La vera voce del popolo di Gaza. Un video che i media non vi mostreranno mai
Hamas è bravissimo nella propaganda, questo bisogna ammetterlo. E' bravo soprattutto a far passare quei messaggi che descrivono la guerra di Gaza come un attacco israeliano contro i civili ed è per questo che, come abbiamo raccontato qualche giorno fa, ha distribuito un preciso vademecum ai giornalisti e agli attivisti di tutto il mondo.
Tuttavia ogni tanto qualcosa sfugge al rigido controllo di Hamas e la gente manifesta apertamente il proprio disgusto diretto soprattutto verso la leadership del gruppo terrorista, al sicuro nei rifugi dorati del Qatar o nei bunker super blindati posizionati sotto luoghi sicuri, ospedali e scuole....
(Right Reporters, 31 luglio 2014)
Ebrei e cristiani uniti nella persecuzione
di Emanuel Segre Amar
Vorrei ricordare - oltre al fatto che Israele è il solo paese del medio oriente in cui le comunità cristiane, non solo non sono minacciate, ma godono di completa libertà religiosa e sono cresciute in numero - oltre ai continui assalti jihadisti ai cristiani, ora che di Ebrei da perseguitare non ne hanno piò, in tutti i paesi musulmani del medio oriente e dell'Africa - vorrei ricordarvi un fatto che fu distorto dai media italiani, che non considerano "politicamente corretto" chiamare terrorista chi a mano armata attacca chiese e prende in ostaggio dei frati - vorrei ricordarvi l'assalto a mano armata dei terroristi arabi alla Chiesa della Natività, il 2 Aprile 2002, dove i terroristi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un gruppo marxista cosiddetto "laico", rimasero asserragliati con i frati in ostaggio per 39 giorni (frati che, come poi confermò Padre Pizzaballa, il Custode di Terrasanta, erano ostaggi). La chiesa fu dissacrata, urinarono e defecarono ovunque, compreso sul sacrario e cosparsero i muri di scritte in Arabo che dicevano "Prima [ci occupiamo de] il Popolo del Sabato, poi [di] quelli della Domenica", un proverbio molto diffuso in medio oriente…di cui i media italiani in genere "si dimenticarono" di riferire. Il nostro pensiero va anche al Sacerdote gesuita Paolo Dall'Oglio, che da circa trent'anni viveva in Siria, da cui fu espulso nel 2012 da Assad per aver parlato con dei ribelli, ma vi fece ritorno nella zona controllata dai terroristi islamici e fu rapito il 29 Luglio 2013. Da allora non se ne hanno piò notizie. Proprio ieri era un anno dal suo rapimento. Una sorte migliore, visto che è vivo e libero, toccò al giornalista de La Stampa Domenico Quirico, rapito dai terroristi islamici il 9 Aprile 2013. Fu "trattato come un animale", secondo le sue stesse parole
Il conflitto siriano ha da tempo superato i 200.000 morti e molte comunità cristiane sono state eliminate con pulizia etnica e massacri. Gli Ebrei li avevano già eliminati negli anni '50-'60-'70.
riportate dai media soprattutto stranieri e fu poi liberato l'8 Settembre 2013. Da allora si dedica a sensibilizzare sulla questione dell'islamismo e sulle minacce al mondo occidentale da esso provenienti, ancora una volta nel quasi totale silenzio mediatico italiano.
Il conflitto siriano ha da tempo superato i 200.000 morti e molte comunità cristiane sono state eliminate con pulizia etnica e massacri. Gli Ebrei li avevano già eliminati negli anni '50-'60-'70.
Il conflitto iracheno di morti ne ha fatti oltre un milione e anche lí le comunità cristiane sopravvivono quasi solo nella zona curda. Gli Ebrei, oltre 150.000, li avevano già eliminati negli anni '50. Recentemente, anche la millenaria comunità di Ninive, città del Profeta Giona a Mosul, è stata ripulita e la moschea dov'era la tomba di Giona è stata fatta saltare in aria dalle forze del califfato, che considerano da distruggere tutti i segni di ogni civiltà che preceda l'Islam, poihhé per loro si tratta del tempo della Jahiliyyah: cioè il tempo dell'ignoranza del vero insegnamento divino, cioè TUTTO ciò che precede l'Islam... stessa ragione per cui hanno distrutto le sculture mesopotamiche in Iraq, la sinagoga plurimillenaria con la tomba del Profeta Elia in Siria, e in Afghanistan avevano distrutto ogni segno di altra religione che li precedeva, cosí come in Terra d'Israele, sin dal 1996, hanno ripetutamente distrutto la Tomba di Giuseppe, il figlio di Giacobbe, a Shchem (conosciuta in Italia col nome arabo Nablus) e hanno distrutto - in barba agli accordi di Oslo che ne prevedevano la conservazione e il libero accesso, mai garantito de facto, agli Ebrei - la piò antica sinagoga al mondo, quella di Gerico, coi suoi preziosi mosaici. Israele non è che la prima linea di questo fronte anti-jihadista e combatte per tutti noi. Oggi bisogna veramente suonare l'allarme e reagire, soprattutto visto che molti imam, in lingue che troppi di noi ignorano, ammaestrano - anche in Europa - i giovani musulmani ad odiare gli "infedeli" (cioè in pratica ebrei e cristiani). Non dimentichiamo che persino in occasione della tanto celebrata "riunione di preghiera" nei giardini vaticani, l'imam lí presente lesse al microfono davanti a tutti parti della fine della Seconda Sura, la Sura Al Bàqara, Aya (linea 286), del Corano, che dice (il video non censurato di al Arabiya ne è testimone, "Perdonaci, abbi pietà di noi, tu che sei il nostro guardiano e dacci la forza di sconfiggere gli infedeli", messaggio ben compreso da ogni musulmano. Altro che pace! Era un aperto richiamo al Jihad, per chiunque volesse capirlo… Come sempre, in Inglese parlano di pace per gli occidentali creduloni, mentre in Arabo fanno appello al loro dio che li aiuti nel Jihad, come fanno da secoli in occasione di ogni battaglia. Ma le mire espansioniste dell'islam coinvolgono direttamente anche noi italiani: Roma è detta essere la quarta città santa dell'islam, perché le armate musulmane furono fermate alle sue porte quando tentarono di conquistarla; buona parte del meridione, la Sicilia e la Sardegna sono considerate terra islamica, così come lo sono Francia e Spagna. Ma tutte queste informazioni le troviamo nei paesi islamici, ma non le leggiamo nei nostri giornali, non le ascoltiamo nelle nostre televisioni.
(Il Foglio, 31 luglio 2014)
L'obiettivo sporco della stampa sottomessa
Per Hamas e per gli altri terroristi lo "spettacolo" della morte è comunque vincente
Per i terroristi la morte di bambini innocenti è irrilevante. In una società che esalta il martirio come il più nobile degli obiettivi, la morte degli innocenti può essere vista come una manna nei rapporti con l'opinione pubblica.
"L'intero conflitto - mi dice il giornalista straniero seduto al caffè - è uno spettacolo da prima serata: i palestinesi ci forniscono la parte romantica della storia". Il terrorismo è uno show, con i suoi produttori e i suoi distributori. Senza una certa connivenza dei mass-media internazionali, il terrorismo non sarebbe così efficace e potrebbe addirittura scomparire. Mentre Hamas fa piovere razzi e missili sulla popolazione civile in Israele e in cambio subisce grandi distruzioni e centinaia di morti come "danni collaterali", bisogna chiedersi: a che scopo? La stessa domanda vale per il terrorismo suicida. Il vero obiettivo sembra quello di suscitare simpatie (in certi ambienti) e terrorizzare il nemico, raggiungendo gli spettatori su una quantità innumerevole di canali multimediali....
(israele.net, 31 luglio 2014)
Repellente appropriazione ideologica dei bambini di Gaza, e indebita
La civiltà progressista occidentale promuove una sua crociata Unicef a favore dei bambini di Gaza, e figuriamoci se non sia lodevole la buona intenzione umanitaria, lo dico sul serio, ma ho delle domande.
di Giuliano Ferrara
La civiltà progressista occidentale promuove una sua crociata Unicef a favore dei bambini di Gaza, e figuriamoci se non sia lodevole la buona intenzione umanitaria, lo dico sul serio, ma ho delle domande. Siete o non siete gli stessi che i bambini abortiti, un miliardo e più in trent'anni, fanno bensì preoccupare (dico i migliori tra di voi) ma non fino al punto di promuovere politiche pubbliche contro l'aborto, non fino al punto di imporre una tregua al clash of absolutes, mettendo a discutere su come evitare gli aborti e la
Siete o non siete gli stessi che chiudono un occhio o tutti e due quando si parli su larga scala asiatica di selezione per sesso dei bambini nascituri, con esclusione commerciale delle femmine?
mentalità antinatalista i capi della pianificazione riproduttiva e demografica, annidati anche loro in cose tipo Unicef, e quelli che resistono nel mondo su una posizione pro life? Siete o non siete gli stessi che in nome della liberale fecondazione eterologa sono pronti a negare, nel caso delle madri single, una linea di paternità ai bambini? E a raddoppiare bizzarramente la loro paternità o maternità nel caso delle fecondazioni dentro coppie gay? Siete o non siete gli stessi che scambiano la maternità biologica, per quanto essa valga e forse qualcosa vale, con l'utero in affitto di una povera che cerca di fare reddito producendo quel che può? Siete o non siete gli stessi che chiudono un occhio o tutti e due quando si parli su larga scala asiatica di selezione per sesso dei bambini nascituri, con esclusione commerciale delle femmine? Siete o non siete gli stessi che sono disponibili ai sogni realistici dei piccoli dottori Faustus che vogliono usare i bambini come farmaco o come magazzino di pezzi di ricambio? Gli stessi che voltano le spalle di fronte al fenomeno dell'esclusione di bambini down o semplicemente non-biondi nella linea di produzione à la carte che deve sostituire l'attesa di una vita come prodotto d'amore?
Siccome siete gli stessi, consentitemi di non credere alle vostre raccolte di fondi per i bambini di Gaza. Ho troppo vivo il ricordo dei sassi, delle bottiglie, delle bombe carta e delle uova che mi avete tirato, con le mie compagne e i miei compagni antiabortisti, quando appena qualche anno fa i bambini erano l'oggetto di una lista autonoma e autofinanziata per la Camera dei deputati e di un'idea politica di riscatto del diritto alla nascita con una moratoria sugli aborti che non era carcere per le donne o interruzione clandestina delle gravidanze ma progetto liberale di sradicamento della cultura dell'aborto. Tra i linciatori a Bologna abbondavano ubriachi e portatori insani di kefiah, qualcuno di loro si sarà imbarcato per rompere l'embargo ad Hamas, ma l'embargo ai concepiti aspirati o resecati non è mai cessato, furoreggia come testimonianza di libertà femminile e di prepotere maschile. Anche nella chiesa cattolica, del tutto estranea alla mia crociata laica e dei miei, progredisce l'idea che gli atti d'amore, tra cui la fede, possano restare senza conseguenze. E voi festeggiate questa svolta nel momento in cui affettate una straordinaria preoccupazione per i bambini di Gaza. Che sono angeli, è appena ovvio, finiti stretti e ammazzati dietro lo scudo al terrorismo come vittime di guerra, ma non sono davvero i vostri beniamini più di quanto non siano i miei, e l'appropriazione ideologica ha qualcosa di repellente anche se con il timbro delle Nazioni Unite.
(Il Foglio, 27 luglio 2014)
L'autore ha dimenticato un'altra domanda che meriterebbe una risposta: siete non siete gli stessi che non dicono niente quando sentono madri palestinesi dire orgogliosamente che sarebbero fiere di vedere immolato un loro bambino ad Allah, cioè vederlo saltare in aria insieme a tanti cattivi ebrei? E' tempo di chiudere la bocca a quei tanti ipocriti che mimetizzano il loro odio antiebraico sotto i travestimenti della moralità umanitaria. M.C.
"I tunnel vanno neutralizzati"
La necessità assoluta di compiere la missione. È ciò che ha messo in luce il primo ministro Benjamin Netanyahu aprendo la riunione di governo nella sede del Ministero della Difesa a Tel Aviv. Impossibile lasciare intatta la minaccia dei tunnel che da Gaza arrivano in territorio israeliano. "Non accetteremo alcun accordo che non consenta alle nostre forze di completare questa operazione necessaria alla nostra sicurezza - ha dichiarato Netanyahu - Hamas avrebbe potuto usare queste infrastrutture per rapire o uccidere soldati e civili. Ora ci stiamo occupando di neutralizzarle". Già decine i tunnel distrutti, ma ancora grande il lavoro da compiere, mentre dopo una notte di relativa quiete è ripreso in mattinata il lancio dei razzi, in particolare verso il sud del paese (nella cittadina di Sderot, sul confine, tre persone sono rimaste ferite in modo lieve dai detriti e diverse sono state ricoverate in stato di shock).
Sono passati 24 giorni dall'inizio dell'Operazione Margine Protettivo, che supera così la durata della crisi del 2008-2009 (Piombo fuso) e di quella del 2012 (Pilastro di Difesa). Sono 56 i soldati israeliani che hanno perso la vita dallo scorso 8 luglio, e oltre 2800 i razzi piovuti su Israele nello stesso periodo. Tsahal ha inoltre annunciato il richiamo di 16mila riservisti per consentire il ricambio delle truppe al fronte, portando il totale dei riservisti coinvolti a 86mila.
Sono in programma oggi pomeriggio i funerali dei tre soldati caduti ieri: tutti tra i 20 e i 21 anni, sono rimasti vittima di una trappola esplosiva piazzata in un edificio della zona di Khan Yunis che nascondeva l'ingresso di un tunnel, oltre a un ambulatorio delle Nazioni Unite, come ha rivelato l'esercito israeliano, mettendo ancora in luce come Hamas, che governa la Striscia, prosegua nel nascondere postazioni militari tra la popolazione civile, esponendola al rischio di rimanere coinvolta o facendosene scudo (secondo i dati del Ministero della Sanità di Gaza, sono oltre 1300 i palestinesi che hanno perso la vita in queste settimane).
(moked, 31 luglio 2014)
Israele tira dritto
Hamas rompe l'ennesima tregua. Bombe su un mercato e una scuola. Colpito un altro edificio dell'Unrwa. Gerusalemme accusa i militanti palestinesi. L'Onu aveva appena scoperto un arsenale di armi e missili in un altro istituto.
di Michael Sfaradi
Il 23o giorno dell'operazione "Zuk Eitan" si è aperto con una denuncia dell'UNRWA che per la terza volta in pochi giorni ha trovato armi ed esplosivi in una sua scuola. Il responsabile ha fatto sapere che i missili non saranno restituiti ad Hamas ma rottamati dagli esperti dell'ONU. Dopo la denuncia un'altra scuola dell'UNRWA è stata colpita da un missile e da alcune bombe e nelle esplosioni hanno perso la vita almeno 15 civili. All'interno dell'edificio c'erano persone che avevano cercato rifugio dopo la richiesta israeliana di lasciare la zona occidentale di Han Junes. Visto che i tiri sono stati precisi, Israele, che nega responsabilità, sospetta che questa strage sia stata voluta da Hamas per avvertire all'UNRWA a non denunciare ulteriori ritrovamenti di materiale bellico e per punire coloro che si erano spostati dopo l'avvertimento israeliano. Nel pomeriggio, almeno altre 17 persone sono morte e 160 sono rimaste ferite in un attacco israeliano su un mercato, nel martoriato quartiere di Shejaya. Il raid è avvenuto durante la tregua di umanitaria di 4 ore dichiarata dall'esercito israeliano a partire dalle 14 ora italiana e puntualmente infranta dal lancio di missili dalla Striscia di Gaza.
Israele è venuto in possesso di una mappa plastificata dei tunnel che portano verso il territorio israeliano: era nelle tasche di un militante di Hamas fatto prigioniero.
Israele è venuto in possesso di una mappa plastificata dei tunnel che portano verso il territorio israeliano: era nelle tasche di un militante di Hamas fatto prigioniero. II ritrovamento è considerato molto prezioso dalle forze di Israele che puntano alla totale distruzione dei tunnel. Durante la notte tra martedì e mercoledì 46 obbiettivi di Hamas e 37 della Jiad Islamica sono stati colpiti, fra questi alcune moschee trasformate in depositi di armi. La maggior parte degli obbiettivi ospitava proprio le entrate di tunnel primari e secondari: i primari sono quelli che portano verso Israele e sono usati per gli attacchi a sorpresa mentre i secondari vanno verso magazzini sotterranei dove sono conservati missili a lunga gittata. Ad oggi solo poco più della metà delle gallerie scoperte è stata neutralizzata, e secondo l'esercito serviranno almeno altre tre settimane per completare la bonifica.
Proprio durante la ricerca di una di queste entrate l'esplosione di una bomba messa nell'intercapedine di uno dei muri di un'abitazione privata, ha ucciso tre militari e ne ha feriti 12. La televisione di Hamas ha invece mandato in onda il filmato in cui 5 soldati israeliani vengono uccisi: si vedono gli scontri a fuoco e anche il numero di serie di un mitragliatore TAVOR sottratto a uno dei caduti. Per rispetto alle famiglie dei caduti il video è stato censurato dalla televisione israeliana, ma Al Jazira lo ha più volte trasmesso con uno share altissimo.
Il portavoce dell'esercito ha dichiarato che alla mezzanotte di ieri erano 2670 i razzi lanciati verso Israele dall'inizio delle ostilità, 440 di questi, per errori di lancio o malfunzionamento, sono caduti nella Striscia causando danni e vittime. Sul piano diplomatico la situazione, se possibile, è ancora più confusa. Mentre Hamas e la Jiad Islamica non riescono neanche a mettersi d'accordo su chi mandare al Cairo per trattare la tregua, Hillary Clinton, probabile candidata alle elezioni presidenziali USA per il Partito Democratico, durante un'intervista nel programma "America with Jorge Ramos" su FUSION, un canale via cavo e via satellite, affermava che Hamas conserva missili e le armi nelle abitazioni civili e nelle scuole perché Gaza è piccola e non ci sono molti spazi.
Amir Mousavi, consigliere del ministro della difesa iraniano, ha annunciato che l'Iran invierà missili nella West Bank allo scopo di aprire una altro fronte e ha aggiunto che non serviranno quelli a lungo raggio visto che la distanza tra le citta palestinesi e quelle israeliane è minore. Considerando che alcuni giorni fa missili di questo tipo erano stati intercettati su una barca che aveva attraversato il Mar Morto, questa dichiarazione più che una minaccia è un'ammissione di paternità da parte di chi ha sempre fatto di tutto per far degenerare la regione nel caos più completo. Anche il Vaticano muove la sua diplomazia per la fine delle ostilità a Gaza e la ricerca di una pacificazione. La Segreteria di Stato ha inviato alle ambasciate accreditate presso la Santa Sede una «Nota verbale» per richiamare i recenti appelli sul Medio Oriente rivolti dal Papa dopo gli ultimi Angelus.
(Libero, 31 luglio 2014)
Hamas. Scontro sui razzi tra fondamentalisti
Il gruppo ha perso consensi tra la popolazione e dimostra sempre meno potere sulle frange più estreme.
di Susan Dabbous
Depositi clandestini di razzi sotto le scuole di Gaza. E questa la choccante denuncia dell'Unrwa, agenzia Onu per i profughi, che ha fatto ieri dopo aver condannato genericamente «il gruppo, o i gruppi, che hanno messo in pericolo i civili piazzando quelle munizioni in una nostra scuola», ha affermato il portavoce Chris Gunness. Risalgono a metà luglio le prime notizie relative al ritrovamento di una ventina di razzi nascosti in una scuola della Striscia L'Unrwa si era limitata a far sapere che stava «indagando». Ma intanto durante l'operazione "Margine di difesa", l'esercito israeliano non ha esitato a bombardare, almeno in due occasioni, gli edifici scolastici dell'Onu. L'ultimo raid, avvenuto ieri ha provocato almeno 23 morti.
La mancata tregua con Israele sarebbe da attribuire alle pressioni dei gruppi armati su Hamas, a cui non è stato perdonato il riavvicinamento al partito di Abu Mazen.
L'esitazione da parte dell'Unrwa nell'indicare chi usa le scuole come nascondigli per le armi, è da attribuire alla mancanza di chiarezza su chi possiede i razzi a Gaza. Se da un lato si dà per scontato che parte dell'arsenale missilistico sia nella mani del braccio armato di Hamas, le Brigate al-Qassam, dall'altro è noto il possesso di razzi da parte delle sigle jihadiste presenti nella Striscia non è direttamente sotto il comando del partito islamista. Difficile stare al passo con la formazione e lo scioglimento delle diverse brigate ma dal 2008, operano sicuramente: Jund Ansar Allah (Soldati ausiliari di Allah) di Abdal Latif Mussa, Tawhid wal Jihad (Monoteismo e Jihad), i gaedisti di Ansar al-Sunna, filiazione dell'omonima cellula irachena e la Jihad islamica finanziata da Iran e Siria. Con alcuni di questi gruppi Hamas in passato è arrivata addirittura allo scontro diretto. Secondo alcune ricostruzioni la mancata tregua con Israele sarebbe da attribuire proprio alle pressioni dei gruppi armati sull'establishment politica di Hamas a cui non è stato perdonato il riavvicinamento ai «corrotti» del partito di Abu Mazen, Fatah. Eppure senza una vittoria totale di Israele, sarà Hamas a uscire vincitrice dal conflitto, senza menzionare gli altri gruppi, proclamandosi tale per il semplice fatto di essere sopravvissuto all'attacco, secondo uno schema propagandistico già adottato in passato. Propaganda che però, stavolta potrebbe non attecchire sugli esasperati abitanti di Gaza, soprattutto tra le migliaia di famiglie rimaste senza casa. Come confermerebbe l'accusa di Israele di aver, nei giorni scorsi, bagnato con il sangue le proteste contro il movimento.
(Avvenire, 31 luglio 2014)
La sicurezza di Hamas scricchiola, Israele mobilita 16 mila riservisti per l'assalto finale
Oggi attesa al Cairo una delegazione palestinese per trattare sulla tregua
Fawzi Barhoum, portavoce di Hamas
L'esercito israeliano ha mobilitato 16 mila riservisti "per permettere alle truppe sul terreno di riprendersi, portando il totale dei riservisti effettivi a 86 mila", come riportato da un portavoce dell'esercito israeliano. L'aumento delle truppe di terra, decisione presa all'unanimità dal gabinetto di Sicurezza, si è reso necessario, sia per permettere un minimo turnover alle truppe, sia soprattutto per tentare di dare l'assalto decisivo ad Hamas e individuare e distruggere gli ultimi tunnel che dalla Striscia conducono in territorio israeliano.
In mattinata Hamas ha ripreso con il lancio di diversi missili verso Israele, che ha risposto con le forze di terra, (il bilancio riportato da Ashraf al-Qedra all'agenzia di stampa Dpa è di 1.363 morti e oltre 7 mila feriti), ma inizia a scricchiolare la sicurezza dimostrata sino ad ora dal gruppo terroristico: "Ci sono alcuni paesi arabi che complottano contro il nostro gruppo e la resistenza palestinese - ha dichiarato il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, intervistato dall'emittente al Jazeera - in seguito faremo i nomi dei paesi arabi che complottano contro di noi. Si tratta di paesi che non solidarizzano con la gente di Gaza per quanto sta subendo e al contrario aiutano Israele".
Intanto è previsto per oggi in tarda mattinata l'arrivo di una delegazione palestinese al Cairo per discutere di una tregua a Gaza. Oltre ai nomi già noti dei membri di questa delegazione, come Azzam al Ahmad di Fatah, Musa Abu Marzouq di Hamas, il capo dei servizi segreti palestinesi Majed Faraj e Ziyad al Nakhala della Jihad islamica, e'' prevista la presenza di altri due dirigenti di Hamas come Imad al Ilmi e Khalil al Haya. L''Egitto ieri ha chiesto al presidente palestinese Mahmoud Abbas di spingere le fazioni ad accettare la tregua umanitaria annunciata da Israele.
(Il Foglio, 31 luglio 2014)
Io, israeliana non riesco più a sorridere
Tutti raccontano della paura di chi vive a Gaza. Ecco l'altro punto di vista: la figlia del presidente della comunità ebraica milanese Walker Meghnagi vive a Tel Aviv.
di Alessandra Meghnani
Ogni sera piango. Non c'è sera in cui arrivo seduta sul divano con un sorriso e ormai è così da 20 giorni. Solo che all'inizio mi dicevo di stare tranquilla e continuavo a pensare che tutto sarebbe finito velocemente e che non ci sarebbero state vittime. Speravo che tutti i soldati sarebbero tornati a casa dalle proprie madri e nessuna madre avrebbe dovuto seppellire il proprio figlio. Poi entrarono a Gaza e cominciai a capire che la situazione non era così semplice e che dovevo smetterla di pensarla ingenuamente. Ho avuto paura che le sirene suonassero quando ero fuori casa, ogni suono sembrava assomigliare a una sirena e invece era tutto frutto della mia immaginazione. Col passare delle settimane ho smesso di temere le sirene, perché le istruzioni sono chiare, ovunque tu sia, corri e trova un posto al riparo. Il suono della sirena, quei 90 secondi che sembrano infiniti, bloccano il cuore e il respiro, la gente spinge e cerca di mettere se stesso e i propri figli al sicuro e quando sentiamo i botti dei missili esplosi sopra le nostre teste tutti tirano un sospiro di sollievo. Ogni cosa che fai durante la giornata ti fa sentire in colpa, come se stessi sbagliando ad andare al mare in un normale giorno di luglio, perché ragazzi più giovani di me sono al fronte a proteggere me e i miei cari. Ho pensato di andarmene da Israele per paura, ma ogni volta che provavo a prenotare un biglietto di sola andata, avevo un ripensamento: non me ne voglio andare da qui. Ogni notte provo ad addormentarmi e ho paura di svegliarmi il mattino seguente e guardare il mio cellulare. Ogni mattino leggo «IDF soldier killed in Gaza» ed è così da 2 settimane. Non auguro a nessuno di vivere quello che stiamo vivendo, mi auguro solo che tutto questo finisca presto, che non ci siano più feriti né morti; che finalmente Israele smetta di essere il problema di tutti e che tutti capiscano che la causa dei loro problemi è un'altra.
(il Giornale, 31 luglio 2014)
L’aspetto gradevole di Roma-Real Madrid 1-0
Abbiamo scritto ieri che la partita amichevole tra Roma e Real Madrid, disputatasi a Dallas, ha avuto un aspetto gradevole e uno sgradevole. Il filmato accluso però presentava soltanto l’aspetto sgradevole, cioè l’entrata in campo di un tifoso con la bandiera della Palestina. Vogliamo far vedere allora anche l’aspetto gradevole:
il gol di Francesco Totti.
(Notizie su Israele, 31 luglio 2014)
Sostegno assoluto a Israele del famoso attore Robert De Niro
Robert De Niro
E' diventata una moda tra le celebrità francesi e americane di prendere apertamente posizione contro Israele sui social network, o cancellare visite programmate da molto tempo.
Quasi ovunque folle di manifestanti in tutto il mondo sostengono il gruppo terroristico di Hamas, anche quando piovono razzi sulle città israeliane.
Fortunatamente, molti attori famosi e politici hanno espresso il loro sostegno a Israele e alle sue operazioni militari per fermare gli attacchi di Hamas contro i civili.
Il celebre attore hollywoodiano Robert De Niro ha recentemente preso posizione a favore di Israele e ha sostenuto il suo assoluto diritto di difendere i propri cittadini contro i terroristi di Gaza.
Secondo Mad World News, De Niro ha affrontato la questione in un discorso alla Conferenza del Presidente, nella città di Gerusalemme.
La star di "Padrino" ha detto: "Mi piace sempre venire in Israele. Gli israeliani sono caldi e pieni di energia. Franchi. Molto intelligenti. Mi piacciono le persone intelligenti. Sono gente in gamba, sapete. Sono aggressivi, e io rispetto questa aggressività, perché ne hanno bisogno nella loro situazione".
Un sostegno certamente apprezzato, proveniente da uno degli attori americani più rispettati. Israele sta combattendo per il diritto di esistere, sia come nazione sia persone, contro un gruppo di terroristi che odiano e sono una minaccia per il mondo.
(Jerusalem Plus, 24 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Tutti i dilemmi d'Israele
Il consulente di Netanyahu ci spiega la lunga guerra d'attrito a Gaza
di Giulio Meotti
C'è una espressione che riassume la strategia di Israele a Gaza: "Tagliare l'erba". Quando il nemico si fa aggressivo, si taglia l'erba. Quando ricresce si torna a tagliarla. "E' la 'long war strategy' di Israele", ci dice Efraim Inbar, stratega fra i più ascoltati, capo del Besa Center e consulente ufficioso del premier Benjamin Netanyahu.
Ieri Israele ha accettato una nuova tregua umanitaria, mentre aggiungeva altri tre soldati alla conta dei propri caduti. Fra Hamas e Israele rimbalzano le accuse per una bomba in un mercato a Shejaiya (quindici i morti palestinesi).
"Hamas, Jihad islamico e salafiti vedono Israele come un'aberrazione teologica", ci dice Inbar. "Il fanatismo di questi gruppi, l'ideologia radicale e la loro strategia a lungo termine della violenza porta a un conflitto irrisolvibile. E' impossibile distruggere Hamas, come è impossibile distruggere i Talebani in Afghanistan. Puoi infliggergli un colpo durissimo, ma sono parte della popolazione. Basta un trenta per cento di fedeli per creare un regime omicida come quello di Gaza". Che fare allora?
Il governo sta pensando a occupare parti strategiche della Striscia senza per questo prendersi in carico la vita dei palestinesi.
La domanda sta dividendo il gabinetto di sicurezza di Netanyahu e l'Idf, l'esercito israeliano. Ieri, sulla stampa in lingua ebraica sono uscite le critiche di alti ufficiali a Netanyahu. "O andiamo avanti o dobbiamo ritirarci". Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, quello dell'Economia Naftali Bennett e dell'Interno Gideon Saar chiedono al premier di andare fino in fondo, fino a Jabalya, il cuore del potere di Hamas. "Non dobbiamo togliere il piede dal gas", dicono gli ambienti vicini al capo della diplomazia israeliana. Efraim Inbar non è d'accordo. "Israele non ha una strategia, ma soltanto tattiche. Hamas ha pagato un prezzo sufficiente? Se sì e il regime islamico resta in piedi, Israele deve basarsi sulla deterrenza. Il governo sta pensando a occupare parti strategiche della Striscia senza per questo prendersi in carico la vita dei palestinesi. Potrebbe essere una soluzione. E se decide di andare fino in fondo, sarà in gioco la vita di tanti soldati, l'amicizia con l'America, l'opinione pubblica interna".
E' il dilemma di Netanyahu. "Il successo di Israele finora è stato il suo sistema di difesa missilistico, che ha permesso al fronte interno di mantenere la normalità. Israele ha mostrato determinazione per le operazioni a terra, nonostante le vittime. La maggioranza della popolazione sa che non possiamo abbandonare i kibbutz del sud. E che questa, come altre, è una guerra senza scelta". Hamas non sta sanguinando abbastanza. "Israele ha distrutto la sua prima linea di difesa, i tunnel. Ma gli uomini, le armi pesanti e i macchinari per fabbricare i missili sono tutti nel nord. La vera battaglia per Gaza deve ancora iniziare e forse non inizierà. Perché è un conflitto irrisolvibile e prolungato. Non c'è soluzione politica".
Hamas può essere rovesciato, ma le alternative sono peggiori: "Il controllo israeliano, gruppi più radicali, o il caos. Nessuna delle tre è una alternativa. Il governo ha saggiamente definito obiettivi politici e militari limitati per l'offensiva. Nel lungo termine si tratta di logorare le capacità del nemico. Distruggere i tunnel era un obiettivo militare raggiungibile".
La storia sembra dare ragione a Inbar. Da quando ha lasciato Gaza nel 2005, Israele ha già condotto tre operazioni militari limitate. "E' la strategia militare che è cambiata". Fino a dieci anni fa, Israele non aveva misure difensive, oggi è sotto gli occhi di tutti il successo della barriera "Iron Dome". Inoltre oggi l'aviazione, come ha detto il suo comandante Amir Eshel, "è in grado di colpire in meno di 24 ore gli stessi obiettivi che nel 2006 distrusse in trentatré giorni".
Come Inbar la pensa il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, che giorni fa derideva il "soluzionismo" degli Stati Uniti. Il paradosso è che la sinistra militare, guidata dall'ex capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, e dal generale Amos Yadlin, spinge per distruggere Hamas e salvare il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen, e con lui la soluzione a due stati. "Ma il presidente dell'Anp non metterebbe mai piede a Gaza, verrebbe impiccato al primo palo", ci dice Inbar. "E' l'utopia della sinistra, come quando riportarono Arafat da Tunisi a Gaza pensando di avere in cambio la pace. Il pensiero occidentale è orientato alla soluzione. Ciò spiega parte della mancanza di comprensione per ciò che Israele sta facendo. Una guerra di logoramento contro Hamas è probabilmente il destino di Israele per il lungo termine. Lo scenario più probabile è un periodo di calma, Hamas che si riarma, ricalibra la sua strategia e attacca di nuovo Israele. E noi tagliamo l'erba".
(Il Foglio, 31 luglio 2014)
«E' stata Hamas a volere la guerra, Israele si è solo difesa»
di Katia Ippaso
Il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane commenta la situazione in Medio Oriente e le manifestazioni anti-semite in tutta Europa. Uno spiraglio di pace si annuncia nel ruolo che può giocare l'Egitto.
Renzo Gattegna
La mattina, in questa tranquilla parte di mondo, ci sveglia l'eco del terrore. Il computo dei morti si staglia come un requiem accelerato. Numeri che crescono ora dopo ora, dietro i sipari di tregue fantasma. A Gaza scorrono immagini di bambini seppelliti nella sabbia, svanite dietro il cono d'ombra di un'altalena. L'uccisione dei tre adolescenti israeliani che ha fatto da detonatore all'ultimo teatro di guerra provoca altrettanta indignazione. A meno che non vivi la cosa come una specie di paradossale, mostruosa tifoseria. Spaventa la recrudescenza di manifestazioni antisemite in tutta Europa. L'incubo del Novecento fa la sua comparsa dietro sfilacciate narrazioni. E cerchi di capire perché. Assieme a coloro che, per posizione e storia, sono in prima linea. Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei), ha ovviamente la sua idea sul conflitto e la sua idea per la pace, considerando che, secondo lui, «la questione, più che offensiva, è difensiva».
- Gattegna, come legge questi ultimi atti di guerra? Se Israele non avesse un sistema antimissile chiamato Iron Dome staremmo parlando con toni e stati d'animo molto diversi da quelli che stiamo adottando oggi. Mai come questa volta è stato chiaro che Israele ha subito un attacco premeditato da Hamas nel territorio israeliano. Stiamo parlando di centinaia di ordigni, in parte missili, in parte razzi che sono stati lanciati da Gaza per tutti i mesi che hanno preceduto questa deriva totale delle ultime tre settimane. Io mi sono fatto l'idea che Hamas avesse premeditato quest'attacco. Tant'è vero che stanno uscendo fuori dei giganteschi arsenali nascosti nel sottosuolo di Gaza che forse sono stati una sorpresa anche per Israele. Israele sta subendo delle perdite che per un paese così piccolo sono gravi, più di cinquanta persone. Le perdite palestinesi che stanno subendo, soprattutto civili, a Gaza, sono ancora più importanti e dolorose...
- Ma nessuno sembra interessato a interrompere questa escalation di violenza. C'è una riflessione che riguarda insieme Medio Oriente, Europa, Africa e Asia. Per quello che riguarda Asia e Africa, stiamo assistendo anche una gravissima aggressione da parte delle forze integraliste islamiche contro le comunità cristiane. Non possiamo dimenticare che solo due mesi fa abbiamo assistito al rapimento di duecento ragazze cristiane, colpevoli solo di appartenere ad una fede diversa... I conflitti sono molteplici e non riguardano solo lo Stato d'Israele.
- Nell'editoriale dell'ultimo numero di "Pagine ebraiche", si identificano "i nemici della pace" e si fa appello all'unità: «Unità nell'affermare il diritto di Israele a difendere la popolazione civile... Unità nell'estremo tentativo di proteggere la popolazione civile palestinese ostaggio dei signori del terrore». Al di là delle dichiarazioni, la realtà a Gaza è molto differente. Un tentativo che alla prova dei fatti non sta riuscendo in pieno, è quello di avvisare le popolazioni civili prima che si scatenino dei bombardamenti o delle azioni militari più violente. Dati i territori molto circoscritti e data la densità della popolazioni, sono sistemi che non stanno raggiungendo risultati soddisfacenti. D'altra parte bisogna tenere presente, ripeto, che Israele sta esercitando un diritto di legittima difesa. Io mi auguro che la guerra possa finire in tempi brevi, nella maniera meno dolorosa possibile.
- Vede spiragli di pace? Sembra che tutta la diplomazia internazionale in realtà stia ruotando attorno a se stessa. Gli organismi internazionali dimostrano una grande impotenza. Paesi confinanti che gravitano nella stessa zona potrebbero invece influire positivamente. Se veramente lo volessero. L'Egitto si sta impegnando nel tentare di stabilire le condizioni per un cessate il fuoco. Ma il fatto è che in tanti paesi del Medio Oriente si vive una instabilità molto difficile da interpretare.
- Parigi e Roma sono state, assieme ad altre civilissime città europee, teatro di recenti manifestazioni antisemite. Per un verso, sono collegate ai fatti d'Israele, ma non bisogna dimenticare che delle forze estremiste nei vari Paesi europei erano già emerse prima che scoppiasse questo conflitto.
- E' in contatto con rappresentanti del mondo palestinese? Siamo in rapporto con organizzazioni palestinesi e islamiche. Ci troviamo a combattere sullo stesso fronte per vincere il pregiudizio e l'ostilità preconcetta, lavorando su progetti culturali. Mi auguro che possa allargarsi questa tendenza, e non quella estremista.
(Garantista, 31 luglio 2014)
Ex viceministro israeliano: 'Obama ha urlato a Netanyahu, lo ha trattato come un talebano'
di Gisella Ruccia
"Obama ha urlato contro Netanyahu. Non è stata una conversazione piacevole e il presidente degli Stati Uniti non stava parlando con un leader talebano". E' lo sfogo di Danny Danon, parlamentare del Likud ed ex viceministro della Difesa di Netanyahu, ai microfoni della trasmissione "Steve Malzberg Show", in onda sull'emittente americana Newsmax Tv. Il primo ministro israeliano, secondo il racconto di Danon, avrebbe avuto un tesissimo colloquio telefonico con Obama, che "urlava e diceva al primo ministro cosa fare e cosa non fare". "Ve lo dico in tutta sincerità" - continua il parlamentare - "abbiamo un rapporto molto stretto con gli Stati Uniti, l'alleato più forte di Israele. Ma questo non è il modo di trattare il leader di un Paese alleato. E' un insulto il modo in cui il presidente Obama sta trattando Israele. Abbiamo bisogno di sostegno e supporto da parte degli USA. Purtroppo ora non li abbiamo". E aggiunge: "Io incoraggio il primo Ministro Netanyahu e i miei amici al governo ad essere forti adesso e di fare qualunque cosa sia positiva per Israele, anche se comporta dire al presidente Obama: 'No, non possiamo soddisfare i tuoi desideri o le tue pressioni a firmare un "Cessate il fuoco"', il che sarebbe negativo per Israele ora. La richiesta di un 'cessate il fuoco' è inaccettabile".
(il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2014)
La strage dei bimbi nel parco giochi è stata colpa di un razzo di Hamas e non di Israele
«Lo confermo ora che sono fuori da Gaza: la strage di bambini a Shati non è colpa di Israele». A scriverlo, con un tweet che in pochi minuti è stato fatto rimbalzare oltre 200 volte nella Rete, è Gabriele Barbati, giornalista italiano, corrispondente dalla striscia di Gaza di TgCom24. Dopo la morte dei bimbi sulla giostra a Gaza sono arrivati tipi di Hamas o di altra fazione a ripulire i detriti del razzo impazzito.
- Il massacro di Shati
La strage di bambini a cui si riferisce è quella "del parco giochi": nove piccoli uccisi il 28 luglio nel campo profughi di Shati mentre giocavano nei pressi di una giostra (altri hanno parlato di un'altalena). Il messaggio del giornalista contiene due informazioni. La prima, la più esplicita, è la conferma di quanto denunciato da Israele subito dopo la diffusione della notizia: quei nove morti non sono colpa dei bombardamenti di Israele, bensì di un razzo "impazzito" di Hamas. La seconda informazione riguarda invece lo stesso reporter e la gestione dei media a Gaza: finché Barbati si è trovato all'interno della Striscia non ha potuto twittare la verità. Da più parti sono arrivate denunce circa il controllo e le pressioni che Hamas esercita su chi da dentro Gaza raccoglie e diffonde notizie nel mondo. E' di questi giorni la notizia del giornalista francese di Liberation cacciato da Hamas
Ma ecco il tweet completo di Gabriele:
Insomma un'altra verità rispetto a quella diffusa ieri da quasi tutti i media italiani.
