarietà a un popolo – quello palestinese – che si traduce in un appeasement verso la sua classe dirigente.
  Eraclito sosteneva che in guerra la prima vittima è la verità, e oggi abbiamo prova provata di quanto fosse vera quella sua riflessione a partire dall’8 Ottobre 2023.
  Da allora, le narrazioni fuorvianti si sono fatte via via sempre più forti e hanno trovato via via sempre più sponde, persino insospettabili. Il cancro dell’antisemitismo si è insinuato rapido nelle pieghe dell’indifferenza generale che è diventata nel tempo aperta ostilità agli ebrei ritenuti colpevoli di condividere le scelte del Governo di Israele o di non distaccarsene a sufficienza.
  Una ostilità che, progressivamente, da silenziosa si è fatta rivendicazione orgogliosa; che da teorica si è fatta violentemente pratica.
  Sidney, invero, è l’espressione manifesta e tragicamente conclamata di questo humus propagandistico di cui molti sono colpevoli: chi per azione diretta, chi per omissione.
E allora urge una riflessione profonda che interessa tutti quelli che in questi anni, pur non condividendo la retorica pro palestinese, egualmente, un po’ per paura, un po’ per pigrizia, non hanno preso netta posizione.
  Oggi, queste persone, che rappresentano la maggioranza delle opinioni pubbliche occidentali, devono superare questa non più accettabile inerzia perché anch’essa è parte del problema.
  Gli inutili compromessi con chi si fa portatore di narrazioni aberranti non sono più ammessi. Gli ammiccamenti verso il nemico non possono più trovare spazio.
A costoro dico: quel sangue ricade sugli ignavi al pari di come ricade sugli esecutori materiali della strage.
  Oggi dunque si impone l’obbligo di ergere una barriera contro l’antisemitismo per prosciugare alla fonte la radice dell’odio ed educare a una forma di pensiero critico che possa vincere le semplificazioni ideologiche e fintobuoniste di parte dell’intelligentia dominante.
  Ecco perché, qui in Italia in particolar modo, è fondamentale approvare una legge che punisca severamente le condotte antisemite, e che al contempo fornisca robusti anticorpi per difendersi da questo veleno terribile, a partire dalle scuole, dai luoghi di lavoro, dagli operatori della Giustizia.
  Oggi una legge che finalmente consenta di circoscrivere i confini dell’antisemitismo è il primo vero strumento che può proteggere gli ebrei e attivare meccanismi di prevenzione e repressione per le smaccate “porcherie” che abbiamo sentito sin qui a reti unificate, dall’uomo della strada fino al politico, al giornalista all’opinionista.
  Lo dico chiaramente: la legge contro l’antisemitismo, oggi è l’inizio di quella luce che servirà a combattere un’oscurità portata avanti da chi ci vuole in ginocchio.
  Lo chiedono finalmente le Comunità Ebraiche, lo chiede l’Ucei, lo chiedono le Associazioni di amicizia Italia Israele raccolte nell’UAII.
  È arrivato il momento di dare una risposta concreta a queste istanze, superando gli steccati ideologici per unirsi in una battaglia di civiltà.

(AdHoc ANews, 16 dicembre 2025)

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«A volte ho la sensazione che il silenzio sia ingannevole»

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si presenta come l'artefice di un nuovo ordine in Medio Oriente e, a prima vista, i fatti sembrano dargli ragione: gli ostaggi sono tornati, i partner arabi sono tornati al tavolo delle trattative e Israele viene celebrato come vincitore. Ma chi guarda più in profondità si rende conto che questo dominio americano è diventato una gabbia dorata per Israele. La politica di Trump è transazionale, basata sul “deal”, sul successo rapido e visibile. Viene il sospetto che il prezzo di questo trionfo diplomatico e del ritorno dei 20 ostaggi vivi sia stata una garanzia invisibile per la sopravvivenza di Hamas: un compromesso che a Washington può essere venduto come una vittoria, ma che a Gerusalemme mina la promessa strategica di affrontare la minaccia alla radice.
Viviamo in una sicurezza che dipende dal capriccio di un presidente, mentre i nostri nemici – che si tratti di Hamas a sud, Hezbollah a nord o dell'Iran rinato a est – approfittano di questa fase di calma tollerata per riorganizzarsi. Teheran invia segnali che dicono una cosa sola: la guerra dei 12 giorni non ha lasciato alcun effetto di apprendimento. Al contrario. Mentre a giugno dovevamo ancora fare i conti con 500 missili al giorno, oggi l'Iran minaccia con 2.000 missili al giorno. Non è una minaccia marginale. È la più grande ondata di attacchi annunciata nella storia del Medio Oriente. Dietro le quinte si sente sempre più spesso dire che, in tal caso, Israele potrebbe reagire con un attacco preventivo mirato in Iran.
Ma anche il confine siriano non è diventato più sicuro a causa della rivoluzione dei jihadisti, anche se ciò ha indebolito l'asse sciita. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è entusiasta del giovane capo di Stato di Damasco, Ahmed a-Sharaa, ma in Israele lo vedono con molto meno favore. E proprio questa discrepanza non piace affatto a Washington. Il sostegno americano ha l'effetto di un potente antidolorifico: allevia i sintomi acuti e trasmette una sensazione di invincibilità, ma non cura la malattia e ci induce a rimandare sempre più a lungo la necessaria e dolorosa operazione sul proprio corpo statale. Per questo motivo, alla fine di dicembre il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu incontrerà nuovamente il presidente americano Donald Trump alla Casa Bianca. A Washington cresce l'impressione che le cose stiano sfuggendo di mano e che la seconda fase del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza rischi di fallire.
In nessun altro ambito questo stallo diplomatico è più evidente che nella dura e snervante lotta per il passaggio alla “fase B” del cessate il fuoco. Quello che sulla carta sembra un passo tecnico è in realtà un macabro mercanteggiamento tra Gerusalemme e Il Cairo. Israele ha tracciato una linea rossa inequivocabile e ha subordinato l'apertura del valico di frontiera di Rafah – la pulsante arteria vitale della Striscia di Gaza e allo stesso tempo il collo di bottiglia strategico per il Cairo – a una condizione che va oltre la semplice tattica. Gerusalemme chiede la restituzione dei resti mortali di un ostaggio prima dell'apertura del confine.
Il conflitto apparentemente irrazionale sull'apertura del valico di frontiera di Rafah per la restituzione di un solo cadavere è in realtà un atto di profonda fedeltà biblica. Segue il principio della “Chesed Schel Emet” (חסד של אמת), la vera misericordia verso i morti, e riflette quel momento storico in cui Mosè non completò l'esodo dall'Egitto senza portare con sé le ossa di Giuseppe. Israele è un popolo che non lascia indietro nessuno, nemmeno i morti; in questo modo Israele assicura le fondamenta morali per il futuro dei suoi vivi.
Mentre i nostri nemici affinano le loro strategie con precisione letale, noi ci concediamo il lusso fatale di un fronte interno che si sgretola, in cui le fratture tra destra e sinistra, tra kippah e laicità sono diventate da tempo fossati insormontabili. Stiamo vivendo il pericoloso paradosso di un governo che, pur disponendo della maggioranza matematica in Parlamento, ha perso la maggioranza emotiva del popolo. Governa con pieno potere, ma senza il fondamento di un ampio consenso – e il potere senza fiducia è una casa costruita sulla sabbia.
Nulla illustra questa erosione in modo più doloroso dell'indegna controversia sul riesame del 7 ottobre 2023. La questione se sia una commissione d'inchiesta statale indipendente, secondo la legge, o un comitato selezionato politicamente a indagare sul fallimento non è un dettaglio giuridico, ma una lotta aperta per la verità che alimenta il cinismo. Alimentata dai media di entrambi gli schieramenti, che fungono da acceleratori in un ambiente già surriscaldato, si rafforza l'impressione che la vittoria strategica ci stia sfuggendo dalle mani perché non riusciamo a mantenerla internamente.
Da un lato siamo orgogliosi dell'alleanza con Washington, dall'altro questa sembra essere un po' ingannevole. Per questo motivo Netanyahu sottolinea ripetutamente che Israele deve diventare più indipendente. Un politico religioso ha ricordato gli avvertimenti di Isaia contro l'alleanza con l'Egitto. Allora come oggi, la fiducia viene riposta nei “cavalli e nei carri” di una superpotenza straniera, invece di rafforzare la propria sostanza morale e spirituale. L'immagine drastica di Isaia del “canna spezzata” e il bastone di Ezechiele, che descrive la sicurezza ingannevole degli alleati stranieri, colpiscono il nervo scoperto del tempo. Chi si affida troppo a un sostegno straniero rischia che questo si spezzi e gli si conficchi nella mano. Una sicurezza esistenziale basata esclusivamente sul capriccio di un sovrano alla Casa Bianca è, dal punto di vista biblico, sbagliata e costituisce un'illusione politica che intorpidisce ma non salva. A proposito, questo paragone ricorre spesso nei media religiosi in riferimento alla nostra realtà politica.
Dopo due anni pieni di sacrifici, paura e una forza di volontà sovrumana, il popolo è esausto e non desidera nuovi slogan, ma una riconciliazione che porti guarigione. Dobbiamo finalmente capire che anche la più forte potenza militare diventa inutile se il sostegno sociale si sgretola e che anche la guerra più giusta perde la sua direzione se il popolo non vede più un futuro comune dietro di essa. Israele ha superato tempeste esterne, ma non possiamo fallire con noi stessi. Finché mancherà questa unità interna, anche la mano protettrice più forte di Washington rimarrà solo una facciata che prima o poi dovrà cadere.

(Israel Heute, 15 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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«L'immagine drastica di Isaia del “canna spezzata” e il bastone di Ezechiele, che descrive la sicurezza ingannevole degli alleati stranieri, colpiscono il nervo scoperto del tempo», dice l'autore. Sono più di vent'anni che su NsI si fa ripetuto riferimento al "sostegno di canna rotta" americano. "NsI.

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La gioia di Chanukkah offuscata dall'attentato

Herzog accende la prima candela di Chanukkah alla presenza di ex ostaggi
GERUSALEMME / SYDNEY – Dopo il mortale attentato terroristico contro gli ebrei in Australia, anche in Israele la gioia per la festa di Chanukkah è offuscata. Il ministro degli Esteri Gideon Sa'ar (Nuova Speranza) ha dichiarato: "Quest'anno Chanukkah è iniziato con gioia mista a tristezza. Gli ebrei in Australia e gli ebrei di tutto il mondo accendono, oltre alle candele di Chanukkah, anche luci in memoria di coloro che sono stati uccisi nel terribile attentato terroristico di Sydney".
  Domenica scorsa, due uomini hanno aperto il fuoco sui festeggiamenti degli ebrei sulla spiaggia di Bondi a Sydney. Hanno ucciso 15 ebrei di età compresa tra i 10 e gli 87 anni. Tra i morti c'è un sopravvissuto all'Olocausto. 42 persone sono rimaste ferite. Gli autori del reato sono padre e figlio.
  Dopo 80 anni, l'antisemitismo è tornato di moda, ha detto Sa'ar. “È un fatto scioccante, ma pur sempre un fatto, che nel 2025 gli ebrei siano perseguitati in tutto il mondo”. A sostegno di questa tesi ci sono slogan come “Globalise the Intifada” (Globalizzate l'Intifada). Questi slogan dovrebbero essere vietati. Lo ha detto anche al ministro degli Esteri australiano Penny Wong (Laburista).
  Il ministro ha citato il fondatore del revisionismo sionista, Se'ev Jabotinsky: “Perché quando il nemico uscirà dall'imboscata, noi ci alzeremo e resteremo saldi: lunga vita alla gioventù, lunga vita alla spada. Lunga vita al sangue maccabeo”. La luce vincerà l'oscurità, ha aggiunto Sa'ar: “Accenderemo le candele. Una grande luce in un mondo dove l'oscurità sta prendendo il sopravvento”.

Herzog: gli ostaggi tornati sono un miracolo
  Il presidente Yitzhak Herzog ha acceso la prima luce sul candelabro di Hanukkah, la Chanukkia, alla presenza degli ex ostaggi. La cerimonia prevede la benedizione: «Sia lodato Tu, Eterno, nostro Dio, Re del mondo, che hai compiuto miracoli per i nostri padri, in quei giorni, in questo tempo». “
  A questo proposito Herzog ha detto: ”A 800 giorni da quel terribile giorno del 7 ottobre, Simchat Torah, non c'è miracolo più grande di questo: vedere qui e ovunque gli ostaggi che sono tornati dalla valle dell'ombra della morte, al di là di tutti i nostri pensieri e preghiere“. Con la ”valle dell'ombra della morte", il capo di Stato ha citato il Salmo 23,3.
  Anche la famiglia di Ran Gvili ha partecipato alla cerimonia di apertura della festa di otto giorni. Il poliziotto è stato ucciso il 7 ottobre 2023 nella lotta contro i terroristi. È l'ultimo ostaggio che si trova ancora nella Striscia di Gaza. Herzog ha chiesto la restituzione della salma.
  I familiari erano presenti anche all'accensione delle candele nell'Accademia nazionale di polizia di Beit Shemesh, insieme al capo del governo Benjamin Netanyahu (Likud) e al ministro della Polizia Itamar Ben-Gvir (Forza Ebraica). Netanyahu ha promesso di impegnarsi per la restituzione della salma di Ran Gvili. Ha criticato la politica del governo australiano, che favorisce gli attacchi antisemiti.

Veglie e accensione di candele in Australia
  Il giorno dopo l'attacco, lunedì, gli australiani hanno organizzato veglie nelle città di Sydney e Melbourne. Hanno deposto fiori e acceso la seconda candela di Chanukah. Anche i politici hanno partecipato alle cerimonie commemorative.
  A Bondi Beach, il rabbino Yossi Shuchat ha detto: "Quello di ieri è stato un evento tragico che le parole non possono spiegare. La luce sopravviverà sempre; l'oscurità non può durare dove c'è la luce". A Melbourne, più di 2.000 persone hanno visitato una sinagoga in un quartiere a maggioranza ebraica.
  A Hyde Park, Sydney, Bilal Rauf, dell'Imam Council of Australia, ha espresso le sue condoglianze alla comunità ebraica. L'attacco ricorda alla sua comunità religiosa l'attacco ai musulmani a Christchurch, in Nuova Zelanda, nel 2019, in cui sono state uccise 50 persone. “Comprendiamo il dolore e il lutto dei nostri fratelli e sorelle ebrei. Per questo diciamo forte e chiaro: siamo al vostro fianco”. Il rabbino Jeffrey Kamins ha quindi abbracciato l'imam.
  Gli attentatori, il ventiquattrenne Naveed Akram e suo padre Sajid Akram, cinquantenne, sarebbero vicini all'ISIS. Avevano detto alla loro famiglia che nel fine settimana sarebbero andati a pescare. Il padre è stato ucciso dalle forze di sicurezza, il figlio è rimasto ferito ed è stato arrestato. Si trova in ospedale sotto sorveglianza della polizia.

Condanne a livello mondiale
  I politici di tutto il mondo hanno condannato l'attacco terroristico. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (CDU) ha parlato di un “attacco ai nostri valori”. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (repubblicano) lo ha denunciato, così come il futuro sindaco di New York, Zohran Mamdani. Il democratico ha definito l'attentato un “atto ripugnante di terrorismo antisemita”.
  Il Ministero degli Esteri dell'Autorità Palestinese (AP) a Ramallah ha condannato “l'attacco nella città australiana di Sydney, che ha causato la morte e il ferimento di numerose persone” e ha espresso le sue condoglianze ai familiari delle vittime. Non è stato menzionato il fatto che l'attacco fosse rivolto contro gli ebrei. Secondo l'agenzia di stampa palestinese WAFA, lo “Stato di Palestina” ha invece affermato di rifiutare ogni forma di estremismo e violenza, compresa l'uccisione di terroristi. “Lo Stato di Palestina ha anche condannato il continuo massacro di civili da parte di Israele a Gaza e in Cisgiordania”.
  Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmaeil Baghaei, ha dichiarato: “Il terrorismo e l'uccisione di persone, ovunque avvenga, sono respinti e condannati”. Anche Giordania, Qatar, Libano, Arabia Saudita, Turchia ed Emirati Arabi Uniti hanno condannato l'attacco. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha scritto: “Il mio cuore è con la comunità ebraica di tutto il mondo in questo primo giorno di Hanukkah”.
  Il primo ministro australiano Anthony Albanese (Laburista) si è rivolto alla comunità ebraica: “Siamo al vostro fianco, vi abbracciamo e stasera vi confermiamo che avete tutto il diritto di essere orgogliosi di ciò che siete e di ciò in cui credete”. Gli ebrei hanno il diritto di vivere la loro fede, di studiare, lavorare e vivere in pace e sicurezza. Ha chiesto un inasprimento delle leggi sulle armi.

Un musulmano ha salvato molti ebrei
  Nel frattempo, l'Australia celebra un “eroe” arrivato nel subcontinente dalla Siria nel 2006: il 43enne fruttivendolo Ahmed Al Ahmed stava bevendo un caffè con un amico quando ha sentito gli spari. Si è avvicinato di soppiatto da dietro a uno degli aggressori e gli ha sottratto l'arma lunga con una presa da lottatore. L'altro attentatore gli ha sparato, ferendolo gravemente.
  I suoi genitori, Mohamed Fateh Al Ahmed e Malakeh Hasan Al Ahmed, vivono in Australia solo da pochi mesi. Hanno raccontato all'emittente australiana “ABC News” che loro figlio avrebbe fatto di tutto per proteggere le persone, indipendentemente dalla loro provenienza. È stato colpito quattro o cinque volte alla spalla e diversi proiettili sono rimasti conficcati nel suo corpo.
  Trump ha elogiato il padre di due figlie in un discorso alla Casa Bianca: ha “salvato molte vite”, ha detto il presidente degli Stati Uniti. “Una persona così coraggiosa, che ora è in ospedale, gravemente ferita. Quindi, grande rispetto per quello che ha fatto”.
  I genitori hanno chiesto aiuto al governo affinché i loro altri due figli, che vivono in Germania e in Russia, possano venire a sostenere la famiglia. Infatti, loro stessi sono troppo anziani per prendersi cura dei nipoti.

“Un vero eroe”
  Il premier del New South Wales, Chris Minns (Laburista), ha reso omaggio ad Al Ahmed su X: “Ahmed è un vero eroe. La scorsa notte, il suo incredibile coraggio ha senza dubbio salvato innumerevoli vite quando ha disarmato un terrorista con un alto rischio personale”.
  Anche Netanyahu ha elogiato Al Ahmed: “Abbiamo assistito all'azione di un uomo coraggioso”, ha detto domenica durante la riunione settimanale del gabinetto. “Un musulmano coraggioso, e gli rendo omaggio per aver fermato uno dei terroristi che voleva uccidere ebrei innocenti”.

(Israelnetz, 15 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

DEUTERONOMIO

Capitolo 30
    Promesse e minacce
  • Quando tutte queste cose che io ti ho posto davanti, la benedizione e la maledizione, si saranno compiute per te, e tu te le richiamerai alla mente fra tutte le nazioni dove l'Eterno, il tuo Dio, ti avrà sospinto,  e ti convertirai all'Eterno, al tuo Dio, e ubbidirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua, secondo tutto ciò che oggi io ti comando,  l'Eterno, il tuo Dio, farà ritornare i tuoi dalla schiavitù, avrà pietà di te, e ti raccoglierà di nuovo fra tutti i popoli, fra i quali l'Eterno, il tuo Dio, ti aveva disperso. 
  • Anche se i tuoi esuli fossero all'estremità dei cieli, l'Eterno, il tuo Dio, ti raccoglierà di là, e di là ti prenderà.  L'Eterno, il tuo Dio, ti ricondurrà nel paese che i tuoi padri avevano posseduto, e tu lo possederai; ed egli ti farà del bene e ti moltiplicherà più dei tuoi padri.  L'Eterno, il tuo Dio, circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua progenie affinché tu ami l'Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua, e così tu viva.  E l'Eterno, il tuo Dio, farà cadere tutte queste maledizioni sui tuoi nemici e su tutti quelli che ti avranno odiato e perseguitato. Tu ritornerai e ubbidirai alla voce dell'Eterno e metterai in pratica tutti questi comandamenti che oggi ti do. L'Eterno, il tuo Dio, ti colmerà di beni, facendo prosperare tutta l'opera delle tue mani, il frutto delle tue viscere, il frutto del tuo bestiame e il frutto del tuo suolo; poiché l'Eterno si compiacerà di nuovo nel farti del bene, come si compiacque nel farlo ai tuoi padri, perché ubbidirai alla voce dell'Eterno tuo Dio, osservando i suoi comandamenti e i suoi precetti scritti in questo libro della legge, perché ti sarai convertito all'Eterno, al tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua. 
  • Questo comandamento che oggi ti do, non è troppo difficile per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: 'Chi salirà per noi nel cielo e ce lo porterà e ce lo farà udire perché lo mettiamo in pratica?'. Non è di là dal mare, perché tu dica: 'Chi passerà per noi di là dal mare e ce lo porterà e ce lo farà udire perché lo mettiamo in pratica?'. Invece questa parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. Vedi, io metto oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io ti comando oggi di amare l'Eterno, il tuo Dio, di camminare nelle sue vie, di osservare i suoi comandamenti; le sue leggi e i suoi precetti affinché tu viva e ti moltiplichi, e l'Eterno, il tuo Dio, ti benedica nel paese dove stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volta indietro, e se tu non ubbidisci, e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, io vi dichiaro oggi che certamente perirete, che non prolungherete i vostri giorni nel paese, per entrare in possesso del quale voi state passando il Giordano. 
  • Io prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra, che io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, affinché tu viva, tu e la tua progenie, amando l'Eterno, il tuo Dio, ubbidendo alla sua voce e tenendoti stretto a lui (poiché egli è la tua vita e colui che prolunga i tuoi giorni), affinché tu possa abitare sul suolo che l'Eterno giurò di dare ai tuoi padri Abraamo, Isacco e Giacobbe”.

(Notizie su Israele, 15 dicembre 2025)


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Fadlun: "Odio antiebraico coltivato dai ProPal. Attenzione alle parole"

di Giulia Sorrentino

Timore ma consapevolezza che non si può e non ci si deve arrendere. È questo il sentimento che si percepisce dal tono del Presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, dopo l’attentato terroristico che ha colpito gli ebrei in Australia. Fadlun poi commenta il disegno di legge sull’antisemitismo, che non piace a tutta la sinistra: «Credo nella parola dell’Ihra. Mi auguro che ci sia un ravvedimento».

- Dodici morti e oltre trenta feriti, è questo il bilancio dell’attentato di Sydney.
  «Il tentativo era di fare ancora più vittime, volevano fare una carneficina. Questo è testimoniato dalle modalità, dalle armi trovate sul posto, c’erano anche esplosivi. E di nuovo colpire durante una festa. Questa è la festa della luce, della speranza. Colpire in una festa in cui sanno che ci sono bambini, il paragone è come il Nova Festival: si colpisce chi festeggia la vita. Il tentativo è cancellare la speranza in un futuro, nel bene. Questo è proprio terrorismo nel senso letterale, in questo momento in cui poi c’è un percorso di pace in Israele, che con fatica sembra avviato».

- L’Australia è Occidente. È un attacco anche alle radici giudaico-cristiane?
  «Sicuramente. Il tema è che purtroppo tutto questo non nasce dal nulla, ma c’è un clima d’odio antiebraico che sta crescendo è coltivato dal mondo ProPal, che poi sfocia in eventi drammatici. In Italia chi sta fomentando tutto ciò, chi si fa paladino del movimento ProPal dovrebbe pensarci bene, perché le parole pesano e hanno delle conseguenze».

- Chi è che si dovrebbe fare un esame di coscienza oggi?
«  Tutti coloro che sono in testa al movimento ProPal. Questo è antisemitismo. Quindi chi lo propugna in questo modo ha la coscienza potenzialmente sporca, è moralmente complice della carneficina di questi miei fratelli, di questi ebrei». 

- Qualcuno di voi si è chiesto se potrebbe succedere anche qua?
  «Noi abbiamo molta fiducia nel Ministero dell’Interno e in tutti coloro che stanno lavorando affinché vengano prevenute queste tragedie. Ma l’allarme c’è. Noi siamo fermi e saldi nei nostri principi e non possiamo accettare che ci sia una sorta di diktat a non condurre le nostre vite, perché questo è esattamente l’obiettivo del terrorismo».

- Tra le vittime c’è un rabbino, è una morte altamente simbolica.
  «Sì, ma non è la prima volta, purtroppo, perché si espongono in prima persona per avvicinare gli altri a una religione di pace. Quindi sono i primi obiettivi di chi invece propugna la morte e il terrore».

- Nonostante ciò, c’è chi però in Italia è addirittura contro un disegno di legge bipartisan sull’antisemitismo.
  «Quel disegno di legge punta proprio a distinguere tra la contestazione del governo e la contestazione dello Stato. Criticare l’esistenza di uno Stato, quello ebraico in particolare, nella definizione di antisemitismo dell’Ihra è un atto di antisemitismo. Diverso è criticare il governo, in tutto il mondo viene fatto. Quindi quel disegno di legge ha piena legittimità e ringraziamo chi lo porta avanti».

- Tra loro non rientra una parte del Pd: ieri hanno fatto un minuto di silenzio per l’attentato, però poi c’è chi in quel partito non vuole il disegno di legge sull’antisemitismo. Il senatore Boccia, fedelissimo di Elly Schlein, si è discostato dalla posizione del suo collega Delrio. Non c’è un po’ di incoerenza?
  «Vorrebbe dire che bisogna capire se hanno ragione Boccia e altri oppure l’Ihra quando stabilisce che definire Israele Stato fascista o augurarsi “dal fiume al mare” è un atto di antisemitismo. E io credo nella parola dell’Ihra. Mi auguro che ci sia un ravvedimento».

(IL TEMPO, 15 dicembre 2025)

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Di Segni: “Perché siamo nel mirino”

Il rabbino capo di Roma: «È il risultato di troppa propaganda. C’è chi pensa che gli ebrei siano cattivi»

di Luca Monticelli

Ieri è iniziata Hanukkah, la festa delle luci che ricorda il miracolo della durata dell’olio nel Tempio di Gerusalemme. Il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha vissuto lo sgomento della sua comunità all’accensione della prima candela, scossa dall’attacco terroristico di Sidney.

- È stata colpita la libertà di vivere l’ebraismo apertamente?
  «Certamente. La festa di Hanukkah si festeggia accendendo ogni sera per otto sere una lampada, ed è essenzialmente un rito domestico. Da decenni, sotto la spinta del movimento Chabad, questa accensione si svolge anche nelle piazze più importanti delle città, per dare all’esterno un segno di vitalità e di luce. In questo senso è diventata una sorta di simbolo di ebraismo vissuto all’aperto. Chi ha colpito in questo momento ha sfruttato l’occasione di una concentrazione di ebrei all’esterno, ma ha anche voluto colpire un simbolo: che sia chiaro, sono gli ebrei in quanto tali, non uno Stato, non un governo. Puro antiebraismo».

- Anche in Europa e in Italia gli ebrei sono spesso costretti all’isolamento e a nascondere la propria identità per paura di subire violenze.
  «Se in Italia a qualsiasi cittadino viene impedito di manifestare la sua fede e il suo pensiero, che sia laico o religioso, le basi stesse della convivenza civile e della libertà sancita dalla nostra Costituzione vengono attaccate, ed è ovviamente un rischio per tutti e non solo per gli ebrei. Questa cosa è stata compresa bene da ampi settori della società civile e della politica, ma proprio nella politica vi sono esitazioni ed equivoci».

- Si aspetta una reazione da parte della politica e della società civile?
  «Oggi mi aspetto belle dichiarazioni di solidarietà, che non mancano mai quando ci sono ebrei morti, ma quello che ci vuole è un esame delle responsabilità. Non basta dire: “fermiamo l’antisemitismo”; qualcuno dovrebbe dire “fermiamoci”».

- Pensa che la politica e i media non abbiano capito i pericoli – non solo che vivono gli ebrei – ma anche le democrazie?
  - «Purtroppo una parte della politica ha usato la crisi che si è aperta il 7 ottobre del 2023 come mezzo per creare consenso e aggregazione, ignorando o trascurando i rischi che una presentazione propagandistica e manichea della realtà comportavano per la tenuta stessa della vita democratica. Belle dichiarazioni contro l’antisemitismo, magari distinto dall’antisionismo, non servono a molto. Di fatto è stato messo tutto nello stesso calderone. I media hanno fatto da cassa di risonanza accusatoria con ancora più gravi responsabilità. Ne cito una, per esempio: la mancanza di totale senso critico nel far passare le notizie».

- Il presidente Victor Fadlun della comunità romana sostiene che l’attentato è una conseguenza della propaganda pro Pal, è d’accordo?
  «Il mondo proPal è variegato con diversi gradi di estremismo. E bisogna distinguere tra chi in buona fede vuole difendere una causa politica che ritiene giusta e chi è animato di forti sentimenti e intenzioni antiebraiche mescolate nelle rivendicazioni palestinesi. Certamente è grazie a una forte propaganda proPal che una parte del pubblico italiano si è convinto che non solo Netanyahu è cattivo ma che lo è tutto il governo di Israele, tutti i suoi cittadini e lo Stato stesso, e che lo sono anche gli ebrei di tutto il mondo. E che in definitiva la Shoah se la sono pure meritata, visto che sono tanto cattivi e genocidi. A questo si è arrivati. Quale è il motivo per cui se cammino per strada e qualcuno mi riconosce come ebreo e rabbino mi insulta? Chi l’ha caricato? E siamo alle parole. Poi qua e là qualcuno approfitta di questo clima e passa ai fatti».

- L’Australia è uno dei Paesi in cui l’odio contro gli ebrei è più violento: sinagoghe bruciate, aggressioni nei ristoranti. L’intelligence australiana nei mesi scorsi ha scoperto l’ombra dell’Iran dietro questi attentati. Teme che anche in Europa operino dei gruppi terroristici che si nascondono dietro alle proteste nelle piazze e nelle Università?
  «Vedendo i risultati mi pare ovvio che vi sia una rete organizzata in tutto il mondo, Europa occidentale compresa, che dirige la propaganda e l’informazione. Gran parte della guerra è, come si dice oggi, “cognitiva”. Se ci possano essere anche gruppi che preparano atti di violenza terroristica è una domanda da rivolgere agli apparati di sicurezza dello Stato. Per chi, come me, non si occupa di sicurezza ma solo se ne preoccupa, probabilmente ci sono».

- Ieri si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane. Quali sono secondo lei i temi prioritari che i prossimi vertici delle Comunità ebraiche devono portare avanti nel discorso pubblico?
  «L’ebraismo italiano si deve presentare all’esterno con la forza della sua storia e della sua cultura, per tutto quello che ha dato alla società e continua a dare. Purtroppo, gli avvenimenti costringono la nostra dirigenza a impegnarsi nel difficile compito di rappresentare preoccupazioni in un quadro politico in cui solo una parte mostra di condividerle seriamente. Voglio solo sperare che si riesca a fare un discorso basato sui valori da difendere e promuovere, e che possa essere condiviso da tutte le forze politiche».

(La Stampa, 15 dicembre 2025)

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Missione riservata di Taiwan in Israele

Il quadro in cui si è svolta la visita è quello di un settore israeliano della difesa in forte espansione. Infatti, nel 2024, le esportazioni militari israeliane sono salite di circa il 13% fino a sfiorare i 15 miliardi di dollari, trainate in larga parte da missili, razzi e sistemi di difesa aerea, con l’Europa come principale mercato di sbocco.

di Davide Cucciati

Secondo Reuters, nelle scorse settimane, il viceministro degli Esteri di Taiwan, François Wu, ha compiuto un viaggio riservato in Israele.
Il quadro in cui si è svolta la visita è quello di un settore israeliano della difesa in forte espansione. Infatti, nel 2024, le esportazioni militari israeliane sono salite di circa il 13% fino a sfiorare i 15 miliardi di dollari, trainate in larga parte da missili, razzi e sistemi di difesa aerea, con l’Europa come principale mercato di sbocco.
Taiwan, isolata diplomaticamente per le pressioni della Cina, mantiene relazioni ufficiali solo con un numero ristretto di governi. Tuttavia, negli ultimi anni, e soprattutto dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, i contatti tra Taiwan e Israele si sono intensificati, in particolare nei settori della sicurezza, della tecnologia e della difesa. Il tema non è nuovo per Mosaico. Nell’intervista “Israele e Taiwan, una storia comune di sopravvivenza”, veniva messo a fuoco il filo conduttore che avvicina Taipei e Gerusalemme, entrambe sotto una minaccia percepita come esistenziale. Le fonti citate da Reuters non hanno specificato né gli interlocutori incontrati da Wu né i contenuti dei colloqui.
Si ipotizza che ci siano stati confronti su cooperazione strategica e modelli difensivi. Taiwan, infatti, ha recentemente presentato il suo nuovo sistema multilivello di difesa aerea “T Dome”, ispirato proprio al celebre “Iron Dome” israeliano. Il T Dome taiwanese integra componenti americani, come i missili Patriot, e sistemi di produzione interna, come i missili Sky Bow, per creare un meccanismo più rapido e integrato di risposta alle minacce aeree. Israele, da parte sua, dispone di una struttura di difesa stratificata che include l’Iron Dome, il David’s Sling, il sistema Arrow e, quando schierato, il THAAD statunitense. A questo assetto si sta aggiungendo anche un ulteriore livello, Iron Beam, la difesa laser. Il Ministero della Difesa israeliano ha già annunciato il completamento dei test e l’obiettivo di renderlo pienamente operativo in poche settimane.
Il ministero degli Esteri di Taiwan non ha confermato né smentito la visita ma in una dichiarazione ufficiale ha ribadito che “Taiwan e Israele condividono i valori della libertà e della democrazia” e continueranno a promuovere scambi pragmatici e reciproci in ambiti come commercio, tecnologia e cultura. Nessun commento è arrivato invece da parte del governo israeliano.
Il viaggio a Gerusalemme, se confermato, sarebbe un ulteriore segnale delle diverse sfaccettature dell’attuale assetto geopolitico mondiale. In controluce, la visita riservata di Wu arriva mentre Israele si muove su un crinale sempre più stretto: da un lato, l’interesse a intensificare contatti “pragmatici” con Taiwan su sicurezza e tecnologia, dall’altro la necessità di contenere gli attriti con Pechino in un momento in cui la presenza cinese è ancora percepibile anche in infrastrutture strategiche israeliane, per esempio nella gestione di un grande terminal portuale a Haifa affidata a un gruppo cinese. Vi è, inoltre, un dibattito sulla fornitura dei convogli per l’espansione della rete di trasporto leggero di Gerusalemme; l’ipotesi è quella di ricorrere a fornitori cinesi.
Negli ultimi anni, anche per pressioni statunitensi, Israele ha rafforzato i filtri di sicurezza sugli investimenti esteri e ha mostrato maggiore cautela quando la posta in gioco riguarda asset strategici, un’evoluzione che rende ancora più delicato bilanciare l’apertura verso Taipei con la gestione del rapporto con la Cina, mentre l’industria della difesa, sospinta dalla guerra, aumenta ulteriormente l’attrattività del modello israeliano agli occhi di chi, come Taiwan, si prepara a scenari di pressione percepita come esistenziale.

(Bet Magazine Mosaico, 15 dicembre 2025)

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Attacco terroristico a Sydney contro la comunità ebraica durante la festa di Hannukkah

12 i morti, decine i feriti. Più di 2000 persone della comunità ebraica si erano radunate in una delle spiagge più famose d’Australia per celebrare la festa di Hannukkah.

di Nina Prenda

Momenti di terrore a Bondi Beach, a Sydney, in Australia, dove gli aggressori di una sparatoria contro la comunità ebraica locale hanno causato la morte di 12 persone e decine feriti.  Più di 2000 persone della comunità ebraica si erano radunate in una delle spiagge più famose d’Australia per celebrare la festa di Hannukkah. La sparatoria è stata condotta da più tiratori e per ora la polizia dice che due sospetti sono in custodia. A quanto riportato negli ultimi aggiornamenti, sembra che uno degli attentatori sia Naveed Akram, cittadino australiano nato in Pakistan.
Un testimone che era vicino alla sparatoria di massa dice al Times of Israel di aver visto persone scappare in preda al panico. “Ho sentito più colpi di pistola, ma all’inizio ho pensato che fossero intenzionali, che fosse qualcosa di costruito”, dice la fonte, che ha parlato a condizione di anonimato. “Poi ho sentito molte sirene e ho visto numerosi aiuti da parte della polizia e persone che correvano in preda al panico. Questo è davvero spaventoso per l’intera comunità”, dice la fonte.
“Le scene a Bondi sono scioccanti e angoscianti. La polizia e i soccorritori sono sul campo e lavorano per salvare vite umane. I miei pensieri sono rivolti a tutte le persone colpite”. Lo ha detto il primo ministro australiano Anthony Albanese. Lo riporta Il Guardian. “Ho appena parlato con il Commissario dell’AFP (il capo della polizia federale australiana, ndr) e con il Premier del NSW (il Nuovo Galles del Sud, ndr). Stiamo collaborando con la polizia e forniremo ulteriori aggiornamenti man mano che ulteriori informazioni saranno confermate. Esorto le persone nelle vicinanze a seguire le informazioni della polizia”. 
Il Presidente israeliano Isaac Herzog ha condannato la sparatoria a Bondi Beach, a Sydney, parlando di “attacco crudele contro gli ebrei”. Herzog ha quindi invitato il governo di Canberra a combattere “l’enorme ondata di antisemitismo” che, a suo dire, “sta affliggendo la società australiana”.
Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar dice che l’Australia è stata avvertita di potenziali attacchi agli ebrei mentre alti funzionari del governo israeliano esprimono orrore per la sparatoria di oggi a Bondi Beach a Sydney, alcuni dei quali incolpano Canberra per non aver fatto abbastanza per combattere l’antisemitismo. “Sono inorridito dall’attacco omicida a un evento di Hanukkah a Sydney, in Australia”, twitta Sa’ar in inglese. “Questi sono i risultati della furia antisemita nelle strade dell’Australia negli ultimi due anni, con le chiamate antisemite e incitanti di ‘Globalizza l’Intifada’ che si sono realizzate oggi. Il governo australiano, che ha ricevuto innumerevoli segnali di avvertimento, deve tornare in sé.”
“La leadership fallimentare e debole sull’antisemitismo ha portato a Bondi”, twitta anche l’ex primo ministro Naftali Bennett, pubblicando un’immagine di un paio di tzitzit insanguinati. “Il popolo di Israele vive”, conclude.
Alex Ryvchin, co-direttore esecutivo del Consiglio esecutivo degli ebrei australiani, ricorda a Sky News che la sparatoria di Sydney è stata in un evento a Bondi Beach che celebrava la festa ebraica di Hanukkah, iniziata proprio al tramonto. “Questa è la comunità ebraica, al suo meglio, che si riunisce per celebrare un’occasione felice. Quello che è successo è una cosa orribile”, dice, aggiungendo che il suo consulente per i media era stato ferito nell’attacco.

(Bet Magazine Mosaico, 14 dicembre 2025)

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Netanyahu non è affatto disperato, ma semplicemente geniale?

In primo piano ci sono la corruzione e l'ego. Ma forse il politico più controverso di Israele sta giocando una partita che nessun altro capisce.

di Ryan Jones

GERUSALEMME - Anche i sostenitori convinti di Israele a volte esitano. Lo dimostrano quando dicono cose del tipo: “Io sostengo Israele, ma Bibi?”. Si sta sviluppando sempre più un distacco quasi rituale nei confronti del capo del governo israeliano. La teoria prevalente, che circola nei think tank, nei panel mediatici e nei canali Telegram, insinua che il primo ministro Benjamin Netanyahu stia alimentando la guerra per frenare il suo processo personale per corruzione e rimanere così al potere. Le decisioni strategiche, per quanto urgenti possano sembrare a prima vista, sarebbero in realtà manovre calcolate per non dover rispondere in tribunale.
Per un certo periodo, questa narrazione è sembrata un'altra fase cinica, persino conveniente, del dramma politico interno israeliano. Ma poi Israele ha bombardato un obiettivo nel cuore della capitale del Qatar. Anche gli osservatori più incalliti hanno cominciato a chiedersi: sta esagerando? Bibi è un guerrafondaio che scatena escalation esplosive per guadagnare tempo?
E se la verità fosse un po' più complessa? E se il controverso leader israeliano non stesse semplicemente cercando di sopravvivere, ma stesse effettivamente affrontando l'intera regione con schietta chiarezza?
L'attacco a Doha è stato condannato da molti come sconsiderato, pericoloso e politicamente suicida. L'azione ha irritato Washington, scioccato i partner del Golfo e sconvolto i canali diplomatici.
D'altra parte, bisogna considerare ciò che è seguito:

  • il ritorno di tutti gli ostaggi sopravvissuti
  • un cessate il fuoco, accentuato a favore di Israele
  • una ricalibrazione dei rapporti di forza nella regione

Potrebbe quindi essere che il colpo contro la leadership di Hamas, che si sentiva al sicuro a Doha, non fosse affatto un errore? Forse l'operazione è stata addirittura strategicamente brillante?

Qatar
  Per mesi il Qatar ha agito con doppiezza su un terreno scivoloso: ha fatto da mediatore, ma allo stesso tempo ha finanziato. Ha ospitato i leader di Hamas, ma ha anche finanziato operazioni, il tutto sotto la copertura del “dialogo”. I diplomatici occidentali hanno lodato ripetutamente il ruolo del Qatar come “mediatore indispensabile” in grado di “parlare con tutti”.
Ma Hamas non è solo una “parte” in un conflitto regionale. Non è un attore incompreso. È un'organizzazione genocida il cui statuto richiede la distruzione di Israele. E il Qatar non solo lo ha tollerato. Lo ha rafforzato, con denaro, copertura e la costruzione di una reputazione internazionale.
Il 7 ottobre non è stata un'operazione concepita solo a Gaza, ma è stata elaborata, tra l'altro, ai tavoli delle conferenze di tutti i possibili istituti di Doha. Anche il Qatar ha reso Hamas ciò che era il 7 ottobre, non dimentichiamolo! Dal punto di vista di Israele, il Qatar non è un mediatore, ma un complice.
Con l'attacco a Doha, Israele ha distrutto l'illusione che un Paese sia intoccabile solo per via delle sue relazioni con gli Stati Uniti. Tutti gli attori della regione sono stati avvertiti. La doppiezza nei confronti di Israele non paga.
Se gli analisti occidentali si scandalizzano perché Israele fa qualcosa di così “irrazionale”, è perché fraintendono la regione. In Medio Oriente, la deterrenza non riguarda la stabilità. Riguarda la chiarezza. Israele deve tornare a mostrarsi come un Paese che non solo dice ciò che pensa, ma fa anche ciò che dice.

Nessuna linea rossa
  Per troppo tempo gli avversari di Israele – terroristi e Stati – hanno scommesso sul fatto che Gerusalemme volesse evitare qualsiasi escalation. Si è ceduto all'aspettativa che Israele avrebbe continuato a rispettare le aspettative occidentali e le “norme” internazionali. Ma l'attacco a Doha ha segnato una svolta. Quando i nostri figli vengono uccisi, non c'è più alcuna linea rossa.
Anche Washington, dopo un momento di frustrazione, ha ricalibrato la sua posizione. Anche negli Stati Uniti sanno che un Israele forte e imprevedibile ottiene risultati. Ed è qui che entra in gioco Netanyahu. Sì, polarizza. Sì, ha un passato politico controverso. Ma liquidare ogni sua azione come egoistica significa ignorare che, in quanto stratega, forse vede il campo di gioco più chiaramente di molti che continuano a giocare la partita di ieri.
L'attacco a Doha era una questione di influenza. E ha funzionato. Il Qatar ora sa che ci saranno delle conseguenze. Hamas sa che la sua immunità è finita. E l'intera regione sa che Israele non agisce più secondo i vecchi schemi.
Quello a cui abbiamo assistito a Doha non è stato un atto impulsivo di un leader indebolito. È stato un messaggio, quello di un intero Paese. Il messaggio è: “Non potete finanziare i nostri nemici e aspettarvi che lo accettiamo in silenzio!”. Era necessario trasmettere questo messaggio in un linguaggio inequivocabile.

(Israel Heute, 14 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Duecento ex ostaggi e famiglie scrivono a Netanyahu: «Inchiesta statale su 7 ottobre»;

La lettera è stata pubblicata dall’October Council, un movimento composto da famiglie in lutto. Israele: «Il capo di Hamas ucciso era uno dei pianificatori del 7 ottobre»

Oltre 200 ex ostaggi, loro parenti e familiari di ostaggi deceduti hanno scritto una lettera al primo ministro Benjamin Netanyahu chiedendogli di autorizzare l’istituzione di una commissione statale d’inchiesta sulle mancanze legate all’aggressione del 7 ottobre 2023. La lettera è stata pubblicata dall’October Council, un movimento composto da famiglie in lutto che chiedono un’indagine statale, a 800 giorni dal massacro guidato da Hamas. “Chiediamo al governo israeliano di smettere di eludere, di rimandare, di insabbiare’’, occorre ’’istituire immediatamente una commissione d’inchiesta statale”, si legge nella lettera. “Chiediamo verità, giustizia e responsabilità - prosegue il testo -. Se non volete assumervi le vostre responsabilità e non volete istituire una commissione del genere, come richiesto dalla maggioranza della nazione, lasciate i vostri posti e lasciate che sia la nazione a decidere”.

Indagine su ogni evento del 7 ottobre
  Nella lettera i firmatari chiedono un’indagine trasparente che esamini ogni evento del 7 ottobre, tra cui “il crollo dei sistemi di difesa e di intelligence, le richieste di aiuto senza risposta, l’abbandono durato ore delle comunità di confine di Gaza e l’abbandono di civili e soldati all’inferno”. Chiedono inoltre che l’indagine esamini “cosa è successo dal 7 ottobre: il modo in cui sono state prese le decisioni durante i negoziati per il ritorno degli ostaggi, le ragioni dei ripetuti ritardi, il coordinamento tra politici e militari, le dichiarazioni e le azioni dei funzionari pubblici e il loro impatto sulla vita degli ostaggi, sulla loro salute mentale e fisica, il destino di coloro che sono stati presi vivi e sono stati assassinati in cattività, e la lunga attesa per il ritorno degli ostaggi deceduti alle loro famiglie”.