Ma Barbati non è solo. Sempre su Twitter il giornalista del Wall Street Journal, El-Ghobashy ha scritto che le lesioni al muro esterno dell'ospedale di Shati suggeriscono l'ipotesi di "un razzo impazzito" di Hamas. Il tweet, poco dopo la pubblicazione è stato rimosso.
(Il Messaggero, 30 luglio 2014)
Colpita a Gaza una scuola dell'Onu. Razzi nascosti nella sua sede
Durante la notte tra il 29 e il 30 luglio gli attacchi aerei israeliani hanno colpito una scuola dell'Onu, dove si erano rifugiati molti civili palestinesi, nonostante Israele avesse avvertito che quel quartiere sarebbe stato bombardato. Sono morte 20 persone. Nei giorni scorsi è accaduto che Hamas contrastasse le evacuazioni, inducendo la gente a restare nelle proprie case. Israele ha del resto più volte accusato l'organizzazione terroristica palestinese di usare la popolazione come scudo umano.
I raid dell'aviazione di Tel Aviv sono proseguiti fino all'alba. Al momento si contano 43 morti. Contemporaneamente sono proseguiti i lanci di missili su Israele. Da fonti delle Nazioni Unite arriva una denuncia contro Hamas: ha nascosto parecchi razzi all'interno delle scuole Onu aperte a Gaza, violandone la neutralità.
(Leonardo.it, 30 luglio 2014)
Ospedale e campo palestinese sono stati colpiti dai razzi della Jihad Islamica
I terroristi palestinesi a Gaza lanciano razzi dalle aree civili e colpiscono la loro popolazione
Foto aeree su cui sono indicati i luoghi dove sono stati lanciati e quelli dove si sono abbattuti i razzi palestinesi, lunedì scorso, intorno alle 16.58 (ora locale) - cliccare sull'immagine per ingrandire
L'ospedale Shifa e il campo palestinese di Al-Shati nella striscia di Gaza sono stati colpiti lunedì scorso da razzi palestinesi che le organizzazioni terroristiche avevano lanciato verso Israele, ma che sono ricaduti in territorio palestinese.
Lo ha ribadito Yoav Mordechai, Coordinatore delle attività governative israeliane nei territori, parlando all'agenzia di stampa palestinese Ma'an. Yoav Mordechai ha confermato che la morte dei bambini nel campo di Al-Shati e i danni all'ospedale Shifa sono stati causati da falliti attacchi missilistici della Jihad Islamica contro Israele, spiegando che i razzi sono stati sparati dalla direzione di Tel al-Hawa, a Gaza.
In particolare un razzo Fajr-5 con testata da 100 kg di esplosivo, lanciato da un parco giochi all'esterno dell'ospedale Shifa perché andasse ad abbattersi sul centro di Israele, è esploso anticipatamente causando vittime.
Hamas e Jihad Islamica si erano precipitate ad accusare Israele, automaticamente riprese senza verifiche da social network e stampa internazionale....
(israele.net, 30 luglio 2014)
I bambini di serie B che muoiono in Ucraina
Cadono anche loro maciullati dalle schegge o mentre cercano un rifugio impossibile. Ma nessuno ne parla come i piccoli di Gaza. E un motivo c'è.
di Fausto Biloslavo
La bambina di un anno è morta per le schegge fra le braccia dei familiari. Da domenica un intenso fuoco di artiglieria ha spazzato via 19 civili compresi 5 bambini.
Può sembrare il tragico bollettino di guerra dalla striscia di Gaza, che ogni giorno nei minimi particolari viene diffuso a tamburo battente dai media di tutto il mondo. In realtà è la scarna contabilità di un altro conflitto, dimenticato anche se insanguina il cuore del'Europa. I bimbi dei palestinesi, forse perché sono vittime dei «cattivi» israeliani, fanno più notizia della guerra senza quartiere nell'est dell'Ucraina dei «buoni» di Kiev contro i ribelli filo russi. Peccato che di mezzo, come a Gaza, ci finiscano i bambini che almeno da morti dovrebbero «pesare» allo stesso modo agli occhi del mondo. Invece non è così. Delle vittime innocenti palestinesi sappiamo
Delle vittime innocenti palestinesi sappiamo tutto fino all'ultimo secondo. Dei loro coetanei fra Donetsk e Lugansk ugualmente maciullati dalla guerra sappiamo poco o niente.
tutto fino all'ultimo secondo: giocavano a pallone sulla spiaggia, si nascondevano in un asilo, sono stati
colpiti in maniera barbara. Dei loro coetanei fra Donetsk e Lugansk ugualmente maciullati dalla guerra sappiamo poco o niente. Quasi non valesse la pena raccontare in prima pagina la fine di Ira, una teenager uccisa il 16 luglio ad un pugno di chilometri da Donetsk mentre cercava inutilmente riparo dai bombardamenti. Neppure quando le storie sono strappalacrime come quella di Bogdan, 4 anni, che ha perso la madre, ma si è salvato per miracolo sotto le macerie di una casa sbriciolata dall'artiglieria.
Sembrano quasi morti di serie B, ancora più dimenticati dopo la denuncia di Human right watch che ha accusato le forze ucraine di usare i potenti, ma imprecisi razzi Grad in zone densamente popolate. Pure i separatisti filo russi non vanno per il sottile, ma la spina sanguinante nel cuore d'Europa è emersa dall'oblio solo con la tragedia dell'aereo passeggeri precipitato. Un crimine di guerra da punire duramente, anche se fosse un tragico sbaglio, ma il sangue degli 80 bambini a bordo non è l'unico tributo di innocenti nel conflitto in Ucraina.
Lunedì le Nazioni Unite hanno sciorinato la tragica realtà dei numeri puntando alle stime più basse: 1129 morti da fino aprile e 3500 feriti. Numeri dettati secondo l'Onu «dall'aumento dei bombardamenti di zone residenziali». A Gaza, seppure in poche settimane, la cifra delle vittime, compresi i miliziani palestinesi, è pressapoco la stessa. I bambini sarebbero 270 e assieme ai piccoli morti del Boeing piovuti dal cielo dell'Ucraina sono vittime di serie A. Almeno rispetto ai loro coetanei fra Donetsk e Lugansk, che hanno la sfortuna di vivere dalla parte sbagliata della barricata. A Luganks nelle ultime settimane sono state registrati 250 morti. I bombardamenti non hanno risparmiato neppure una casa di riposo, ma nessuno ci racconterà all'ora di punta del Tg come sono stati uccisi cinque disgraziati intrappolati all'interno. Solo al numero 14 di via Lenin nel piccolo centro di Snizhne sono morti 11 civili in un colpo solo. Human right watch rivela nel suo ultimo rapporto, che i governativi il 12 e 21 luglio hanno lanciato una valanga di missili Grad su tre quartieri zeppi di civili di Donetsk, la «capitale» dei separatisti semi circondata.
Niente di nuovo sul fronte orientale, ma la denuncia è passata sotto silenzio a differenza delle quotidiane proteste internazionali per Gaza. Le forze ucraine negano di usare gli imprecisi Grad, ma ammettono che oramai si sta precipitando «in un conflitto senza pietà». E volutamente dimenticato a cominciare dalle vittime più piccole ed indifese, che dovrebbero essere sempre uguali ed innocenti a tutte le latitudini e da qualunque lato della barricata.
(il Giornale, 30 luglio 2014)
Chi rimprovera agli ebrei qualcosa che non rimprovera ai non ebrei, è un antisemita.
Manipolazione
di Francesco Lucrezi
La massiccia, scientifica, sistematica manipolazione dei dati relativi alla guerra di Gaza da parte della grande maggioranza dei media mondiali è stata reiteratamente denunciata, su queste e altre pagine, e non è il caso di richiamarla ancora, tanto sono evidenti la falsità e la malafede che grondano da tanti mezzi di informazione, su carta, web, radio e televisione. Strettamente collegata a tale distorsione è quella che emerge da molti, moltissimi dei commenti (anche in questo caso, la grande maggioranza) dedicati alla situazione da 'esperti' di vario tipo.
Pur nella difficoltà di ridurre a sintesi una quantità tanto vasta e variegata di opinioni (che, ovviamente, possiamo conoscere direttamente solo in piccola parte), vorremmo sottolineare il carattere palesemente ambiguo e maligno dei numerosi ragionamenti che sono stati fatti, in questi giorni, sul rapporto tra il conflitto in corso e l'impressionante rigurgito, in tutto il mondo, di manifestazioni di violento antisemitismo.
Al riguardo, molti commentatori si soffermano sulla vecchia, trita e noiosissima distinzione tra antisionismo e antisemitismo, sovente auspicando che le legittime critiche a Israele o al suo attuale governo non degenerino in indiscriminati attacchi agli ebrei "tout court". Bruciare bandiere di Israele è una cosa, picchiare scolari con la kippà un'altra, lanciare contro le Ambasciate israeliane bambole insanguinate ha un significato, auspicare la riapertura dei campi di concentramento ne ha un altro, aggredire calciatori israeliani è diverso da urlare "Hamas, Hamas, ebrei al gas" ecc. ecc.
Dobbiamo ringraziare tutti i dotti commentatori che, in tempi così chiassosi e confusi, ci aiutano, con i loro paletti e parametri, a fare le debite distinzioni, a non fare di ogni erba un fascio.
Ma quasi tutti, pur nella varietà dei giudizi e delle argomentazioni, sottolineano il fatto che l'insieme di questi fenomeni (sia quelli legittimi sia quelli 'deviati') sono in ogni caso da considerare una reazione alle operazioni militari condotte da Israele, il quale ne porterebbe quindi comunque (in modo esclusivo o concorrente, a titolo doloso o colposo) la responsabilità. Quasi tutti (pur dando valutazioni diverse del comportamento del governo di Gerusalemme, giudicato criminale, esagerato, o anche, talvolta, comprensibile) concordano nel notare come l'operazione "scudo difensivo" abbia provocato, come effetto collaterale, questa prevedibile reazione antiebraica, che, senza l'intervento di Tsahal, si sarebbe potuto evitare. E' vero - ricorda qualcuno - che l'antisemitismo c'era anche prima, ma certamente è cresciuto, e di molto, senza la guerra ciò non sarebbe accaduto. Sarebbe bastato che gli israeliani avessero continuato a prendersi i loro razzi, buoni buoni, come noi prendiamo la tintarella, e il problema non sarebbe sorto.
Riguardo a tali considerazioni, faccio solo tre piccole osservazioni.
La prima. Considerare l'antisemitismo come un fenomeno reattivo, come un'allergia, e non come un qualcosa di autonomo, di autogeno, significa non averne capito nulla, ma proprio nulla.
La seconda. E' vero che l'antisemitismo può accendersi per alcuni fatti, o alcuni pretesti, come la benzina si accende per un cerino. Ma ciò non vuol dire che prima, apparentemente 'spento', esso non ci fosse. Nessun cerino può accendere una tanica vuota, o piena d'acqua. Prima dell'affare Dreyfus, in Francia, c'era esattamente lo stesso livello di antisemitismo di dopo, solo che era nascosto.
La terza. Se c'è un collegamento tra i fatti di Israele e l'antisemitismo, è proprio sicuro che esso sia sempre e soltanto a senso unico, e che il rapporto di causa-effetto sia unilaterale? E' strano, anche in natura, che il vento spiri sempre e soltanto in una sola direzione. Possibile che nessuno si chieda mai se l'antisemitismo mondiale non giochi un qualche ruolo in questa guerra, come in tutte le altre guerre di quell'area? Che nessuno si chieda, per esempio, se Hamas non possa sentirsi incoraggiata e supportata - prima del lancio dei missili, non solo dopo - dallo sfegatato tifo di quelli che la appoggiano, da tanto lontano, al grido di "morte agli ebrei"?
Eppure sarebbe una domanda così facile, con una risposta così facile. Per questo, forse, nessuno se la pone.
Esatto. E’ quello che abbiamo ripetuto diverse volte. I cripto-antisemiti (la maggior parte) detestano le domande semplici come questa. E se qualcuno gliele fa, tacciono un momento, poi riprendono il discorso che stavano facendo prima e ti chiedono se sei d’accordo. E se non lo sei... beh, allora, vedi: lì sta il problema.
(moked, 30 luglio 2014)
Il mistero della sopravvivenza di Israele
"Ricordati di queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo; io ti ho formato, tu sei il mio servo, Israele, tu non sarai da me dimenticato" (Isaia 44:21).
In questo versetto ci sono tre indicativi e un imperativo. I tre indicativi sono: io ti ho formato (passato), tu sei il mio servo (presente), tu non sarai da me dimenticato (futuro). E' in conseguenza di questi fatti che Dio rivolge a Israele l'imperativo: Ricordati di queste cose! "Ricordati di quello che ti ho detto - sembra dire il Signore - perché sono cose che ho detto a te e non ad altri, e queste parole sono per te un incarico da svolgere. Sappi comunque che il tuo presente di servizio è rinserrato tra un passato e un futuro che non dipendono da te. Io ti ho formato, io non ti dimenticherò.
"Io non ti dimenticherò", questa è la spiegazione del mistero della sopravvivenza del popolo ebraico. E' la memoria di Dio che mantiene in vita il popolo ebraico per il semplice fatto che è dalla memoria di Dio che il popolo è nato. Ad Abraamo Dio aveva promesso: "Io farò di te una grande nazione" (Genesi 12:2), ma in tutto il tempo dei patriarchi questa nazione non si è vista. La nazione si è formata nel periodo della schiavitù d'Egitto, in un periodo di quattrocento anni trascorso senza profeti e senza rivelazioni, in cui gli ebrei avevano certamente fatto in tempo a dimenticare la storia dei loro antenati. Il mistero della sopravvivenza del popolo ebraico era già presente. Ma la sua spiegazione non è difficile:
"Durante quel tempo, che fu lungo, il re d'Egitto morì. I figli d'Israele gemevano a causa della schiavitù e alzavano delle grida; e le grida che la schiavitù strappava loro salirono a Dio. Dio udì i loro gemiti. Dio si ricordò del suo patto con Abraamo, con Isacco e con Giacobbe. Dio vide i figli d'Israele e ne ebbe compassione" (Esodo 2:23-25).
Il Signore si ricordò del suo patto con Abraamo, con Isacco e con Giacobbe, e tra le doglie delle dieci piaghe d'Egitto e con Mosè come levatrice il Signore portò alla luce la nazione d'Israele. Perché meravigliarsi allora della sopravvivenza del popolo ebraico? Ci sarebbe da sorprendersi del contrario. Dio ha memoria ed è fedele, cioè non solo si ricorda delle promesse che ha fatto, ma anche le mantiene.
Se dunque la ragione ultima della sopravvivenza del popolo ebraico sta nell'indefettibile volontà di Dio, la radice profonda dell'antisemitismo non può che trovarsi nella resistenza tenace a questa volontà. E' una resistenza che naturalmente non esce dall'ambito creaturale, ma neppure resta nell'ambito esclusivamente umano, perché i nemici di Dio, e quindi del Suo popolo, sono anche spirituali.
I lettori interessati possono ricevere in dono una copia gratuita del libro "Dio ha scelto Israele".
Come forma di "pagamento" si richiede soltanto di fare un'offerta di almeno 10 euro a un ente di soccorso israeliano, come per esempio Magen David Adom o Yad Eliezer.
L'impegno è esclusivamente morale, quindi non è necessario darcene conferma.
Per ricevere il libro è sufficiente scriverci
indicando come oggetto LIBRO e come testo nome, cognome e indirizzo del destinatario.
La guerra di Israele per la sopravvivenza, anche dei cristiani
di Elleci
Se Hamas deponesse le armi, la guerra finirebbe immediatamente. Se Israele deponesse le armi, Israele finirebbe immediatamente.
Non solo Israele è l'unico posto al mondo dove uno sporco ebreo è semplicemente un ebreo che si lava poco. Israele è l'unico posto al mondo in cui i cristiani, invece di diminuire aumentano.
Nel mondo occidentale il vertiginoso calo delle vocazioni e dei fedeli nelle Chiese è dettato da ragioni culturali che, per quanto lascino perplessi, derivano comunque da una libera scelta dell'individuo.
Al contrario, in tutto il mondo islamico, il numero dei fedeli cristiani, ossia cattolici, protestanti, ortodossi, ecc. è falcidiato da persecuzioni, stermini di massa, espulsioni.
Basta vedere cosa succede in Nigeria, in Iraq, in Siria e nella stessa Gaza dove i cristiani stanno scomparendo lasciandosi dietro una scia di sangue, crocifissioni, linciaggi, violenze di ogni genere. Le stesse che, negli ultimi secoli, hanno annientato, nel mondo arabo e islamico, le millenarie comunità di ebrei, ormai estinti in queste terre.
Come dicono i Fratelli Musulmani: dopo sabato, viene domenica. Ossia dopo la mattanza degli ebrei nel loro giorno più sacro, ora tocca ai cristiani.
Ritengo, pertanto, che Israele non solo abbia il diritto di difendersi contro i terroristi ma che quando lotta difende anche noi cristiani.
(Giustizia Giusta, 30 luglio 2014)
Se Israele deponesse le armi
di Marcello Cicchese
"Se Hamas deponesse le armi, la guerra finirebbe immediatamente. Se Israele deponesse le armi, Israele finirebbe immediatamente."
Le cose stanno proprio così, e lo conferma un video di Hamas che sta girando in questi giorni in rete ed è commentato con piacere dagli odiatori di Israele. Ecco come ne parla uno di quei siti "neutrali" che mettono sempre in cattiva luce Israele (e che non citiamo per non farne pubblicità):
"La sequenza presenta una sortita-lampo che scorre in meno di quattro minuti. Si vedono gli atletici combattenti palestinesi uscire da un tunnel scavato fin oltre il confine di Gaza, a pochi passi da una piccola guarnigione con la stella di David, una delle tante che punteggiano l'orribile Muro israeliano. In pochi minuti il manipolo - grazie a un effetto sorpresa da manuale - riesce a sopraffare i giovani militari dell'IDF. Si vedono le azioni, si sentono gli spari, la lotta corpo a corpo con gli israeliani in svantaggio."
E' evidente l'ammirazione dello scrittore per "gli atletici combattenti palestinesi", e l'intima soddisfazione per la riuscita dell'azione che è presentata come "ribellione fra gli umiliati di Gaza". Nella notizia si dice anche che i soldati israeliani uccisi sono dieci, e nel filmato si vede un terrorista che mostra trionfalmente il mitra del nemico ucciso. Non sappiamo quanto siano vere e precise queste informazioni, ma in ogni caso questo conferma che i tunnel sono un'arma di guerra, e in tutte le guerre ci sono scontri che si vincono e si perdono. Ma se è guerra, allora è importante vedere chi alla fine vince. E una cosa è chiara: se la dovessero perdere gli israeliani, la questione umanitaria perderebbe ogni importanza agli occhi dei vincitori e del mondo che assiste. Quindi Israele fa bene a dire che prima di ogni altra cosa bisogna distruggere quei tunnel. E' guerra, certo, con tutto quello che significa di morti, lutti e sofferenze, ma Israele non può perderla. Non ha altra scelta.
(Notizie su Israele, 30 luglio 2014)
Tutti alla veglia questa sera
Roma, lungotevere Raffaello Sanzio 8/c, dalle 21 alle 24, torce, sedie e testimonianze.
Questa sera dalle 21 alle 24 il Foglio organizza una veglia per Israele e i cristiani perseguitati in tutto il mondo. L'appuntamento è davanti alla redazione romana del giornale, in Lungotevere Raffaello Sanzio 8/c, tra piazza Trilussa e viale Trastevere.
Con il direttore Giuliano Ferrara, la redazione del Foglio, gli amici e i lettori che vorranno condividere con noi queste ore, ci saranno l'ambasciatore israeliano a Roma Naor Gilon, il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, la comunità ebraica di Roma rappresentata dal suo presidente Riccardo Pacifici, Yohanna Arbib Perugia (ex presidente del Keren Hayesod), Raffaele Sassun (presidente del Keren Kayemeth), rappresentanti della comunità ebraica di Torino, Gianluca Pontecorvo di Progetto Dreyfus, il giornalista cattolico Antonio Socci e il senatore liberale Luigi Compagna. E' stato invitato anche il premier Matteo Renzi.
Oggi alle ore 20, presso la chiesa di San Gregorio Nazianzeno (Vicolo Valdina) a Roma si terrà, su iniziativa di Pier Ferdinando Casini e Paola Binetti in rappresentanza di Senato e Camera, la Santa Messa in segno di solidarietà nei confronti dei cristiani di Mosul. Dopo la messa, Pierferdinando Casini e gli altri parlamentari raggiungeranno la sede del Foglio per partecipare e intervenire alla veglia. Ieri anche Bill Kristol sul Weekly Standard ha invitato tutti i lettori del magazine americano nei pressi di Roma a partecipare alla veglia.
"Si dice che Israele abbia tantissimi amici. Ma poi nel momento del bisogno li puoi contare sulle dita di una mano", dice, intervistato oggi sul Foglio, Jochen Feilcke, ex Bundestag nelle fila della Cdu. Vero, ecco perché questa sera scenderemo in strada a Roma. "Pochi o molti che saremo - ha scritto ieri l'Elefantino - saremo quelli che hanno espresso questo rifiuto, che non vogliono confusione ideologica e maleducazione intellettuale". Qualcuno, anche da lontano, ci sarà, a giudicare dalle tante adesioni arrivate via email e sui social network, di cui diamo conto qui. "Siamo ancora troppo pochi", ci scrive Sharon Nizza sul Foglio oggi. Intanto ci siamo, e sappiamo che si può e si deve reagire.
(Il Foglio, 30 luglio 2014)
Israele intercetta nella notte razzi da Gaza su Tel Aviv
Il sistema di difesa missilistica israeliano Iron Dome è entrato in funzione nella notte intercettando nei cieli di Tel Aviv due razzi lanciati dalla Striscia di Gaza.
Intanto la campagna militare dello Stato Ebraico è proseguita ieri mantenendo l'obiettivo già esplicitamente dichiarato dal Premier Benjamin Netanyauh: demilitarizzare la Striscia. Prima tappa, la distruzione dei tunnel, operazione di cui l'esercito stesso ha diffuso ieri delle immagini.
Le incursioni dei militari israeliani all'interno della Striscia di Gaza sono finalizzate proprio ad individuare le entrate e distruggere i tunnel utilizzati da Hamas, con l'impiego di robot inviati nelle cavità prima che i militari vi accedano.
L'altro obiettivo prioritario è quello di isolare e smantellare le postazioni da cui i militanti palestinesi sparano i razzi Grad e Katyusa con i quali Hamas penetra sempre più a fondo nel territorio israeliano.
Una guerra dai costi spropositati per la popolazione palestinese, ma che potrebbe incrinare in parte anche l'appoggio israeliano: sono ormai 53 i soldati dello Stato Ebraico morti dall'inizio delle operazioni, in appena tre settimane.
(euronews, 30 luglio 2014)
Una domanda che è anche una proposta: esiste la possibilità di fare modelli virtuali di quello che avrebbe provocato un razzo se non fosse stato interecettato? La rappresentazione simulata di quello che sarebbe successo potrebbe far riflettere qualcuno.
Ma tu, Israele, mio servo, Giacobbe che io ho scelto, progenie di Abraamo, l'amico mio, tu che ho preso dalle estremità della terra, che ho chiamato dalle parti più remote di essa e a cui ho detto: 'Tu sei il mio servo; ti ho scelto e non ti ho reietto', tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia. Ecco, tutti quelli che si sono infiammati contro di te saranno svergognati e confusi; i tuoi avversari saranno ridotti a nulla e periranno. Tu li cercherai e non troverai più quelli che contendevano con te. Quelli che ti facevano guerra saranno come nulla, come cosa che non è più; perché io, l'Eterno, il tuo Dio, sono colui che ti prende per la mano destra e ti dico: 'Non temere, io t'aiuto!'
dal libro del profeta Isaia, cap. 41
Scrittori e altra bella gente scatenata contro Israele e "il popolo eletto"
di Giulio Meotti
Il giornale è il Mundo, che ha contribuito a modellare la storia recente della Spagna, il secondo quotidiano del paese, il secondo sito internet in Europa, il primo al mondo in lingua spagnola. L'autore è Antonio Gala, venerato maestro delle lettere iberiche, classe 1920, premio León Felipe per la democrazia. Il titolo dell'articolo è "Los elegidos?". Gli eletti?
Siamo a livelli di rottura insopportabili delle convenzioni polemiche. Parlando di Gaza, lo scrittore Gala prende di mira il popolo ebraico tout court e dice che ha meritato l'espulsione dalla Spagna del 1492. "Non è strano che siano stati espulsi così di frequente", scrive Gala degli ebrei. "Ciò che sorprende è che persistano. O essi non sono buoni, oppure qualcosa li avvelena. (…) Adesso devi soffrire i loro abusi a Gaza". L'autore di "Petra regalada" spiega che "il popolo ebraico avrebbe potuto fare del bene all'umanità", ma "non sono fatti per coesistere". Gala evoca, a dimostrazione della presenza di una lobby ebraica mondiale, anche "una invisibile comunità di sangue". L'editoriale di Gala fa parte di una impressionante campagna di delegittimazione di Israele che da settimane domina sulla grande stampa europea. In una lettera al Mundo, il presidente della comunità ebraica di Madrid, David Hatchwell, ha detto che ricorrerà alle azioni legali per "proteggerci con vigore".
Intanto, registi blasonati come Mike Leigh e Ken Loach e sei premi Nobel (Desmond Tutu, Betty Williams, Jody Williams, Adolfo Pérez Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberta Menchò) invitano a boicottare Israele come venne fatto con l'apartheid. Lo spagnolo Almodovar denuncia il "genocidio" israeliano a Gaza. Appelli contro lo stato ebraico sono promossi da scrittori come l'autrice del best-seller "Il colore viola" Alice Walker, il premio Pulitzer Chris Hedges, l'ex direttore generale dell'Unesco Federico Mayor Zaragoza, la regista Mira Nair e il filosofo Slavoj Zizek, nichilista sloveno che si porta bene nell'alta società.
Al Fringe Festival di Edimburgo non andranno i ballerini israeliani della Ben Gurion University nel Negev. Quel Negev bersagliato dai missili di Hamas. Non ci andranno perché sono arrivate richieste di boicottare l'evento "in segno di protesta contro l'offensiva militare israeliana a Gaza". E il boicottaggio ha vinto. La scorsa settimana, una lettera aperta firmata da oltre cinquanta personalità della cultura, tra cui la poetessa nazionale di Scozia, Liz Lochhead, ha chiesto e ottenuto che un altro show, "The City", prodotto sempre da una compagnia israeliana, venisse annullato. Particolarmente virulento l'attacco a Israele da parte dello scrittore americano Lawrence Weschler, per vent'anni redattore del New Yorker. Weschler attacca gli israeliani che "confinano 1,8 milioni di abitanti di Gaza all'interno di quello che potrebbe essere descritto come un campo di concentramento". Weschler paragona Gaza alla città sudafricana di Soweto, il ghetto nero costruito dagli architetti dell'apartheid e simbolo della rivolta contro il regime razzista del Sudafrica. O peggio, "a Dachau e Theresienstadt".
Accostamenti fra il sionismo e il nazismo non si contano sui media del mainstream europeo.
Guardian: "Israele sta razionando tutto ciò che entra a Gaza, dalle calorie alla letteratura. Questa non è una guerra, ma una spedizione punitiva"
Anche il giornale inglese Guardian ha pubblicato un appello per boicottare Israele: "Israele sta razionando tutto ciò che entra a Gaza, dalle calorie alla letteratura. Questa non è una guerra, ma una spedizione punitiva, l'attacco di un potente stato militare, armato e sostenuto dall'occidente, contro dei poveri, assediati e sfollati. Dobbiamo intensificare il nostro boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, in una campagna internazionale per porre fine all'impunità di Israele". Il celebre scrittore Iain Banks di recente ha annunciato che i suoi romanzi non saranno più pubblicati in Israele. E' una guerra culturale ai fondamenti dello stato ebraico.
Sul quotidiano francese Libération, lo scrittore e filosofo Michael Smadja ieri giustificava così il terrorismo di Hamas: "Se fossi nato Gaza, avrei fatto parte di Hamas. E senza dubbio, sarei disposto a fare qualsiasi cosa per fermare quella che mi sembrerebbe una cieca oppressione".
Sta destando scandalo negli ambienti politici britannici il messaggio di un parlamentare liberal-democratico in coalizione con i Tory di David Cameron, David Ward, che ha scritto: "La grande domanda, se io vivessi a Gaza, è se sparerei un razzo. Probabilmente sì". Intanto Tesco, la principale catena di supermercati del Regno Unito, da ieri non venderà più prodotti israeliani dei Territori. "Servizio clienti Tesco. Se state chiamando per informazioni sui prodotti da Israele, siete pregati di digitare 1". Così accoglie i clienti il risponditore automatico del gigante inglese. Riecheggia il vecchio motto "Kauft nicht bei Juden". Non comprate dagli ebrei.
Fra le promotrici del boicottaggio la drammaturga inglese Caryl Churchill, una presenza fissa al Royal Court Theater di Londra, nella cui pièce "Sette bambini ebrei" mette in bocca queste parole a un israeliano: "Dille che non m'importa se li abbiamo spazzati via. Dille che noi sappiamo odiare meglio. Dille che siamo il popolo eletto". Los elegidos. Il marchio dell'odio.
(Il Foglio, 30 luglio 2014)
Roma-Real Madrid 1-0
La partita amichevole Roma-Real Madrid, disputatasi a Dallas, ha avuto un aspetto gradevole e uno sgradevole. L’aspetto gradevole è che la Roma ha vinto. Quello sgradevole, ma anche ameno, è che alcuni ragazzotti, maschi e femmine, hanno voluto divertirsi un po’ provando a sfidare le forze dell’ordine nel tentativo (riuscito) di entrare in campo, e uno di loro ha voluto farlo in una forma un po’ alla moda sventolando una bandiera palestinese.
(Notizie su Israele, 30 luglio 2014)
Le parole tra noi pesanti
Distinguere tra il vocabolario umanitario e le vittime di guerra
di Giuliano Ferrara
Strage, carneficina, massacro, sterminio, ecatombe, olocausto: ovunque muoiano per mano violenta esseri umani, e tra di essi i bambini, è lutto e dolore inestinguibili (si nascondono nel tempo che passa, ma restano per sempre al nostro fianco). C'è però un problema serio di nomenclatura. I nomi non sono neutrali. Possono essere più che imprecisi, tendenziosi, magari senza neanche saperlo. Propagano ideologia, falsa coscienza. A leggere i giornali italiani nel loro registro medio, la notizia di cui si fa commercio legittimo per milioni di lettori; a guardare immagini e ascoltare corrispondenze televisive, news di ogni orientamento, di tutti gli editori, in tutte le lingue: bene, davanti a tutto questo sfoggio di termini umanitari o sacrificali o variamente apocalittici per raccontare le guerre cui Israele è costretta per difendersi, da ultima questa di Gaza, uno pensa che sarebbe più serio e più giusto e più responsabile parlare di "vittime di guerra".
Cento cristiani uccisi in Nigeria: è una strage o carneficina. Famiglie colpite, annientate o scacciate dai vari Califfi del medio oriente: è un olocausto. Il martirio non è primo né secondo in una vicenda tragica umana che non sopporta classifiche. Ma è cosa precisa. A Gaza invece è in atto, dichiarata, una guerra al terrorismo, su un fazzoletto di terra superpopolato, caduto in mano a una banda di predoni terroristi che predicano e cercano di realizzare a colpi di razzi e rapimenti e infrastrutture d'attacco l'annientamento del vicino, un piccolo paese, certo ricco e tecnologicamente prospero e potente regionalmente, ma un piccolo paese condannato all'autodifesa, alle barriere, ai muri, da una inimicizia mortale che minaccia di diventare esistenziale in una situazione prenucleare ben segnalata dalla furia omicida dell'ayatollah Khamenei espressa ieri con parole dolosamente chiare.
Date i nomi veri alle cose. Le vittime di guerra provocano lo sconcerto di sempre, e le loro immagini piangono da sole. Ma non sono stragi le conseguenze della guerra, non nel senso "umanitario" che dà a esse un'informazione profondamente tendenziosa e confusa. Le guerre hanno dei responsabili e delle cause, sono fatte in offesa agli altri popoli e agli altri credo oppure in difesa del proprio diritto di esistere in pace. C'è una differenza, e le parole non possono cancellarla.
(Il Foglio, 30 luglio 2014)
Giornalista palestinese di Liberation cacciato dalla Striscia di Gaza su ordine di Hamas
Hamas ha ordinato al giornalista nativo di Gaza Radjaa Abou Dagga, corrispondente dalla Striscia per il giornale francese Ouest France e collaboratore di Liberation di lasciare Gaza immediatamente . Lo denuncia lo stesso giornalista dalle colonne di Liberation in un articolo dal titolo "Le pressioni di Hamas sulla stampa". Il cronista afferma di aver ricevuto l'ordine senza aver avuto nessuna spiegazione. Ma Dagga è conosciuto per il suo spirito critico.
Qualche giorno fa il reporter è stato convocato da membri del servizio di sicurezza del movimento islamista nei locali dell'ospedale Al Shifa, nel centro di Gaza. Il giornalista ha subìto un interrogatorio in piena regola a pochi metri dai feriti che affluivano nella struttura. I militanti che lo hanno sequestrato per alcuni minuti erano giovanissimi e portavano una pistola nascosta nella cintura. «Sono rimasto sorpreso dal loro modo di fare - afferma il giornalista - quando mi hanno lasciato andare mi hanno lanciato un avvetimento ben chiaro: «Per il tuo bene faresti bene a lasciare Gaza il più presto possibile». Secondo l'associazione Reporters sans frontieres nei giorni scorsi militanti di Hamas avrebbero minacciato diversi altri giornalisti palestinesi e stranieri.
(Il Messaggero, 29 luglio 2014)
Germania - Bombe molotov lanciate contro una sinagoga: arrestato un palestinese
La Sinagoga di Wuppertal poche ore dopo l'attacco
Resti di una bomba molotov lanciata contro la Sinagoga
La guerra che infiamma il medioriente e uccide a Gaza innesca micce anche in Germania: la notte scorsa, diverse molotov sono state lanciate contro l'ingresso della sinagoga di Wuppertal, nel Nordreno-Vestfalia. Nessuno è rimasto ferito, e non ci sono stati danni al tempio religioso. Un giovane di 18 anni, che ha detto di essere palestinese, è stato arrestato, col sospetto di aver partecipato all'azione con altri due uomini riusciti a fuggire.
Lo sconcerto, il giorno dopo, è forte, nella comunità ebraica: il presidente del consiglio centrale degli ebrei in Germania, Dieter Graumann, si è detto «senza parole». Mentre la numero uno della comunità di Monaco, Charlotte Knobloch, ha lanciato un appello allarmato: «gli ebrei non si facciano individuare come ebrei, perchè rischiano in questo momento di essere vittime di attentati».
Non è la prima volta che gli eventi della Striscia di Gaza hanno forti ripercussioni sul suolo tedesco, dove il governo si è sempre schierato a favore della sicurezza di Israele, come parte dell'assunzione di responsabilità per l'olocausto nazista: una «ragione di Stato» per la Germania nelle parole di Angela Merkel, che comunque propende per una soluzione a due stati in medioriente. La Frankfurter Allgemeine Zeitung riporta, ad esempio, delle minacce ricevute dal rabbino di Francoforte: telefonate minatorie di un sedicente «palestinese che vive con la sua famiglia a Gaza». E «non si tratta di un fenomeno nuovo», secondo gli inquirenti. «La notizia sull'attacco alla sinagoga ci lascia tutti senza parole», ha detto Graumann. Ci sono state diverse minacce a istituzioni ebraiche, ha continuato parlando al Rheinische Post, secondo un'anticipazione, e la situazione va monitorata «con grande attenzione».
Toni anche più gravi nell'appello della Knobloch in un'intervista in uscita domani con il giornale Koelner Stadt Anzeiger: «Quello che viviamo al momento è il tempo più preoccupante e minaccioso dal 1945. Da noi i telefoni non tacciono. Ci troviamo a confronto con offese e parole di odio - ha denunciato - Che gli ebrei nel nostro paese vengano di nuovo offesi e attaccati, non dovremmo accettarlo mai. E quando le sinagoghe bruciano è il tempo di chiedere a chi ne ha la responsabilità: che dobbiamo fare per proteggere i concittadini ebrei?». Secondo la Knobloch, che è ex presidente del consiglio centrale «la campagna diffamatoria nei confronti degli ebrei ha raggiunto un nuovo livello di intensità nel nostro Paese. Sono molto preoccupata - ha concluso - perchè non vedo arrivare nulla dalla società, non sento il grido: Ora basta!».
(Il Messaggero, 29 luglio 2014)
Netanyahu: "Inaccettabile la minaccia dal cielo e dalla terra"
Un'infiltrazione in territorio israeliano, cinque soldati uccisi, tutti tra i 18 e i 21 anni. Con queste notizie si è chiusa una delle giornate più drammatiche dall'inizio del conflitto. Dopo ore di relativa quiete, in cui i combattimenti si erano fermati in occasione della giornata che segnava ieri la fine del Ramadan, pur senza una ufficiale dichiarazione di cessate il fuoco, la tensione è tornata a salire. Colpi di mortaio sparati da Gaza hanno ucciso quattro soldati nella regione di Eshkol. E pure da razzi sparati dalla stessa Striscia sono state causate le esplosioni all'ospedale Al Shifa e al campo profughi di Al Shati, dove sono rimaste uccise diverse persone fra cui bambini (a diffondere le fotografie aree dell'accaduto, lo stesso esercito israeliano).
In serata il premier Benjamin Netanyahu ha parlato alla nazione.
"Non completeremo la nostra missione senza prima aver neutralizzato i tunnel il cui unico obiettivo è l'annientamento del nostro popolo e l'uccisione dei nostri bambini. Questo è il chiaro obiettivo dello Stato di Israele" ha sottolineato, aggiungendo che non è possibile arrivare a una tregua senza la smilitarizzazione della Striscia e il disarmo di Hamas, un risultato che dovrebbe perseguire con forza anche la comunità internazionale. Comunità internazionale che il premier ha criticato per aver permesso che i fondi destinati a Gaza arrivassero nelle mani dell'organizzazione terrorista che li impiega per costruire i tunnel.
"La situazione deve cambiare. I cittadini di Israele non possono vivere sotto la minaccia dei razzi e delle infiltrazioni dai tunnel, con il pericolo mortale che arriva dal cielo e dalla terra" ha concluso.
(moked, 29 luglio 2014)
Quella richiesta di resa a senso unico che fa litigare Obama e Netanyahu
di Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME - Dopo una giornata terribile, Netanyahu ha chiuso ogni possibilità di una tregua senza condizioni, e ha lasciato la porta aperta se includerà il disarmo di Hamas. Israele ha detto "non può accettare di vivere sotto una continua minaccia di morte", accetterà la richiesta internazionale distruggendo i tunnel. Lo ha detto mentre di nuovo sembra si sia infiltrato un commando cui si dà ancora la caccia, e anche dopo che i missili hanno falciato per la prima volta quattro civili ferendone 17 proprio dove abbiamo incontrato Chaim Yellin, il capo della regione di Eshkol. "Queste sono le tregue umanitarie di Hamas", ha detto Netanyahu, ricordando che le ha violate tutte. Israele aveva rispettato un tacito cessate il fuoco per onorare la festa musulmana di Id el Fitr, ma dopo decine di missili ha deciso di reagire. I palestinesi lamentano una cannonata all'ospedale di Shiba: si denunciano sette morti , ma tutto è incerto quando le notizie sono di fonte Hamas, l'esercito sostiene di non aver sparato su Shiba, anche se il sotterraneo è la casa della leadership di Hamas. D'altra parte si sa ormai che l'esercito israeliano non ha compiuto la strage nella scuola dell'UNRWA.
La tecnica di Hamas è questa: se riesci a uccidere i civili sei il più apprezzato terrorista dell'area. Se non ci riesci usi la tua popolazione come scudo umano e ottieni il sostegno internazionale
Ma la tecnica di Hamas è di quelle "win-win", vittoria sicura: se riesci a uccidere i civili sei il più apprezzato terrorista dell'area, ammirato dall'Iran e dagli Hezbollah. Se non ci riesci usi la tua popolazione come scudo umano e ottieni il sostegno internazionale. Obama su questa linea ha chiesto a Netanyahu una tregua immediata e senza condizioni. Una proposta stupefacente per ragioni pratiche e strategiche che subito Ban Ki-moon ha ripreso: ieri ha messo sullo stesso piano Israele e Hamas, che ha nella sua carta il genocidio di ebrei e cristiani; ha anche minacciato Israele di isolamento e accuse di crimini di guerra. Così facendo ha seguito Obama, l amentando la perdita di civili ma restando silente sulla violazione di tutte le leggi internazionali di chi bombarda un Paese intero. L'origine del diktat di Obama comincia a definirsi venerdì, quando, invece dello schema egiziano Kerry presenta al governo israeliano un documento che condanna Israele a lasciare che Hamas mantenga i missili, le gallerie, i soldi dal Qatar senza controllo. Il gabinetto ha rifiutato la proposta che Kerry aveva costruita coinvolgendo i poli attivi dei Fratelli Musulmani, la Turchia, governata da Erdogan, un isterico antisemita che paragona Israele a Hitler, e il Qatar che finanzia tutte le rivoluzioni più sanguinose. Così facendo, ha emarginato l'Egitto, Abu Mazen, l'Arabia Saudita, la Giordania, che disegnavano una pace di lunga prospettiva.