Commissione “trasparente e professionale per raggiungere la verità”
  Viene sottolineato che “una commissione d’inchiesta non è uno strumento politico. Non può essere composta da coloro che sono oggetto dell’indagine”. La lettera afferma che deve trattarsi di una commissione “trasparente, professionale e deve avere piena autorità per ordinare indagini, interrogare testimoni, esaminare documenti e giungere a conclusioni chiare, incluso il mandato per attuarle”. Perché “solo un simile organismo sarà in grado di raggiungere la verità completa, non solo ciò che è conveniente rivelare’’. Tra i firmatari della lettera ci sono l’ex ostaggio Yarden Bibas, la cui moglie Shiri e i figli Ariel e Kfir sono stati assassinati durante la prigionia; Herut Nimrodi, la madre dell’ostaggio ucciso Tamir Nimrodi; e Jon Polin e Rachel Goldberg-Polin, i genitori dell’ostaggio ucciso Hersh Goldberg-Polin.

(Il Sole 24 Ore, 14 dicembre 2025)

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Perché Dio ha creato il mondo? - 21

Un approccio olistico alla rivelazione biblica.

di Marcello Cicchese

Il figlio cresce

    “Così, verso sera, salirono delle quaglie, che ricoprirono il campo e, la mattina, c'era uno strato di rugiada intorno al campo. Quando lo strato di rugiada fu sparito, ecco sulla superficie del deserto una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla terra. E i figli d'Israele, quando la videro, dissero l'uno all'altro: ‘Che cos’è?’, perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: ‘Questo è il pane che l'Eterno vi dà a mangiare’” (Esodo 16:13-15).

Siamo nel deserto di Sin, tra Elim e il Sinai. Dopo aver rimpianto la carne e il pane che in Egitto mangiavano “a sazietà”, i figli d’Israele hanno ricevuto il cibo richiesto: le quaglie come carne e quella cosa minuta e tonda che sarà chiamata “manna” come pane. 
  “Israele è mio figlio”, aveva detto Dio al Faraone, e dar da mangiare a un figlio in fondo è un dovere. Dio si atterrà sempre a questo dovere, ma come saggio Padre, vuole che gli atti stessi con cui si propone di soddisfare i bisogni elementari del figlio siano un modo per far sì che egli impari a conoscere Chi è colui che lo ha tratto fuori dalla morte sociale della schiavitù d’Egitto per donargli la vita e uno scopo di vita al suo servizio. Ed è proprio questo che il Signore si propone di ottenere nel viaggio del popolo tra l’Egitto e Canaan. 
  Mosè e Aaronne, accusati dai figli d’Israele di averli portati a morire nel deserto, si difendono dicendo che non sono loro ad averli fatti uscire dall’Egitto, ma l’Eterno (Esodo 12:51). Poco dopo è Dio stesso che incarica Mosè di dire a tutti: “Al tramonto mangerete della carne, e domattina sarete saziati di pane; e conoscerete che io sono l'Eterno, il vostro Dio'” (Esodo 16:12). “Sarete saziati… e conoscerete”, dunque è anche attraverso un particolare sistema di nutrimento che Dio vuole trasmettere al popolo una più profonda conoscenza di Sé. 
  Nella successiva tappa, quando si accampano a Refidim e non trovano acqua, il popolo non si limita a lamentarsi, ma si rivolge a Mosè in forma intimidatoria: “Dateci dell’acqua da bere” (Esodo 17:2); e di nuovo gli lanciano l’accusa di averli fatti salire dall’Egitto per farli morire tutti nel deserto, uomini, donne, figli e bestiame. E di nuovo Mosè grida all’Eterno, perché se la vede brutta e teme che il popolo passi presto a vie di fatto: “non andrà molto che mi lapiderà” (Esodo 17:4), dice al Signore.
  Non è il caso, a questo punto, di colpevolizzare il popolo parlando di disubbidienza, o mancanza di gratitudine, o mancanza di fede. Non è questo infatti che Dio fa, perché sa che in questo momento il popolo ha bisogno di essere educato: deve imparare a conoscerlo. E la cosa comincia ad avvenire proprio con incidenti come quello della mancanza d’acqua.
  Il Signore infatti coglie l’occasione per proseguire nel suo lavoro educativo. A Refidim non usa il metodo di cui si era servito a Mara: non consegna a Mosè un legno come strumento d’azione, ma gli dice di prendere il bastone con cui aveva fatto prodigi in Egitto e di percuotere la roccia. E vuole che sia fatto “in presenza degli anziani d’Israele”, affinché tutti, dopo aver visto l’acqua scaturire prodigiosamente dalla roccia, possano rendersi conto che Dio è fedele, perché mantiene quello che promette, ed è buono perché con le sue promesse dona al popolo soltanto cose buone. 
  Tornando al deserto di Sin, quella cosa minuta e tonda come la brina che avevano trovato con sorpresa quella mattina era il compimento di una parola che Dio aveva detto a Mosè:

    “Allora l'Eterno disse a Mosè: “Ecco, io vi farò piovere del pane dal cielo; e il popolo uscirà e ne raccoglierà giorno per giorno quanto gliene occorrerà per la giornata, perché io lo metta alla prova per vedere se camminerà o no secondo la mia legge” (Esodo 16:4).

La richiesta di cibo da parte del popolo era legittima, e l’idea di Dio di farlo piovere dal cielo non deve apparire banale. In fondo, per sfamare la carovana in viaggio Dio avrebbe potuto agire anche in altri modi. Per esempio, avrebbe potuto rendere particolarmente ricco e fertile il terreno del percorso e chiedere agli israeliti di trarne i frutti con un lavoro sapientemente organizzato in particolari tappe di approvvigionamento. Sarebbe stato anche un modo per ricordare ai figli d’Israele, e proprio a loro, che il pane si guadagna col sudore della fronte, come aveva detto Dio ad Adamo. 
  Il Signore invece sceglie di far scendere il pane dal cielo. È un fatto che compare una sola volta nella Bibbia, e nel preciso momento storico dei quarant’anni di viaggio di Israele tra l’Egitto e Canaan (Esodo 16:32-36, Giosuè 5:10-12)). Nella storia dei popoli questo è un fatto unico, che mai si era verificato prima e mai più avverrà in seguito: deve dunque occupare un posto di particolare rilievo nel piano redentivo di Dio.

Perché la manna?
  La ricerca del significato della manna nel piano di Dio va fatta cominciando dall’inizio, non partendo dalla fine perché “tanto si sa già come va a finire”. Il popolo che marcia nel deserto ha lasciato dietro di sé una terra che conosceva e si dirige verso una terra che non conosce ancora. È stato liberato dalla schiavitù d’Egitto e non deve più ubbidire al Faraone, ma ora deve pensare a come procurarsi da mangiare. Senza rendersene conto, con le loro sfuriate contro Mosè per la mancanza di acqua e pane, i figli d’Israele hanno messo alla prova Dio, come se dicessero: vediamo se l’Eterno di cui Mosè ci parla è capace di risolvere i nostri scottanti problemi di sopravvivenza. Il Signore provvede al loro bisogno di acqua con interventi miracolosi e fa arrivare una giornaliera provvista di pane direttamente dal cielo, nella strana forma della manna. Qui però vi aggiunge precise norme su come raccoglierla, in quale misura e come conservarla, mettendo così alla prova il popolo per vedere in quale misura avrebbero tenuto in conto le sue parole.
  Se si vuol dire che questa per Israele è una prova di ubbidienza, bisogna aggiungere che si tratta di un’ubbidienza come quella che si aspetta un padre amorevole dal proprio figlio, non come quella che impone un sovrano tirannico ai sudditi. Non è disciplina militare, perché queste prime mosse di Dio mirano tutte a far crescere nel popolo la consapevolezza e la responsabilità di essere “figlio di Dio”. Il modo eccezionale con cui il popolo riceverà giorno per giorno il cibo servirà a fargli capire che la sua sopravvivenza dipende dal cielo, non dalla terra. Non dovranno guardare al cielo per vedere, con animo dubbioso o speranzoso, se arriverà o no la pioggia che permetterà loro di coltivare la terra e trarne il cibo necessario, ma potranno pensare al cielo come il luogo da cui sicuramente scenderà il cibo di cui hanno bisogno per vivere. Dovrà servire inoltre anche agli altri popoli, affinché emerga subito l’aspetto di unicità di Israele, anche se faranno sempre fatica a capire che questo è stato voluto in modo preciso da Dio stesso.
  Qui siamo all’inizio di un viaggio che durerà quarant’anni, ma il senso profondo di questo duro cammino e del posto che ha occupato il nutrimento della manna è ben espresso dalle parole che rivolgerà al popolo Mosè alla fine del percorso, dalle pianure di Moab, poco prima di morire, quando il popolo stava preparandosi a passare il Giordano:

    “Ricordati di tutto il cammino che l'Eterno, il tuo Dio, ti ha fatto fare questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma vive di tutto quello che la bocca dell'Eterno avrà ordinato” (Deuteronomio 8:2-3).

 “Per sapere…” e “per insegnarti”: Dio vuole conoscere quello che è nel cuore del popolo, e a sua volta vuol far conoscere al popolo quello che è nella Sua mente, cioè l’intenzione di allevarlo come un figlio, la cui vita dipende in modo essenziale dall’unione indissolubile di cibo e parola, entrambi provenienti da Dio. 
  Il cibo che arriva gratis dal cielo viene associato alla parola in forma di precise regole di quantità:

    “Ecco quello che l'Eterno ha comandato: 'Ne raccolga ognuno quanto gli basta per il suo nutrimento: un omer a testa, secondo il numero delle vostre persone; ognuno ne prenda per quelli che sono nella sua tenda'” (Esodo 16:16),

e di tempo:

    “Poi Mosè disse loro: ‘Nessuno ne conservi fino a domattina’” (Esodo 16:19).

Il limite quantitativo si può umanamente spiegare come un freno all’ingordigia, e quello temporale come una norma igienica di conservazione degli alimenti, ma indubbiamente c’è molto di più. In ogni caso, a parte alcuni che a loro vergogna provarono a superare i limiti di scadenza del cibo (16:20), i figli d’Israele si adeguarono:

    “Così lo raccoglievano tutte le mattine: ciascuno nella misura che bastava per il suo nutrimento; e quando il sole si faceva caldo, quello si scioglieva” (Esodo 16:21).

Ma arrivati al sesto giorno, Mosè introdusse una regola nuova: ordinò di raccogliere il doppio della misura solita. Poi ne diede la spiegazione:

    “Egli disse loro: “Questo è quello che ha detto l'Eterno: 'Domani è un giorno solenne di riposo: un sabato sacro all'Eterno; fate cuocere oggi ciò che avete da cuocere e fate bollire ciò che avete da bollire; e tutto quello che vi avanza, riponetelo e conservatelo fino a domani'”. Essi dunque lo riposero fino all'indomani, come Mosè aveva ordinato: e quello non imputridì e non generò vermi. Mosè disse: “Mangiatelo oggi, perché oggi è il sabato sacro all'Eterno; oggi non ne troverete per i campi. Raccoglietene durante sei giorni; ma il settimo giorno è il sabato; in quel giorno non ve ne sarà” (Esodo 16:23-26).

Questo è un fatto nuovo: per la prima volta compare nella Bibbia quello strano oggetto che si presenta come “un giorno solenne di riposo: un sabato sacro all'Eterno”. Se volessimo prescindere da tutto quello che ora sappiamo, e decidessimo di attenerci soltanto a quello che abbiamo letto fin qui nella Bibbia, forse potremmo restare attoniti come quei figli d’Israele davanti alla manna, e chiederci: “Che cos’è?” Che cos’è questo sabato sacro all’Eterno, giorno solenne di riposo
  Avvicinarsi con solennità a questa domanda provoca una soggezione inquieta, come se si sentisse una voce dire: “Togliti i calzari dai piedi”. C’è qualcosa di arcano in quest’ordine di Dio. Si ha l’impressione che la risposta a questa domanda sia parte della risposta all’interrogativo che costituisce il titolo di questa trattazione: “Perché Dio ha creato il mondo?”
  Bisognerà dunque riparlarne.

(21. continua)
precedenti 

(Notizie su Israele, 14 dicembre 2025)


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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 40
    La costruzione e la consacrazione del tabernacolo
  • L'Eterno parlò a Mosè, dicendo:  “Il primo giorno del primo mese erigerai il tabernacolo, la tenda di convegno.  Vi porrai l'arca della testimonianza, e stenderai il velo davanti all'arca.  Vi porterai dentro la tavola, e disporrai in ordine le cose che ci sono sopra; vi porterai pure il candelabro e accenderai le sue lampade.  Porrai l'altare d'oro per i profumi davanti all'arca della testimonianza e metterai la portiera all'ingresso del tabernacolo.  Porrai l'altare degli olocausti davanti all'ingresso del tabernacolo, della tenda di convegno.  Metterai la conca fra la tenda di convegno e l'altare, e vi metterai dentro dell'acqua. Stabilirai il cortile tutto intorno, e attaccherai la portiera all'ingresso del cortile. 
  • Poi prenderai l'olio dell'unzione e ungerai il tabernacolo e tutto ciò che c'è dentro, lo consacrerai con tutti i suoi utensili, e sarà santo. Ungerai pure l'altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, consacrerai l'altare, e l'altare sarà santissimo. Ungerai anche la conca con la sua base, e la consacrerai. Poi farai accostare Aaronne e i suoi figli all'ingresso della tenda di convegno, e li laverai con acqua.

    Insediamento di Aaronne e dei suoi figli
  • Rivestirai Aaronne dei paramenti sacri, e lo ungerai e lo consacrerai, perché eserciti per me l'ufficio di sacerdote. Farai accostare pure i suoi figli, li rivestirai di tuniche, e li ungerai come avrai unto il loro padre, perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti; e la loro unzione conferirà loro un sacerdozio perpetuo, di generazione in generazione”. 
  • E Mosè fece così; fece interamente come l'Eterno gli aveva ordinato. 
  • E il primo giorno del primo mese del secondo anno, il tabernacolo fu eretto. Mosè eresse il tabernacolo, ne pose le basi, ne collocò le assi, ne mise le traverse e ne rizzò le colonne. Stese la tenda sul tabernacolo, e sopra la tenda pose la coperta di essa, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Poi prese la testimonianza e la pose dentro l'arca, mise le stanghe all'arca, e collocò il propiziatorio sull'arca; portò l'arca nel tabernacolo, sospese il velo di separazione e coprì con esso l'arca della testimonianza, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. 
  • Pose pure la tavola nella tenda di convegno, dal lato settentrionale del tabernacolo, fuori del velo. Vi dispose sopra in ordine il pane, davanti all'Eterno, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi mise il candelabro nella tenda di convegno, di fronte alla tavola, dal lato meridionale del tabernacolo; e accese le lampade davanti all'Eterno, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Poi mise l'altare d'oro nella tenda di convegno, davanti al velo, e vi bruciò sopra il profumo fragrante, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Mise pure la portiera all'ingresso del tabernacolo. 
  • Poi collocò l'altare degli olocausti all'ingresso del tabernacolo della tenda di convegno, e vi offrì sopra l'olocausto e l'oblazione, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Pose la conca fra la tenda di convegno e l'altare, e vi pose dentro dell'acqua per le abluzioni. Mosè e Aaronne e i suoi figli si lavarono le mani e i piedi; quando entravano nella tenda di convegno e quando si accostavano all'altare, si lavavano, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Eresse pure il cortile attorno al tabernacolo e all'altare, e sospese la portiera all'ingresso del cortile. Così Mosè completò l'opera.

    La gloria dell'Eterno sul tabernacolo
  • Allora la nuvola coprì la tenda di convegno, e la gloria dell'Eterno riempì il tabernacolo. E Mosè non poté entrare nella tenda di convegno perché la nuvola vi si era posata sopra, e la gloria dell'Eterno riempiva il tabernacolo
  •  Durante tutti i loro viaggi, quando la nuvola si alzava dal tabernacolo, i figli d'Israele partivano; ma se la nuvola non si alzava, non partivano fino al giorno che si alzasse. Poiché la nuvola dell'Eterno stava sul tabernacolo durante il giorno; e di notte vi era un fuoco, a vista di tutta la casa d'Israele durante tutti i loro viaggi.

(Notizie su Israele, 13 dicembre 2025)


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Chanukkah: luce, speranza, Gesù

Chanukkah – la festa delle luci. Per otto giorni nelle case ebraiche brillano le fiamme della Chanukkia. Ogni sera viene accesa una luce in più, fino a quando alla fine tutta la serie di luci è accesa. È una festa di speranza, nata in tempi bui. Quest'anno inizia domenica sera.

di Tobias Krämer

Nel 165 a.C. Israele visse un periodo di oppressione. Il re siriano-greco Antioco IV Epifane aveva occupato Gerusalemme, profanato il tempio e vietato i sacrifici. Voleva distruggere Israele: la sua fede, la sua identità, il suo futuro. Ma un piccolo gruppo di fedeli, guidato da Giuda Maccabeo, osò ribellarsi. Contro ogni previsione, vinsero. Vale quindi la pena leggere i libri dei Maccabei, contenuti in alcune edizioni della Bibbia.
  Quando i Maccabei riconquistarono il tempio, esso era in pessime condizioni. L'altare era stato profanato, la luce del candelabro d'oro si era spenta. In mezzo a questa catastrofe, gli ebrei cercarono dell'olio consacrato per riaccendere la luce. Trovarono una piccola brocca, ma conteneva solo l'olio necessario per un giorno. Troppo poco, secondo le regole del tempio. Ma avvenne il miracolo: il candelabro rimase acceso per otto giorni, fino a quando fu possibile preparare nuovo olio, e il tempio poté essere riconsacrato. Così lo racconta il Talmud (Trattato Shabbat 21b).

Piccoli inizi
  Chanukkah ci ricorda che molte cose iniziano in piccolo. Non con la forza o con grande clamore. In questo caso con una sola fiamma e con la decisione di accenderla, anche se in realtà sembrava inutile. Tali passi possono essere un'espressione di fede: fare qualcosa che dal punto di vista umano non ha alcuna prospettiva. Ma quando Dio “interviene”, i limiti del naturale vengono superati e possono accadere cose sorprendenti. Dio apprezza questo atteggiamento di fede e non di rado lo conferma. La fiamma della Chanukkia si trasformò in otto giorni di luce, cinque pani e due pesci divennero un pasto per migliaia di persone (Marco 6). Un piccolo passo iniziale, fatto con fede, può portare a grandi risultati.
  Anche Dio stesso non ha bisogno di molto per ottenere una svolta. Spesso la sua opera inizia in piccolo. Basti pensare a Elia, che vide una mini nuvola grande come una mano e alla fine riuscì a malapena a salvarsi dai rovesci di pioggia (1 Re 18). Oppure a Gesù, un solo uomo da cui è nato un movimento mondiale di oltre due miliardi di persone, perché Dio era presente in lui. A Chanukkah, bastò una piccola brocca d'olio per avere luce per otto giorni. Allo stesso modo, basta una fede grande come un granello di senape per spostare le montagne (Matteo 17,20). Non si tratta delle condizioni che abbiamo. Si tratta di ciò che ne facciamo con l'aiuto di Dio. O, al contrario, di ciò che Dio ne fa insieme a noi. Dio opera: questo fa la differenza.

Lo Spirito di Dio
  La presenza e l'efficacia di Dio sulla terra hanno un nome: Spirito Santo. Nella Bibbia, l'olio è un'immagine che lo rappresenta. Re, sacerdoti e profeti venivano unti con l'olio e ricevevano così lo Spirito Santo (ad esempio 1 Samuele 16,13). Nel Nuovo Testamento lo Spirito Santo è per tutti coloro che credono in Gesù. Lo Spirito è, per così dire, il dono iniziale che riceve chiunque giunga alla fede in Gesù Cristo. Questo dono offre la fantastica possibilità di non dover condurre la propria vita con le proprie forze: «Non sarà per mezzo dell'esercito né per mezzo della forza, ma sarà per mezzo del mio Spirito, dice il Signore degli eserciti». (Zaccaria 4,6) Se si interpreta Chanukkah in modo profetico-tipologico, si può vedere in esso un riferimento allo Spirito Santo che è venuto a Pentecoste. Come l'olio nella Menorah non si esauriva, così lo Spirito di Dio non si spegne nel suo popolo.

Gesù
  Il profeta Isaia annuncia: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano nella terra dell'ombra della morte una luce ha brillato» (Isaia 9,1). Questa è, interpretata in chiave messianica, una profezia su Gesù. Gesù dice di sé stesso: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Giovanni 8,12). La festa delle luci può essere celebrata, ma l'evento a cui si riferisce (la consacrazione del tempio) risale a un lontano passato. Gesù, invece, è qui. Adesso. È presente. Chi lo segue è nella luce e nessuna tenebra del mondo può impedirlo.
  In Giovanni 10 si racconta che Gesù era a Gerusalemme durante Chanukkah: «Era la festa della dedicazione del tempio a Gerusalemme; era inverno e Gesù passeggiava nel tempio, nel portico di Salomone» (vv. 22+23). Gesù viene esortato a rivelarsi: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se sei il Cristo, dillo apertamente» (v. 24). Gesù fa notare che la risposta è ovvia, poiché le sue opere indicano che egli è stato mandato da Dio. Egli porta il pensiero fino alla dichiarazione finale: «Io e il Padre siamo uno» (v. 30) – e critica: «Ma voi non credete». (v. 25+26) La reazione: «Allora i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo» (v. 31). Non tutti vogliono Gesù, non tutti vogliono la luce. C'è una lotta tra la luce e le tenebre (Giovanni 1,4-5). Chi sta dalla parte della luce viene inevitabilmente coinvolto in questa lotta.

Da Chanukkah a Natale
  Chanukkah cade solitamente nel periodo dell'Avvento o del Natale. Entrambe le festività riguardano la luce nell'oscurità, l'intervento di Dio in situazioni disperate. A Chanukkah si celebra la riconsacrazione del Tempio; a Natale, il fatto che Dio abbia mandato suo Figlio nelle tenebre del mondo per portare la luce di Dio sulla terra. Non sorprende quindi che la luce abbia un ruolo importante nella vita di Gesù fin dall'inizio. I Magi d'Oriente sono guidati da una stella luminosa alla mangiatoia (Matteo 2), ai pastori nei campi davanti a Betlemme appare una grande luce (Luca 2). Già qui la luce squarcia le tenebre, anche se Gesù a quel punto non ha fatto altro che respirare per la prima volta.
  Hanukkah promette ciò che si realizza a Natale: la luce di Dio dimora tra gli uomini. Per sempre. Questo è anche il motivo per cui Gesù può dare ai suoi discepoli una missione così grande: «Voi siete la luce del mondo» (Matteo 5,14). Naturalmente questo vale solo perché Gesù è la luce e la dona ai suoi discepoli. Noi cristiani riflettiamo quindi la sua luce. Per questo vale: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli» (Matteo 5,16). Non può esserci compito più bello. La luce risplende ovunque si professi la fede, si viva l'amore, si pratichi l'obbedienza, si compiano opere buone, si semini speranza, si dia conforto e si crei pace.

La vittoria
  Gesù ha inaugurato la svolta: il regno delle tenebre è stato sconfitto, il regno di Dio è qui. Non nella sua pienezza, certo, ma è qui – e la pienezza sarà portata da Gesù quando tornerà. Per questo alla fine c'è la luce che non si spegne mai: «... e non avranno bisogno della luce di una lampada né della luce del sole, perché il Signore Dio li illuminerà» (Apocalisse 22,5). La luce vincerà completamente su tutte le tenebre. Questa certezza illumina già oggi la nostra vita.

(Christen an der Seite Israels, 13 dicembre 2025)

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Il nuovo asse del bene

La storia d’amore fra Berlino e Gerusalemme: poche parole, tanti carri armati, munizioni e sommergibili.

di Giulio Meotti

Poco meno di due mesi prima del rapimento di Adolf Eichmann in Argentina da parte di agenti israeliani del Mossad accadde un evento storico e epocale: l’incontro al Waldorf Astoria di New York tra David Ben-Gurion e Konrad Adenauer. Quindici anni dopo l’Olocausto, i due statisti tentarono di colmare l’abisso che esisteva tra le loro nazioni, gli eredi del nazismo e gli eredi del popolo deportato nelle camere a gas. Una fotografia mostra il socialista sionista mentre pone la mano sull’avambraccio del cattolico conservatore. Le relazioni diplomatiche tra Germania e Israele saranno stabilite solo cinque anni dopo quell’incontro. Adenauer si sarebbe poi recato in Israele a trovare Ben-Gurion nella sua casa, il kibbutz Sde Boker nel deserto del Negev. Entrambi non erano più in carica. Ben-Gurion voleva che il leader tedesco, che portava con sé il peso di un’intera nazione che cercava di rialzarsi moralmente dopo il baratro nazista, vedesse con i propri occhi cosa significava ricostruire una nazione dalle ceneri, pietra su pietra, albero dopo albero, goccia a goccia. Le pareti erano tappezzate di libri: Platone, Spinoza, la Mishnah, Clausewitz, mappe del Negev con i progetti di irrigazione. Sul tavolo, una brocca d’acqua e due bicchieri. “Dobbiamo sostenere lo stato di Israele come bastione occidentale (westliche bastion) in medio oriente” disse Adenauer a Ben-Gurion, in linea con la rappresentazione di Theodor Herzl dello stato ebraico come “avamposto” occidentale.
   Un anno dopo, Adenauer morì a 91 anni e Ben-Gurion rese omaggio al fondatore della Repubblica federale tedesca e mise piede per la prima volta sul suolo tedesco. Helmut Kohl avrebbe definito i rapporti della Germania con Israele “un vero miracolo”.
   Durante la visita di Kohl in Israele nel 1984, un generale israeliano si avvicinò al cancelliere: “Conosco tua madre e te”. La madre di Kohl continuò a fare la spesa dal suo fornaio a Ludwigshafen anche dopo il boicottaggio nazista delle attività ebraiche. E il generale israeliano era figlio di quel fornaio ebreo.
   Nessun altro paese europeo ha fatto per Israele quanto la Germania: non la Francia che da de Gaulle a Macron mantiene un atteggiamento di cinico sospetto; non l’Inghilterra che ha la sindrome paternalista e antisemita ereditata dal Mandato coloniale; non certo la Spagna o l’Italia, ancorate nella tradizione filo araba.
   Mentre in tutta la Germania si svolgevano eventi commemorativi dell’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, il ministro degli Esteri Johann Wadephul diceva: “Come tedesco, sono il più chiaro difensore di Israele” e “quello che si schiera sempre più chiaramente dalla parte di Israele a Bruxelles”. Nessun altro paese europeo parla così. Nel sito del governo federale tedesco c’è una pagina intitolata: “La Germania sta con Israele”. Ma niente chiacchiere.
   Berlino ha inviato in Israele gli Eurofighter dell’aeronautica militare tedesca per celebrare il 75esimo anniversario della fondazione dello stato ebraico. Aerei tedeschi hanno sorvolato Gerusalemme fianco a fianco con i caccia F-16 israeliani, a dimostrazione del legame tra le forze armate di entrambi i paesi. Il segnale era chiaro: la Germania è al fianco di Israele. Dal 2003, la Germania ha venduto armi a Israele per un valore di 3,3 miliardi di euro, tra cui le corvette Sa’ar utilizzate per imporre un blocco navale a Gaza contro Hamas. Tra il 2019 e il 2023, la Germania ha rappresentato il trenta per cento delle importazioni di armi di Israele, seconda solo agli Stati Uniti. I motori e le trasmissioni del carro armato da combattimento israeliano Merkava 4 sono stati sviluppati in Germania.
   Ma ora la Germania non è più il generoso benefattore di Israele, ora è un rapporto tra pari. Questa settimana la Germania ha dislocato per la prima volta fuori dallo stato ebraico le batterie antimissile israeliane Arrow 3 (il più grande accordo sulle armi nella storia di Israele). Il cancelliere Friedrich Merz domenica era a Gerusalemme dal premier Netanyahu e questa settimana arriva in Israele anche il ministro dell’Economia, Katherina Reiche, che porta con sé i capi della Difesa.
   Architrave della deterrenza israeliana sono oggi sei sottomarini, da Dolphin (delfino) a Leviathan (balena), da Takum (resurrezione) a Tallin (coccodrillo) fino al Dragone. Sono i sottomarini che la Germania ha consegnato a Israele, un terzo dei quali pagati dai contribuenti tedeschi. Sono come un dito medio alzato contro il moralismo europeo, i campus americani, l’Iran e chiunque pensi che lo stato ebraico sia una parentesi storica da chiudere. I sottomarini venduti al governo israeliano sono stati armati con testate nucleari da Gerusalemme. L’allora ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, disse che i tedeschi devono essere orgogliosi per aver “assicurato l’esistenza dello stato di Israele per molti anni”. Nel 2005, fu il cancelliere socialdemocratico Schroeder ad approvare la consegna dei sottomarini. I congegni elettronici nei sottomarini portano nomi come Siemens e Atlas, vanto dell’industria tedesca. Secondo Ami Ayalon, già a capo del servizio segreto interno in Israele, quella di acquistare questi sottomarini è stata “la decisione strategica più importante in Israele”. Fu nel 1991 che l’accordo fra Berlino e Gerusalemme subì una accelerazione. Un gesto di riparazione della Germania verso Israele per aver assistito l’industria bellica del dittatore iracheno Saddam Hussein.
   Nel 1991 Saddam lanciò missili Scud su Tel Aviv, causando morti e feriti, e costringendo gli israeliani a dotare la popolazione delle maschere antigas, per il timore che il dittatore iracheno potesse dotare i missili di armi batteriologiche e chimiche, come antrace, sarin, vx, vaiolo. Hanan Alon, allora ufficiale della Difesa israeliano, disse al cancelliere Kohl: “Saprà bene che le parole gas e Germania non suonano bene insieme”. Così Berlino decise di finanziare massicciamente la difesa dello stato ebraico. Il 30 gennaio 1991 viene siglato un accordo per un miliardo di marchi tedeschi, fra cui due sottomarini. Nel 1994, all’aeroporto militare di Colonia, atterra una delegazione israeliana. A bordo ci sono Yitzhak Rabin (il primo premier israeliano a visitare la Germania) e il capo del Mossad, Shabtai Shavit. Si firma per il sottomarino “Tekumah”, che staziona di fronte alle coste di Haifa. Israele avrebbe modificato i serbatoi per poter raggiungere distanze di diecimila chilometri via mare e trascorrere cinquanta giorni in profondità di fronte alle coste dell’Iran. La difesa di Israele così è diventata “parte della ragion di stato”, come avrebbe riconosciuto Angela Merkel in un discorso alla Knesset nel marzo 2008 (c’è un capitolo tutto dedicato a Israele nelle memorie dell’ex cancelliera, “Libertà”). Per ogni governo tedesco, di centrodestra come di centrosinistra, esiste da allora una “Lex Israel” non scritta, che dura da mezzo secolo ed è sopravvissuta a tutti i cambi di governo, e che Gerhard Schröder ha riassunto nel 2002: “Voglio dire in modo inequivocabile: Israele riceverà ciò di cui ha bisogno per mantenere la sua sicurezza”.
   “Vogliamo che partecipiate allo sviluppo del nostro paese”, esortò Ben-Gurion al cancelliere Adenauer, che rispose: “Posso dirvi fin da ora che vi aiuteremo e non vi deluderemo”. A partire da Adenauer, i capi di governo tedeschi avrebbero aggirato anche il Parlamento in vari accordi militari con Israele. Tra l’ottanta e il cento per cento dell’acciaio e del ferro per la crescente industria meccanica israeliana provenne da risorse tedesche, senza le quali Israele non sarebbe stato in grado di sviluppare la propria base industriale. Gli aiuti tedeschi a Israele superarono di tre volte quelli americani. Le Forze di difesa israeliane ottennero l’accesso a un arsenale di qualità superiore. Ufficiali tedeschi furono inviati in Israele per addestrare i soldati con la stella di Davide, mentre ufficiali israeliani furono inviati in Germania per essere addestrati dalla Bundeswehr, inclusi futuri comandanti come Haim Laskov. Di contro, la Ddr non pagò alcun risarcimento a Israele, poiché si considerava uno “stato antifascista” e quindi non responsabile dell’Olocausto. La dirigenza comunista si schierò con gli stati arabi e, in seguito, con la dirigenza dell’Olp. Nella guerra dello Yom Kippur del 1973, la Ddr sostenne la Siria, che pianificava di distruggere lo stato ebraico. Dotati di armi e denaro tedeschi, i carri armati israeliani furono in grado di invadere il Sinai, le alture del Golan e la Cisgiordania dopo la vittoria nella guerra del 1967 contro Egitto, Giordania e Siria.
   L’eccidio di Monaco nel 1972 e il raid di Entebbe nel 1976 erano stati i due eventi che sconvolsero molti esponenti della “Nuova Sinistra” della Germania Ovest, tra cui Joschka Fischer, figura di spicco di un gruppo di Francoforte chiamato “Lotta Rivoluzionaria”. Fischer conosceva uno dei dirottatori, Winfried Böse, che frequentava la scena di sinistra della città sul Meno. Fischer raccontò in seguito al suo biografo che il dirottamento, e in particolare la separazione dei passeggeri ebrei da quelli non ebrei, gli avevano mostrato “come coloro che si distinguevano nettamente dal nazionalsocialismo e dai suoi crimini avessero ripetuto quasi compulsivamente i crimini dei nazisti.”
   L’allora ministro della Difesa, Franz Josef Strauss, arrivò alla missione israeliana di Colonia in limousine e consegnò a un ufficiale di collegamento del Mossad un oggetto avvolto in un cappotto, “per i ragazzi di Tel Aviv”. Si trattava del nuovo modello di granata anticarro. Oggi sappiamo che le consegne di armi iniziarono non più tardi del 1958. Il ministro della Difesa tedesco fece addirittura rimuovere segretamente armi ed equipaggiamenti dai depositi della Bundeswehr e successivamente denunciò il materiale rubato alla polizia. Che la garanzia di sicurezza tedesca per Israele non fosse una questione di partito divenne chiaro quando il socialdemocratico Willy Brandt era al potere a Bonn e Israele era sull’orlo della sconfitta nella guerra dello Yom Kippur del 1973. Sebbene la Repubblica federale rimanesse ufficialmente neutrale nella guerra, il cancelliere autorizzò personalmente le consegne di armi a Gerusalemme, come riportò il biografo di Brandt, Peter Merseburger. Negli anni Sessanta, Israele non era più interessato esclusivamente alle armi convenzionali. Ben-Gurion aveva già affidato a Shimon Peres l’“Operazione Sansone”, dal nome dell’eroe biblico che visse al tempo in cui gli israeliti erano oppressi dai filistei. L’obiettivo dell’operazione: lo sviluppo della bomba atomica. Gli israeliani dichiararono ai loro alleati di aver bisogno di energia nucleare a basso costo per desalinizzare l’acqua di mare. Intendevano utilizzare l’acqua per rendere fertile il deserto del Negev. E si ritiene che anche la Germania ebbe un ruolo nel programma nucleare israeliano.
   Si arriva così ai giorni nostri, col cancelliere Merz che difende Israele che “fa il lavoro sporco anche per noi” e un ministro degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, che dopo il 7 ottobre dichiara che Israele ha il diritto di attaccare anche gli insediamenti civili a Gaza se usati da Hamas: “Autodifesa non significa solo attaccare i terroristi, ma annientarli. Per questo, ho sempre detto chiaramente che quando i terroristi di Hamas si nascondono dietro le persone, dietro le scuole, ci troviamo di fronte a una situazione molto delicata, ma io non mi vergogno a dirlo, anzi, le abitazioni civili perdono il loro status di protezione perché i terroristi ne fanno un uso illecito. La Germania difende questi valori ed è questo che significa per noi sicurezza di Israele”. Fino al filosofo Jürgen Habermas, che dopo il 7 ottobre scrive: “Reazione di Israele giustificata”. La Merkel dirà: “Vendiamo armi a Israele perché crediamo che Israele debba difendersi e venga attaccato”, disse nel 2015 la cancelliera agli studenti di una scuola di Berlino. “Crediamo anche che la Germania abbia un obbligo speciale di sostenere Israele”. I tedeschi non possono dimenticare il loro passato, ma possono fare tutto il possibile per impedire un altro Olocausto. Israele über alles.

Il Foglio, 13 dicembre 2025)

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Il centro guidato dagli Stati Uniti afferma che oltre 30.000 camion di aiuti sono entrati a Gaza

Nonostante i progressi, i funzionari affermano che permangono sfide importanti, tra cui la rimozione di circa 60 milioni di tonnellate di detriti da tutta la Striscia.

Secondo un articolo del Comando Centrale degli Stati Uniti pubblicato su X, il traguardo raggiunto questa settimana segue cinque settimane consecutive in cui almeno 4.200 camion carichi di aiuti e merci sono entrati nella Striscia di Gaza.
Il centro di coordinamento, istituito il 17 ottobre, ha anche ampliato la sua presenza internazionale, includendo ora rappresentanti di circa 60 nazioni e organizzazioni partner.
Il CMCC è stato creato per sostenere gli sforzi di stabilizzazione a Gaza coordinando l'assistenza umanitaria, logistica e di sicurezza nell'enclave costiera, che è lunga circa 25 miglia e densamente popolata.
“L'approccio integrato del CMCC si è dimostrato essenziale per affrontare sfide complesse”, ha affermato il Maggiore Generale dell'esercito statunitense Brad Hinson, che guida il gruppo di lavoro sull'assistenza umanitaria del centro. “Questa piattaforma centrale consente alle parti interessate di allineare le priorità e risolvere le sfide in tempo reale, aumentando l'efficienza della distribuzione degli aiuti umanitari”.
Il CENTCOM ha affermato che le consegne coordinate hanno incluso cibo, forniture per gli alloggi, abbigliamento invernale, materiali sanitari e attrezzature mediche. I partner umanitari hanno anche fornito attrezzature ai panifici locali di Gaza, consentendo a quasi 20 panifici sostenuti a livello internazionale di produrre più di 160.000 pagnotte di pane al giorno.
Inoltre, secondo la dichiarazione, le mense che distribuiscono pasti caldi forniscono ora circa 1,6 milioni di pasti al giorno, con un aumento del 140% rispetto a settembre.
Nonostante i progressi, i funzionari hanno riconosciuto che permangono sfide importanti, in particolare la rimozione dei detriti in tutta Gaza. Le stime del CMCC suggeriscono che più di 60 milioni di tonnellate di detriti sono sparsi in tutto il territorio.
Il gruppo di lavoro tecnico del centro di coordinamento ha sviluppato un sistema di mappatura per valutare l'entità e la distribuzione dei detriti, aiutando i partner internazionali a stabilire le priorità degli interventi di pulizia. Il personale del CMCC sta inoltre lavorando per rimuovere gli ordigni inesplosi lungo le principali vie logistiche e garantire la continuità delle forniture invernali.
Il CMCC opera da Kiryat Gat, nel sud di Israele, e comprende una sala operativa e spazi di incontro progettati per consentire il monitoraggio in tempo reale e la pianificazione congiunta relativa a Gaza.<

(Shalom, 12 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 39
    Descrizione dei paramenti fatti per i sacerdoti
  • Poi, con le stoffe tinte di violaceo, porporino e scarlatto, fecero dei paramenti cerimoniali ben lavorati per le funzioni nel santuario, e fecero i paramenti sacri per Aaronne, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. 
  • Si fece l'efod, d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto.  Batterono l'oro in lamine e lo tagliarono in fili, per intesserlo nella stoffa violacea, porporina, scarlatta, e nel lino fino, e farne un lavoro artistico.  Gli fecero delle spalline, unite assieme; in modo che l'efod fosse tenuto assieme mediante le sue due estremità.  E la cintura artistica che era sull'efod per fissarlo, era tutta di un pezzo con l'efod, e del medesimo lavoro di esso: cioè, d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè.  Poi lavorarono le pietre di onice, incassate in castoni d'oro, sulle quali incisero i nomi dei figli d'Israele, come si incidono i sigilli.  E le misero sulle spalline dell'efod, come pietre memoriali per i figli d'Israele, nel modo che l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Poi si fece il pettorale, artisticamente lavorato come il lavoro dell'efod: d'oro, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto.  Il pettorale era quadrato; e lo fecero doppio; aveva la lunghezza di una spanna e una spanna di larghezza; era doppio. E vi incastonarono quattro ordini di pietre; nel primo ordine c'era un sardonio, un topazio e uno smeraldo; nel secondo ordine, un rubino, uno zaffiro, un calcedonio; nel terzo ordine, un opale, un'agata, un'ametista; nel quarto ordine, un crisolito, un'onice e un diaspro. Queste pietre erano incassate nei loro castoni d'oro. E le pietre corrispondevano ai nomi dei figli d'Israele, ed erano dodici, secondo i loro nomi; erano incise come dei sigilli, ciascuna con il nome di una delle dodici tribù. 
  • Fecero pure sul pettorale delle catenelle d'oro puro, intrecciate come dei cordoni. E fecero due castoni d'oro e due anelli d'oro, e misero i due anelli alle due estremità del pettorale. E fissarono i due cordoni d'oro ai due anelli alle estremità del pettorale; e attaccarono gli altri due capi dei due cordoni d'oro ai due castoni, e li misero sulle due spalline dell'efod, sul davanti. Fecero anche due anelli d'oro e li misero alle altre due estremità del pettorale, sull'orlo interiore rivolto verso l'efod. E fecero altri due anelli d'oro, e li misero alle due spalline dell'efod, in basso, sul davanti, vicino al punto dove avveniva la giuntura, al di sopra della cintura artistica dell'efod. E attaccarono il pettorale mediante i suoi anelli agli anelli dell'efod con un cordone violaceo, affinché il pettorale fosse al di sopra della banda artisticamente lavorata dell'efod, e non si potesse staccare dall'efod; come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. Si fece pure il manto dell'efod, di lavoro di tessitura tutto di colore violaceo, e l'apertura, in mezzo al manto, per passarvi il capo: apertura, come quella di una corazza, con un'orlatura tessuta intorno, perché non si strappasse. E all'orlo inferiore del manto fecero delle melagrane di colore violaceo, porporino e scarlatto, di filo ritorto. E fecero dei sonagli d'oro puro; e posero i sonagli in mezzo alle melagrane all'orlo inferiore del manto, tutto intorno, fra le melagrane: un sonaglio e una melagrana, un sonaglio e una melagrana, sull'orlatura del manto, tutto intorno, per fare il servizio, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Si fecero pure le tuniche di lino fino, di lavoro di tessitura, per Aaronne e per i suoi figli, e il turbante di lino fino e le tiare di lino fino da servire come ornamento e i calzoni di lino fino ritorto, e la cintura di lino fino ritorto, di colore violaceo, porporino, scarlatto, un lavoro di ricamo, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè
  • Fecero d'oro puro la lamina del sacro diadema, e vi incisero, come si incide sopra un sigillo: SANTO ALL'ETERNO. E vi attaccarono un nastro violaceo per fermarla sul turbante, in alto, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. 
  • Così fu finito tutto il lavoro del tabernacolo e della tenda di convegno. I figli d'Israele fecero interamente come l'Eterno aveva ordinato a Mosè; fecero in quel modo. Poi portarono a Mosè il tabernacolo, la tenda e tutti i suoi utensili, i suoi fermagli, le sue tavole, le sue traverse, le sue colonne, le sue basi; la coperta di pelli di montone tinte in rosso, la coperta di pelli di tasso, e il velo di separazione; l'arca della testimonianza con le sue stanghe, e il propiziatorio; la tavola con tutti i suoi utensili e il pane della presentazione; il candelabro d'oro puro con le sue lampade, le lampade disposte in ordine, tutti i suoi utensili, e l'olio per il candelabro; l'altare d'oro, l'olio dell'unzione, il profumo fragrante, e la portiera per l'ingresso della tenda; l'altare di bronzo, la sua gratella di bronzo, le sue stanghe e tutti i suoi utensili, la conca con la sua base; le cortine del cortile, le sue colonne con le sue basi, la portiera per l'ingresso del cortile, i cordami del cortile, i suoi picchetti e tutti gli utensili per il servizio del tabernacolo, per la tenda di convegno; i paramenti cerimoniali per le funzioni nel santuario, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio. 
  • I figli d'Israele eseguirono tutto il lavoro, come l'Eterno aveva ordinato a Mosè. E Mosè vide tutto il lavoro; ed ecco, essi lo avevano eseguito come l'Eterno aveva ordinato; l'avevano eseguito in quel modo. E Mosè li benedisse.

(Notizie su Israele, 12 dicembre 2025)


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In Turchia i miliziani palestinesi trovano riparo e i soldi degli ayatollah 

Trump pressa Israele affinché dia l'ok all'ingresso dei militari di Erdogan, a Gaza Bibi si oppone con estrema fermezza 

di Mariano Giustino 

Secondo documenti e dichiarazioni rilasciati questa settimana dalle Forze di difesa israeliana (Idi) e dall'Agenzia per la sicurezza (Isa) sarebbe stata smascherata una rete segreta di cambio-valuta di Hamas, operante nella Turchia centrale sotto la direzione dell'Iran. Gli esiliati di Gaza residenti in Turchia utilizzerebbero l'infrastruttura finanziaria del Paese per trasferire ingenti somme di denaro a favore dell'organizzazione palestinese. Il totale dei trasferimenti si aggirerebbero intorno alle centinaia di milioni di dollari. 
Le agenzie affermano che la rete opererebbe in collaborazione con il regime iraniano col trasferimento di fondi ad alti funzionari di Hamas aiutando il gruppo a ricostruire le sue capacità al di fuori di Gaza. I documenti recentemente resi pubblici includono registrazioni di trasferimenti di valuta per un importo di centinaia di migliaia di dollari che, secondo i funzionari, rappresentano solo una piccola parte dell'attività complessiva. La rete dunque riceverebbe e trasferirebbe fondi iraniani dall'interno della Turchia. 
Le Idf e l'Isa hanno identificato tre agenti di Gaza che lavorano in Turchia e che, a loro dire, sarebbero elementi cardinali della rete: Tamer Hassan, un alto funzionario dell'ufficio finanziario di Hamas a Istanbul che opera direttamente sotto la direzione di Khalil al-Hayya, capo dell'ufficio politico di Hamas, e i cambiavalute Khalil Farwana e Farid Abu Dair. Israele afferma che il sostegno dell'Iran all'organizzazione terroristica palestinese non è cessato; l'obiettivo è la ricostruzione della sua capacità operativa oltre i confini della Striscia di Gaza. 
La tempistica di tali rivelazioni arriva nel bel mezzo della pressione che l'amministrazione Trump sta esercitando su Gerusalemme affinché dia il via libera alla partecipazione di Ankara alla forza internazionale di stabilizzazione a Gaza. Israele vi si oppone con estrema fermezza e non vede di buon occhio l'alleanza che la Turchia ha stretto con il presidente ad interim al-Sharaa per il suo passato fondamentalista jihadista e qaidista. 
Istanbul ha ospitato per anni figure di spicco di Hamas e dunque Ankara è poco credibile agli occhi di Israele nella possibile assunzione di un ruolo di primo piano nella Striscia di Gaza del dopoguerra. La presenza di agenti di Hamas con base in Turchia dimostra come questo gruppo terroristico palestinese abbia diversificato la sua presenza finanziaria per eludere sanzioni e controlli alle frontiere. Ciò è un pericoloso segnale di allarme strategico per Gerusalemme che oltretutto sostiene che l'Iran si sta integrando sempre più nell'ecosistema economico turco, consentendo a un'entità regionale di rigenerarsi e di proiettare la sua forza. Se non repressa la rete potrebbe alimentare futuri attacchi ed espandere di nuovo l'influenza di Hamas nella regione, minacciando la sicurezza a lungo termine di Israele. 
L'atteggiamento turco fortemente aggressivo nei confronti dello Stato ebraico è profondamente legato alla sopravvivenza politica interna di Erdogan e al suo sostegno di lunga data ai movimenti islamisti nella regione. Il leader turco si è sempre presentato come l'alfiere della causa palestinese e il suo elettorato più conservatore lo spinge ad assumere una posizione ferma contro Israele. Ma Erdogan è stato finora molto pragmatico nei suoi rapporti con Washington e, dietro le quinte, all'indomani del pogrom del 7 ottobre, ha spinto la leadership di Hamas ad abbandonare la Turchia in silenzio per non irritare l'amministrazione Trump. 
Ankara ora lavora a stretto contatto con Washington nel tentare di persuadere Hamas ad accettare la sua proposta su Gaza e a smilitarizzare l'organizzazione. La Turchia in accordo con gli Usa schiererebbe oltre 2000 soldati per la forza di stabilizzazione che dovrà mettere in sicurezza la Striscia dopo la guerra, ma Israele continua ad opporsi sia al coinvolgimento turco che qatariota. 

(Il Riformista, 12 dicembre 2025)

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Mancini: «Hamas si sta rianimando» La posa conciliante è un bluff 

Lo 007 rivela al Riformista informazioni inedite: i miliziani hanno pronte 5 brigate e 23 battaglioni per colpire Israele anche con 600 droni di nuova fabbricazione nei tunnel.

di Aldo Torchiaro

Marco Mancini, per anni ai vertici dei servizi segreti, conta ancora su informazioni di prima mano che devono mettere in allerta Israele. Anche se una buona notizia c'è, ed è lui a sottolinearla: «Finalmente oggi c'è un rapporto dell'ONU che certifica che Hamas e altri gruppi islamici il 7 ottobre 2023 hanno commesso crimini contro l'umanità. Un dato oggettivo. E il rapporto certifica che oltre cento ostaggi israeliani sono stati violentati. Difficile ora provare a sminuire il 7 ottobre». 

- Stando alle sue fonti, Hamas metterà via le armi? 
«No. Ha sfruttato la tregua per ristrutturare battaglioni, unità e strutture di guerra. Rifiatano, raccolgono soldi e rinforzano gli arsenali». 

- Quindi una finta adesione agli accordi di Sharm el-Sheikh? 
«Al-Hayya, dal suo hotel di lusso in Qatar, ha annunciato collaborazione senza il consenso della struttura militare. In parallelo c'è Ezzedine Al-Dad, il capo militare, che vive nei tunnel ricostituiti: non deporrà un bel niente». 

- Ci sono ancora molti tunnel in mano ai terroristi? 
«Sì. Quelli distrutti sono stati ricostruiti a Khan Younes e Gaza City. Sottoterra operano due comandi generali, con 25-30mila uomini al seguito di Al-Dad, contrario al disarmo». 

- Dicono una cosa in pubblico e ne fanno un'altra in privato? 
«Esattamente. Al-Dad accusa AlHayya: tu in hotel, io nei tunnel con 30mila miliziani. Non ci arrendiamo. E infatti hanno scelto di continuare la guerra». 

- Quindi c'è un conflitto interno? 
«Hamas ha due anime che si sono sempre combattute. Eliminato Sinwar, ora comanda Al-Dad, contrario al disarmo». 

- Stanno reclutando nuove leve? 
«Sì, Hamas continua a pagare bene chi si unisce. Serve addestramento per mantenere la struttura militare. Eppure il 70% dei palestinesi non vuole Hamas. Voterebbero Barghouti, in carcere e in dissidio con Abu Mazen», 

- Gli Stati Uniti si muovono con qualche incertezza ... 
«Gli americani vogliono la scarcerazione di Barghouti, leader riconosciuto dai palestinesi. E vorrebbero una base a Gaza, oltre la linea gialla. Ma è difficile che Hamas accetti». 

- Hamas politica non è disposta a collaborare? 
«No. Al-Hayya e Al-Dad, su questo d'accordo, non si fidano e ritengono inaccettabile la presenza stabile di 200 marines. E infatti tengono le armi». 

- D'altronde vivono di guerra, non possono e non vogliono deporle. 
«Vivono di guerra e la impongono ai palestinesi. Chi si ribella viene giustiziato dal gruppo di Mohamed Rajab». 

- La leadership politica rimane vaga nei proclami. Aprono ma non troppo. 
«Nessuno ha definito cosa significhi disarmo. Per loro avere armi è normale. Nessuno sa quanti missili abbiano, sono migliaia. E Hamas sta preparando da mesi droni costruiti nei tunnel solo per combattere Israele». 

- Sarebbe in grado di quantificarne il numero? 
«Hanno già 600 droni costruiti e armati per missioni kamikaze contro Israele. Se si stanno ristrutturando, vuol dire che si predisponendo alla guerra, che considerano inevitabile. Il loro fine è questo: ci sarà un nuovo attacco, una prossima guerra. Gli analisti parlano apertamente di un nuovo conflitto contro Israele». 

- Tutto questo richiede molti soldi. 
«Hamas continua a ricevere fondi e criptovalute da Iran, Qatar e dalla diaspora palestinese, anche negli Stati Uniti. La struttura militare è ricca e punta tutto sulla distruzione di Israele». 

- Sono ricchi, dice. Ma il Qatar ha interrotto i finanziamenti o no? 
«No. Continua a finanziare Hamas. E quei soldi finiscono nella produzione di nuove armi, droni, tunnel. Si sono aggiunti anche imprenditori palestinesi americani che dopo il 7 ottobre hanno rifinanziato l'organizzazione». 

- I terroristi hanno un loro hub finanziario in Turchia? 
«La Turchia è sempre stata lo sponsor di Hamas militare. Il suo apparato di sicurezza è schierato con Hamas», 

- Anche il vertice turco? 
«Certo. In Turchia non si muove foglia che Erdogan non voglia. Come in Libia sostiene le milizie locali, così sostiene Hamas. Non sta con noi né con l'Europa». 

(Il Riformista, 12 dicembre 2025)

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«I cristiani sono chiamati a sostenere gli ebrei»

Da due anni Karoline Preisler si oppone alle manifestazioni anti-israeliane e antisemite, armata solo di cartelli di cartone e fiori. In un'intervista con Israelnetz racconta le sue motivazioni, le mancanze della politica e i segnali di speranza.

di Martin Schlorke

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Karoline Preisler

Karoline Preisler, nata nel 1971, è madre di quattro figli. La giurista è membro del FDP dal 2013. È diventata nota al grande pubblico grazie al suo “Diario del Coronavirus”. Dal massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, Preisler partecipa alle manifestazioni anti-Israele per richiamare l'attenzione sulle vittime israeliane di violenza sessuale e sugli ostaggi. Al momento dell'intervista, i corpi di quattro ostaggi erano ancora nella Striscia di Gaza. A novembre è stato pubblicato dalla casa editrice Ariella il suo libro “Streit und Straßenkampf” (Controversia e lotta di strada), in cui racconta il suo impegno per la libertà di espressione e il confronto non violento.

- Signora Preisler, da ormai due anni partecipa alle cosiddette manifestazioni filopalestinesi, armata di cartelli di cartone e fiori, per richiamare l'attenzione sul destino degli ostaggi israeliani e sulla violenza sessuale perpetrata da Hamas. Cosa la spinge a farlo?
  Ho sempre combattuto l'antisemitismo. Di recente ho notato che la comunicazione è cambiata. Le persone che partecipano a queste manifestazioni registrano le loro proteste in modo piuttosto professionale con le fotocamere dei loro cellulari e pubblicano i video in rete. Quindi non si tratta più solo di proteste di piazza, ma anche di proteste sui social network. Di conseguenza, anche le controproteste devono cambiare. Quando partecipo alle manifestazioni con i miei cartelli di cartone, i miei messaggi vengono inevitabilmente trasmessi nei video e nelle immagini della manifestazione. Laddove vengono diffuse teorie cospirative antisemite, è assolutamente necessario controbattere.

- Sui suoi cartelli di cartone c'è scritto, ad esempio, “Lo stupro non è resistenza”. Questo messaggio è chiaro. Ma cosa intende ottenere con i fiori?
  Chi porta dei fiori ha intenzioni pacifiche. Sono un segno della mia pacificità. E a differenza delle parole, non provocano. Alle manifestazioni vengo spesso aggredita e spintonata. Il cartello in una mano e i fiori nell'altra mi impediscono di spintonare a mia volta. A volte regalo singoli fiori alle persone con cui parlo sul posto.

- Tuttavia, i fiori provocano le persone.
  Il mio obiettivo non è quello di suscitare una forte reazione contraria. Piuttosto, voglio entrare in contatto con le persone alle manifestazioni. Non voglio lasciare senza risposta l'antisemitismo, le teorie del complotto e le fake news. Quando appaio nei video delle manifestazioni con i miei cartelli, posso fare qualcosa di concreto.

- Anche i media hanno spesso diffuso informazioni false sulla guerra nella Striscia di Gaza, ad esempio sul numero dei morti o sul presunto attacco israeliano all'ospedale Al-Ahli-Arab.
  Sono grata per la nostra diversità mediatica in Germania, anche perché è una sorta di complemento ai nostri media pubblici. E mi auguro che i nostri media seri siano ormai diventati più accorti e non riprendano più senza verificarle le cifre fornite da Hamas. Le cifre errate, ad esempio quelle relative alle vittime, creano un'immagine distorta con due meccanismi. Da un lato, le vittime reali non vengono piante a sufficienza. Dall'altro, i media perdono reputazione diffondendo informazioni false.

- Recentemente, la ZDF ha dovuto ammettere che un dipendente di una società partner di lunga data nella Striscia di Gaza era membro di Hamas. Dopo che questi è stato ucciso in un attacco israeliano, inizialmente l'indignazione dell'emittente è stata grande.
  È deplorevole quando muoiono delle persone. Tuttavia, il contesto cambia se muore un giornalista indipendente o un membro affermato di Hamas. Quando Israele viene demonizzato, quando vengono applicati doppi standard o quando il Paese viene delegittimato, si è in presenza di antisemitismo. Nel caso della cronaca sulla morte di questo membro di Hamas prima che la sua appartenenza all'organizzazione fosse resa nota, tutte e tre le caratteristiche erano presenti. Ciò significa che la cronaca era antisemita.

- Come si può evitare che ciò accada? Felix Klein, incaricato del governo federale tedesco per l'antisemitismo, ha recentemente proposto di istituire incaricati simili per le grandi aziende mediatiche.
  Già solo con una scelta appropriata delle parole, combinata con una buona ricerca, è possibile rappresentare meglio i fatti. Non so se tali incarichi siano realistici nelle aziende mediatiche. Da dove dovrebbero venire?

- Per il suo impegno è stata recentemente insignita del Premio Paul Spiegel dal Consiglio centrale degli ebrei. Durante la cerimonia di premiazione ha affermato di partecipare alle manifestazioni contro Israele con una “sobrietà protestante”. Cosa intende dire con questo?
  Da bambina ho imparato ad essere responsabile nei confronti del prossimo. Questa responsabilità richiede, oltre a una bussola di valori, anche l'impegno a essere una brava persona. E a volte ci vuole il coraggio di dire ciò che è necessario. Non possiamo pretendere che gli ebrei combattano da soli contro l'antisemitismo. Proprio i cristiani sono chiamati ad aiutare le persone e a riconoscere con lucidità dove c'è bisogno di aiuto.

- Lei è cresciuta in una famiglia cristiana. Prima della riunificazione ha lavorato nella Chiesa ed è stato sorvegliata dalla Stasi. Che significato ha per lei la fede cristiana?
  Sono ben radicata in terra e in cielo

- Ci spieghi meglio.
  Il nostro ordinamento liberale e democratico e la nostra Costituzione ci danno una buona base per vivere. Di conseguenza, non ci manca quasi nulla. Si è ben radicati. Poter vivere la mia fede, cioè essere ben radicata, è per me una benedizione. Nella DDR questo non era possibile per me e per molti altri. E anche oggi non dobbiamo darlo per scontato e dobbiamo opporci ai tentativi di distorcere la libertà di religione.

- Ha appena citato la Costituzione. Nel suo preambolo si parla di “responsabilità davanti a Dio e agli uomini”. È ancora attuale, vista la crescente secolarizzazione della società?
  Lo trovo sensato già solo per ragioni storiche, perché i padri e le madri della Costituzione l'hanno scritta sulla base delle esperienze dell'Olocausto e del comportamento altamente anticristiano e antisemita dei nazionalsocialisti.
  Allo stesso tempo, sono convinta che la laicità, ovvero la separazione tra religione e Stato, ci faccia bene. La mia fede è una questione privata che non voglio imporre a nessuno. Inoltre, la nostra società sta diventando sempre più interreligiosa. Chiedo quindi anche alle altre religioni di rimanere una questione privata e di non impormi nulla.

- La lotta contro l'antisemitismo non è esplicitamente menzionata nella Costituzione. Questo dovrebbe essere modificato?
  Con la Costituzione abbiamo una regolamentazione molto buona e definitiva in materia di dignità umana. Per quanto riguarda le leggi che dovrebbero attuare i principi della Costituzione, vedo però la necessità di un adeguamento.

- Per esempio?
  Sono dell'opinione che non dovremmo concedere il permesso di soggiorno permanente in Germania a stranieri che sono antisemiti. Le persone che vengono in Germania dovrebbero considerare la nostra ragion di Stato come un dato di fatto e rifiutare l'antisemitismo. Inoltre, dovremmo classificare come anticostituzionali alcuni simboli che da alcuni anni sono presenti nella scena antisemita e nelle manifestazioni.

- Durante queste manifestazioni viene osteggiata, insultata e picchiata. Questo la rafforza nel suo impegno o le fa sorgere dei dubbi?
  Questo non mi rafforza, perché sono esperienze amare. Tuttavia, non subisco solo violenza, ma ho anche buone conversazioni. Mi incoraggiano i molti riscontri positivi che ricevo per il mio impegno. Inoltre, ormai in tutta la Germania ci sono molte imitatrici che fanno cose simili, persino in altri paesi europei. Abbiamo sviluppato una nuova forma di protesta. Un modo femminile, tranquillo e pacifico per esprimere il nostro desiderio di una vita migliore per gli ebrei, per tutte le minoranze e anche per le donne.

- Ha delle conversazioni costruttive durante le manifestazioni contro Israele?
  Ovviamente non convinco nessuno, ma è importante avviare un dialogo. Sul tema del Medio Oriente ci sono profonde divisioni. Voglio riprendere il filo del discorso. Perché, si spera, un giorno ci sarà la pace in Medio Oriente. Ma le persone che hanno manifestato contro Israele continueranno a essere qui e a diffondere le loro idee.

- Questo mi ricorda molto le proteste contro il coronavirus. La rabbia e la frustrazione nei confronti della politica per determinate decisioni non sono scomparse semplicemente con la fine delle misure. 
  Credo che la delusione dopo la pandemia sia profonda in molte persone. E lo capisco. All'epoca molte cose non erano bianche o nere. Anch'io ho criticato le misure come sproporzionate o ho lamentato la mancanza di dibattito. E sono delusa dal fatto che nessuno dei due governi federali in carica durante la pandemia abbia chiesto scusa e offerto una valutazione.

- Ma cosa significa questo per le proteste antisemite di oggi? Dopo tutto, quando si parla di antisemitismo, le cose sono bianche o nere.
  Assolutamente. Ma alle manifestazioni partecipano anche persone moderate che rifiutano la violenza e l'antisemitismo. Io le accuso di partecipare a eventi antisemiti e ostili a Israele. Ma questo non le rende automaticamente antisemite. Svaluta solo ogni giusta causa.

- Signora Preisler, per due anni ha richiamato l'attenzione sul destino degli ostaggi israeliani. Come ha vissuto il loro rilascio il 13 ottobre?
  Per me è stato un giorno molto emozionante, che non dimenticherò mai. Tuttavia, i corpi di Meny Godard, Ran Gvili, Dror Or e Sudthisak Rinthalak si trovano ancora nella Striscia di Gaza. Spero che i corpi possano tornare alle loro famiglie e essere sepolti. (Al momento dell'intervista, i corpi dei quattro ostaggi erano ancora nella Striscia di Gaza. Attualmente i terroristi trattengono ancora il corpo di Ran Gvili, ndr). Questo è importante dal punto di vista religioso, ma anche per i familiari delle vittime. A mio avviso, il rapimento di persone vive o morte è blasfemo e haram nel senso islamico del termine.

- Tra i rapiti c'erano anche diversi cittadini tedeschi. Come valuta l'impegno del governo federale per il rilascio degli ostaggi?
  Trovo scioccante che il nostro governo abbia fatto così poco per i cittadini tedeschi rapiti. E pensate solo a Sonja Nientiet, rapita dai terroristi somali dal 2018. Mi auguro che in ogni discorso natalizio del Cancelliere si ricordi di lei e che si faccia tutto il possibile per il suo rilascio, proprio quell'impegno che è mancato anche per gli ostaggi tedeschi nella Striscia di Gaza. Ma so anche che ogni persona ha il potere di cambiare le cose. Per questo continuerò anche in futuro a impegnarmi visibilmente a favore delle persone tenute prigioniere dagli islamisti.

- Grazie mille per l'intervista, signora Preisler. (Israelnetz, 12 dicembre 2025)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 38
    Costruzione dell'altare degli olocausti
  • Poi fece l'altare degli olocausti, di legno di acacia; la sua lunghezza era di cinque cubiti; e la sua larghezza di cinque cubiti; era quadrato, e aveva un'altezza di tre cubiti. E ai quattro angoli gli fece dei corni, che spuntavano da esso, e lo rivestì di bronzo. Fece pure tutti gli utensili dell'altare: i vasi per le ceneri, le palette, i bacini, i forchettoni, i bracieri; fece di bronzo tutti i suoi utensili. E fece per l'altare una gratella di bronzo in forma di rete, sotto la cornice nella parte inferiore; in modo che la rete raggiungesse la metà dell'altezza dell'altare. E fuse quattro anelli per i quattro angoli della gratella di bronzo, per farvi passare le stanghe.  Poi fece le stanghe di legno di acacia, e lo rivestì di bronzo.  E fece passare le stanghe per gli anelli, ai lati dell'altare, le quali dovevano servire a portarlo; e lo fece di tavole, vuoto.

    La conca di bronzo
  • Poi fece la conca di bronzo, e la sua base di bronzo, servendosi degli specchi delle donne che venivano a gruppi a fare il servizio all'ingresso della tenda di convegno.

    Il cortile
  • Poi fece il cortile; dal lato meridionale, vi erano, per formare il cortile, cento cubiti di cortine di lino fino ritorto, con le loro venti colonne e le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d'argento. Dal lato di settentrione, vi erano cento cubiti di cortine con le loro venti colonne e le loro venti basi di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d'argento. Dal lato d'occidente, vi erano cinquanta cubiti di cortine con le loro dieci colonne e le loro dieci basi; i chiodi e le aste delle colonne erano d'argento. E sulla parte davanti, dal lato orientale, vi erano cinquanta cubiti: da uno dei lati dell'ingresso vi erano quindici cubiti di cortine, con tre colonne e le loro tre basi; e dall'altro lato (tanto da una parte quanto dall'altra dell'ingresso del cortile) vi erano quindici cubiti di cortine, con le loro tre colonne e le loro tre basi. Tutte le cortine che formavano il recinto del cortile erano di lino fino ritorto; e le basi per le colonne erano di bronzo; i chiodi e le aste delle colonne erano d'argento, e i capitelli delle colonne erano rivestiti d'argento, e tutte le colonne del cortile erano congiunte con delle aste d'argento. La portiera per l'ingresso del cortile era un lavoro di ricamo, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto; aveva una lunghezza di venti cubiti, un'altezza di cinque cubiti, corrispondente alla larghezza delle cortine del cortile. Le colonne erano quattro, e quattro le loro basi, di bronzo; i loro chiodi erano d'argento, e i loro capitelli e le loro aste erano rivestiti d'argento. Tutti i picchetti del tabernacolo e del recinto del cortile erano di bronzo.

    Costo complessivo del tabernacolo
  • Questi sono i conti del tabernacolo, del tabernacolo della testimonianza, che furono fatti per ordine di Mosè, a cura dei Leviti, sotto la direzione di Itamar, figlio del sacerdote Aaronne. Besaleel, figlio di Uri, figlio di Cur della tribù di Giuda, fece tutto quello che l'Eterno aveva ordinato a Mosè, avendo con sé Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan, scultore, disegnatore, e ricamatore di stoffe violacee, porporine, scarlatte e di lino fino. 
  • Tutto l'oro che fu impiegato nell'opera per tutti i lavori del santuario, oro delle offerte, fu ventinove talenti e settecentotrenta sicli, secondo il siclo del santuario. L'argento di quelli della comunità dei quali si fece il censimento, fu cento talenti e millesettecentosettantacinque sicli, secondo il siclo del santuario: un beca a testa, vale a dire un mezzo siclo, secondo il siclo del santuario, per ogni uomo compreso nel censimento, dall'età di vent'anni in su: cioè, per seicentotremilacinquecentocinquanta uomini. I cento talenti d'argento servirono a fondere le basi del santuario e le basi del velo: cento basi per i cento talenti, un talento per base. E con i millesettecentosettantacinque sicli si fecero dei chiodi per le colonne, si rivestirono i capitelli, e si fecero le aste delle colonne. Il bronzo delle offerte ammontava a settanta talenti e a duemilaquattrocento sicli. Con questi si fecero le basi dell'ingresso della tenda di convegno, l'altare di bronzo con la sua gratella di bronzo, e tutti gli utensili dell'altare, le basi del cortile tutto intorno, le basi dell'ingresso del cortile, tutti i picchetti del tabernacolo e tutti i picchetti del recinto del cortile.

(Notizie su Israele, 11 dicembre 2025)


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Una voce araba di speranza da Israele

“Il sionismo non è né colonialismo né occupazione. Il sionismo è il grido di un popolo oppresso che dice: ‘Basta, vogliamo tornare a casa’”.

di Ryan Jones

GERUSALEMME - Il produttore musicale Ali Shaa'ban è diventato una sorta di portavoce dell'opinione della maggioranza arabo-israeliana durante l'attuale conflitto. In una serie di post sui social media, Shaa'ban ha spiegato perché, nonostante la dura realtà della guerra di Gaza, come arabo sostiene Israele e si oppone ai nemici dello Stato ebraico.

Risonanza
  Il fatto che gran parte di ciò che dice Shaa'ban trovi risonanza tra gli arabi locali è dimostrato non solo dall'alto numero di accessi e dalle reazioni positive ai suoi post sui social media, ma anche dal fatto che Hamas non è riuscita affatto a conquistare la popolazione arabo-israeliana alla sua “ondata Al-Aqsa” contro lo Stato ebraico.
Nei suoi social media e nel suo podcast “Voice of Hope”, Shaa'ban esorta i suoi concittadini arabi a scegliere la vita e la pace, sottolineando però che ciò è possibile solo se si riconoscono verità che il suo popolo ha a lungo negato.
“Sono un figlio di questa terra”, dice in un recente video. "Figlio della Galilea, del Carmelo, di Jaffa e di Nazareth. Sono un figlio dello Stato che ho deciso di amare: Israele. Quando ho deciso di sostenere apertamente il mio Paese, non è stato un tradimento della mia identità, ma una forma di lealtà verso la mia coscienza. Quando mi guardo intorno, non vedo alcuna ‘occupazione’, come la descrivono loro. Vedo una legge che tutela i miei diritti, uno Stato che mi difende e una società che mi permette di essere chi voglio essere. E quando guardo al mondo arabo, cosa vedo? Oppressione, corruzione, società che uccidono i propri figli in nome dell'onore, della religione e della politica. Cosa c'è di vergognoso nel preferire la luce all'oscurità? Nello scegliere uno Stato che mi rispetta invece di seguire le illusioni di una nazione che marcia all'indietro? Il mio obiettivo è vivere e crescere i miei figli con speranza invece che con odio. Non ho bisogno di maledire Israele ogni mattina per essere un vero arabo".

Accuse
  In un altro video, risponde alle accuse secondo cui il conflitto sarebbe iniziato molto prima del 7 ottobre, che secondo i critici di Israele sarebbe stata solo un'altra “reazione naturale” all'occupazione israeliana. Shaa'ban ricorda agli spettatori che gli attacchi arabi contro gli ebrei in Terra Santa sono iniziati molto prima del 1948 e della fondazione dello Stato di Israele. “Non sono stati gli ebrei a iniziare questo conflitto”. Piuttosto, ammette Shaa'ban, sono stati i jihadisti arabi palestinesi, alleati dei nazisti e desiderosi di sterminare completamente il popolo ebraico, a scatenare lo spargimento di sangue. “Questi fatti storici non sono una mia invenzione”, sottolinea. “Sono ben documentati sia negli archivi britannici che in quelli arabi. Se guardiamo alla storia con occhi onesti, ci rendiamo conto che lo spargimento di sangue è iniziato quando noi [arabi] abbiamo rifiutato la presenza ebraica tra noi, e non a causa dell'occupazione”.
Shaa'ban ha anche un problema con coloro che sostengono che gli attuali “sionisti” non siano gli ebrei della Bibbia, ma convertiti all'ebraismo provenienti dall'Europa orientale. “Queste persone non capiscono cosa significhi essere ebrei”, sottolinea. "Il popolo ebraico ha migliaia di anni. Nonostante lo sradicamento e l'espulsione, non hanno dimenticato, tradito o modificato la loro identità. Sono rimasti fedeli al loro patrimonio. E ovunque andassero, sognavano: ‘L'anno prossimo a Gerusalemme’. Il sionismo non è né colonialismo né occupazione. Il sionismo è il grido di un popolo oppresso che dice: ‘Basta, vogliamo tornare a casa’". Chi vuole davvero riconciliarsi e porre fine al conflitto deve riconoscere questa storia e accettare gli ebrei così come sono, con il loro legame con questa terra, conclude Shaa'ban.

Commenti pro-israeliani
  Chi pubblica commenti filoisraeliani sui social media si trova spesso di fronte a una valanga di risposte provocatorie che chiedono attenzione per le sofferenze dei “bambini di Gaza”. Indubbiamente Shaa'ban, come altre voci arabe filoisraeliane, riceve più della sua giusta dose di reazioni di questo tipo. Come può, in quanto arabo, stare dalla parte di Israele mentre i bambini palestinesi soffrono e muoiono? Questo serve a distogliere l'attenzione da ciò che è realmente in gioco, e Shaa'ban lo affronta con grande sicurezza.
“Non ho mai negato che i bambini di Gaza soffrano”, esordisce in un recente videomessaggio. "Sono innocenti e non hanno alcuna responsabilità per il massacro del 7 ottobre. Ma non dimentico nemmeno che i bambini di Gaza non soffrono solo a causa della guerra. Dal giorno della loro nascita soffrono per le restrizioni imposte loro da Hamas. Soffrono nelle scuole trasformate in depositi di razzi e nelle case trasformate in scudi umani. Soffrono per un'educazione che insegna loro che la morte da martiri è più importante dell'infanzia e che uccidere porta al paradiso. Soffrono a causa dei media che li convincono che tutti gli ebrei sono mostri e che l'unica risposta è il sangue.
Se la comunità internazionale si preoccupasse davvero dei bambini di Gaza, nei 15 anni di governo di Hamas avrebbe dimostrato che questi bambini sono stati sistematicamente sfruttati e maltrattati.
È vero che «i bambini di Gaza non hanno un riparo e non hanno speranza», continua Shaa'ban, ma «non perché Israele lo voglia. [È] perché [la leadership di Gaza] ha deciso di dare la priorità ai razzi rispetto alle infrastrutture e alla costruzione di tunnel rispetto agli ospedali e alle scuole. Mi accusate di non parlare delle sofferenze dei bambini di Gaza? Ne parlo. Ma la verità a volte fa male, e voi sembrate non essere interessati ad ascoltarla. Perché quando parlo dei bambini di Gaza, parlo del loro diritto di vivere, non di morire. Del loro diritto di imparare, di amare, non di odiare. E del loro diritto ad avere una leadership che li protegga, non che li sfrutti".
Molti arabi forse non hanno riflettuto su queste questioni in modo così approfondito come Ali Shaa'ban, ma le sue posizioni non sono insolite e probabilmente rappresentano la maggioranza degli arabi in questo Paese. Tuttavia, può essere rischioso e richiede molto coraggio esprimerle così apertamente in pubblico.

(Israel Heute, 11 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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“Ha il coraggio di prendere decisioni”

La nomina del maggiore generale Roman Gofman, il primo capo del Mossad da decenni proveniente dal Corpo corazzato dell'IDF, potrebbe segnalare un cambiamento verso un'agenzia di spionaggio più aggressiva e orientata al campo.

di Yaakov Lappin

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Roman Gofman

La decisione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di nominare il maggiore generale Roman Gofman come prossimo direttore del Mossad ha suscitato grande scalpore negli ambienti della difesa e dell'intelligence israeliani, segnando un cambiamento radicale nel profilo della leadership della rinomata agenzia di intelligence.
L'annuncio, fatto durante una riunione di gabinetto l'8 dicembre, pone un generale temprato dal combattimento – gravemente ferito mentre combatteva i terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023 – alla guida di un'organizzazione tradizionalmente, anche se non esclusivamente, guidata da spie di carriera.
Gofman è il classico comandante sul campo, che ha scalato i ranghi del Corpo Corazzato. Ha comandato il 75° Battaglione della 7° Brigata Corazzata, la Brigata Regionale “Etzion”, la stessa 7° Brigata e la 210° Divisione “Bashan” del Golan al confine con la Siria, ed è stato a capo del Centro Nazionale di Addestramento delle Forze di Terra a Tze'elim, dove si trovava il 7 ottobre 2023, prima di precipitarsi nella zona di Gaza dopo aver appreso la notizia dell'invasione di Hamas.
È stato nominato capo del quartier generale dell'Unità di coordinamento delle attività governative nei territori più tardi nel 2023, prima di diventare segretario militare del primo ministro nel maggio 2024.
Gofman è anche laureato alla yeshiva militare Bnei David di El, a nord di Ramallah, un'istituzione di punta del campo sionista religioso.
La nomina arriva in un momento critico per il Mossad, che rimane impegnato in una guerra segreta con l'Iran e i suoi rappresentanti. Secondo una dichiarazione dell'ufficio del primo ministro, Gofman sostituirà l'attuale direttore del Mossad David Barnea nel giugno 2026, consentendo un periodo di passaggio di consegne di circa sei mesi. Questa transizione prolungata è ampiamente vista come un riconoscimento della ripida curva di apprendimento che deve affrontare un “outsider” che ha trascorso anni al comando di carri armati sul campo di battaglia.
Netanyahu ha sottolineato la combinazione unica di audacia operativa ed esperienza strategica di Gofman, affermando: “Roman è un comandante di grande successo nell'IDF. Mi ha accompagnato l'anno scorso nella ‘Guerra della Rinascita’, nell'operazione ‘Rising Lion’ [la guerra di 12 giorni contro l'Iran] ha operato a livello dell'intero IDF e con particolare attenzione al Mossad”.
“Ha dimostrato qualità di leadership, creatività, sofisticatezza e astuzia su scala globale. Ha altre due qualità molto forti: iniziativa e ricerca del contatto”, ha continuato Netanyahu. “Il 7 ottobre era l'ufficiale più anziano dell'IDF che si è recato sul campo di battaglia. Lì è stato ferito, si è ripreso e sta facendo un lavoro straordinario per la sicurezza di Israele”.
Yossi Amrusi, ex alto funzionario dell'Agenzia di sicurezza israeliana (Shin Bet) e attualmente ricercatore associato presso il Misgav Institute for National Security and Strategy, ha dichiarato recentemente a JNS che, sebbene la nomina di un candidato esterno sia controversa visti i recenti successi del Mossad, Gofman possiede le caratteristiche fondamentali richieste per ricoprire tale incarico.
“Nell'ultima guerra, il Mossad ha operato in modo fenomenale. I suoi successi in Libano con l'operazione dei cercapersone e i successi a Teheran e in Iran in generale con le informazioni riservate che è riuscito a ottenere sui più alti funzionari delle Guardie Rivoluzionarie, gli scienziati iraniani, sono un lavoro fenomenale che verrà insegnato nelle scuole di spionaggio e intelligence per decenni", ha detto Amrusi.
Dati questi risultati, Amrusi ha sostenuto che una promozione interna sarebbe stata la scelta naturale. “Era giusto per l'organizzazione che fosse scelto proprio uno dei suoi membri senior, anche come segno di apprezzamento per questa organizzazione che ha svolto un lavoro eccellente”, ha affermato.
Allo stesso tempo, ha sostenuto Amrusi, e nonostante il divario professionale che Gofman dovrà colmare in termini di intelligence sul campo, la decisione più critica, la capacità di prendere decisioni audaci, è già saldamente nelle mani di Gofman.
"Alla fine, le operazioni e le idee per realizzarle, così come l'attività di intelligence in corso, saranno portate avanti dagli agenti sul campo, dai manager junior, dai manager senior e dai capi divisione. Le idee arriveranno alla fine sulla scrivania del direttore del Mossad, che dovrà prendere una decisione: realizziamo l'operazione o no? Portiamo avanti questa idea o no? Ciò che serve è coraggio, e Roman Gofman ha coraggio", ha affermato Amrusi.
Ha citato due eventi distinti che, secondo lui, dimostrano che Gofman possiede questa qualità: le battaglie del 7 ottobre e una conferenza del 2019 dell'intero Stato Maggiore dell'IDF, dove Gofman è salito sul palco e ha contestato la posizione difensiva dell'IDF pur avendo solo il grado di colonnello.
“Un colonnello non è un grado particolarmente alto... eppure si trova in una sala con 300-400 ufficiali, tra i più alti in grado dell'IDF, e dice ciò che pensa senza vergognarsi. Ai miei occhi questo dimostra carattere e coraggio”, ha detto Amrusi. “Cosa ha visto che tutte quelle 300 persone [alla riunione dello Stato Maggiore] non hanno visto? Ha una visione diversa”.
Amrusi ha anche citato un video di Gofman, in cui, in qualità di comandante di una brigata corazzata, si rivolgeva alle nuove reclute. “La cosa più importante è essere rigorosi sui piccoli dettagli... alla fine tutto dipende dai piccoli dettagli. È stato un discorso di leadership molto autentico”, ha detto Amrusi.
Nel frattempo, il 10 dicembre il Mossad ha annunciato che “A”, un agente veterano, era stato nominato prossimo vicedirettore dell'agenzia. “A”, che era lui stesso candidato alla carica più alta, ha prestato servizio nell'organizzazione per oltre due decenni e ha comandato due divisioni operative.
Il generale di brigata (riserva) Yossi Kuperwasser, capo dell'Istituto di Gerusalemme per la sicurezza e la strategia ed ex capo della divisione Ricerca e valutazione dell'intelligence militare israeliana, ha dichiarato a JNS che “come per tutte le nomine, e in particolare per quelle esterne, è difficile sapere in anticipo quanto riuscirà a esprimere le sue capacità e i suoi punti di forza e a colmare le lacune in termini di conoscenze ed esperienze operative”.
“L'osservazione della sua carriera insegna che si tratta di un ufficiale dotato di leadership, carisma e una notevole capacità di apprendimento, che nel suo ultimo incarico ha imparato a conoscere bene l'attività del Mossad, e quindi le sue possibilità di successo sono elevate”, ha continuato.
Kuperwasser ha anche osservato che il dibattito “interno contro esterno” non è sempre predittivo del successo.
“A volte le nomine di persone meritevoli all'interno delle organizzazioni non hanno portato ai risultati sperati e sono persino finite in dolorosi fallimenti. Non ci sono regole in questo campo, e non resta che augurare successo a Roman Gofman e sperare che lo spirito del Mossad, che è senza dubbio una delle migliori organizzazioni di intelligence al mondo, lo assista”, ha aggiunto Kuperwasser.
La nomina di Gofman ha ricevuto anche il sostegno pubblico della leadership dell'IDF. Il capo di Stato Maggiore, il tenente generale Eyal Zamir, ha incontrato Gofman il 4 dicembre per congratularsi con lui. “Roman e io ci conosciamo da molti anni, dai suoi vari incarichi nel Corpo Corazzato ai ruoli che ha ricoperto negli ultimi anni. Roman è un ufficiale coraggioso, professionale ed esperto”, ha detto Zamir.
Il capo di Stato Maggiore ha sottolineato che “la cooperazione tra le organizzazioni [IDF e Mossad] è fondamentale per la sicurezza dello Stato e che l'IDF lo sosterrà e fornirà tutta l'assistenza necessaria per il successo del suo ruolo”.

(JNS, 11 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Gaza: la scena del crimine

Dopo più di 20 anni dall'attentato alle torri gemelle ci sono più di mille corpi da identificare. Hamas da Gaza distribuiva liste di vittime un'ora dopo il bombardamento e tutti gli credevano

di Fabio Fineschi

A Gaza i 70.000 cadaveri prodotti dal “genocidio” israeliano non si trovano. Sono state scoperte solo poche fosse comuni ma con un numero di cadaveri che non va oltre le centinaia, così da informazioni provenienti dall’International Committee of the Red Cross e presso la Mezza Luna Rossa1.
Bene, meno morti ci sono stati e più ne siamo felici ma questo, per altri versi, dovrebbe aumentare la nostra inquietudine. Da subito dopo il tragico 7 ottobre 2023 le piazze europee si sono riempite di gente che gridava al genocidio: quello dell’esercito israeliano contro i civili palestinesi.
Ad ogni raid aereo israeliano il Ministero della sanità di Hamas comunicava al mondo il numero esatto degli innocenti morti sotto le bombe. Eppure, sappiamo che a più di vent’anni dagli attentati alle torri gemelle vi sono ancora circa 1.000 corpi da identificare. Sotto quelle macerie era difficilissimo distinguere tra i resti di un uomo, una donna o un bambino.
A Gaza, invece, un’ora dopo sapevano già tutto e, soprattutto, nessuno ha mai dubitato di quei dati sparati via etere alla comunità mondiale che mentre si disperava, in parte, gioiva perché si rendeva evidente la crudeltà dello Stato colonialista di Israele.
Quei dati, mai verificati da enti internazionali, costituivano la “gradita” conferma di una convinzione generalizzata fra i cittadini anti-occidentali e anti-semiti: lo Stato di Israele è ladro di terre altrui e assassino.
Qui non si tratta di tifare per una delle due fazioni in lotta ma si tratta di tifare per la verità, per la salvaguardia del rispetto e della lucidità mentale di tutti noi: se per due anni si è gridato al genocidio, stabilendo a livello planetario che vi è un mostro, Israele, e una vittima indifesa, i civili palestinesi, ebbene di ciò si devono esibire le prove.
Tutto questo deve diventare, adesso, un argomento prioritario, il principe degli argomenti. Invece no, nessuno dice niente, salvo pochi, come in questo sito, ora c’è la tregua e non interessa a nessuno quello che c’è o non c’è sulla scena del crimine: a Gaza.
Come mai i macchiettistici leader della nostra sinistra non hanno niente da dire? Dove sono i 70.000 cadaveri dei morti sotto le bombe? E quelli morti di stenti per la carestia, ovviamente sempre causata da Israele, dove sono? Migliaia e migliaia di corpi smembrati e dilaniati sotto le macerie dovrebbero emettere odori nauseabondi che appestano l’aria di tutta la striscia, per non parlare delle infezioni.

L’Occidente e la verità
  Quando l’Europa disconosce le proprie radici culturali si macchia, più o meno consapevolmente, di apostasia2. In sostanza, Essa rifiuta i contenuti profondi della propria matrice esistenziale che si formò dall’incontro fra la religione giudaico-cristiana di Gerusalemme, il diritto romano e la sapienza ateniese. Da quella triplice alleanza è iniziato il lungo cammino che ci ha portati alla scienza galileiana e ai diritti umani, anche Maximilien de Robespierre3 ha studiato dai preti: i padri Oratoriani.
Se ci viene narrato di un genocidio che ha causato ben 70.000 morti (ripeto il dato perché merita) ma i cadaveri non si trovano a noi che ce ne importa? Siamo troppo presi dal caso Garlasco. Che cosa ce ne facciamo noi, occidentali, dell’oggettività fattuale dei dati se ci stiamo convincendo che i generi sessuali non sono due, uomo e donna, ma una settantina e più LGBTQIA+4? Qualcuno sa se esiste una qualche rigorosa e riconosciuta ricerca scientifica che avvalora e certifica tale affermazione?
Mandiamo pure alle ortiche anche 500 anni di scienza galileiana ed epistemologia scientifica, l’oggettività dei fatti e il rigore del pensiero costituiscono un ostacolo al nostro desiderio di perdita dell’identità. I terroristi di Hamas, o di qualunque altra genia, possono raccontarci quello che vogliono a dispetto di qualunque prova oggettiva.
Se l’UE e l’intero Occidente, sono disposti a digerire qualunque tipo di narrazione indipendentemente dai fatti, dalla storia e dal diritto in nome del politicamente corretto (secondo la sinistra) e l’inclusione (secondo la sinistra) siamo destinati al naufragio culturale.
Su questa china Papa Francesco è riuscito a far passare Gesù, Giuseppe e Maria per emigranti quando, nei Vangeli, Essi si erano solo diretti a Gerusalemme per registrare Giuseppe al censimento indetto dai romani.
L’Occidente rischia la propria dissoluzione nel folle multiculturalismo di stampo arabo-musulmano, una sorta di Titanic che affonda mentre si suona, si balla e si canta l’inno del politicamente corretto.
Il Cardinale Pizzaballa si stracciò le vesti per una cannonata tirata per sbaglio da un carro israeliano su una chiesa di Gaza, errore militare di cui lo stesso Netanyahu si è scusato, ma sulle centinaia di chiese cristiane date alle fiamme dai musulmani in Sudan e in Nigeria non ha niente da dire.
Pur di negare il diritto dello Stato di Israele ad esistere siamo disposti a berci qualunque falsità: i territori rubati, l’occupazione della Cisgiordania, il genocidio e le scempiaggini della signora Albanese.
L’ONU, dal canto suo, si appresta ad essere il curatore fallimentare dell’Occidente e dell’occidentalità mentre gli avvoltoi: Hamas, i Fratelli musulmani, Putin, l’Iran, la Cina e il resto del BRICS se ne stanno appollaiati ad aspettare di gustare le nostre spoglie identitarie.
La sinistra italiana, ad esempio, gode di una tale prospettiva perché con il crollo dell’URSS ella ha già perduto da un pezzo la sua identità e non tollera quella di altre visioni del mondo. La nostra sinistra vive solo di antifascismo, ha bisogno dei fascisti, anche immaginari, come controfigura di un passato che non c’è più ma le consente un residuo di parvenza identitaria. Tuttavia, come ebbe a dire il comunista Bordiga5:- Il peggior prodotto del fascismo fu l’antifascismo-.
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1 Franco Londei, Rights Reporter, Qualche legittima domanda sul genocidio di Gaza, 7 dicembre 2025 
2 Rifiuto del proprio credo.
3 Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre, detto l’Incorruttibile (Arras6 maggio 1758 – Parigi28 luglio 1794) è stato un politicoavvocato e rivoluzionario francese.
4 è un acronimo che indica le persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer/interrogative, Intersessuali e Asessuali. Il simbolo “+” rappresenta tutte le altre identità di genere e orientamenti sessuali non inclusi esplicitamente nelle lettere, e la sigla nel suo complesso simboleggia una comunità ampia e diversificata.
5 Amadeo Bordiga  (Ercolano13 giugno 1889 – Formia25 luglio 1970) è stato un politicogiornalista e co-fondatore e primo segretario del Partito Comunista d’Italia, fu famoso soprattutto per i suoi contributi alle posizioni ideologiche della sinistra comunista, che lo resero uno dei capi storici della Sinistra Comunista Italiana, corrente anche detta bordighismo.