Kerry se l'è presa per il rifiuto; qui Obama che ha chiamato Netanyahu per chiedergli la tregua immediata e senza condizioni, in cui non è previsto nè il disarmo dai missili, nè la distruzione dei tunnel destinati a portare mega attacchi terroristi fin dentro il territorio. In queste ore, poichè Netnayahu insiste per un accordo in cui sia incluso il disarmo di Hamas, Kerry starebbe cambiando il tono del discorso
Il piano di Hamas era un ingresso simultaneo da trenta-quaranta tunnel in altrettante comunità di Israele per una specie di 11 Settembre israeliano
americano, e segnalando disponibilità verso questo tema, mentre Obama l'aveva relegato a quando, fra qualche anno, un accordo finale sarà firmato. Troppi errori per la maggiore potenza mondiale, Per capire occorre guardare dentro la guerra, quando, in numerose case di Sujahie Israele scopre che ogni doccia, ogni cucina, ogni letto nasconde una botola verso decine di gallerie, alcune alte sei piani, altre adatte al passaggio di camion. Il piano di Hamas era un ingresso simultaneo da trenta-quaranta tunnel in altrettante comunità di Israele per una specie di 11 Settembre israeliano.
In questo momento di enorme incertezza, mentre il 68 per cento degli israeliani chiede al governo di non abbandonare di nuovo la popolazione alla mercé dei missili e delle incursioni di Hamas, sembra che un commando tenti di penetrare per l'ennesima volta nei kibbutz. La guerra sembra iniziata ieri invece che tre settimane fa. Mai ci fu niente di più infiammatorio del cessate il fuoco.
(il Giornale, 29 luglio 2014)
E quando fu vicino alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli cominciò con gioia a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi». Alcuni farisei fra la folla gli dissero: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!». Ed egli, rispondendo, disse loro: «Io vi dico che se costoro si tacciono, le pietre grideranno». E come si fu avvicinato, vedendo la città, pianse su di lei, dicendo: «Oh, se tu avessi riconosciuto in questo giorno quello che occorre alla tua pace! Ma ora è nascosto agli occhi tuoi.»
dal Vangelo di Luca, cap. 19
Pini: «Con Hamas non si dialoga. La sinistra è ideologica»
Il deputato leghista interviene sulla crisi in Medioriente e critica l'atteggiamento della sinistra: «Non bisogna offrire sponde ai fondamentalisti. Hanno provocato loro questo conflitto e vanno fermati».
di Alessandro Montanari
«Hamas va sradicata, serve una decisa risposta internazionale contro gli integralisti». L'appello è stato lanciato ieri mattina in aula dal deputato leghista Gianluca Pini che ha espresso «preoccupazione per il conflitto nella Striscia di Gaza», denunciando «un atteggiamento ideologico da parte della sinistra, da sempre sbilanciata a favore dei palestinesi, anche se assassini come Hamas». «Nel "brodo mediatico" ci si indigna a senso unico - continua Pini -, dimenticando troppo spesso i cristiani perseguitati e uccisi nel mondo per mano integralista».
- Onorevole Pini, qual è la sua opinione sulla guerra in atto a Gaza?
«Innanzitutto ho il coraggio di dire quello che molti non osano fare, preferendo riempirsi la bocca di belle parole come "fermiamo l'escalation di violenza" e parteggiando aprioristicamente per le vittime di una sola parte. Dico che non bisogna offrire nessuna sponda di dialogo ai fondamentalisti di Hamas, che hanno provocato questo conflitto e vanno fermati. Hamas ha sviluppato chilometri di tunnel e sistemi offensivi sotterranei da cui partono razzi contro obiettivi civili israeliani. Gli israeliani sono stati indotti a reagire da parte di chi li ha materialmente provocati, ben conoscendo le conseguenze e la risposta che sarebbe arrivata. Ormai è provato che Hamas si fa scudo dei civili: scuole, mercati, ospedali sono usati per schermare il lancio di razzi. E' una strategia, ai danni del proprio popolo, che Hamas usa per scatenare l'opinione pubblica mondiale contro Israele. Nessuno lo dice ma, mentre i palestinesi muoiono sotto le bombe, i dirigenti di Hamas possiedono sontuose ville fuori dai territori dello scontro. Sorprende che certa sinistra non abbia compreso che il retroterra di Hamas non si alimenta certo di progressismo, bensì di fondamentalismo islamico, e stupisce che si abbandoni a certe visioni di parte».
(la Padania, 29 luglio 2014)
Veglia per Israele e i cristiani
Mercoledì sera, ore 21, davanti al Foglio, a Roma, finisce la pioggia, si accendono le torce.
di Giuliano Ferrara
Si può e si deve reagire. Israele, lo stato degli ebrei, è costretto alla guerra per difendersi, usa l'aviazione, l'artiglieria e il coraggio dei suoi ragazzi per tutelare il suo popolo dai missili. I suoi nemici di Hamas, organizzazione terrorista che ha in mano la Striscia di Gaza e predica l'annientamento dell'entità sionista, usano il loro popolo, e in particolare donne bambini vecchi e ammalati, per tutelare i tunnel e gli impianti missilistici e i depositi di armi negli ospedali e nelle scuole. E' una differenza morale, civile e politica che spiega molte cose. Non è umano e nemmeno umanitario cedere a questo ricatto infernale. La ricerca di un compromesso politico e militare, le richieste e le realizzazioni di tregue umanitarie, sono benvenute. Nel vasto e fosco orizzonte della politica mondiale, e del ruolo tragico in essa rivestito dalla questione israelo-palestinese, stanno molte emozioni e molte opinioni, anche di segno diverso e opposto: ma non si può accettare che il mondo, nell'ora in cui l'ordine mondiale è devastato dalla riluttanza e dal disimpegno del capo degli Stati Uniti d'America e dall'impotenza dell'Unione europea, si dichiari, come ha scritto nel suo libro Giulio Meotti, Judenmüde, stanco degli ebrei. Né si può accettare di rubricare come una serie di episodi locali la sequenza di stragi di cristiani, l'intolleranza violenta nei confronti della loro libertà di culto, il succedersi di rapimenti, stupri, assassinii di chi porta la croce come vessillo di umanità, di gioia e di pace.
(Il Foglio, 29 luglio 2014)
Bombe molotov contro una sinagoga in Germania
BERLINO - Attacco a una sinagoga a Wuppertal, in Germania. I media tedeschi riportano che tre uomini nella notte hanno lanciato bombe molotov contro l'ingresso dell'edificio religioso e sono poi fuggiti. Un 18enne è stato arrestato nei pressi dell'edificio di culto, mentre gli altri non sono stati individuati. Non è la prima volta che in Germania si verificano atti violenti contro la comunità ebraica, in relazione al conflitto in corso nella Striscia di Gaza.
(LaPresse, 29 luglio 2014)
Per riconoscere un antisemita
Per riconoscere un antisemita non ci vogliono grandi indagini.
Chi rimprovera agli ebrei qualcosa che non rimprovera ai non ebrei, è un antisemita.
Chi si scaglia contro gli "speculatori ebrei", ma non si indigna quando parla di speculatori non ebrei, è un antisemita.
Chi può osservare senza partecipazione emozionale lo spargimento di sangue in Siria, ma esce dal suo letargo soltanto quando sente dire al giornale radio che "Israele ha attaccato obiettivi nella striscia di Gaza", è un antisemita.
Chi dice, senza impaurirsi di se stesso, che in un paese libero si deve poter mettere in dubbio il diritto all'esistenza di Israele senza averne conseguenze non è soltanto un antisemita vecchio stampo, è uno che prepara verbalmente la prossima soluzione finale della questione ebraica. Ma questa volta in Medio Oriente. Anche l'antisemita ha bisogno di una prospettiva.
(da un articolo su "Die Welt", 29 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Israele contro tutti
Hamas attacca, Obama cala le braghe. Riprendono bombardamenti e raid. Il diktat di Barack per una tregua coi terroristi finisce in un fiasco.
di Carlo Panella
Ieri Hamas ha portato a segno una strage colpendo con un colpo di mortaio la città israeliana di Eshkol uccidendo 4 civili e ferendone 10. Contemporaneamente, razzi di Hamas hanno colpito un ospedale al Shifa di Gaza e un campo profughi uccidendo molti civili, tra cui una decina di bambini. Un commando di palestinesi è penetrato da un tunnel oltre il confine ma è stato distrutto dall'esercito israeliano.
Nessuna tregua dunque, mentre si amplia la clamorosa rottura dell'Amministrazione Obama non solo con Israele, ma anche con l'Egitto e addirittura con l'Arabia Saudita. J.F. Kerry infatti deciso di abbandonare il Cairo e Ryad, storici pilastri dell'alleanza tra Stati Uniti e Paesi arabi e di sposare le tesi oltranziste del Qatar e del turco Erdogan, sponsor ufficiali di Hamas, presentando una proposta di tregua che assegnerebbe in toto la vittoria a quest'ultima, le permetterebbe di riprendere a lanciare razzi quando lo deciderà e lascerebbe Israele sotto la minaccia permanente di una aggressione. La proposta di Kerry ha dell'incredibile. Obbliga Israele a fermare subito la distruzione dei micidiali tunnel che nascondono l'arsenale di Hamas e permettono le infiltrazioni in Israele. Kerry peraltro non nomina mai Hamas e nemmeno l'Egitto. Una dimenticanza non casuale perché secondo la sua demenziale proposta non l'Egitto, ma il Qatar e la Turchia dovrebbero vigilare sul cessate il fuoco. Dunque, Erdogan, che ha paragonato Israele a Hitler e incita Hamas a proseguire la "sua giusta guerra" si vede riconoscere ora dal messo di Obama la possibilità di aiutare Hamas a riprendere il prima possibile le sue aggressioni. Il tutto, senza che nel documento di Kerry vi sia solo un vago cenno alla sicurezza di Israele.
Come è ovvio, quando Obama ha telefonato a Netanyhau per perorare l'accettazione di questa capitolazione è stato trattato a male parole. Con tutta evidenza, infatti Kerry non ha agito da solo, ma ha concretizzato gli input di un Obama che pretende ora una tregua immediata, senza offrire nessuna garanzia a Israele perché rifiuta di comprendere la ragione di questa guerra. Questo, perché si rifiuta di vedere l'evidenza: Hamas rifiuta Israele non per ragioni di territorio, ma per antisemitismo su base religiosa. Perché vuole distruggerla. D'altronde Obama si rifiuta anche di prendere atto del fatto che il terrorismo ha radici nel fondamentalismo islamico e che non è costituito da bande criminali da contrastare solo - come ha fatto - con gli "omicidi mirati". Una cecità totale che peraltro distrugge il residuo prestigio degli Usa presso i governi del Cairo e Ryad. Minacciosi sono infatti i silenzi sul piano Kerry sia dell'Egitto - che spalleggia Israele distruggendo i tunnel di Hamas - sia dell'Arabia Saudita. Da due anni le relazioni tra Ryad e il Qatar sono pessime e ora i sauditi scoprono che Kerry ha deciso di fare asse proprio con il loro avversario del Qatar per fermare la guerra di Gaza. Proprio quel Qatar che ovunque appoggia e arma le peggiori formazioni oltranziste - non solo Hamas - come le milizie di Misurata che stanno mettendo a ferro e fuoco l'aeroporto di Tripoli in Libia e che fa da capofila di quei Fratelli Musulmani che i sauditi e gli egiziani considerano il principale avversario. Persino Abu Mazen si è scagliato contro la proposta di Kerry che elimina dalla scena i suoi sponsor dell'Egitto e Arabia Saudita, che rafforza la partnership tra Hamas Qatar e Turchia e che quindi lo indebolisce direttamente.
Un capolavoro di scelte sbagliate che ha portato, come titola Haaretz, il quotidiano progressista israeliano pur molto critico nei confronti di Netanyhau, al «Fiasco di Kerry». È evidente peraltro che questa drammatica e folle "svolta" degli Usa non è attribuibile a Kerry ma è voluta da un Obama che ha fatto prprio domenica un assurdo documento dell'Onu che chiede a Israele di fermarsi, senza darle nulla in cambio. Durissimo Netanyhau anche contro l'Onu: «La dichiarazione non affronta il danno ai civili israeliani, né il fatto che Hamas trasforma i civili di Gaza in scudi umani. Hamas continua a sparare anche ora ai civili israeliani. Israele continuerà a occuparsi dei tunnel terroristici, un primo passo verso la demilitarizzazione. Israele ha accolto per tre volte le richieste Onu di una tregua umanitaria, ma Hamas le ha violate tutte».
(Libero, 29 luglio 2014)
La conta dei morti a Gaza non torna
Hamas e l'Onu danno le stesse cifre: due terzi di vittime "civili". Rapporti israeliani indipendenti le rovesciano. "I civili sono meno di un terzo". Intanto Gerusalemme si prepara per un "Goldstone 2".
di Giulio Meotti
Con le sue vittime civili e l'assedio a un sito umanitario, il bombardamento della scuola dell'Onu a Beit Hanun rimarrà una delle immagini simbolo dell'ultima guerra di Gaza. Ma una inchiesta, scriveva ieri il New York Times, avrebbe chiarito che a colpire la scuola non è stata l'artiglieria di Tsahal. Sarebbe stato, piuttosto, un missile di Hamas lanciato male. Sono già cento, infatti, i razzi "sbagliati" dei terroristi palestinesi caduti dentro la Striscia di Gaza. Secondo l'esercito israeliano, due di questi ieri sono caduti su un ospedale e su un campo profughi. Sempre ieri, quattro civili israeliani sono stati uccisi da un colpo di mortaio, nove le vittime tra i soldati. Eppure, come ha scritto ieri Alan Dershowitz, "i media adorano la conta dei cadaveri. E' molto più facile contare che spiegare. E Hamas lo sa. Ecco perché utilizza quella che è ormai nota coma 'la strategia del bambino morto'".
Le statistiche fornite dalla dirigenza palestinese parlano di oltre mille vittime, di cui il 75 per cento civili. Il Palazzo di vetro concorda sulle proporzioni. Secondo lo UN's Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, domenica erano 999 i morti palestinesi, di cui 760 civili. E' sempre difficile fare una analisi delle vittime a conflitto in corso, specie in una guerra asimmetrica come quella di Gaza, dove i terroristi non hanno età, spesso nome e non indossano divise militari. Per "Piombo fuso" ci sono volute settimane prima di accertare che due terzi dei caduti palestinesi erano terroristi (Hamas aveva presentato cifre opposte). Ci ha provato però il Meir Amit Intelligence and Information Center, un ente indipendente israeliano. Al 23 luglio, i morti erano 775. Di questi "soltanto" 267 civili. "Molte delle cifre palestinesi, dell'Onu e di altre organizzazioni internazionali non valgono la carta su cui sono scritte", dice Reuven Erlich, direttore del Meit Amir. Più di due terzi delle vittime sono maschi adulti fra i diciotto e i sessant'anni. "I dati del ministero della Sanità di Gaza non spiegano chi viene considerato 'miliziano', 'terrorista' o 'civile'. Per sapere quante delle vittime erano terroristi e quante erano civili bisogna fare un lavoro molto approfondito". Nome per nome.
Ci ha provato però il Meir Amit Intelligence and Information Center, un ente indipendente israeliano. Al 23 luglio, i morti erano 775. Di questi "soltanto" 267 civili. "Molte delle cifre palestinesi, dell'Onu e di altre organizzazioni internazionali non valgono la carta su cui sono scritte", dice Reuven Erlich, direttore del Meit Amir. Più di due terzi delle vittime sono maschi adulti fra i diciotto e i sessant'anni. "I dati del ministero della Sanità di Gaza non spiegano chi viene considerato 'miliziano', 'terrorista' o 'civile'. Per sapere quante delle vittime erano terroristi e quante erano civili bisogna fare un lavoro molto approfondito". Nome per nome.
Uno studio del Committee for Accuracy in Middle East Reporting in America spiega invece che le donne costituiscono "soltanto" il dodici per cento delle vittime totali di Gaza. I maschi sotto i quindici anni, sebbene costituiscano metà della popolazione totale della Striscia, rappresentano il tredici per cento delle vittime dei bombardamenti israeliani. Dunque, rapporti israeliani indipendenti raccontano un'altra storia, composta da tragiche vittime civili, ma soprattutto da oltre due terzi di caduti che appartenevano alle organizzazioni terroristiche, Hamas e Jihad islamico in testa.
Si apre, nel frattempo, il capitolo più delicato per Israele. La guerra legale all'Onu e alla Corte dell'Aia, dove i palestinesi sono da poco entrati. Si teme l'arrivo di un "Goldstone 2", dal nome del giudice sudafricano che nel 2009 accusò Israele di crimini di guerra paragonandolo a Hamas, salvo poi rimangiarsi l'accusa in una clamorosa rettifica sul Washington Post. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ieri ha parlato di una "kangaroo court" che a Ginevra si occuperà della guerra di Gaza, per accusare Gerusalemme.
Ieri è uscita una nota del ministero dell'Interno di Hamas rivolta a ospedali, giornali, tv e social network: "Chiunque venga ucciso o martirizzato va chiamato 'civile', prima di qualsiasi status nel jihad. Non dimenticate di aggiungere 'civile innocente' nelle descrizioni di coloro che vengono uccisi dagli israeliani". E' in questa prestidigitazione della guerra, in cui verità e menzogna si confondono per sempre, che Israele sta perdendo la sua battaglia più importante, quella dell'opinione pubblica. Ieri ong europee lanciavano questo allarme, a dir poco sinistro: "Israele ha ucciso più bambini che terroristi".
Le accuse del sangue contro il popolo ebraico, si sa, sono sempre state dure a morire.
(Il Foglio, 29 luglio 2014)
"I vostri attacchi su Gaza hanno distrutto i nostri piani"
In questi giorni circola in Israele una e-mail, naturalmente in ebraico, che riporta il racconto di un militare israeliano che sta combattendo a Gaza. La scrittice israeliana Naomi Ragen ne ha fatto girare una traduzione in inglese che qui traduciamo in italiano.
Io e i miei compagni avevamo catturato un certo numero di terroristi di Hamas. Quando li abbiamo interrogati, abbiamo chiesto loro: visto che avete costruito così tanti tunnel a 7/8 metri di profondità per entrare in Israele e raggiungere Beer Sheva, perché avete aspettato fino ad ora ad utilizzarli per i vostri attacchi terroristici e rapire o uccidere israeliani?
Questa è stata la loro risposta:
"Abbiamo costruito queste gallerie per dodici anni e stavamo aspettando il momento giusto, quando saremmo stati addestrati e pronti. Avevamo deciso che il momento giusto sarebbe stato quest'anno a Rosh Hashanà, 2014. Abbiamo scelto Rosh Hashanà perché la maggior parte dei soldati in quell'occasione ottiene il permesso per tornare casa, non ci sono molti militari di guardia ed è una vacanza di due giorni. I miliziani di Hamas sarebbero passati attraverso i tunnel che abbiamo costruito in dodici anni e avrebbero attaccato Israele. In ogni tunnel avremmo inviato due, tre dozzine di miliziani per catturare e rapire civili, donne e bambini, e portarli a Gaza attraverso i tunnel. Israele allora non avrebbe potuto bombardare i tunnel, a causa di tutti i civili israeliani che erano al loro interno. In questo modo avremmo occupato l'intero paese, governato Israele e ucciso tutti i sionisti. Per anni abbiamo pianificato questo e la cosa sarebbe avvenuta fra due mesi. I vostri attacchi su Gaza hanno distrutto i nostri piani."
A queste parole una persona ha aggiunto: Dopo che i nostri tre ragazzi sono stati trovati morti, molte persone religiose si sono chieste: che ne è stato, di tutte le nostre preghiere? Adesso si vede quello che è successo. Dio ci ha ascoltati: con la morte di questi tre ragazzi martiri tutto Israele è stato salvato da un terribile massacro. Tutte le cose che abbiamo visto quest'estate sono un miracolo, uno dopo l'altro. Continuate a pregare e fortificatevi a vicenda. E rendete grazie a Dio che veglia sul popolo ebraico nella terra Egli ha promesso loro.
(Newsletter di Naomi Ragen, 28 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Quando l'antisemitismo si nasconde dietro all'antisionismo
Lettera al direttore di VareseNews
Quando lo Stato d'Israele è sotto attacco da forze terroristiche o da Stati canaglia emerge tutta una marmaglia di antisemiti. Questa accozzaglia di persone, improvvisamente, non riesce più a nascondere il proprio odio contro noi ebrei, non avendo però il coraggio di ammettere il proprio pregiudizio, tenta di nascondersi dietro improbabili distinzioni semantiche, purtroppo è stato sdoganato il fatto che ci si possa definire antisionista dicendo di non essere antisemita. Ma proprio in questi momenti diventa evidente quanto questo non corrisponda al vero: chi è antisionista è antisemita.
Per un ebreo il proprio essere ebreo è inscindibile rispetto al legame che ha con lo Stato d'Israele e con Gerusalemme, la capitale. Questi odiatori, per giustificare il loro astio, tentando di tenere pulita la loro coscienza, argomentano le loro assurde tesi con il più becero negazionismo e con il più deprecabile dei razzismi. Quando poi si fa loro notare l'infondatezza delle argomentazioni hanno l' arroganza di definire se stessi "al di sopra delle parti", come se fosse possibile per un essere umano non avere un punto di vista. Ci dicono anche di avere amici ebrei che sostengono che Israele non ha diritto di difendersi, come se questo potesse legittimarne la posizione, come se fosse garanzia di neutralità ed equidistanza.
Ma come si può essere al di sopra delle parti in una guerra tra terroristi ed uno Stato democratico, in una guerra in cui i terroristi usano i civili per proteggere i propri missili, mentre Israele utilizza il sistema anti missile per difendere i propri cittadini (ebrei, arabi o cristiani che siano)?
Sappiamo tutti che ci sono, anche tra noi ebrei, alcuni (molto pochi per fortuna) che osteggiano il governo e lo stato d'Israele stesso, ma il popolo ebraico è come ogni altro popolo formato da persone, non è un super popolo, è solo un popolo che vuole sopravvivere, purtroppo come ovunque tra noi ci sono alcuni prezzolati "intellettuali" che per difendere il proprio portafoglio sono disposti a dire di tutto.
Oltre a quanto detto è bene ricordare alcuni elementi fondamentali della vicenda: il popolo palestinese è una invenzione della Lega Araba che costituì nel 1964 l'OLP, prima di tale data a nessuno interessava qualcosa degli arabi che abitavano nelle zone dell'ex mandato britannico. A nessun paese arabo venne mai in mente di costituire uno stato palestinese dopo la proclamazione dello Stato d'Israele del 1948, anzi dopo la guerra del 1948 i territori "palestinesi" furono suddivisi tra Egitto e Giordania. Poi si susseguirono altre guerre di aggressione dei paesi arabi contro Israele, che si difese e li sconfigette militarmente. Chi scatena una guerra se ne assume tutti i rischi e le responsabilità, quindi la perdita dei territori fu una delle conseguenze. Risulta quindi evidente che la situazione attuale è solo il frutto dell'odio che gli arabi hanno nei confronti di Israele e del fatto che non sono in grado di assumersi la responsabilità delle loro azioni.
Ma torniamo agli antisemiti che emergono dalle fogne in questi momenti in cui Israele è sotto attacco. Questi loschi personaggi diffondono in questi giorni dati falsi sulla storia del popolo ebraico e della sua presenza in terra d'Israele, pubblicano foto false (prese dalla guerra civile siriana, di cui pochi parlano), legittimano oggettivamente una organizzazione terroristica come Hamas chiamandola resistenza, inventano notizie che puntualmente i fatti smentiscono.
Sì, Israele è in guerra contro Hamas ma non contro i palestinesi. Chi qui in occidente, e non solo, si schiera con Hamas è oggettivamente complice del terrorismo e degli obbiettivi che questo si prefigge: l'eliminazione di tutti gli ebrei ed i cristiani. Praticamente chi non dice nulla e chi palesemente si schiera a favore di Hamas è come chi si schierò con il nazifascismo o comunque non disse nulla rispetto a quanto stava avvenendo.
Una cosa deve essere chiara per tutti: non ci sarà più nessuna altra Masada e nessuna altra Shoah. Noi ebrei a prescindere dalle frottole a cui attingono coloro che ci odiano e ci vogliono uccidere non permetteremo il nostro annientamento. Il web è pieno di bugie a cui attingono gli antisemiti/antisionisti, ma la storia è altro non è il libro fantasy scritto da questi siti neonazisti e cospiratori. Questi siti internet sono la riedizione digitale dei protocolli dai savi di Sion, le frottole vengono sempre smascherate. Israele è la nostra terra, la nostra salvezza, la nostra speranza, la nostra promessa, negarci la possibilità di tornare significa negarci la possibilità di vivere, di esistere secondo le nostre millenarie tradizioni.
Rammento che il gran muftì di Gerusalemme Muhammad Amīn al-Husaynī era alleato di Hitler durante il secondo conflitto mondiale, li univa evidentemente il comune odio per gli ebrei, oltre ad un modello sociale opposto a quello che noi abbiamo stabilito e desiderato per lo Stato d'Israele.
Anche per questo motivo, In questi tragici momenti, in cui siamo ancora costretti a difenderci, rivolgo ai nemici d'Israele e faccio mie le parole che usò il patriota Sandro Pertini nei confronti dei nazifascisti: arrendersi o perire!
Con il terrorismo ogni altra opzione è tempo perso, è energia buttata alle ortiche, viene vista come segno di debolezza o di resa. Il popolo d'Israele ha il diritto di difendersi, se necessario anche preventivamente, rispetto a chi lo vuole distruggere. Israele ha il diritto di vivere all'interno di confini stabili, sicuri e difendibili, e ha il diritto di difendere il proprio popolo.
Cari odiatori avete provato a eliminarci con le camere a gas, ma la storia vi ha dato torto, noi non siamo l'agnello sacrificale che vi deresponsabilizza rispetto al vostro quotidiano, ricordatevelo ogni cosa che succede non è colpa degli ebrei, è colpa dell'umanità di cui forse fate parte anche voi. Quindi se volete cambiare la vostra vita, non dateci la colpa di ogni cosa, ma rimboccatevi le maniche e iniziate a lavorare, se invece continuate nel vostro odio e pregiudizio preparatevi a combattere e ad essere sconfitti dalla storia come i vostri predecessori
Demetrio Shlomo Yisrael Serraglia
(VareseNews, 28 luglio 2014)
Altro articolo/lettera da incorniciare, anzi, meglio, da diffondere il più possibile. Bisogna farlo perché a qualcuno servirà, ma purtroppo saranno una minoranza. Su questo argomento alla maggioranza delle persone non interessano documenti, analisi, riferimenti storici, argomentazioni logiche, perché sanno già come stanno le cose: gli ebrei (veramente dicono israeliani, ma in quel che segue pensano ebrei) hanno torto, come sempre, e gli ebrei devono essere puniti (solo puniti, dicono, perché loro non farebbero male a una mosca, ma se poi qualcuno li ammazza non si stracciano le vesti, anzi). Oggi dovrebbe essere più evidente che mai quello che con semplicie linearità dice l'autore della lettera: chi è antisionista è antisemita. M.C.
Il "silenzio umanitario" su Hamas
Studioso spiega come le ONG sfruttano ideologicamente il diritto internazionale per demonizzare Israele
di Giovanni Matteo Quer*
Al direttore - Le dichiarazioni delle ONG internazionali e italiane sul recente conflitto armato a Gaza contribuiscono alla demonizzazione di Israele attraverso la distorsione della realtà e l'uso politico del diritto per avanzare il boicottaggio anti-israeliano. L'ossessiva attenzione verso Israele e le false accuse di violazione del diritto internazionale umanitario sono accompagnate da un totale silenzio sulla condotta di Hamas, che viola i diritti umani dei palestinesi, sistematicamente usati come scudi umani, e sulla situazione della popolazione civile israeliana, oggetto di indiscriminati attacchi da Gaza
Già prima dell'operazione militare israeliana "Protective Edge" lanciata l'8 luglio, le ONG hanno condannato l'intervento militare israeliano finalizzato al ritrovamento dei tre ragazzi israeliani rapiti e ritrovati morti, come "punizione collettiva". Secondo l'ONG "Nexus", legata alla CGIL, la distruzione di Hamas comporterebbe anche la distruzione "di ogni speranza di soluzione politica tra le parti". Sulla stessa linea anche Pax Christi Italia, associazione cattolica che sostiene di avanzare la pace, condannando Israele per presunte devastazioni e non esprimendosi sulle attività terroristiche di Hamas.
Come dimostrano gli studi del centro di ricerca NGO Monitor, l'uso politico delle espressioni giuridiche è la tecnica più comune nella demonizzazione di Israele, che distorce i concetti del diritto internazionale, omettendo di evidenziare l'illegalità delle azioni compiute da Hamas e la legittimità degli attacchi a obiettivi civili usati a fini militari. Su una base ideologica anti-israeliana, le ONG politicizzate spesso formulano accuse di attacchi indiscriminati sui civili e sui luoghi di culto, ignorando che nel momento in cui Hamas li usa come basi di lancio di missili su Israele, divengono obiettivi militari legittimi. Al Mezan, ONG palestinese, B'Tselem, ONG israeliana estremamente politicizzata, accusano Israele di colpire obiettivi militari illegittimi; Amnesty International riporta una serie di accuse infondate su sistematiche violazioni del diritto internazionale umanitario; Human Rights Watch accusa Israele di gravi violazioni del diritto internazionale. Queste false accuse ignorano il diritto alla difesa di Israele così come il complicato processo decisionale dell'esercito, che nella pianificazione di un attacco include anche la consultazione di un esperto di diritto internazionale proprio sulla legittimità di un obiettivo
Alle accuse rivolte a Israele segue il completo silenzio sulla condotta di Hamas, che viola sistematicamente le norme internazionali sui conflitti armati e i diritti dei palestinesi. Il lancio di missili da aree civili densamente popolate e l'uso dei civili come scudi umani sono gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra e dei diritti umani della popolazione palestinese, esposta alle controffensive militari israeliane, che le ONG non considerano. Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, esorta la popolazione a ignorare gli avvisi israeliani di un imminente attacco per impedirne le operazioni militari. Si ignora anche che gli incessanti attacchi missilistici costituiscono una chiara violazione delle norme sui conflitti armati
La parzialità delle dichiarazioni delle ONG è palese considerando il completo silenzio sulla situazione israeliana. Da residente a Tel Aviv e recandomi al lavoro a Gerusalemme, vivo ogni giorno l'esperienza delle sirene che annunciano l'imminente arrivo di un missile da Gaza. Così come amici e colleghi che vivono nel sud di Israele, la zona più colpita, con ormai oltre 2000 missili lanciati in tre settimane. Ma la visione ideologica del conflitto spinge attivisti pro-palestinesi, come Samantha Comizzoli dell'International Solidarity Movement, a definire i razzi - "missili della resistenza" - e Israele - "un mostro nazista"
Infine, il conflitto armato pare essere l'occasione per molte ONG di avanzare l'agenda politica del boicottaggio contro Israele. Molte organizzazioni firmatarie della campagna BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), come l'italiana "Un Ponte Per...", hanno lanciato un appello per imporre un embargo a Israele, invitando il governo italiano a ritirarsi dall'accordo militare con Israele che comprende la fornitura di sistemi militari all'aviazione israeliana, considerata una violazione degli accordi internazionali e della legislazione interna. Queste stesse ONG hanno esortato Israele a terminare l'embargo imposto a Gaza, il cui scopo è proprio impedire che Hamas si armi per attaccare le città israeliane. Definendo "l'occupazione" come la fonte principale della crisi umanitaria palestinese, nonostante Israele si sia ritirata da Gaza nel 2005, gli attivisti dei diritti umani omettono di ricordare che Israele, pur conducendo un'operazione militare a Gaza, non ha interrotto il flusso di aiuti umanitari in una zona "nemica"
L'uso politico del diritto internazionale da parte delle ONG internazionali e italiane è funzionale all'avanzamento dell'agenda politica anti-israeliana che dipinge Israele come la causa del conflitto armato. Inoltre, dall'apparente neutralità dei diritti umani e della cooperazione internazionale, che sottace le violazioni di Hamas contro israeliani e palestinesi, emerge una chiara proiezione ideologica che demonizza e incita al boicottaggio di Israele. L'obiettivo politico delle ONG è di riportare all'adozione di un secondo "rapporto Goldstone", che nel 2009 ha falsamente accusato Israele di crimini di guerra, come dimostra la rettifica dello stesso giudice Goldstone allora presidente della commissione ONU. Il Consiglio dei Diritti Umani ha votato la settimana scorsa un'altra risoluzione per l'ennesima commissione di indagine che, esposta alla faziosità delle ONG, rischia di arrivare a conclusioni anti-israeliane
La distorsione dei fatti, la falsificazione giuridica e l'omissione di una parte del conflitto testimoniano un invertimento del giudizio politico, che equipara la violenza di Hamas, volta a distruggere Israele come da sua carta costitutiva e come più volte dichiarato dai suoi leader, attaccando indiscriminatamente i cittadini israeliani, e il ricorso alla forza di Israele, che è l'esercizio dell'autodifesa e del dovere di difendere i propri cittadini volto a neutralizzare la forza militare di un'organizzazione terroristica
Il governo italiano e l'Unione Europea pagano gran parte di questa propaganda, attraverso il finanziamento pubblico alle ONG politicizzate, il che conferma la necessità di fermare il flusso di denaro che finanzia la propaganda anti-israeliana.
* L'autore è fellow presso il centro di ricerca NGO Monitor e fellow al Forum Europa, Università Ebraica di
Gerusalemme
(Il Foglio, 28 luglio 2014)
Scritte antisemite a Roma: volantini con svastiche pro Palestina
La capitale si è risvegliata con centinaia di slogan e volantini lasciati sui mure e sulle vetrine di alcuni punti vendita di proprietà di ebrei. Il presidente della Comunità ebraica, Pacifici: "E' come nel 1993, quando alcune stelle gialle furono attaccate all'entrata dei negozi".
Roma tappezzata da scritte antisemite. Dal quartiere Prati all'Appia fino a San Giovanni, quartiere dove numerose attività commerciali sono gestite da famiglie di ebrei. Sui muri e sulle vetrine di molti negozio questa mattina sono apparse più di 70 scritte e volantini contro Israele e pro Palestina affiancate da svastiche e celtiche. 'Anna Frank cantastorie', 'ogni palestinese è come un camera! Stesso nemico stessa barricata', si legge su un altro manifesto con accanto una celtica sono comparsi sui muri di via Cola di Rienzo. Altre minacce poi in via Ottaviano, via del Leoncino, via della Lupa.
"Questa mattina Roma si è svegliata nel peggiore dei modi. I suoi muri sono stati imbrattati da decine di scritte neonaziste inneggianti odio nei confronti degli ebrei. Dall'Appia fino in Prati, dal centro storico alla periferia, svastiche, insulti e minacce di morte hanno tappezzato le serrande dei commercianti. La mente corre al 1993, quando alcune stelle gialle furono attaccate all'entrata dei negozi di proprietà di ebrei - ha osservato il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici - Oggi Roma e l'Italia sono diverse, le Istituzioni sono con noi nel rispetto dei principi costituzionali. Ma non dobbiamo mai abbassare la guardia, per questo facciamo appello al sindaco di Roma Capitale, Ignazio Marino, e al questore di Roma per individuare gli autori di questi gesti nella speranza che anche le attività di prevenzione possano arginare questa campagna di odio. Roma non può diventare come Parigi dove gli ebrei sono assaltati, le sinagoghe circondate e girare con la kippà in testa - il copricapo ebraico - è un pericolo concreto. Siamo fiduciosi che le forze di sicurezza e le autorità politiche prenderanno in considerazione ogni iniziativa volta a prevenire ciò che la Francia ha sottovalutato per troppi anni".
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha promesso: "Appena appresa la notizia ho chiesto la immediata cancellazione delle scritte. Mi auguro che siano al più presto individuati i responsabili di questo ignobile gesto che condanniamo con forza. Le scritte antisemite apparse oggi in diverse aree della città sono una vergogna e un'offesa a tutti i romani. Voglio dunque esprimere solidarietà e vicinanza alla comunità ebraica. Roma vuole e deve essere capitale del dialogo e della pace e non terreno di barbarie". [...]
(la Repubblica - Roma, 28 luglio 2014)
Abbiamo omesso, alla fine dell’articolo, varie rituali manifestazioni di solidarietà di uomini politici perché davvero non è il caso di riportarle. Non fanno notizia. Finché si continuerà a fare fini distinzioni fra antisionismo e antisemitismo, finché le prese di distanza da quelli che giustamente assumono le svastiche come simbolo del propalestinismo servono a proteggere dall’accusa di antisemitismo chi appoggia la fiera resistenza dei poveri palestinesi di Hamas contro il perfido Israele di Netanyahu, gli ebrei farebbero bene a respingere certe melliflue espressioni di solidarietà, e a chiedere che sia risparmiata loro almeno questa forma aggiuntiva di sofferenza. M.C.
28 luglio 1904. Viene inaugurata la sinagoga di Roma
di Enrico Gregori
ROMA - Viene inaugurata la Sinagoga, il Tempio Maggiore. All'interno l'edificio è diviso in due piani, uno sottoterra e l'altro a livello del terreno. Il piano posto sotto il livello del terreno ospita il ricco museo della comunità ebraica di Roma e una sala dove ha sede una piccola sinagoga, chiamata Tempio spagnolo, allestita con parte degli arredi provenienti dalla cinque scole (la Castigliana, la Catalana, la Siciliana, la Nova e l'Italiana) un tempo esistenti all'interno del ghetto. Nel museo ebraico sono visibili diversi indumenti della tradizione ebraica, un Aron Ha-Kodesh e un candelabro provenienti dagli arredi delle famose cinque scole.
Al piano terra ha sede la sinagoga grande. La sinagoga presenta una grande stanza centrale e due piccole navate laterali. In fondo alle due navate sono stati posizionati due piccoli Aron Ha-Kodesh provenienti dalle vecchie scole. Nella parete rivolta ad oriente è ben visibile l'imponente Aron Ha-Kodesh del Tempio Maggiore. Su tre lati del tempio (escluso quello dove ha sede l'Aron) in posizione rialzata, vi è la zona dedicata alle sole donne, il matroneo. Tutto l'interno della sinagoga, compresa la cupola, è riccamente decorato con motivi orientali.
(Il Messaggero, 28 luglio 2014)
L'ospedale dove si curano soldati e bimbi della Striscia
Medici arabi ed ebrei fianco a fianco. "Lavoriamo per tutti, e per la pace"
di Fiamma Nirenstein
TEL HASHOMER (Israele) - Più che un ospedale, quello di Tel Hashomer, è un microcosmo di Israele: ultratecnologico, 2000 pazienti in una città di padiglioni.
Girando per le stanze si comprende perché in cambio di Gilad Shalit furono consegnati 1500 terroristi palestinesi. In Israele la vita non ha prezzo. Qui arrivano soldati feriti direttamente dal campo: ce n'è uno semisvenuto, 20enne pallido, bruno, in barella subito dopo l'operazione. Per arrivare alla sua stanza gli infermieri si fanno largo fra una folla diretta al terzo piano, dove sono ricoverati i soldati: ragazzine che portano panieri di biscotti, bambini con disegni, palloncini, anziane signore americane con «burekas» fatte in casa. Il ragazzo non capisce, non guarda, chissà quale granata, quale scheggia l'ha colpito, ha gli occhi rovesciati dell'anestesia. Lo seguono la madre, col padre che la tiene per mano.
Un altro padre di guardia alla stanza del suo Roy, 21 anni, racconta: «È stato ferito di mattina, ha ricordato il numero della mamma, ci hanno fatto sentire la sua voce, poi ci hanno detto che aveva la mano e parte del braccio spappolato. È svenuto, 4 ore sotto i ferri. Noi vogliamo la pace, facciamo di tutto per risparmiare la vita della gente a Gaza, ma che ci possiamo fare se una banda cerca di ucciderci coi missili, usa le loro case per nascondere le gallerie, le armi, i terroristi?». Natan Mor, 20 anni, ora può essere trasportato dalla mamma sulla sedia a rotelle nel corridoio, lei sorride anche se il figlio è fasciato su gambe e braccia.
A una persona di cultura europea fa impressione questo mondo di giovani, studenti, lavoratori, in cui la motivazione verso la difesa del proprio Paese è uguale a destra e a sinistra. «Siamo molto uniti, persino medici israeliani e arabi», dice il direttore generale dell'ospedale, Ari Shamis. «Questo è l'unico ospedale, sui quattro del centro, in cui i soldati vengono trasportati dal campo. Il tempo è fattore essenziale, da quando vengono soccorsi a quando scendono con l'elicottero. E noi siamo già pronti con trasfusioni, operazioni, assistenza ai genitori. Quando li chiamiamo cerchiamo di far sentire loro la voce del ragazzo, anche dalla camera operatoria. Abbiamo avuto 50 su 123 soldati feriti in guerra, ora qui ne abbiamo 29. No -sorride trionfante- non abbiamo perdite per ora.
Stiamo curando con successo anche una famiglia palestinese evacuata da Gaza. Per noi non c'è nessuna differenza: ricoveriamo chi arriva e lo curiamo al massimo livello». Medici palestinesi, malati palestinesi, bambini di Gaza sono la prassi dell'ospedale: saliamo col professor Yoram Neumann al terzo piano, reparto oncologico pediatrico. In ogni stanza, in cui l'aria ha il filtro «luminar airflow», isolato e sterilizzato - «più che negli ospedali americani», dice Nemann - è ricoverato un bambino di Gaza insieme ai familiari che se ne occupano. Su 22 bimbi, 18 vengono dalla Striscia. Le mamme, col velo, siedono quiete. C'è chi fa la chemio, chi ha bisogno del trapianto di midollo, chi ha terminato la cura ma resta perché a casa non hanno gli strumenti necessari.
In inglese la mamma Nevin mi parla di Aid, di un anno: «Sono qui da 4 mesi, penso che ci dovrò restare ancora 3». E il marito? «È a Gaza, molto pericoloso, sta bene, telefono, mi manca». Nevin dice che vuole la pace, «shalom» ripete. Non vuole dare il nome completo, Hamas può vendicarsi.
Il padre di Mordechai, 22 anni, anche lui è stato avvertito delle ferite dalla voce del figlio prima che affrontasse cinque operazioni a viso, braccia, gambe. Non c'è ansia o angoscia nello sporgersi sull'orlo della morte alla sua età. Bisogna salvare il Paese.
Dice il professor Zeev Rostein, presidente dell'ospedale: «I soldati sono oggi meglio protetti sulla testa e sul petto, le ferite sono soprattutto agli arti. Li curiamo col massimo della tecnologia. Senza differenze coi palestinesi. È un investimento per la pace: pensi che choc, per una famiglia di Gaza, vedere che abbiamo con loro lo stesso rapporto che con i nostri malati, dopo tutto quello che gli hanno messo in testa».
(il Giornale, 28 luglio 2014)
Lettera ad un amico di Gaza
La jihad globale è nemica di Israele quanto della popolazione palestinese. Continuare ad auto-ingannarvi non vi porterà da nessuna parte.
Ciao, Fathi. Questa settimana, per pochi minuti, siamo riusciti a ristabilire un contatto. Mi hai parlato delle grandi sofferenze, dei bombardamenti, dei morti. Sono addolorato. Abbiamo conosciuto giorni migliori. Avevamo dei sogni.
Gli anni passano. Nel frattempo molte cose sono successe, nel mondo musulmano: in Somalia, in Nigeria, in Pakistan, in Siria, in Iraq. Questa è la regola, Fathi: ogni luogo in cui una delle estensioni della jihad acquista forza, diventa un centro di spargimenti di sangue. Talebani, Hamas, Boko Haram, al-Qaeda, ISIS, al-Shabab, separatamente e congiuntamente, non vi promettono altro che spargimenti di sangue e sofferenze....
E un'altra cosa, è successa: Hamas si è violentemente impadronita della striscia di Gaza. L'articolo 7 della Carta di Hamas parla di annientare gli ebrei. Niente di meno che annientare gli ebrei. Quando vediamo cosa stanno facendo i jihadisti nel mondo - ai musulmani, non agli ebrei - abbiamo tutto il diritto di avere paura. Coloro che hanno adottato una ideologia nazista non possono lamentarsi del fatto che gli altri cercano di sconfiggerli....
(israele.net, 28 luglio 2014)
Oltremare - Fronte unico
Della stessa serie:
“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
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“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
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“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
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“Il grigio”
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“Ivn Gviròl”
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“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
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“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”
“Misto israeliano”
“Fuoco”
“I cancelli della speranza”
“Finali Mondiali”
“Paradiso in guerra”
di Daniela Fubini, Tel Aviv
Lo sanno tutti che gli ebrei si aiutano sempre tra di loro. E c'è qualcosa di sottilmente antisemita in questo assunto. Per fortuna è abbastanza vero, e gli israeliani sono anche peggio.
Come durante ogni crisi nel Sud o nel Nord, da settimane ormai sono scattati i sistemi di aiuto reciproco ad ogni livello della società. L'organizzazione dei Kibbutzim apre le porte dei kibbutzim in aree tranquille nel nord del paese, e ospita famiglie intere, o più spesso mogli e figli di uomini che devono restare al sud a occuparsi dei campi o delle fabbriche per non abbandonare a sè stessa la produzione. Ricevono all'arrivo letti dove dormire, lenzuola, vestiti se ne hanno bisogno, hanno una famiglia adottiva e occupano il tempo lavorando nel kibbutz ospitante.
Le "Nashot Tzav Shmone" sono le mogli dei militari in unità di combattimento, e intorno a loro si è autoprodotta una rete di aiuto pratico, dal babysitteraggio dei bambini alla condivisione dei lavori in casa, da parte di altre donne, spesso allertate da quegli stessi mariti che sono al fronte dentro Gaza. Lo sanno bene, loro, che le mogli non chiederebbero mai aiuto: il marito è al fronte, e loro sono forse da meno?
Lungo la strada diritta e bianca che porta da Beer Sheva alla zona intorno a Gaza, si moltiplicano stazioni di sosta improvvisate, simili a cucine da campo, brulicanti di volontari che fanno pollo alla griglia e riempiono panini, e assemblano pranzi nutrienti per i soldati di passaggio verso gli avamposti. Chiunque passi di là, se in divisa mangia gratis. Se in vestiti civili si ferma a aiutare.
Forse sono palliativi di un male molto profondo, il male di vivere nel paese che passa da una guerra all'altra senza quasi prendere fiato. Però adesso anche il supermercato sotto casa ha messo i cartelli di una associazione che distribuisce dolci e snack ai soldati, e almeno per shabbat è d'obbligo far loro arrivare un po' di sane calorie. Si deve fare fonte unico, e ognuno mette del suo.
(moked, 28 luglio 2014)
Salmo 129
Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
Lo dica pure Israele:
Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
eppure, non hanno potuto vincermi.
Aratori hanno arato sul mio dorso,
vi hanno tracciato i loro lunghi solchi.
L'Eterno è giusto;
Egli ha spezzato le funi degli empi.
Siano confusi e voltino le spalle
tutti quelli che odiano Sion!
Siano come l'erba dei tetti,
che secca prima di crescere!
Non se n'empie la mano il mietitore,
né le braccia chi lega i covoni;
e i passanti non dicono:
La benedizione dell'Eterno sia su di voi;
noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Sono un cittadino italiano che vive in Israele e vorrei condividere con voi la mia esperienza di questi giorni in cui allarmi e bum entrano grottescamente a far parte della routine quotidiana, raccontandovi alcuni episodi emblematici e credo rappresentativi che mi sono accaduti.
Mentre la mia piccola di quasi 18 mesi capisce poco di quello che sta succedendo, il "grande" di quattro anni e mezzo sta dimostrando una consapevolezza disarmante accompagnata da una curiosità tipica della sua ancora tenera età in cui è naturale il volere sapere tutto sparando raffiche di "perché?" Già nella guerra precedente Asher, il mio figlioletto che allora aveva poco meno di tre anni, aveva visto interrompersi all'improvviso il suo quotidiano sfogo energetico al parco giochi da un allarme che lo colse assolutamente impreparato. Strappatolo dalla parete del baby-snappling, in un battibaleno cercai riparo accovacciandomi su di lui dietro il muro rivolto a nord del palazzo più vicino, che avevo preventivamente scelto come meta già al nostro arrivo al giardino. Ebbene quella sirena se la ricorda ancora molto bene. In questi giorni noto in Asher una naturale turbolenza emotiva. Dice di avere paura di questo e di quell'altro, tutte cose assolutamente innocue che niente hanno a che vedere coi missili. Quelli, a suo dire, non lo spaventano. Chissà cosa frulla nella testa di questi ragazzini costretti a cercare un rifugio quando c'è l'allarme. In fondo anch'io alla sua età a Tripoli mi nascondevo con tutta la famiglia per evitare la folla inferocita contro l'odiato stato sionista eroicamente vittorioso sull'aggressore arabo che lo circondava da tutte le parti. Lo ricordo quasi come un gioco. Il fatto è che e' l'unico ricordo della mia infanzia tripolina. Tutto il resto è stato rimosso.
Torniamo ai giorni nostri. Due-tre episodi e chiudo. Prima che scoppiasse questa guerra comprai due biglietti per un concerto. L'idea di uscire con mia moglie dopo mesi (o forse sono già anni?) barricati in casa per prenderci cura dei bimbi mi dava piacere. Tanto potevamo contare fiduciosi sul baby sitteraggio dei nonni. Poi i primi missili. Si va al concerto o non si va? Dopo un po' di titubanza decidiamo di non rinunciare. Usciamo. Telefoniamo per accertarci che il concerto non sia stato annullato. Tutto confermato. Primo allarme. Accosto con la macchina e ci precipitiamo verso la porta del palazzo più vicino per trovare riparo nel vano scale che, normalmente, come spiegato quasi ossessivamente sui media, ha i muri in cemento armato. Ma il portone è chiuso. Nel locale accanto, tutti i tavoli vuoti, un cameriere tranquillo con la sigaretta in mano, ci rivela il codice per aprire quella porta bloccata. Lui non entra. Finita la sirena bisogna apettare al riparo ancora qualche minuto (dicono dieci) perché potrebbero piovere dal cielo come micidiali frecce i detriti del missile eventualmente intercettato. Che si fa? Proseguiamo o rientriamo? Avanti! Ah! Avanziamo in macchina di pochi metri ed ecco un'altra sirena! Dietro front! Vogliamo abbracciare i nostri bambini e rilasciare i nonni.
Mi è capitato una volta di sentire una sirena che non c'era e di entrare nel rifugio, ed un'altra volta di non sentire una sirena che c'era. Mi ero appena addormentato quando mi sono sentito strattonare da mia moglie che proclamava, senza panico per non spaventare i bimbi, "l'allarme!" Poi c'è la piscina pubblica. Di solito nuoto dalle 6 alle 6.30 tutte le mattine. A casa dormono ancora tutti a quell'ora. Quando sono in acqua c'e' l'isolamento acustico. E se suonasse ora? A che sponda vado? Come raggiungo il rifugio pubblico più vicino che mi ero già fatto prudentemente indicare dal bagnino? Prendo gli occhiali? L'asciugamano? Le ciabattine? Al diavolo tutto!
Ovviamente il pensiero dell'allarme non ti abbandona neanche nelle situazioni più ordinarie ma non per questo facili da "sospendere": in doccia, durante il cambio di un pannolino, e così via. Ecco, questa è la nostra routine. E siamo a Tel Aviv. Abbiamo ben 90 secondi per trovare un rifugio dal momento in cui comincia a suonare l'allarme. Ci va di lusso rispetto ad Ashdod (solo 45 secondi), Ashkelon (30) o Yad Mordekhai (15). Lì ci vorrebbe lo scatto di Ben Johnson. O, cosa più plausibile, un rifugio ogni 50 metri, alle fermate degli autobus, in mezzo alle aiuole. Grazie a D-o che ci protegge benevolmente. Che protegga i soldati israeliani impegnati in una dura guerra porta a porta contro le vigliaccate di Hamas. Intanto torniamo alla routine, buongiorno.
(moked, 28 luglio 2014)
I crimini di guerra di Hamas
Monta l'indignazione per la condotta spregiudicata dell'organizzazione terroristica che con un colpo di stato ha assunto il potere a Gaza nel 2007. Non solo Hamas ha colpito le comunità dell'Israele meridionale, non solo l'ha fatto da aree densamente abitate; ma si è fatto scudo con il corpo di civili innocenti, messi in questo modo in serio pericolo. E mentre le autorità israeliane invitavano la popolazione civile a trovare riparo nei bunker antimissile, gli estremisti palestinesi inducevano la popolazione a fare da bersaglio; probabilmente perché i bunker erano interamente impiegati per nascondere missili, razzi e munizioni....
(Il Borghesino, 28 luglio 2014)
"La vita ha valore, ma non per noi. La vita è zero, la vita non ha valore"
Una giovane donna araba ha un figlio con un grave problema di cuore; lo porta in un ospedale israeliano dove viene adeguatamente curato e accudito da dottori e infermiere israeliani. A Gaza intanto infuriano i combattimenti dell'IDF contro i gruppi terroristici di Hamas. Un reporter rivolge alla giovane mamma araba alcune domande.
(Facebook, 23 luglio 2014)
L'87 per cento degli israeliani è contro la tregua
Hamas continua il lancio di razzi e non tutti i tunnel sono stati trovati
La pubblica opinione in Israele appare condividere fino ad ora la condotta del governo di Benyamin Netanyahu. Lo rivela un sondaggio - pubblicato sul Jerusalem Post - secondo cui l'87% del campione sostiene che Israele non può accettare un cessate il fuoco perché ''Hamas continua a tirare missili, non si è arresa, non sono stati trovati tutti i tunnel". Solo il 9,7% si e' espressa invece a favore poiché ''sono stati raggiunti i risultati, soldati sono morti ed è ora di fermarsi''.
(ANSA, 27 luglio 2014)
Episodi di antisemitismo in Europa
Violenze e minacce in Francia, Germania e Norvegia
PARIGI - Ha destato sgomento e preoccupazione in Francia quanto accaduto ieri a Bobigny, periferia di Parigi, dove un gruppo di giovani, forse una decina, ha aggredito e malmenato un ebreo di diciannove anni.
Il ragazzo, membro della Ligue de défense juive, è stato fermato intorno alle quattro e mezza del pomeriggio. «Lo hanno colpito diverse volte alla gamba e sul fianco» ha riferito una fonte citata dalla stampa. Fuggito, il ragazzo si è quindi recato in ospedale per le ferite riportate e ha sporto denuncia alla polizia. L'unione degli studenti ebrei di Francia ha parlato esplicitamente di «un'aggressione antisemita». L'unione ha inoltre affermato che il giovane «era stato individuato su Internet» nelle scorse settimane e i suoi dati erano stati pubblicati su Facebook, con tanto di minacce e di insulti.
Intanto, un altro presunto episodio di antisemitismo è stato denunciato in Germania. Un giovane con una kippah, il tradizionale copricapo ebraico, è stato aggredito nel centro di Berlino. Stando a quanto riferito dalla polizia, il giovane di i8 anni è stato attaccato da uno sconosciuto che lo ha colpito al volto e ha schiacciato coi piedi gli occhiali che gli erano caduti a terra. Il ragazzo si è poi rifugiato nella vicina sinagoga.
Sempre di ieri si è diffusa la notizia che in Norvegia i musei ebraici sono rimasti chiusi dopo l'allarme lanciato dalle autorità del Paese che hanno messo in guardia sulla possibilità di «un imminente attacco terroristico da parte di individui provenienti dalla Siria». La comunità ebraica, rilevano le autorità norvegesi, potrebbe rientrare tra gli obiettivi.
(L'Osservatore Romano, 27 luglio 2014)
Nell'ora del dolore
di Rossella Tercatin
Niente auto militari, un semplice taxi civile. E abiti civili sono indossati anche dalla prima persona a scendere dalla macchina per verificare di aver individuato l'indirizzo giusto. Talvolta, se qualche dubbio persiste, viene chiamato il telefono di casa, per avere conferma, sentendo squillare l'apparecchio dalla parte opposta della porta, di essere davvero arrivati. È così che gli incaricati delle forze di difesa israeliane portano alle famiglie dei soldati caduti la notizia più terribile. Un percorso studiato nei minimi dettagli perché se non esiste al mondo la possibilità di rendere meno atroce la perdita, si tenta almeno di "ammorbidire il momento" come ha raccontato al Times of Israel un capitano che ha servito a lungo nel dipartimento incaricato di questo compito, fino al momento in cui ha realizzato di non avere più "l'immensa forza spirituale necessaria" per una mansione del genere.
Sono stati 43 fino alla mattina di domenica i caduti di Tzahal. Tanti giovani, 19, 20, 21 anni ma anche padri di famiglia, di leva e riservisti. Il numero di perdite registrato nell'operazione Margine Difensivo è il più alto dalla guerra contro Hezbollah nel 2006.
Quando un soldato rimane ucciso, la prima operazione necessaria è quella di raggiungere la certezza della sua identità. Poi viene preso contatto con l'ufficiale responsabile della città di provenienza, il quale avverte un gruppo di volontari "informatori", tutti riservisti, spesso passati attraverso l'esperienza di una perdita e dunque consapevoli dell'importanza del primo contatto con le famiglie. Tra loro solitamente c'è anche un medico.
Così si arriva davanti alla casa. "In quel momento c'è la consapevolezza che in pochi istanti la vita delle persone dall'altro lato della porta cambierà per sempre" spiega il capitano.
Quando qualcuno apre, si chiede di riunire la famiglia e si legge loro una nota preparata prima "fattuale, laconica, succinta". Niente spazio all'improvvisazione.
La squadra, composta da persone che parlano diverse lingue e conoscono le usanze del lutto nelle diverse tradizioni, assiste la famiglia in tutte la necessità fino alla celebrazione al funerale. Non oltre, "perché la famiglia assocerà sempre quegli ufficiali con il ricordo del momento in cui è stata comunicata loro la perdita". A occuparsi di seguirle dopo quel momento sono ufficiali diversi, quasi tutti donne, il cui incarico dura solitamente a lungo e le trasforma in un punto di riferimento.
"Il nostro compito è quello di rappresentare l'esercito presso le famiglie e le famiglie presso l'esercito" spiega il maggiore Aviv Marom, che si occupa di seguire i parenti dei soldati di Tzahal arabi, beduini e drusi, rimasti uccisi. Perché dolore della perdita di un proprio caro non conosce differenze di etnie, né di religione e Tzahal non lascia soli.
(moked, 27 luglio 2014)
La guida definitiva alla Guerra di Gaza. Tutte le verità che non vi dicono
Una premessa: in questi giorni moltissimi filo-palestinesi ci hanno accusati di essere di parte. Hanno ragione. Rights Reporter sta sempre con la democrazia e contro il terrorismo, sta sempre con gli abusati e contro chi abusa dei civili, sta sempre con chi difende la propria popolazione e contro chi usa la propria popolazione per difendersi. Quindi si, siamo di parte, siamo con Israele e contro Hamas. Ma probabilmente essendo contro Hamas difendiamo molto più noi la popolazione palestinese di Gaza di quanto non facciano certi "attivisti" spinti solo da odio anti-israeliano piuttosto che dall'idea di difendere i civili palestinesi. Detto questo, vorremmo spiegare alcune cose ai lettori onde dipanare la cortina fumogena alzata da certi media e dai soliti "attivisti per la pace" che tanto attivi per la pace non lo sono ma che, anzi, fomentano odio senza alcuna vergogna e ritegno....
(Right Reporters, 27 luglio 2014)
Ignobile: usano le foto di bambini ebrei assassinati per far credere in una carneficina a Gaza
Com'era prevedibile, dopo che i pro-palestinesi hanno usato parole come "colonizzazione", "furto di un paese", "genocidio", "apartheid" per descrivere la situazione degli arabi di Gaza e della Giudea Samaria; dopo la manipolazione delle immagini del massacro di musulmani ad opera di musulmani in Siria e Iraq; dopo le false citazioni ultrarazziste di leader israeliani; dopo anni di incitamento all'odio, indottrinamento dei bambini contro gli ebrei e Israele; ecco la "perla" del momento: osano utilizzare le immagini della famiglia Fogel... Una famiglia sterminata a forza di coltellate da fedayn palestinesi, un'intera famiglia decimata: anche un bambino di tre mesi sgozzato tra le braccia di suo padre!
Com'è possibile usare foto di bambini ebrei brutalmente uccisi con un coltello per mettere in piedi un trucco che non si può dire umano al solo scopo di ricoprire ancora una volta di menzogne lo stato ebraico?
(JSS News, 25 luglio 2014) - trad. www.ilvangelo-israele.it
C'è anche un'Italia che odia gli ebrei
L'antisemitismo è ancora tra noi. Ricordo il silenzio dei miei concittadini di fronte alle deportazioni
di Giampaolo Pansa
All'inizio la questione sembrava molto semplice. Dei terroristi legati ad Hamas o arabi sequestrano tre adolescenti ebrei che escono da scuola e li ammazzano. Per ritorsione, un ebreo squilibrato cattura un giovane palestinese e lo uccide. Basta poco per innescare una guerra. Da Gaza le bande di Hamas cominciano a lanciare razzi contro le città di Israele. Sono missili carichi di esplosivo e un congegno ideato da Tel Aviv li distrugge prima che cadano. Ma la pioggia di bombe volanti s'intensifica. Sono sempre più potenti e con una gittata sempre più lunga. Possono colpire anche città molto lontane da Gaza e strutture vitali come l'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Risulta chiaro che, nella striscia di Gaza, Hamas nasconde le rampe di lancio dentro le case dei civili, le scuole, gli ospedali. E tratta gli abitanti da scudi umani.
A questo punto come reagisce Israele? Come qualsiasi stato che veda a rischio l'incolumità della sua gente e la propria stessa esistenza. E costretto ad attaccare la roccaforte di Hamas, per individuare le rampe e i depositi dei missili. E scoprire i tunnel scavati dai terroristi palestinesi per infiltrarsi in territorio israeliano. Siamo di fronte a un'altra guerra che lo stato di Israele deve combattere per non essere annientato. Ma una parte dell'opinione pubblica mondiale non ammette che gli ebrei possano difendersi.
LO SPETTRO
Emerge un vecchio spettro: l'antisemitismo. Esplodono dimostrazioni di piazza, battaglie di strada, aggressioni individuali. Proclami allucinanti ricordano il dramma più nefando per la nostra civiltà: la politica razziale della Germania nazista e lo sterminio degli israeliti tedeschi e di molte altre nazioni, compresa l'Italia.
Chi non ha vissuto o assistito, anche soltanto da bambino, alle deportazioni degli ebrei in tanti campi di morte, primo fra tutti Auschwitz, non può avvertire l'angoscia che provano gli italiani della mia generazione. Oggi in Italia non vediamo ancora i cortei che intossicano Paesi come la Francia, la Germania, l'Olanda. Mi auguro che il nostro Paese resti immune da questo virus disumano. Ma se debbo essere sincero non sono affatto sicuro che da noi non accada nulla. C'è anche un'Italia che odia gli ebrei o resta indifferente alla loro sorte. Esattamente come avvenne alla fine degli anni Trenta, nella fase terminale della dittatura fascista. Qui lo rammenterò in una sintesi estrema. Da bambino il mio mondo era la città dove ero nato e crescevo: Casale Monferrato. Anche qui esisteva un ghetto, la vecchia Contrada degli ebrei, e una sinagoga tra le più belle in Italia. La comunità israelitica era ben inserita nella società cittadina. Vantava commercianti, impiegati, professionisti, medici, insegnanti. Il fondatore della squadra di calcio, il Casale Fbc, i famosi nerostellati, era un professore ebreo che tutti stimavano. Le ragazze del ghetto erano famose per la loro bellezza e molto ricercate come mogli.
Nel 1939 Mussolini varò le leggi razziali. Fu l'inizio della persecuzione. Gli ebrei che avevano incarichi pubblici, come il fondatore della quadra di calcio, vennero licenziati. I professori e gli studenti furono cacciati dalle scuole. Le famiglie che avevano colf o governanti ebree vennero obbligate a mandarle via. I negozi degli israeliti dovettero chiudere. Tanti anni dopo, quando decisi di ricostruire quel che era accaduto, mi resi conto che, a parte qualche caso isolato, la città dei cattolici non batté ciglio davanti a quel disastro.
La mia famiglia viveva nel centro di Casale, in un grande appartamento di un palazzo nobiliare decaduto. Dopo la cena, venivano a trovarci parenti e amici. Gli adulti discutevano di tutto. Del fascismo, del socialismo, del comunismo, della guerra e in seguito dell'armistizio, della Repubblica sociale e dei partigiani. L'opinione più diffusa era vagamente socialista. Andavo per i dieci anni, ma restavo sveglio per ascoltare i grandi. Ebbene non ho mai sentito una parola su quanto accadeva agli ebrei della città.
Quando vennero avviati al lavoro obbligatorio accadde di peggio. Le donne ebree furono mandate in un'industria cartotecnica di Casale. Qui incontrarono delle operaie che non volevano averle accanto. Ringhiavano: «Riportatele nel ghetto, non debbono restare qui con noi!». Andò meglio agli uomini inviati in un'azienda agricola della Cartiera Burgo. Erano quasi tutti signori anziani e venivano da professioni che non prevedevano l'uso della vanga e della pala. Ebbero la fortuna di incontrare dei capi operai comprensivi che tentarono di rendere meno pesante il lavoro.
Ma il peggio lo si vide all'inizio del 1944, il giorno che cominciarono le catture e le deportazioni. In città tutti sapevano che cosa stava accadendo. Mia madre lo apprese dalla famosa Gigin, la portinaia di un casamento di fronte al ghetto. Era stata una ragazza ardente, pronta a passare da un amore all'altro. Da anziana aveva iniziato a lavorare da cartomante. L'unico lusso di mia madre era l'andare spesso da lei per farsi leggere il futuro sui tarocchi.
La Gigin aveva già visto arrestare un'inquilina del palazzo, un'antiquaria molto conosciuta in città. E un paio di mesi dopo era presente quando i poliziotti del commissariato si portarono via la madre ottantenne della stessa signora. La cartomante ne avrà di certo parlato con mia madre, ma in casa nostra non si discusse mai di quelle catture.
L'INDIFFERENZA
E' possibile che i miei genitori abbiano deciso di non dire nulla in presenza dei due figli piccoli. Ma anni dopo mi resi conto che, tranne in pochi casi, l'arresto degli ebrei della città non suscitò reazioni. Dominò l'indifferenza. Il caso più clamoroso fu quello dei ferrovieri alla guida dei treni blindati che partivano dalla stazione di Carpi carichi di ebrei raccolti nel campo di Fossoli, in provincia di Modena.
Sino alla frontiera del Brennero, il macchinista e il fuochista erano italiani. Scendevano dal treno al momento di entrare nel territorio del Reich e lo consegnavano ai ferrovieri tedeschi. Conoscevano di certo il carico che trasportavano: ebrei di ogni età, dagli ottantenni ai bambini e ai neonati, tutti destinati alle camere a gas. Ma la storia dello sterminio non ci consegna nessun gesto di rifiuto o di ribellione. L'unica attenuante era la condizione dell'Italia del centro e del nord: un Paese occupato dall'esercito di Hitler. Dove la minima opposizione poteva costare il carcere o la partenza verso il campo di sterminio. Dopo la fine della guerra, una volta ritornati in Italia, i pochi ebrei sopravvissuti si resero conto di essere stranieri in patria. Gli eroi di quell'epoca erano i partigiani. Dello sterminio non parlava quasi nessuno. L'indifferenza restava un muro difficile da scalfire. Il motivo poteva essere un gigantesco complesso di colpa per la morte di tanti italiani che professavano una religione diversa da quella cattolica?
Mi piacerebbe pensare che fosse così. Ma temo che la causa di quel silenzio fosse l'egoismo che connota tutti gli esseri umani: mi sono salvato io e la tua morte non mi riguarda. Adesso i terroristi di Hamas vorrebbero trasformare Israele in una gigantesca Auschwitz. Tanti di noi stanno a guardare, in silenzio. È chiaro che la storia non ci ha insegnato niente. Prima o poi ne pagheremo lo scotto.
(Libero, 27 luglio 2014)
Le donne soldato di Israele. Per amore e non per guerra
Il lato rosa della divisa. Dalla "rockettara" alla madre di famiglia sono il 35% dei riservisti dell'esercito
di Fiamma Nirenstein
Soldatesse in Israele
GERUSALEMME - In genere suona il basso in una banda rock a Tel Aviv, ma, quando ci vuole, va alla guerra. È una delle molte donne che servono per circa un mese ogni anno, fino a 46 anni, nell'esercito israeliano.
I riservisti mobilitati nell'operazione contro Hamas «Margine di Difesa» sono 60mila. Rina Schogel, 28 anni, sergente di prima classe, è una di loro. L'immagine classica del riservista avvocato, scienziato, panettiere, dentista che molla tutto nel mezzo quando arriva la telefonata e corre al fronte è in genere quella di un maschio.
Ma le donne nell'esercito sono circa il 35 per cento, 92 per cento delle posizioni sono disponibili per le soldatesse compresa quella del pilota di F16. È passato un decennio e mezzo da quando la prima donna «ha preso le ali», come dicono qui con commozione, e adesso, anche se non lo si specifica si sa che le donne che non solo devono ma pretendono, persino, di servire come riserviste sono più del solito. «È una guerra senza scelta», spiega Rina, «ho lasciato i gruppi in cui suono e i miei amici anche se così ho perso molte serate di lavoro perché ciò che ho imparato nei miei due anni di militare è di utilità assoluta adesso, in una guerra in cui tutta la popolazione, e specialmente la parte più debole, è attaccata. Voi giornalisti non andate con le macchine da presa dagli etiopi e dai vecchi russi isolati: lo facciamo noi. Quando suona la sirena, quasi non sanno di cosa si tratta, nessuno gli parla...». E allora lei cosa fa? «Gli do spiegazioni nella loro lingua, mi addentro nei quartieri poveri, abbraccio e spiego ai bambini in stato di shock, gli insegno cosa devono fare quando arrivano i missili». Rina è specializzata nella definizione e nella conta dei danni, e sa fungere da nesso fra la gente che si trova, per esempio, in un crollo, e le organizzazioni addette al salvataggio; sa valutare e spiegare il danno, sa valutare secondo le condizioni (l'ora, il luogo, il tipo di abitanti) il danno alla popolazione.
«Certi vecchietti ci vedono arrivare durante i bombardamenti e non capiscono bene: ci vogliono dare del cibo, persino del denaro. Penso che abbiamo tolto dall'isolamento tante persone, in particolare tanti Etiopi. Non avrei mai detto che tanti ancora non parlano la nostra lingua, che vivono dove non si sente la sirena». Ma Hamas li odia esattamente come odia Rina che è in divisa, solo perché sono ebrei, e Rina li guida per la mano e insegna loro come salvarsi. Ci sono donne che hanno insistito ad andare nel Miluim, le riserve, anche con la pancia, come Liat Bilinsky, un ufficiale, che spiega: «Quando arriva, tu vuoi esserne parte, aiutare il tuo popolo. Meglio adesso, quando ancora il bambino non c'è, dopo non so se avrei potuto». Altre, con i bambini piccoli, passano il ruolo materno al marito: «Meno male che c'è Gonen», dice Lee Betzer, graziosa capitano 36enne mentre, in questo giorno di tregua, porta Dana di 12 anni e Elà, di 4, a fare una passeggiata. La sera deve rientrare alla base: si accinge ad acquietare ancora una volta Elà che è sicura che la mamma morirà. Anzi, no, tornerà presto, e il papà comunque le farà le cotolette. «Vuole capire il mio compito? Glielo racconto alla rovescia: ieri mi sono trovata per la prima volta dall'altra parte della barricata. Ero con le bambine in macchina quando è suonata la sirena, siamo scese, la piccola piangeva, abbiamo invano cercato rifugio, ci siamo sdraiate per terra con le mani sulla testa, dovevo spiegare e tenerle tranquille. Erano in stato di choc. In quei casi occorre qualcuno dei miei soldati: noi aiutiamo la popolazione a fronteggiare la situazione, aiutiamo i civili in stato di panico. Noi entriamo nelle case il cui tetto è stato sfondato dai missili, nei giardini bruciati, nelle fabbriche distrutte. Lei non sa cosa voglia dire entrare in un pollaio industriale dove tutti gli animali sono stati uccisi da un missile: occorre raccoglierli, seppellirli. In genere la popolazione è protetta dai rifugi e dal sistema antimissili, ma il Paese soffre tanto». Per Lee non è facile lasciare la casa mentre le bambine sono in stato di choc: «Ma tutti i bambini lo sono, e io devo aiutare il mio popolo». Lee ha ancora pochi giorni di servizio e cerca di fare i turni di notte per scappare di giorno dalle bambine. «È stata bella questa giornata di tregua. Noi soldati non diamo giudizi politici ma dopo 18 anni nell'esercito adesso vorrei rivedere i miei compagni dopo un paio d'anni di pace». Rina non ci crede: «I nostri nemici non vogliono parlare, la loro è una guerra ideologica senza remissione.
E ci aspetta a ogni angolo, non solo a Gaza» sospira pensando al lancio di sassi e agli spari dei giorni scorsi a Gerusalemme, dove è andata a trovare i genitori. «Non conosco un solo soldato, uno solo fra tutti i miei amici, che voglia fare del male, uccidere, fare la guerra. Spero sempre, invano, che dall'altra parte ci sia chi se ne rende conto».
(il Giornale, 27 luglio 2014)
Israele non cada nel tranello. Le «pause» allungano le guerre
Ipocrisia umanitaria
di Gianandrea Gaiani
L'ipocrisia della "tregua umanitaria" è un rito buonista che si ripete in ogni conflitto. A Gaza gli israeliani hanno accettato lo stop delle operazioni militari per 12 ore come il minore dei mali rispetto a una tregua prolungata che vanificherebbe gli sforzi compiuti finora e costati la vita a 40 militari di Tsahal e forse a un migliaio di palestinesi tra i quail è impossibile discriminare tra civili e combattenti. Vale la pena notare che la "tregua umanitaria" imposta a Gerusalemme dagli USA è stata in passato respinta proprio da Washington quando le sue truppe erano all'offensiva in Serbia, Afghanistan e Iraq con la giustificazione di non dare respiro all'avversario. Il paradosso della guerra che "risparmia" il nemico invece di annientarlo è una delle cause del crollo di credibilità militare dell'Occidente, incluso Israele.
Per ridurre la pressione intemazionale lo Stato ebraico effettua addirittura "bombardamenti umanitari" avvisando con volantini, altoparlanti e persino sms la popolazione palestinese che determinate aree verranno attaccate. Svelando dove colpiranno gli israeliani rinunciano alla sorpresa e le milizie palestinesi hanno tutto il tempo di ritirarsi (mischiandosi ai civili utilizzati come scudi umani) lasciandosi dietro mine e trappole esplosive che sono la principale causa delle perdite israeliane. Quando le guerre si combattevano per davvero colpire la popolazione contribuiva a minare il morale del nemico e a demolire il consenso nei confronti dei regimi e delle leadership. Questo era lo scopo nel 1940-45 dei bombardamenti aerei su Coventry, Amburgo, Dresda, Tokyo. Prima di portarci democrazia, cioccolata, collant e swing gli anglo-americani bombardarono le città italiane mietendo decine di migliaia di vittime ma ciò nonostante li abbiamo accolti come "liberatori". Oggi che in Afghanistan usiamo i guanti di velluto continuiamo a venire percepiti come Invasori" per giunta inconcludenti dal momento che a fronte dei limitati danni collaterali non siamo riusciti a sconfiggere i talebani e dopo dodici anni ci ritiriamo con la coda tra le gambe.
Le guerre di un tempo erano più sanguinose ma alla loro conclusione vincitori e vinti erano ben chiari. Aveva ragione Edward Luttwak quando nel saggio "Give war a chanche" accusava le cosiddette "missioni di pace" di impedire ai conflitti di concludersi prolungando all'infinito l'instabilità e del resto la cultura buonista applicata alla guerra ha fatto molti danni, al punto che agli attacchi nemici un tempo si replicava con la massima concentrazione di fuoco, o con la "risposta proporzionata". Se Israele non andrà fino in fondo, riconquistando la Striscia di Gaza e annientando le milizie palestinesi, le vittime registrate finora su entrambi i lati della barricata saranno state inutili e Hamas potrà ricostruire in breve tempo tunnel e arsenali di razzi prolungando all'infinito una guerra che potrebbe venire risolta in meno di una settimana con un uso più determinato della forza. Certo più sanguinoso ma risolutivo.
Del resto le guerre combattute in punta di piedi non portano a vittorie durature. La rivolta contro gli americani nell'Iraq "liberato" da Saddam Hussein non sarebbe stata possibile nella Germania del 1945 per la semplice ragione che quasi tutti i tedeschi in età per combattere erano morti, feriti, prigionieri o invalidi. I tanti fans del raìs risparmiati dalla guerra "politicaily correct" del 2003 hanno dato una mano ai qaedisti a trasformare il nord dell'Iraq nel Califfato.
(Libero, 27 luglio 2014)
Buonismo in guerra. Una serie interessante di "riti buonisti" è descritta in una gustosa poesia del poeta romanesco Trilussa in cui si immagina un "Re umanitario" che sta per dichiarare guerra al suo vicino, ma vuole rassicurarlo elencandogli tutte le precauzioni che ha preso al fine di garantire il livello minimo di "civirtà moderna".
La guerra, come vedi, è necessaria:
ma, date l'esiggenze der progresso,
bisognerà che unisca ar tempo istesso
la civirtà moderna e la barbaria,
in modo che l'assieme der macello
me riesca più nobbile e più bello.
D'accordo cor dottore pensai bene
de fa' sterilizzà le bajonette
perché er sordato venga fatto a fette
a norma de le regole d'iggene,
e a l'occasione ciabbia un lavativo
pieno de subblimato corosivo.
Pe' fa' in maniera ch'ogni schioppettata
se porti appresso la disinfezzione
ho fatto mette ne la munizzione
un pezzo de bambace fenicata:
così, cor necessario de la cura,
la palla sbucia e la bambace attura.
Palestinesi: «Gli arabi ci hanno traditi. Ancora una volta»
Di tanto in tanto, i palestinesi si ricordano che molti arabi non si curano di essi e dei loro problemi. L'indifferenza araba e il silenzio nei confronti dell'attuale guerra fra Hamas e Israele ricorda ancora una volta ai palestinesi del disprezzo dei loro fratelli arabi.
Non che i palestinesi si aspettassero che gli stati arabi inviassero gli eserciti per combattere Israele, impedendo all'IDF l'invasione di terra della Striscia di Gaza. Ne' tantomeno i palestinesi si aspettavano che i governi arabi inviassero denaro e beni di prima necessità alle famiglie che abitano nella Striscia di Gaza....
(Il Borghesino, 26 luglio 2014)
A Gaza nei tunnel di Hamas. Scenari da incubo
Hamas voleva infiltrare in Neghev centinaia di terroristi
''Hamas avrebbe potuto far passare da questo tunnel scavato fin nel territorio israeliano decine di terroristi, forse anche centinaia, prima che ne avessimo trovato l'apertura. La sua scoperta ha sventato un attentato di grande portata'': Lo ha affermato un ufficiale dell'esercito israeliano, il colonnello Max, conducendo nelle vicinanze del Kibbutz di Nir-Am (Neghev occidentale) un pool di giornalisti stranieri all' interno di uno dei tunnel scavati da Hamas sotto ai reticolati di confine ai margini della Striscia di Gaza. ''Finora - ha proseguito l'ufficiale - Israele e' riuscito a scoprire oltre 30 tunnel, con 100 aperture diverse''. Secondo il quotidiano Maariv, Hamas progettava di lanciare una vasta offensiva alla fine di settembre, in occasione del Capodanno ebraico.
In quella circostanza centinaia di palestinesi armati sarebbero sbucati all'improvviso dal terreno, attaccando sei localita' israeliane di confine. Il loro compito era di seminare la morte e di catturare numerosi civili da portare come ostaggi nella Striscia. Una delle localita' che, secondo Maariv, sarebbero state attaccate da Hamas era appunto il kibbutz di Nir-Am, di fronte alla popolosa cittadina palestinese di Khan Yunes, nel Sud della Striscia. La scoperta dello sbocco del tunnel nel Neghev, ha spiegato il colonnello alla stampa estera, e' avvenuta due mesi fa, in seguito ad una intensa attività di intelligence.
Giorni fa militari israeliani entrati nella Striscia sono riusciti ad indentificarne anche il punto di partenza, a tre chilometri di distanza, in una serra di Khan Yunes. Il tunnel e' stato scavato ad una profondita' di 13 metri sotto terra. La sua altezza e' 1,75 metri, la larghezza di 70 centimetri: consente il rapido passaggio di un combattente armato. Le pareti sono coperte da lastre di cemento. Di cemento sono pure il pavimento ed il soffitto a forma di volta. Lungo le pareti corrono fili elettrici, mentre sul pavimento vi sono binari utilizzati per lo smaltimento del terriccio. Il suo costo e' stimato da Israele sui 3-4 milioni di shekel: 600-800 mila euro. ''Quando abbiamo scoperto questo tunnel - ha detto il col. Max - Hamas ci stava ancora lavorando''.