(Rights Reporter, 11 dicembre 2025)

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Israele: “La Jihad islamica sa dov’è il corpo di Ran Gvili”

di Luca Spizzichino

Israele ha respinto con fermezza l’affermazione della Jihad islamica palestinese secondo cui il gruppo non sarebbe più in possesso di ostaggi, sostenendo che l’organizzazione dispone di informazioni decisive sulla sorte di Ran Gvili, l’ultimo ostaggio israeliano morto ancora trattenuto nella Striscia di Gaza. Martedì la Jihad islamica, responsabile della detenzione di diversi ostaggi, ha dichiarato in un comunicato di non avere più alcun prigioniero. Una versione immediatamente smentita da fonti israeliane, che, secondo i media ebraici, hanno reagito con durezza, affermando che membri del gruppo terroristico conoscono l’ubicazione dei resti di Gvili. Secondo Channel 12, funzionari israeliani hanno definito l’annuncio della Jihad islamica “inaccettabile”, riferendo di nuove informazioni d’intelligence condivise da Gal Hirsch, coordinatore governativo per la questione degli ostaggi, che indicherebbero possibili luoghi in cui si troverebbe il corpo del poliziotto.
“Consideriamo le dichiarazioni della Jihad islamica con estrema gravità e non le accettiamo in alcun modo”, avrebbe detto Hirsch ai Paesi mediatori del cessate il fuoco a Gaza. “Qualcuno all’interno della Jihad islamica sa dov’è Ran”.
Il ritorno delle sue spoglie è considerato un passaggio chiave per consentire il passaggio alla seconda fase della tregua, che dovrebbe aprire a un nuovo assetto di sicurezza e governance a Gaza. In base agli accordi entrati in vigore due mesi fa, infatti, Hamas è tenuto a restituire tutti gli ostaggi. Israele sostiene che l’organizzazione possa fare di più per localizzare il corpo di Gvili e, secondo Ynet, Hirsch ha fornito ai mediatori fotografie aeree, oltre ai nomi di funzionari che potrebbero essere a conoscenza della sua posizione. “Non ci fermeremo finché non verrà riportato indietro per una sepoltura ebraica”, ha dichiarato Hirsch secondo Channel 12. “Il ritorno di Rani non è una questione tattica, ma un elemento centrale per l’attuazione e il progresso dell’accordo”. Le difficoltà nel recupero dei resti di Gvili rappresentano uno dei principali ostacoli all’avvio della seconda fase della tregua. Secondo il piano in 20 punti proposto dal presidente statunitense Donald Trump, questa fase prevedrebbe il dispiegamento di una forza multinazionale a Gaza, affiancata da un comitato palestinese a carattere tecnocratico, il ritiro graduale dell’IDF e il disarmo di Hamas.
Intanto, le ricerche del corpo di Gvili proseguono. Nitzan Alon, generale di divisione in riserva e già responsabile militare dei negoziati sugli ostaggi, ha dichiarato a Ynet che Hamas sta affrontando “difficoltà oggettive” nel localizzare i resti, ma che il recupero rimane possibile.
“Crediamo che sia possibile riportarlo a casa”, ha affermato. “C’è un legame diretto tra la pressione esercitata su Hamas e i risultati. Non possiamo arrenderci”. Le operazioni di ricerca condotte lunedì nel quartiere di Zeitoun, nel nord di Gaza City, non hanno però dato esito, e secondo Maariv le attività sono state sospese mercoledì a causa delle forti piogge.
La famiglia Gvili continua a chiedere che gli sforzi non vengano interrotti. “Siamo all’ultimo tratto e dobbiamo essere forti, per Rani, per noi e per Israele”, ha detto la madre Talik Gvili. “Senza Rani, il nostro Paese non può guarire”. Alla domanda se Israele potesse procedere comunque con i colloqui sul futuro di Gaza, la risposta della madre è stata netta: “In nessun modo. Non lo permetteremo”. E alla dichiarazione della Jihad islamica, il padre di Ran, Itzik Gvili, ha risposto senza esitazioni: “No. Non ci credo”.

(Shalom, 11 dicembre 2025)
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“Senza Rani, il nostro Paese non può guarire”. Perfetto. Suggerimento per Hamas: continuate a trattenere il corpo di Rani e impedirete a Israele di guarire. Se non è così, siamo alle solite: le famiglie degli uccisi da Hamas reagiscono attaccando il governo di Israele. M.C.

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 37
    Costruzione dell'arca
  • Poi Besaleel fece l'arca di legno di acacia; la sua lunghezza era di due cubiti e mezzo, la sua larghezza di un cubito e mezzo, e la sua altezza di un cubito e mezzo. E la rivestì d'oro puro di dentro e di fuori, e le fece una ghirlanda d'oro che le girava attorno. E fuse per essa quattro anelli d'oro, che mise ai suoi quattro piedi: due anelli da un lato e due anelli dall'altro lato. Fece anche delle stanghe di legno di acacia, e le rivestì d'oro. E fece passare le stanghe per gli anelli ai lati dell'arca per portare l'arca.

    Il propiziatorio
  • Fece anche un propiziatorio di oro puro; la sua lunghezza era di due cubiti e mezzo, e la sua larghezza di un cubito e mezzo. E fece due cherubini d'oro; li fece lavorati al martello, alle due estremità del propiziatorio: un cherubino a una delle estremità, e un cherubino all'altra; fece in modo che questi cherubini uscissero dal propiziatorio alle due estremità. E i cherubini avevano le ali spiegate in alto, in modo da coprire il propiziatorio con le ali; avevano la faccia rivolta l'uno verso l'altro; le facce dei cherubini erano rivolte verso il propiziatorio.

    La tavola
  • Fece anche la tavola di legno di acacia; la sua lunghezza era di due cubiti, la sua larghezza di un cubito, e la sua altezza di un cubito e mezzo.  La rivestì d'oro puro e le fece una ghirlanda d'oro che le girava attorno.  E le fece intorno una cornice alta quattro dita; e a questa cornice fece tutto intorno una ghirlanda d'oro. E fuse per essa quattro anelli d'oro; e mise gli anelli ai quattro angoli, ai quattro piedi della tavola. Gli anelli erano vicinissimi alla cornice per farci passare le stanghe destinate a portare la tavola. E fece le stanghe di legno di acacia, e le rivestì d'oro; esse dovevano servire a portare la tavola. Fece anche, d'oro puro, gli utensili da mettere sulla tavola: i suoi piatti, le sue coppe, le sue tazze e i suoi calici da servire per le libazioni.

    Il candelabro
  • Fece anche il candelabro d'oro puro; fece il candelabro lavorato al martello, con il suo piede e il suo tronco; i suoi calici, i suoi pomi e i suoi fiori erano tutti di un pezzo con il candelabro. Gli uscivano sei bracci dai lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall'altro; su uno dei bracci vi erano tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore; e sull'altro braccio, tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore. Lo stesso per i sei bracci uscenti dal candelabro. E nel tronco del candelabro vi erano quattro calici in forma di mandorla, con i loro pomi e i loro fiori. E c'era un pomo sotto i due primi bracci che partivano dal candelabro; un pomo sotto i due seguenti bracci che partivano dal candelabro, e un pomo sotto i due ultimi bracci che partivano dal candelabro; così per i sei rami che uscivano dal candelabro. Questi pomi e questi bracci erano tutti di un pezzo con il candelabro; il tutto era di oro puro lavorato al martello. Fece pure le sue lampade, in numero di sette, i suoi smoccolatoi e i suoi porta smoccolatoi, d'oro puro. Per fare il candelabro con tutti i suoi utensili impiegò un talento d'oro puro.

    L'altare dei profumi
  • Poi fece l'altare dei profumi, di legno di acacia; la sua lunghezza era di un cubito; e la sua larghezza di un cubito; era quadrato, e aveva un'altezza di due cubiti; i suoi corni erano tutti di un pezzo con esso. E lo rivestì d'oro puro: la parte di sopra, i suoi lati tutto intorno, i suoi corni; e gli fece una ghirlanda d'oro che gli girava attorno. Gli fece pure due anelli d'oro, sotto la ghirlanda, ai suoi due lati; li mise ai suoi due lati per passarvi le stanghe che servivano a portarlo. E fece le stanghe di legno di acacia, e le rivestì d'oro.

    L'olio santo e il profumo
    Poi fece l'olio santo per l'unzione e il profumo fragrante, puro, secondo l'arte del profumiere.

    (Notizie su Israele, 10 dicembre 2025)


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“La guerra con la Siria è inevitabile”, afferma Amichai Chikli

La sua dichiarazione accompagnava un video che mostrava soldati dell'esercito siriano che cantavano: “Gaza, Gaza, il nostro grido di battaglia, vittoria e determinazione, notte e giorno”

Il ministro israeliano della Diaspora e della Lotta contro l'antisemitismo, Amichai Chikli, ha pubblicato martedì sera su X che una guerra con la Siria è “inevitabile”. La sua dichiarazione era accompagnata da un video che mostrava soldati dell'esercito siriano che cantavano durante le celebrazioni per un anno dalla caduta di Assad: “Gaza, Gaza, il nostro grido di battaglia, vittoria e determinazione, notte e giorno”.
Questa dichiarazione arriva dopo che il quotidiano saudita ASharq Al-Awsat ha riportato che il primo ministro Netanyahu avrebbe rifiutato di firmare un accordo di sicurezza con la Siria a margine dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre. L'ufficio del primo ministro ha smentito, affermando che ci sono stati contatti sotto l'egida degli Stati Uniti, ma che non è mai stato concluso alcun accordo con la Siria.
Tuttavia, una fonte damascena coinvolta nei dettagli ha confidato a N12 che “la versione finale dell'accordo è quasi pronta” e si trova nelle sue fasi finali. “È solo questione di tempo prima che si possa arrivare a una svolta. La forma concreta che assumerà l'accordo è attualmente all'ordine del giorno”, ha precisato.
A Damasco, la caduta di Assad è stata celebrata con parate militari, elicotteri che sorvolavano la capitale e convogli di soldati per le strade. Ma dietro i festeggiamenti del regime di Al-Sharaa, le minoranze siriane esprimono profonde preoccupazioni per il futuro.
Una residente alauita della regione costiera siriana ha dichiarato a N12: "Oggi, a mio avviso, le relazioni con Israele nella Siria attuale sono solo un modo per guadagnare tempo, in tutta onestà. È un tentativo di rimandare il confronto, reclutare sostenitori estremisti e preparare il terreno per eventi tragici, simili a quelli del 7 ottobre".
Una settimana fa, il presidente americano Donald Trump ha messo in guardia Israele da azioni che potrebbero danneggiare lo sviluppo della Siria, invitandolo a promuovere il dialogo con il governo di Ahmed Al-Sharaa. Questa dichiarazione su Truth Social è stato il primo messaggio pubblico americano a Israele dopo l'incidente avvenuto due settimane fa in Siria, durante il quale venti siriani sono stati uccisi in un bombardamento dell'esercito israeliano. Secondo un alto funzionario americano, la condotta israeliana in Siria danneggia gli sforzi americani per promuovere un accordo di sicurezza tra i due paesi.

(i24, 10 dicembre 2025)

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Voci dal Medio Oriente per un futuro di pace

Il convegno dell’Associazione Cristiani per Israele

di Emanuel Segre Amar 

L’Associazione Cristiani per Israele, guidata da Edda Fogarollo, ha organizzato lunedì a Roma uno straordinario convegno intitolato “Voci – Dal Medio Oriente per un futuro di pace”; moderati da Ruben Della Rocca, hanno parlato importanti oratori, molti dei quali purtroppo poco conosciuti in Italia.
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Dopo i saluti dell’Ambasciatore di Israele Jonathan Peled e di alcuni parlamentari, Fiamma Nirenstein ha ricordato che a Betlemme – città abbandonata dalla maggioranza della popolazione cristiana da quando Israele si è ritirata – è ricominciata la celebrazione del Natale che era stata interrotta da due anni per volontà di Hamas. Gesù era ebreo, e l’antisemitismo non riguarda solo noi ebrei. “Fate dire ai vostri preti e pastori che l’antisemitismo è un crimine”, ha esclamato. È difficile immaginare il prossimo futuro con Qatar e Turchia che “giocano sporco”, ma solo Israele potrà disarmare Hamas. E dopo aver ringraziato Trump che ha aiutato a riportare i rapiti a casa, Fiamma ha chiuso affermando che “la Resistenza siamo noi, non Hamas”.
Per Mordechai Kedar, “alla base di qualsiasi accordo politico ci deve essere il riconoscimento reciproco; Israele non può riconoscere Hamas, Hezbollah, gli Houthi e l’Iran dopo il 7 ottobre, così come nessuno di questi riconoscerebbe mai il diritto di esistere di Israele”. Il suo pensiero è stato subito messo in chiaro.
La guerra dell’informazione è perduta perché il Qatar, nemico dell’Occidente e non solo di Israele, supporta i Fratelli Musulmani con le armi, con lo Jihad e attraverso il BDS, lo spettacolo, lo sport, gli incendi nelle chiese e l’immigrazione. Soltanto a Washington 120 giornalisti lavorano per Al Jazeera: sono tutti veri giornalisti? si chiede. E lo erano forse tutti quelli che Israele ha ucciso a Gaza?
Il Qatar col denaro ha acquistato il diritto di organizzare i Mondiali FIFA. Nonostante i numerosi casi di corruzione accertati e i tanti lavoratori morti nei cantieri, è riuscito a bloccare qualsiasi inchiesta sul suo conto.
Quella di genocidio non è neppure l’accusa peggiore rivolta a Israele; si torna anche “all’accusa del sangue per festeggiare la Pasqua”. Tutto iniziò con la Primavera Araba, che incendiò molte nazioni arabe: “L’Islam è venuto per cancellare le altre due religioni”, e cristiani ed ebrei sono tollerati solo dietro il pagamento di una tassa speciale, la jizya. Ma gli ebrei, che non sono considerati un popolo, non hanno diritto a uno Stato. Lo stesso riconoscimento trumpiano di Gerusalemme come Capitale è visto come una “minaccia teologica”.
Il 9 aprile 2023 Kedar previde in un suo noto articolo, come ha ricordato il moderatore Della Rocca, l’attacco voluto dall’Iran, e ha spiegato che questo avrebbe dovuto essere scatenato da tutti i proxy insieme, ma fu poi anticipato da Hamas. Per lo Jihad, però, c’è sempre tempo per colpire di nuovo: l’Oceano Atlantico è stretto, e un giorno tutti, europei e americani, comprenderanno che non è la “bella vita” che ai palestinesi, arricchiti dal Qatar, interessava, pur riconoscendo che non tutti i musulmani, e gli Emirati Arabi Uniti in particolare, ragionano così.
Per l’Ambasciatore israeliano Bahia Mansour, di etnia drusa, l’ONU poté cancellare la risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo 16 anni dopo averla approvata; oggi ciò sarebbe impossibile con il Qatar che controlla tutto grazie alle sue enormi disponibilità finanziarie.
Pochi giorni fa il Papa è andato in Turchia a parlare di pace alle minoranze, ma queste sono in pericolo ovunque. Al-Jawlani, che ha ucciso milioni di cristiani e alawiti e costretto molti drusi a fuggire dopo i recenti massacri, riceve aiuti dall’Occidente che invece dovrebbe guardarsi dal pericolo jihadista che ha al suo interno. Anche per Mansour, il pericolo viene da Qatar e Turchia (lui stesso non poté parlare a Harvard, dove alcuni studenti furono pagati per impedirgli di entrare nell’Università).
Molti drusi sono caduti per difendere Israele – il pericolo per loro è lo stesso che portò suo nonno ad essere ucciso dagli arabi nel 1936, appena arrivato nel nord di Israele – ma nelle città da loro guidate le diverse credenze convivono senza problemi.
Il giornalista Ben-Dror Yemini ha ricordato il lavaggio del cervello operato da Hamas che diffonde bugie da oltre 10 anni e ha anticipato che in un suo prossimo articolo ne parlerà nei dettagli. Ha spiegato che rimprovera gli studenti che incontra nelle università per l’applicazione di un “doppio standard” quando parlano di Israele “in quanto è antidemocratico”.
Israele si sta riprendendo dal trauma subìto; ovviamente tutte le critiche sono lecite, ma non è lecito negare il diritto di Israele a esistere. La gente ignora quasi tutto dello Jihad, del mondo musulmano – le cui vittime sono al 90% causate da loro stessi – e del desiderio di conquistare Roma. Eppure, quando si critica Israele, l’Occidente, ignorante, rimane bendato di fronte al pericolo.
Lion Udler si è soffermato sul rischio del terrorismo iraniano in Occidente parlando degli attentati sventati con l’aiuto del Mossad, ed ha spiegato come dall’Iran vengono reclutati e utilizzati musulmani e simpatizzanti di sinistra.
Questo convegno, davvero utile, si è concluso con l’intervento del reverendo Willem Glashouwer, che ha tenuto un discorso di grande interesse teologico, parzialmente confrontandosi col reverendo Jules Gomes. Ha ricordato che gli ebrei ricevettero una promessa eterna dal Signore che nessun uomo può cancellare: non possono cancellarla i musulmani, che si sono appropriati del Monte del Tempio, e nemmeno la Chiesa cattolica che dimentica che lo stesso Vangelo fu scritto da ebrei, e che sono solo loro che hanno pieno diritto sul Monte del Tempio. Entrambi si augurano che anche la Chiesa cattolica faccia quel passo necessario per poter arrivare davvero, un giorno, alla pace. Noi ebrei non possiamo che ringraziare il mondo evangelico per questa grande vicinanza a Israele e a noi tutti

(HaKol, 10 dicembre 2025)

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Cresce l’arruolamento tra drusi, beduini e cristiani arabi in Tzahal

di Nina Prenda

Negli ultimi mesi, l’esercito israeliano ha registrato un aumento significativo dell’arruolamento tra le comunità minoritarie del Paese, in particolare drusibeduini e cristiani arabi. Un fenomeno che riflette mutamenti profondi nella percezione dello Stato da parte di queste comunità e una crescente volontà di partecipare alla difesa nazionale.
Il colonnello Safi Ibrahim, ufficiale druso dell’esercito israeliano, racconta come i tragici eventi dello scorso luglio a Sweida, nel sud della Siria, abbiano avuto un effetto immediato e personale. Quando le milizie beduine e druse si sono scontrate, alcuni membri della comunità drusa israeliana hanno attraversato il confine per proteggere i parenti rimasti coinvolti. Per Ibrahim, quella missione militare ha rappresentato una fusione tra servizio e identità: “Proteggere le vite e difendere la tua gente ti fa sentire come se avessi fatto qualcosa di veramente importante e prezioso. È un grande orgoglio”, racconta al Times Of Israel.
L’esperienza di Sweida, unita al trauma nazionale del massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, ha accelerato un cambiamento culturale significativo. Tra i drusi delle alture del Golan l’arruolamento nell’IDF è aumentato in maniera impressionante. Secondo Ibrahim, la motivazione attuale è sei volte superiore rispetto al passato.
“Poco dopo l’inizio della guerra, abbiamo visto una volontà tra la popolazione locale di difendersi e unirsi alle riserve. Ora li vedi in uniformi IDF nei loro villaggi – qualcosa che erano riluttanti a fare in precedenza”, spiega il colonnello, ricordando anche l’attacco missilistico di agosto 2024 a Majdal Shams, che costò la vita a 12 bambini.
Il fenomeno non riguarda solo i drusi. L’arruolamento tra i beduini rimane alto, con oltre il 60% dei giovani in ruoli di combattimento, mentre tra i cristiani arabi si registra un aumento triplo rispetto all’anno precedente. Tra i musulmani non beduini, pur essendo numericamente ancora limitato, si osserva un interesse crescente da città come NazarethRamla e Sakhnin.
Ibrahim sottolinea come gli eventi recenti abbiano trasversale impatto su tutte le comunità: “Non importa da quale gruppo minoritario vieni, tutti hanno visto la crudeltà del 7 ottobre e si sono resi conto che al nemico non importava se fosse una donna beduina con un velo o un ebreo da un kibbutz”.
Nonostante la crescita, il numero complessivo di minoranze arruolate resta basso. Si ritiene che i musulmani abbiano solo poche dozzine di soldati e i cristiani poche centinaia.
Negli ultimi due anni, Ibrahim ha guidato la creazione di cinque accademie militari dedicate a preparare i giovani drusi a un “servizio significativo”, con particolare attenzione ai ruoli di combattimento e alle unità speciali. Una missione che affonda le radici nella tradizione familiare: tutti e cinque i fratelli di Ibrahim hanno prestato servizio attivo, quattro dei quali come comandanti, incluso il fratello maggiore, Brig. Gen. Hisham Ibrahim, capo dell’amministrazione civile in Giudea e Samaria.
“Abbiamo preso forza da nostra madre. Ci ha sempre dato fiducia che ciò che deve accadere, accade”, ricorda. E conclude: “La nostra fede come druso ci spinge ad assumere il servizio di combattimento”.

(Bet Magazine Mosaico, 10 dicembre 2025)

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La sua debolezza è la sua forza

Come Gedeone divenne un eroe e continua ancora oggi a influenzare l'esercito israeliano.

di Anat Schneider

Nel centro di addestramento per ufficiali vicino a Mitzpe Ramon c'è un enorme cartello con la scritta: “Guardate me e fate quello che faccio” (Giudici 7,17). Sotto questo motto di Gedeone, gli ufficiali dell'IDF giurano fedeltà all'esercito e allo Stato di Israele.
  E in effetti vediamo che Gedeone ha ancora oggi una grande influenza e ispirazione per il progetto sionista e le lotte del nostro tempo:

  • 1913 L'organizzazione clandestina N.I.L.I. all'inizio si chiamava “Gideoniti”.
  • 1938 I commando notturni furono chiamati “truppe di Gedeone”.
  • 1948 Il battaglione Golani fu chiamato “battaglione di Gedeone”.
  • 1990 L'unità di polizia sotto copertura è chiamata “unità Gideonim”.
  • 2025 L'operazione a Gaza è stata chiamata “il carro di Gedeone”.

Anche coloro che vivevano ai tempi di Gedeone lo consideravano un grande giudice. Era l'unico che i suoi contemporanei volevano eleggere re (Giudici 8:22). Gedeone è un personaggio affascinante che attraversa una trasformazione per diventare un guerriero e un modello fino ai giorni nostri. Attraversa anche un processo mentale che solleva interrogativi e in questo articolo cercheremo di ripercorrere il suo viaggio.
  La valle di Jesreel era una zona molto importante. Separava le tribù settentrionali e meridionali di Israele. Se i nemici avessero preso il controllo della valle, l'unità tra le tribù sarebbe stata distrutta. Pertanto, la zona aveva una grande importanza strategica. Durante il periodo dei giudici, in questa valle si svolsero tre grandi battaglie: Debora contro Sisera sul monte Tabor, Gedeone contro Madian a Givat Hamorah e il re Saul a Gilboa. Tutte avevano lo scopo di proteggere la valle adiacente e unire le tribù di Israele.

Una guerra strana
   La guerra di Gedeone contro i Madianiti è molto strana, poiché egli porta con sé solo 300 guerrieri. I Madianiti erano così numerosi che Giudici 7,12 li paragona a uno sciame di locuste e avevano innumerevoli cammelli. A tarda notte, i trecento circondano l'accampamento, rompono le brocche, suonano i corni e alzano le torce accese. Funziona perfettamente. I Madianiti sono presi dal panico e non sanno chi sia amico e chi nemico. Molti si uccidono a vicenda, l'intero esercito fugge. Così Gedeone ottiene una delle più grandi vittorie del popolo d'Israele. Cosa gli aveva fatto credere che quel piccolo numero di guerrieri e quella strana azione con le torce e i corni avrebbero sconfitto il potente esercito?
  Le parole paura, preoccupazione e inquietudine sono parole chiave nella storia di Gedeone e descrivono lo stato degli Israeliti ai suoi tempi.
  Il popolo d'Israele è in difficoltà e teme i suoi nemici. Grida a Dio. Dio lo ascolta e sceglie Gedeone della tribù di Manasse come giudice. Ci si potrebbe aspettare di incontrare un guerriero dalla forte volontà, pronto a combattere contro i Madianiti e a sconfiggerli. Invece incontriamo un semplice contadino che mette alla prova l'angelo di Dio più volte per assicurarsi che questa sia davvero la sua vocazione. Nel corso della storia, Gedeone si rivela un uomo timoroso. Allo stesso tempo, però, impariamo a conoscere la sua personalità. È sensibile a ciò che il popolo ha nel cuore.
  Gedeone mette alla prova l'angelo di Dio, dimostrando la sua grande paura. Anche dopo aver accettato di assumere la guida, poco prima della battaglia mette alla prova anche Dio stesso in modo molto strano: «Metterò un vello di lana sull'aia. Se durante la notte la rugiada cadrà sul vello e lo bagnerà, ma tutto il terreno rimarrà asciutto, allora saprò che Dio è con me».
  Dio fa proprio questo. Al mattino Gedeone strizza il vello, mentre il resto del terreno è asciutto. La prova è superata. Ma questo non gli basta. Chiede a Dio un altro segno e lo mette nuovamente alla prova. Questa volta vuole che la rugiada bagni tutto il terreno, ma che il vello rimanga asciutto. E così avviene.
  Poi arriva il momento della battaglia. Al culmine della storia, Gedeone si trova a Ein Harod, dove la paura, l'inquietudine e la preoccupazione sono ancora presenti. Anche il nome del luogo suggerisce paura. Ein Harod significa “fonte di paura e inquietudine”. E qui c'è un'altra prova affascinante prima di andare in battaglia. Dio dice a Gedeone che ha troppi guerrieri al suo fianco e che, se la situazione rimane così, i guerrieri si vanteranno della loro vittoria e dimenticheranno che la vittoria viene da Dio. Ordina a Gedeone di ridurre il numero dei soldati. Come? Gedeone dice ai suoi soldati che chiunque abbia paura della battaglia deve andare sul monte Gilead e osservare la battaglia dall'alto. Riuscite a immaginare una situazione del genere oggi? Che poco prima di una battaglia decisiva in Israele arrivi il capo di stato maggiore e congedi dalla battaglia tutti coloro che non sono in grado di combattere? Cosa sta succedendo qui?

Paura
   Dio, che conosce i cuori, parla a Gedeone nello stesso linguaggio emotivo a lui familiare. Gli ordina di dire a tutti coloro che «hanno paura e sono spaventati» (Giudici 7:3) di lasciare il campo di battaglia e di limitarsi a guardarlo. Essendo egli stesso un uomo timoroso e spaventato, Gedeone è in grado di immedesimarsi nei cuori delle persone e di comprenderle.
  Vediamo che le parole “paura” e “timore” sono parole chiave in questa storia: gli Israeliti hanno paura e si rifugiano nelle caverne; Gedeone trebbia il grano nel torchio e teme Madian; Gedeone ha paura della missione e chiede all'angelo un segno; Gedeone ha paura degli uomini della sua città; la prima prova con il vello; la seconda prova con il vello; il licenziamento dei soldati timorosi a Ein Harod.
  La paura permea l'intera storia. La paura è un sentimento molto umano e naturale. Ma la paura può degenerare in terrore, e questo è molto peggio. Qual è la differenza tra paura e terrore? La paura non è qualcosa di negativo; è come un segnale di allarme che ci protegge, ci rende cauti e ci fa vedere chiaramente la realtà. In ebraico, le parole paura e impulso hanno le stesse lettere, il che significa che la paura può diventare un impulso e spingerci avanti.
  Per paura intendo un timore che domina la nostra vita e ci rende incapaci di agire. Una sensazione esistenziale di essere vicini alla morte. Gedeone, che capisce cos'è la paura, congeda il popolo dalla battaglia. E il modo in cui lo fa lo rende degno di essere preso a modello dall'esercito israeliano ancora oggi. Non dice ai soldati di tornare a casa. Dice loro: “Lasciate andare il popolo, ognuno al proprio posto”, come se dicesse loro: “Ho bisogno di voi, ma per un altro compito”.
  Una delle misure adottate oggi dall'esercito israeliano in combattimento è che anche se qualcuno soffre di shock da combattimento o di un trauma, non viene congedato dal servizio, ma gli viene assegnato un altro compito, in modo che continui a sentirsi importante e parte integrante del gruppo. Gli viene offerta una via d'uscita onorevole, affinché non rimanga con un senso di vergogna o umiliazione. Questo fa parte del processo di guarigione della persona.

La prova dell’acqua
   Anche dopo che Gedeone ha mandato via i soldati timorosi, sono ancora troppi. Dio gli ordina di effettuare un'altra prova a Ein Harod, la “prova dell'acqua”. I guerrieri scendono alla fonte. Lì devono bere l'acqua. La stragrande maggioranza dei guerrieri si inginocchia e beve dalla fonte. Al contrario, c'è una minoranza che si limita a leccare l'acqua dalla mano senza inginocchiarsi.
  Coloro che leccano senza inginocchiarsi vengono scelti da Dio e Gedeone per la battaglia. 300 soldati. Perché proprio loro? Il secondo capo di stato maggiore dello Stato di Israele, Yigal Yadin, disse che queste persone si erano dimostrate più diffidenti e caute. Coloro che si inginocchiavano dovevano mettere da parte le armi ed esporsi al pericolo di un incontro con il nemico, mentre coloro che leccavano si comportavano come un uccello che beve e guarda continuamente a destra e a sinistra. Anche Gedeone è diffidente e cauto; e poiché conosce se stesso, decide di portare con sé quelli che sono come lui, quelli che secondo lui hanno il potenziale per trasformare la debolezza in forza.
  Poi arriva la notte della battaglia. Dio sa che Gedeone è ancora preoccupato. Per questo gli dà un'altra possibilità di superare i suoi timori e gli dice che, se vuole, può scendere di nascosto nell'accampamento dei Madianiti per ascoltare di cosa parlano. È la nona (e ultima) volta che la paura e la preoccupazione compaiono nella sua storia.

La prova del sogno
   Gedeone entra coraggiosamente nell'accampamento nemico, si nasconde e sente un madianita raccontare al suo amico un sogno in cui una pagnotta rotola attraverso l'accampamento dei Madianiti e rovescia la tenda. L'amico gli interpreta il sogno e dice che il pane è Gedeone (il contadino). E i Madianiti sono i pastori, simboleggiati dalla tenda. Il pane rotola giù e distrugge la tenda.
  Gedeone capisce che l'accampamento dei Madianiti ha paura della battaglia, ed è proprio questo che deve sentire per superare la sua paura e agire. In quel momento capisce profondamente il nemico e sa che, così come la paura è la sua debolezza, lo è anche quella dei suoi nemici.
  L'uomo con la grande paura, Gedeone, che comprende la paralisi causata dalla paura, ora sa cosa fare. Così la debolezza di Gedeone diventa la sua forza.
  Attraverso questa storia vengono rivelate le sue altre qualità: sa come spiare. Ma ancora più importante è che sa cosa fare con le informazioni che ha ottenuto; e da ciò nasce l'idea geniale delle brocche vuote, delle torce e dei corni. Da quel momento in poi, Gedeone agisce con grande fiducia nel fatto che Dio ha consegnato i Madianiti nelle loro mani, e le sue paure e preoccupazioni scompaiono.

La battaglia
   Gedeone divide il suo esercito in tre gruppi di 100 soldati ciascuno. C'è una via di fuga aperta per scacciare i Madianiti. Nell'antichità, il corno e la torcia erano in possesso del comandante (cfr. il libro di Neemia). In altre parole: quando il nemico sentì lo shofar e vide la torcia, concluse che si trattava del comandante con lo shofar e che dietro di lui c'erano migliaia di guerrieri.
  La genialità del piano di Gedeone era che quando i Madianiti si svegliarono nel cuore della notte per il forte rumore delle brocche che si rompevano, non videro 300 uomini davanti a loro. Dal loro punto di vista, videro 300 torce e furono certi di essere circondati da migliaia di nemici. Presi dal panico e dalla confusione, cominciarono a pugnalarsi a vicenda con le spade. E così 300 soldati israeliani sconfissero 135.000 nemici (Giudici 8:10).
  Gedeone, che trasformò il suo svantaggio in un vantaggio, è ancora oggi una figura venerata. Più impariamo a conoscere Gedeone e più scopriamo le sfaccettature del suo carattere, più riconosciamo chiaramente le qualità che contraddistinguono ogni grande leader. Gedeone è attento alle esigenze del suo popolo. È il padre delle battaglie notturne. Ha una grande forza morale. Ha sviluppato la strategia militare dei pochi contro i molti. È un modello da seguire. È equilibrato e cauto. Si prende cura dei suoi soldati e dei loro sentimenti. Si prende cura di se stesso. Conosce e accetta le sue paure e impara a controllarle e a superarle. Ma la cosa più importante è che segue la voce di Dio.
  Nel corso del suo viaggio, Gedeone incontra persone che lo accompagnano e gli sono fedeli. Parte del suo superamento della paura consiste nel sapere di far parte di qualcosa di molto più grande di lui.

Eroi tra il popolo
   Questo si può osservare ancora oggi tra i combattenti in Israele. Si pensi al 7 ottobre 2023. Gli eroi si sono levati come mai prima d'ora nella storia del popolo. Hanno capito che la vita della popolazione civile era in pericolo mortale e che era della massima importanza proteggerla. Molti hanno deciso di partecipare al salvataggio delle persone e hanno trovato in se stessi la forza di superare la paura e la preoccupazione. Alcuni hanno persino agito di propria iniziativa nel caos che regnava quel giorno.
  L'ultima operazione a Gaza porta il nome di “Gideon's Chariot”, che sottolinea l'influenza di Gideon sulla leadership politica e militare. Basta guardare come opera l'aviazione israeliana per capire che i nostri leader, i vecchi combattenti, continuano a influenzarci ancora oggi.
  “Guardate me e fate quello che faccio” è da generazioni un motto dello Stato di Israele e delle forze armate israeliane. Con questo slogan, l'IDF forma i grandi guerrieri del popolo di Israele, rendendo Gedeone un comandante rilevante ancora oggi.

(Israel Heute, 10 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 36
  • Besaleel e Ooliab e tutti gli uomini abili, nei quali l'Eterno ha messo sapienza e intelligenza per saper eseguire tutti i lavori per il servizio del santuario, faranno ogni cosa secondo quanto l'Eterno ha ordinato”.

    Generosità del popolo
  • Mosè chiamò dunque Besaleel e Ooliab e tutti gli uomini abili nei quali l'Eterno aveva messo intelligenza, tutti quelli che il cuore spingeva ad applicarsi al lavoro per eseguirlo; ed essi presero da Mosè tutte le offerte portate dai figli d'Israele per i lavori destinati al servizio del santuario, per eseguirli. Ma ogni mattina i figli d'Israele continuavano a portare a Mosè delle offerte volontarie. Allora tutti gli uomini abili che erano occupati in tutti i lavori del santuario, lasciato ognuno il lavoro che faceva, vennero a dire a Mosè: “ Il popolo porta molto più di quello che occorre per eseguire i lavori che l'Eterno ha comandato di fare”. Allora Mosè diede quest'ordine, che fu bandito per il campo: “Né uomo né donna faccia più nessun lavoro come offerta per il santuario”. Così si impedì che il popolo portasse altro. Poiché la roba già pronta bastava a fare tutto il lavoro, e ve n'era di avanzo.

    Costruzione del tabernacolo
  • Tutti gli uomini abili, fra quelli che eseguivano il lavoro, fecero dunque il tabernacolo di dieci teli, di lino fino ritorto, e di filo color violaceo, porporino e scarlatto, con dei cherubini artisticamente lavorati. La lunghezza di un telo era di ventotto cubiti; e la larghezza, di quattro cubiti; tutti i teli erano della stessa misura. Cinque teli furono uniti assieme, e gli altri cinque furono pure uniti assieme.
  • Si fecero dei nastri di colore violaceo all'orlo del telo che era all'estremità della prima serie di teli; e lo stesso si fece all'orlo del telo che era all'estremità della seconda serie. Si misero cinquanta nastri al primo telo, e cinquanta nastri all'orlo del telo che era all'estremità della seconda serie: i nastri corrispondevano l'uno all'altro. Si fecero pure cinquanta fermagli d'oro, e si unirono i teli l'uno all'altro mediante i fermagli; e così il tabernacolo formò un tutto unico.
  • Si fecero inoltre dei teli di pelo di capra, che servivano da tenda per coprire il tabernacolo: di questi teli se ne fecero undici. La lunghezza di ogni telo era di trenta cubiti; e la larghezza, di quattro cubiti; gli undici teli avevano la stessa misura. E si unirono insieme, da una parte, cinque teli, e si unirono insieme, dall'altra parte, gli altri sei. E si misero cinquanta nastri all'orlo del telo che era all'estremità della prima serie di teli, e cinquanta nastri all'orlo del telo che era all'estremità della seconda serie. E si fecero cinquanta fermagli di bronzo per unire assieme la tenda, in modo che formasse un tutto unico.
  • Si fece pure per la tenda una coperta di pelli di montone tinte di rosso e, sopra questa, un'altra di pelli di tasso. Poi si fecero per il tabernacolo le assi di legno di acacia, messe per diritto. La lunghezza di un'asse era di dieci cubiti, e la larghezza di un'asse, di un cubito e mezzo. Ogni asse aveva due incastri paralleli; così fu fatto per tutte le assi del tabernacolo.
  • Si fecero dunque le assi per il tabernacolo: venti assi dal lato meridionale, verso il sud; e si fecero quaranta basi d'argento sotto le venti assi: due basi sotto ogni asse per i suoi due incastri. E per il secondo lato del tabernacolo, il lato di nord, si fecero venti assi, con le loro quaranta basi d'argento: due basi sotto ogni asse.  E per la parte posteriore del tabernacolo, verso occidente, si fecero sei assi. Si fecero pure due assi per gli angoli del tabernacolo, dalla parte posteriore. Queste erano appaiate dal basso in alto e, al tempo stesso, formavano un tutto unico fino in cima, fino al primo anello. Così fu fatto per entrambe le assi, che erano ai due angoli. Vi erano dunque otto assi, con le loro basi d'argento: sedici basi: due basi sotto ogni asse.
  • E si fecero delle traverse di legno di acacia: cinque, per le assi di un lato del tabernacolo; cinque traverse per le assi dell'altro lato del tabernacolo, e cinque traverse per le assi della parte posteriore del tabernacolo, a occidente. E si fece la traversa di mezzo, in mezzo alle assi, per farla passare da una parte all'altra. E le assi furono rivestite d'oro, e furono fatti d'oro gli anelli per i quali dovevano passare le traverse, e le traverse furono rivestite d'oro.
  • Fu fatto pure il velo, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto con dei cherubini artisticamente lavorati; e si fecero per esso quattro colonne di acacia e si rivestirono d'oro; i loro chiodi erano d'oro; e per le colonne si fusero quattro basi d'argento.
  • Si fece anche per l'ingresso della tenda una portiera, di filo violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino ritorto, un lavoro di ricamo. E si fecero le sue cinque colonne con i loro chiodi; si rivestirono d'oro i loro capitelli e le loro aste; e le loro cinque basi erano di bronzo.

(Notizie su Israele, 9 dicembre 2025)


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Attacchi aerei israeliani nel sud del Libano.

Colpiti obiettivi di Hezbollah

di Sarah G. Frankl

Martedì l’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito infrastrutture appartenenti a Hezbollah in diverse zone del Libano meridionale, tra cui quello che ha descritto come un campo di addestramento utilizzato dalle forze Radwan del gruppo armato.
Nell’attacco sono state colpite anche strutture militari e una base di lancio appartenenti a Hezbollah, ha aggiunto l’esercito in una dichiarazione.
Gli attacchi sono avvenuti meno di una settimana dopo che Israele e Libano hanno inviato entrambi delegati civili a una commissione militare incaricata di monitorare il cessate il fuoco, un passo avanti verso la richiesta avanzata mesi fa dagli Stati Uniti affinché i due paesi amplino i colloqui in linea con l’agenda di pace in Medio Oriente del presidente Donald Trump.
Israele e Libano hanno concordato un cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti nel 2024 che ha posto fine a più di un anno di combattimenti tra Israele e Hezbollah. Da allora, si sono scambiati accuse di violazioni.
L’agenzia di stampa statale libanese NNA ha riferito che aerei da guerra israeliani hanno effettuato una serie di attacchi aerei contro diversi luoghi nel sud del Paese.

(Rights Reporter, 9 dicembre 2025)

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Servizio militare obbligatorio: dibattito sulla pace o dibattito sulla sopravvivenza?

Perché Israele e Germania discutono della stessa questione, ma su realtà completamente diverse.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Negli ultimi giorni mi sono occupato più volte dello sciopero scolastico dei giovani tedeschi contro un possibile servizio militare obbligatorio in Germania. Da una prospettiva israeliana, questo fenomeno sembra in un primo momento strano. Ma sapete una cosa? Anche da noi c'è un gruppo che, a modo suo, sta attuando uno sciopero scolastico simile contro il servizio militare: gli studenti ortodossi della yeshiva e della Torah. Per motivi religiosi, essi rifiutano di prestare servizio nell'esercito, mentre i loro fratelli dello stesso popolo sono in guerra. Su incarico dei loro rabbini, protestano contro la legge in progetto che dovrebbe porre fine a questa posizione speciale e includere anche gli studenti ortodossi nel servizio militare obbligatorio. Sui loro cartelloni si leggono slogan come:

  • “Preferiamo morire piuttosto che essere reclutati”,
  • “Preferisco che Hamas mi uccida piuttosto che diventare laico”,
  • “Non crediamo nel dominio dei miscredenti e non ci presentiamo nei loro uffici”,
  • “Meglio morire ultraortodossi che arruolarsi nell'esercito come israeliani laici” e persino:
  • “Stalin è qui”.

Se si confrontano questi slogan con quelli delle manifestazioni nelle città tedesche, anche lì emergono chiare linee ideologiche:

  • “Non siamo carne da cannone”,
  • “Il mio futuro mi appartiene”,
  • “Il vostro dovere – la nostra morte” e persino:
  • “Meglio vivere sotto il dominio di Putin che combattere”.

È interessante notare che in entrambi i casi viene utilizzato lo spettro di un russo, qui Stalin, là Putin.
A prima vista, i dibattiti sull'obiezione di coscienza in Israele e in Germania sembrano simili. In entrambi i paesi, alcuni gruppi invocano la propria coscienza per rifiutare il servizio militare. Ma la differenza fondamentale è più profonda: in Israele il servizio militare obbligatorio è una realtà, in Germania finora no. Soprattutto, però, non si tratta solo di posizioni politiche, ma di due categorie completamente diverse, l'esistenza contro l'ideale, la sopravvivenza contro la visione. Ed è proprio qui che per me sta il punto cruciale, anche se so che con questa affermazione potrei urtare la sensibilità di qualcuno. A mio avviso, entrambi i gruppi hanno torto. I giovani ortodossi invocano i comandamenti divini, i giovani tedeschi gli ideali umanistici. Entrambi agiscono per convinzione e, a mio avviso, entrambi sottovalutano la dura realtà del mondo in cui vivono. So che questa valutazione non è obiettiva. E so che con essa irriterò nuovamente alcuni.
In Israele, parte della società ultraortodossa rifiuta il servizio militare per convinzione religiosa. Essi non considerano lo studio della Torah come una forma di devozione privata, ma come uno scudo spirituale che protegge l'intero popolo. Nella loro teologia, non è l'esercito, ma Dio a proteggere Israele. Questo atteggiamento è però in drammatico contrasto con la realtà dello Stato, poiché Israele vive sotto una costante minaccia militare. Il servizio militare qui non è un dovere teorico, ma il presupposto concreto per la sopravvivenza fisica del Paese. Chi non presta servizio è comunque protetto da coloro che lo prestano; da ciò deriva la profonda frattura interna della società israeliana.
In Germania, invece, la protesta contro un possibile ritorno alla coscrizione obbligatoria nasce da una realtà completamente diversa. La Germania non è soggetta a una minaccia esistenziale immediata. La resistenza dei giovani si nutre di motivi pacifisti, etici e storici, del desiderio di superare fondamentalmente la violenza militare. Qui non si difende la propria esistenza, ma si formula un ideale morale, la pace come modello politico. Così come gli ebrei ortodossi credono che sia Dio a difendere il Paese e non l'esercito, i giovani tedeschi pensano che la pace e l'amore siano la difesa più efficace per la patria tedesca. La differenza è che Israele ha un esercito funzionante, mentre in Germania non ne sono così sicuro.
Da un punto di vista teologico, si scontrano due mondi di coscienza. In Israele l'argomento religioso è che il servizio a Dio protegge il popolo. In Germania l'argomento etico è che la rinuncia alla violenza protegge l'umanità. Entrambe sono convinzioni forti, ma si collocano in contesti storici completamente diversi. Il pacifismo tedesco è la voce di una distanza sicura, mentre l'obiezione di coscienza ortodossa in Israele è una decisione presa nel mezzo di una tempesta esistenziale. Entrambi gli atteggiamenti hanno qualcosa di decisivo in comune: rimangono passivi nel loro nucleo. Ma la fede che non agisce rimane inefficace. La fede in qualcosa deve essere attiva, altrimenti non si realizza. È proprio così che è nato lo Stato di Israele: gli ebrei non solo hanno creduto, ma hanno trasformato questa fede in storia, l'hanno organizzata, difesa, costruita, mettendo a rischio la propria vita. E questa fede attiva dovrebbe valere oggi per entrambi i gruppi, sia in Israele che in Germania. Perché con la preghiera e lo studio della Bibbia da soli non si vince una guerra. E con il pacifismo e l'umanesimo da soli non si difende un Paese. Per quanto nobili possano sembrare questi ideali, le guerre si vincono sul campo di battaglia.
È proprio qui che si manifesta la frattura politica: mentre in Germania nessuno si chiede seriamente chi dovrà difendere militarmente il Paese domani mattina, in Israele questa domanda è una realtà quotidiana. Per questo motivo, l'obiezione di coscienza non è percepita come una decisione individuale di coscienza, ma come una potenziale minaccia alla comunità. La categoria religiosa della fiducia in Dio si scontra direttamente con il dovere dello Stato di difendersi.
Ne consegue che in Germania il dibattito sul servizio militare obbligatorio è un dibattito sulla pace, mentre in Israele è un dibattito sulla sopravvivenza. Entrambi toccano la coscienza, ma non la stessa realtà. Ed è proprio qui che risiede la profonda tragicità del conflitto israeliano: la fede nella protezione divina e la responsabilità politica per la protezione umana non si completano a vicenda, ma sono in contrasto tra loro.