Erano arrivati a poco piu' di un chilometro da Nir-Am. Adesso l'esercito e' impegnato nella distruzione di questa rete di tunnel, ma si tratta di una operazione rischiosa che va condotta con circospezione. I soldati che nella striscia di Gaza cercano le aperture dei tunnel sono esposti al fuoco di cecchini, dell'artiglieria palestinese, di ordigni o di razzi anti-carro. All'interno dei tunnel, inoltre, potrebbero nascondersi ancora combattenti palestinesi; oppure potrebbero celarsi cariche esplosive. L'ufficiale ha spiegato che per Israele non e' sufficiente demolire le imboccature dei tunnel. Occorre invece distruggerne l'intero tragitto, senza pero' che vi entrino i soldati. Vengono cosi' compiute trivellazioni e dai fori viene introdotto il materiale esplosivo necessario. Dove possibile, i tunnel sono bombardati dall'aviazione. Finora solo sette sono stati messi fuori uso. Per neutralizzare i rimanenti, al ritmo attuale, occorrerà ancora una settimana.
Smettiamola con i bambini: i bambini in guerra muoiono come chiunque altro, perché la guerra è orrenda. Sono morti e muoiono dappertutto, i bambini: a Belgrado e in Kosovo, in Iraq e in Siria e ovunque si combatta una guerra. Ne sono morti molti anche a Dresda, sotto i bombardamenti alleati che hanno piegato Hitler, e a Hiroshima e Nagasaki, dove le atomiche americane hanno portato la pace nel Pacifico. Dunque il problema non è se muoiono i bambini, ma se è giusta la guerra.
I media italiani sono quasi tutti totalmente subornati alla propaganda di Hamas, che sfrutta cinicamente le vittime civili - molte delle quali sono letteralmente costrette dai terroristi a restare nelle case o a salire sui tetti - per muovere a pietà l'Occidente.
I nostri media ogni giorno si prestano alla pornografia della morte, ogni giorno titolano in prima pagina sui morti innocenti: così l'attenzione non è più sulle ragioni della guerra, sul terrorismo di Hamas, sull'offensiva fondamentalista islamica che da Mosul a Gaza ha come obiettivo i valori e le libertà dell'Occidente, ma sui bambini, decontestualizzati e angelicati nel pantheon delle emozioni mediatiche: e chi non inorridisce di fronte a un bimbo morto ammazzato?
I nostri media non osano scrivere che Israele uccide senza scrupoli, ma probabilmente lo pensano e di sicuro vogliono farcelo credere. Giocano con i sentimenti e ricattano ogni giorno i lettori: da una parte ci sono i bambini morti, e dall'altra c'è - senza dirlo mai esplicitamente, per paura e vigliaccheria - un esercito spietato, un governo spietato, uno Stato e un popolo spietati.
Israele non è spietato. Non è neanche guerrafondaio: non lo è mai stato. Tutte le guerre che Israele ha dovuto combattere dal 15 maggio 1948, cioè dal giorno della sua nascita, sono state e sono guerre di difesa. Ogni volta che Israele è stato costretto a prendere le armi e a versare il sangue dei suoi figli, è perché ha subito un attacco mortale. Questa guerra non è diversa: Hamas, attraverso i tunnel e con i razzi, ha colpito e colpisce Israele, e Israele non ha altra scelta che difendersi.
Di tutto questo ai media italiani importa molto poco. La guerra è uno spettacolo, e più grande è l'orrore più il pubblico accorre. I bambini morti commuovono e lo sdegno assolve la coscienza: e che importa se Hamas ha scritto nel suo statuto che Israele va cancellato dalla carta geografica, o che nascondere i razzi nelle scuole e negli ospedali è un crimine contro l'umanità, o che i tunnel con aria condizionata costruiti per ammazzare i cittadini israeliani potrebbero accogliere i civili palestinesi durante i bombardamenti e ridurre a zero le vittime.
Così monta nell'opinione pubblica un'ondata molto pericolosa, che comincia col distinguere dottamente fra gli ebrei - una specie di idea platonica da commemorare compunti nel Giorno della Memoria - e il governo di Israele, poi s'allarga allo Stato ebraico nel suo insieme, la cui stessa esistenza è considerata un'anomalia, e infine sfocia nell'antisemitismo esplicito, nell'assalto ad una sinagoga a Parigi o nelle botte ai calciatori del Maccabi Haifa in Austria. Di questo l'informazione porta una responsabilità pesante, di cui prima o poi dovrà rendere conto.
Criticare Israele non è antisemitismo: lo fanno molti ebrei e lo fanno molti israeliani (non altrettanto si può dire dell'altra parte). Ma dipingere giorno dopo giorno Israele come un mostro, speculando sui sentimenti più elementari dell'opinione pubblica e rifiutandosi di illustrarne le molte ragioni, produce nel tempo un diffuso e pericoloso sentimento antiebraico, tanto più intollerabile quanto più è evidente che Israele, in questa come in tutte le altre guerre, è la vittima.
Israele ha il diritto di continuare a combattere fino a che l'ultimo tunnel e l'ultimo razzo di Gaza non saranno annientati (o fino a quando Hamas non annuncerà il disarmo unilaterale), perché ha diritto ad esistere. Che altro dovrebbe fare, che altro potrebbe fare Israele per fermare la guerra? L'unica opzione che il terrorismo palestinese gli offre è scomparire. L'unica scelta che ha è difendersi. Chi non comprende a fondo questo punto, chi specula sui morti innocenti e si nasconde, naturalmente in nome della "pace", dietro un'ammiccante equidistanza, fa la parte dell'utile idiota di Hamas. E una scelta legittima, ma bisogna saperlo e assumersene la responsabilità.
(Europa, 26 luglio 2014)
Articolo magistrale sotto tutti i punti di vista. Dice in modo sintetico e chiaro ciò che dovrebbe essere ovvio a tutte le persone oneste e di buon senso, ma che così non è perché la semplice e onesta ovvietà oggi è merce rara, soprattutto quando si parla di Israele. Un sincero grazie all’autore e un invito a tutti a diffondere questo articolo in tutti i modi possibili. M.C.
"Siete peggio degli ebrei!"
Siete peggio degli ebrei!
"Siete peggio degli ebrei!" urla una donna palestinese agli sgherri di Hamas a Gaza che stanno bastonando a tutto spiano i presenti nella strada. Insulto gravissimo, tanto che un uomo vicino a lei esclama trasecolato: "Ma che dici? non dire che siamo ebrei!" Un altro però grida agli sgherri dalla porta: "Per questo siete pagati!"
Scene come queste si vedono in un sito in ebraico, segnalatoci poco fa, in cui si trova un video con sottotitoli e commento audio in tedesco. Si vedono sgherri di Hamas, come si sa movimento islamico molto pio, bastonare palestinesi nella strada perché si rifiutano di entrare nella moschea. "Le moschee sono vuote, muovetevi - dice un bastonatore incaricato da Hamas - prendete i vostri tappetini e entrate! Vi giuro che se non lo fate vi prenderò a bastonate tutti, uno per uno". Tutto questo perché Hamas ha vietato ai cittadini di pregare per la strada. Nel video si vedono invece islamici che eseguono i loro rituali di preghiera sul marciapiede. Non vogliono entrare in moschea perché evidentemente sanno benissimo che le moschee sono usate come deposito di armi e base di lanci e quindi sono obiettivo di attacchi da parte dell'esercito israeliano. Un palestinese arrabbiato dice che anche lui è un credente e che "siamo tutti uguali". Ma quelli che protestano come lui sono arrestati.
E quando una folla si raduna per protestare contro l'arresto di un uomo, i poliziotti - dice il commento audio - estraggono le armi e uccidono un certo numero di persone (dall’audio sembra che siano almeno otto). Il commentatore conclude: "Hamas ha raggiunto il punto più in basso della sua storia, tanto che molti palestinesi cominciano a chiedersi come può governare un movimento che per difendere il suo potere arriva ad uccidere altri palestinesi".
Questo è quello che si può ricavare dal video commentato, che a un certo punto si interrompe bruscamente. Se altri hanno notizie più precise in merito, saremmo ben lieti di venirle a conoscere e diffonderle. Questo è il link.
(Notizie su Israele, 26 luglio 2014)
Israele-Hamas, tregua limitata. Reggerà? Tsahal ammonisce: civili, via dalle case
Dalle 7 di mattina (le 8 in M.O.) cessate-il-fuoco umanitario di 12 ore, al termine di una nuova notte di scontri che registra altri ventitré palestinesi (4 bambini) e due militari israeliani morti. No di Netanyahu in serata alla proposta del segretario di Stato americano John Kerry di interrompere le ostilità per una settimana. Summit diplomatico a Parigi: con Fabius il ministro Federica Mogherini, Kerry, Catherine Ashton per l'Ue e i ministri degli Esteri britannico, tedesco, turco e del Qatar
GERUSALEMME - Due soldati israeliani sono stati uccisi ieri durante i combattimenti a Gaza. Lo ha annunciato oggi l'esercito di Gerusalemme. Il bilancio dei militari di Tsahal morti dall'inizio degli attacchi dell'operazione Margine Protettivo sale così a 37. E ventitré palestinesi, tra cui quattro bambini, e un operatore sanitario che stava aiutando le vittime delle bombe sono stati uccisi durante un raid aereo israeliano e in un cannoneggiamento di tank a Khan Younis, a sud della Striscia. Lo hanno riferito i soccorritori. In particolare, il fuoco dei carri armati di Tsahal ha annientato un'intera famiglia di diciotto persone, compresi quattro bambini, rimaste intrappolate nella loro abitazione a Khuzaa, villaggio alla periferia sud-orientale, situato nel settore meridionale dell'enclave a circa 500 metri dalla frontiera.
Una ventina di persone sono rimaste ferite nell'attacco, avvenuto poche ore prima dell'entrata in vigore di un cessate-il fuoco umanitario di 12 ore, dopo che il governo di Bibi Netanyahu ha accettato solo parzialmente la proposta di tregua di una settimana avanzata dal segretario di Stato americano John Kerry.
Nella notte poi in altri scontri con l'esercito israeliano, sono deceduti due palestinesi di 16 e 18 anni, il primo in un villaggio a sud di Betlemme, l'altro ad un checkpoint a Jalama, in Cisgiordania. Lo hanno riferito fonti della sicurezza palestinese, e questo porta verso quota 900 il numero dei morti arabi nell'offensiva terrestre. E a Gerusalemme est le forze di sicurezza israeliane, documenta un fotografo dell' Afp, hanno aperto il fuoco rispondendo al lancio di sassi, bastoni e altri oggetti.
Dunque, da Betlemme ad Hebron a Gerusalemme, si sono replicate scene da nuova Intifada durante la notte immediatamente precedente all' annunciata tregua di 12 ore.
Per quanto riguarda il ceasefire, in un comunicato, Idf cioè Tsahal, le forze armate israeliane, conferma la "finestra umanitaria nella Striscia di Gaza dalle 8 alle 20" di oggi, dettandone alcune condizioni. "I civili di Gaza ai quali è stato chiesto di lasciare le proprie case dovranno astenersi dal farvi ritorno", e "l' esercito risponderà se i terroristi tenteranno durante questo periodo di approfittarne per attaccare i soldati o sparare su civili israeliani". "Durante la tregua - aggiunge la nota - le attività operative per localizzare e neutralizzare i tunnel della Striscia di Gaza proseguiranno".
(RaiGiornaleradio, 26 luglio 2014)
Gal Gadot su Fb: "Israele, vinceremo!"
Il messaggio a sostegno dell'impresa militare di Netanyahu ha ricevuto 120mila "mi piace". Sulla bacheca della nuova star femminile di "Batman v Superman: Dawn of Justice": "Hamas si sta nascondendo come un codardo dietro donne e bambini".
Gal Gadot
Un post su Facebook in cui si schiera con forza per il suo Paese in relazione al conflitto nella Striscia di Gaza. Polemiche sull'attrice e modella israeliana Gal Gadot, futura Wonder woman nel prossimo film "Batman V Superman", a causa di un post sui social network in cui dichiarava apertamente la sua posizione nel conflitto israelo palestinese. "Mando il mio amore e le mie preghiere ai miei concittadini israeliani. Specialmente a tutti quei ragazzi e quelle ragazze che rischiano la loro vita proteggendo il mio Paese contro gli atti orrendi condotti da Hamas", si legge sulla bacheca della modella.
Nel post di Gal Gadot, l'attrice sottolinea che "Hamas si sta nascondendo come un codardo dietro donne e bambini. Dobbiamo vincere! Shabbat Shalom!", conclude il messaggio, che ha ricevuto in 16 ore quasi 120mila "mi piace"e oltre 2.600 condivisioni. Gal Gadot, nata nel 1985 in Israele, è nota non solo per i ruoli come attrice, ma anche per essere la modella per la principale catena di abbigliamento israeliana, Castro. Al cinema, ha avuto successo soprattutto per aver recitato in tre episodi della serie "Fast and furious", mentre interpreterà Wonder Woman in "Batman v Superman: Dawn of Justice" con Ben Affleck.
(il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2014)
Continua la vergogna del Comune di Palermo
La bandiera palestinese sventola a Palazzo delle Aquile
di Walter Giannò
Ci risiamo. Il Comune di Palermo ha deciso di rafforzare la propria posizione ideologica nel drammatico scontro tra Israele e Hamas con le bandiere palestinesi che sventolano a Palazzo delle Aquile, sede dell'amministrazione.
Il 9 luglio scorso, infatti, accusammo duramente il sindaco Leoluca Orlando per aver bollato come "massacro" l'operazione militare di Israele contro Hamas, senza esprimere la benché minima indignazione contro il lancio dei razzi del Movimento Islamico di Resistenza e l'utilizzo dei civili come "scudi umani".
E stamattina, quindi, Palermo s'è svegliata con le bandiere palestinesi nel palazzo più rappresentativo della città. Ergo, Israele è il cattivo.
Indignato, ho inviato un tweet all'assessore Giusto Catania, fervido difensore della causa palestinese, da cui è scaturito questo botta & risposta:
Giusto Catania: «#Palermo bandiera Palestina sulla facciata Palazzo di città. Con la popolazione di Gaza, con la Palestina nel cuore. pic.twitter.com/99C8umZsvd».
Io: «@GiustoCatania Non rappresentate me dal punto di vista politico ma amministrativo. Avete chiesto a tutti i palermitani se sono d'accordo?»
Giusto Catania: «@waltergianno pensi che ci siano palermitani d'accordo col massacro della popolazione civile di Gaza? Se ci sono non voglio rappresentarli»
Io: «@GiustoCatania "Massacro", Israele boia. Posizione ideologica. Perché mai una condanna dei razzi di Hamas? Solo perché non fanno morti?».
Stop. L'assessore non ha replicato.
Sì, perché è questo il punto.
Premesso che il Comune dovrebbe concentrarsi su come togliere l'immondizia dalle strade della città e trovare soluzioni alternative al traffico sempre più crescente per via dei cantieri, eccetera, eccetera, sarebbe stato più opportuno che Leoluca Orlando & CO. si fossero prodigati per la "PACE" senza essere né filopalestinesi né filoisraeliani ma magari fautori del più legittimo "Due Popoli, Due Stati, Una Capitale", facendo sventolare di conseguenza la bandiera con i colori dell'arcobaleno e non quella palestinese.
Invece, no. Il Comune ha deciso di sostenere le ragioni palestinesi e di condannare, senza se e senza ma (e nascondendo così le vere ragioni per cui Hamas sta fronteggiando Israele, che vanno al di là della difesa degli interessi dei "civili"), gli israeliani, arrogandosi il diritto di espandere il proprio pensiero a quello dell'intera città.
E in questo è senza dubbio aiutato dal fatto che in città è molto più forte la componente araba che quella ebraica (pressoché assente), potendo così contare sul beneplacito e la contentezza della prima (magari anche politica e elettorale).
Una vergogna che va sottolineata, diffusa e - perché no - comunicata ai destinatari delle implicite invettive dell'amministrazione comunale.
(CronoPolitica.it, 26 luglio 2014)
"Torno fra i Golani, i miei uomini"
di Ada Treves
Favorevoli all'indipendenza dello Stato di Israele sin dalla prima ora, i drusi servono regolarmente nell'esercito israeliano, ma il Colonnello Generale Rasan Alian è stato il primo a diventare comandante della Brigata Golani. Bisogna ricordare che la dottrina dei drusi è complessa e accoglie elementi dell'islamismo, dell'ebraismo, dell'induismo e del cattolicesimo, e il loro essere così anomali li ha resi vittime di numerosi periodi di persecuzioni, soprattutto da parte dei sunniti. Una vera e propria etnia, con numeri in diminuzione, che si incontra in Libano, nella Siria meridionale e in Israele, dove l'integrazione è totale. E che sia un druso a guidare la Brigata Golani, una delle unità di fanteria più decorate dell'esercito, è un segnale forte e bello di unità nazionale e di integrazione, prezioso in questi tempi cupi.
A colpire sono anche la determinazione e l'assoluta fermezza del Colonnello, che è stato ferito in azione. Ricoverato per qualche giorno, ha raccontato di essere stato ferito da una granata. "Un RPG, una granata con propulsione a razzo, è esplosa a pochi metri da me. Ma sto bene, sono solo pochi graffi". Graffi, forse, ma lo hanno obbligato ad abbandonare il campo e ad essere trasportato d'urgenza verso il primo ospedale da campo disponibile. Pochi giorni stava già fremendo: "Sono rimasto in contatto con i miei uomini, ovviamente, e tra pochissimo tornerò al comando delle mia divisione. Dobbiamo muoverci e arrivare il più rapidamente possibile a completare l'obiettivo."
"La Brigata che ho l'onore di comandare è formata da uomini coraggiosi, abbiamo uno spirito forte, e anche se ognuno di noi soffre per le ferite dei compagni non ci lasciamo fermare, né rallentare nella nostra lotta al terrorismo."
Distruggere i tunnel che hanno trasformato il sottosuolo di Gaza in una rete di cunicoli che permettono di arrivare in territorio israeliano per azioni terroristiche, e debellare Hamas: questi gli obiettivi dell'esercito israeliano, che quest'uomo tutto d'un pezzo ha fatto suoi. Nulla pare poterlo fermare e la sua priorità è tornare in battaglia. "Fra poche ore spero di essere di nuovo a Gaza, con i miei uomini", queste le parole di un uomo che è stato ferito ma non si arrende, parole del Colonnello Generale Rasan Alian, comandante della Brigata Golani, druso, israeliano.
(moked, 25 luglio 2014)
Sotto il lancio di razzi da Gaza, non si fermano gli aiuti umanitari israeliani
Comunque aperti i valichi di confine, allestito un ospedale da campo
In collaborazione con la Mezzaluna Rossa, le Forze di Difesa israeliane hanno aperto un ospedale da campo al valico di Erez, al confine con la striscia di Gaza, per curare i palestinesi feriti nella striscia di Gaza. L'ospedale da campo comprende pronto soccorso, laboratorio, farmacia, unità pediatrica, clinica ambulatoriale, unità ostetrico-ginecologica, unità di medicina interna ed è attrezzato per curare decine di pazienti, soprattutto donne, bambini e anziani. I feriti che richiedono cure ulteriori vengono trasferiti in ospedali all'interno di Israele....
(israele.net, 25 luglio 2014)
Non può morire qualche israeliano in più?
di Giulio Meotti
Manifestazioni antisraeliane in tutte le città d'Europa, assalti alle sinagoghe, interrogazioni parlamentari, titoli e immagini in prima pagina su giornali e telegiornali, appelli radio a sparare ai sionisti. Ormai è chiaro che all'opinione pubblica non interessa se un tank israeliano si ferma di fronte a un terrorista di Hamas con in braccio i suoi figli. Non gli interessano i video dei piloti israeliani che abortiscono una missione se sotto hanno dei civili (il generale inglese Kemp ha detto che nessuno al mondo ha standard etici così elevati in guerra come Israele). Non vuole sentir parlare di missili stipati nelle scuole con la bandiera dell'Onu. Non interessa sapere il numero di missili lanciati da Hamas, chi li paga, chi paga il cemento usato per i tunnel della morte, le ong subdole, la doppia morale, l'odio antisemita, l'islam politico. Per il mondo, Israele è il capro espiatorio. Gli ebrei sono semplicemente ingiusti. Non puoi placare questa follia. E' come un virus. Ed è un virus che ha contagiato anche giornalisti che pretendono di essere terzi. Allora mi viene un dubbio: non è che il mondo si sentirebbe meglio se un po' di israeliani in più si lasciassero uccidere, giusto per pareggiare i conti? Siamo sempre al vecchio mercante di Venezia di Shakespeare, Shylock che chiede "una libbra della vostra bella carne da tagliarsi e da prendersi in quella parte del vostro corpo che a me piacerà".
(Il Foglio, 25 luglio 2014)
“Allora mi viene un dubbio: non è che il mondo si sentirebbe meglio se un po' di israeliani in più si lasciassero uccidere, giusto per pareggiare i conti?”
La risposta è.... sì. Il mondo si sentirebbe meglio. O meglio, è convinto che starebbe meglio e per questo prova fin d’ora una sensazione di benessere al pensiero, per questo non si commuove, anzi interiomente si compiace di ogni ebreo morto in più, ma la realtà successiva sarebbe un’altra. È sempre stato così nella storia e sempre sarà così anche in seguito. L’ultima esperienza di importanza storica mondiale è quella dei tedeschi di Hitler, l’ultima di importanza politica regionale è quella dei palestinesi di Gaza. Si sentivano meglio quando riuscivano ad ammazzare qualche ebreo in più, e infatti si rallegravano e festeggiavano: adesso sperimentano che alla fine si sta peggio. Quello che sta avvenendo ai gazani è una parabola dal vivo che dovrebbe essere un avvertimento per il mondo, ma non sembra che sia così. “Io benedirò chi ti benedirà e maledirò chi ti maledirà” (Genesi 12:3). “Salvatevi da questa perversa generazione” (Atti 2:40). M.C.
Allarme in Norvegia, musei ebraici chiusi
Autorità mettono in guardia su possibile "imminente" attacco.
I musei ebraici in Norvegia sono rimasti chiusi oggi dopo l'allarme lanciato ieri dalle autorità del Paese che hanno messo in guardia sulla possibilità di un "imminente" attacco terroristico da parte di individui provenienti dalla Siria. La comunità ebraica potrebbe rientrare tra gli obiettivi dei militanti islamici radicali, anche alla luce dell'attacco avvenuto a maggio al museo ebraico di Bruxelles. I musei ebraici norvegesi riapriranno al pubblico da martedì.
(ANSA, 25 luglio 2014)
Hamas aveva progettato una grande strage
Secondo quando riferisce il sito web israeliano NRG, dagli interrogatori fatti dall'IDF ai terroristi di Hamas presi prigionieri sarebbe emerso un piano di Hamas davvero orribile: compiere una grande strage durante la festa del Rosh Hashanah, il capodanno ebraico.
Il piano era di far entrare in Israele attraverso i tunnel almeno 200 terroristi per ognuno dei tunnel. I miliziani di Hamas avrebbero dovuto approfittare della festa di Rosh Hashanah, durante la quale molti militari tornano a casa e la tensione è molto allentata, per introdursi nei kibbutz lungo la frontiera, uccidere decine di persone e rapire quante più persone possibili. Il piano è stato sventato dall'inizio della guerra e dalla conseguente distruzione dei tunnel.... (Right Reporters, 25 luglio 2014)
Onu e Stati canaglia contro Israele. I dubbi sulla strage della scuola
Anche l'Italia, astenendosi, si accoda alla stessa infame compagnia che nel 2009 a Durban attaccava Gerusalemme. Sull'istituto colpito responsabilità, diretta o indiretta, è solo di Hamas.
di Maria Giovanna Maglie
Navi Pillay
Perché l'Italia si è astenuta mentre l'ignobile commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la razzista sudafricana Navi Pillay, quella che ha fatto la scalata di incarichi con Durban II e pure III, accusava Israele di crimini di guerra? In che mani è la politica estera italiana? Renzi, Mogherini, Pistelli e compagni hanno capito il livello di rischio, qualcuno li ha infondati che un altro 11 Settembre è alle porte? Comprendono che l'operazione difensiva non può essere fermata finché Hamas non consegna i missili e libera i tunnel, perfino a costo di tomare nella striscia di Gaza che Ariel Sharon lasciò nel 2005 ai palestinesi? L'Italia che sapeva da che parte stare, nel 2009 a Durban, conferenza internazionale che aveva per unico scopo la condanna di Israele, non ci andò, lasciando a Francia, Germania, Inghilterra, la figuraccia di doversi alzare e lasciare la sala in cui Ahmadinejad, il tiranno ayatollah ospite d'onore, proclamava che l'Olocausto è una menzogna. Oggi quell'astensione ai proclami di una pazza che fra un mese per fortuna va a casa - ma al peggio non c'è fine quando si tratta di quel circo del terzomondismo che si chiama Nazioni Unite, e il rappresentante giordano appena nominato potrebbe riservare sorprese amare - pesa come un assenso.
Con chi sta l'Italia? Hamas usa scuole, ospedali e abitazioni private come postazioni di lancio per i razzi diretti contro Israele, li inzeppa di armi di ogni genere, ci scava tunnel destinati a invadere Israele, soprattutto ci infila a forza civili in quantità, in testa bambini e donne, e aspetta che il bombardamento annunciato da Israele arrivi. E tanto triste, brutale, agghiacciante, quanto semplice da capire, non fosse che l'Occidente di spirito anti israeliano si è sempre nutrito fingendo che nulla abbia a che fare con l'antisemitismo che lo ispira e rinfocola. Ultimo episodio: le forze di sicurezza di Tsahal hanno bombardato una scuola delle Nazioni unite a Gaza adibita a rifugio dei profughi palestinesi. Non è neanche detto che il missile non sia di Hamas. Ma anche se a lanciarlo si dimostrasse che è stato l'esercito israeliano, chiamiamo le vittime in modo appropriato: "scudi umani" per intimorire Israele. Hamas combatte in aree urbane e ordina ai civili di non abbandonare le proprie case in questi giorni, ignorando gli avvisi delle forze israeliane, perché in questo modo trae vantaggio dall'aumento delle vittime innocenti e può sollevare una questione diplomatica sui metodi usati da Israele in guerra. Il progetto fila cosi liscio che pronto Il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite annuncia l'apertura di un'inchiesta contro Israele per crimini di guerra, dimenticando di inserire tra gli accusati quelli che usano la gente come scudi umani, ovvero Hamas, e di fatto il governo dell'Autorità di Abu Mazen, che ne è alleato.
Navi Pillay, sudafricana di origine tamil, nata proprio a Durban, ha chiuso la sua indegna carriera con questa bella trovata contro Israele, e con una denuncia parallela delle «orribili violazioni dei diritti umani che si commettono negli Stati Uniti»; si, proprio cosi, e a Obama, che di questi terzo-mondisti si sente il pupillo, starebbe anche bene, non fosse che gente così gestisce un carrozzone micidialmente costoso, distribuisce denaro, orienta pubblica opinione. Non fosse che, come dice Walker Meghnagi, il capo della comunità ebraica di Milano, «l'Europa è il maggior sostenitore economico di Hamas che, se solo avesse usato i propri denari per i palestinesi, invece di spenderli in tunnel e missili, avrebbe garantito loro una vita migliore». Ma se quei denari vengono dall'Europa, siamo noi colpevoli allo stesso modo. Torniamo alla Pillay. Dal 2008 a oggi la sua agenda si è distinta solo per la crociata contro gli Stati Uniti, famosa la sua polemica contro l'uccisione di Osama bin laden, e contro Israele, unico Paese su 192 accusato di razzismo. Quando a Ginevra dove si tenne Durban II, i delegati europei si alzarono e se ne andarono per protesta contro il discorso di Ahmadinejad, lei non solo rimase tranquillamente al suo posto, ma le riprese della giornata la mostrano mentre guarda con disgusto gli Stati democratici, la immortalano mentre ringrazia caldamente l'Organizzazione per la Conferenza Islamica, quindi anche Ahmadinejad.
La Pillay ha commissionato la tristemente nota commissione d'inchiesta Goldstone. Risultato: Israele colpisce sistematicamente e intenzionalmente obiettivi civili, Hamas si è pubblicamente impegnata al rispetto dei diritti e delle leggi umanitarie internazionali. Ha tentato di imporre i risultati della Goldstone al Consiglio di Sicurezza. Dopo una visita nel febbraio scorso in Israele, Gaza e West Bank, tiene una conferenza stampa di questo tono: A dimostrazione chiarissima della discriminazione istituzionale, non ho potuto incontrare un solo cittadino palestinese di Israele. Ma se numerosi arabi israeliani fanno parte del Parlamento, della Corte Suprema, dei ranghi diplomatici, davvero la signora non è riuscita a incontrarne uno? Come mai invece non una parola di condanna la Pillay ha espresso sul fatto che il governo di Hamas a Gaza, il governo di Hamas alleato di Abu Mazen, prevede nella sua carta costituente l'annichilimento di Israele?
Che questo personaggio per sei anni sia stato nel ruolo che abbiamo visto è scandaloso. Che alle richieste infami del personaggio contro Israele l'Italia abbia opposto una vile astensione lo è altrettanto.
(Libero, 25 luglio 2014)
A Tel Aviv manifestazioni a sostegno dell'esercito A Kfar Azar, in Israele, centinaia di persone hanno partecipato ai funerali di Daniel Pomerantz, uno dei 32 soldati israeliani morti nell'invasione di Gaza.
Il militare 20enne è rimasto ucciso - insieme ad altri 12 commilitoni - durante la strage di Shejaia del 20 luglio scorso che ha provocato la morte di oltre 70 palestinesi. Per il governo di Israele, Daniel è un eroe e per lui è stato riaperto il cimitero monumentale della città.
Altrove, a Tel Aviv, gli inviti alla pace lanciati dai familiari, dopo il rapimento e l'uccisione di quattro ragazzi, vengono cancellati dalle manifestazioni di solidarietà all'esercito israeliano.
"Siamo qui per sostenere l'azione delle nostre truppe che punta ad abolire totalmente i miliziani di Hamas - sostiene Guy, uno dei manifestanti - Con questa manifestazione vogliamo ribadire che siamo per la verità, per la difesa della moralità e per Israele".
Il gabinetto di sicurezza israeliano si riunirà nuovamente nelle prossime ore. Sul tavolo la proposta del segretario di Stato statunitense, John Kerry, di una settimana di tregua a partire da domenica.
(euronews, 25 luglio 2014)
E' in questo modo che i media "moderati" e "neutrali" fanno subdola propaganda anti-israeliana. Si presenta il funerale di un militare israeliano ucciso inserendovi il riferimento alla "strage di Shejaia che ha provocato la morte di oltre 70 palestinesi"; subito dopo si sottolinea che "per il governo di Israele Daniel è un eroe", come a dire che Israele chiama eroi quelli che fanno stragi di palestinesi; poi, senza nessun riferimento necessario all'accaduto che si sta descrivendo, si ricorda che i familiari dei "quattro ragazzi" uccisi dopo il rapimento avevano fatto inviti alla pace, ma che questi sono stati "cancellati dalle manifestazioni di solidarietà all'esercito israeliano". La morale implicita è completa: un militare israeliano è morto, e va bene; ne hanno fatto il commosso funerale, e anche questo va bene, perché gli ebrei morti sono sempre interessanti; il soldato morto aveva contribuito a compiere una "strage", quindi in fondo la morte se l'era meritata; il governo israeliano lo considera un eroe, quindi è dello Stato d'Israele la responsabilità primaria nella carognata compiuta dal semplice soldato sottoposto; la popolazione manifesta solidarietà all'esercito israeliano, e questo conferma che tutto Israele è un popolo di guerrafondai che rifiutano la pace. E' stupefacente vedere quante malevoli allusioni si possono fare in così poche parole. Ma contro Israele si riesce a fare questo ed altro. M.C.
L'antico veleno del pregiudizio
di Pierluigi Battista
In un'Europa dove a Berlino, attorno a una moschea, hanno gridato «viva Hitler» e In Francia militanti pro Ha-mas danno l'assalto a una sinagoga con lo slogan «Mort aux juifs», in quest'Europa fragile e intossicata bisogna almeno prestare ascolto all'Anti-Defamation League quando denuncia un ambasciatore europeo in pectore, reo di aver bollato gli ebrei come «agenti di Satana» e beneficiari dell'«industria dell'Olocausto». Péter Szentmlhàlyi Szabó, l'autore di queste dichiarazioni antisemite, sta infatti per occupare il ruolo di ambasciatore d'Ungheria in Italia. L'AntiDefamation League chiede alle autorità italiane, e in primo luogo al presidente della Repubblica, di bloccare la sua nomina. È un segnale dl allarme, non un'interferenza. La velocità con cui si stanno propagando i veleni dell'antisemitismo richiede risposte rapide, nitide, gravi quanto grave è il contesto che le giustifica.
L'Italia non è immune da questo catastrofico degenerare della critica anti israeliana nella resa agli stereotipi antisemiti mascherati da antisionismo. Hanno imbrattato le mura della sinagoga di Vercelli con scritte in cui si accusano tout court «gli ebrei» di esser complici del massacro di Gaza. Ogni critica, anche la più feroce, alla politica dello Stato di Israele è legittima. Si può pensare tutto il male possibile di una protesta davanti alle ambasciate e al consolati israeliani: ma è libera contestazione di un governo, di una condotta bellica. Invece sembra che si sia sbriciolata la frontiera che divide la critica allo Stato di Israele e l'accusa indiscriminata agli «ebrei» sparsi nel mondo e in Europa in particolare. C'è qualcosa di mostruoso in un'Europa in cui le scuole ebraiche sono sotto il mirino dei terroristi, in cui i cortei sfociano negli assalti ai quartieri a forte insediamento ebraico (anche questo è accaduto a Parigi), in cui vengono minacciati e fatti bersaglio di raccapriccianti ingiurie i rabbini, come è successo in Olanda, in cui i pregiudizi del vecchio e repellente antisemitismo nazistoide si saldano con i nuovi pregiudizi «antisionisti», in cui è pericoloso indossare la kippah, in cui i bambini ebrei vanno a scuola con la paura disegnata sul volto dei genitori. I primi a denunciare questa spaventosa deriva antiebraica e giudeofobica dovrebbero proprio essere i sostenitori della causa palestinese, gli spiriti più critici nei confronti dello Stato di Israele e della sua invasione della Striscia di Gaza. Dovrebbero essere loro a tracciare una linea di demarcazione invalicabile, a cacciare dalle loro manifestazioni gli energumeni antisemiti, a non permettere che a Roma ancora oggi si possano immaginare assalti al Ghetto ebraico dove il r6 ottobre del '43 i nazisti deportarono uomini e donne sulla strada senza ritorno per Auschwitz. E invece tacciono. Fanno finta di non capire. Accettano commistioni intollerabili, si adeguano alla linea che non riconosce a Israele nemmeno il diritto di esistenza accanto a uno Stato palestinese, non spendono nemmeno una parola sui razzi sparati da Hamas per terrorizzare la popolazione civile delle città israeliane.
E allora, dentro un'Europa di nuovo così ostile nei confronti degli ebrei, è bene che le autorità italiane prendano sul serio l'appello accorato dell'Anti-Defamation League e si uniscano alla protesta contro un ambasciatore che avrebbe definito gli ebrei «agenti di Satana». Un piccolo segnale. Per una battaglia che vale la pena combattere.
(Corriere della Sera, 25 luglio 2014)
Milano - La Comunità ebraica (e tanti amici) con Israele
Diverse centinaia di persone hanno preso parte, nel pomeriggio del 24 luglio a Milano, alla manifestazione a sostegno di Israele, in piazza S. Carlo, promossa dalla Comunità ebraica con l'Adi, Associazione amici di Israele. Protetti e racchiusi dalle transenne e da un cordone di polizia e carabinieri in tenuta antisommossa, i manifestanti sono stati fronteggiati, dall'altra parte del corso Vittorio Emanuele, da uno sparuto gruppo di contro-manifestanti (per lo più immigrati arabi) con le bandiere palestinesi. Al grido di "assassini…! assassini…!"hanno rivolto fischi, invettive e grida di odio, cui i manifestanti pro Israele non hanno replicato.
Avvolti nelle bandiere israeliane, con cartelli e striscioni di condanna del terrorismo, in sostegno del processo di pace, i manifestanti hanno cercato di presentare le ragioni di Israele, l'impossibilità per un qualsiasi Stato di ignorare una pioggia incessante di missili indirizzati contro la propria popolazione civile.
Non è stato pronunciato alcun discorso estremista né tantomeno violento. Solo, è stata espressa la consapevolezza che, in questo contesto, Israele non poteva fare altro che contrattaccare l'offensiva voluta da Hamas a Gaza, per difendere i suoi cittadini. Nessuno ha identificato Hamas con il popolo palestinese e tutti hanno auspicato che, eliminato il terrorismo, si arrivi a un accordo di pace fra Israele e i suoi vicini.
Il Consigliere Comunale Ruggero Gabbai è intervenuto portando anche il saluto dei Sindaco Pisapia: "Vi porto i saluti del sindaco Giuliano Pisapia e del vicesindaco Lucia De Cesaris. - ha detto - Non è facile essere in politica in questo momento, perché sono sempre gli altri a ricordarti che prima sei ebreo e non è sempre importante a che partito appartieni, è importante però che ci siano degli ebrei come Emanuele Fiano, Daniele Nahum e il sottoscritto che non abbassano mai la testa alle provocazioni di questi giorni dentro e fuori dalle aule istituzionali.
Siamo qui in tanti e rispecchiamo le molte anime e sensibilità politiche. Tutti noi vogliamo risolvere il conflitto con una pace duratura e vera. Noi rappresentiamo il pluralismo delle idee forti di una vera democrazia. Possiamo a volte essere divisi su come ottenere la pace ma non saremo mai divisi nell'affermare il diritto di Israele ad esistere e prosperare in pace e sicurezza. La maggior parte di noi è nata dopo 1948 e non può pensare di vivere in un mondo senza Israele.
Oggi lancio un appello agli arabi musulmani moderati, che sono la maggioranza, di alzare la voce e di ribellarsi contro il regime di Hamas. Auspico che arrivi presto una tregua che possa essere il viatico per una reale trattativa di pace. Noi ebrei non possiamo coltivare la cultura dell'odio e del razzismo altrimenti ci abbasseremmo al livello di chi colpisce l'ebreo solo per il fatto di esserlo e questo sta succedendo non solo in Israele ma anche in Europa e in altre parti del mondo.
Solo la cultura della pace ci permetterà di vivere senza l'angoscia che i nostri ragazzi soldati non tornino più a casa o che debbano andare in guerra a uccidere, oltre ai terroristi, anche vittime innocenti.
Ricordiamoci sempre che noi siamo il popolo del libro e non del fucile.
Voglio solo dire un'ultima cosa ai falsi pacifisti che tacciono quando in Siria ci sono 2700 profughi palestinesi e centosessantamila civili ammazzati nella guerra civile; a loro dico: che se Hamas gettasse le armi oggi in questo momento non ci sarebbe più la guerra ma se le armi le gettasse Israele non ci sarebbe più lo Stato ebraico. Nonostante ciò raccolgo lo slogan dell'Hashomer Hatzair che recita : "NON ESISTE VIA PER LA PACE, LA PACE E' LA VIA".
(Mosaico, 25 luglio 2014)
Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: 'Pace, pace', mentre pace non v'è.
Noi aspettavamo la pace, ma nessun bene giunge; aspettavamo un tempo di guarigione,
ed ecco il terrore!
Dal libro del profeta Geremia, cap. 8
Una guerra vera e propria
E' chiaro che la neutralizzazione di tunnel e lanciarazzi dovrà essere prevista da un eventuale accordo di cessate il fuoco con Hamas.
Un soldato appena tornato da Gaza ha parlato mercoledì delle sue sensazioni di fronte alle scene che ha visto coi propri occhi e che trovava difficile tradurre in parole. Si parla di un'operazione, ha detto, ma sul campo c'è una guerra: bombe, missili anticarro e violentissimi scambi di colpi. È pericoloso entrare nelle case perché possono essere trappole di mine, e non è sicuro rimanere fuori a causa dei cecchini. Lo scontro è duro, ha detto, ma noi abbiamo dei limiti. Stiamo attenti a non colpire i civili, e dobbiamo stare attentissimi ai rapimenti. Ci hanno parlato un sacco di questi pericoli e di queste minacce prima di andare, ma niente ci ha veramente preparati a quello che ci attendeva laggiù....
(israele.net, 25 luglio 2014)
"C'è l'incubo dei coloni in ostaggio"
Yigal Caspi, ambasciatore israeliano in Svizzera, parla al Corriere del conflitto in corso con Gaza.
di Osvaldo Migotto
BERNA - Sull'ennesimo conflitto armato in atto in Palestina abbiamo sentito il parere di Yigal Caspi, ambasciatore israeliano in Svizzera.
- La rete di tunnel sotterranei a Gaza ha permesso ad Hamas di lanciare molti razzi contro il territorio israeliano. Crede che i servizi segreti israeliani fossero a conoscenza della vastità di questa rete di tunnel? «In questo momento in Israele vi è un dibattito sulla questione dei tunnel sotterranei. Non è la prima volta che vengono usati da Hamas. Il soldato israeliano Gilad Shalit (tornato recentemente in libertà n.d.r.) era stato rapito utilizzando un tunnel sotterraneo. Inoltre due postazioni israeliane lungo la frontiera erano state fatte saltare in aria da Hamas sempre usando i tunnel sotterranei. E ora scopriamo l'immenso reticolo di tunnel che esiste sotto la Striscia di Gaza. E come obiettivi di attacco Hamas non ha solo postazioni militari israeliane, ma anche Kibbutz. Immaginiamo in quale grave situazione verrebbe a trovarsi il Governo israeliano se un gruppo di terroristi invadesse un kibbutz prendendo in ostaggio civili e bambini. Sarebbe una catastrofe. Visto che non esistono strumenti tecnici per scoprire lo scavo di un tunnel, fatto a mano senza l'impego di macchinari, per noi è stata una sorpresa scoprire l'esistenza di una vasta rete di cunicoli».
- E quindi ora? «Ora bisogna distruggere questi tunnel, sia all'entrata che all'uscita. L'esercito deve eliminare sia i cunicoli che portano sul territorio israeliano sia quelli che sono usati per nascondere armi di ogni genere, razzi compresi. Ora ci accorgiamo quanti soldi sono stati investiti da Hamas, dopo l'ultima battaglia con Israele, e quanti progressi sono stati compiuti nella costruzione di tunnel sotterranei. Dobbiamo fare in modo che in futuro questo non avvenga più. Che lancino razzi contro di noi è grave, ma pensare alla possibilità che estremisti di Hamas entrino in un Kibbutz è prendano dei bambini in ostaggio sarebbe una catastrofe. La popolazione israeliana non accetterebbe una tale situazione. E il nostro Governo poi cosa dovrebbe fare? Eliminare Gaza? Per questo è fondamentale trovare ed eliminare tutti i cunicoli».
(Corriere del Ticino, 25 luglio 2014)
Un altro esempio di giornalismo tendenzioso e ignorante. Tendenzioso, perché parla di “coloni in ostaggio”, usando un termine falso e insultante per indicare ogni israeliano, dal momento che i kibbutz in pericolo di rapimenti non si trovano soltanto negli insediamenti; ignorante perché dice che Gilad è tornato “recentemente” in libertà, quando ormai sono passati quasi tre anni. M.C.
Autorità europea: sì ai voli su Tel Aviv
"Ma sorvegliare i rischi"
PARIGI - L'Agenzia europea per la sicurezza aerea (Aesa) ha ritirato oggi la raccomandazione alle compagnie aeree europee, diffusa ieri, di evitare l'aeroporto di Tel Aviv per i rischi legati al lancio di razzi dalla striscia di Gaza. L'Aesa invita comunque le compagnie a "sorvegliare attentamente i rischi relativi alla sicurezza dei voli".
(ANSAmed, 24 luglio 2014)
Washington: artisti sostengono Israele con razzi e avvisi
A Washington gli "Artisti per Israele" hanno creato una mostra di arte multimediale: "Essere al fianco dei nostri fratelli in Israele" che incute paura simulando quello che accade in tempo reale ai residenti del sud di Israele durante il "Red Alert": un modo molto originale per sostenere Israele.
Gli "Allarmi rossi" e i lunghi soggiorni in rifugi sono, purtroppo, da più di 10 anni la vita di tutti i giorni per gli israeliani che vivono nel sud dello Stato ebraico, regolarmente bombardati dalla Striscia di Gaza. Nelle ultime due settimane tutto Israele, da nord a sud, ha potuto provare quello che vivono i residenti del Sud, con massicci lanci di razzi da Gaza verso il paese.
Adesso però altre persone nel mondo hanno potuto vivere la stessa esperienza ... Sulla collina del Campidoglio, a Washington, gli americani hanno potuto, per una settimana e certamente per la prima volta nella loro vita, vivere e capire in tempo reale quello che provano gli israeliani durante il famoso Allarme rosso.
Degli "Artisti per Israele" hanno creato una copia esatta dei rifugi che si trovano nelle città di Israele, e hanno invitato i passanti a sentire questo allarme e a vivere l'esperienza dei lanci di razzi in Israele, in suoni e immagini.
Situato nel cuore della capitale degli Stati Uniti, non era scontato per "Artisti per Israele" accettare la sfida di interpellare cittadini americani solo per far capire loro quello che accade nella realtà alla popolazione civile israeliana, ma la scommessa è stata vinta.
In effetti, molti americani si sono prestati a fare questa insolita esperienza di vita e ne sono usciti scossi, arrivando infine a capire quello che hanno vissuto per tanti anni i residenti del sud di Israele.
(Le Monde Juif, 24 luglio 2014 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
"Siamo affamati"
Oltre 150 terroristi di Hamas si sono arresi spontaneamente all'IDF. E' successo questa mattina nel nord della Striscia di Gaza. Lo rende noto Radio Israele.
I terroristi sarebbero usciti spontaneamente dai loro rifugi e si sarebbero avviati verso i soldati israeliani a braccia alzate. Immediatamente sono stati fatti spogliare per verificare che non nascondessero cinture esplosive. Si tratterebbe di 150 appartenenti alle Brigate Ezzeddin al Qassam, le unità d'elite di Hamas....
(Right Reporters, 24 luglio 2014)
Europei e Filistei unitevi
L'epopea di uno Stato autoproclamato, autoeletto ed automartirizzato
di Alan D. Baumann
Sempre pronti per scagliare missili ed accuse, palestinesi ed occidentali sostengono che Israele usi troppa potenza, ma si tratta di una scusa per gettare benzina sul fuoco dell'antisemitismo. Da oltre duemila anni gli ebrei devono difendersi. Non perché propaghino un'epidemia, certamente non perché accusati di proselitismo. Fino a qualche Papa fa, si accusavano i Fratelli Maggiori di deicidio e sempre grazie ad alcuni editti papali dal medio evo in poi, gli ebrei venivano tacciati di essere degli usurai. Anticamente il Re di Israele possedeva solo una fionda e con astuzia era riuscito a piegare il gigante filisteo. Oggi, dopo aver subito di continuo le minacce e gli attacchi, soprattutto stanco di tregue atte solo a rinforzare Hamas, l'invidiato paese occidentale in un mondo dove ci si fa scudo con i propri figli e ad una donna non si consente autonomia, reagisce per porre fine ad un gruppo sanguinario. La missione è anche quella di aiutare gli occidentali ed evitare altri 11 settembre, perché agli occidentali non bastano i milioni di dollari ufficialmente regalati al popolo sofferente, ma inviati a mo' di riscatto per sedare il terrorismo internazionale.
Gli israeliani da accusare per una loro vena espansionistica sono molto pochi e grazie al cielo ve ne sono, perché nessuno è perfetto su questa Terra. Vi sono alcuni estremisti, ma soprattutto si tratta di gente esausta per il doversi svegliare quotidianamente al suono delle sirene e passare le intere giornate a correre rapidamente nei rifugi. Si parla di persone, non dello Stato.
Se soltanto fossero stati un tantino più egoisti, negli accordi con Egitto e Giordania del 1978 e del 1994, gli israeliani non avrebbe permesso agli stati vicini di non riprendersi le terre della West Bank e di Gaza e non avrebbero restituito parte delle terre occupate dopo aver subito, ma vinto, la Guerra dei sei giorni nel 1967.
Il previdente Egitto ha rivoluto il Sinai per tenere gli abitanti di Gaza più lontani, così come Israele che ha pur custodito alcune terre - immaginate la situazione siriana più vicina ad Israele, se alcune alture del Golan fossero state restituite -. "Sicurezza" è da sempre la parola più importante per l'intera cittadinanza israeliana: il nemico ha meno possibilità di uccidere se è maggiore la distanza dall'obbiettivo. Pensate a 11.000 missili pronti ad essere sguinzagliati in ogni direzione: alcuni verso Gerusalemme, città Santa anche per i mussulmani, altri che martellano le cittadelle nel sud di Israele, uno che ha ucciso un agricoltore di origine thailandese ed infine quelli che colpiscono una casa nella parte cisgiordana della Palestina (ovviamente di questi ultimi alcune testate giornalistiche non ne parlano). Vittoria è per Hamas l'isolamento aereo, economico e politico di Israele.
Tanto per ripetersi ennesimamente, ricordiamo che fino alla rinascita dello Stato di Israele nel 1948, venivano chiamati palestinesi proprio gli ebrei: dalla Palestine Symphony Orchestra alla Brigata Palestinese che liberò l'Italia dal nazifascismo. La terra dei Filistei autoproclamatasi nazione, con grande soddisfazione dell'Eurabia e dell'Organizzazione Araba della Nazioni Unite, è composta da più parti, come la Francia ed i suoi possedimenti di Oltremare, oppure il Commonwealth.
La parte essenziale dello stato è la West Bank, governata da Abu Mazen (Mahmud Abbas), per cui è valido il vecchio detto "mentre stringi la mano destra ad un arabo, ti accoltella con la sinistra": quest'anno da un lato ha definito la Shoah "Il crimine peggiore" - secondo alcuni si è trattato di una svolta -, d'altro canto ha voluto al governo i rappresentanti di Hamas. Nessuno oggi - neanche una disdetta ufficiale palestinese - parla della fuga della famiglia di Abu Mazen verso la Giordania, per motivi di sicurezza. Forse per non spiegare che i fratelli terroristi (così definiti anche da UE ed USA) hanno minacciato il leader e la sua famiglia. Certamente per non mostrare la crescente debolezza di Fatah (Al-Fath), il partito di Abbas. Nella West Bank sono stati uccisi i tre giovani studenti ebrei. Fortunatamente il muro di difesa costruito da Israele lungo il confine, evita da anni altri spargimenti di sangue. Muro triste come può esserlo un muro, ma senz'altro necessario. D'altronde uno stato può erigere quel che vuole al proprio confine; basti vedere quello appena ultimato che divide la Grecia alla Turchia, quello che non fa entrare in Marocco il popolo sahariano (sebbene sia anche lui di passaporto marocchino), oppure la doppia palizzata tra Messico e USA: barriere tutte queste per i quali nessuno in Occidente ha mai detto qualcosa contro.
Nell'egiziana Gaza, che per libera votazione ha eletto rappresentante l'organizzazione paramilitare Hamas, Israele si è ritirata nel 2005, smantellando anche degli interi villaggi che vi si erano insediati dal 1967. Nel suo discorso, il premier Ariel Sharon (morto nel gennaio di quest'anno a 85 anni) disse:
"Non possiamo stare a Gaza per sempre. Più di un milione di palestinesi vivono lì e il loro numero raddoppia ad ogni generazione. Vivono ammassati nei campi profughi in povertà e nella disperazione, in focolai di odio crescente senza speranze né orizzonti. È perché siamo forti, non perché siamo deboli, che facciamo questo passo.
Abbiamo provato a trovare accordi con i palestinesi per portare i nostri popoli alla pace, ma i nostri tentativi si sono schiantati contro un muro di odio e fanatismo. Il piano di disimpegno unilaterale che ho annunciato due anni fa è la risposta israeliana a questa realtà. Questo piano farà il bene di Israele nel futuro. Noi riduciamo così gli scontri giornalieri e le vittime da entrambe le parti. L'esercito israeliano si riunirà di nuovo lungo le linee difensive dietro il recinto di sicurezza. Quelli che continueranno a combatterci, incontreranno la piena forza dell'esercito israeliano e delle sue forze di sicurezza.
Ora tocca ai palestinesi. Loro devono combattere le organizzazioni terroristiche e smantellare la loro infrastruttura e mostrare intenzioni sincere per ottenere la pace e sedersi con noi al tavolo delle trattative. Il mondo aspetta la risposta palestinese, una mano tesa per la pace o il fuoco del terrore. A una mano tesa noi risponderemo con un ramo d'ulivo, ma risponderemo con durezza al fuoco con il fuoco".
A distanza di nove anni, nulla è cambiato nella striscia di Gaza. Nonostante i milioni di dollari ricevuti, quei filistei hanno mantenuto i campi profughi per commuovere e dare ai paesi occidentali il pretesto per inviare loro soldi. In gran parte delle scuole si insegna soprattutto ad odiare l'occupante, ma Israele se ne è andato da tempo e l'unico occupante è l'ideologia del massacro perpetrata da Hamas. I soldi sono serviti ad accumulare un'infinità di missili, che anche se definiti da certa stampa "armi fatte in casa", non costituiscono un valido pretesto per scagliarli di continuo sulla popolazione vicina. Restano oggetti pericolosi, atti ad uccidere chiunque: questo il loro unico scopo.
Gli uomini di Hamas si celano nei numerosissimi cunicoli scavati dalle fondamenta delle loro scuole, ospedali, moschee. Come grossi roditori hanno scavato fin sotto alle terre israeliane. Israele sta tentando di stanarli prima che riescano ad entrare e minacciare la popolazione, accedendo nelle case o nei kibbutz, uccidendo donne e bambini, con unico scopo lo sterminio di ogni ebreo ed ogni cristiano (
discorso Gran Mufti , pubblicato dalla tv palestinese nel 2012). Per questo gran parte dei soldi dati a Hamas sono anche frutto di doni puramente antisemiti.
In un'intervista rilasciata alla televisione araba Rai News24, la "Ambasciatrice" della Palestina ringrazia pubblicamente la giornalista Lucia Goracci ed alcune testate giornalistiche della televisione statale italiana. Una redazione Rai cambia addirittura nome: da TeleKabul a TeleGaza. Auguriamoci che se sarà dato un premio alla Goracci, si ricordi del proprio operatore e non come nell'amara storia del Premio Alpi che ha ricevuto nel 2011 per un servizio dalla Libia, quando si è dimenticata del "suo" cineoperatore Claudio Rubino, ferito gravemente per realizzare da lì un servizio proprio con lei.
E' sempre facile per gli occidentali (venditori di armi) prendersela con Israele e assaltare le sinagoghe. Da sempre si è visto come l'antisemitismo si muova anche istituzionalmente: in Svizzera la Croce Rossa accettò la Mezza Luna Rossa ma per sano razzismo non il Magen David Artom; da Ginevra le Nazioni Unite sono sempre pronte a colpevolizzare solo Israele; in Italia si sono svolti i giochi del Mediterraneo ed indovinate chi non era stato invitato (nemmeno si fosse geograficamente spostata)?
Tante altre sono purtroppo le azioni ufficiali che hanno condannato la democrazia israeliana, spesso solo per celare i misfatti interni dei paesi europei. D'altronde si conosce l'impotenza del nostro paese nel combattere le mafie o i gruppi terroristici: se spesso non vi si riesce, ci si allea con essi. L'Europa resta piegata al potere del petrolio ed a Gheddafi si era fatto un baciamano ufficiale, per poi dire che ucciderlo è stato giusto, aspettando il rimpiazzo con uno più filo italiano o francese o tedesco. E' risaputo che non fa notizia se un arabo ammazza un arabo e per i media sembrano terminati gli scontri siriani. Ovviamente nessuno è al corrente degli inviti che Israele ha rivolto alla popolazione araba in fuga per curarsi, anche aprendo una frontiera chiusa da quasi 50 anni. Nessuno ricorda poi i soccorsi dati ai mussulmani bosniaci durante il drammatico sfascio jugoslavo, andando a prenderli e portandoli in Israele per curarli. Alcuni di loro non sono voluti rientrare e sono diventati cittadini israeliani.
Fra le due parti della Palestina c'è dal 1948 Israele, e Hamas vorrebbe che venga tolto quel che definiscono un assedio ma che non è che un rafforzamento della propria frontiera. Se Abu Mazen prega per "i fratelli della Palestina", allora l'ONU dovrebbe condannare assieme a Hamas ed i suoi roditori, anche Abu Mazen e la West Bank per crimini contro l'umanità, per il continuo lancio di missili e massacri perpetrati da infiltrati dai cunicoli. Se attaccato da uno Stato, Israele (non lo stato ebraico in quanto vi vivono per libera scelta anche degli arabi - cristiani e musulmani - spesso invidiati dai parenti vicini) non dovrebbe rispondere con una minuziosa azione di polizia e con gli avvertimenti alla popolazione, ma con uno stop alle forniture di acqua, luce, gas e alle quotidiane entrate di convogli umanitari (ovviamente mai citate dagli organi di stampa).
"Ebbene si cari lettori, i palestinesi residenti in Giudea, in Samaria e nella Striscia di Gaza ricevono energia elettrica gratuita da Israele, dalla Israel Electric Corporation (IEC).
Considerato che l'Autorità palestinese e la Striscia di Gaza non hanno centrali elettriche di alcun tipo, l'elettricità viene importata direttamente da Israele senza pagare un centesimo per i loro consumi "..." Ecco cari lettori come Israele calpesta i diritti umani dei palestinesi, regalando loro acqua potabile, curando gratuitamente i palestinesi presso gli ospedali di Israele e donando loro anche l'energia elettrica." (Gian Giacomo William Faillace , 1/03/2014 su "lacritica.org").
Lo Statuto di Hamas propone la cancellazione dello Stato di Israele e la sua sostituzione con uno Stato islamico palestinese. I roditori fanno parte del governo, ma nonostante ciò, gli israeliani difendono la popolazione palestinese, autoproclamata, autoeletta ed auto martoriata, rifornendola di prime necessità ed avvertendola che al di sotto del loro salone o del bagno, i loro rappresentanti hanno collocato una base lanciamissili. Ma loro dicono di non sapere, come per alcuni media cui importa solo il livello dell'audience, come per i tedeschi di settanta anni or sono, che non conoscevano l'esistenza della soluzione finale.
(L'ideale, 24 luglio 2014)
Una spettacolare produzione Pallywood!
Ho sempre pensato che i peggiori nemici dei palestinesi, siano i filo-palestinesi. Gli israeliani rispettano l'avversario, se ne prendono cura quando è ferito, gli danno lavoro, anche se non sono cittadini israeliani, e consentono l'accesso alle spiagge alla fine del Ramadan. È pacifico che non ci sarebbe guerra, se si aspettasse che fossero gli israeliani a scatenara, e a non subirla.
I filopalestinesi sono la razza peggiore. Fanatici, ottusi, maligni, falsi, calunniatori fino al grottesco. Bisogna riconoscere che non hanno fornito un grande aiuto alla cosiddetta "causa palestinese" con le tonnellate di foto spacciate per fresce, e invece rinvenienti da altri conflitti e altre latitudini. Anche la difesa d'ufficio di Hamas ha fatto venire molti mal di pancia a chi era sinceramente convinto delle ragioni dei palestinesi. Non pochi osservatori neutrali delle questioni mediorientali, in queste due settimane per la prima volta ha preso posizione, schierandosi dalla parte dello stato ebraico....
(Il Borghesino, 24 luglio 2014)
Maroni alla manifestazione di ebrei a Milano
MILANO, 24 lug. - Roberto Maroni ha partecipato a una manifestazione organizzata a Milano dall'associazione 'Amici di Israele' per protestare contro gli attacchi di Hamas e per chiedere che si arrivi alla pace tra lo Stato ebraico e il popolo palestinese. "Sono unilateralmente contro il terrorismo e unilateralmente contro Hamas", ha spiegato le motivazioni della sua presenza, a titolo personale, il governatore lombardo. "Il problema di questo conflitto e' Hamas, non sono i palestinesi: questa e' una manifestazione pacifica, perche' vogliamo che Israele esista, che il popolo israeliano esista in pace col popolo palestinese", ha chiarito, nel suo intervento, il presidente della comunita' ebraica, Walker Meghnagi.
Presenti all'evento, in piazza San Carlo, anche Daniela Santanche', Guido Podesta' e Alessandro Sallusti. Tenuti lontani, una quindicina di manifestanti, con le bandiere palestinesi, hanno contestato urlando 'Assassini' e 'Free Palestine'.
(AGI, 24 luglio 2014)
Comunità ebraica contro de Magistris: "Mai una parola sui missili di Hamas"
Il presidente Campagnano: "Lei, signor sindaco, dichiara di volere la pace, ma non ha mai detto nulla sul lancio di missili che si protrae da anni".
NAPOLI - "Lei dichiara di volere la pace, di volere due stati per due popoli e poi dichiara che Israele deve interrompere le azioni militari difensive nella striscia di Gaza. Lei non chiede nel contempo che venga definitivamente interrotta la pioggia di missili che ricadono sulle città israeliane". Lo scrivono, in una lettera aperta al sindaco di Napoli Luigi de Magistris, la Comunità ebraica della città, con il presidente Pierluigi Campagnano, e l'associazione Italia Israele, presieduta da Giuseppe Crimaldi.
"Lei - prosegue la nota - si è distinto nel non aver detto mai una parola su questo stillicidio di lancio di micidiali missili che si protrae da anni. Le vittime civili colpite nel territorio della striscia di Gaza sono volute da Hamas che si ostina ad usare come basi, tunnel sotterranei e rampe di missili poste a ridosso di ospedali, scuole e strutture civili. Tutti noi auspichiamo una pace lunga e duratura ma non a prezzo della distruzione dello stato di Israel.
(Repubblica - Napoli, 24 luglio 2014)
Oggi s'insedia in Israele il nuovo presidente Rivlin
Il nuovo presidente israeliano, Reuven Rivlin, presterà giuramento oggi alla Knesset con una cerimonia di basso profilo dato il conflitto in corso a Gaza. Accolto da una guardia d'onore davanti il parlamento israeliano, Rivlin presterà giuramento dopo aver ascoltato il discorso di commiato del suo predecessore, il premio Nobel per la pace Shimon Peres. Poi sarà il turno di Rivlin di prendere la parola in parlamento. Il tradizionale ricevimento è stato annullato.
"Mentre i soldati combattono e i cittadini d'Israele sono minacciati dai missili, riteniamo che l'evento debba essere modesto e di basso profilo", afferma un comunicato congiunto di Rivlin e del presidente della Knesset Yuli Edelstein. Sono stati invitati in parlamento diversi sindaci delle città meridionali, le più bersagliate dai missili, in segno di solidarietà.
Nato 74 anni fa a Gerusalemme, Rivlin è un esponente del partito Likud del primo ministro Benyamin Netanyahu, con il quale non ha però mai avuto buoni rapporti personali. Contrario ad una soluzione con due stati, ritiene che arabi ed ebrei dovrebbero convivere come cittadini di uno stato comune. Ha però detto che come presidente non intende intervenire nelle decisioni politiche, come i negoziati di pace, che spettano al parlamento. E come presidente della Knesset si è battuto per i diritti dei deputati arabo israeliani.
(Adnkronos, 24 luglio 2014)
In piazza per la pace con la comunità ebraica
Meghnagi: «Che cosa farebbe l'Italia se venisse bombardata Milano?»
di Sabrina Cottone
MILANO - Una manifestazione per la pace in Israele, organizzata dalla comunità ebraica questa sera alle 19 in piazza San Carlo. «Noi manifestiamo per la pace in Israele, per il diritto ad esistere e a vivere in serenità con i nostri amici, che sono l'Autorità palestinese e non Hamas. E' fuori dubbio che l'80 per cento dei palestinesi vuole la pace. Ma la verità è che Israele sta reagendo per difendere il proprio popolo da Hamas. E il mondo se n'è lavato le mani» dice Walker Meghnagi, presidente della comunità ebraica di Milano.
In piazza sarà presente anche il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti. L'attesa della comunità ebraica è che «tanti milanesi e rappresentanti delle istituzioni si uniscano alla nostra richiesta di pace». In realtà su giornali e tv rimbalzano continuamente le immagini dei tanti bambini che muoiono sotto il fuoco israeliano a Gaza. Che cosa dice la comunità ebraica? «La morte di tante persone innocenti fa male a tutte le persone civili. Ma il mondo deve capire che cadono i missili sulle città! In pieno centro a Tel Aviv, ho sentito la sirena ed era la prima volta che succedeva nella mia vita durante il giorno: ho dovuto cercare un rifugio. Se cadessero missili a Milano, a Como, a Mantova, a Lecco, a Trezzano sul Naviglio, che cosafarebbe l'Italia?».
La comunità ebraica scende in piazza per raccontare. Dice Meghnagi: «Vogliamo spiegare alla gente che se Israele usa i soldi per difendere il suo popolo, Hamas usa i soldi per distruggere il suo popolo. Gaza è il territorio che riceve più sostegno al mondo in proporzione alla popolazione. Se avessero usato i soldi per ospedali, industrie e abitazioni, invece che per missili e tunnel, il popolo non sarebbe stato così sofferente. Nel 2013 183mila palestinesi della Cisgiordania e di Gaza sono stati curati negli ospedali israeliani. La gente sa tutte queste cose? Io credo di no». Ma adesso la guerra infuria crudelissima. Come costruire la pace? «Con l'aiuto dei Paesi moderati, togliendo i missili a Hamas. E invece il mondo se n'è lavato lemani». A Milano intanto è stato annullato il concerto della cantante israeliana Noa: ha accusato il premier israeliano Netanyahu di non volere la pace, al contrario del palestinese Abu Mazen.
Tra artisti, letterati e sportivi
ci sono esempi di grandi capacità
che sanno dire con grande serietà
le più grandi stupidità.
Meghnagi approva: «Credo che abbiano fatto bene...».
(il Giornale, 24 luglio 2014)
"Con i tunnel a Gaza rischiamo un 11 settembre"
L'ambasciatore di Israele a Roma: non ci fermeremo, pronti a tutto per distruggerli.
di Gian Micalessin
«I tunnel scoperti a Gaza rappresentano ormai una vera minaccia esistenziale... attraverso quelle gallerie possono entrare a centinaia nei nostri villaggi...
In Israele rischiamo qualcosa di simile a un 11 settembre. Per eliminare quei tunnel siamo pronti a tutto, anche a riprenderci Gaza. Oggi il 95 per cento della popolazione israeliana sta con il governo. Qualsiasi decisione venga presa gli israeliani l'accetteranno». L'ambasciatore israeliano Naor Gilon parla a Il Giornale poche ore prima dell'annuncio arrivato ieri sera di un possibile, imminente cessate il fuoco. Che però potrebbe durare assai poco se Hamas non accetterà un disarmo incondizionato.
Almeno a giudicare dai toni e dagli argomenti esibiti dall'ambasciatore e dall'addetto militare Robi Regev durante l'incontro di ieri pomeriggio all'ambasciata d'Israele, durante il quale i due diplomatici parlano per oltre un'ora, proiettano filmati, spiegano perché quei tunnel capaci di traghettare i miliziani fondamentalisti nel cuore d'Israele siano una minaccia non più tollerabile. Una minaccia da cancellare a tutti i costi. Anche al costo di tornare sui propri passi, cancellare il ritiro da Gaza voluto da Ariel Sharon nel 2005 e tornare a riassumersi la responsabilità dei quasi due milioni di palestinesi della Striscia. Anche a costo di continuare a combattere per mesi e veder centinaia di soldati subire lo stesso destino degli oltre 30 già caduti dall'inizio dell'offensiva di terra.
Per spiegartelo il Colonnello Kobi Regev, un ex pilota di F16, fa partire un filmato girato da un drone lunedì mattina. A prima vista la telecamera sembra seguire un gruppo di soldati israeliani diretto verso un centro abitato intorno a Gaza. Ma la realtà, spiega il colonnello Regev, è ben diversa. «Anche una nostra unità li ha scambiati per soldati israeliani. Avevano delle divise perfette, l'unica differenza erano i kalashnikov. Grazie a quel trucco sono riusciti a sbucare da un tunnel, muoversi liberamente per oltre un'ora sul nostro territorio e uccidere quattro nostri soldati che non si erano accorti di loro. Per fortuna siamo riusciti a trovarli e neutralizzarli poco prima che riuscissero ad entrare in un kibbutz».
Quella documentata drammaticamente nel filmato è almeno la terza infiltrazione subita nel giro di pochi giorni da Israele. E proprio la temeraria pericolosità di questi raid rende Israele sempre più irremovibile. Per il governo di Gerusalemme e i suoi generali, quelle gallerie scavate nel sottosuolo di Gaza sono ormai incubo. Un incubo pericoloso quanto i missili perché capace di mettere a repentaglio l'incolumità di migliaia di Israeliani.
Per questo, fanno capire l'Ambasciatore e l'addetto militare, l'operazione Margine Difensivo s'interromperà solo se e quando i mediatori internazionali riusciranno a convincere Hamas a distruggere tutti i tunnel e consegnare i missili.
Altrimenti Israele continuerà a combattere fino all'eliminazione totale di quelle due minacce. Anche a rischio di perdere decine o centinaia si soldati. «Per noi questa è una guerra obbligata - spiega l'ambasciatore - non possiamo accettare di vivere a Tel Aviv mentre i missili piovono sulle nostre teste. Qui non è più questione di prezzo. Qui è in gioco la difesa di Israele, se non saremo pronti a tutto pur di garantirla domani ne sconteremo le conseguenze. E pagheremo un prezzo ancora più alto. Per questo la maggioranza degli israeliani chiede al governo di esser ancora più duro con chi ci minaccia».
(il Giornale, 24 luglio 2014)
Invito alla preghiera
Dal pastore di una chiesa messianica in Israele abbiamo ricevuto una circolare di cui traduciamo qui un lungo estratto.
Nelle ultime due settimane la nostra congregazione non ha potuto riunirsi di sabato perché in prossimità dell'edificio non c'è un rifugio antiaereo raggiungibile. Per questo adesso ci riuniamo in diverse case.
Ringraziamo Dio perché in conseguenza di questi attacchi siamo diventati più uniti. Ieri le persone sono arrivate numerose per la riunione di preghiera. Durante l'incontro, Dio ci ha dato di considerare i versi di Gioele 2:12-17: siamo chiamati a digiunare e pregare come sacerdoti dell'Altissimo, in primo luogo per noi stessi, per pentirci ed essere cambiati, poi per il nostro paese, la nostra nazione, affinché gli occhi siano aperti e si veda che la sicurezza e la protezione non vengono soltanto dalla cupola di ferro e dal forte esercito; Dio stesso è l'autore della nostra protezione e salvezza. Proclamiamo quindi il Salmo 91.
Vogliamo udire la chiamata di Dio e restare in preghiera per la leadership del nostro paese. Stiamo pensando di farlo in modo collettivo e organizzato il 24 luglio [oggi]. Continuiamo a pregare anche per due membri della nostra congregazione che combattono adesso in questa guerra. Uno sta svolgendo il servizio militare obbligatorio, l'altro è stato richiamato come riservista.
Le munizioni tenute da Hamas sono nulla in confronto a quello che tiene Hezbollah. L'attuale conflitto è una prova generale di quello che viene descritto nel libro di Zaccaria, il giorno di Gerusalemme. Questo è il motivo per cui adesso dobbiamo lasciar cadere conflitti e contrasti in famiglia, tra congregazioni (dottrine diverse) e come nazione (sinistra e destra). Dobbiamo anche smettere di litigare all'interno della congregazione e prepararci uniti per un'opera sacra di intercessione.
Se volete unirvi a noi, saremmo felici se poteste pregare per questi soggetti:
Per la protezione dei soldati israeliani a Gaza, in particolare per i nostri due fratelli menzionati prima.
Per la protezione dei civili di entrambe le parti.
Per tutti i bambini che in questa guerra soffrono di perdite, trauma e paura.
Per la leadership della nostra nazione.
Per le opportunità di testimoniare la pace del Messia alla gente impaurita (Giovanni 14:27), in modo da essere una lettera vivente e una testimonianza della Sua pace e del perfetto amore che scaccia ogni paura.
Affinché possiamo di nuovo radunarci insieme e questa esperienza possa unirci e farci vivere come vivevano i credenti citati in Atti 2:43-47.
Per i credenti nel Messia che vivono a Gaza.
La pace non è la fine del conflitto. La pace è un frutto dello Spirito. L'albero è il Messia Gesù, il principe della pace. La vera pace arriverà solo quando ebrei e arabi invocheranno il principe della pace Yeshua il Messia! In piccola scala, questo microcosmo di pace è già iniziato.
(Notizie su Israele, 24 luglio 2014)
Nel silenzio si continua a morire in Siria
Nei combattimenti degli ultimi giorni uccise più di duecento persone
DAMASCO - Oscurata dal conflitto tra Hamas e Israele a Gaza, che sta catalizzando l'attenzione dei media, la guerra in Siria continua a mietere vittime. Più di duecento persone, tra cui una cinquantina di civili, sono state uccise negli ultimi giorni mentre i combattimenti, anche a causa del coinvolgimento dei miliziani dello Stato islamico provenienti dall'Iraq, si fanno sempre più cruenti.
Secondo bilanci non ufficiali, in circa tre anni e mezzo di violenze, in Siria sono morte oltre 170.000 persone. Il Centro di documentazione delle violazioni in Siria (Vdc) riferisce che dalla fine di giugno 2014 a oggi 1.348 persone sono morte nel conflitto che oppone i ribelli alle truppe di Assad. La fonte, che si avvale di una fitta rete di ricercatori sul terreno e che dal 2011 documenta con precisione le vittime e le circostanze della loro morte, include nelle liste persone di entrambi gli schieramenti. Lo stesso bilancio di sangue è fornito dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), ente legato agli attivisti che dal 2007 denuncia le violazioni nel Paese grazie a una rete di fonti mediche presenti sul territorio.
Nei combattimenti degli ultimi giorni — dice l'Ondus — sono state uccise, in diverse regioni della Siria, 198 persone, e nello specifico: 41 civili, 44 insorti anti-regime, 29 miliziani non siriani, 19 miliziani lealisti, 36 soldati dell'esercito regolare, 17 ribelli non identificati, due miliziani curdi, cinque qaedisti dello Stato islamico, cinque miliziani stranieri fedeli al regime di Damasco. Le zone più colpite sono state la periferia di Damasco con 28 uccisi (7 civili) e quella di Aleppo con 26 uccisi (5 civili).
Dal canto suo l'agenzia ufficiale Sana — considerata dai media internazionali la voce del Governo del presidente Assad — ha riferito dell'uccisione, nell'ultima settimana, di cinque civili e del ferimento di altre 38 persone in vari episodi di violenza in diverse regioni del Paese. La Sana non fornisce le generalità delle vittime.
Intanto, nuove atrocità si registrano anche tra ieri e oggi: sei bambini di una stessa famiglia sono rimasti uccisi in un bombardamento lanciato dall'esercito siriano sulla regione settentrionale di Aleppo, mentre tre minori sono morti in altre zone del Paese. I sei bambini della famiglia Moslem sono morti nell'attacco effettuato su un villaggio situato nel Nord della provincia di Aleppo, una zona in gran parte controllata dai ribelli.
Ieri sera — riferisce l'Ondus — un ragazzo di 15 anni è stato ucciso in un bombardamento aereo compiuto nella provincia centrale di Hama, mentre una bambina di sette anni è morta durante i violenti scontri avvenuti nella provincia di Idlib. Nel territorio della provincia di Deir Ezzor, controllata dai miliziani jihadisti dello Stato islamico, una bambina di sei anni è morta in seguito a un raid compiuto dalle forze lealiste.
(L'Osservatore Romano, 24 luglio 2014)
170.000 morti in tre anni, 1348 morti solo in questo mese. Ma non sono morti interessanti, almeno per i media occidentali. Su questi non ci si può scandalizzare, non si fanno marce di protesta. Come mai? Inutile chiederlo. Molti non se lo chiedono, non vogliono chiederselo, si arrabbiano se glielo chiedi. M.C.
A Parigi la nuova "notte dei cristalli"
di Stefano Magni
Sinagoghe attaccate, negozi ebraici devastati, auto e proprietà date alle fiamme. Una vera notte dei cristalli, all'alba del 2014, è scoppiata in Francia, proprio nella sua capitale, al cuore dell'Europa occidentale. Nel sobborgo di Sarcelles, chiamato la "piccola Gerusalemme" per la sua numerosa comunità ebraica, decine di vandali, infiltrati in una manifestazione filo-palestinese, hanno iniziato a dar fuoco ai cestini della spazzatura, a distruggere auto parcheggiate e poi a lanciare razzi e bombe molotov, contro la polizia e le proprietà dei locali. Negozi di cibo kosher, ristoranti e una casa funeraria sono stati danneggiati e saccheggiati da scalmanati che insultavano Israele. "Non avevamo mai visto una violenza simile a Sarcelles - assicurava ieri il sindaco François Pupponi - questa mattina (ieri, ndr) la gente è stordita, la popolazione ebraica è intimorita". Non si tratta del primo caso. Sabato scorso, a Parigi, un'altra manifestazione per Gaza è andata fuori controllo ed è finita in scontri con la polizia. È sempre lo stesso copione dopo l'assalto dato alla sinagoga del quartiere Marais, il distretto ebraico di Parigi, lo scorso 13 luglio. In quella occasione, gli estremisti avevano attaccato di sabato, quando la sinagoga era piena di fedeli. Nello scontro che ne era seguito, tre ebrei erano rimasti feriti.
La Francia è la nazione europea che ospita una delle più grandi comunità ebraiche e una delle più grandi comunità musulmane. Dunque sembra abbastanza logico che il conflitto mediorientale venga "esportato" anche nella repubblica d'oltralpe. Gli atti di violenza antisemita, stando a tutte le prove raccolte finora, sono tutte da ascriversi ad estremisti islamici, fieri della loro identità di immigrati di seconda e terza generazione. Tuttavia, il governo francese, non sembra riconoscere questa minaccia.
Dopo il massacro di ebrei a Tolosa, commesso da uno jihadista con cittadinanza francese e il più recente massacro (sempre di ebrei) a Bruxelles, commesso da un altro jihadista con cittadinanza francese, questi scontri nei sobborghi di Parigi dovrebbero suonare come un campanello di allarme per tutto il Paese. C'è un nemico allevato in casa che cresce, si rafforza, diventa più sicuro di sé, almeno da tutti gli anni 2000. Eppure, la politica estera francese, per lo meno, pare non essersene neppure accorta. La linea è sempre quella di condanna dell'operato di Israele, come ha dichiarato il ministro degli Esteri Laurent Fabius il 22 luglio: "Niente giustifica il massacro" di civili palestinesi. Dei razzi palestinesi lanciati contro i civili israeliani? Importa meno: la risposta è "sproporzionata", dunque spetta a Israele il peso della colpa. Se lo stesso criterio venisse seguito anche in Francia, la polizia non dovrebbe neppure arrestare decine di "attivisti" filo-palestinesi (13 ieri e 18 domenica) "solo" perché distruggono proprietà di francesi di religione ebraica.
Si tende sempre a sottovalutarlo, o a dimenticarlo, ma il problema della Francia, è ancora più profondo rispetto alla crisi mediorientale e alle sue fiammate improvvise. E non riguarda solo le comunità musulmana ed ebraica. Infatti, in Francia l'antisemitismo, rilevato dalla Anti Defamation League, è condiviso dal 37% della popolazione. Ben più di un terzo di tutti i francesi. Non si tratta di un fenomeno solo islamico: i musulmani di Francia sono, al massimo (nelle stime più inclusive e approssimate per eccesso) il 10% della popolazione. Ecco, gli antisemiti sono quasi 4 volte più numerosi dell'intera popolazione islamica francese. Si tratta di una delle maggiori diffusioni di antisemitismo dell'Unione Europea, caso unico in tutta l'Europa occidentale, inferiore solo alla Grecia (69%, uno dei Paesi più antisemiti del mondo), alla Polonia (45%), alla Bulgaria (44%) e all'Ungheria (41%).
È un problema che troppo spesso non viene capito: in Francia, così come negli altri Paesi ad alto tasso di antisemitismo, l'oggetto dell'odio non è Israele, ma l'ebreo in sé. Israele e le sue numerose guerre sono solo un pretesto. Quel che maggiormente viene odiato, dell'ebreo, è la sua presunta infedeltà alla nazione europea di cui è cittadino, il suo presunto potere economico, finanziario e culturale, visto come causa della crisi economica di questi anni. Si respira la stessa aria della crisi di fine anni Venti, preludio del nazismo. Gli ebrei lo sentono e, nonostante il pericolo e la guerra cronica, dalla Francia fuggono in massa verso Israele. È dalla repubblica d'Oltralpe, infatti, che arriva la maggior parte dei nuovi "rientri" nello stato ebraico.