(Israel Heute, 9 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Cuori aperti: incontri commoventi con i sopravvissuti all'Olocausto ad Amburgo

I sopravvissuti alla Shoah non si trovano solo in Israele o in Ucraina. Vivono anche qui, proprio davanti alla nostra porta di casa. Molti hanno iniziato una nuova vita in Germania dopo la guerra. Dopo Francoforte, l'iniziativa “Bouquet di fiori” di “Christen an der Seite Israels” (CSI - Cristiani dalla parte di Israele) per i sopravvissuti all'Olocausto arriva ora anche nel nord, ad Amburgo.

di Raquel Schwärzler

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Nell'ambito della campagna di donazione di mazzi di fiori per i sopravvissuti all'Olocausto, i membri dello staff del CSI si sono recati ad Amburgo.

“Dobbiamo trasmettere le nostre storie alle giovani generazioni finché siamo ancora qui!” Marat, nato nel 1938 nella Moldavia settentrionale, indossa un elegante abito decorato con numerose medaglie sul petto. Una di queste gli è stata conferita come “eroe del lavoro”, le altre gli sono state assegnate ogni cinque anni dopo la fine della guerra. È uno dei sette sopravvissuti all'Olocausto che all'inizio di dicembre hanno trascorso con noi una mattinata speciale nella comunità ebraica di Amburgo.
Vivo ad Amburgo da molti anni e purtroppo finora non ho avuto molti contatti con la comunità ebraica. Grazie alla mia collaborazione con Christen an der Seite Israels (CSI), che coltiva un'amicizia crescente con l'ente centrale di assistenza sociale degli ebrei in Germania (ZWST), ho potuto conoscere per la prima volta più da vicino la vita ebraica nella mia città. Il luogo d'incontro nel cuore di Amburgo è una delle 27 strutture dello ZWST in cui gli anziani ebrei si riuniscono una volta al mese.
Per questa speciale prima volta ho subito invitato la mia rete locale. All'ultimo minuto abbiamo imparato alcune canzoni popolari ebraiche con la chitarra per regalare ai sopravvissuti un contributo musicale. Per i sopravvissuti all'Olocausto è stato molto significativo incontrare di persona dei giovani che dimostrano solidarietà e apprezzamento.
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Una dipendente del CSI, consegna un saluto floreale ad Anatoli.

Davanti a un caffè e a panini imbottiti, ognuno ha poi condiviso la propria storia personale in questo intimo circolo. Così anche Michail, 92 anni. Lui e la sua famiglia fuggirono da Kremenchug. Ricorda che i parenti più anziani all'epoca dicevano ancora che “i tedeschi erano brave persone” e che non c'era da aver paura di loro. Molti dei suoi parenti furono poi fucilati. Nel 1944 Michail tornò nella sua città natale, che era stata quasi completamente distrutta. La sua famiglia visse per un certo periodo con ben dodici persone in una sola stanza. Negli anni dopo la guerra scrisse poesie sull'Olocausto e tradusse poesie tedesche in russo. Ha ricevuto diversi premi per la sua opera letteraria.
Dopo il nostro incontro abbiamo organizzato una visita a domicilio. Mi ha commosso particolarmente il fatto che si sia svolta proprio nel quartiere in cui vivo da molti anni. A pochi minuti da casa mia vive Anatoli, un sopravvissuto al campo di sterminio di Pechora. Pechora era uno dei peggiori campi di sterminio della Transnistria occupata, dove furono deportati migliaia di ebrei e dove la maggior parte di loro morì di fame, freddo e malattie. Solo pochi sopravvissero. Una donna tedesca della Russia fece uscire clandestinamente dal campo Anatoli, sua madre e altre 20 donne ebree. In seguito fu tradita e fucilata.
Un collaboratore della comunità ebraica ci ha raccontato in seguito di essere rimasto sorpreso: alcuni dei sopravvissuti, che di solito parlano poco, quel giorno si sono espressi in modo insolitamente aperto. Che onore che ci abbiano aperto il loro cuore.

(Christen an der Seite Israels, 8 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Come viene riempito il lago di Tiberiade

Il coraggioso esperimento di Israele per la sicurezza idrica.

di Dov Eilon

Per decenni il lago di Tiberiade è stato il principale fornitore di acqua potabile per moltissime famiglie e utenti industriali. Il fabbisogno idrico è diventato sempre più elevato. Solo una generazione fa il lago era motivo di preoccupazione nel Paese. Il suo livello veniva costantemente monitorato con indicatori di allerta rossi, il cui superamento al ribasso rischiava di provocare un collasso ecologico. La siccità e lo sfruttamento eccessivo hanno messo a nudo la zona costiera. Campagne come “Israele si sta prosciugando” hanno sensibilizzato la popolazione. “Siamo scesi al di sotto della linea rossa inferiore e ci siamo avvicinati alla linea nera”, ricorda Firas Talhami, capo della divisione nord dell'Autorità per le risorse idriche, in un'intervista con Ynet.

Impianti di desalinizzazione
  Nel frattempo, gli impianti di desalinizzazione israeliani hanno in gran parte eliminato la minaccia della carenza idrica. Un nuovo progetto denominato “Reverse Carrier” mira ora a riempire nuovamente il lago di Tiberiade. Si tratta di un progetto unico al mondo, guidato da considerazioni strategiche, ecologiche e culturali di ampio respiro. “Invece di convogliare l'acqua da nord a sud, ora la prendiamo da sud a nord e invertiamo il flusso verso il lago di Tiberiade”, ha spiegato Lior Gutman, portavoce della società nazionale di approvvigionamento idrico Mekorot, a Israel Innovation News.
Il sistema nazionale di condutture idriche, costruito negli anni '60, in passato trasportava l'acqua dal nord al Negev e per decenni ha garantito l'approvvigionamento alle città e all'agricoltura. Ora una rete simile scorre nella direzione opposta: l'acqua desalinizzata in eccesso viene pompata nel lago già dal 2022, soprattutto nei mesi invernali, quando il consumo è basso. Il progetto, del costo di quasi un miliardo di shekel (circa 300 milioni di euro), segna un cambiamento radicale: da un sistema che preleva acqua a uno che la conserva.
Il cambiamento è iniziato nel 2005 con la desalinizzazione su larga scala della costa mediterranea. I nuovi impianti hanno reso il Paese in gran parte indipendente dalla pioggia e hanno portato a un surplus idrico. “Oggi Israele è un Paese completamente diverso rispetto a 20 anni fa in termini di sicurezza idrica”, ha dichiarato un portavoce del Ministero dell'Energia a JNS.
La crisi idrica degli anni 2000 ha comunque influenzato la politica. La siccità dal 2013 al 2018, la più grave degli ultimi decenni, ha suscitato nuovi timori e ha portato all'idea di invertire il sistema nazionale di condutture.

Risorsa nazionale
  Secondo Mekorot, il progetto mira a preservare l'equilibrio ecologico del lago e a mantenerlo come risorsa strategica nazionale. Oggi il lago di Tiberiade funge principalmente da serbatoio di emergenza. “Se terremoti, guerre o altre emergenze dovessero causare il malfunzionamento degli impianti di desalinizzazione, potremmo utilizzare il lago di Tiberiade come fonte principale di acqua potabile e industriale”, ha spiegato Gutman.
Israele ha poche fonti d'acqua naturali. Inoltre, il lago di Tiberiade ha un profondo significato culturale. È una parte centrale del paesaggio israeliano e un'attrazione per i visitatori, in particolare per i pellegrini cristiani. “Durante i mesi estivi, il lago perde un centimetro al giorno a causa dell'evaporazione”, ha spiegato Greenbaum, presidente dell'associazione delle città Kinneret. “Speriamo che l'acqua desalinizzata possa garantire un livello elevato per gli israeliani e i turisti”.
Anche gli aspetti ecologici giocano un ruolo importante. Talhami ha spiegato che il progetto rivitalizzerà il torrente Zalmon e rafforzerà la flora e la fauna. L'acqua desalinizzata ha proprietà chimiche diverse dall'acqua del lago, ma come assicura Yechezkel Lifshitz, direttore generale dell'Autorità per le risorse idriche, l'acqua trattata in Israele è di qualità migliore e non causerà danni.
“Questo progetto è stato sviluppato con una prospettiva a lungo termine”, ha affermato Lifshitz. “Prevediamo un calo delle precipitazioni in Medio Oriente. Pertanto, dobbiamo mantenere alto il livello del Kinneret a lungo termine”. Il piano generale di Israele arriva già fino al 2075.

Capolavoro
  Il progetto “Reverse Carrier” è un capolavoro tecnico. Condutture sotterranee, stazioni di pompaggio e serbatoi convogliano l'acqua nel lago con la semplice pressione di un pulsante. L'acqua proviene dagli impianti di desalinizzazione di Ashdod, Hadera e lungo la costa. Durante l'inverno è possibile pompare fino a 5.000 metri cubi all'ora, mentre in seguito si potrà arrivare fino a 15.000.
Il ruolo di leader di Israele nella tecnologia idrica è oggi importante anche dal punto di vista diplomatico. Nel 2021 Israele e Giordania hanno firmato un accordo “acqua in cambio di energia”, mediato dagli Emirati Arabi Uniti: la Giordania fornisce energia solare, Israele fornisce acqua.
Israele fornisce acqua non solo alla Giordania, ma anche all'Autorità Palestinese, in base agli accordi degli anni '90. Anche negli anni di siccità, la quota è rimasta stabile e recentemente la fornitura alla Giordania è stata addirittura raddoppiata, raggiungendo i 100 milioni di metri cubi all'anno. “In Israele vivono 10 milioni di persone, ma noi forniamo acqua a 14 milioni”, ha affermato Gutman.
Il lago di Tiberiade rimane una parte centrale di questo sistema, anche come condotto per l'esportazione verso la Giordania. In futuro, una nuova sezione di condutture trasporterà l'acqua direttamente dal sud di Israele. Insieme al sistema Kinneret, si prevede che scorreranno 200 milioni di metri cubi all'anno, circa il 40% del fabbisogno totale della Giordania.

Crescita economica
L'innovazione idrica di Israele non si basa solo sulla desalinizzazione, ma su un sistema integrato altamente efficiente: solo il 3% dell'acqua viene perso a causa di perdite (a titolo di confronto: Regno Unito 20%, Bulgaria 50%, Romania 70%). Inoltre, il 90% delle acque reflue viene riutilizzato per l'agricoltura, un risultato che potrebbe essere un record mondiale. Ciò ha permesso a Israele di stabilizzare il proprio approvvigionamento e di crescere economicamente nonostante diversi anni di siccità.

(Israel Heute, 9 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 35
    La legge del sabato
  • Mosè convocò tutta la comunità dei figli d'Israele, e disse loro: “Queste sono le cose che l'Eterno ha ordinato di fare.  Sei giorni si dovrà lavorare, ma il settimo giorno sarà per voi un giorno santo, un sabato di solenne riposo, consacrato all'Eterno. Chiunque farà qualche lavoro in esso sarà messo a morte.  Non accenderete fuoco in alcuna delle vostre abitazioni il giorno del sabato”.

    Le offerte per la costruzione del tabernacolo
  • Poi Mosè parlò a tutta la comunità dei figli d'Israele, e disse: “Questo è quello che l'Eterno ha ordinato:  'Prelevate da quello che avete, un'offerta all'Eterno; chiunque è di cuore volenteroso porterà un'offerta all'Eterno: oro, argento, bronzo;  stoffe di colore violaceo, porporino, scarlatto, lino fino, pelo di capra,  pelli di montone tinte di rosso, pelli di tasso, legno di acacia,  olio per il candelabro, aromi per l'olio dell'unzione e per il profumo fragrante,  pietre di onice, pietre da incastonare per l'efod e per il pettorale.  Chiunque tra voi ha delle abilità venga ed esegua tutto quello che l'Eterno ha ordinato:  il tabernacolo, la sua tenda e la sua coperta, i suoi fermagli, le sue assi, le sue traverse, le sue colonne e le sue basi,  l'arca, le sue stanghe, il propiziatorio e il velo da stendere davanti all'arca, la tavola e le sue stanghe,  tutti i suoi utensili, e il pane della presentazione;  il candelabro per la luce e i suoi utensili, le sue lampade e l'olio per il candelabro;  l'altare dei profumi e le sue stanghe, l'olio dell'unzione e il profumo fragrante, la portiera dell'ingresso per l'entrata del tabernacolo,  l'altare degli olocausti con la sua gratella di bronzo, le sue stanghe e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base,  le cortine del cortile, le sue colonne e le loro basi e la portiera all'ingresso del cortile;  i picchetti del tabernacolo e i picchetti del cortile e le loro funi;  i paramenti per le cerimonie per fare il servizio nel luogo santo, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne, e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio'”. 
  • Allora tutta la comunità dei figli d'Israele partì dalla presenza di Mosè.  E tutti quelli che il loro cuore spingeva e tutti quelli che il loro spirito rendeva volenterosi, vennero a portare l'offerta all'Eterno per l'opera della tenda di convegno, per tutto il suo servizio e per i paramenti sacri.  Vennero uomini e donne; quanti erano di cuore volenteroso portarono fermagli, orecchini, anelli da sigillare e braccialetti, ogni sorta di gioielli d'oro; ognuno portò qualche offerta d'oro all'Eterno.  E chiunque aveva delle stoffe tinte di violaceo, porporino, scarlatto, o lino fino, o pelo di capra, o pelli di montone tinte in rosso, o pelli di tasso, portava ogni cosa.  Chiunque poteva fare un'offerta d'argento e di bronzo, portò l'offerta consacrata all'Eterno; e chiunque aveva del legno di acacia per qualunque lavoro destinato al servizio, lo portò.  E tutte le donne abili filarono con le proprie mani e portarono i loro filati in colore violaceo, porporino, scarlatto, e del lino fino.  E tutte le donne che il cuore spinse a usare la loro abilità, filarono del pelo di capra.  E i capi del popolo portarono pietre d'onice e pietre da incastonare per l'efod e per il pettorale,  aromi e olio per il candelabro, per l'olio dell'unzione e per il profumo fragrante.  Tutti i figli d'Israele, uomini e donne, che il cuore mosse a portare volenterosamente il necessario per tutta l'opera che l'Eterno aveva ordinata per mezzo di Mosè, portarono all'Eterno delle offerte volontarie.

    Besaleel e Ooliab
  • Mosè disse ai figli d'Israele: “Vedete, l'Eterno ha chiamato per nome Besaleel figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda;  e lo ha riempito dello Spirito di Dio, di abilità, di intelligenza e di sapienza per ogni sorta di lavori,  per concepire opere d'arte, per lavorare l'oro, l'argento e il bronzo,  per incidere pietre da incastonare, per scolpire il legno, per eseguire ogni sorta di lavori d'arte.  E gli ha comunicato il dono d'insegnare: a lui e a Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan.  Li ha riempiti di intelligenza per eseguire ogni sorta di lavori di artigiano e di disegnatore, di ricamatore e di tessitore in colori svariati: violaceo, porporino, scarlatto, e di lino fino, per eseguire qualunque lavoro e per concepire lavori d'arte.

(Notizie su Israele, 8 dicembre 2025)


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Sondaggio: i libanesi favorevoli al monopolio della forza da parte dell'esercito

WASHINGTON – La grande maggioranza dei libanesi è favorevole al disarmo della milizia sciita Hezbollah. Secondo un sondaggio pubblicato giovedì dall'istituto americano Gallup, il 79% degli intervistati ha affermato che l'esercito dovrebbe essere l'unico gruppo a detenere armi.
  Solo tra gli sciiti si registra invece un'opinione opposta: solo il 27% ritiene che solo l'esercito dovrebbe detenere armi, mentre circa il 69% è di parere contrario. Il maggior consenso per il controllo esclusivo delle armi da parte dell'esercito si riscontra tra i cristiani (92%), seguiti dai drusi (89%) e dai sunniti (87%).

La metà è favorevole agli aiuti economici ai palestinesi
Il sondaggio ha inoltre rivelato che solo pochi sono favorevoli a un intervento militare a favore della “Palestina”: il 14% dei libanesi è favorevole al sostegno militare, il 10% sarebbe disposto ad affrontare un confronto con Israele. Circa la metà ha dichiarato di voler fornire aiuti economici ai palestinesi e di sostenerli politicamente. Solo il 31% si è detto favorevole agli aiuti economici ai palestinesi in Libano.
  Gallup ha condotto il sondaggio nei mesi di giugno e luglio attraverso interviste personali. L'istituto ha precisato che circa il 10% della popolazione è rimasto escluso: alcune zone controllate da Hezbollah nel sud del Paese e nella periferia meridionale della capitale Beirut non erano accessibili per il sondaggio.

Una minaccia di lunga data
Hezbollah è indebolito in particolare dall'operazione israeliana Pager e dall'uccisione del suo leader di lunga data Hassan Nasrallah nel settembre 2024. La milizia sostenuta dall'Iran minaccia Israele dall'inizio degli anni '80. Nel corso degli anni ha accumulato un vasto arsenale di armi e missili. Nel periodo successivo al massacro terroristico del 7 ottobre, ha attaccato lo Stato ebraico quasi ogni giorno.
  Nel novembre 2024, il Libano e Israele hanno concordato una tregua. Tra le altre cose, essa prevede il ritiro di Hezbollah dal sud del Libano. Tuttavia, l'esercito israeliano ha recentemente accusato il gruppo di non rispettare l'accordo e, al contrario, di riarmarsi. Nelle ultime settimane ha intensificato i colpi contro le infrastrutture terroristiche. Inoltre, l'esercito rimane schierato in cinque località nel sud del Libano a causa della presenza di Hezbollah.

Prima i negoziati diretti
Mercoledì, per la prima volta da decenni, si sono tenuti negoziati diretti tra rappresentanti israeliani e libanesi. Le due parti si sono incontrate mercoledì presso la sede dell'UNIFIL a Nakura, alla presenza di rappresentanti degli Stati Uniti e della Francia.
  Prima dell'incontro, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Likud) aveva suggerito che si sarebbe discusso anche delle “basi delle relazioni”. Il suo omologo libanese Nawaf Salam (senza partito) ha però contraddetto questa affermazione, sottolineando che uno Stato palestinese è un prerequisito per la normalizzazione con Israele. Tra il Libano e Israele esiste formalmente uno stato di guerra dalla guerra d'indipendenza israeliana del 1948/49.
  Dopo l'incontro, il governo israeliano ha parlato di un'«atmosfera positiva». I partecipanti al colloquio avrebbero concordato di «promuovere una possibile cooperazione economica». Giovedì il presidente libanese Joseph Aun ha dichiarato che i colloqui proseguiranno il 19 dicembre. (df)

(Israelnetz, 8 dicembre 2025)

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Ashkelon presenta il più grande parco giochi di Israele a forma di leone

di Nicole Nahum

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Ashkelon inaugura la sua nuova attrazione urbana: un parco giochi monumentale a forma di leone, tra i più grandi del suo genere in Israele, nonché tra i più imponenti al mondo. L’opera, inaugurata all’Eco Park, ambisce a diventare un nuovo simbolo cittadino e a trasformarsi in un polo di richiamo per famiglie e visitatori.
Esteso su circa 1000 metri quadrati e alto 13 metri, il grande leone ospita al suo interno un articolato percorso di gioco ideato dalla società israeliana Elu Et Nitzan. La struttura integra una torre centrale per l’arrampicata collegata a sette tunnel che riproducono la criniera dell’animale, affiancata da scivoli, altalene ed elementi dinamici pensati per il gioco attivo.
Il parco offre dispositivi sensoriali, aree fruibili da bambini con disabilità motorie e un sistema audio-luminoso che accompagna l’esperienza con effetti sonori e giochi di luce. Dalla cima della torre si apre una vista panoramica sul lago e sull’area verde, mentre diversi ingressi permettono ai bambini di muoversi liberamente al suo interno.
Le sezioni del parco sono state progettate per target di età differenti: i tunnel della criniera ospitano corde, reti inclinate e superfici per l’arrampicata, mentre le zampe anteriori sono dedicate ai più piccoli, con scivoli bassi e pannelli sensoriali che favoriscono l’equilibrio e la coordinazione.
Durante la presentazione ufficiale, il sindaco Tomer Glam ha sottolineato la portata innovativa del progetto, definendolo un motivo di grande orgoglio per la città. Anche Helen Roet-Nitzan, fondatrice e amministratrice di Elu Et Nitzan, ha evidenziato l’intento artistico alla base del parco, pensato per offrire ai bambini un’esperienza di gioco indimenticabile. 

(Shalom, 8 dicembre 2025)

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Elezioni israeliane 2026: MK Michal Woldiger

La parlamentare del Sionismo Religioso chiede la sostituzione dell'Autorità Palestinese, che secondo lei continua a finanziare e sostenere il terrorismo.

di Amelie Botbol

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Michal Woldiger

La parlamentare israeliana Michal Woldiger al parlamento israeliano a Gerusalemme. Foto di Noam Moskowitz/Ufficio del portavoce della Knesset.
La parlamentare del Partito Sionismo Religioso Michal Woldiger concorda pienamente con il leader del suo partito, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, sul fatto che un organismo completamente diverso dovrebbe sostituire l'Autorità Palestinese.
In un'intervista alla Knesset, Woldiger ha dichiarato a JNS che, nella realtà post 7 ottobre 2023, l'Autorità Palestinese continua a finanziare i terroristi e a fornire sostegno a loro e alle loro famiglie. “Chiunque danneggi un ebreo è molto apprezzato nella loro società. Nei loro libri di testo, i terroristi che uccidono, fanno esplodere o violentano gli ebrei sono descritti come eroi. È terribile”, ha detto.
L'anno scorso, Woldiger ha sostenuto il rinnovo di un ordine temporaneo che impedisce ai palestinesi della Giudea, della Samaria e di Gaza di ottenere automaticamente la cittadinanza israeliana attraverso il matrimonio con israeliani, tra le crescenti richieste di una legislazione permanente.
La legge sulla cittadinanza e l'ingresso in Israele (ordinanza temporanea), promulgata nel 2003 dopo la campagna di attentati suicidi della Seconda Intifada per rafforzare la sicurezza di Israele limitando l'immigrazione araba, è stata rinnovata ogni anno dalla sua approvazione. L'ordinanza prevede una vasta gamma di eccezioni, tra cui le famiglie con bambini, i casi umanitari, le esigenze mediche e i permessi di soggiorno temporanei ottenibili attraverso il matrimonio.
“Sta danneggiando il Paese; viola tutte le leggi internazionali. Ci sono dei confini e dobbiamo proteggerli. È legittimo che un Paese sovrano decida chi può entrare e chi no. Chi non è pronto a riconoscere il Paese non dovrebbe poter entrare, tanto meno stabilirsi qui”, ha affermato.
Woldiger, che è presidente della Commissione Lavoro e Welfare della Knesset, l'ha descritta come uno degli organi più importanti del legislatore. Il lavoro della commissione comprende iniziative di riabilitazione sia per i civili che per i soldati colpiti da oltre due anni di guerra.
“Questo non riguarda solo la salute mentale”, ha affermato, sottolineando che ha lavorato per migliorare il calcolo dei benefici finanziari per i riservisti delle Forze di Difesa Israeliane, compresa la base salariale utilizzata durante il loro servizio.
“I riservisti sono quelli che, in fin dei conti, tengono insieme questo Paese. Le loro famiglie soffrono perché le responsabilità quotidiane ricadono sulle mogli e sui figli, che hanno bisogno di assistenza sociale e sostegno emotivo. Questo rientra nelle competenze della mia commissione”, ha affermato.
“Non si tratta solo dei soldati, ma l'attenzione è concentrata su di loro: molti hanno subito un trauma enorme il 7 ottobre. Alcuni soffrono di disturbo da stress post-traumatico e trauma da combattimento, e il Paese non lo ha riconosciuto a causa della mancanza di consapevolezza”, ha continuato.
"Era proibito parlare del dolore, soprattutto del dolore che non si vede, perché l'idea era che se non si vede, non esiste. Oggi stiamo riuscendo a creare un cambiamento importante“, ha affermato.
”La famiglia di un soldato che ha subito lesioni fisiche e deve essere ricoverato in ospedale riceve un aiuto finanziario a causa della sua perdita di capacità lavorativa“, ha spiegato, ma ”la famiglia di un soldato ricoverato in un ospedale psichiatrico non riceveva nulla. Siamo riusciti a cambiare questa situazione, insieme a molte altre questioni relative alla salute mentale".
Il 25 novembre la Knesset ha celebrato la Giornata internazionale della salute mentale. La commemorazione è il risultato di una legge da lei promossa, ha affermato Woldiger. “Si tratta di temi fondamentali per la resilienza del popolo israeliano”, ha dichiarato a JNS.
Woldiger, che si autodefinisce “una donna del popolo”, ha affermato che dopo la sua elezione alla Knesset ha lanciato un sito web per le richieste di informazioni da parte del pubblico. Spesso, preoccupazioni ricorrenti emersero in diverse comunità, spingendola a promuovere una legislazione.
Tra queste, ha sottolineato una legge che vieta la discriminazione nelle professioni che richiedono una licenza. “Per diventare dentista, si può anche eccellere all'università, ma poi si deve superare un comitato del Ministero della Salute per ottenere la licenza. Chiunque abbia mai sofferto di un disturbo mentale o emotivo sarebbe considerato non idoneo, non in base alle capacità, ma a causa di un regolamento”, ha detto.
“Insieme a Yonatan Mishraki [Partito Shas], che presiedeva la Commissione Sanità della Knesset, siamo riusciti a cambiare questa situazione e stiamo cercando di fare lo stesso per i professori universitari”, ha aggiunto.
Woldiger ha anche lavorato per modificare la legge sulla pianificazione e l'edilizia al fine di rendere più comune la costruzione di alloggi per la salute mentale nelle comunità come alternativa al ricovero psichiatrico, sottolineando che un ricovero non necessario può causare danni indiretti.
Per quanto riguarda la legislazione sulla sicurezza nazionale, Woldiger ha affermato che lei e altri legislatori hanno insistito affinché gli educatori insegnassero materie in linea con i valori e la narrativa di Israele. “Abbiamo legiferato per consentire l'allontanamento dal sistema educativo degli insegnanti che sostengono il terrorismo. Tutto inizia e finisce con l'istruzione, e se agli studenti viene instillato l'odio per il Paese e per gli ebrei, abbiamo un problema serio”, ha affermato. Ha sottolineato di aver anche sostenuto una legge che vieta ai docenti universitari di esprimere sostegno al terrorismo.
Per quanto riguarda Gaza, Woldiger ha affermato che Israele deve agire con maggiore determinazione, pur riconoscendo la delicatezza della questione relativa al ritorno dei restanti ostaggi israeliani deceduti. “Non c'è dubbio che Hamas ci stia prendendo in giro, e lo sapevamo fin dall'inizio. Il mio partito ha votato in modo schiacciante contro l'accordo [di cessate il fuoco]”, ha affermato.
Woldiger si è congratulata con il presidente Donald Trump per aver ottenuto il rilascio di 20 ostaggi vivi. “È un miracolo, ma alla fine dei conti stiamo rilasciando dei terroristi [in cambio]. Stiamo insegnando ai nostri nemici che rapire israeliani è vantaggioso, e questo mi crea difficoltà”, ha affermato.
Sebbene Israele “stia lavorando duramente a Gaza”, ha affermato che avrebbe preferito una risposta più decisa alle violazioni del cessate il fuoco. “Spero che non ci saranno altre violazioni, ma se ci saranno, spero che la prossima volta decidiamo di tornare a combattere con tutta la nostra forza, ovviamente in coordinamento con i nostri alleati americani”, ha affermato.
Tuttavia, ha osservato, "dobbiamo ricordare che non siamo il 51° stato degli Stati Uniti. Siamo un paese sovrano e dobbiamo lottare per noi stessi. Non dovremmo mai tornare alla concezione precedente al 7 ottobre. Combatteremo per noi stessi con il sostegno dei nostri buoni amici".
Per quanto riguarda l'aumento del costo della vita nel Paese, Woldiger ha definito la riforma del settore lattiero-caseario di Smotrich, volta ad aprire il mercato alla concorrenza, un passo importante e coraggioso.
“È necessario farlo anche in altri settori dello Stato di Israele. Non viviamo più in epoca bolscevica e comprendiamo che non possiamo vivere basandoci su quote, distruggendo le scorte di qualcuno quando vengono superate, anche se finiamo il latte”, ha affermato.
La riforma dovrebbe incontrare la resistenza delle grandi aziende, tra cui la principale azienda alimentare israeliana, Tnuva. “Questa è diventata la lotta di magnati come Tnuva, controllata in maggioranza dai cinesi, che a loro volta sostengono l'Iran. Non ha alcun senso”, ha affermato.
“Questa riforma consentirà agli allevatori di avere successo, perché quando non c'è concorrenza e tutto si basa sulle quote, nessuno prospera”, ha aggiunto.
Woldiger ha affermato che la riforma rafforzerà la sicurezza alimentare e ridurrà il costo della vita. “Spingerà gli allevatori fuori dalla loro zona di comfort e verso una situazione migliore. Questo è per noi, per le famiglie israeliane che potranno nuovamente acquistare formaggio a prezzi ragionevoli”, ha affermato.
“Abbiamo un ministro delle finanze coraggioso. Lo shekel è forte, l'economia è forte, grazie al ministro e al popolo israeliano, che sa come resistere ai tempi difficili e prosperare”, ha aggiunto.

(JNS, 7 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il leader di Hamas respinge i punti centrali del piano di pace di Trump e invita alla distruzione di Israele

Il sentimento anti-israeliano diffuso in tutto il mondo ha creato le opportunità per «rimuovere questa entità [Israele] dalla nostra patria», ha affermato Khaled Mashaal.

di Akiva Van Koningsveld

Sabato il leader di Hamas Khaled Mashaal ha ribadito il suo appello alla distruzione di Israele e ha respinto le richieste sostenute dagli Stati Uniti e dall'ONU di disarmare il gruppo terroristico sostenuto dall'Iran e di smilitarizzare la Striscia di Gaza.
"È giunto il momento che la Umma [la nazione islamica] si impegni a liberare Gerusalemme come vessillo e simbolo della liberazione della Palestina; alla purificazione della benedetta moschea di Al-Aqsa; e alla riconquista dei santuari islamici e cristiani", ha detto il terrorista di alto rango in un discorso trasmesso in video durante una conferenza filopalestinese nella città turca di Istanbul.
Il sentimento anti-israeliano diffuso in tutto il mondo, sorto dopo il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, ha creato le opportunità per “rimuovere questa entità [Israele] dalla nostra patria ed escluderla dalla scena internazionale”, ha detto Maschal ai partecipanti.
Il terrorista con sede a Doha ha condannato la richiesta che Hamas deponga le armi nell'ambito del piano di cessate il fuoco per la Striscia di Gaza del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dichiarando alla conferenza: “Proteggere il piano di resistenza e le sue armi è il diritto del nostro popolo di difendersi”.
“La resistenza e le sue armi sono l'onore e l'orgoglio della Umma”, ha continuato. “Mille dichiarazioni non valgono quanto un singolo proiettile di ferro”.
Nel suo discorso, Mashaal ha anche respinto “ogni forma di tutela, mandato e rioccupazione della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di tutta la Palestina”, rifiutando così un altro elemento centrale del piano di pace statunitense, approvato il 17 novembre dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
La risoluzione ha dato mandato a Washington e ai suoi partner di istituire una forza internazionale di stabilizzazione e un consiglio di pace che fungano da governo provvisorio per la Striscia di Gaza.
Maschal ha tuttavia affermato: “È il palestinese che governa se stesso e decide per se stesso”. Ha aggiunto: “I tentativi di inserire le nostre richieste, i nostri principi nazionali e i nostri diritti in contesti fuorvianti saranno respinti”, ha affermato.
“Questa è la nostra terra, la nostra patria, questo è il nostro destino e noi siamo un popolo che non si piega”, ha continuato Mashaal. “Sono passati due anni di guerra e tutte le armi che l'entità sionista ha ricevuto da ogni angolo del mondo non sono riuscite a imporre la loro volontà al nostro popolo. Questa è Gaza e questa è la grande Palestina, quella che scaccia gli invasori”.
Nel suo discorso, il leader terrorista ha anche delineato altre priorità di Hamas dopo la guerra, tra cui:

  • impedire la “giudaizzazione” della Giudea e della Samaria,
  • liberare i terroristi incarcerati nelle prigioni israeliane,
  • costruire un'unità araba contro lo Stato ebraico,
  • “perseguire” i leader israeliani in tutto il mondo
  • promuovere un sentimento anti-israeliano nei campus, nei media e nella politica.

Sabato il ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato che Hamas “si sta prendendo gioco del piano di pace del presidente Trump” e che le dichiarazioni di Mashaal sono “in diretta contraddizione con gli elementi fondamentali del piano di pace stesso”.
Nell'ambito dell'accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi mediato dagli Stati Uniti, entrato in vigore il mese scorso, Hamas si è impegnata a restituire tutti i 28 corpi che deteneva il 13 ottobre per la sepoltura.
Tuttavia, l'organizzazione terroristica ha deliberatamente ritardato la restituzione per ritardare il proprio disarmo, che dovrebbe avvenire nella seconda fase dell'accordo, insieme all'invio di forze internazionali.
Il piano di Trump prevede che Hamas e altri terroristi “accettino di non avere alcun ruolo nell'amministrazione della Striscia di Gaza, né direttamente né indirettamente o in qualsiasi altra forma” e che “tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, compresi i tunnel e gli impianti di produzione di armi, siano distrutte e non ricostruite”.
Secondo la risoluzione del Consiglio di sicurezza del 17 novembre, la forza internazionale di stabilizzazione sarà responsabile del processo di smilitarizzazione della Striscia, compresa “la distruzione e la prevenzione della ricostruzione delle infrastrutture militari, terroristiche e offensive, nonché la dismissione permanente delle armi dei gruppi armati non statali”.

(JNS, 7 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dicevo: 'Parleranno i giorni, e il gran numero degli anni insegnerà la saggezza'. Ma quello che rende intelligente l'uomo è lo spirito, è il soffio dell'Onnipotente. Non sono saggi quelli di lunga età, né sono i vecchi quelli che comprendono il giusto (Giobbe 32:7-9).
    Preghiera di una suora del XVII secolo

    Signore, tu sai che gli anni avanzano
    e presto sarò vecchia.
    Fa' ch'io non prenda la brutta abitudine
    di sentirmi obbligata a dire qualcosa
    su ogni argomento e in ogni occasione.
    Liberami dalla smania
    di voler sistemare gli affari di tutti.
    Rendimi servizievole, ma non imbronciata;
    premurosa, ma non autoritaria.
    Con tutta l'esperienza accumulata,
    sarebbe un male non poterla usare,
    ma sai, Signore,
    vorrei che mi restasse qualche amico
    alla fine dei miei giorni.
    Aiutami a perdere l'abitudine
    di elencare innumerevoli dettagli:
    rendimi capace di arrivare al punto.
    Metti un sigillo alla mia bocca
    e impedisci che vada a raccontare
    i miei acciacchi e i miei dolori:
    stanno aumentando, e col passar degli anni
    mi piace sempre di più parlarne.
    Non oso chiederti tanta grazia
    da saper ascoltare con viva partecipazione
    il racconto dei dolori altrui,
    ma aiutami almeno
    ad ascoltarli con pazienza.
    Non ti chiedo di darmi più memoria,
    ma ti chiedo di darmi più umiltà,
    in modo che sia meno sicura
    quando i miei ricordi
    non coincidono con quelli degli altri:
    fa' che impari la grande lezione
    che qualche volta anch'io posso sbagliarmi.
    Rendimi ragionevolmente dolce;
    non voglio essere una santa,
    con certi santi è così duro vivere,
    ma una donna vecchia e amara
    è un capolavoro del diavolo.
    Fa' ch'io sappia vedere il buono
    nei luoghi impensati,
    e le buone qualità
    nelle persone impensate.
    E donami, o Signore,
    la grazia di saperglielo dire. PDF
(Notizie su Israele, 7 dicembre 2025)



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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 34
    Le nuove tavole
  • L'Eterno disse a Mosè: “Taglia due tavole di pietra come le prime; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime tavole che hai spezzato.  Sii pronto domattina, sali al mattino sul monte Sinai, e lì presentati a me sulla vetta del monte.  Nessuno salga con te, e non si veda nessuno per tutto il monte; greggi e armenti non pascolino nei pressi di questo monte”.  Mosè dunque tagliò due tavole di pietra, come le prime; si alzò la mattina di buon'ora, e salì sul monte Sinai come l'Eterno gli aveva comandato, e prese in mano le due tavole di pietra.

    Apparizione dell'Eterno a Mosè
  • Allora l'Eterno discese nella nuvola, si fermò lì con lui e proclamò il nome dell'Eterno. E l'Eterno passò davanti a lui, e gridò: “L'Eterno! l'Eterno! l'Iddio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in benignità e fedeltà, che conserva la sua benignità fino alla millesima generazione, che perdona l'iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente, e che punisce l'iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!”.
  •  E Mosè subito si inchinò fino a terra, e adorò. Poi disse: “Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro; perdona la nostra iniquità e il nostro peccato, e prendici come tua eredità”.

    La nuova alleanza
  • E l'Eterno rispose: “Ecco, io faccio un patto: farò meraviglie davanti a tutto il tuo popolo, come non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; e tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l'opera dell'Eterno, perché quello che io sto per fare per mezzo di te è tremendo. Osserva quello che oggi ti comando: Ecco, io scaccerò davanti a te gli Amorei, i Cananei, gli Ittiti, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. Guardati dal fare alleanza con gli abitanti del paese nel quale stai per andare, affinché non diventino, in mezzo a te, un laccio; ma demolite i loro altari, frantumate le loro colonne, abbattete i loro idoli; poiché tu non adorerai altro dio, perché l'Eterno, che si chiama: “il Geloso”, è un Dio geloso. Guardati dal fare alleanza con gli abitanti del paese, affinché, quando quelli si prostituiranno ai loro dèi, e offriranno sacrifici ai loro dèi, non avvenga che essi ti invitino, e tu mangi dei loro sacrifici, e prenda delle loro figlie per i tuoi figli, e le loro figlie si prostituiscano ai loro dèi, e inducano i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi. 
  • Non ti farai dèi di metallo fuso
  • Osserverai la festa degli azzimi. Sette giorni, al tempo fissato del mese di Abib, mangerai pane senza lievito, come ti ho ordinato; poiché nel mese di Abib tu sei uscito dall'Egitto. 
  • Ogni primogenito è mio; e mio è ogni primo parto maschio di tutto il tuo bestiame: del bestiame grosso e minuto. Ma riscatterai con un agnello il primo nato dell'asino; e, se non lo vorrai riscattare, gli spezzerai il collo. Riscatterai ogni primogenito dei tuoi figli. E nessuno comparirà davanti a me a mani vuote
  • Lavorerai sei giorni; ma il settimo giorno ti riposerai: ti riposerai anche al tempo dell'aratura e della mietitura
  • Celebrerai la festa delle settimane: cioè delle primizie della mietitura del frumento, e la festa della raccolta alla fine dell'anno. 
  • Tre volte all'anno comparirà ogni vostro maschio alla presenza del Signore, dell'Eterno, che è l'Iddio d'Israele. Poiché io scaccerò davanti a te delle nazioni, e allargherò i tuoi confini; nessuno desidererà il tuo paese, quando salirai, tre volte all'anno, per comparire alla presenza dell'Eterno, che è il tuo Dio. 
  • Non offrirai con pane lievitato il sangue della vittima immolata a me; e il sacrificio della festa di Pasqua non sarà serbato fino al mattino. 
  • Porterai alla casa dell'Eterno Iddio tuo le primizie dei primi frutti della tua terra. 
  • Non cuocerai il capretto nel latte di sua madre”. 
  • Poi l'Eterno disse a Mosè: “Scrivi queste parole; perché sul fondamento di queste parole io ho contratto alleanza con te e con Israele”. 
  • E Mosè rimase lì con l'Eterno quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua. E l'Eterno scrisse sulle tavole le parole del patto, i dieci comandamenti.

    Mosè torna al campo e porta le nuove tavole della legge
  • Mosè, quando scese dal monte Sinai - scendendo dal monte Mosè aveva in mano le due tavole della testimonianza - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata tutta raggiante mentre parlava con l'Eterno; e quando Aaronne e tutti i figli d'Israele videro Mosè, ecco che la pelle del suo viso era tutta raggiante, ed essi temettero di avvicinarsi a lui. Ma Mosè li chiamò, e Aaronne e tutti i capi della comunità tornarono a lui, e Mosè parlò loro. Dopo questo, tutti i figli d'Israele si accostarono, ed egli ordinò loro tutto quello che l'Eterno gli aveva detto sul monte Sinai. 
  • E quando Mosè ebbe finito di parlare con loro, si mise un velo sulla faccia. Ma quando Mosè entrava alla presenza dell'Eterno per parlare con lui, si toglieva il velo, finché non tornava fuori; poi tornava fuori, e diceva ai figli d'Israele quello che gli era stato comandato. I figli d'Israele, guardando la faccia di Mosè, vedevano la pelle tutta raggiante; e Mosè si rimetteva il velo sulla faccia, finché non entrava a parlare con l'Eterno.

(Notizie su Israele, 6 dicembre 2025)


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Zamir chiede un’indagine “esterna” sulle mancanze del 7-ottobre

Il capo di stato maggiore afferma che se l'esercito ha condotto una propria indagine, non è l'unico responsabile; tuttavia, evita di chiedere esplicitamente una commissione nazionale

di Emanuel Fabian 

Il capo di stato maggiore dell’IDF, il tenente generale Eyal Zamir, ha ribadito venerdì che mentre i militari hanno pienamente assunto la loro parte di responsabilità per i fallimenti del 7 ottobre 2023, l’istituzione di conclusioni definitive ha richiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta “esterna”.
“L’IDF si è assunto la responsabilità e ha condotto la propria indagine, ma non è l’unico responsabile di questo evento, e non sarebbe opportuno concentrare tutta l’attenzione su di esso”, ha scritto Zamir in una lettera agli ufficiali, riassumendo i risultati di un gruppo di ex alti funzionari incaricati di esaminare le indagini interne dell’esercito sui fallimenti del 7 ottobre.
“Per stabilire la verità e trarre conclusioni globali a livello nazionale, deve essere istituita una commissione d’inchiesta esterna e oggettiva, come è avvenuto dopo la guerra dello Yom Kippur [nel 1973]”.
In particolare, il Capo di Stato Maggiore sottolinea che “l’articolazione tra il livello politico e quello militare, così come le concezioni politiche e di sicurezza che hanno preceduto la guerra devono essere esaminate”.
Zamir, tuttavia, si astiene dal chiedere esplicitamente la creazione di una commissione d'inchiesta nazionale, un approccio a cui il governo si oppone, nonostante i sondaggi indichino che

(The Times of Israel, 6 dicembre 2025)

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Il sud della Siria sta per diventare il nuovo fronte contro Israele

di Yoni Ben Menachem

Secondo fonti di alto livello della sicurezza israeliana, elementi terroristici si stanno radunando nel sud della Siria e stanno pianificando attacchi contro Israele.

Ciò ha spinto le forze armate israeliane a lanciare un'operazione il 28 novembre nel villaggio di Beit Jinn, a sud di Damasco.

Le forze armate israeliane hanno fatto irruzione nel villaggio e arrestato tre membri dell'organizzazione Al-Jamaa al-Islamiya che, secondo informazioni dei servizi segreti, stavano pianificando attacchi contro Israele, tra cui attacchi missilistici sulle alture del Golan.

Durante l'interrogatorio, gli arrestati avrebbero ammesso che la loro organizzazione è collegata ad attività terroristiche in relazione con l'Iran, Hezbollah e Hamas.

Durante il raid, le forze armate israeliane hanno incontrato resistenza e sono state bersagliate da colpi d'arma da fuoco, che hanno ferito sei soldati. Secondo i media siriani, nello scontro sono stati uccisi 20 abitanti del villaggio, alcuni dei quali armati.

Fonti politiche di alto livello hanno riferito che, dopo l'incidente, Israele ha inviato messaggi severi al regime siriano di Ahmad al-Sharaa attraverso gli Stati Uniti, dichiarando che non tollererà la creazione di organizzazioni terroristiche nel sud della Siria e che è responsabilità di Damasco fermare tali gruppi, altrimenti Israele agirà.

Le fonti hanno aggiunto che il consolidamento di elementi terroristici nel sud della Siria compromette le prospettive di un accordo di sicurezza tra Israele e Siria e dimostra chiaramente che al-Sharaa non controlla efficacemente tutte le parti del Paese.

Il ministero degli Esteri siriano ha condannato l'attacco israeliano a Beit Jinn come “un crimine di guerra a tutti gli effetti” e ha avvertito che “il proseguimento di questa aggressione criminale mette a rischio la sicurezza e la stabilità nella regione”.

Fonti di alto livello nel settore della sicurezza nel sud della Siria hanno riferito che tra i gruppi terroristici presenti nella regione figurano il Jihad Islamico Palestinese, elementi dell'Ansar Allah yemenita alleati degli Houthi, l'ISIS e fazioni dell'Al-Jamaa al-Islamiya.

Inoltre, diverse tribù beduine sunnite con ideologia jihadista sono attive nel sud della Siria e partecipano al contrabbando di armi e droga.

Alcune di queste tribù hanno partecipato, insieme alle forze fedeli ad al-Sharaa, al massacro dei membri della comunità drusa a Sweida.

Al-Jamaa al-Islamiya è un'organizzazione libanese che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ordinato al suo segretario di Stato e al suo segretario al Tesoro di inserire nell'elenco delle “organizzazioni terroristiche straniere legate alla Fratellanza Musulmana”.

Il gruppo è stato fondato nel 1964 come ramo dei Fratelli Musulmani in Libano e successivamente si è espanso in Siria. La sua ala militare è stata fondata negli anni '80 e da allora collabora con altre organizzazioni terroristiche contro Israele, tra cui Hamas in Libano e Siria e Hezbollah in Libano.

Il parlamentare libanese Amad al-Kout, membro di Al-Jamaa al-Islamiya, ha respinto le accuse israeliane relative all'arresto di membri della sua organizzazione a Beit Jinn. Il 28 novembre ha dichiarato ad Al-Quds Al-Arabi: “Le informazioni diffuse da Israele sono false. La nostra organizzazione non è attiva al di fuori del territorio libanese”.

Riguardo alla decisione di Israele di accusare l'organizzazione per le sue attività in Siria, ha affermato: “Questo avviene per giustificare la decisione degli Stati Uniti di classificare la Fratellanza Musulmana come organizzazione terroristica, una decisione che è esclusivamente motivata da ragioni politiche e giuridicamente infondata”.

Le attività militari di Israele nel sud della Siria hanno ulteriormente aggravato la situazione della sicurezza nella regione. Israele sostiene inoltre che il regime di al-Sharaa non impedisce il contrabbando di armi dall'Iran a Hezbollah in Libano attraverso questa zona. Per questo motivo, alti funzionari della sicurezza hanno dichiarato che Israele non si fida di al-Sharaa in materia di lotta al terrorismo.

Ritengono che Israele debba ora agire per rafforzare il proprio controllo militare nel sud della Siria e creare un corridoio terrestre per i propri alleati drusi a Sweida.

(Israel Heute, 5 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele consegna l’Arrow 3 alla Germania: la nuova frontiera di difesa europea passa dal cielo

L’Arrow 3 è stato progettato per bloccare i missili balistici mentre sono ancora al di fuori dell’atmosfera. Il sistema ha abbattuto centinaia di missili balistici lanciati contro Israele dall’Iran e dagli Houthi con un tasso di intercettazione dell’86% a giugno. È la prima volta che il sistema è distribuito oltre i confini di Israele e Usa e che è stato gestito in modo indipendente da un altro Paese. 

di Nina Prenda

Mercoledì 3 dicembre 2025, Israele ha consegnato il suo sistema di difesa missilistico a lungo raggio Arrow 3 all’aeronautica tedesca durante una cerimonia in una base aerea a sud di Berlino. La vendita è stata di 4 miliardi di euro (4,6 miliardi di dollari): è il più grande accordo di esportazione della difesa nella storia di Israele.
Il completamento della vendita, che è stata formalmente firmata nel settembre 2023, ha segnato la prima volta che il sistema Arrow 3 è stato distribuito oltre i confini di Israele e degli Stati Uniti e la prima volta che il sistema avanzato è stato gestito in modo indipendente da un altro Paese. Il sistema è stato implementato presso la base aerea di Holzdorf nella Germania orientale, a circa 120 chilometri a sud di Berlino; altri siti entreranno in funzione successivamente.
Alla cerimonia hanno partecipato il direttore generale del Ministero della Difesa israeliano Amir Baram, il capo della Direzione Ricerca e Sviluppo Danny Gold, il CEO di Israel Aerospace Industries Boaz Levy, il direttore dell’Organizzazione israeliana per la difesa missilistica Moshe Patel e vari altri funzionari. Secondo i media tedeschi, né il ministro della Difesa Boris Pistorius né il cancelliere Friedrich Merz erano presenti, ma la rappresentanza militare e governativa tedesca era comunque significativa.
“Come figlio di seconda generazione di sopravvissuti alla Shoah, sono qui profondamente commosso perché un sistema di difesa missilistica balistica, sviluppato dalle migliori menti ebraiche nell’industria aerospaziale israeliana, ora aiuterà a difendere la Germania”, ha detto Baram alla cerimonia, secondo le osservazioni fornite dal Ministero della Difesa. “Noi israeliani, discendenti dei sopravvissuti all’Olocausto, vogliamo vedere la Germania forte e prospera, orgogliosa e leader in Europa e in tutto il mondo. Apprezziamo profondamente che i sistemi israeliani siano parte del rinnovato accumulo di forze della Germania. Il passaggio di consegne di oggi segna solo l’inizio per Israele e Germania. La nostra cooperazione si rafforzerà e si approfondirà, sia nell’aria che a terra o nello spazio”, ha continuato.
Baram ha detto di aver elogiato la decisione della Germania di revocare un embargo sulle armi su Israele. “Tale embargo non avrebbe mai dovuto essere imposto contro l’alleato della Germania che sta combattendo il terrorismo islamista omicida, sia che venga dal regime teocratico iraniano o da Hamas a Gaza. Quando Israele agisce contro le minacce nucleari, i missili balistici e il terrorismo, non stiamo solo difendendo noi stessi, stiamo proteggendo l’intero mondo occidentale. Stiamo facendo il duro lavoro, a volte il “lavoro sporco”, che il mondo intero dovrebbe fare”, ha aggiunto.
Parlando alla cerimonia, l’ambasciatore israeliano in Germania, Ron Prosor, ha ricordato che quest’anno ha segnato i 60 anni di relazioni diplomatiche tra i due Paesi: “La nostra partnership è strategica e la Germania è l’alleato più importante di Israele in Europa. Oggi segniamo un’altra pietra miliare in questa relazione. Chi avrebbe potuto immaginare che solo 80 anni dopo la liberazione di Auschwitz, lo Stato ebraico, attraverso le tecnologie che sviluppa, avrebbe contribuito a difendere non solo la Germania ma tutta l’Europa. La mia famiglia, fuggita dalla Germania alla vigilia dell’Olocausto, non avrebbe mai potuto prevederlo”, ha detto Prosor.
L’Arrow 3 è stato progettato per bloccare i missili balistici mentre sono ancora al di fuori dell’atmosfera. Il sistema ha abbattuto centinaia di missili balistici lanciati contro Israele dall’Iran e dal gruppo terroristico Houthi sostenuto dall’Iran nello Yemen, con un tasso di intercettazione dell’86 per cento durante la Guerra dei 12 giorni contro la Repubblica islamica a giugno.
La vendita ha rappresentato parte della European Sky Shield Initiative guidata dalla Germania per rafforzare le difese aeree dell’Europa continentale in risposta all’invasione russa dell’Ucraina.
Prima della cerimonia, il ministro della Difesa tedesco Pistorius ha detto all’agenzia di stampa Deutsche Presse-Agentur: “Per la prima volta, questo ci dà la capacità di allerta precoce per proteggere la nostra popolazione e le infrastrutture contro i missili balistici a lungo raggio. Con questa capacità strategica, che è unica tra i nostri partner europei, assicuriamo il nostro ruolo centrale nel cuore dell’Europa”, ha detto.
Israele e Germania hanno presentato la vendita come un ulteriore segnale della crescente cooperazione bilaterale. Negli ultimi mesi sono entrati in servizio anche i primi carri armati Leopard 2 dotati del sistema di protezione attiva israeliano Trophy, destinati sia all’esercito tedesco sia alle forze armate norvegesi.

(Bet Magazine Mosaico, 5 dicembre 2025)

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Mille pastori americani a Gerusalemme

GERUSALEMME – Una delegazione di circa 1.000 pastori americani si trova in Israele in segno di solidarietà. Partecipano all'evento “Ambassador Summit – 1.000 Pastors United” (Vertice degli ambasciatori – 1.000 pastori uniti) a Gerusalemme.
  Secondo il quotidiano “Yediot Aharanot”, si tratta della più grande delegazione cristiana che Israele abbia mai ospitato . Il viaggio è stato organizzato dal museo cristiano e centro culturale “Amici di Sion” e dal Ministero degli Esteri israeliano. Il museo è stato fondato da Mike Evans, che ha anche dato vita ad altre organizzazioni filoisraeliane.
  L'obiettivo è quello di prepararli come “ambasciatori” per Israele, in modo che siano in grado di combattere “la più grande guerra ideologica contro il popolo ebraico”, ha scritto Evans martedì sul portale di notizie cristiano “Churchleaders”.

Sa'ar: i pastori sono alleati nella lotta contro la propaganda
  Mercoledì sera ha avuto inizio il vertice. Il ministro degli Esteri Gideon Sa'ar (Nuova Speranza) ha dato il benvenuto ai religiosi e li ha definiti “ambasciatori della verità”, pronti a combattere la propaganda anti-israeliana. “Negli ultimi due difficili anni abbiamo visto chi sono i nostri veri amici. Gli amici cristiani di Israele sono i nostri amici più importanti e influenti”.
  L'incontro è stato definito un'“alleanza di credenti” che lotta contro coloro che vogliono distruggere Israele. Sa'ar ha inoltre sottolineato il rapporto “indistruttibile” tra Israele e gli Stati Uniti e ha parlato di valori comuni. Mike Evans ha dichiarato che nel mondo ci sono più di 700 milioni di sionisti cristiani. “Credono in un libro, ed è un libro ebraico. È un'alleanza basata sulla fede e sull'impegno verso valori comuni”.

Raccontare la verità su Israele
  L'ambasciatore americano in Israele, Mike Huckabee (repubblicano), ha esortato i pastori a usare la loro influenza per combattere le critiche anti-israeliane con la verità e la Bibbia. “I pulpiti americani devono ardere per la verità”, ha detto ai pastori. “Spero che torniate negli Stati Uniti con il fuoco di Dio nelle vostre ossa e diciate che è ora di difendere la Bibbia, perché allora troverete la vostra voce per Israele”.
  Huckabee ha anche parlato della guerra di Gaza, durata due anni. Considerando che Israele ha dovuto combattere una guerra casa per casa contro Hamas, il numero delle vittime civili è rimasto basso, il più basso nella storia della guerra casa per casa. L'ambasciatore statunitense ha elogiato la determinazione di Israele a lottare per il ritorno di ogni singolo ostaggio.
  Al termine della serata inaugurale, l'ex ostaggio Omer Schem-Tov ha cantato in ebraico il Salmo 121 davanti agli ospiti americani. Il salmo inizia con le parole: “Alzo gli occhi verso i monti. Da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra”. Schem Tov ha recitato questo salmo più volte durante la sua prigionia, scrive il sito di notizie JNS.
  Durante il suo soggiorno, la delegazione incontrerà sopravvissuti ed ex ostaggi. Inoltre, i pastori visiteranno i luoghi del massacro di Hamas. L'Ambassador Summit si concluderà domenica.

(Israelnetz, 6 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 33
  • Punizione divina e umiliazione del popolo
    L'Eterno disse a Mosè: “Va', sali di qui, tu con il popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, verso il paese che promisi con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: 'Io lo darò alla tua progenie'. Manderò un angelo davanti a te e scaccerò i Cananei, gli Amorei, gli Ittiti, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. Egli vi condurrà in un paese dove scorre il latte e il miele; poiché io non salirò in mezzo a te, così che non debba sterminarti lungo la via, perché sei un popolo dal collo duro”. Quando il popolo udì queste funeste parole, fece cordoglio, e nessuno indossò i propri ornamenti. Infatti l'Eterno aveva detto a Mosè: “Di' ai figli d'Israele: 'Voi siete un popolo dal collo duro; se io salissi per un solo momento in mezzo a te, ti consumerei! Perciò, ora togliti i tuoi ornamenti, e vedrò come ti debba trattare'”. E i figli d'Israele si spogliarono dei loro ornamenti, dalla partenza dal monte Oreb in poi.

    Costruzione della tenda di convegno fuori dall'accampamento
  • E Mosè prese la tenda, e la piantò per sé fuori dall'accampamento, a una certa distanza dall'accampamento, e la chiamò la tenda di convegno; e chiunque cercava l'Eterno, usciva verso la tenda di convegno, che era fuori dall'accampamento. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava, e ognuno se ne stava in piedi all'ingresso della propria tenda, e seguiva con lo sguardo Mosè, finché egli fosse entrato nella tenda.  E quando Mosè era entrato nella tenda, la colonna di nuvola scendeva, si fermava all'ingresso della tenda, e l'Eterno parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nuvola ferma all'ingresso della tenda; e tutto il popolo si alzava, e ciascuno si prostrava all'ingresso della propria tenda. 
  • L'Eterno parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con il proprio amico; poi Mosè tornava al campo; ma Giosuè, figlio di Nun, suo giovane ministro, non si allontanava dalla tenda.

    Mosè intercede per il popolo e chiede di vedere Dio nella Sua gloria
  • Poi Mosè disse all'Eterno: “Vedi, tu mi dici: 'Fa' salire questo popolo!', e non mi fai conoscere chi manderai con me. Eppure hai detto: 'Io ti conosco personalmente e anche hai trovato grazia agli occhi miei'. Ora, dunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, ti prego, fammi conoscere le tue vie, affinché io ti conosca e possa trovare grazia agli occhi tuoi. E considera che questa nazione è popolo tuo”. E l'Eterno rispose: “La mia presenza andrà con te, e io ti darò riposo”. Mosè allora gli disse: “Se la tua presenza non viene, non farci partire di qui. Poiché, come si farà ora a conoscere che io e il tuo popolo abbiamo trovato grazia agli occhi tuoi? Non sarà dal fatto che tu vieni con noi? Questo distinguerà me e il tuo popolo da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra”. 
  • E l'Eterno disse a Mosè: “Farò anche questo che tu chiedi, perché hai trovato grazia agli occhi miei, e ti conosco personalmente”. Mosè disse: “Ti prego, fammi vedere la tua gloria!”. E l'Eterno gli rispose: “Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, e proclamerò il nome dell'Eterno davanti a te; e farò grazia a chi vorrò fare grazia, e avrò pietà di chi vorrò avere pietà”. Disse ancora: “Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non mi può vedere e vivere”. E l'Eterno disse: “Ecco qui un luogo vicino a me; tu starai su quel masso; e mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una buca del masso, e ti coprirò con la mia mano, finché io sia passato; poi ritirerò la mano, e mi vedrai da dietro; ma il mio volto non si può vedere”.

    (Notizie su Israele, 5 dicembre 2025)


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«I cristiani lasceranno la Siria»

Un anno fa gli islamisti hanno preso il potere con la forza in Siria. In un'intervista con Israelnetz, Kamal Sido, esperto di Medio Oriente della Società per i popoli minacciati, dipinge un quadro cupo. Tuttavia, Israele gli dà speranza.

di Martin Schlorke

- Israelnetz: Signor Sido, un anno fa Ahmed al-Schar’a ha preso il potere in Siria. Da allora, come è cambiata la situazione dei cristiani nel Paese?
  Kamal Sido: La situazione dei cristiani è cambiata radicalmente, perché ora il potere nel Paese è nelle mani di islamisti, jihadisti e salafiti. I cristiani siriani hanno quindi tutte le ragioni per avere paura, anche se Al-Schar'a a volte incontra dignitari cristiani. Gli islamisti hanno l'obiettivo di islamizzare ulteriormente la Siria. A un certo punto, i cristiani non avranno più posto in una Siria del genere.

- Questi incontri possono avere un effetto?
  È necessario cercare di avviare dialoghi di questo tipo, perché è in gioco il futuro dei cristiani in Siria. Senza questi colloqui ci sarebbero ancora più problemi e i radicali agirebbero ancora più duramente contro i cristiani. I patriarchi devono formulare chiaramente la richiesta che la Siria non diventi una repubblica islamica: Al-Shara'a deve prendere le distanze dall'Islam radicale ed essere un presidente di tutti i siriani, comprese le minoranze.

- L'organizzazione umanitaria cristiana “Open Doors” riferisce che le minacce contro i cristiani sono in aumento.
  Al-Schar'a si mostra moderato. Tuttavia, il suo entourage, i ministri, i sindaci, i poliziotti e i suoi normali sostenitori continuano ad essere radicali e rappresentano una minaccia costante per i cristiani, perché gli islamisti non tollerano il cristianesimo in sé. I cristiani sono considerati persone di terza o quarta classe.

- Presto arriveranno le festività natalizie, che comportano una maggiore visibilità dei cristiani. C'è ora un pericolo ancora maggiore per i cristiani?
  Il pericolo c'è. C'è un proverbio che dice: “Prima bisogna stare saldamente in sella e poi si può colpire”. È così che hanno agito (il presidente Recep Tayyip) Erdoğan in Turchia, (l'ex presidente Mohammed) Mursi in Egitto e anche i mullah in Iran. Il mondo guarda ancora alla Siria e il regime deve ancora stabilizzarsi. Tuttavia, i cristiani sentono già di non essere i benvenuti in Siria.

- I cristiani siriani lasceranno il loro Paese per questo motivo?
  Sì, i cristiani lasceranno la Siria.

- E i cristiani che sono fuggiti durante la guerra non torneranno più?
  Assolutamente no. Anche i musulmani non vogliono tornare perché il futuro politico è così incerto. Ma anche in Germania la situazione è pericolosa per i siriani. Anche qui vivono siriani radicali che minacciano cristiani, drusi o alawiti. 

- Il ministro degli Esteri Johann Wadephul ha avviato un dibattito sulla situazione in Siria. Dopo la sua visita a Damasco, ha affermato che in Siria è quasi impossibile vivere dignitosamente.
  Ci sono infatti regioni completamente distrutte. Non si può espellere nessuno in quei luoghi. Ma ho un altro problema con il ministro.

- Quale?
  Lui, ma anche la sua predecessora Annalena Baerbock, minimizzano il regime islamista, ad esempio con le loro visite. La Germania dovrebbe invece impegnarsi affinché in Siria si instauri una democrazia in cui anche i cristiani godano di piena libertà di culto. In cui anche io, come musulmano, non debba avere paura degli islamisti.

- Sebbene tutto ciò non avvenga, l'Occidente ha allentato le sanzioni e promesso aiuti finanziari.
  Sarò sincero: non ho alcuna stima dei politici occidentali al riguardo. I diritti umani diventano rilevanti solo quando servono interessi geopolitici. È sempre stato così e non cambierà. Per questo l'Occidente accetta il regime. Per questo è compito delle organizzazioni per i diritti umani, dei giornalisti e della società civile richiamare l'attenzione sugli abusi. Anche le chiese devono alzare la voce.

- Si tratta di cristiani perseguitati. Perché le chiese non alzano la voce? La geopolitica non dovrebbe essere un motivo valido per le chiese.
  In realtà la politica ha un ruolo importante. Quando il Papa ha visitato la Turchia, si è comportato in modo molto diplomatico, invece di esprimersi in modo critico. L'approccio è quello di cercare di conquistare o convincere gli islamisti. Ma questo non funzionerà.

- Al-Schar'a ha promesso di proteggere tutte le minoranze religiose del Paese. Lo vuole davvero e può farlo?
  Non credo a questa sua affermazione. Nelle sue parole, nei suoi occhi e nelle sue espressioni facciali non vedo alcuna credibilità. Questo mi spaventa.

- Come valuta la situazione delle altre minoranze nel Paese?
  Ancora peggiore di quella dei cristiani. Ogni giorno gli alawiti vengono violentati e uccisi. Stanno vivendo uno dei periodi più bui della loro storia. I drusi avrebbero subito un massacro inimmaginabile se l'aviazione israeliana non fosse intervenuta. Senza Israele, decine di migliaia di persone avrebbero trovato la morte. Ciononostante, decine di villaggi sono stati distrutti. Se gli alawiti e i drusi continueranno a essere indeboliti e massacrati, i cristiani rischiano di subire lo stesso destino.

- E i curdi?
  I curdi oppongono resistenza e sono la punta di diamante della democrazia in Siria. Drusi e alawiti ripongono grandi speranze nei curdi. Tuttavia, i curdi sono minacciati non solo dai nuovi detentori del potere siriani, ma anche dalla Turchia di Erdoğan. Grazie al sostegno degli americani, i curdi possono ancora difendersi. Ma se Trump interromperà il suo sostegno, anche qui si profila il rischio di un massacro.

- C'è qualcosa che le dà speranza per il futuro della Siria?
  Non bisogna perdere la speranza. Perché chi si arrende ha già perso. Mi dà speranza la resistenza degli alawiti, dei drusi e dei curdi contro l'Islam radicale. E la mia speranza è Israele. Israele sa per propria dolorosa esperienza che gli islamisti sono un pericolo.

- Signor Sido, grazie mille per l'intervista.

(Israelnetz, 5 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Contro l’antisemitismo, un libro prezioso

di Davide Cavaliere

In questi tempi di antiebraismo diffuso e montante, è davvero un piacere poter leggere libri come Gli ebrei e la cultura di Paolo Agnoli, fisico nucleare e filosofo, nonché appassionato di cultura ebraica, che nel suo agile saggio riflette sugli ebrei senza mai accostarli a presunti misfatti e crimini a loro inopinatamente attribuiti.
  La domanda di partenza, che è anche il sottotitolo del libro, «perché ci sono così tanti Nobel di origine ebraica?», non è affatto peregrina. Gli ebrei, infatti, sebbene rappresentino solamente lo 0,2 percento della popolazione mondiale, hanno ottenuto oltre il 20 percento dei premi Nobel assegnati. Nel caso delle discipline scientifiche, come ricorda Agnoli, questo dato diventa ancora più impressionante: circa il 35 percento dei Nobel scientifici è stato assegnato a studiosi ebrei. «Con una larga predominanza – scrive l’autore – in quella che veniva definita “la regina delle scienze”»: la Fisica.
  Esiste certamente un «mito dell’intelligenza ebraica» – così come analizzato da Sander L. Gilman – ma Agnoli è troppo intelligente e accorto per cadere preda di un qualunque pregiudizio, ancorché positivo. Resta comunque da spiegare questa clamorosa vivacità intellettuale del popolo ebraico.
  L’autore, evitando qualsiasi spiegazione di tipo «razzista», ossia che tracci una correlazione tra fenotipi e intelligenza, ricerca, ben più saggiamente, nella storia culturale del popolo ebraico e nelle sue vicissitudini, le cause dell’eclatante successo degli ebrei in ogni ambito dello scibile umano.
  Senza voler svelare troppo ai lettori – che speriamo siano molti – possiamo anticipare che le cause individuate da Agnoli sono, all’incirca, le seguenti: il culto per lo studio, indissolubilmente legato allo studio della Torah; l’erranza, indotta dalle innumerevoli persecuzioni, che ha costretto gli ebrei ad «adattarsi a diverse culture, lingue, sistemi legali e sociali. Questa mobilità ha permesso loro di entrare in contatto con molte tradizioni e civiltà, di assimilarle, e talvolta, ritengo anche di innovarle» (dopotutto, come ha scritto Emil Cioran, «senza di loro le città sarebbero irrespirabili; essi vi mantengono uno stato febbrile, senza il quale ogni centro urbano diventa provincia: una città morta è una città senza ebrei»); vengono poi il ruolo d’importanza attribuito alle donne, la costante interazione tra religione e scienza (quella che spinse Einstein a formulare sorprendenti affermazioni su Dio) e l’amore per la democrazia.
  Su quest’ultimo fattore vorrei soffermare un po’ più a lungo la mia attenzione, dato che il monoteismo ebraico, oggi, è sistematicamente accusato di aver costituito la matrice di ogni potere autocratico e «razzista», così come di aver dato origine a Israele, da molti considerato lo Stato «colonialista» per eccellenza. Agnoli, in opposizione alla giudeofobia contemporanea, ha il merito di ricordare che «il valore dell’analisi critica e quello della discussione razionale sono sempre stati alla base del confronto, nel mondo ebraico».
  L’ebraismo, così come il sionismo, è alieno per natura al dogmatismo, alle rigidità dottrinali, all’intolleranza esercitata in nome di un’idée fixe. Gli ebrei tendono così, per educazione, al pluralismo, al razionalismo critico e alla discussione. Non è un caso che, tra i filosofi politici, alcuni dei più innovativi promotori della libertà e della tolleranza siano ebrei: da Maimonide a Spinoza, da Leo Strauss a Emmanuel Lévinas.
  Ma è bene fermarsi qua: al lettore il compito di scoprire le altre riflessioni contenute in Gli ebrei e la cultura. Un libro breve, da cui emergono anche le vaste letture dell’autore: sono citati Elie Wiesel, Giorgio Israel, Simon Wiesenthal, Isaac B. Singer, Niels Bohr, Thorstein Veblen… citazioni che sono lì non per riempire «vuoti» argomentativi, ma per impreziosire e rafforzare, proprio come le numerose barzellette ebraiche riportate, il pensiero dell’autore.
  Come si diceva in apertura, in questi dark times – per usare un’espressione dell’ebrea Hannah Arendt –, il libro di Paolo Agnoli è un’ammirevole scheggia (o particella, come forse preferirebbe l’autore) di luce.

(L'informale, 4 dicembre 2025)

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Riflessioni sullo Shabbat

Alcuni “pensieri sullo Shabbat”. Nei cinque libri di Mosè viene raccontata la storia del popolo d'Israele, dalla creazione del mondo alla redenzione nella Terra Promessa che Dio aveva promesso ad Abramo. Questi cinque libri sono suddivisi in letture settimanali. 25 anni fa mio suocero Ludwig Schneider ha scritto il libro “Chiave per la Torah” sulle 54 letture settimanali. Un filo conduttore messianico che attraversa la Torah. La Torah ha 70 volti, si dice in ebraico. Vorrei illustrare alcune di queste sfaccettature per ampliare ulteriormente la visione. Le letture settimanali della Torah aprono i nostri occhi e il nostro cuore all'intera Parola di Dio, la Bibbia. La Torah getta luce sull'intero testo biblico e così ogni volta scopriamo qualcosa di nuovo che ci stimola a riflettere e rende la Bibbia attuale e viva. 

di Anat Schneider

Lettura settimanale – וַיִּשְׁלַח– Wajischlach – E lui mandò Genesi 32,43 - Abdia 1,1-21

Hai mai sentito di trovarti interiormente a un punto di svolta? Che la vita ti spinge a non continuare più come prima? Che la persona che eri non corrisponde più a quella che sei diventato? È proprio qui che inizia la storia di Giacobbe ed è proprio qui che inizia anche con noi. Questa è la lettura settimanale che leggiamo nel popolo d'Israele in questo Shabbat. Venite a leggerla con noi!

“Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele”. Ci sono momenti nella vita in cui il nostro nome improvvisamente ci sembra troppo limitante. Non perché non sia bello, ma perché non ci rappresenta più. Perché sentiamo di essere diventati qualcun altro. È il momento in cui una persona affronta la propria storia e capisce che è giunto il momento di cambiare.

Così Giacobbe se ne sta lì, solo, sulla riva del Jabbok. Ha già mandato la sua famiglia dall'altra parte del fiume. Un momento in cui la sua vita sta per cambiare. Il confronto notturno non è solo una lotta con un angelo. È una lotta per l'identità. Giacobbe capisce che tutta la sua vita è stata caratterizzata dalla fuga, da Esaù, da Labano e soprattutto dalla sua verità interiore. Eppure, proprio nell'oscurità, nell'ora della paura, scopre in sé una forza che non conosceva. Combatte. Resiste. Viene ferito, ma non spezzato. Questo diventa il momento della sua rinascita.

Insieme a questa consapevolezza, riceve anche una nuova benedizione. Un segno che la verità di questo momento è autentica: «Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, perché hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto». Il cambio di nome non è un dettaglio, ma il nucleo del risveglio interiore che Giacobbe sta vivendo. Israele (ישראל), dalla radice jaschar (ישר), dritto. Al contrario di Giacobbe, dalla parola akev (עקב), tallone, storto, contorto. «E ciò che è storto diventerà dritto», si legge in Isaia 40,4.

Israele è l'uomo che aspira alla rettitudine. Che è pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Che non cerca scorciatoie. Israele è colui che non fugge più, non si infila nelle fessure, ma sta in piedi: davanti alla sua vita, davanti alla sua verità e davanti a Dio. Il nuovo nome non è un'etichetta, ma l'essenza. Un'identità che vuole essere accettata.

Giacobbe, invece, porta i segni di una vita piena di deviazioni, lotte per la sopravvivenza, fughe e abili adattamenti. È nato mentre teneva il tallone di suo fratello. Ha vissuto tra Esaù e Labano e ha sempre saputo “cavarsela”. Ma a un certo punto Dio lo chiama a crescere.

E allora si manifesta un profondo paradosso: proprio quando riceve il nome “Israele”, il nome della rettitudine, lascia la lotta zoppicando, cioè ‘storto’. La ferita non è una punizione, ma un sigillo. Una testimonianza che la lotta è stata vera. È la cicatrice di una nuova nascita e allo stesso tempo un ricordo: la “Jakob-Haftigkeit”, i vecchi schemi non scompaiono semplicemente.

Anche chi si rialza porta con sé le tracce del proprio passato. A volte i vecchi schemi rialzano la testa e allora è necessario decidere di intraprendere la nuova strada, ancora e ancora. Finché il vecchio svanisce e il nuovo è saldamente radicato in noi. Finché Giacobbe diventa sempre più Israele. E infatti, nelle letture settimanali successive, a volte compare “Giacobbe” e a volte “Israele”, a volte anche nello stesso brano. Come se la Bibbia volesse dirci che il nuovo uomo vive già in lui, ma quello vecchio è ancora lì.

E Israele deve scegliere continuamente chi vuole essere ora. Più spesso sceglie Israele, più Giacobbe scompare. Le sue vie diventano più diritte, la sua vita più completa. Il cambiamento non è mai completo, mai facile, mai senza tracce. Il nuovo nome segna il passaggio: da ciò che era a ciò che è possibile. A volte questo momento arriva nel confronto con una grande paura, a volte nel mezzo di una crisi, a volte in una lunga notte in cui siamo soli con noi stessi. Ma quando una persona ha il coraggio di non nascondersi più, ma vuole crescere da questo momento, allora ne esce come una persona nuova. Con un nuovo capitolo. Con un nuovo modo di essere.

E così la storia non racconta solo di Giacobbe e Israele, ma anche di noi. Vale la pena chiedersi: quale parte di noi risponde ancora al nome di Giacobbe? E quale parte desidera già essere chiamata Israele?

Shabbat Shalom!

(Israel Heute, 5 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 32
    Il vitello d'oro
  • Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, si radunò intorno ad Aaronne e gli disse: “Facci un dio che vada davanti a noi; poiché, quanto a Mosè, a quest'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa gli sia accaduto”. E Aaronne rispose loro: “Togliete gli anelli d'oro che sono agli orecchi delle vostre mogli, dei vostri figli e delle vostre figlie, e portatemeli”. E tutto il popolo si tolse dagli orecchi gli anelli d'oro e li portò ad Aaronne, il quale li prese dalle loro mani, e, dopo averne cesellato il modello, ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: “O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!”. Quando Aaronne vide questo, costruì un altare davanti ad esso, e fece un annuncio che diceva: “Domani sarà festa in onore dell'Eterno!”. Il giorno dopo, quelli si alzarono di buon'ora, offrirono olocausti e portarono dei sacrifici di ringraziamento; e il popolo si adagiò per mangiare e bere, e poi si alzò per divertirsi. Allora l'Eterno disse a Mosè: “Va', scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è corrotto; si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si sono fatti un vitello di metallo fuso, lo hanno adorato, gli hanno offerto sacrifici, e hanno detto: 'O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto'”. L'Eterno disse ancora a Mosè: “Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro. Ora dunque, lascia che la mia ira si infiammi contro di loro, e che io li consumi! ma di te io farò una grande nazione”. Allora Mosè supplicò l'Eterno, il suo Dio, e disse: “Perché, o Eterno, la tua ira si infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande potenza e con mano forte? Perché direbbero gli Egiziani: 'Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per eliminarli dalla faccia della terra'? Calma l'ardore della tua ira e pèntiti del male di cui minacci il tuo popolo. Ricordati di Abraamo, di Isacco e d'Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: 'Io moltiplicherò la vostra progenie come le stelle dei cieli; darò alla vostra progenie tutto questo paese di cui vi ho parlato, ed essa lo possederà per sempre'”. E l'Eterno si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo.

    Mosè spezza le tavole della legge
  • Allora Mosè si voltò e scese dal monte con le due tavole della testimonianza nelle mani: tavole scritte su entrambi i lati, da una parte e dall'altra. Le tavole erano opera di Dio, e la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavole. Giosuè, udendo il clamore del popolo che gridava, disse a Mosè: “Si ode un fragore di battaglia nell'accampamento”. E Mosè rispose: “Questo non è né grido di vittoria, né grido di vinti; il clamore che odo è di gente che canta”. Come fu vicino al campo, vide il vitello e le danze e l'ira di Mosè si infiammò, ed egli gettò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi del monte.  Poi prese il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò con il fuoco, lo ridusse in polvere, sparse la polvere sull'acqua, e la fece bere ai figli d'Israele. E Mosè disse ad Aaronne: “Che ti ha fatto questo popolo, che gli hai attirato addosso un così grande peccato?”. Aaronne rispose: “L'ira del mio signore non si infiammi; tu conosci questo popolo, e sai che è incline al male. Essi mi hanno detto: 'Facci un dio che vada davanti a noi; poiché, quanto a Mosè, a quest'uomo che ci ha tratti fuori dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa gli sia accaduto'. E io ho detto loro: 'Chi ha dell'oro se lo tolga di dosso!'. Essi me lo hanno dato; io l'ho gettato nel fuoco, e ne è venuto fuori questo vitello”.

    Strage del popolo per ordine di Mosè
  • Quando Mosè vide che il popolo era senza freno e che Aaronne lo aveva lasciato sfrenarsi esponendolo all'obbrobrio dei suoi nemici, si fermò all'ingresso del campo, e disse: “Chiunque è per l'Eterno, venga a me!”. E tutti i figli di Levi si radunarono presso di lui. Ed egli disse loro: “Così dice l'Eterno, l'Iddio d'Israele: 'Ognuno di voi si metta la spada al fianco; passate e ripassate nell'accampamento, da una porta all'altra di esso, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l'amico, ciascuno il vicino!'”. I figli di Levi eseguirono l'ordine di Mosè, e in quel giorno caddero circa tremila uomini. Mosè aveva detto: “Consacratevi oggi all'Eterno, anzi ciascuno si consacri a prezzo del proprio figlio e del proprio fratello, affinché l'Eterno vi conceda una benedizione”.

    Mosè intercede per Israele
  • Il giorno dopo Mosè disse al popolo: “Voi avete commesso un grande peccato; ma ora io salirò all'Eterno; forse otterrò che il vostro peccato vi sia perdonato”. Mosè dunque tornò all'Eterno e disse: “Ahimè, questo popolo ha commesso un grande peccato, e si è fatto un dio d'oro; tuttavia, perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!”. E l'Eterno rispose a Mosè: “Colui che ha peccato contro di me, quello cancellerò dal mio libro! Ora va', conduci il popolo dove ti ho detto. Ecco, il mio angelo andrà davanti a te; ma nel giorno che verrò a punire, io li punirò del loro peccato”. E l'Eterno percosse il popolo, perché esso era l'autore del vitello che Aaronne aveva fatto.

(Notizie su Israele, 4 dicembre 2025)


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Le promesse infrante dall’AP

Bambini palestinesi ancora educati all’odio per gli ebrei e i terroristi pagati

di Nina Prenda

Per anni l’Autorità Palestinese (AP) ha assicurato di voler riformare a fondo il proprio sistema educativo e porre fine alle ricompense finanziarie sponsorizzate dallo Stato per il terrorismo. Promesse che, nelle intenzioni dichiarate, avrebbero dovuto segnare un percorso di moderazione e preparare il terreno a una futura convivenza tra israeliani e palestinesi. Secondo una lunga serie di rapporti indipendenti e revisioni, quelle riforme non si sarebbero tradotte in un cambiamento sostanziale. Le analisi dei materiali scolastici continuano a rilevare elementi ricorrenti: contenuti antisemiti, la glorificazione di figure coinvolte in attentati e un linguaggio che presenta la violenza come opzione legittima. Una distanza evidente tra ciò che viene promesso e ciò che viene effettivamente insegnato.
Da oltre dieci anni i principali donatori occidentali chiedono all’AP di rimuovere l’incitamento alla violenza dai programmi scolastici. Le autorità palestinesi, a loro volta, hanno più volte assicurato che una revisione seria fosse in corso. Le verifiche periodiche sui libri di testo però continuano a restituire lo stesso quadro: mappe che ignorano l’esistenza d’Israele, figure di terroristi presentate come modelli, riferimenti alla lotta armata come strada da perseguire. Molte scuole, osservano i ricercatori, continuano a intitolare aule e sezioni a figure coinvolte in attacchi, trasformandole in esempi per gli studenti. Un pattern che si ripete anno dopo anno e che mette in discussione la credibilità degli impegni presi.
Come riporta anche il Times of Israel, è stato di recente pubblicato un rapporto dall’organismo di controllo IMPACT-SE, con sede in Israele e nel Regno Unito, che monitora i contenuti educativi intitolato “Revisione del 2025-2026, Autorità palestinese, Curriculum scolastico, Gradi 1-12”. Lo studio parla di un impianto narrativo che, più che aprire a una dialettica pacifica, consolida un senso di ostilità verso gli ebrei e verso Israele.
Le rappresentazioni degli ebrei sono spesso negative, mentre esercizi di grammatica o matematica includono riferimenti al martirio o alla resistenza armata. Questi elementi non sarebbero frutto di disattenzione editoriale, ma parte di un impianto educativo che orienta i bambini palestinesi verso una visione univoca del conflitto, riducendo lo spazio per un approccio critico o per una prospettiva di convivenza.
Per riportare alcuni esempi, un esercizio di lettura in un testo di prima elementare introduce la parola “shaheed“, martire, per insegnare una lettera. Nella società palestinese, la parola martire si riferisce tipicamente a qualcuno che viene ucciso in un conflitto con Israele.
In un testo in arabo di seconda elementare, viene presentata una poesia agli studenti, che recita: “Diamo le nostre anime per la rivoluzione. Portiamo la fiamma della rivoluzione – ad Haifa, a Jaffa, ad Al-Aqsa e alla Cupola della Roccia”. Haifa e Jaffa si trovano all’interno dei confini riconosciuti a livello internazionale di Israele, e Israele ha annesso Gerusalemme Est, che contiene la Cupola della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa, più di quattro decenni fa. La poesia appare con un’illustrazione di un ragazzo e di una ragazza in uniformi scout palestinesi che guardano verso Gerusalemme.
In un libro di educazione islamica delle medie, gli ebrei sono presentati come manipolatori e bugiardi attraverso un racconto tradizionale islamico. I personaggi, esplicitamente etichettati come “Ebrei”, sono ritratti come immorali e ostili all’Islam. Inoltre, secondo lo studio, i riferimenti alla storia ebraica e agli sforzi diplomatici arabo-israeliani, che sono apparsi nelle edizioni precedenti, sono stati rimossi. Le menzioni dei processi di pace di Camp David e Annapolis – così come qualsiasi contenuto che promuova la non violenza o il compromesso – rimangono assenti nei libri di testo 2025-2026. In effetti, qualsiasi riconoscimento della storia ebraica è assente, la Shoah è ignorata.
Allo stesso modo, la persecuzione e l’espulsione subite dalle comunità ebraiche nei Paesi arabi dopo l’istituzione di Israele sono del tutto assenti. Anche in campi non legati a Israele, i libri di testo non sono all’altezza degli standard educativi delle Nazioni Unite, ha rilevato il rapporto, dicendo che i libri sull’istruzione islamica continuano a presentare le donne come deboli e subordinate agli uomini. Secondo lo studio, in alcuni casi, gli israeliani sono ritratti come figure demoniache, accusate di atrocità e ritratti come intrinsecamente malvagi. Poesie e canzoni conferiscono legittimità alla violenza e insegnano che l’esistenza stessa di Israele è illegittima.
Per citare altri esempi, in un libro di testo di educazione islamica delle medie, i versetti del Corano sono usati per insegnare che “i Figli di Israele” sono corrotti, destinati alla distruzione e puniti divinamente. Passando al tempo futuro, si interpreta il Corano come una profezia catastrofica per gli ebrei: gli israeliti riacquisteranno brevemente il potere ma troveranno la loro fine nell’umiliazione e nella sconfitta per mano dei “servi di Dio”.
Un libro di studi sociali delle medie liquida la storia ebraica in Palestina come irrilevante ed etichetta la presenza storica ebraica a Gerusalemme come una “fabbricazione” destinata a cancellare l’eredità arabo-islamica. L’analisi dei libri di testo mostra un continuo incoraggiamento della violenza e del terrorismo, anche attraverso un inquadramento religioso esplicitamente islamico del concetto di jihad. In un libro di testo di educazione islamica delle medie, agli studenti viene chiesto: “In quali circostanze la jihad per liberare la Palestina è considerata un dovere personale per ogni musulmano?”
Secondo il rapporto, questa formulazione rappresenta un’intensificazione dei contenuti precedenti: l’edizione 2019 si riferiva alla jihad come un dovere per tutti i musulmani, ma non la collegava esplicitamente alla “liberazione della Palestina”. In un libro di testo delle medie, la jihad è presentata come un percorso verso il paradiso, mentre in un altro testo di educazione islamica si loda la jihad armata, definita come combattere per conto dell’Islam. L’inquadratura religiosa è rafforzata con esempi concreti di attacchi terroristici palestinesi. In un libro di storia delle medie, il massacro delle Olimpiadi di Monaco del 1972, in cui 11 atleti israeliani e membri della delegazione olimpica sono stati uccisi, è presentato come una forma legittima di resistenza palestinese. Un libro di matematica di terza elementare insegna a fare calcoli attraverso il “numero di martiri” uccisi a Gaza. Una guida per insegnanti di storia delle elementari istruisce gli educatori a respingere le risoluzioni delle Nazioni Unite, anche quelle che chiedono la pace, se sono percepite come minanti i diritti nazionali palestinesi.
Per queste ragioni, i funzionari europei e americani sono diventati sempre più scettici sulle affermazioni dell’AP riguardanti le riforme. Le risoluzioni parlamentari in Europa hanno citato la presenza continua di incitamento alla violenza nei libri di testo e hanno chiesto un congelamento di alcuni fondi fino a quando le modifiche non saranno verificate. Gli esperti dell’istruzione che hanno esaminato i materiali nei mesi successivi a queste promesse hanno scoperto che nulla era cambiato nelle aule. Gli studenti che tornavano in aula nel 2025 erano ancora esposti agli stessi messaggi violenti che i donatori internazionali avevano cercato di eliminare.

Finanziamenti ai terroristi
  La pressione internazionale ha preso di mira anche la politica di lunga data dell’AP di fornire stipendi mensili ai terroristi imprigionati e pagamenti alle famiglie di coloro che hanno commesso attacchi. L’AP ha annunciato che il Fondo per i martiri sarebbe stato gradualmente eliminato e sostituito con un sistema di welfare basato sui bisogni. Questa mossa è stata ampiamente considerata come un segno di cambiamento. Tuttavia, le indagini successive hanno rilevato che i pagamenti sono continuati attraverso dipartimenti ristrutturati che hanno preservato le stesse categorie di beneficiari. La terminologia è cambiata, ma gli incentivi finanziari sono rimasti.
Questi pagamenti comunicano che la violenza contro gli israeliani è un atto onorato. Molte famiglie di aggressori ricevono più compensi rispetto agli insegnanti, ai dipendenti pubblici o ai professionisti. Questo crea una gerarchia sociale che premia coloro che commettono omicidi rispetto a coloro che contribuiscono alla società.
Questa erosione della fiducia colpisce più degli aiuti finanziari e danneggia la credibilità dell’AP come partner per qualsiasi accordo di pace. Una leadership che non può o non vuole riformare il proprio sistema educativo solleva serie domande sulle sue intenzioni e sulla sua capacità di preparare le generazioni future alla convivenza.
I primi a subire le conseguenze di questa mancata riforma non sono soltanto i civili israeliani colpiti dalla violenza, ma gli stessi studenti palestinesi. Crescere in un sistema che privilegia la narrativa del conflitto limita la visione del mondo, riduce le opportunità economiche future e lascia spazio a narrative estremiste che prosperano laddove l’istruzione non propone alternative.
Un ambiente educativo incapace di offrire modelli costruttivi finisce per soffocare l’iniziativa individuale e il dialogo, impoverendo l’intera società e compromettendo ogni prospettiva di progresso.
Il continuo fallimento dell’AP nel riformare i libri di testo e porre fine alle ricompense finanziarie per la violenza espone un profondo divario tra le sue promesse pubbliche e la sua condotta effettiva. Nonostante i ripetuti impegni, l’incitamento alla violenza rimane incorporato nelle aule e i pagamenti continuano in pratica con etichette riviste. Queste promesse non mantenute ingannano la comunità internazionale e privano i bambini palestinesi dell’istruzione che meritano. Il progresso reale richiede più delle dichiarazioni pubbliche. Richiede una rimozione completa del materiale di odio, una vera fine dei pagamenti del terrore e un impegno per preparare la prossima generazione per un futuro costruito sulla responsabilità piuttosto che sulla violenza.