(L'Opinione, 24 luglio 2014)
Israele accusa: l'Onu fa il gioco di Hamas
L'ambasciatore a Roma, Naor Gilon: «Siamo sotto attacco, nessuno può toglierci il diritto di difenderci»,
di Brunella Bolloli
ROMA - Nel giorno in cui l'Onu chiede una corn-missione d'inchiesta sulle violazioni nella Striscia di Gaza, Israele reagisce con fermezza. «Una parodia», taglia corto il premier Benyamin Netanyahu, «bisognerebbe piuttosto investigare su Hamas». Per Israele ieri è stato un altro giorno di perdite militari: tre paracadutisti sono rimasti uccisi durante i combattimenti nella zona di Khan Yunis. Altri tre soldati sono rimasti feriti e dall'inizio dell'operazione di terra sono 32 i militari caduti. «Siamo sotto continuo attacco da parte di Hamas», ha spiegato Naor Gilon, ambasciatore d'Israele in Italia. «Abbiamo il diritto e il dovere di autodifenderci e siamo obbligati ad agire se la nostra gente è esposta alle minacce».
Gilon ha illustrato la situazione di guerra nei Territori insieme al colonnello Koby Regev, addetto militare della sede diplomatica. Ha ammesso che Israele aveva sottovalutato le dimensioni e la pericolosità della rete di tunnel costruiti da Hamas e costati miliardi di dollari dirottati, forse, «dagli aiuti umanitari dell'Unione europea alla popolazione palestinese». Perché due sono le modalità con cui i miliziani stanno facendo la guerra: i razzi contro Israele (solo tra il 12 giugno e il 7 luglio ne sono stati lanciati circa 300, diretti ai civili e perfino contro l'aeroporto internazionale di Tel Aviv), e il sistema ramificato di tunnel invisibili, scavati sotto le fondamenta degli edifici. «Una vera città sotterranea da cui preparare altri attentati come l'11 settembre». Regev ha mostrato immagini captate dall'intelligence in cui si vedono uomini armati di kalashnikov uscire da questi cunicoli e penetrare nelle città israeliane al confine con Gaza. «Il nostro obiettivo è fermare i razzi e distruggere i tunnel. Ma non vogliamo massacrare i civili e non usiamo i bambini per proteggere le armi, come fanno loro. Noi vogliamo colpire i terroristi». Il messaggio da Israele è chiaro: «Questa è una guerra che ci è stata imposta, una guerra di difesa, appoggiata dalla stragrande maggioranza della popolazione». Nei riguardi dell'Ue l'ambasciatore si è limitato ad esprimere apprezzamento per la condanna dell'antisemitismo pronunciata dai ministri degli Esteri («Bruxelles sta cominciando a capire che il rischio c'è anche per l'Europa»). Mentre parole dure sono state usate nei confronti dell'Alto commissario per i Diritti Umani dell'Onu, Navi Pillay, che ha presieduto una riunione d'emergenza sulla crisi. «Ci sono due parti in corso», ha ricordato Gilon, «è inaccettabile tenere in considerazione le sofferenze solo di una. Hamas è due volte responsabile di crimini di guerra». La pace in Medio Oriente è dunque ancora, sempre di più, un'utopia, sebbene ieri sera il leader di Ha-mas, Khaled Meshaal, dal Qatar abbia fatto sapere che la sua organizzazione è «pronta ad accettare una tregua umanitaria, ma la condizione è la rimozione del blocco israeliano». Nei progetti futuri di Netanyahu c'è invece, piuttosto, la rioccupazione di Gaza, come era prima del ritiro voluto nel 2005 da Ariel Sharon. «Un'opzione, certo», ha confermato Gilon parlando con i cronisti italiani, «ma adesso dobbiamo sconfiggere il terrore».
(Libero, 24 luglio 2014)
Una notte dei cristalli
L'ambasciatore israeliano a Berlino denuncia: "E' come il 1938". Ovunque in Europa riecheggia il grido "morte agli ebrei". Salto di qualità dell'antisemitismo.
di Giulio Meotti
La vetrina di un negozio ebraico distrutta a Parigi durante una delle manifestazioni in favore di Gaza
L'ambasciatore israeliano a Berlino, Yakov Hadas-Handelsman, ieri ha scandito tre parole e quel numero fatale, così ingombrante: "E' come il 1938". Perché gli ebrei vengono attaccati e maltrattati nelle strade della Germania. Di nuovo. Slogan omicidi che risalgono ai giorni di Hitler, come "Hamas, Hamas, ebrei al gas", sono stati gridati durante manifestazioni pro palestinesi in tutta Europa. Così, mentre Israele lanciava l'operazione Zuk Eitan - margine di protezione - gli ebrei europei ripiombavano in uno stato di inferiorità e di paura, come è avvenuto per le generazioni passate. Ancora una volta è pericoloso essere ebrei in Europa.
L'imam di una moschea di Berlino è sotto inchiesta per un sermone in cui ha detto: "Oh Allah, distruggi gli ebrei sionisti, contali e uccidili fino all'ultimo, falli soffrire terribilmente". Poster a Parigi hanno esortato i manifestanti contro Israele ad aderire a "un raid nel quartiere ebraico". Centinaia di giovani hanno marciato verso una sinagoga cantando "Mort aux juifs", come nei giorni del capitano Dreyfus. Prima che Beirut diventasse il centro di una guerra civile, era nota come "la Parigi del medio oriente". Oggi è Parigi che sembra essere diventata la Beirut d'Europa.
In grandi agglomerati urbani come Sarcelles, Créteil, Sartrouville e Saint-Denis, dove la sinagoga e la moschea si abbracciano, la tensione è altissima. Nel Marais, storico quartiere ebraico della capitale francese, studenti ebrei sono attaccati se indossano i filatteri rituali. Il deputato Jacques Myard è stato aggredito proprio a Sarcelles al grido di "questa è terra araba, voi sionisti dovete andarvene". Intanto nella cittadina di Roubaix, la casa dell'autore della strage al museo ebraico di Bruxelles è diventata meta di pellegrinaggi islamisti. Non mancano slogan come "Merah max", che inneggiano al terrorista che fece stragi di bambini ebrei a Tolosa, due anni fa.
L'antisemitismo è una vecchia "maladie française". Ma adesso, durante i giorni tragici del conflitto a Gaza, è stato compiuto un salto di qualità impressionante nell'Intifada a bassa intensità nelle strade francesi. Dieci anni fa, un milione di francesi scesero per strada contro l'ondata di antisemitismo al grido di "Synagogues brûlées, République en ranger". Oggi le stesse strade sono piene di odio per gli ebrei. E le sinagoghe sono prese di mira.
Ad Amsterdam, la città di Spinoza, la casa del rabbino capo olandese, Benjamin Jacobs, è stata appena attaccata due volte in una settimana. Le aggressioni per strada, le spaventose misure di sicurezza attorno alle istituzioni ebraiche e le manifestazioni anti israeliane stanno impressionando un paese sul quale pesa il fardello della Seconda guerra mondiale, alla fine della quale, complice un'amministrazione ligia e asservita alla Germania nazista, sopravvisse solo la metà degli ebrei.
A Milano, la comunità ebraica oggi prova a rispondere all'assedio con una manifestazione (ore 19, piazza San Carlo). Intanto, persino una sinagoga di Belfast è stata attaccata. Tutte le ultime indagini ci dicono che i peggiori antisemiti del mondo provengono dall'Europa occidentale. Nella lista nera dell'antisemitismo redatta dal Centro Simon Wiesenthal, sei su dieci sono in Europa. In testa alla classifica ci sono Francia e Regno Unito, i due paesi in cui nel 2013 e nei primi sei mesi del 2014 si è verificato il maggior numero di attacchi contro gli ebrei. Essere ebreo a Copenaghen nel 2013 è pericoloso quanto essere ebreo in un paese arabo. La scuola ebraica Carolineskolen di Copenaghen ha ricevuto una lettera in cui gli ebrei sono chiamati "ratti, serpenti, vampiri". E si sa, la mostrificazione è sentina dell'odio fisico. Nei dibattiti parlamentari in Europa si evocano le immagini degli ebrei vendicatori e si torna a imputare loro tutte le colpe, in cima quella di essere "una minaccia alla pace mondiale" (lo dice un sondaggio europeo).
Mentre il capo del Consiglio dei diritti umani dell'Onu, dalla sua sede di Ginevra, accusa Israele di "crimini di guerra" a Gaza, i capi del mondo islamico si lasciano andare a proclami di odio osceni. Dal premier turco Recep Tayyip Erdogan, che indossando una kefiah paragona Netanyahu a Hitler, all'ex muftì malesiano, Mohd Asri Zainul Abidin, che scomoda l'imbianchino austriaco per spiegare che forse "ha fatto bene a sterminare gli ebrei".
Una serie di premi Nobel (Desmond Tutu, Betty Williams, Federico Mayor Zaragoza, Jody Williams, Adolfo Pérez Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberta Menchò) invitano a boicottare Israele, paragonato al Sudafrica dell'apartheid, accostando il sionismo all'arianesimo afrikaner di triste memoria. Lo stato ebraico diventa così una "appendice", una entità estranea, coloniale, qualcosa da rimuovere. L'Europa sembra voler risolvere, una volta per tutte, il "péché originel d'Israel". Il peccato originale della creazione di Israele.
L'isolamento di Israele è anche economico, soprattutto nel nord Europa. La più grande banca danese, la Danske Bank, ha posto l'israeliana Hapoalim nella sua black list. Poi è arrivata la decisione della banca svedese Nordea di mettere sotto scrutinio le israeliane Leumi e Tefahot per la loro presenza nei Territori. Il più grande fondo pensione olandese, Pggm, ha ritirato gli investimenti da cinque istituti finanziari di Gerusalemme. Anche Abp, il terzo fondo pensione più importante al mondo, si ritira dal mercato israeliano.
Persino sul Washington Post, il premier Benjamin Netanyahu è ritratto mentre picchia un bambino palestinese. E così la degenerazione giornalistica dilaga, dall'Independent al Monde, giornali dove gli ebrei sono spesso rappresentati con l'immancabile nasone (l'ebreo "satana scarlatto dal naso adunco" di Joseph Goebbels). Opinionisti blasonati e direttori delle ong umanitarie paragonano Gaza a Guernica e la barriera di sicurezza al ghetto di Varsavia. E non è soltanto Gianni Vattimo a spararla grossa. Persino l'inviata della Cnn in Israele, Diana Magnay, è stata costretta a dimettersi dopo aver definito gli israeliani "scum": feccia.
Una guerra accademica contro Israele è combattuta nelle migliori università europee e americane. La libertà di parola è concessa a tutti nelle università europee, compresi gli islamisti, ma non ai docenti israeliani, intimiditi, isolati, esecrati, spesso cacciati. Di recente, per citarne soltanto un esempio, una delle più gloriose e storiche associazioni accademiche statunitensi, l'American Studies Association, ha votato il boicottaggio di università e scuole superiori israeliane. La mossa porterà all'annullamento di ogni rapporto accademico e culturale con lo stato ebraico. Prevede che i professori cancellino ogni collaborazione con gli insegnanti e gli istituti israeliani.
Asher Ben-Natan, primo ambasciatore di Israele in Germania, mentre teneva una conferenza all'Università di Monaco negli anni Sessanta fu interrotto violentemente da attivisti del boicottaggio. Su un poster appeso nell'auditorium si leggeva: "Solo quando le bombe esploderanno in cinquanta supermercati israeliani potrà esserci la pace". Sono trascorsi quarant'anni, il boicottaggio ha compiuto un feroce salto di qualità e missili, ogni giorno, cadono sul territorio d'Israele.
Da allora, come ha scritto il giornalista olandese Paul Andersson Toussaint, "l'antisemitismo è tornato a essere salonfähig". Una parola tedesca che riecheggiò, per la prima volta, settant'anni fa. Significa accettabile nella buona società. Una pioggia acida è scesa sulle nostre teste. Intanto, sopra Tel Aviv, il cielo è stato chiuso. Non accadeva da trent'anni.
(Il Foglio, 24 luglio 2014)
Calcio - Rissa sfiorata per una bandiera palestinese
E' accaduto in Austria durante l'amichevole fra Lilla e israeliani del Maccabi Haifa
BISCHOFSHOFEN, 23 lug - L'amichevole disputata in Austria dai francesi del Lilla e dagli israeliani dal Maccabi Haifa è stata caratterizzata da un episodio che ha poco a che vedere con il calcio. A 5' dalla fine del match, un gruppo di persone ha invaso il campo, sventolando alcune bandiere palestinesi. Ne è nato un acceso faccia a faccia con i giocatori del Maccabi e si è sfiorata la rissa: l'arbitro ha fischiato la fine in anticipo.
(Rai Sport, 23 luglio 2014)
Nuova, vecchia guerra israelo-palestinese
di Paolo Visnoviz
Il 12 giugno scorso, in Cisgiordania, venivano rapiti tre ragazzi israeliani, ritrovati morti alla fine dello stesso mese. Quasi immediata la reazione di Tel Aviv, con raid aerei mirati su obiettivi militari della Jihad Islamica e del movimento islamico Hamas, raid che portarono, il 1 luglio, all'uccisione di un ragazzo palestinese di 18 anni. Già l'11 giugno però, da Gaza era iniziata una pioggia di razzi contro Israele.
Per quale motivo Hamas ha provocato una nuova guerra, ben sapendo di non poterla spuntare sul piano militare contro Israele? L'unica spiegazione razione possibile indica che per gli islamisti l'obiettivo di imporsi militarmente è secondario. Hamas non spera nemmeno lontanamente di sopraffare l'odiato nemico con le armi, ai palestinesi interessa l'esatto contrario: subire perdite, mostrare civili dilaniati al mondo, meglio se bambini, esibire macerie e devastazioni. Perdere militarmente per vincere politicamente, con ogni mezzo. Anche sparando razzi da ospedali, abitazioni civili, scuole; usando ambulanze, impedendo alla popolazione di mettersi al riparo.
Tutto ciò crea un riflesso condizionato nei media internazionali, compatta il mondo arabo, il fronte interno, e potrebbe provocare qualche risoluzione Onu contro Israele (anzi, mi sembrano in ritardo). Successivamente, quando gli israeliani si ritireranno da Gaza, partiranno gli aiuti internazionali che finiranno nelle tasche di Hamas e serviranno ad arricchire i leader del movimento e a finanziare la prossima intifada. È un ciclo economico di enorme portata, sulle spalle del loro stesso popolo.
Per vincere la guerra non bastano i carrarmati, serve l'opinione pubblica. Oggi vale più una straziante foto pallywoodiana di un bambino dilaniato su Facebook, che non un obiettivo centrato da un Kassam. Buona parte dell'Occidente - grasso, ignorante e distratto - parteggia con riflesso pavloviano per i deboli; figlio di una cultura decadente prende le difese in modo pressoché automatico per i perdenti.
Ma Hamas non sono dei perdenti, sono dei vili. Il loro leader, Khaled Mashal, vive in Qatar. E dal suo volontario esilio dorato decide di immolare scientemente il suo popolo, di sacrificarlo per rafforzarsi politicamente. Non si può giustificare chi rapisce, uccide, colpisce vittime civili, giunge a sacrificare i suoi stessi fratelli, manipola l'informazione per ergersi al ruolo di vittima sacrificale. Non sono vittime, sono codardi. Della peggior specie: terroristi.
(L'Opinione, 24 luglio 2014)
Quel soldato «rapito» e lo strazio di un Paese che piange i suoi figli
Il dolore vince sulla rabbia per l'uccisione di 27 ragazzi israeliani. Hamas rivendica il sequestro di un militare, ma potrebbe essere solo un bluff.
di Fiamma Nirenstein
Soldati israeliani della brigata di fanteria Golani sabato scorso prima della loro azione di guerra
GERUSALEMME - Un paese che nasce con 600mila abitanti nel 1948 e oggi ne ha poco più di sette milioni, considera ognuno dei suoi ragazzi un gioiello: averne perso circa23mila, esclusi gli attentati, racconta tutta la sua determinazione. In queste ore, le foto di 27 ragazzi che hanno lasciato per sempre le loro famiglie, le loro ragazze, i loro compagni, invadono i giomali e la mente. È di pochi minuti fa l'annuncio che un altro 21 enne, Eviatan Turgyman, è stato ucciso in battaglia. All'ospedale Soroka di Beersheba e anche in altri ospedali di Israele c'è un traffico da austostrada, le ambulanze portano senza tregua soldati feriti; si vedono, alte sulle barelle, le scarpe bianche di polvere di Gaza. Molti vengono curati, fasciati, steccati, mandati via. Altri vengono trasportati di corsa verso la sala operatoria. La folla dei parenti arriva trafelata, terrorizzata. Ilana, madre di Geva, lo trova in corsia, ferito ma con un piccolo sorriso dal letto dell'ospedale: «È nato di nuovo» dice pazza di gioia. Ha un altro figlio dentro Shajaya, un ufficiale che le ha spiegato che deve restare là con i suoi ragazzi, tanti baci a Geva. I feriti lievi si impuntano a tornare alla loro compagnia. Nei giorni scorsi un comandante dei Golani, Rassan Alian, ferito a un occhio, non ha lasciato in pace i medici finché, con la faccia piena di punti, non l'hanno rimandato dai suoi soldati a Gaza.
Israele si morde le labbra e inghiotte le lacrime, le famiglie devono sostenere la peggiore di tutte le prove, i padri che seppelliscono i figli, i giovani ufficiali che lasciano spose disperate. Israele compie l'operazione di terra per evitare di bombardare dall'aria, e i giovani muoiono. Ieri il nemico ha mostrato una ghigna molto particolare: uno dei sette soldati di cui è stata annunciata la morte domenica, uccisi mentre impedivano l'ingresso di un gruppo di terroristi in un kibbutz, è stato rapito. I volti e i nomi di sei di loro sono apparsi sui giornali, cinque soldati di 20 anni e il loro ufficiale, Dolev Kedar, 38 anni. M aun altro ventenne, Oron Shaul, non era stato ritrovato. Già da domenica Hamas aveva annunciato di avere un soldato in mano, il portavoce Hussan Badran in Qatar ne ha detto il nome e il numero, 609206, senza specificare se il ragazzo è vivo, morto, ferito. Dopo due giorni di verifiche, si capisce che comunque è in mano a Hamas. Lo scopo del rapimento del ragazzo, o del suo corpo, è ricevere in cambio dei prigionieri. Potrebbe anche darsi - dicono fonti dell'esercito israeliano - che Hamas abbia in mano soltanto la piastrina col numero del soldato o dei residui di abiti e che su questo basi il suo ricatto. E quindi si studia la questione con la massima cautela.
Il dolore è troppo grande per lasciare che la rabbia vinca, Israele piange ma seguita a combattere, ed è quasi incredibile che ai tempi nostri, mentre la società occidentale si spezza, la compattezza del compito costruisca la forza e il sorriso dei giovani. Le mamme dei ragazzi uccisi seguono a malapena i funerali, abbracciano la bara, dicono però parole di orgoglio.
«Max decise divenire in Israele nel 2012 - ha detto la sua mamma americana arrivata da Los Angeles - e non c'è stato verso di toglierglielo dalla testa. Ora, il cimitero di Monte Herzl a Gerusalemme, quello degli eroi, è certo giusto per lui». Si sentono tante parole d'amore: «Il mio principe», «Tutta la mia vita». La moglie di Tzafrir Baror, 28 anni, Sivan, alla fine della gravidanza piange nelle braccia di Shimon Peres: «Avevamo promesso di proteggere il nostro bambino dalle guerre, di restare insieme per sempre e così sarà». Oz Mandelovich aveva parlato alla radio col padre per condividere la loro esperienza nella compagnia dei Golani. Il padre suggeriva un lavoro d'ufficio, e Oz rideva. La sua ragazza ha scritto su WhatsApp: «Per me tu sei il mio mondo». La mamma di Moshe Malko, 20 anni, ha coperto con grida le preghiere: «Moshiko, vita mia, siamo stati così fortunati ad averti». Gli amici raccontano del loro miglior campione, quel gran giocatore di pallanuoto, quell'ottimo musicista, quel volontario di ogni buona causa, quel soldato valoroso. La notte di lunedì al cimitero di Haifa è stato seppellito Sean Carmeli, 22 anni, un americano del Texas, uno dei 2000 «soldati soli» che decidono di venire a servire in Israele dall'estero. Sean era un morettino vivacissimo, tifoso del Maccabi Haifa. Su Face-book un suo amico, Rafael, ha postato l'orario del funerale: mezzanotte, per permettere alla famiglia di arrivare dagli Stati Uniti. Al cimitero di Haifa si sono presentate 20mila persone, con autobus, mezzi privati, di destra, di sinistra, ragazzi, vecchi. C'era la fascia verde del Maccabi Haifa e la bandiera bianca e celeste, gli sarebbepiaciuto.
(il Giornale, 23 luglio 2014)
Riflessioni di un israeliano in Italia
di Aron Fait
In una Verona che si addormenta non prendo sonno e ascolto forse il primo segnale di un cambiamento che potrebbe portare alla fine del conflitto "EU foreign ministers issue statement calling for disarmament of all terror groups in Gaza". Intanto i missili cadono sulle città di Israele alla cieca, come una roulette russa a decine. La gente vive tra l'aria e la stanza della guerra. I bambini, i miei figli, tremano ai rumori forti, ad un treno che passa, ad una c. di sirena che suona di nuovo e di nuovo e ancora un latrato che ti gela il sangue e ti blocca lo stomaco. Intanto a Gaza continua l'avanzata dell'esercito, soldati muoiono, civili muoiono, terroristi muoiono, e l'ignoranza impera nell'occidente. Cerco di non leggere giornali non guardare la tv, fa male pensare all'ignoranza ipocrita di chi si sveglia quando gli pare e spinto da un buonismo terzomondista e finto-pacifista urla Israele boia. Lo stesso che un mese fa con le migliaia di morti in Siria da tre anni ad oggi, se ne strafotteva, senza mostrare la minima misericordia per i civili siriani, trucidati a migliaia civili per lo più, nessuna manifestazione. Lo stesso che se ne stava in poltrona a piangere per le magagne d'Europa mentre nell'appena istituito califfato venivano decapitati infedeli. Che persona è questa? Che sinistra è questa? Che senso può avere un simile "impegno"? Quanta ignoranza ed ipocrisia e malafede può spiegare tutto questo improvviso impegno civile che scorre nelle citta' come caproni a scandire slogan senza contenuti. E si chiede ad Israele di smettere una guerra che non ha voluto, non vuole. Si chiede ad Israele di smettere... e poi? poi cosa? i missili continuano a cadere! Israele non può' accettare di essere violentemente preso in giro da un'organizzazione terroristica che, lontana dal rappresentare i Palestinesi, li usa, li violenta, li tiene in ostaggio, e manda i propri figli a morire per il loro potere. Un'organizzazione criminale che invece di costruire Gaza, compra missili sempre più potenti per terrorizzare il nemico irriconoscibile innominabile infedele. Stupidi. Non vedete se non quando vi vengono messe le immagini accuratamente selezionate per muovere la crosta di indifferenza accumulata, stupidi che non sapete se non quello che vi si propina alla televisione e non chiedete e non chiedete! Stupidi che sostenete chi vuole la distruzione delle due società perché solo così potrà arricchirsi, quelli che la pace la aborriscono perché significa la loro fine. Stupidi non conoscete nulla se non quello che titoleggia sulla prima pagina e vi arrogate il diritto di indignarvi di fronte ad una nazione che non accetta decine di missili sparati a caso sulle città, giornalmente da mesi e mesi e mesi. Una nazione che non perde il cervello nonostante la situazione, una nazione, UNA, fatta di ebrei e arabi israeliani. UNA nazione con le differenze di opinioni e le tensioni interne anche oggi, una nazione che riesce a non cadere nell'apatia, nel risentimento e nella violenza del razzismo etnico-religioso.
(Facebook, 23 luglio 2014 - segnalato da Deborah Fait)
«Eccezionale autocontrollo e abnegazione»
Stragrande maggioranza di vittime civili? Lecito dubitarne
"Durante la seconda guerra mondiale, l'esercito britannico risposte agli attacchi tedeschi con il bombardamento a tappeto delle città tedesche. Non ho alcuna intenzione di criticare il Regno Unito per averlo fatto, ma allo stesso tempo non intendo accettare, e nessuno dovrebbe accettare, che Israele venga calunniato mentre agisce con un autocontrollo che nessun esercito al mondo ha mai dimostrato". Lo ha detto martedì l'ambasciatore d'Israele negli Stati Uniti, Ron Dermer. "Soprattutto - ha continuato - non tollero accuse al mio paese in un momento in cui i soldati israeliani stanno letteralmente morendo per risparmiare vite di palestinesi innocenti. Israele avrebbe potuto evitare di mandare i suoi soldati in molti dei luoghi dove oggi stanno combattendo. Avremmo potuto dare alla gente il tempo di sgomberare quelle zone, cosa che in ogni caso abbiamo fatto, e poi bombardare a tappeto dall'aria tutti gli edifici utilizzati dai terroristi. Ma non l'abbiamo fatto. Come le altre volte, stiamo mandando i nostri soldati casa per casa, sin dentro quel nido di vipere del terrorismo palestinese, irto di mine e tunnel sotterranei....
(israele.net, 23 luglio 2014)
A Milano con gli ebrei, per Israele
di Giulio Meotti
Giovedi a Milano, alle ore 19 in piazza San Carlo, ci sarà una manifestazione organizzata dalla comunità ebraica. Un evento importante e da sostenere con la presenza, per lanciare un messaggio di solidarietà a Israele sotto attacco, soprattutto in un momento in cui anche in Europa gli ebrei sono travolti dall'intolleranza, esposti al pubblico ludibrio.
"Il messaggio della manifestazione è ribadire il diritto di Israele a esistere al fianco del popolo palestinese", ci spiega il presidente della comunità ebraica di Milano, Walker Meghnagi. "Hamas non rappresenta i palestinesi, anzi li sta uccidendo, e insieme vuole sterminare il popolo ebraico".
Tutti a Milano. Tutti per Israele.
(Il Foglio, 23 luglio 2014)
Sinagoghe, allerta dell'intelligence: «Pericolo attentati anche in Italia»
di Antonio Manzo
Sinagoghe e aeroporti, ma anche grandi vie di comunicazioni. La segnalazione che i servizi di sicurezza italiani, nelle ultime ore, hanno passato agli investigatori antiterrorismo riguarderebbe il rafforzamento delle misure di sicurezza tutt'intorno ad una Sinagoga di una grande città italiana e nei principali scali aerei italiani. «Potrebbe profilarsi una potenziale ripresa degli attentati, secondo lo schema Lockerbie (1988, bomba ad Heatrow)» dice un responsabile dell'intelligence italiana. Oltre vent'anni dopo, è questa l'analisi del contesto della minaccia, lo scenario del Mediterraneo in fiamme potrebbe far di nuovo convergere interessi dell'epoca ma con nuove matrici ispiratrici: dell'Iran, minacciata con Roma e tutta l'Europa dal califfo integralista al-Baghdadi, della Libia, senza governo e in mano a bande estremistiche e, non ultimo, della Siria in fiamme e, infine della Siria. Ma nello scenario della minaccia c'è l'attualità quotidiana della minaccia sulla finestra meridionale dell'Italia sul Mediterraneo.
L'obiettivo sinagoghe è uno dei capitoli d'allarme: se ne contano a decine, sparse per l'Italia, dal Piemonte alla Sicilia. Proprio uno di questi luoghi italiani di culto ebraico sarebbe finito nel progetto di un'azione "dimostrativa" anti Israele nei giorni della guerra di Gaza. Dice un investigatore: «Sinagoghe, musei ebraici, si tratta di luoghi sempre super sorvegliati ma è bene alzare la soglia dei controlli, anzi in queste ore è urgente». Pur nella apparentemente scontata ipotesi di un possibile attacco terroristico a una sinagoga, gli uomini dell'Intelligence non sottovalutano il pur minimo indizio di un «riverbero pericoloso» sull'Italia della guerra israeliano-palestinese.
Se fosse solo questa la minaccia, il raggio dei controlli sarebbe particolarmente limitato. Ma nelle ultime ore i rischi sono entrati «pesantemente», dice un vertice dell'intelligence italiana anche sui trasporti aerei, con il «monitoraggio attento» sulla sicurezza delle vie aeree. La preoccupazione del Viminale e dei servizi di sicurezza è che il teatro della minaccia è troppo vasto per poter definire coordinate preventive con un margine di attendibilità a brevissimo periodo. Di qui, l'urgenza della convocazione per questa mattina del Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica, su richiesta diretta del presidente Renzi. I dossier, predisposti dal sottosegretario ai servizi di sicurezza Marco Minniti, particolarmente esperto nelle analisi della sicurezza interna ed internazionale e dell'ambasciatore Giampiero Massolo, garantiranno ai ministri (Alfano, Mogherini, Orlando e Padoan) tutti gli elementi per fronteggiare gli eventuali pericoli che arrivano dal Mediterraneo in fiamme. Dossier che sono anche sulla scrivania del presidente Napolitano. Di qui la preoccupazione del capo dello Stato sull'Italia esposta «ai contraccolpi di tensioni e tragedie dell'area mediorientale».
Quali cellule terroristiche collegate agli estremismi arabi operano in Italia? Non ci sono solo quelle di radice islamica di Al Qaeda, ora in minoranza, dopo la proclamazione dello Stato islamico con la nascita del Califfato che minaccia Roma e l'Europa. Ci sono cellule direttamente collegate alla Siria in fiamme. Ma non c'è solo la preoccupazione sulla instabilità del Nord Africa, nel novero delle minacce terroristiche. C'è un capitolo nuovo, entrato nei dossier di queste ore: è quello della minaccia che arriva dall'Africa sub sahariana, non nuovo ma, dicono gli 007, «inesplorata e soprattutto sottovalutata nel contesto della politica estera italiana». Di qui un monitoraggio sempre più attento e rigoroso dei flussi migratori. «Perché i terroristi potrebbero utilizzare la sponda italiana, attraversare il Paese e raggiungere tranquillamente qualsiasi capitale europea» dicono fonti dell'intelligence nella apparente ovvietà del transito ma sottintendendo il profilo inquietante di «soggetti sconosciuti ai quali bisogna credere, con il criterio della buona fede, nell'identità che dichiarano».
L'ultimo capitolo del dossier sicurezza, quello relativo alla crisi ucraina, è stato chiuso ieri sera a Palazzo Chigi anche all'esito della riunione del consiglio dei ministri dell'Unione europea svoltosi ieri. «Il salto di qualità del terrorismo dell'Est impone una risposta che l'Italia dovrà garantire non con linguaggio di guerra fredda ma di nuovi rapporti tra l'Ue e la Russia di Putin», conferma una fonte istituzionale. La crisi ucraina ora viene letta non solo come una convenienza di rapporti per le forniture energetiche ma anche come fonte di destabilizzazione per tutta l'Europa.
(Il Gazzettino, 23 luglio 2014)
Notizie diffuse da Technion Italia
Cari Amici,
dal Technion riceviamo informazioni delle quali, spesso, non si hanno notizie e che è importante poter condividere con voi:
Come avrete saputo, l'esercito israeliano è impegnato nella ricerca e distruzione dei tunnel che sono di 3 tipi diversi:
per contrabbandare materiale dall'Egitto, incluso quello bellico;
per nascondere l'arsenale e come rifugio sicuro per i leader di Hamas;
per entrare in Israele e compiere attacchi terroristici.
Snake robot
Tutti questi tunnel sono protetti da un sistema di trappole per colpire i militari israeliani quando entrano per esplorare e distruggere.
Un professore della facoltà d'ingegneria meccanica del Technion ha inventato uno "snake robot" - serpente robot di varie dimensioni che viene immesso all'interno dei tunnel in avan scoperta per monitorare la situazione all'interno di questi siti e prendere i provvedimenti necessari. Questa tecnologia ha permesso di salvaguardare la vita dei nostri ragazzi e di ridurre al minimo le perdite umane derivanti da queste azioni terroristiche.
Per vostra informazione, i tunnels realizzati a Gaza per conto di Hamas, costano 1 milione di US$ al kilometro e scorrono tra i 10 e i 20 metri sotto terra. Ogni tunnel ha circa 20 accessi diversi e si pensa che vi siano centinaia di tunnels attivi e sono difficile da identificare perché il terreno in superficie è molto accidentato. Per la loro costruzione sono stati utilizzati migliaia di tonnellate di cementi armato per impedire il crollo delle gallerie e chilometri .....cavi elettrici per fornire luce ed elettricità alle pompe per fornire ossigeno all'interno. Questo progetto mastodontico è costato centinaia di milioni di dollari che sono stati sotttratti alle esigenze umanitarie della popolazione.
I nostri ricercatori stanno lavorando ad un metodo per identificare più velocemente i tunnel dall'esterno, senza dover scavare ogni volta.
Continueremo a diffondere e trasmettere tutte le informazioni che ci perverranno.
Cordiali saluti.
Piero Abbina
Presidente Technion Italia
(Technion Italia, 23 luglio 2014 - segnalato da Emanuel Segre Amar)
Lunedi mattina un gruppo di terroristi di Gaza si è infiltrato in Israele attraverso un tunnel, a pochi metri da un kibbutz. Sono stati scoperti da un'unità di ricognizione israeliana e attaccati dall'Air Force che ne ha uccisi dieci.
Video
La metropolitana di Gaza
Ieri sera per la prima volta RaiNews24 ha mandato in onda un servizio sulla Guerra a Gaza non fazioso, non il solito servizio di propaganda a favore di Hamas che ci propina od ogni ora Lucia Goracci. Ha mandato in onda una intervista a quello che senza dubbio è il miglior giornalista italiano in Medio Oriente, Maurizio Molinari.
Molinari, con la sua solita pacatezza, ha spiegato agli italiani quali sono gli obbiettivi israeliani, cioè la distruzione della vastissima rete di tunnel costruita da Hamas sotto Gaza, una rete lunga decine e decine di Km che molto spesso parte dall'interno delle case abitate, una rete di tunnel dotata di tutto, persino di aria condizionata. Molinari ha spiegato che c'è una rete di tunnel offensiva e una rete di tunnel difensiva. La prima parte da dentro Gaza e sbocca diversi Km all'interno del territorio israeliano. Serve ai terroristi per portare attacchi nelle retrovie israeliane ma, soprattutto, a rapire civili e soldati israeliani. La seconda, quella difensiva, serve a mantenere in sicurezza i terroristi ed è dotata di tutti i confort, compresa l'aria condizionata, riserve di cibo e tanto altro. Serve anche a nascondere i depositi di armi ed esplosivi, i missili e in alcuni casi le rampe di missili....
(Right Reporters, 23 luglio 2014)
La sceneggiata anti-Israele di Erdogan
Il leader islamico alza i toni in vista delle elezioni del 10 agosto
di Nicola Mirenzi
La retorica aveva superato il livello di guardia già nel fine settimana: «La barbarie di Israele - aveva detto il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan - ha superato quella di Hitler». Ieri invece, davanti al parlamento, il capo del partito islamico per la giustizia e lo sviluppo ha aggiunto un tocco di folclore, presentandosi di fronte ai deputati indossando una kefiah, in segno di solidarietà al popolo palestinese e annunciando che Ankara osserverà tre giorni di lutto per le vittime di Gaza.
Simboli, richiami d'appartenenza, slogan, che più che rivolgersi all'esterno, in uno sforzo per risolvere il conflitto tra Hamas e Israele (su cui Ankara potrebbe dire la sua) hanno l'obiettivo di mobilitare il sentimento anti-israeliano e pro-palestinese dell'elettorato turco, visto che domenica 10 agosto la Turchia andrà incontro a una delle elezioni più importanti della sua storia recente: quella per la scelta del presidente della repubblica, che per la prima volta verrà indicato direttamente dagli elettori (inutile dire che tra i suoi più decisi aspiranti c'è proprio il primo ministro Erdogan).
Si spiega così la corsa di Erdogan ad alzare l'asticella delle accuse, strumentalizzando per un fine domestico il più antico conflitto della regione. Parlando di «una nuova alleanza di crociati» che sostiene Israele e criminalizzando i partiti d'opposizione che rimproverano a Erdogan un tono troppo partigiano in una vicenda che avrebbe bisogno di tutto fuorché di ulteriori tifosi schierati sulle tribune a sventolare bandiere.
«Vorrebbero che noi facessimo i guardiani di Israele - ha insinuato Erdogan riferendosi ai suoi avversari politici - ma non faremo la guardia a stati crudeli», ha concluso. Proseguendo su una linea di dichiarazioni anti-israeliane che si è spinta sino ad alludere che il progetto di genocidio non è un piano dell'ultima ora, ma un progetto portato avanti sin dalla fondazione dello stato d'Israele. Mentre il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, sino a pochi anni fa lo stratega di una pacificazione dell'area mediorientale di cui Ankara doveva farsi promotrice, ha tenuto a rendere noto che «lavora giorno e notte per rimuovere i colonialisti» dalla regione.
Parole. Parole. Parole. Che hanno avuto come risultato concreto quello di aumentare la diffidenza del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che si è detto preoccupato dalla retorica «anti-semita» di Erdogan. Proprio lui, Netanyahu, che alla fine del 2013 si era fatto convincere dal presidente americano Barack Obama a chiedere scusa alla Turchia per l'incidente della Mavi Marmara, che aveva fatto collassare le cruciali relazioni diplomatiche turco-israeliane nel 2010. E che ora erano sulla strada della completa restaurazione, tanto che Erdogan ad aprile aveva detto che «è solo questione di giorni, settimane» prima che le cose tornino alla normalità. Niente di tutto ciò è avvenuto. Il premier turco ha preferito giocare la carta della propaganda interna. Piuttosto che quella della mediazione internazionale.
(Europa, 23 luglio 2014)
Peres, triste addio fra le bombe per il guerriero della pace
L'ultimo dei padri fondatori domani passa le consegne al nuovo presidente Rivlin
di Maurizio Molinari
GERUSALEMME - Sarà una cerimonia sottotono a segnare domani nel «Beit Ha-Nasì» il passaggio della presidenza di Israele da Shimon Peres a Reuven Rivlin. Lo Stato Ebraico combatte un conflitto aspro a Gaza contro Hamas, i suoi soldati caduti o feriti segnano l'intera popolazione e ciò spiega la comune decisione di Peres e Rivlin di scegliere per la circostanza un profilo basso, essenziale, richiamandosi allo stile dei padri fondatori, David Ben Gurion e Menachem Begin.
Gli ultimi gesti di Peres come i primi di Rivlin, saranno visitare i soldati feriti all'ospedale Soroka di Beersheva. Ma questa atmosfera non deve trarre in inganno sull'entità dell'evento che si sta per consumare. La conclusione del settennato di Peres indica la fine della parabola pubblica dell'ultimo fondatore dello Stato come l'inizio del mandato di Rivlin catapulta sotto i riflettori un personaggio per molti aspetti agli antipodi.
Shimon Peres, nato nel 1923 come Szymon Perski in una cittadina della Polonia oggi in Bielorussia, è protagonista della parabola di Israele da quando nel 1947 David Ben Gurion lo sceglie come responsabile degli acquisti di armi dell'Haganà - da cui nascono l'anno seguente le forze armate israeliane - nominandolo nel 1953 direttore generale del ministero della Difesa. Peres ha 30 anni e in 36 mesi mette a segno il risultato che segna la vita dello Stato: la costruzione del reattore nucleare di Dimona, genesi dell'arsenale atomico. Nelle sue memorie Peres scrive «il mio contributo in quel drammatico periodo fu qualcosa di cui non posso ancora scrivere per ragioni di sicurezza, fu dopo la nomina di Moshe Dayan a ministro della Difesa che gli sottomisi una certa proposta, mirata a diventare un deterrente contro i Paesi arabi, affinché non ci attaccassero più». L'interlocutore è la Francia di De Gaulle, da cui il reattore viene acquistato trasformando Peres nel padre del programma atomico e della relativa politica che è lui stesso, nell'aprile 1963, a illustrate al presidente John F. Kennedy in un incontro nello Studio Ovale: «Israele non sarà la prima nazione, ma neanche la seconda, a introdurre armi nucleari in Medio Oriente». Due anni dopo il premier Levi Eshol trasforma queste parole nella politica nucleare dello Stato Ebraico basata su una voluta ambiguità, tesa a sconsigliare ai nemici confinanti di perseguire una nuova Shoà.
Nello stesso periodo, Peres crea dal nulla l'«Israel Aerospace Industries» assieme all'imprenditore americano Al Schwimmer dando inizio a un approccio all'industria bellica basato sulla produzione di armi aeree nazionali, al fine di rispondere alle particolari esigenze di sicurezza. Il primo velivolo è lo Tzukit, protagonista della Guerra dei Sei Giorni, così come le versioni di F-15 e F-16 modificate «IAI» continuano a garantire la superiorità nei cieli, inclusa la possibilità di attaccare il nucleare iraniano.