(Bet Magazine Mosaico, 4 dicembre 2025)

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L’arabo cristiano che combatte per Israele

Nel Kibbutz Sasa: «Qui le sirene della contraerea scattano dopo l’esplosione dei razzi. Hezbolla è a meno di un chilometro. Abbiamo 7 secondi per entrare nel bunker».

di Costanza Cavalli

Ci sono due modi di vivere nel nord di Israele e, che si sia chiamati all’uno o all’altro, bisogna essere pronti. «La questione non è se arriverà la guerra, ma quando», dice un ufficiale militare delle Forze di Difesa israeliane in forza al Comando settentrionale. Niente foto e tutto fuori taccuino, Hezbollah ha messo una taglia sulla sua testa: sul monte Adir, nell’Alta Galilea, a mille metri di altezza, si vive così. Di fronte, si sdipana il confine, segnato da un muro. Non ce ne sarebbe bisogno: di qua è tutto verde, ci sono le querce e gli arbusti della macchia mediterranea, di là è spoglio, rasato e terroso. «Le nostre montagne sono una riserva naturale», spiega l’ufficiale, «i libanesi invece lasciano pascolare le pecore». La cima della montagna è chiusa ai visitatori: c’è una base delle Idf, si vedono le antenne. A est si trovano le Alture del Golan, spostando lo sguardo verso nord c’è il Monte Hermon, al limitare tra Israele, Siria e Libano. Il Mediterraneo è a ovest. Da qui parte il fronte unico che, secondo gli ultimi report, Gerusalemme sta cercando di costruire per collegare il Libano meridionale al sud della Siria. Due teatri, un unico arco offensivo.
   L’ufficiale lo dice sul campo: «Se Hezbollah se ne andasse non avremmo più niente da fare qui, raggiungeremmo la pace nel giro di un’ora. Non abbiamo interesse a invadere o occupare il Libano, vogliamo solo che questa area diventi tranquilla. Ma Hezbollah è e rimarrà una minaccia». Sul fronte diplomatico, l’inviato speciale americano per la Siria, Tom Barrack, durante una visita in Iraq, ha avvertito di un’imminente operazione israeliana in Libano contro la milizia sciita filo-iraniana per disarmarla. Si avvicina la scadenza dell’ultimatum fissato dagli Stati Uniti e Israele perché il Libano presenti passi concreti sull’abbandono degli armamenti da parte dei miliziani e Washington è stata chiara: ogni futuro sostegno finanziario e militare a Beirut è legato alla smilitarizzazione di Hezbollah.
   Gli intoppi, però, sono tre. Il primo è che il nucleo dell’ideologia di Hezbollah sta nella “resistenza armata” contro Israele. La lotta non è un mezzo, ma l’identità. Il partito, cioè, per essere considerato un interlocutore affidabile, dovrebbe essere ricostruito dalle fondamenta. Il secondo, spiega la fonte, è che «le forze armate libanesi e Hezbollah fanno parte della stessa famiglia. In una famiglia libanese capita che un fratello si arruoli nell’esercito e un altro imbracci un mitra per il Partito di Dio». A disarmare Hezbollah si corre quindi il rischio di provocare una guerra civile. Il terzo è che a un anno dall’entrata in vigore del cessate il fuoco i miliziani stanno ricostruendo le proprie capacità, contrabbandando missili oltre il confine siriano e ripristinando posizioni e basi.
   Come? Oltre ai metodi di finanziamento tradizionali - traffico di droga, diamanti e riciclaggio di denaro - grazie ai soldi dell’Iran. La Forza Quds della Repubblica Islamica dell’Iran ha contrabbandato oltre un miliardo di dollari verso Hezbollah attraverso gli Emirati Arabi Uniti da gennaio di quest’anno, ha riportato giovedì il Wall Street Journal, citando il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. La maggior parte dei denari arrivano dai guadagni delle vendite di petrolio iraniano e passano attraverso negozi di cambio, aziende, corrieri in stanza a Dubai. Da lì arrivano ai contrabbandieri in Libano. Altri fondi passano da Turchia e Iraq.
   E l’Onu? «Ci siamo fidati, ma a vent’anni di distanza (dalla seconda guerra del Libano, scoppiata nell’estate 2006, ndr), possiamo constatare che i Caschi blu, che dovranno abbandonare il Paese dei cedri l’anno prossimo, non hanno compiuto la loro missione. Le ostilità non sono cessate».
   L’ufficiale non è l’unico che non si fida. Jerry (sic.) saluta, chiacchiera, mangia, sorride, tutto con un M16 a tracolla: nel kibbutz Sasa, all’estremo nord dell’Alta Galilea, si vive così. È arabo, cristiano melchita, gestisce un pub irlandese, difende gli israeliani.
   Arriva dall’unico centro cristiano del Medio Oriente, Fassuta. Si vede dall’autostrada, su una collina, segnalato da una croce tutta lucine che potrebbe star bene a Las Vegas. A Sasa il 7 ottobre i missili Kornet di Hezbollah hanno danneggiato la biblioteca, una parte del liceo e l’Auditorium. Il confine con il Libano è distante poco più di un chilometro. «Le sirene della contraerea scattano dopo l’esplosione dei razzi, tanto i miliziani sono vicini», ha raccontato Angelica Edna Calò Livne, «In caso di attacco diretto avremmo sette secondi per entrare nel bunker: è come non averlo». È nata nel quartiere Testaccio, ma casa sua è qui da cinquant’anni, ha quattro figli, tre dispiegati nella Striscia, insegna Teatro all’università di Tel Hai a Kiryat Shmona. «Prima della guerra eravamo 450 abitanti, adesso siamo una cinquantina, tra responsabili della sicurezza e chi non se ne vuole andare». Lei è rimasta per suo marito Yehuda, un figlio del kibbutz, a capo della squadra di emergenza. La comunità ha una cassa comune in cui finiscono gli stipendi e i proventi delle attività, le decisioni sono prese dall’assemblea degli abitanti. La mensa, in cui si mangia a colazione e a pranzo, è gratuita. Le utenze vengono pagate attraverso il fondo. Tutti possono studiare fino al dottorato. Socialisti e collettivisti.
   «Non rinuncio a credere nella pace», ha detto Edna, «e non me ne vado». Ha le mele da raccogliere, «le pink lady, le più buone del mondo», e i kiwi. La frutta è la principale entrata del bilancio del kibbutz: 90 ettari, in media tremila tonnellate l’anno. La seconda voce è la Plasan, azienda leader mondiale nella progettazione, sviluppo e produzione di blindature per veicoli terrestri, aerei e navi delle forze armate.

Libero, 4 dicembre 2025)

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Talitha Kumi – Giovinetta, alzati!

Alcuni luoghi sono più di un semplice edificio o incrocio. Ci sono luoghi che sono come porte verso una storia più profonda, verso una vita che ci aspetta, ci sfida e ci trasforma. Per me, "Talitha Kumi è proprio un luogo del genere. La storia che segue accompagna il mio percorso e mostra come un luogo famoso nel cuore di Gerusalemme sia diventato una porta personale verso la speranza, la fede e la resurrezione. A.S.

di Anat Schneider

GERUSALEMME - Originariamente, il “Talitha Kumi”, costruito nel XIX secolo da Konrad Schick, era un orfanotrofio per ragazze cristiane. La storia biblica del miracolo è stata fonte di ispirazione per la fondazione dell'orfanotrofio, poiché il convento si considerava seguace di Gesù, donando vita a sua volta.
Dopo la fondazione dello Stato di Israele, lo Stato ha acquistato il terreno. Qui sono stati costruiti il grande magazzino “Hamashbir” e la torre della città. La casa fu demolita, ma una parte del suo aspetto originale fu conservata. La facciata del secondo piano, compreso l'orologio e l'insegna dell'orfanotrofio, fu lasciata al livello della strada. Con il tempo, questo divenne uno dei monumenti più famosi di Gerusalemme.
Molto prima che Talitha Kumi diventasse il punto d'incontro centrale, il nome era un ricordo delle parole di Gesù quando risuscitò la figlia del capo della sinagoga Giair: “Talitha Kumi!” - “Alzati, giovinetta!” Fu la prima resurrezione di un morto da parte di Gesù riportata nel Vangelo.
Ho conosciuto questa storia quando avevo vent'anni, quando ho iniziato a interessarmi a Gesù. Tuttavia, conoscevo il nome “Talitha Kumi” già da molto tempo prima e, anche se non ne capivo il significato, mi era familiare, come molte altre parole aramaiche che sono state adottate nella lingua ebraica. All'epoca non riflettevo sul loro significato più profondo.
Dio, però, ha i suoi piani. Mi ha fatto usare innumerevoli volte l'espressione “Talitha Kumi” fino a quando non mi è diventata completamente familiare. Quando poi sono stata pronta, mi ha fatto conoscere il miracolo compiuto da Gesù.
L'incontro con Gesù non è stato facile per me. Sono cresciuta in una famiglia ebraica tradizionale con profonde radici religiose. Conoscere Gesù e poi parlarne in famiglia è stata una grande sfida. È stato un processo lungo, un cammino di fede continuo. La mia esperienza mi dice che questo cammino continua, è un processo che dura fino alla fine dei tempi.
Torniamo al luogo in cui si trova, nella King George Street a Gerusalemme. Il fatto che questo monumento si trovi in una strada così vivace ha un significato simbolico. Gerusalemme è piena di religiosità. È piena di ebrei ortodossi. Tutti conoscono “Talitha Kumi”, ma la maggior parte non lo associa ancora a Gesù o alla resurrezione dei morti.
Credo tuttavia che Dio abbia un piano per avvicinare il popolo d'Israele a questo Gesù. Immagino che abbia il suo modo unico di mostrare a ciascuno le storie, finché non saremo pronti a riconoscerne la verità. E in effetti, il superamento della morte è il nucleo di ciò che il popolo ebraico desidera ogni giorno nelle sue preghiere per il Messia. “Credo fermamente nella venuta del Messia”, pregano gli ebrei. Il canto continua in modo un po' paradossale: “Anche se tarda, aspetto ogni giorno la sua venuta”. Il popolo ebraico crede che il Messia stia tardando, ma che arriverà sicuramente.
I modi in cui Dio ci avvicina alla verità sono miracolosi. Non sono sempre facili, certamente non rapidi, ma la verità rimane la verità e alla fine verrà alla luce. Attraverso il nome di questo monumento nel cuore della Città Santa, tutti gli abitanti di Gerusalemme commemorano il miracolo di Gesù, anche se molti di loro non lo sanno.

Anat davanti al cancello di Talitha Kumi in King George Street
Il grande miracolo avverrà quando il popolo ebraico, proprio come la bambina, si alzerà e riconoscerà la verità che gli è stata rivelata, la vera resurrezione dei morti. Il Messia è già qui. La prossima volta che visiterete Gerusalemme, visitate Talitha Kumi, una delle tante prove che dietro ogni pietra di Gerusalemme si nasconde una storia affascinante.

(Israel Heute, 4 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 31
    Gli artefici incaricati di fare gli oggetti per il culto
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Vedi, io ho chiamato per nome Besaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda; e l'ho riempito dello Spirito di Dio, di abilità, di intelligenza e di conoscenza per ogni sorta di lavori, per concepire opere d'arte, per lavorare l'oro, l'argento e il bronzo, per incidere pietre da incastonare, per scolpire il legno, per eseguire ogni sorta di lavori.  Ed ecco, gli ho dato come compagno Ooliab, figlio di Aisamac, della tribù di Dan; e ho messo sapienza nella mente di tutti gli uomini abili, perché possano fare tutto quello che ti ho ordinato: la tenda di convegno, l'arca per la testimonianza, il propiziatorio che dovrà esserci sopra, e tutti gli arredi della tenda; la tavola e i suoi utensili, il candelabro d'oro puro e tutti i suoi utensili, l'altare dei profumi, l'altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base, i paramenti per le cerimonie, i paramenti sacri per il sacerdote Aaronne e i paramenti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio, l'olio dell'unzione e il profumo fragrante per il luogo santo. Faranno tutto conformemente a quello che ho ordinato”.

    La legge del sabato
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: 'Badate bene di osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica. Osserverete dunque il sabato, perché per voi è un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà eliminato dal suo popolo. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà essere messo a morte. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perenne. Esso è un segno perenne fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'”. 
  • Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte con il dito di Dio.

(Notizie su Israele, 3 dicembre 2025)


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Non è ancora finita

Gli ultimi ostaggi vivi sono stati liberati, la vita sta tornando alla normalità, ma per noi la guerra non è ancora finita.

di Dov Eìlon

Il 16 ottobre 2025 gli ultimi 20 ostaggi israeliani vivi sono tornati a casa. Due anni dopo il sabato nero. Per la prima volta da allora non ci sono più ostaggi vivi nella Striscia di Gaza. È un grande sollievo, ma non è ancora la fine.
  Ci sono ancora diversi ostaggi morti nelle mani di Hamas nella Striscia di Gaza (due persone al momento della chiusura della redazione). Le loro famiglie continuano ad aspettare, senza una tomba, senza una conclusione. Hamas sostiene di non sapere dove si trovino. Una bugia cinica. Ovviamente lo sanno. Trattengono i corpi perché così esercitano il loro potere.
  Dopo l'inizio della tregua, finora sono stati uccisi tre soldati israeliani, dai terroristi di Hamas, con RPG e cecchini. Due di loro venivano dalla mia città, Modi'in. Un amico di mia figlia conosceva uno dei caduti. Ricordo il corteo funebre che ha attraversato la nostra strada. La gente era in piedi sul ciglio della strada, molti con bandiere israeliane in mano. Nessuno parlava. Solo silenzio, mentre il convoglio passava sulla strada per Gerusalemme per la sepoltura sul Monte Herzl. È stato uno di quei momenti in cui si percepisce che il dolore può zittire un'intera città.

Tregua?
  Il 28 ottobre, durante la tregua, un soldato israeliano è stato ucciso a Rafah. Israele ha reagito con attacchi nella Striscia di Gaza. Hamas ha immediatamente sfruttato questo episodio come pretesto, dichiarando che Israele aveva violato la tregua. Ma è stato Hamas a sparare per primo, come spesso accade.
  Poco prima si era verificato un altro caso raccapricciante: invece di consegnare il cadavere, Hamas ha restituito solo alcuni resti di un corpo già sepolto. La famiglia ha dovuto riaprire la tomba del figlio per seppellire i nuovi resti. Un funerale a rate. Le parole non bastano.
  Finché Hamas trattiene i nostri morti, si sente al sicuro. Gioca con i sentimenti delle famiglie. E il mondo sta a guardare. Nessuna protesta, nessuna pressione. Israele viene esortato a trattenersi, a rimanere umano, mentre Hamas mercanteggia sui morti e usa la sofferenza delle famiglie come mezzo di pressione.
  Per noi israeliani è di fondamentale importanza seppellire i nostri morti. Questo non ha solo a che fare con il lutto, ma con una fede profondamente radicata. Nel giudaismo, il funerale è considerato un dovere sacro, un ultimo atto di misericordia verso il defunto. Il corpo deve riposare il prima possibile, «perché sei polvere e in polvere tornerai» (Genesi 3,19). Per questo lottiamo per riportare a casa i corpi dei nostri caduti e degli ostaggi assassinati: è un'espressione di dignità, amore e responsabilità.
  Hamas sta cercando di consolidare il proprio potere a Gaza. Abbiamo combattuto invano per due anni? Non dobbiamo crederci, ma osserviamo come si sta riorganizzando, come sta esercitando il controllo. Israele deve costantemente tenere conto della comunità internazionale, degli stessi paesi che ci criticano e aiutano così il nemico.
  Anche nel nord la situazione rimane tesa. Nelle ultime settimane Hezbollah ha ribadito chiaramente di non essere disposto a separarsi dalle proprie armi. Mentre i mediatori internazionali spingono per la smilitarizzazione del Libano meridionale, l'organizzazione terroristica mantiene il proprio arsenale e minaccia di rafforzare ulteriormente la propria “resistenza”. L'esercito israeliano reagisce con attacchi mirati che eliminano i combattenti di Hezbollah. Il pericolo di un'escalation è quindi tutt'altro che scongiurato.
  Anche l'Iran non ha rinunciato al suo obiettivo di distruggere Israele. Dobbiamo aspettarci che, in qualsiasi momento, possa scoppiare un nuovo conflitto con Teheran.

Atmosfera
  Nonostante tutto, l'atmosfera nel Paese è diversa rispetto a qualche mese fa. È tornata la calma, sì, si avverte persino una sorta di sollievo. Dall'inizio della tregua, nella Striscia di Gaza non si combatte più ogni giorno come prima. L'esercito rimane comunque presente lungo la cosiddetta “linea gialla”, il confine tra Israele e la Striscia di Gaza che è stato tracciato dopo il ritiro delle truppe di terra. Lì, le unità israeliane proteggono il territorio per impedire nuovi attacchi da parte di Hamas.
  I genitori tirano un sospiro di sollievo, ma nessuno crede davvero alla sicurezza. Il pericolo rimane – e lo abbiamo visto: anche durante la tregua sono caduti soldati israeliani. Questo dimostra quanto sia fragile questa calma.
  Eppure la vita sta tornando alla normalità. Nostro figlio ha iniziato il suo anno di studi alla scuola di musica Rimon, nostra figlia lavora nel suo nuovo posto di lavoro e nel Paese si respira di nuovo un'aria di normalità. Si sentono i bambini ridere, si vedono caffè affollati, persone che tornano a parlare e a incontrarsi – tutto ciò che è mancato così tanto negli ultimi due anni. Si prova sollievo. Ci si concede di essere di nuovo un po' più allegri. Si può tornare a augurarsi il buongiorno senza avere la coscienza sporca.
  Anche il turismo si sta lentamente risvegliando. Sempre più compagnie aeree stanno riprendendo i loro collegamenti con Israele. Alla fine di ottobre ho potuto accogliere un gruppo dalla Germania nel nostro ufficio e parlare con loro della situazione attuale. È stato bello avere questo incontro – tranquillo, aperto, onesto. Speriamo che presto tornino molti visitatori. Che le persone tornino qui per vivere la vera Israele, non solo quella che conoscono dai notiziari.

Racconti degli ostaggi
  I media riportano quasi quotidianamente notizie sugli ostaggi liberati. Molti di loro vengono invitati a rilasciare interviste, raccontano delle lunghe settimane di prigionia, dell'oscurità, della paura e del tentativo di conservare la propria umanità. Uno di loro, Yosef-Haim Ohana, ha raccontato in televisione come ha convinto le sue guardie a non ucciderlo. Ha parlato senza odio, ma con una calma che dice più della forza di mille parole.
  E poi c'è stato quel momento a Tel Aviv: all'inaugurazione della Fashion Week, Eli Sharabi, che ha trascorso 491 giorni in ostaggio, ha sfilato come modello in passerella. Non è stato un evento di moda, ma un segno silenzioso: che la vita è di nuovo possibile, che la dignità e l'orgoglio tornano, anche dopo tutto quello che è successo.
  Vogliamo semplicemente vivere. Ridere di nuovo, respirare di nuovo, essere di nuovo normali. Le sirene al momento sono silenziose, ma sappiamo che possono suonare di nuovo in qualsiasi momento. Questa calma fa bene, ma allo stesso tempo è fragile.
  La guerra non è finita. Ha solo un aspetto diverso. Non siamo ancora fuori pericolo, né con Gaza, né con Hamas, né con noi stessi. E a volte vorrei che riuscissimo a ritrovare l'armonia anche tra di noi. Che questa eterna disputa nel nostro Paese, tra opinioni, fazioni, visioni del mondo, finisse finalmente.
  Perché alla fine vale come sempre: solo insieme siamo forti.

(Israel Heute, 3 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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L'esercito israeliano forma la sua prima classe di comandanti nella brigata ortodossa Hashmonaim

La nuova brigata Hashmonaim dell'esercito israeliano, destinata ai soldati ortodossi, ha completato il suo primo corso di formazione per comandanti di unità, ha annunciato l'esercito israeliano. Secondo l'esercito israeliano, questa tappa segna “le basi della futura generazione di comandanti Haredi nell'esercito”.
Circa 70 soldati hanno completato la formazione. Il loro addestramento comprendeva esercitazioni di combattimento in ambiente urbano e in campo aperto, esercitazioni di navigazione attraverso il paese e una breve partecipazione alle operazioni a Gaza.
Martedì sera è stata organizzata una cerimonia per celebrare la fine della formazione. Tsahal ha sottolineato che questo programma «fa parte di un importante sforzo volto a integrare i giovani ortodossi nell'esercito».
La creazione di questa brigata è avvenuta poco più di un anno fa, in un contesto di forti tensioni politiche e sociali sull'arruolamento dei soldati Haredi in Israele. Essa rientra nella strategia dell'esercito israeliano, volta ad aumentare il reclutamento di questa comunità, che deve affrontare una carenza di personale aggravata dall'ultimo conflitto. L'iniziativa intende anche dimostrare, nonostante l'opposizione di alcuni rabbini influenti, che il servizio militare può essere compatibile con la pratica ortodossa.

(i24, 3 dicembre 2025)

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Bennett prepara la corsa per il 2026

Sì alla grazia per Netanyahu, a patto che poi si ritiri dalla politica. Vuole approfittare del forte consenso popolare, magari insieme al già Capo di Stato maggiore.

di Giuseppe Kalowski

TEL AVIV –  Naftali Bennett, già premier di Israele prima dell’attuale governo Netanyahu, ha appoggiato la richiesta di grazia di Bibi, condizionandola però al suo ritiro dalla politica. Una posizione che appare più come una mossa di apertura della campagna elettorale che come una reale volontà di accordo politico e costituzionale, soprattutto considerando che Netanyahu ha già dichiarato di volersi ricandidare alle prossime elezioni, previste entro ottobre 2026.
Bennett, uomo religioso e di destra – il suo partito, sciolto prima delle ultime elezioni, si chiamava Yamina, che in ebraico significa “destra” – è oggi l’unico, dopo il declino di Gantz, a riscuotere un forte consenso nei sondaggi. È anche l’unico che, secondo le rilevazioni, potrebbe ottenere un numero di seggi simile al Likud, formando una nuova lista insieme all’ex Capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot, figura molto rispettata nel Paese dopo la perdita del figlio in battaglia a Gaza, e uscito dal partito Blue and White di Gantz. Un’opposizione guidata da Bennett potrebbe realisticamente ambire a guidare Israele nella prossima legislatura.
Nel frattempo, sono già iniziati i primi sit-in davanti alla residenza del Presidente Herzog da parte di chi si oppone fermamente alla grazia. Il Paese sembra avviarsi verso un nuovo “autunno caldo”, simile a quello delle grandi proteste contro la riforma della giustizia, prima del 7 ottobre 2023. Per ora, la richiesta di Netanyahu ha avuto l’effetto di aumentare la polarizzazione dell’opinione pubblica, piuttosto che avviare quel processo di riconciliazione che il premier dichiarava di auspicare. Il Presidente Herzog, che dovrà decidere se concedere o meno la grazia, ha già trasmesso la richiesta al Dipartimento per le Grazie del Ministero della Giustizia, competente per queste procedure. Ha inoltre fatto sapere che la decisione – qualunque essa sia – non arriverà prima di alcuni mesi.
Sul fronte esterno, la tregua si trova in una fase di stallo, con un concreto rischio di una ripresa delle ostilità. L’Iran sta aumentando la pressione su Hamas ed Hezbollah affinché tornino al conflitto. In questo contesto si inserisce anche il colloquio telefonico tra Trump e Netanyahu: il Presidente americano ha invitato il premier israeliano alla Casa Bianca, senza però indicare una data. In Siria, l’Iran tenta di destabilizzare al-Jolani per ampliare la propria influenza, con l’appoggio della Russia. Per Israele, ciò rende ancora più strategica la presenza della zona cuscinetto in Siria, fondamentale per la sicurezza del Golan.
Nella notte tra il 28 e il 29 novembre, l’Idf ha compiuto un blitz nel villaggio di Beit Jinn, nel sud della Siria, a circa 40 chilometri da Damasco, arrestando due miliziani di al-Jamaa al-Islamiyya, una filiale dei Fratelli Musulmani. Durante il ritiro, le forze israeliane sono state colpite da un’imboscata che non ha compromesso l’operazione ma ha provocato il ferimento di sei soldati riservisti, due dei quali in condizioni gravi, e l’uccisione di almeno 14 miliziani. La situazione nel triangolo Israele-Siria-Libano rimane in continua evoluzione e, per essere risolta pacificamente, potrebbe richiedere un’altra “magia diplomatica” del Presidente Trump.

(Il Riformista, 3 dicembre 2025)

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L'allenatore che è rimasto

A Naharia cadevano i razzi, ma Roni Gechtberg ha continuato a tenere le lezioni di karate. Un ritratto di coraggio, routine e responsabilità.

di Neli Shoifer

FOTO
Roni Gechtberg

Quando suonavano le sirene dell'allarme aereo, i bambini del corso di karate di Roni Gechtberg sapevano esattamente cosa fare. Interrompevano gli esercizi, correvano nel rifugio e aspettavano – a volte pochi minuti, a volte più a lungo – mentre i razzi provenienti dal Libano colpivano il nord di Israele. Gli attacchi, che le autorità israeliane hanno classificato come bombardamenti ingiustificati e mirati contro zone residenziali, hanno caratterizzato per mesi la vita quotidiana della città costiera di Naharia.
  Con l'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, durante il quale i terroristi hanno fatto irruzione in Israele uccidendo e rapendo civili e soldati, è iniziata una nuova fase del conflitto anche al confine settentrionale. Poco dopo, Hezbollah ha aperto il fuoco, bombardando città e villaggi nel nord di Israele con razzi e droni. Naharia è stata sottoposta a bombardamenti regolari per settimane; le scuole sono rimaste chiuse, le famiglie hanno cercato rifugio o hanno lasciato la regione.
  In mezzo a questa situazione, Roni Gechtberg, 27 anni e radicato a Naharia fin dall'infanzia, ha continuato il suo allenamento, prima in normali palestre, poi in rifugi e infine online.
  “I bambini avevano paura”, dice Gechtberg. “Ma l'allenamento dava loro una struttura, qualcosa su cui poter contare”.

Successi sportivi
  Gechtberg è ancora oggi il primo e unico israeliano ad aver vinto una medaglia ai Campionati Europei nella disciplina riconosciuta dalle Olimpiadi dalla World Karate Federation (WKF). È stato anche il primo israeliano a partecipare ai Giochi Olimpici Europei. Dodici titoli nazionali consecutivi e anni di allenamenti all'estero testimoniano una carriera eccezionale nel suo sport.
  Ma tutto questo è passato in secondo piano: “All'inizio della guerra l'unica cosa importante era essere presente per i bambini”, dice. “Dovevo mostrare loro che la vita continuava”.
  Oltre alla sua attività di allenatore, Gechtberg rimane un atleta agonista attivo. Si allena una o due volte al giorno, sette giorni su sette. La mattina il programma prevede forza e resistenza, la sera tecnica, velocità e sparring. “Se vuoi competere a livello internazionale, devi allenarti ogni giorno”, dice. Molti fine settimana va a Wingate o Modi'in per seguire corsi di formazione e lavorare con altri atleti della squadra nazionale.

Allenarsi in Marocco mentre il mondo va in pezzi
  Quando ha ricevuto le prime notizie del 7 ottobre, Gechtberg era in Marocco per prepararsi ai campionati mondiali in un campo di allenamento di alto livello. Fuori decine di migliaia di persone manifestavano, dentro allenatori e atleti discutevano di sicurezza e possibili ritorni a casa.
  “Mi ha colpito mentalmente molto più di quanto mi aspettassi”, dice. “Improvvisamente ho sentito un'enorme responsabilità nel rappresentare Israele e questo ha compromesso la mia concentrazione”.

Professionalità e protezione – lontano da casa
  I funzionari marocchini hanno reagito con calma ed estrema lealtà. “Mi hanno detto: ‘Qui sei un membro della famiglia. Sei al sicuro’”, ricorda Gechtberg. La politica non ha avuto alcun ruolo nel campo di allenamento. “Si trattava solo di professionalità”.
  Ha vinto due incontri, ma si è subito reso conto di non essere al meglio della forma. “Non ero completamente me stesso”, racconta.

Ritorno a Naharia e alla realtà
  Dopo il suo ritorno, Gechtberg ha dovuto prima ritrovare il suo equilibrio: “Niente allenamenti, niente lavoro... solo sirene. Non si sa come sarà il giorno dopo. Questo ha un impatto sulla psiche”.
  Dopo due giorni, si è imposto una routine: allenamento con esercizi video, esercizi di karate in salotto, poi lezioni online per i suoi allievi. Quando il comune ha messo a disposizione dei rifugi, ha ripreso l'allenamento in presenza.
  “Per un mese ci siamo allenati esclusivamente nel rifugio”, racconta. “Questo insegna una forma di disciplina completamente diversa, sia interiormente che esteriormente”.

La politica sullo sfondo dello sport
  Anche sul tatami (il tappeto da karate) la guerra era palpabile. Le amicizie internazionali sono cambiate; alcune sono quasi svanite nel nulla. “Un atleta ucraino che consideravo un caro amico ha preso le distanze a causa di ciò che ha visto online”, racconta Gechtberg.
  Durante le competizioni, i simboli politici erano evidenti: atleti del Kuwait con sciarpe dell'OLP, silenzio teso ai bordi del tatami. Una volta è persino scomparsa la sua borsa sportiva, che è ricomparsa solo dopo che i funzionari hanno fatto notare alle squadre che le telecamere di sorveglianza registravano tutto.
  Anche al di fuori delle competizioni, la reazione è stata mista. Molti allenatori e atleti internazionali si sono subito fatti vivi, offrendo sostegno e informandosi sulla sua sicurezza. Altri, invece, hanno reagito con riserbo o distacco, influenzati dai titoli dei giornali e dai media sensazionalistici. “Si capisce molto rapidamente chi ti sta davvero vicino”, dice Gechtberg. Ha ricevuto una solidarietà tangibile soprattutto dalle comunità ebraiche di tutto il mondo.

La decisione di restare
  Durante la guerra, Gechtberg ha ricevuto offerte da due paesi per gareggiare per loro o trasferire la sua carriera all'estero. Ha rifiutato.
  “Io rappresento Israele”, dice. “Per me è un compito”. All'estero sarebbe stato “uno dei milioni”, mentre in Israele il suo successo ha un significato che va ben oltre lo sport.
  “Proprio in quel momento non volevo andarmene”, aggiunge. “Il mio posto è qui, con i miei allievi”.

Una professione senza doppia sicurezza
  Il karate non è uno degli sport che garantiscono una sicurezza finanziaria in Israele. “Anche una medaglia europea difficilmente ti assicura un sostegno”, osserva. “Si guadagna di più in una stazione di servizio”.
  Il suo reddito proviene principalmente dalla sua attività di allenatore. La sua associazione, Gechtberg Karate, si occupa di bambini e adulti di età compresa tra i tre anni e mezzo e i sessant'anni.
  “Mi è stato detto che una persona come me non avrebbe mai potuto arrivare ai vertici europei”, dice. “Ho dimostrato il contrario. E non ho ancora intenzione di smettere”.

(Israel Heute, 3 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 30
  • Modello dell'altare dei profumi
    Farai pure un altare per bruciarvi su il profumo: lo farai di legno di acacia. La sua lunghezza sarà di un cubito; e la sua larghezza, di un cubito; sarà quadrato, e avrà un'altezza di due cubiti; i suoi corni saranno tutti di un pezzo con esso. Lo rivestirai d'oro puro: il disopra, i suoi lati tutto intorno, i suoi corni; e gli farai una ghirlanda d'oro che gli giri attorno. E gli farai due anelli d'oro, sotto la ghirlanda, ai suoi due lati; li metterai ai suoi due lati, per passarvi le stanghe che serviranno a portarlo. Farai le stanghe di legno di acacia, e le rivestirai d'oro. Collocherai l'altare davanti al velo che è davanti all'arca della testimonianza, di fronte al propiziatorio che sta sopra la testimonianza, dove io mi ritroverò con te. Aaronne brucerà su di esso del profumo fragrante; lo brucerà ogni mattina, quando riordinerà le lampade; e quando Aaronne accenderà le lampade al tramonto, lo farà bruciare come un profumo perenne davanti all'Eterno, di generazione in generazione. Non offrirete su di esso né profumo estraneo, né olocausto, né oblazione; e non vi farete libazione. Aaronne farà una volta all'anno l'espiazione sui corni di esso; con il sangue del sacrificio di espiazione per il peccato vi farà l'espiazione una volta l'anno, di generazione in generazione. Sarà cosa santissima, sacra all'Eterno”

    Offerta per il riscatto.
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Quando farai il conto dei figli d'Israele, facendone il censimento, ognuno di essi darà all'Eterno il riscatto della propria persona, quando saranno contati; affinché non siano colpiti da qualche piaga, quando farai il loro censimento. Daranno questo: chiunque sarà compreso nel censimento darà un mezzo siclo, secondo il siclo del santuario, che è di venti ghere: un mezzo siclo sarà l'offerta da fare all'Eterno. Ognuno che sarà compreso nel censimento, dai vent'anni in su, darà questa offerta all'Eterno. Il ricco non darà di più, né il povero darà meno del mezzo siclo, quando si farà questa offerta all'Eterno per il riscatto delle vostre vite. Prenderai dunque dai figli d'Israele questo denaro del riscatto e lo adopererai per il servizio della tenda di convegno: sarà per i figli d'Israele un memoriale davanti all'Eterno per fare il riscatto delle vostre vite”.

    La conca di bronzo
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Farai pure una conca di bronzo, con la sua base di bronzo, per le abluzioni; la porrai fra la tenda di convegno e l'altare, e ci metterai dell'acqua. Aaronne e i suoi figli vi si laveranno le mani e i piedi. Quando entreranno nella tenda di convegno, si laveranno con acqua, perché non muoiano; così pure quando si accosteranno all'altare per fare il servizio, per far bruciare un'offerta fatta all'Eterno mediante il fuoco. Si laveranno le mani e i piedi, perché non muoiano. Questa sarà una norma perenne per loro, per Aaronne e per la sua progenie, di generazione in generazione”.

    L'olio santo
  • L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: “Prenditi anche i migliori aromi: di mirra vergine, cinquecento sicli; di cinnamomo aromatico, la metà, cioè duecentocinquanta; di canna aromatica, pure duecentocinquanta: di cassia, cinquecento, secondo il siclo del santuario; e un hin di olio di oliva. E ne farai un olio per l'unzione sacra, un profumo composto con l'arte del profumiere: sarà l'olio per l'unzione sacra. E con esso ungerai la tenda di convegno e l'arca della testimonianza, la tavola e tutti i suoi utensili, il candelabro e i suoi utensili, l'altare dei profumi, l'altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base. Consacrerai così queste cose, e saranno santissime; tutto quello che le toccherà, sarà santo. E ungerai Aaronne e i suoi figli, e li consacrerai perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti. E parlerai ai figli d'Israele, dicendo: 'Quest'olio sarà per me un olio di sacra unzione, di generazione in generazione. Non lo si verserà su carne di uomo, e non ne farete altro simile, della stessa composizione; esso è cosa santa, e sarà per voi cosa santa. Chiunque ne comporrà uno simile, o chiunque ne metterà sopra un estraneo, sarà eliminato dal suo popolo'”.

    Il profumo
  • L'Eterno disse ancora a Mosè: “Prenditi degli aromi, della resina, della conchiglia profumata, del galbano, degli aromi con incenso puro, in dosi uguali; e ne farai un profumo composto secondo l'arte del profumiere, salato, puro, santo; ne ridurrai una parte in polvere minutissima, e ne porrai davanti alla testimonianza nella tenda di convegno, dove io mi incontrerò con te: esso sarà per voi cosa santissima. E del profumo che farai, non ne farete altro della stessa composizione per uso vostro; sarà per te cosa santa, consacrata all'Eterno. Chiunque ne farà di simile per odorarlo, sarà eliminato dal suo popolo”.
(Notizie su Israele, 2 dicembre 2025)


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La farsa del cessate il fuoco: perché Israele non partecipa più al gioco senza speranza dell'Occidente

Mentre Hezbollah si riarma sotto gli occhi del Libano e della comunità internazionale, Israele si prepara ad agire, perché nessun altro lo fa.

di Ryan Jones

GERUSAòEMME - Il copione è fin troppo familiare. Scoppia un conflitto, gli Stati occidentali si precipitano per organizzare un cessate il fuoco e strette di mano diplomatiche accompagnano promesse di pace. La sceneggiatura prevede osservatori internazionali, risoluzioni formulate in modo incisivo e, cosa più importante, l'aspettativa che attori non statali, spesso organizzazioni terroristiche ben armate, si disarmino volontariamente in cambio di una normalizzazione politica.
È sempre la stessa storia. E ogni volta fallisce.
L'accordo di cessate il fuoco tra Israele e Libano ne è l'ultima prova. L'inchiostro è ancora fresco, eppure Hezbollah non si sta disarmando. Al contrario: il rappresentante iraniano si sta visibilmente riarmando, in modo aperto, aggressivo e con la piena consapevolezza del governo libanese. Inoltre, lo fa nonostante l'enorme pressione internazionale e persino le operazioni militari israeliane mirate che hanno eliminato figure di alto rango, tra cui il capo di stato maggiore di Hezbollah, Ali Tabatabai.
Per Israele questo non è solo un frustrante fallimento diplomatico, ma una questione di sopravvivenza nazionale. Dopo gli orrori del 7 ottobre, nessun governo israeliano può permettersi di tollerare un Hezbollah pesantemente armato appena oltre il confine settentrionale, che potrebbe scatenare in qualsiasi momento un altro massacro in Galilea. Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno espresso chiaramente la loro valutazione: l'attuale meccanismo che dovrebbe chiamare Hezbollah a rispondere delle sue azioni è una tigre di carta. Le violazioni rimangono impunite. Le armi affluiscono. Le rampe di lancio si moltiplicano. I terroristi si addestrano e si trincerano.
Eppure i paesi occidentali continuano ad aggrapparsi allo stesso modello fallimentare: proporre un cessate il fuoco, esigere il disarmo, fidarsi che i terroristi mantengano la parola data e lasciare l'applicazione di misure inefficaci a istituzioni internazionali come l'UNIFIL. Non ha funzionato in passato. Non funzionerà adesso. Ma fa bella figura, finché tutto non crolla di nuovo e la colpa può essere attribuita a Israele perché si difende.
Ma questa volta Israele non sta al gioco. L'IDF continua a sferrare attacchi preventivi contro le postazioni di Hezbollah, tra cui rampe di lancio e depositi di armi, mentre prepara operazioni più ampie. Come ha affermato un funzionario americano: “Un'operazione israeliana in Libano si avvicina”.
Deve avvicinarsi. Perché mentre il mondo spera che i terroristi che giurano di distruggere Israele si smilitarizzino volontariamente, Israele comprende la realtà: la pace non può essere negoziata con i rappresentanti armati dell'Iran, che considerano ogni cessate il fuoco come un'opportunità per riarmarsi.
L'Occidente può accontentarsi di illusioni diplomatiche. Ma per Israele le illusioni sono un lusso che non può più permettersi.

(Israel Heute, 2 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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«Vigliacchi antisemiti, sconfiggeremo pure voi»

di Fiamma Nirenstein

Quando ancora speravamo di poter rivedere a casa i bambini Kfir e Ariel Bibas, testoline rosse, con la loro mamma Shiri, ho visto una donna strappare dal muro la loro fotografia, farne a pezzi con le unghie la faccina; qualcuno, nella realtà dei fatti intanto li strangolava a Gaza. Adesso, ieri i vandali che hanno assalito la sinagoga Beit Michael a Monteverde hanno insozzato la lapide di Stefano Gaj Tachè, il bambino ucciso a due anni da terroristi antisemiti mentre usciva dal Tempio maggiore. Nella Shoah sono morti un milione e mezzo di bambini ebrei. Così le 4 sorelline di mio padre, e il ragazzo Moshe, suo adorato fratello. Il 4 ottobre del 1943 a Poznan il Reichsfuhrer Heinrich Himmler spiegò agli ufficiali nazisti che avrebbero dovuto uccidere anche tutti i bambini così da terminare per sempre l'esistenza del popolo ebraico e da evitare vendette.
  Yahya Sinwar, nei suoi ordini scritti a mano per i carnefici del 7 ottobre, ordinava alle Nukbe di Hamas di fare a pezzi, violentare, bruciare e rapire anche i bambini in braccio alle mamme e alle nonne, e così fecero. Adesso a Roma vediamo i loro parenti, animali antisemiti che minacciano la civiltà, la morale, la nostra pelle e quella di tutto il mondo democratico e libero, dove le donne, i gay, i dissidenti, non vengono perseguitati come in Iran, o a Gaza, ma onorati.
  Dopo la guerra... Gli ebrei sono tornati a casa, in Israele o dove volevano, contro ogni previsione hanno resuscitato una vita di comunità ovunque, hanno uno dei tassi di natalità più alti del mondo fra le democrazie, i bambini percorrono felici le vie di Gerusalemme e di Tel Aviv e della Piazza di Roma. I nazisti sono stati sconfitti.
  Dopo Sinwar, Hamas è a pezzi rintanato in quel che resta nelle gallerie, gli ebrei non sono mai stati così forti. Abbiamo pianto nel ricostruire la nostra difesa, nel ritrovare noi stessi dopo che ci hanno toccato i bambini, abbiamo puntato i piedi e fatto del nostro meglio, dal ghetto di Roma a Kfar Aza. Se voi, vigliacchi nazisti, comunisti, jihadisti pensate di poter distruggere il Popolo ebraico, di spaventarci, se immaginate "Palestina libera" (libera di uccidere, naturalmente) e "gli ebrei in America" come cantavate attaccando il Tempio, se fantasticate che la vostra negazione della conoscenza, dei pensieri, dei diritti umani, della libertà in nome dell'odio antisemita e antioccidentale terrorizzi il popolo ebraico, lo metta in fuga, bene, sappiate che state solo risvegliando tutta la potenza del pensiero e del sentimento di identità che da 2.700 anni, nato e cresciuto in Israele, tiene insieme il popolo più antico, insegna ai suoi bambini la libertà e l'eguaglianza.
  E anche, come difendere la propria identità e la propria casa, con le unghie e coi denti, e con la benedizione internazionale di chi capisce che quelle frange rabbiose sono parte di una guerra geopolitica che vede da una parte le democrazie, dall'altra i tiranni. In una parola: vigliacchi, sarete sconfitti.

(il Giornale, 2 dicembre 2025)

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Grave scandalo di corruzione a Gerusalemme

GERUSALEMME – La polizia è coinvolta in un grave scandalo: indagini interne hanno rivelato che alcuni agenti hanno permesso l'attraversamento illegale del confine da parte di palestinesi provenienti dalla Cisgiordania in cambio di tangenti. Lunedì gli investigatori hanno presentato un atto d'accusa al tribunale distrettuale di Gerusalemme, secondo quanto riportato dal sito di notizie israeliano “Arutz Scheva”.
I tre imputati appartengono all'unità ultraortodossa “Avnet”. Secondo l'atto di accusa, essi avrebbero approfittato della loro posizione al posto di controllo “Ras Bidu” per far entrare illegalmente immigrati e merci nel territorio israeliano senza alcun controllo. A tal fine avrebbero collaborato segretamente con gli abitanti dei villaggi palestinesi di confine Beit Iksa e Bidu.
Come parte dell'accordo, gli arabi pagavano ai poliziotti centinaia di shekel per ogni attraversamento non autorizzato del confine”, scrive “Aruz Scheva”. Il gruppo avrebbe anche chiuso un occhio sui sospetti di contrabbando di armi. In totale, i tre poliziotti avrebbero accettato decine di migliaia di shekel in tangenti. Parte dell'atto d'accusa riguarda anche la relazione personale di uno dei poliziotti con una donna del villaggio di Beit Iksa. Il poliziotto avrebbe accettato regali da lei e possedeva foto di lei nuda. Ciò costituisce un caso di grave abuso di fiducia.

Dei sospetti erano già stati arrestati a novembre
  Lo scandalo di corruzione era già venuto alla luce a novembre. Il quotidiano “Yediot Aharonot” aveva riportato che cinque poliziotti di frontiera dell'unità “Avnet” erano stati arrestati in relazione al caso. Uno dei poliziotti avrebbe confessato i fatti contestati e fornito informazioni sul modus operandi: secondo quanto riferito, avrebbero lavorato con un “listino prezzi” fisso e ricevuto 100 shekel (circa 26 euro) per ogni persona contrabbandata. Avrebbe anche ammesso di aver venduto granate stordenti ai palestinesi.
Oltre ai tre poliziotti, sono stati incriminati anche i cospiratori palestinesi di Beit Iksa. Sono accusati di corruzione, possesso illegale di armi, ingresso in Israele senza permesso e traffico di esseri umani.

(Israelnetz, 2 dicembre 2025)

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La mia opinione sulla grazia concessa a Netanyahu

Prima ancora di parlare della richiesta di grazia di Benjamin Netanyahu, bisogna capire una cosa: la Bibbia è il documento politico più antico del mondo e insegna un unico messaggio incrollabile.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Lo dico chiaramente e a voce alta: sono favorevole alla grazia per Benjamin Netanyahu. Perché se la sua richiesta di grazia fallisce, il suo processo si protrarrà per anni, gettando un'ombra infinita sul Paese che continuerà a logorare e dividere il nostro popolo. La gente vuole finalmente liberarsi da questo flagello. Questo processo è stata la scintilla che ha innescato la rivoluzione giuridica, che ha precipitato il Paese in un tumulto costituzionale e ha aperto una delle più profonde fratture sociali della nostra storia. Questo deve finire. Su questo punto Netanyahu ha ragione: il suo processo ha diviso Israele e lo sta lacerando ancora oggi. Ma l'amara ironia è che proprio lui, insieme al suo entourage politico, ha continuato ad approfondire questa frattura. Non solo “l'altra parte”, come sostiene lui. Tuttavia, chi si aspetta il perdono dallo Stato deve prima assumersi le proprie responsabilità. Se Netanyahu vuole davvero l'unità, deve prima dimostrare di essere disposto ad assumersi le proprie responsabilità, non solo a richiederle retoricamente.
I suoi alleati di governo presentano la grazia come un “passo nazionale verso l'unità” e accusano la magistratura di persecuzione politica. L'opposizione, invece, parla di ricatto, manipolazione politica e chiede: “La grazia solo in cambio del ritiro di Netanyahu dalla politica”. Il presidente Isaac Herzog si trova ora al centro di una decisione dalle conseguenze storiche, ed è del tutto incerto se la grazia porterà effettivamente all'unità o approfondirà ulteriormente la divisione del Paese. Sono scettico!
Benjamin Netanyahu presenta la sua richiesta di grazia come un atto patriottico, una misura necessaria per la “riconciliazione nazionale”. Egli sostiene che il processo a suo carico sta dividendo il Paese e che solo la sua immediata conclusione potrà salvare l'unità di Israele. Quello che Netanyahu presenta come un processo di guarigione è in realtà un salvagente politicamente perfetto, per lui stesso, non per il Paese. Da anni dipinge un quadro coerente: la giustizia è politicizzata, i media sono ostili, l'apparato di sicurezza è sleale e chiunque lo critichi fa parte di una cospirazione. Solo lui è la roccia nella tempesta, il vero protettore di Israele. Questo è esattamente il messaggio della sua richiesta di grazia. Se solo lui venisse scagionato, la frattura nel Paese sarebbe sanata. Chi accetta questa narrativa deve anche accettare la logica conseguenza: non è Netanyahu il responsabile della divisione sociale, ma tutti gli altri.
Il 7 ottobre dimostra però il contrario. Dopo la catastrofe nazionale, generali, capi dei servizi segreti e responsabili sono stati licenziati o si sono dimessi, come Herzi Halevi, Ronen Bar, Aharon Haliva, i comandanti del sud e altri. Anche il ministro della Difesa Yoav Galant è stato licenziato. Tutti si sono assunti la responsabilità e hanno pagato un prezzo. Netanyahu ha fatto il contrario. Si è dichiarato innocente al 100%. Ancora una volta la colpa è degli altri: l'esercito, i servizi segreti, il sistema giudiziario, il movimento di protesta, i media. Lo stesso schema si ripete ora nella sua richiesta di grazia. La divisione non è opera sua, la lunghezza del processo non è sua responsabilità e la crisi nazionale giustifica il motivo per cui deve essere risparmiato.
Il punto è questo: con questa narrazione Netanyahu convince forse i suoi elettori e la sua famiglia, ma non il popolo, che dopo il 7 ottobre ha urgente bisogno di guarigione. Chi vuole davvero guarire la nazione non inizia assolvendosi dalla responsabilità. La guarigione senza responsabilità non esiste né in politica né nella Bibbia. Ed è proprio questa responsabilità, presupposto di ogni vero rinnovamento, che Netanyahu non vuole assumersi. Netanyahu chiede una completa assoluzione giuridica, senza una parola sulla responsabilità. Questo è senza precedenti. Non è un ponte, è una destituzione dei giudici.
Ho la sensazione che Netanyahu non voglia guarire Israele, ma prima di tutto garantire la propria sopravvivenza politica. Israele ha davvero bisogno di guarigione – una guarigione profonda, onesta, nazionale. Ma per questo il primo ministro dovrebbe prima di tutto fare ciò che ogni soldato, ogni funzionario e ogni comandante deve fare: assumersi la responsabilità. Un primo ministro che dice: “Io sono innocente, ma tutti gli altri hanno fallito” non è un guaritore. È parte della ferita. Un primo ministro che dice: “Chiudete il mio processo, è meglio per il Paese”, non allontana la divisione, ma la approfondisce, ignorando la realtà di un Paese traumatizzato.
Israele si trova a un punto di svolta storico. Le ferite del 7 ottobre sono profonde, la frattura sociale è pericolosa, la fiducia nella leadership è scossa. Quando un primo ministro vende la sua salvezza personale come un servizio nazionale, è necessario usare cautela. La vera unità non nasce dalla sospensione dei procedimenti giudiziari, anche se controversi, ma dalla divulgazione degli errori, dall'apprendimento dalle catastrofi e dal coraggio di mettere in discussione il proprio ruolo. La guarigione inizia dove la responsabilità non viene elusa, ma assunta.
La Bibbia conosce un modello che si snoda come un filo rosso attraverso la storia di Israele: il potere senza responsabilità non porta all'unità, ma alla disgregazione. Nessun re, nessun giudice, nessun leader poteva sottrarsi alla prova, e ogni volta che qualcuno cercava di scrollarsi di dosso le responsabilità, la comunità si frantumava. Davide non fu accusato dai suoi avversari politici, ma dal profeta Natan, in modo aperto, diretto e davanti a tutto il popolo. La sua grandezza non sta nell'aver evitato gli errori, ma nell'aver ammesso le sue colpe. Solo allora iniziò la guarigione. Se persino il re Davide, il più grande sovrano della Bibbia, è stato chiamato a rispondere dei suoi errori, perché Benjamin Netanyahu dovrebbe essere intoccabile? I suoi sostenitori amano paragonarlo a Davide o addirittura a un salvatore, ma allo stesso tempo si aspettano che sia esente da ogni critica, ogni indagine e ogni conseguenza. Si tratta di una contraddizione che contraddice il pensiero biblico.
Saul, invece, si è sottratto a ogni responsabilità, ha cercato scuse, ha accusato gli altri e ha perso la sua legittimità. Ezechia è stato messo alla prova e ha imparato che l'umiltà è più forte della retorica. E Manasse, il peggiore di tutti i re, ha trovato la strada del ritorno solo dopo la punizione e un sincero pentimento. La Bibbia non conosce il perdono senza comprensione, l'unità senza verità e la guarigione senza responsabilità.
Ma la Bibbia non si concentra solo sui re, ma esamina anche i giudici, i custodi della giustizia. Perché un re fallimentare è una crisi, ma un sistema giudiziario ingiusto è un terremoto nazionale. I figli di Eli e Samuele accettarono tangenti e violarono la legge, e Dio li destituì dalla loro carica. Isaia denuncia i giudici di Gerusalemme, «che amano le tangenti e voltano le spalle alla giustizia», e Dio risponde non con un ammonimento, ma con l'annuncio di una purificazione della giustizia.
Per questo i profeti dicono: quando la giustizia diventa amarezza (Amos 5,7) e quando i giudici calpestano la giustizia (Michea 3,9), non è solo un singolo giudice a essere in torto, ma l'intero popolo finisce sotto il giudizio di Dio. Perché? Perché l'ingiustizia non rimane isolata. Si insinua nella società, corrode la morale, la fiducia e la coesione. La corruzione porta all'abuso di potere, l'abuso di potere porta all'oppressione e alla fine l'ordine sociale crolla. I profeti vedono chiaramente: dove crolla la giustizia, inizia il marciume dell'intera comunità.
In questo modo la Bibbia stabilisce un criterio rivoluzionario: sia il re che il giudice sono sotto Dio e sotto la legge, nessuno può elevarsi al di sopra di essi. Non è il re l'autorità suprema, ma la giustizia. Questo principio biblico fondamentale è oggi messo in discussione quando la leadership politica cerca di relativizzare la responsabilità o di aggirare la legge. Mentre gli antichi sovrani di altre culture erano essi stessi la fonte della legge, la Bibbia (Deuteronomio 17) obbliga il re a scrivere il proprio rotolo della Torah e a leggerlo ogni giorno, «affinché il suo cuore non si innalzi sopra i suoi fratelli». Un primo ministro che si presenta come vittima, mentre attribuisce tutta la colpa agli altri, non segue i grandi leader delle Scritture; assomiglia piuttosto a quelle figure che hanno guidato il popolo in tempi di crisi e divisione. La logica biblica è chiara: la guarigione nazionale nasce dalla disponibilità ad assumersi le proprie responsabilità, anche quando sono dolorose.
La storia biblica ci mostra quindi due cose: quando i re falliscono, il popolo ha bisogno della verità. Quando i giudici falliscono, il popolo ha bisogno di purificazione. E solo dove entrambi rimangono sotto la legge biblica, dove il potere è limitato dalla responsabilità, un popolo può sopravvivere. Israele è sopravvissuto a questo principio perché non ha mai smesso di misurarsi con esso. Ed è proprio qui che si decide anche oggi se il popolo può davvero guarire: non attraverso manovre politiche, ma attraverso la verità, il pentimento e il rinnovamento morale.
Il governo e la magistratura possono litigare giorno dopo giorno, ma alla fine sono i cittadini a soffrire. Ciò che mi sta a cuore, in primo luogo e in ultima analisi, non è il destino personale di un primo ministro né l'ego ferito di un sistema giudiziario, ma il bene del popolo di Israele. Il popolo è in difficoltà, il popolo manda i propri figli al fronte, il popolo porta il peso degli errori della leadership. Israele non ha bisogno delle vittorie politiche dei singoli, ma della forza morale della leadership. Se le decisioni non servono il popolo, ma l'autoconservazione degli attori politici, allora la leadership ha perso la sua priorità. Il popolo di Israele merita verità, chiarezza e guarigione, non lotte di potere per le grazie o battaglie di prestigio giuridico. Non mi interessa chi vince. Mi interessa che Israele guarisca di nuovo.

(Israel Heute, 1 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dalla Sacra Scrittura

ESODO

Capitolo 29
    Consacrazione dei sacerdoti
  • Questo è quello che farai per consacrarli perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti. Prendi un giovenco e due montoni senza difetto, dei pani senza lievito, delle focacce senza lievito impastate con olio, e delle gallette senza lievito unte d'olio; farai tutte queste cose di fior di farina di grano. Le metterai in un paniere, e le offrirai nel paniere al tempo stesso del giovenco e dei due montoni. 
  • Farai avvicinare Aaronne e i suoi figli all'ingresso della tenda di convegno, e li laverai con acqua. Poi prenderai i paramenti, e vestirai Aaronne della tunica, del manto dell'efod, dell'efod e del pettorale, e lo cingerai della cintura artistica dell'efod. Gli porrai in capo il turbante e metterai sul turbante il santo diadema. Poi prenderai l'olio dell'unzione, glielo verserai sul capo, e l'ungerai. Farai quindi accostare i suoi figli, e li vestirai delle tuniche. Cingerai Aaronne e i suoi figli con delle cinture, e assicurerai sul loro capo delle tiare; e il sacerdozio apparterrà loro per legge perenne. Così consacrerai Aaronne e i suoi figli. 
  • Poi farai accostare il giovenco davanti alla tenda di convegno; e Aaronne e i suoi figli poseranno le mani sul capo del giovenco. E scannerai il giovenco davanti all'Eterno, all'ingresso della tenda di convegno. Prenderai del sangue del giovenco, e ne metterai con il dito sui corni dell'altare, e spanderai tutto il sangue ai piedi dell'altare. Prenderai pure tutto il grasso che copre le interiora, la rete che è sopra il fegato, i due reni e il grasso che c'è sopra, e farai bruciare tutto sull'altare. Ma la carne del giovenco, la sua pelle e i suoi escrementi li brucerai con il fuoco fuori dall'accampamento: è un sacrificio per il peccato. 
  • Poi prenderai uno dei montoni; e Aaronne e i suoi figli poseranno le loro mani sul capo del montone. E sgozzerai il montone, ne prenderai il sangue, e lo spargerai sull'altare, tutto intorno. Poi farai a pezzi il montone, laverai le sue interiora e le sue gambe, e le metterai sui pezzi e sulla sua testa. E farai bruciare tutto il montone sull'altare: è un olocausto all'Eterno; è un sacrificio di odore soave fatto mediante il fuoco all'Eterno. 
  • Poi prenderai l'altro montone, e Aaronne e i suoi figli poseranno le loro mani sul capo del montone. Sgozzerai il montone, prenderai del suo sangue e lo metterai sull'estremità dell'orecchio destro di Aaronne e sull'estremità dell'orecchio destro dei suoi figli, e sul pollice della loro mano destra e sull'alluce del loro piede destro, e spargerai il sangue sull'altare, tutto intorno. Prenderai del sangue che è sull'altare, e dell'olio dell'unzione, e ne aspergerai Aaronne e i suoi paramenti, e i suoi figli e i paramenti dei suoi figli con lui. Così saranno consacrati lui, i suoi paramenti, i suoi figli e i loro paramenti con lui. 
  • Prenderai pure il grasso del montone, la coda, il grasso che copre le interiora, la rete del fegato, i due reni e il grasso che c'è sopra e la coscia destra, perché è un montone di consacrazione; prenderai anche un pane, una focaccia oliata e una galletta dal paniere degli azzimi che è davanti all'Eterno; e porrai tutte queste cose sulle palme delle mani di Aaronne e sulle palme delle mani dei suoi figli, e le agiterai come offerta agitata davanti all'Eterno. Poi le prenderai dalle loro mani e le farai bruciare sull'altare sopra l'olocausto, come un profumo soave davanti all'Eterno; è un sacrificio fatto mediante il fuoco all'Eterno. E prenderai il petto del montone che sarà servito alla consacrazione di Aaronne, e lo agiterai come offerta agitata davanti all'Eterno; e questa sarà la tua parte. E consacrerai, di ciò che spetta ad Aaronne e ai suoi figli, il petto dell'offerta agitata e la coscia dell'offerta elevata: vale a dire ciò che del montone della consacrazione sarà stato agitato ed elevato; esso apparterrà ad Aaronne e ai suoi figli, come legge perenne da osservare dai figli d'Israele: poiché è un'offerta fatta per elevazione. Sarà un'offerta fatta per elevazione dai figli d'Israele nei loro sacrifici di ringraziamento: la loro offerta per elevazione sarà per l'Eterno. 
  • E i paramenti sacri di Aaronne saranno, dopo di lui, per i suoi figli, che se li metteranno all'atto della loro unzione e della loro consacrazione. Quello dei suoi figli che gli succederà nel sacerdozio, li indosserà per sette giorni quando entrerà nella tenda di convegno per fare il servizio nel luogo santo. Poi prenderai il montone della consacrazione, e ne farai cuocere la carne in un luogo santo; e Aaronne, e i suoi figli mangeranno, all'ingresso della tenda di convegno, la carne del montone e il pane che sarà nel paniere. Mangeranno le cose che saranno servite a fare l'espiazione per consacrarli e santificarli; ma nessun estraneo ne mangerà, perché sono cose sante. E se rimarrà della carne della consacrazione o del pane fino al mattino dopo, brucerai quell'avanzo con il fuoco; non lo si mangerà, perché è cosa santa. 
  • Eseguirai dunque, riguardo ad Aaronne e ai suoi figli, tutto quello che ti ho ordinato: li consacrerai durante sette giorni. E ogni giorno offrirai un giovenco, come sacrificio per il peccato, per fare l'espiazione; purificherai l'altare mediante questa tua espiazione, e lo ungerai per consacrarlo. Per sette giorni farai l'espiazione dell'altare, e lo santificherai; e l'altare sarà santissimo: tutto ciò che toccherà l'altare sarà santo.

    Il sacrificio perenne
  • Questo è ciò che offrirai sull'altare: due agnelli di un anno, ogni giorno, per sempre. Uno degli agnelli lo offrirai la mattina; e l'altro lo offrirai sull'imbrunire. Con il primo agnello offrirai la decima parte di un efa di fior di farina impastata con la quarta parte di un hin di olio vergine, e una libazione di un quarto di hin di vino. Il secondo agnello lo offrirai sull'imbrunire; lo accompagnerai con la stessa oblazione e con la stessa libazione del mattino; è un sacrificio di profumo soave, offerto mediante il fuoco all'Eterno. Sarà un olocausto perenne offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io vi incontrerò per parlare con te. E là io mi troverò con i figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria. Santificherò la tenda di convegno e l'altare; santificherò anche Aaronne e i suoi figli, perché esercitino per me l'ufficio di sacerdoti. E dimorerò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, il loro Dio, che li ho tratti fuori dal paese d'Egitto per dimorare tra loro. Io sono l'Eterno, il loro Dio.

    (Notizie su Israele, 1 dicembre 2025)


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Netanyahu presenta una richiesta di grazia

GERUSALEMME – Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Likud) ha presentato domenica una richiesta formale di grazia al presidente Yitzhak Herzog, senza tuttavia ammettere alcuna colpa. Herzog ha dichiarato che esaminerà la richiesta. Il Ministero della Giustizia raccoglierà le opinioni di tutte le autorità competenti.
  Dal 2020 è in corso un processo contro il primo ministro israeliano per frode, corruzione e appropriazione indebita. Le prime accuse sono state mosse già nel 2017. Netanyahu ha respinto ogni accusa sin dall'inizio e ha ripetutamente definito il processo una caccia alle streghe motivata politicamente. L'opposizione, invece, ha chiesto le sue dimissioni a causa della gravità delle accuse.

Netanyahu invoca l'unità nazionale
  In una dichiarazione pubblicata domenica su X, Netanyahu ha nuovamente negato le accuse mosse contro di lui e ha messo in dubbio la legittimità del procedimento a suo carico. Ha motivato la sua richiesta di grazia con l'inaccettabile richiesta del tribunale che lo obbligava a testimoniare tre giorni alla settimana.
  Ha anche menzionato la richiesta di Donald Trump di porre immediatamente fine al processo contro il primo ministro israeliano, affinché gli Stati Uniti e Israele possano continuare a collaborare senza ostacoli e sulla base di interessi comuni. Durante il suo discorso alla Knesset il 13 ottobre, il presidente repubblicano degli Stati Uniti si era rivolto direttamente a Yitzhak Herzog esclamando: “Signor Presidente, perché non lo grazia?”.
  Nel suo discorso, Netanyahu ha inoltre sottolineato che è nell'interesse del Paese porre fine al processo per corruzione a suo carico. Israele si trova ad affrontare sfide enormi e “per affrontare le minacce e cogliere le opportunità, l'unità nazionale è essenziale”. Ha poi aggiunto: “Il processo in corso ci sta lacerando dall'interno, alimentando aspre divisioni e approfondendo le fratture”. La sua immediata conclusione “ridurrebbe le tensioni e promuoverebbe una riconciliazione globale di

Critiche alla richiesta di grazia da parte dell'opposizione
  Dopo l'annuncio della visita di grazia, davanti alla casa di Herzog a Tel Aviv sono scoppiate proteste. I manifestanti si sono espressi contro la grazia, perché Netanyahu sfuggirebbe così alle sue responsabilità.
  L'opposizione ha invitato Herzog a respingere la richiesta di grazia. Il leader dell'opposizione Yair Lapid (Yesh Atid) ha dichiarato in una dichiarazione che la grazia presuppone l'ammissione di colpa e il pentimento. Inoltre, Netanyahu dovrebbe dimettersi immediatamente dalla sua carica.
  Tuttavia, un think tank dell'Istituto israeliano per la democrazia contraddice questa affermazione. Già a novembre, l'istituto aveva pubblicato un articolo sul suo sito web in cui affermava che non esiste alcuna legge che prescriva l'ammissione di colpa come condizione per una richiesta di grazia, scrive il sito di notizie “Times of Israel”.
  Altri critici sostengono che una grazia durante un procedimento in corso minerebbe lo Stato di diritto e violerebbe il principio di uguaglianza davanti alla legge.
  Il compito che Herzog deve affrontare non è facile: sia i sostenitori che gli oppositori di Netanyahu lo stanno mettendo sotto pressione affinché prenda una decisione in loro favore. Nel frattempo, il suo ufficio ha dichiarato in un comunicato che Herzog è consapevole “che si tratta di una richiesta straordinaria, che comporta conseguenze significative”. Il comunicato prosegue: “Dopo aver ricevuto tutte le opinioni pertinenti, il presidente esaminerà la richiesta in modo responsabile e sincero”.

(Israelnetz, 1 dicembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Analisi – La richiesta di grazia di Netanyahu

Il corrispondente di Israel Heute illustra i fondamenti giuridici, le motivazioni politiche e le implicazioni regionali della richiesta di grazia di Netanyahu.

dI Itamar Eichner

GERUSALEMME - La presentazione della richiesta di grazia da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu al presidente Isaac Herzog rappresenta un terremoto giuridico, politico e statale in Israele – e forse anche in tutto il Medio Oriente.
La richiesta, presentata dal suo avvocato Amit Hadad, non contiene alcuna ammissione di colpa né assunzione di responsabilità per i reati contestati a Netanyahu. Al contrario, la richiesta sottolinea che l'interesse personale di Netanyahu sarebbe stato quello di portare avanti il procedimento giudiziario fino alla fine. Tuttavia, l'interesse nazionale prevarrebbe su quello personale e renderebbe necessaria la chiusura del procedimento penale mediante la grazia, per consentire a Netanyahu di dedicare tutte le sue energie alle grandi sfide politiche in Medio Oriente e di sanare le fratture nella società israeliana.
La richiesta di grazia rivela un paradosso fondamentale: Netanyahu, che molti considerano uno dei principali responsabili della polarizzazione sociale e della divisione del popolo, sostiene ora che proprio la conclusione del procedimento con la grazia gli consentirà di sanare queste fratture. La richiesta presenta il procedimento giudiziario come fonte centrale di conflitti tra diverse parti del popolo e tra i poteri dello Stato, nonché come fattore che distoglie l'attenzione dell'opinione pubblica dalle questioni veramente importanti dell'agenda nazionale.
Secondo la mozione, il proseguimento del processo – che attualmente si svolge tre giorni alla settimana – grava in modo inaccettabile sul primo ministro e compromette la sua capacità di concentrarsi su compiti nazionali critici.

Netanyahu nell'aula del tribunale distrettuale di Tel Aviv durante il processo a suo carico il 15 ottobre 2025
Questo paradosso solleva questioni fondamentali: come può proprio colui che è considerato l'artefice della divisione essere colui che la risolve con una grazia? La mozione non fornisce una risposta diretta, ma si concentra sulla necessità pratica: la conclusione del procedimento giudiziario consentirebbe a Netanyahu di agire liberamente in settori in cui attualmente è limitato.
La mozione attribuisce grande importanza all'interesse nazionale, in particolare alle opportunità strategiche che si presentano a Israele in Medio Oriente. Secondo l'argomentazione, Netanyahu dovrebbe dedicare tutto il suo tempo e le sue energie al proseguimento e all'estensione degli accordi di Abramo, che consentono un riassetto fondamentale della mappa delle alleanze regionali. La mozione sottolinea che negli ultimi anni sotto la sua guida sono stati raggiunti risultati significativi:

  • grave danneggiamento del programma nucleare iraniano,
  • eliminazione di alti funzionari di Hamas e Hezbollah,
  • crollo del regime di Assad in Siria 
  • rimpatrio di ostaggi da Gaza.

Ora, sullo sfondo dei colloqui per un accordo internazionale che ponga fine alla guerra a Gaza, disarmi Hamas e consenta la smilitarizzazione della Striscia di Gaza, vi è un'urgente necessità di sollevare Netanyahu dalla pressione del procedimento penale.
La mozione sostiene che il proseguimento del processo, che richiede a Netanyahu di testimoniare tre giorni alla settimana, compromette la sua capacità di affrontare queste sfide. I negoziati, che dovrebbero durare fino al 2026 e oltre, gli lascerebbero meno tempo per i compiti diplomatici e di sicurezza che richiedono un impegno continuo e ininterrotto. La conclusione del processo con la grazia consentirebbe a Netanyahu di concentrare tutte le sue risorse su queste opportunità, rafforzando così la posizione strategica di Israele.
Il suggerimento è chiaro e si inserisce bene nel programma di Trump: normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita e, successivamente, con altri Stati musulmani e arabi come Indonesia, Malesia, Oman, Mauritania, Siria, Libano e altri.
Nella sua lettera personale, Netanyahu riconosce che il procedimento giudiziario a suo carico è diventato un punto centrale di aspre controversie tra parti della popolazione e tra i poteri dello Stato. Egli dichiara espressamente: “Ho un'ampia responsabilità pubblica e morale, nella comprensione delle conseguenze di tutti gli eventi”. Questa formulazione, sebbene non contenga un'ammissione di colpa penale, rappresenta un riconoscimento dell'importanza complessiva del procedimento giudiziario come fattore che aggrava la divisione sociale. Netanyahu sostiene che l'interesse pubblico richieda la chiusura del procedimento, poiché «la chiusura del processo contribuirà ad attenuare le fiamme del conflitto che si è creato attorno ad esso». La richiesta non presenta quindi la grazia come una fuga dal processo, ma come un passo responsabile che deriva dalla consapevolezza delle ripercussioni del procedimento sulla sicurezza sociale e nazionale.
Dal punto di vista giuridico, la richiesta si basa sul potere costituzionale del presidente, ai sensi dell'articolo 11 della Legge fondamentale, di concedere la grazia anche prima di una condanna. La giurisprudenza, in particolare la sentenza Barzilai, stabilisce che tale potere è ampio e non soggetto a revisione giudiziaria e consente al presidente di tenere conto di interessi pubblici generali che non possono essere presi in considerazione nel normale procedimento penale. L'istituzione della grazia dovrebbe fungere da “valvola di sicurezza” quando il proseguimento di un procedimento penale potrebbe mettere a rischio interessi nazionali fondamentali.
La richiesta di grazia si basa sul precedente dell'affare Linea 300, un caso in cui il presidente Chaim Herzog (padre dell'attuale presidente) ha concesso la grazia ad alti funzionari dello Shin Bet accusati di aver ucciso dei terroristi che avevano dirottato un autobus pieno di passeggeri e che erano stati catturati vivi. Questi funzionari dello Shin Bet hanno presentato la richiesta di grazia prima ancora che fosse formulata l'accusa contro di loro e hanno ottenuto la grazia. Nella loro richiesta hanno menzionato le accuse mosse contro di loro, ma non le hanno ammesse. Il tribunale ha tuttavia stabilito che si trattava di fatto di un'ammissione e il presidente Herzog ha concesso loro la grazia.
Nel caso di Netanyahu, invece, egli non menziona nemmeno che siano state mosse accuse contro di lui. In altre parole, nella sua richiesta non c'è alcuna espressione di pentimento, nessuna ammissione di fatti e nessuna scusa. Netanyahu chiede semplicemente al presidente di graziarlo, in modo da poter sanare le divisioni all'interno del popolo e affrontare le grandi sfide nazionali dello Stato. In un video pubblicato, Netanyahu ha sottolineato che c'è una breve finestra diplomatica che deve essere sfruttata, sempre in relazione all'estensione degli accordi di Abramo e al piano di Trump.
Il presidente Herzog dovrà consultarsi con il dipartimento per la grazia del ministero della Giustizia e con il procuratore generale Gali Baharav-Miara, che probabilmente si opporrà alla richiesta. Tuttavia, il presidente non è vincolato da questi pareri e la sua discrezionalità è esclusiva. La richiesta sottolinea che la concessione della grazia non implica un'ammissione di colpa, come è avvenuto anche nel caso delle grazie concesse negli Stati Uniti, compresa quella del presidente Ford al presidente Nixon.
L'accoglimento della richiesta libererebbe Netanyahu completamente dall'ombra del processo. Potrebbe continuare ad agire politicamente, compresa una possibile partecipazione alle future elezioni, senza alcuna ombra giuridica. Se invece la richiesta venisse respinta, Netanyahu rimarrebbe esposto al peso del processo in corso, il che potrebbe compromettere la sua capacità di concentrarsi sui compiti nazionali.
La richiesta di grazia non risolve la tensione fondamentale tra la necessità dell'unità nazionale e il principio dello Stato di diritto. Tuttavia, presenta la grazia come uno strumento statale legittimo per ripristinare l'unità, soprattutto alla luce delle gravi sfide strategiche. La decisione che prenderà il presidente Herzog segnerà una svolta: valuterà se lo Stato è in grado di trovare un equilibrio tra il proseguimento dei procedimenti giudiziari e la salvaguardia della resilienza nazionale, soprattutto in una fase di opportunità storiche e cambiamenti geopolitici in Medio Oriente.
In definitiva, la richiesta pone al presidente la domanda fondamentale: l'interesse pubblico generale, compresa la guarigione delle fratture sociali e la concentrazione sulle opportunità storiche, prevale sul proseguimento del procedimento giudiziario, anche senza un'ammissione di colpa? La risposta a questa domanda potrebbe essere la chiave per comprendere la portata della richiesta di grazia e le sue conseguenze per il futuro di Israele.
La richiesta di grazia potrebbe inoltre accelerare i processi politici nella regione, in particolare la normalizzazione con l'Arabia Saudita. Netanyahu avrà interesse a dimostrare al presidente che Israele si trova nel mezzo di un processo storico e che sarebbe saggio non ostacolarlo ulteriormente. D'altra parte, Netanyahu avrà più difficoltà a dire “no” a Trump e alle sue richieste. Per conquistare l'Arabia Saudita, Netanyahu dovrebbe muoversi sulla questione palestinese, il che potrebbe mettere a dura prova la sua coalizione. E se il primo ministro puntasse su un passo storico come la grazia, la normalizzazione con l'Arabia Saudita potrebbe effettivamente portare al crollo del governo e a nuove elezioni.
Ma allora Netanyahu potrebbe affrontare queste elezioni senza i vincoli del processo e sventolare il successo storico di una normalizzazione con l'Arabia Saudita.

(Israel Heute, 30 novembre 2025 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Sondaggio BIG DATA: i giovani americani abbandonano Israele

La falsa narrativa palestinese sembra aver attecchito in profondità tra i giovani americani

di Sarah G. Frankl

I giovani americani stanno abbandonando Israele in percentuali sorprendenti, secondo un nuovo sondaggio che rivela come i giovani repubblicani e democratici ora favoriscono in modo evidente la Palestina, in quello che sembra un importante crollo del tradizionale consenso sulla politica estera degli Stati Uniti.
  Il sondaggio BIG DATA POLL condotto il 20-21 novembre mostra che solo il 29,1% degli elettori statunitensi è attualmente dalla parte di Israele, un calo sorprendente rispetto al picco di simpatia del 54% registrato dopo il 7 ottobre, mentre il cambiamento generazionale sta ridefinendo la posizione americana in Medio Oriente.

Ribellione giovanile contro la politica tradizionale
  Il risultato più esplosivo mostra che i giovani repubblicani di età compresa tra i 18 e i 29 anni ora preferiscono la Palestina (33,4%) a Israele (27,9%), segnando una rottura storica con l’establishment del loro partito. La rottura è ancora più pronunciata tra la base “America First” del presidente Donald Trump, dove il 40,8% dei giovani tra i 25 e i 29 anni esprime simpatia per la Palestina. Ciò rappresenta un rifiuto fondamentale di decenni di sostegno bipartisan a Israele, con i giovani conservatori che si chiedono perché le risorse americane dovrebbero finanziare conflitti all’estero piuttosto che affrontare le priorità interne.

I democratici scelgono in modo schiacciante la Palestina
  La trasformazione si estende oltre i confini di partito, con gli elettori democratici che ora favoriscono la Palestina con un rapporto di quasi due a uno (31,9% contro 17,1%). Il cambiamento riflette le crescenti preoccupazioni umanitarie per le vittime civili di Gaza e rappresenta un drastico allontanamento dalle tradizionali posizioni della leadership democratica. Anche gli elettori indipendenti mostrano una divisione quasi equa tra le due parti, indicando che il consenso filoisraeliano che ha dominato Washington per generazioni si è completamente frantumato in tutto lo spettro politico americano.

L’etichetta “genocidio” ottiene l’approvazione della maggioranza
  Forse ancora più significativo è il fatto che il 52,9% dei repubblicani America First di età compresa tra i 18 e i 29 anni ora descrive le operazioni di Israele a Gaza come “genocidio”, mentre solo il 29,2% rifiuta questa caratterizzazione. Questo cambiamento terminologico indica quanto profondamente la falsa narrativa palestinese sia penetrata nel discorso mainstream americano, in particolare tra i giovani che consumano notizie attraverso i social media piuttosto che attraverso i canali tradizionali.

(Rights Reporter, 1 dicembre 2025)

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Scandalo Wikipedia: ecco come si manipola l’attualità e si riscrive la storia degli ebrei e di Israele

Una battaglia per la verità sulla enciclopedia online. Le informazioni e la conoscenza possono diventare un terreno di guerra? Sì, eccome. Con oltre 18 miliardi di visite al mese, Wikipedia non è più una fonte neutrale per centinaia di milioni di utenti sul Pianeta. Negli ultimi anni è diventata un’arena ideologica per tutto ciò che riguarda Israele, la Shoah e il terrorismo. Una guerra sotterranea iniziata ben prima del 7 ottobre, che crea disinformazione, rafforzando i pregiudizi. E che stravolge (e riscrive) la storia, la realtà, i fatti

di Anna Balestrieri

Wikipedia è una zona di guerra”. Così la definisce un editore e contributore di lunga data della piattaforma, che chiede di restare anonimo per motivi di sicurezza. È una voce autorevole, attiva da anni nel monitoraggio delle manipolazioni sistematiche delle voci riguardanti Israele e il Medio Oriente. «Ogni articolo è un campo di battaglia cognitivo – racconta, – dove gruppi organizzati competono per controllare il racconto del conflitto in corso. E non sempre è la verità a vincere: spesso vince la persistenza».
  Negli ultimi mesi, quella che per anni era rimasta una tensione sotterranea è esplosa sulla scena pubblica. Il 27 agosto 2025, il Comitato per la Supervisione e la Riforma del Governo del Congresso degli Stati Uniti ha inviato una lettera ufficiale alla CEO della Wikimedia Foundation, Maryana Iskander, chiedendo di consegnare documenti e comunicazioni interne riguardo a “volontari” e operazioni coordinate che avrebbero violato la neutralità della piattaforma. L’iniziativa, firmata dai parlamentari repubblicani James Comer e Nancy Mace, nasce dopo due inchieste che hanno scosso la fiducia nella grande enciclopedia online: il rapporto Editing for Hate dell’Anti-Defamation League (ADL) e l’indagine del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council. Entrambe documentano campagne di disinformazione organizzata: la prima di matrice anti-israeliana e antisemita, la seconda legata a reti filo-Cremlino. In un nostro articolo su Mosaico, avevamo già messo in luce questa deriva: la neutralità di Wikipedia non è più garantita, soprattutto quando si parla di Israele. Ed è delle ultime settimane la scomparsa, su Wikipedia, della responsabilità di Hamas nei massacri del 7 ottobre: sparisce magicamente la dicitura “attacchi perpetrati da Hamas”. Chi allora? Wikipedia non fornisce a oggi (21 novembre 2025) risposte sugli autori dei massacri.

Editing for Hate”: l’allarme dell’ADL
  Il rapporto dell’ADL, pubblicato nel marzo 2025, denuncia una manipolazione sistematica del linguaggio nelle voci riguardanti Israele, l’Olocausto e il terrorismo. Ma secondo l’informatore interno di Wikipedia, oggi la direzione della distorsione si è rovesciata: «Sono gli attivisti pro-palestinesi più aggressivi a usare il lessico dei diritti umani come arma semantica – afferma. – Non si tratta più solo di Wikipedia, ma di un’ampia offensiva culturale, che ha permesso in sede istituzionale di ampliare le maglie e i confini di parole come genocidio e pulizia etnica, riuscendo a spostare l’asse morale del discorso pubblico. Quando la definizione di genocidio cambia, cambia la storia stessa».
  «Ogni mese, – spiega l’informatore – la voce Israel viene letta da oltre un milione di persone. Cambiare una parola in quella sede significa cambiare la percezione collettiva del conflitto».
  Secondo i dati raccolti per anni assieme ai propri collaboratori, ha appreso come dietro le modifiche agiscano gruppi che ricevono una formazione mirata: «Ci sono workshop in arabo, polacco, russo, perfino in farsi, dedicati a sabotare le voci sull’Olocausto. È una guerra sotterranea cominciata molto prima del 7 ottobre: un’operazione politica, non solo digitale». Una guerra ideologica.
  Il fenomeno non è isolato, bensì parte di una campagna strutturata. Abbiamo già raccontato su Mosaico della decisione del board di Wikipedia di declassare l’ADL come fonte “generally unreliable”, cioè “generalmente inaffidabile”, delegittimando l’autorevolezza centennale della ONG americana e privando così l’enciclopedia di un riferimento essenziale nella lotta contro l’odio online.

Shlomit Aharoni Lir: “La storia riscritta pixel per pixel”
  A dare fondamento accademico a queste denunce è la ricercatrice israeliana Shlomit Aharoni Lir dell’Università di Haifa, ricercatrice esperta di media digitali.
  Nel marzo 2024 Lir ha presentato alle Nazioni Unite, per conto del World Jewish Congress, il rapporto Bias Against Israel on English Wikipedia, che analizza centinaia di voci e discussioni tra utenti e la “deriva ideologica” del sito.
  «Se non riesci a gestire i fatti, cancellali», ha scritto Lir in un commento su X, sintetizzando la logica dei manipolatori. «La propaganda su Wikipedia mira a demonizzare Israele e a cancellare verità scomode: dai risultati delle guerre alle invenzioni israeliane, fino all’eliminazione dei riferimenti agli attentati suicidi palestinesi». Insomma, uno sbiancamento-candeggiamento sistematico di tutto ciò che non serva a alimentare una narrazione buonista e vittimista dei palestinesi.
  Dopo il 7 ottobre 2023, racconta a Mosaico, «ho iniziato a notare un modello inquietante: le voci su Israele e perfino sull’ebraismo venivano modificate in modo aggressivo da utenti apertamente ostili. Le informazioni verificate sugli eccidi di Hamas venivano cancellate o ridimensionate. Alcune pagine sono state persino rinominate: da massacri a attacchi, per attenuare il peso morale di quanto accaduto».
  Secondo Aharoni Lir, non si tratta di errori isolati, ma di una strategia coordinata. «È un’azione organizzata e ideologicamente motivata. Gli utenti che tentano di correggere il tiro vengono attaccati, intimiditi, o sospesi».
  La studiosa documenta come molte voci proiettino a ritroso la parola “Palestina”, in epoche in cui non esisteva: «Nel periodo ellenistico, – spiega – la regione era chiamata Terra d’Israele, Giudea o Coele-Syria. Applicare ‘Palestina’ retroattivamente distorce la realtà storica».
  In un suo progetto, Manipulated History Exhibition, Lir mostra come la voce Zionism sia passata, dopo il 7 ottobre 2023, da “movimento nazionale ebraico per la creazione di una patria” a “movimento di colonizzazione fuori dall’Europa”. «È un rovesciamento semantico, – afferma. Trasforma l’autodeterminazione ebraica in una conquista coloniale».
  Storici come Eric Mechoulan e Adi Schwartz confermano: «Non si può colonizzare senza una metropoli –  ricorda Mechoulan. – Non esisteva uno Stato ebraico da cui inviare coloni». Insomma, colonizza solo chi ha alle spalle una patria, delle città; ma gli ebrei fuggiaschi e perseguitati non avevano nessuna patria alle spalle.
  È la “Wikipedia warzone”, come l’ha definita una fonte interna alla piattaforma: il luogo in cui si combatte per decidere che cosa milioni di persone, ogni giorno, crederanno sia la verità.
  L’informazione non è mai stata tanto fragile. E quando l’enciclopedia più letta al mondo – oltre 18 miliardi di visite al mese – diventa un campo di battaglia ideologico, le conseguenze travalicano Internet.

La riscrittura del Sionismo
  Uno dei casi più emblematici riguarda la voce su Sionismo, che la studiosa definisce «una delle più distorte di tutto Wikipedia. L’etimologia ebraica del termine, i riferimenti al legame millenario con Gerusalemme e alla continuità storica del popolo ebraico sono stati sistematicamente rimossi –  spiega. – Al loro posto è stata introdotta una narrazione che descrive il sionismo come un movimento coloniale, separandolo dalla sua radice culturale e religiosa».
  La frase “i sionisti volevano creare uno Stato ebraico con quanta più terra possibile e il minor numero di arabi” – bloccata dagli amministratori fino al 2026 – resta uno dei simboli di questa deriva. «Congelare un pregiudizio per due anni –  commenta Aharoni Lir – significa istituzionalizzare la disinformazione».
  «Wikipedia è diventata un campo minato – afferma l’informatore. – Ufficialmente vige la regola del consenso, ma in pratica il consenso è manipolato da pochi utenti veterani che agiscono in gruppo: chi tenta di introdurre un punto di vista alternativo viene accusato di ‘non neutralità’, e le modifiche vengono immediatamente annullate. È una guerra di logoramento intellettuale».
  Dietro molte di queste dinamiche, continua la fonte, «si intravede un coordinamento ideologico organizzato. Gli stessi nomi compaiono su più pagine legate a Israele, dalla voce sul Sionismo a quella sulla guerra del 1948, fino a Genocidio nella Striscia di Gaza».

La voce sul “Genocidio”
  Proprio la pagina dedicata al presunto “genocidio a Gaza” è diventata un caso simbolico. L’articolo presenta l’accusa come fatto assodato, ignorando che si tratta di una questione ancora controversa nel diritto internazionale. Persino Jimmy Wales, cofondatore di Wikipedia, è intervenuto nella pagina di discussione per chiedere un linguaggio più neutro, ricevendo però risposte ostili.
  «L’articolo è stato classificato come voce di ‘classe B’, cioè senza problemi significativi – denuncia Aharoni Lir. – È apparso per settimane nella sezione degli ‘eventi in corso’, anche dopo la fine delle operazioni militari. È un uso manipolativo dello spazio pubblico, che dà l’impressione di una realtà consolidata dove invece esiste una controversia». La studiosa propone un esperimento rivelatore: «Provate a riscrivere la voce Palestinians con lo stesso tipo di pregiudizi, e vedrete quanto suonerebbe inaccettabile».
  La studiosa parla di “doppio standard sistemico”: se la manipolazione avvantaggia una parte, passa inosservata; se avvantaggia Israele, scatta subito la censura.
  Il nostro contributore anonimo conferma: «Quando un editor corregge un’informazione in base a una fonte accademica israeliana, viene accusato di canvassing (campagna di gruppo) e rischia la sospensione. Mentre chi diffonde propaganda anti-israeliana viene raramente fermato».

Scudi intellettuali
  L’informatore parla di un movimento di resistenza etica dentro Wikipedia, composto da volontari che cercano di ristabilire la neutralità: «Li chiamo intellectual shields (scudi intellettuali) – spiega. – Persone formate, capaci di usare fonti solide e verificabili, che difendono la conoscenza con rigore. Non vandalizzano, ma riparano».
  Molti di loro, però, sono stati bannati o limitati per presunte violazioni di gruppo.
  «È paradossale – aggiunge. – Chi cerca equilibrio viene censurato, mentre chi manipola resta impunito». In un precedente articolo su Mosaico, avevamo già denunciato la reazione selettiva del sistema: un apparente giro di vite che non risolve il problema di fondo.

L’economia della disinformazione
  A corroborare il quadro entra anche l’analisi dell’economista Enrique Presburger, conferenziere internazionale specializzato nell’“economia del terrorismo” e nelle dinamiche di propaganda contemporanea. Presburger evidenzia come la rete di finanziamenti che sostiene ONG, gruppi di pressione e infrastrutture digitali filo-palestinesi operi su scala transnazionale – dall’Europa agli Stati Uniti, fino a Qatar e Iran – contribuendo a modellare narrazioni e contenuti anche negli ecosistemi informativi più consultati, come Wikipedia. The economics of terrorism, “l’economia del terrorismo”, quindi, sostiene la propaganda digitale come forma di guerra ibrida.
  «Qatar, Iran e alcune ONG occidentali finanziano campagne d’influenza travestite da attivismo – spiega. – Ogni modifica su Wikipedia è un investimento narrativo: un click che costa poco ma produce effetti enormi. Wikipedia e piattaforme simili generano un ritorno economico per i produttori di odio, perché ogni click rafforza la loro visibilità. L’antisemitismo digitale non è solo ideologia: è anche business, basato sulla monetizzazione del risentimento». Presburger propone di mappare i flussi finanziari che collegano think tank, reti accademiche e media alternativi: «Dobbiamo chiederci quanto l’Occidente stia pagando, direttamente o indirettamente, per alimentare la propria delegittimazione».

La risposta (parziale) di Wikimedia
  La lettera del Congresso americano a Maryana Iskander ha spinto la Wikimedia Foundation a istituire un gruppo di revisione etica, ma le risposte del board restano evasive.
  Secondo indiscrezioni raccolte dall’informatore, «si parla di un nuovo protocollo di trasparenza sulle modifiche legate a temi geopolitici», ma finora nulla è stato pubblicato.
  Un gruppo di studiosi israeliani ha inviato a sua volta una lettera aperta alla presidente della Foundation, chiedendo che si introducano fact-checkers indipendenti per le voci su Israele. Aharoni Lir ha aderito all’appello, sottolineando che «Wikipedia deve tornare a essere un’enciclopedia, non un’arena ideologica».
  Sotto la pressione pubblica, la Wikimedia Foundation ha annunciato nel marzo 2025 la creazione di un “Gruppo di lavoro sulla neutralità”, incaricato di rivedere il principio del Neutral Point of View (NPOV). L’iniziativa è stata presentata come una svolta, ma secondo Aharoni Lir «si tratta di una manovra di contenimento più che di riforma. Il gruppo è chiuso, autoreferenziale, e non consente la partecipazione di ricercatori esterni. Procedono come se il problema non fosse urgente, mentre milioni di lettori vengono quotidianamente esposti a contenuti distorti».

Un parricidio  digitale
  Aharoni Lir ha scritto una lettera alla presidente della Wikimedia Foundation chiedendo trasparenza e collaborazione con esperti indipendenti. La risposta, arrivata settimane dopo, è stata definita da lei “evasiva e burocratica”: il Board ha riconosciuto la necessità di “monitorare la qualità dei contenuti” ma ha respinto l’ipotesi di un audit esterno.
  Oggi persino i fondatori di Wikipedia denunciano il tradimento dello spirito originario. Larry Sanger parla da anni di “deriva propagandistica”, e Jimmy Wales, dopo anni di difese, ha ammesso pubblicamente che “la piattaforma non è più ideologicamente neutra”. «È come un parricidio digitale, – commenta Aharoni Lir. – L’idea di un’enciclopedia libera e pluralista è stata rovesciata da un’élite interna che usa procedure e linguaggio per imporre un’unica visione del mondo».
  «Wikipedia non è solo un sito, – conclude la nostra fonte, – ma un’infrastruttura cognitiva globale: forma ciò che crediamo di sapere. Quando questa struttura si piega a un’agenda ideologica, non è solo la storia di Israele a essere riscritta, ma la stessa idea di verità condivisa».
  Aharoni Lir, dal canto suo, vede in questa battaglia un pericolo che va oltre la politica: «Quando la conoscenza viene manipolata, non si distrugge solo la memoria, si distrugge la capacità stessa di pensare in modo indipendente». La “Wikipedia warzone” non è fatta di carri armati, ma di parole. Eppure, come ogni guerra di propaganda, il suo esito determinerà come le generazioni future comprenderanno il passato.

La guerra dei significati
   Dalle denunce dell’ADL alle ricerche accademiche di Shlomit Aharoni Lir, passando per le testimonianze dei contributori indipendenti e le analisi economiche di Zion Presburger, emerge un quadro coerente: Wikipedia non è più un campo neutro. È diventata il terreno di una battaglia globale per la “verità”, dove l’informazione è un’arma e la storia si riscrive pixel per pixel. Come conclude l’informatore, «l’unico modo per vincere è educare. Insegnare alle persone a leggere le versioni precedenti, a usare i talk pages, a riconoscere il bias. È un lavoro lungo, ma necessario. La guerra dell’informazione non si combatte con gli algoritmi, ma con la coscienza critica».

(Bet Magazine Mosaico, 1 dicembre 2025)

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