Il terzo risultato con cui Peres segna l'identità di Israele sono gli accordi di Oslo del 1993 con Yasser Arafat. Nelle vesti di ministro degli Esteri è lui che gestisce il negoziato segreto con l'Olp, spinge il premier Yitzhak Rabin a superare i dubbi e accompagna gli israeliani ad accettare la formula dei «due Stati per due popoli». Leader del partito laburista, allievo di Ben Gurion da cui ha appreso «mentire mai, osare sempre», più volte premier e ministro degli Esteri, Peres è tanto l'architetto del programma nucleare che della pace con i palestinesi. È lui stesso che, nel 1995, traccia un nesso fra i due risultati, rivolgendosi così ai leader arabi: «Il Medio Oriente è tutto in una frase, dateci la pace e rinunceremo a Dimona». La svolta di Oslo va ben oltre l'accordo con Arafat perché porta, nell'arco di 20 anni, la destra israeliana del Likud ad accettare - prima con Benjamin Netanyahu e poi con Ariel Sharon - la formula dei due Stati che aveva sempre respinto.
La presidenza è solo l'ultimo tratto del percorso pubblico di Peres e si distingue non solo per l'impegno sullo sviluppo dell'hi-tech ma anche per la sovrapposizione con il governo Netanyahu. In apparenza in due leader sono avversari ma la realtà è più complessa: quando il 4 luglio del 1976 le forze speciali liberano 102 ostaggi nelle mani di un gruppo di terroristi a Entebbe, in Uganda, a ordinare il blitz è il ministro della Difesa Peres e dunque tocca a lui telefonare a Benzion Netanyahu per comunicargli la morte del figlio Yonatan, comandante del salvataggio. Una telefonata da cui nasce il legame stretto con i Netanyahu che continua con Benjamin, detto «Bibi», fratello di Yonatan. Ecco perché nel 1996, quando Peres viene beffato da «Bibi» nella corsa a premier, ne diventa consigliere informale. Ed ecco perché, nei sette anni di presidenza, Peres ogni venerdì ha ricevuto «Bibi», parlando da soli, anche per due ore, sulla sicurezza di Israele.
Le esternazioni di Peres hanno tuttavia creato spesso imbarazzo al premier, soprattutto per i disaccordi sui negoziati con i palestinesi, come avvenuto in occasione della recente mediazione Usa. Tali sovrapposizioni difficilmente si ripeteranno con Reuven Rivlin, un leader coriaceo del Likud contrario ai «due Stati per due popoli». Ma chi conosce Rivlin assicura che sarà comunque un «osso duro» per «Bibi»: non sulla politica estera, dove eviterà di mettere in difficoltà il premier discostandosi da Peres, ma su quella interna per via della volontà di rafforzare la democrazia israeliana aumentando i diritti delle minoranze come arabi, drusi, beduini, cristiani. Senza contare che Rivlin è fra i politici più invisi a Sara, l'imprevedibile First Lady che gli rimprovera di non averle dato lustro quando lui presiedeva la Knesset.
(La Stampa, 23 luglio 2014)
Israele - Ventiduemila al funerale del soldato "solo"
di Maurizio Molinari
Oltre 22 mila persone si sono presentate al funerale di un soldato di 21 anni che gran parte di loro neanche conosceva. E' avvenuto a Haifa, nel Nord di Israele, in occasione delle esequie del sergente Nissim Sean Carmeli, 21 anni, uno dei 13 militari israeliani caduti in battaglia a Gaza nella giornata di domenica. Carmeli, nato a South Padre in Texas, era un "chaial boded" ovvero un soldato i cui parenti non vivono in Israele. Il padre israeliano anni fa si recò a lavorare in Texas ed è rimasto lì, da dove Nissim tornò nello Stato Ebraico a 16 anni, andando a studiare a Raanana. Gli unici due parenti di Nissim in Israele sono le sorelle che hanno avuto il timore di non raggiungere al funerale il numero di dieci presenze maschili, necessario per recitare il "kaddish", la preghiera per i defunti. E' così partita una catena di messaggi sui socialnetwork e What's up per trovare i "dieci uomini" entro le 23,30 di lunedì al Neve David Military Cemetery di Haifa. Quando le sorelle sono arrivate, assieme al padre, hanno avuto difficoltà a credere ai loro occhi: oltre 22 mila persone, in gran parte estranee, si sono presentate arrivando da ogni angolo di Israele inclusi 50 motocicisti della "Israeli Motorcycle Association". Uno di loro, Mike, a bordo di un'Harley-Davidson con una grande bandiera d'Israele ha detto "questo era il minimo che potevo fare".
(La Stampa, 22 luglio 2014)
Droni e "risorse umane", così Israele fa la guerra ai tunnel del terrore
Sospesi i voli internazionali verso Tel Aviv. Nessuna tregua concordata. Il segreto sul "mostro sotto Gaza".
di Giulio Meotti
Li chiamano "Aravim tovim". In ebraico: gli arabi buoni. Sono i collaboratori palestinesi di Israele. Sono l'arma più potente dello stato ebraico nella guerra di Gaza. Saranno loro a decidere il risultato del conflitto. Non soltanto l'high-tech, i droni o le più sofisticate armi di Gerusalemme. Ma gli informatori che Israele sta usando per distruggere l'immensa rete di tunnel costruita da Hamas per colpire gli israeliani, anche nel loro territorio. Dall'inizio della guerra, lo scorso 8 luglio, Hamas ha giustiziato quattro di questi "informatori".
Mentre è salito a ventisette il numero di soldati israeliani uccisi dai terroristi e a 583 quello dei palestinesi, c'è una espressione che ieri è tornata a ossessionare Gerusalemme: "Missing in action". Un soldato, Oron Shaul, è dato per disperso. Hamas ne rivendica il rapimento (un nuovo caso Gilad Shalit) e in Israele si teme almeno la trafugazione del suo corpo, che i terroristi useranno certamente come baratto. La capacità missilistica di Hamas non sembra ancora intimidita: ieri altri missili sono stati lanciati sull'area di Tel Aviv, mentre molte compagnie aeree internazionali, a partire da quelle americani e francesi, hanno bloccato i voli verso Israele. Il cerchio ristretto della sicurezza del governo Netanyahu, intanto, discute su come e quanto andare avanti. Gilad Erdan, ministro delle Comunicazioni, ha lasciato intendere che Israele potrebbe mantenere una presenza militare nel nord della Striscia di Gaza. E ieri il ministro della Giustizia Tzipi Livni ha chiarito che "non ci sono opzioni per adesso per un cessate il fuoco". Israele è anche impegnata in una campagna per spiegare i tentativi di contenere il numero di vittime civili palestinesi. Un "bisturi mediatico". Ieri Ron Dermer, ambasciatore israeliano a Washington, ha detto che Gerusalemme "merita il premio Nobel per la Pace: soldati israeliani muoiono cosicché innocenti palestinesi possano vivere". L'esercito israeliano diffonde ogni giorno le fotografie delle rampe di lancio dei missili di Hamas dislocate in mezzo alla popolazione di Gaza.
La Intelligence Newsletter scrive che a Gaza lo Shin Bet, il servizio segreto interno d'Israele, gestisce una "rete di centinaia di informatori". Tutti i grandi capi di Hamas - Ahmed Yassin, Saleh Shehada, Abd al Aziz al Rantisi e nel 2012 Ahmed Jaabari - sono stati eliminati grazie a questi "traditori". Israele la chiama "humint", gestione di risorse umane. Come fa Israele a individuare i tunnel di Hamas? Grazie agli informatori. Il caso più noto è quello di Masab Yusef, il figlio di Sheikh Hassan Yousef, uno dei fondatori del gruppo terroristico palestinese Hamas, che durante la Seconda Intifada prese a lavorare per i servizi israeliani, sventando molti attentati. Oggi vive in una località sicura in California, con una nuova identità. E' il "principe verde".
- Entrano nella mente del terrorista"
Ogni tunnel di Gaza è coordinato da tutte le fazioni di Hamas. Sono divisi in quattro distretti: nord, Gaza City, il centro e il sud. C'è soltanto un terrorista a conoscere la dislocazione del tunnel. Per mantenere il segreto, il suo nome e la mappa del sottosuolo sono noti soltanto ai capi di Hamas. Scardinare questa rete, "un mostro del sottosuolo" come lo ha definito Yedioth Ahronoth, non è facile per Israele. Ha bisogno di occhi nelle strade di Gaza. Soprattutto dopo la direttiva di Hamas ai membri più anziani: "Niente cellulari", per evitare la localizzazione da parte degli israeliani.
Alcuni informatori odiano l'islamismo che ha brutalizzato i palestinesi, specie paragonato al tenore di vita dei palestinesi della Cisgiordania. Altri sono semplicemente prezzolati, oppure sono accusati di crimini "immorali" nell'islam, quali l'omosessualità o il consumo di droghe. Durante la Prima Intifada (1988-1993), da 750 a 950 palestinesi sono stati uccisi da altri palestinesi perché sospettati di "collaborazionismo", secondo un rapporto del gruppo per la difesa dei diritti umani B'Tselem. E' stata definita "Intrafada", l'Intifada interna al mondo palestinese. Hamas di recente ha offerto la clemenza ai collaboratori di Israele in cambio di informazioni vitali sulla sicurezza dei suoi nemici. E promette: "Il destino della Palestina sarà deciso dalla resistenza, non dagli informatori".
Il generale dei paracadutisti, Herzl Halevi, ha spiegato così l'importanza di queste risorse umane: "I collaboratori ci hanno fatto scoprire le case minate e gli alberi dove avevano piantato bombe". L'attuale ministro e già capo dello Shin Bet, Yaakov Peri, lo spiega invece così: "Non c'è sostituto alle risorse umane, una risorsa umana entra dentro le case, spesso entra nella mente del terrorista".
(Il Foglio, 23 luglio 2014)
Ban ki-Moon chiede dialogo, Netanyahu ribadisce il diritto di Israele a difendersi Una "lunga tregua umanitaria" che per ora non incontra il favore delle parti in causa: è un tentativo molto difficile quello di Ban ki-Moon, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, che ha effettuato una tappa israeliana dopo aver incontrato in Egitto il Segretario di Stato americano John Kerry, e prima di recarsi a Ramallah:
"Troppe madri palestinesi e israeliane stanno seppellendo i loro figli. Il mio messaggio agli Israeliani e ai Palestinesi è lo stesso: smettete di combattere e cominciate a parlare, andate alle cause di fondo del conflitto, in modo da non doverci ritrovare nella stessa situazione tra sei mesi o un anno".
Poco prima il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, aveva accusato Hamas di aver respinto ogni offerta di tregua, e di aver voluto questi morti:
"Credo che lei capisca - ha detto rivolgendosi a Ban ki-Moon - che è diritto di ogni Stato difendersi, e Israele continuerà a fare il necessario per difendere la propria popolazione. Signor Segretario: non è solo nostro diritto, è nostro dovere".
(Fonte: euronews, 22 luglio 2014)
Israele ha tutte le ragioni di difendersi
Caro Direttore
Coloro che manifestano, in tutta Europa, contro Israele, chiedendo talvolta la morte di tutti gli ebrei ed elogiando Hitler, confondendo volutamente ebrei con israeliani, accomunando antisionismo con antisemitismo, bruciando negozi di ebrei, lordando sinagoghe, incendiando luoghi di ritrovo di ebrei dimenticano (volutamente ) due fatti sostanziali e determinanti:
Hamas ha iniziato la guerra (perchè tale è quella tra Israele e Hamas) lanciando razzi su Israele provenienti da rampe situate in zone e in palazzi abitati da civili, usati come scudi. Più morti civili maggiore l'indignazione a senso unico degli antisemiti europei.
Hamas non vuole alcuna forma di pace con Israele, avendo nel suo Statuto un articolo che indica come scopo principale della organizzazione terroristica la distruzione dello Stato di Israele..
Israele ha tutte le ragioni di difendersi. Gli ebrei non vogliono più essere compianti dopo un'altra Shoah ! Meglio essere vituperati dagli ipocriti che compianti !
La guerra è iniziata in seguito all'assassinio di tre giovani ebrei per mano di uomini di Hamas, che Hamas ben conosce ma si guarda bene dall'arrestare e condannare !
A questo fatto osceno ne è seguito un altro, altrettanto vile e osceno: l'assassinio di un giovane arabo per mano di alcuni ebrei ultraortodossi, dei criminali a tutti gli effetti. Israele si è affrettata ad arrestare questi delinquenti ed è sperabile che vengano condannato all'ergastolo, imprigionati e della loro cella si buttino via le chiavi.
Israele, a sua volta, si ritiri dalle colonie costruite in Cisgiordania e finisca una volta per tutte di creare insediamenti di coloni ultraconservatori in un territorio non suo, ma chiaramente palestinese.
NON E' VERO!
Due popoli, due stati ! Parole sante, ma ciò sarà possibile solo quando Hamas cancellerà quell'articolo dal suo statuto e accetterà l'esistenza dello stato di Israele entro confini riconosciuti e rispettati.
Non si chiedono gli amici di Hamas come mai nessun stato arabo è intervenuto a difendere Hamas e gli abitanti delle striscia di Gaza ?
Cordiali Saluti
Dr Carlo Mario Passarotti - Gallarate
(VareseNews, 23 luglio 2014)
Oltre 1700 missili lanciati da Gaza prima dell'offensiva di terra
L'operazione in corso a Gaza "non è stata una scelta d'Israele" ma è una risposta ai lanci di missili da Gaza, ben 1700 prima dell'avvio dell'operazione di terra. E' quanto si legge in un documento diffuso dall'ufficio stampa dell'ambasciata d'Israele, nel quale si sottolinea che i lanci di missili da Gaza sono iniziati il 12 giugno con una escalation il 30 e un nuovo picco il 7 luglio, con 80 missili in un solo giorno. Nei 26 giorni fino al 7 luglio, alla vigilia dell'inizio dell'operazione Confine protettivo, sono stati lanciati circa 300 missili contro Israele.
Fra l'otto e il 17 luglio, quando è iniziata l'operazione di terra nella Striscia, sono stati lanciati 1.497 missili per un totale di 1.700 dal 12 luglio. Di questi, si legge ancora, 301 sono stati intercettati dal sistema di difesa Iron Dome, ma 1.093 hanno colpito il territorio israeliano. Sono missili che hanno preso di mira villaggi e città come Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa, Beersheva, Ashdod e Ashkelon.
(Adnkronos, 22 luglio 2014)
Israele si difende. I torti non sono sullo stesso piano
di Bernard-Henri Levy
Così dunque domenica scorsa, a Parigi, col pretesto di «difendere la Palestina», migliaia di uomini e donne se la sono presa di nuovo con gli ebrei. A questi imbecilli oltre che mascalzoni, o viceversa, ricordiamo, ad ogni buon conto, che mescolare ebrei e israeliani in una stessa riprovazione è il principio stesso di un antisemitismo che, in Francia, viene punito dalla legge.
Ricordiamo che nessuna indignazione, nessuna solidarietà nei confronti di una qualsiasi causa può, non dico autorizzare, ma scusare il gesto virtualmente pogromista che è il saccheggio, a Sarcelles, di una «farmacia ebraica» o di una «drogheria ebraica». A tali mascalzoni oltre che imbecilli, o viceversa, che la settimana precedente se la prendevano con due sinagoghe e, otto giorni dopo, recitano un remake penoso, e grazie al cielo ancora in modo minore, della notte dei cristalli, ripetiamo che questo tipo di azioni non trova spazio né in Francia né in alcun altro Paese dell'Europa contemporanea. Segnaliamo loro, en passant, che riunirsi dietro a razzi Qassam in cartapesta riproducenti le granate lanciate, alla cieca, su donne, bambini, vecchi, insomma sui civili di Israele, non è un atto anodino, ma un gesto di appoggio a un'impresa terroristica. A coloro che, fra questi, avevano realmente a cuore la causa di Gaza e sfilavano con striscioni su cui si evocavano le decine di innocenti uccisi dall'inizio della controffensiva israeliana, non saremo così crudeli da chiedere perché non sono mai lì, mai, sullo stesso selciato parigino, per piangere, non le decine, ma le decine di migliaia di altri innocenti uccisi, da circa quattro anni, nell'altro Paese arabo che è la Siria.
Facciamo notare che i responsabili di queste vittime, delle decine di donne, bambini, vecchi - che, se l'avanzata criminale di Hamas non viene bloccata, saranno, domani, centinaia - sono due, non uno: il pilota che, prendendo di mira una rampa di missili iraniani nascosta nel cortile di un edificio, colpisce per errore l'edificio vicino; ma anche, se non innanzitutto, i mostri di cinismo che, al messaggio del pilota che annuncia di essere sul punto di sparare e invita i vicini a lasciare il quartiere per mettersi al riparo, rispondono invariabilmente: «Che nessuno si muova; che ognuno resti al proprio posto; che 10, 10.000 martiri sono pronti a offrire il proprio sangue alla santa causa, iscritta nella nostra Carta, della distruzione dello Stato degli ebrei».
Quanto agli altri, a coloro che ritengono tali comportamenti causati da eccitazioni febbrili condivise, quanto ai mass media che continuano a evocare la «aggressione» israeliana, o la «prigione» che Gaza è diventata, o la «spirale» delle «violenze» e delle «vendette» che alimenterebbero questa guerra senza fine, obiettiamo che: non c'è aggressione, ma contrattacco di Israele di fronte alla pioggia di missili che, ancora una volta, si abbattono sulle sue città e che nessuno Stato al mondo avrebbe tollerato così a lungo; che Gaza è, in effetti, una sorta di prigione ma, avendola gli israeliani evacuata ormai da quasi dieci anni, non si capisce come potrebbero esserne i carcerieri. Cosa pensare, invece, di Hamas che mantiene l'enclave sotto il giogo, che tratta i propri abitanti come ostaggi e che, mentre gli basterebbe una parola o, comunque, una mano tesa perché cessi l'incubo, preferisce andare fino in fondo alla sua follia criminale?
Fra le violenze e le vendette che ci vengono presentate come «simmetriche», fra l'omicidio dei tre adolescenti ebrei rapiti e trovati morti vicino a Hebron e l'omicidio del giovane palestinese bruciato vivo, due giorni più tardi, da una gang di barbari che disonorano gli ideali di Israele, esiste una differenza che non cambia nulla, ahimè, al lutto delle quattro famiglie ma che, per chi ha la possibilità e, quindi, il dovere di mantenere la mente fredda, cambia tutto: le autorità politiche, giudiziarie e morali di Israele sono inorridite per il secondo omicidio, l'hanno condannato senza riserve e hanno fatto in modo che i suoi presunti colpevoli fossero braccati e arrestati; per il primo, i cui autori non sono ancora stati trovati, bisognava avere un udito assai fine per sentire non fosse che una parola nei ranghi palestinesi: sì, una frase si è udita, quella di Khaled Meshaal, capo di Hamas in esilio, «che si congratulava» per le «mani» che hanno «rapito» i tre adolescenti brutalmente riqualificati, per l'occasione, «coloni ebrei»...
Dubito che queste osservazioni possano avere qualche effetto sui jihadisti della domenica, sempre gli stessi che, un giorno, deplorano che gli si impedisca di ridere con l'umorista Dieudonné; un altro che gli si vieti di esprimere rispetto per Mohamed Merah; e un altro che la diplomazia francese non si schieri come un sol uomo dietro agli «indignati» pro Hamas. Quanto al resto della Francia, agli uomini e alle donne di buona volontà, a coloro che non hanno rinunciato al sogno di vedere, un giorno, questa terra finalmente condivisa, vorremmo tanto che rompessero il cerchio della disinformazione e della pigrizia di pensiero! No, fra Israele e Hamas, i torti non sono distribuiti in parti uguali. Sì, Hamas è un'organizzazione islamo-fascista da cui è urgente liberare anche gli abitanti di Gaza. E quanto al capo dell'Autorità palestinese, Mahmud Abbas, egli si rivolge alle Nazioni Unite affinché facciano «pressione» su Israele: ma non sarebbe più logico, più degno e soprattutto più efficace che si rivolgesse ai folli di Dio, che da qualche settimana sono ridiventati i suoi partner di governo, per esigere e ottenere da loro che depongano, senza indugio, le armi? Gli abitanti di Gaza meritano di essere qualcosa di meglio che scudi umani. I popoli della regione, tutti i suoi popoli, sono stanchi della guerra e del suo strascico di orrori: diamo una chance alla pace.
( Corriere della Sera, 22 luglio 2014 - Trad. Daniela Maggioni)
"Ebrei investiti dall'odio"
Il presidente delle comunità israelitiche in Svizzera lancia l'allarme: "Si incita alla violenza"
Gli ebrei svizzeri sono preoccupati per il clima che si respira nei giorni dell'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. "L'odio ha raggiunto una nuova dimensione", ha scritto martedì sul Tages Anzeiger Herbert Winter, presidente della Federazione svizzera delle comunità israelitiche (FSCI).
"A differenza del passato, non siamo stati solo insultati", si legge nel contributo. Prima della manifestazione in favore del popolo palestinese svoltasi a Zurigo venerdì, ci sarebbe stato "chi ha incitato alla violenza contro gli ebrei. Decine di volte. Apertamente. Antisemiti hanno annunciato che avrebbero "rifatto i connotati ai sionisti' o "lapidato gli ebrei", ha precisato Winter sul quotidiano.
La FSCI ha informato le forze dell'ordine e ha invitato alla prudenza. "Dopo di che è partita veramente una tempesta. Ebrei preoccupati si sono chiesti se nel fine settimana dovessero rimanere in casa", ha aggiunto Winter nell'articolo.
(RSI News, 22 luglio 2014)
Odio antico
Quello che sta avvenendo oggi contro gli ebrei, nello Stato d'Israele e nel resto del mondo, ha gli stessi caratteri spirituali che hanno portato alla Shoah. Spiegazioni razionali soddisfacenti e, soprattutto, utili a contrastare in modo efficace e radicale il fenomeno, non ci sono. La sua vera natura ha un nome semplice: odio. Odio di chi colpisce con violenza gli ebrei, odio di chi non colpisce ma ammira chi lo fa, odio di chi fa lezioni di morale mostrando come esempio negativo gli ebrei, odio di chi aspetta con interesse che gli ebrei facciano "la fine che si meritano" per dire poi che lui però non era d'accordo. E l'odio (non l'amore) è cieco. E non ha nessuna intenzione di recuperare la vista: anzi, le argomentazioni critiche razionali contro di lui non servono: anzi lo disturbano, lo infastidiscono, aumentano il suo livore. Odio antico. Tanto antico che si trova già scritto nella Bibbia, un libro di migliaia di anni fa ma tuttora circolante. Ma chi ci crede alla Bibbia? Siamo pratici, cerchiamo di risolvere da soli i nostri problemi, dicono le persone in gamba. Ma forse anche loro, qualche volta, in certi momenti si chiedono incerti: ma ce la faremo? Non sarà che questo problema è irresolubile per noi, fuori della nostra portata? No, non è possibile, rispondono altri: quello che dobbiamo fare è impostare bene il problema, perché se è ben impostato, il problema deve avere una soluzione. Però, pensa qualcun altro, anche il problema della quadratura del cerchio era ben impostato, eppure per secoli e secoli ha resistito a innumerevoli tentativi di soluzione. E alla fine che cosa si è dimostrato? Si è dimostrato che era irresolubile. E come si è dimostrato? Non per tentativi, certamente, perché se un problema è risolubile, prima o poi si può trovarne la soluzione, ma se è irresolubile, quale tentativo sarà in grado di dimostrarne l'irresolubilità? I tentativi sono potenzialmente infiniti, e non si può aspettare l'esaurimento di tutti gli infiniti tentativi per arrivare a concludere che il problema è irresolubile. Infatti l'irresolubilità della quadratura del cerchio non è stata accertata per tentativi, ma attraverso una dimostrazione logica. Chi sa capirla, o comunque si fida di chi l'ha fatta, si ritiene convinto e smette di fare altri tentativi di soluzione. Chi invece non la sa capire, o non crede in chi l'ha fatta, si condanna da solo a provare e riprovare innumerevoli volte senza mai riuscire a ottenere niente. Ecco, qualcuno pensa che il problema mediorientale di cui il mondo continua ad occuparsi anche in questi giorni è irresolubile con i normali mezzi della politica internazionale, perché è di pertinenza diretta dell'Autore della Bibbia. La dimostrazione dell'irresolubilità si trova lì, insieme ad altre indicazioni su come affrontare quello ed altri problemi. Bisogna crederci per forza? No, è' soltanto la presentazione di una possibilità, non un'imposizione a crederci. Ma appunto per questo, anche le persone in gamba, o proprio perché tali sono, potrebbero sentire la spinta a verificare se effettivamente questa dimostrazione scritta esiste, e se è davvero convincente. M.C.
(Notizie su Israele, 22 luglio 2014)
Tel Aviv: manifestazione per sostenere i soldati israeliani Manifestazione a Tel Aviv in appoggio all'offensiva di terra israeliana dell'operazione ''Margine Protettivo a Gaza, mentre a Jaffa, pochi chilometri a sud, si è svolto un altro raduno pro-palestinese. Per le strade della capitale amministrativa di Israele, decine di persone hanno inneggiato alle Forze di Difesa Israeliane.
''Stiamo qui per esprimere il nostro sostegno e la nostra solidarietà a tutti i soldati che stanno difendendo il nostro Paese. Stanno facendo il loro dovere e noi siamo qui per dire che li amiamo e per augurargli il meglio," ha detto un residente di Tel Aviv.
Netanyahu ha fatto visita alla 162esima divisione corazzata nel sud d'Israele. ''L'esercito sta avanzando secondo i piani. Siamo pronti a fare tutto quello che sarà necessario nella Striscia di Gaza per proteggere lo Stato di Israele'', ha detto il primo ministro israeliano. ''Siamo orgogliosi del coraggio dei nostri soldati e preghiamo per la loro salvezza," ha detto, inoltre, Netanyahu.
I soldati israeliani ieri mattina hanno ucciso almeno 10 combattenti di Hamas. Le immagini diffuse dall'esercito mostrano i miliziani
cioè terroristi
entrare in Israele passando attraverso un tunnel. Nascosti tra i cespugli, i soldati li hanno colpiti mentre cercavano di rientrare nella Striscia di Gaza.
(euronews, 22 luglio 2014)
Israeliani di tutto il mondo, unitevi!
Un paese costretto a uccidere per non essere ucciso. Le ragioni dell'inimicizia e del terrorismo sono le stesse a Gaza e a Mosul. Anche i cristiani dovrebbero unirsi, invece di fare sofismi di tipo umanitario.
di Giuliano Ferrara
Israeliani di tutto il mondo, unitevi! Avete un mondo da guadagnare e nient'altro che le vostre catene da perdere. Chiunque conosca e a qualunque titolo la storia degli ebrei, quella del sionismo e quella di Israele non deve avere dubbi su quale parte prendere nella guerra di Gaza. E quando infuriano le armi c'è un solo problema per le persone rette: da che parte stare. Chi si tira fuori parteggia senza dirlo, affetta un sentimento che è privo di vere basi etiche, insomma se la cava con poco e con poco si lava la coscienza. Se si guardi a Mosul e alla fuga funesta che una banda di predoni impone a una comunità perseguitata di "miscredenti", anche i cristiani di tutto il mondo, intesi non come credo cultuale ma come nazione occidentale, dovrebbero unirsi. E contro gli stessi identici nemici.
E' vero che la sproporzione delle forze colpisce, intimidisce, favorisce la favola umanitaria. Israele è grande in confronto alla Striscia di Gaza, pur essendo un paese piccolo. E' più ricco, più popoloso, più attrezzato militarmente e tecnologicamente. Paga e ha pagato un prezzo alto al terrorismo, ma in confronto alle vittime di guerra palestinesi i suoi morti civili o in divisa, si contano sulle dita di due mani, per adesso. Se solo si abbia voglia di riflettere onestamente sulla realtà, però, tutto cambia. A parte gli accordi di Camp David, che hanno restituito agibilità politica e diplomatica al confronto statale di Israele con Egitto e Giordania, per tutto il resto Israele è un fazzoletto di terra accerchiato dall'inimicizia armata e dal terrorismo deliberato contro i civili, il vero collante di tutti i suoi vicini: inimicizia per la terra contesa, ma anche per il culto, che l'islam sunnita e sciita del nostro tempo non prevede possa sussistere in piena legittimazione fuori dai confini dell'islam stesso, e questo su basi profonde, che si rintracciano anche nel libro nella profezia coranica intoccabile, e anche per l'estraneità razziale (sono ebrei, una non entità, discendenti di scimmie e maiali).
A guardarla bene, la sproporzione si rovescia come un guanto. Ma sono in pochi a voler guardare nella tragedia di un popolo, quello israeliano, costretto a difendersi con le unghie e con i denti, costretto a uccidere per non essere ucciso, a infierire contro organizzazioni armate parastatuali che fanno del loro popolo uno scudo umanitario permanente allo scopo di vincere, a colpi di bambini e vecchi massacrati, la battaglia decisiva dell'opinione pubblica internazionale. Israele protegge i suoi con i missili, come ha giustamente detto Edward Luttwak, mentre Hamas protegge i missili con i suoi. E' anche per questo che suonano vacue le perorazioni facili contro le barriere di difesa e contro i muri, quando vengono offerte in terra israeliana e palestinese. E' anche per questo che sono ingiuste le accuse contro il governo del destro Netanyahu, come furono ingiuste le accuse al socialista Rabin durante la dura repressione della Prima Intifada. E' anche per questo che risulta non solo fallimentare ma spietatamente ingiusta la riluttanza dell'Amministrazione americana a fare fronte alle proprie responsabilità nel governo dell'ordine mondiale, la tendenza a idealizzare una retorica politica senza conseguenze a favore di telecamere (comprese le gaffe di Kerry segretario di stato).
Noi qui in Europa, affetti da nanismo etico e da impotenza politica, bravi solo a tutelare il valore commerciale delle materie prime di cui abbiamo bisogno per la nostra vita e il loro costo, facciamo un titolo al giorno in cui non si parla di vittime di guerra, ragionando sulle ragioni della guerra e sulle condizioni della pace, ma di strage, di massacro dei civili, di ecatombe dei bambini. E' comodo. E ci danno manforte tutti quegli israeliani, in particolare i testimoni di un mondo che non esiste, quello della reciproca fiducia e della generale benevolenza e della disponibilità universale alla pace, i quali si sottraggono al compito naturale di un cittadino: proteggere la propria comunità, aiutare chi lo fa in prima linea, capire che ci sono momenti in cui si discute e momenti in cui cessa ogni discussione.
Non ci sono dall'altra parte testimoni capaci di sollevare l'indignazione pubblica. I resoconti dicono, anche quelli di organi di stampa ostili al governo israeliano del momento, che nella Striscia non si può criticare la pretesa di Hamas di essere insieme il puntello di un governo che tratta e la base logistica di un esercito di terroristi che ambisce a mettere sotto minaccia la popolazione civile della comunità vicina, perché tuttora non ne riconosce la legittimità e la vita. La voce della buona coscienza e delle anime belle non si sente al di là della barriera difensiva, al di là del santo muro che protegge le vite degli ebrei e degli altri che vivono entro i confini della democrazia israeliana. In Europa, a parte le dichiarazioni solenni e definizioni di Hamas come gruppo terroristico, non esistono boicottaggi della sua classe dirigente criminale, magari raccordati con una inesistente opinione pubblica. C'è solo l'infinita e comprensibile compassione per le popolazioni del formicaio colpite dalle durezze di guerra, ma senza mai specificare di chi siano le responsabilità strategiche della guerra. Comodo, molto comodo.
(Il Foglio, 22 luglio 2014)
I faziosi di centro
Fazioso non è colui che si schiera da una parte o dall'altra, fazioso è colui che fa questo per illegittimi interessi personali e non per motivi di giustizia. Se il fazioso di parte si schiera per motivi interessati per l'uno o per l'altro dei contendenti, il fazioso di centro, non avendo particolari interessi per l'una o l'altra parte, ha come unico interesse il desiderio di non essere coinvolto nella disputa e di essere lasciato in pace. Allora, con un elegante saltino, si mette al di sopra di tutti e impartisce lezioni di moralità a destra e a manca. Evita le fatiche della ricerca di giustizia, protegge la sua neutrale tranquillità e si compiace della sua superiorità morale. La sua faziosità sta in questo: che parteggia per se stesso. Di faziosi di questo tipo ce ne sono parecchi in giro, e con la loro pretesa di equanime superiorità morale inquinano l'aria dei luoghi in cui si ricerca la verità e la giustizia....
(Notizie su Israele, 22 luglio 2014)
Israele: sostegno a start-up Italia: Premiata la migliore App
di Elisa Pinna
ROMA - Israele, paese dell'innovazione tecnologica per eccellenza, prosegue nel suo sostegno alle giovani start-up italiane e premia, per il terzo anno consecutivo, l'impresa che ha presentato il migliore progetto per una nuova app. A vincere quest'anno la partecipazione al Tel Aviv bootcamp, uno delle più grandi 'fiere' tecnologiche del mondo in programma dal 14 al 19 settembre, è la Snapback, un team di giovanissimi guidato da Giuseppe Morlino, che ha ideato un'applicazione per trasformare l'interfaccia tra utente e smartphone, ipad etc.: anziché la vista e il tatto, si potranno usare la voce, i gesti, persino il soffio. La cerimonia di premiazione, nei saloni della Luiss Enlabs, co-sponsor dell'iniziativa, è avvenuta alla presenza dell'ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon. Il rapporto di collaborazione tra Israele e imprese innovative italiane si sta sempre più consolidando. Non a caso: Israele si è conquistata la fama di 'Nazione delle start-up', grazie a forti investimenti, il 5% del PIL, nel settore. Solo a Tel Aviv, città di circa un milione di persone, lavorano un migliaio di aziende di innovazione, la metà del totale di quelle presenti in Italia.
Insieme alla Silicon Valley, Israele rappresenta un interlocutore imprescindibile - è stato notato durante la premiazione -per le start-up italiane. Il Paese del dinamismo, dell'energia e dell'inventiva imprenditoriale, del futuro tecnologico è l'altra faccia di una nazione impegnata adesso in una guerra contro Hamas e il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza. "La situazione di questi giorni nella mia regione è complicata e dolorosa per entrambe le popolazioni civili", ha ammesso Naor Gilon, riferendosi al conflitto. "Ma Israele , negli anni, ha sviluppato una serie di sistemi e apparati che ci permettono di poter proseguire, in maniera relativa, la nostra vita quotidiana. E questo è stato possibile anche proprio grazie alla ricerca e alla tecnologia", ha aggiunto. "Anche in momenti come questi, la creatività e l'operosità non si fermano", ha osservato, citando ad esempio la creazione recente di una App che informa, in tempo reale, sugli allarmi anti-missile.
Il diplomatico spera che la guerra possa finire presto e che possa riprendere il dialogo con l'Anp di Abu Mazen. "Così che tutto questo enorme potenziale umano, queste energie, questi investimenti, questo know-how, possano essere condivisi - ha concluso - con tutti i popoli della regione, e possano servire sempre e soltanto al progresso e al benessere di tutti". La vittoria della "Snapback" al concorso del 2014 per lo ''Startup Tel Aviv boot-camp" è avvenuta sul filo di lana di fronte ad una agguerrita concorrenza tra le quattro finaliste, scelte tra centinaia di concorrenti di 'ottimo livello', ha sottolineato il presidente di LUISS Enlabs, Luigi Capello. Al secondo posto si è piazzata 'Le cicogne', una start up costituita solo da donne, che ha proposto un' App per connettere famiglie e baby-sitter. Al terzo posto è arrivata 'Alleantia' , con un progetto per connettere 'gli oggetti tra di loro'; al quarto infine l' 'Openmove', un team di giovani trentini che ha inventato un'app in grado di consentire il pagamento di tutti i servizi di trasporto via smart-phone.
(ANSAmed, 22 luglio 2014)
Ecco la missione seek and destroy contro i tunnel di Hamas
Una delle missioni principali dell'offensiva israeliana a Gaza, oltre alla distruzione delle basi missilistiche di Hamas, è quello di colpire i tunnel scavati dall'organizzazione islamista per penetrare in territorio nemico. Come mostra questo filmato diffuso dalle forze armate israeliane.Come ai tempi della guerra in Indocina a realizzare questo compito, complesso, pericoloso e difficile, sono le truppe d'élite che devono infilarsi nei cunicoli senza sapere che cosa li aspetta nel buio. L'autocontrollo fa parte dell'addestramento dei corpi speciali ma in questi casi la gola è sempre secca.Una volta esplorato e messo in sicurezza il tunnel, si tratta di piazzare le cariche esplosive per distruggere le gallerie. Subito dopo, la missione ricomincia.
(TMNews, 22 luglio 2014)
Turchia e Hamas, il gioco "sporco" di Erdogan e l'obiettivo del Califfato ottomano
di Giancarlo Elia Valori
Le mosse più recenti dell'Arabia Saudita mirano a colpire il Qatar, emirato legato, forse per un ricatto o per un contratto del tipo "vi finanziamo ma state fuori dai piedi", in collegamento con la Turchia, altro nemico giurato, da vecchio amico e alleato, di Riyadh.
Erdogan e il suo AKP (il Partito "Giustizia e Sviluppo" ) sono ormai espliciti sostenitori della Fratellanza Musulmana, e quindi del suo braccio armato a Gaza e nei Territori, Hamas.
Da "zero problemi con i vicini" , secondo la vecchia espressione del ministro degli esteri Ahmed Davutoglu, a una politica di destabilizzazione del Grande Medio Oriente tramite un gruppo designato ufficialmente come "terrorista" dall'ONU.
E stiamo parlando della seconda forza armata della NATO dopo gli USA e del dente strategico, la Turchia, contro la penetrazione sovietica in Asia Centrale e nel Mediterraneo, negli anni della guerra fredda.
Oggi, invece, Ankara è il ventre molle della Alleanza Atlantica e il cavallo di Troia della islamizzazione, radicale e non (ma l'una presuppone l'altra) di tutto il Medio Oriente e, in un prossimo futuro, dell'Europa Occidentale.
Khaled Meshaal, capo dell'Ufficio Politico di Hamas, e l'ex-presidente egiziano Morsi, due figure di spicco della Fratellanza Musulmana, sono stati invitati da Erdogan al congresso generale dell'AKP tenutosi nel settembre 2012, e probabilmente Erdogan tiene unito il suo partito con il mito islamista e jihadista, che potrebbe, nella sua mente, essere il veicolo di una nuova egemonia turca nell'area, come al tempo del Califfato ottomano.
Era accaduta l'undici settembre 1683 la sconfitta definitiva degli ottomani durante l'assedio di Vienna, sconfitta dovuta ai cavalieri polacchi, ed è l'undici settembre del 2001, con la distruzione delle Twin Towers che ricomincia il jihad antioccidentale. Coincidenza? No, perché nella psicologia islamista tutta la storia è un eterno presente.
L'Egitto dopo il golpe bianco di Al Sisi ha declassato la Turchia, e l'Iran sostiene in Siria gruppi contrari a quelli che vengono finanziati da Ankara.
La Turchia dell'AKP è il principale centro di "lavaggio" delle finanze di Hamas, e il mito islamista accende oggi le masse turche, con l'AKP che favorisce la jihadizzazione del proprio popolo.
L'idea di Erdogan è quella di espandere l'attuale Turchia fino a farle raggiungere la vecchia area di influenza dell'Impero Ottomano.
E' per questo che la famigerata fondazione IHH, quella della nave diretta a Gaza per portare aiuti ad Hamas, la Freedom Flotilla bloccata dalle forza di Israele, e che risulta una copertura di Hamas-Turchia, oggi finanzia la Università Islamica di Tirana e molte altre organizzazioni culturali nell'antico perimetro del sistema ottomano.
E non bisogna dimenticare che il Procuratore dello Stato turco, nel 2002, aveva chiesto alla Corte Costituzionale di Ankara di chiudere il partito AKP, mentre anche nel 2008 il procuratore capo di Ankara aveva chiesto alla Corte Suprema turca di chiudere l'AKP, per l'asserito "rifiuto di separare la politica e la religione", che è un obbligo costituzionale in quel Paese.
E questo sarebbe il Pillar della NATO nell'area più carda e destabilizzata del globo, oggi? Occorrerà ripensare anche il ruolo e la partecipazione turca nell'Alleanza.
L'Ankara di Erdogan e del suo partito, che si vende come "islam democratico", ha favorito una colossale oiperazione coperta con l'Iran, la oil for gold, che ha fatto guadagnare, tramite la piazza finanziaria turca 13 miliardi di usd a Teheran, proprio mentre era massima la tensione tra Iran e l'Occidente a causa del suo programma nucleare militare-civile.
Saleh Aruri, uno dei principali dirigenti di Hamas, risiede stabilmente ad Ankara, e risulta essere il responsabile delle operazioni finanziarie del gruppo terroristico.
Il governo di Erdogan ha spedito poi ben 47 tonnellate di armamenti ai ribelli siriani, mentre le reclute di Al Qaeda sono tenute nelle safe houses nella Turchia orientale e addestrate nelle provincie turche di Karaman, Osmaniye, Sanliurfa.
E, ripetiamo, si tratta di un importante membro della NATO.
Probabilmente il legame tra Turchia e denaro sporco da e verso Hamas è implicito nello stretto rapporto che lega Erdogan all'uomo d'affari saudita Abdullah Ezzedine Al Qadi, un personaggio fortemente sanzionato per le sue operazioni economiche dalle Nazioni Unite.
Ha probabilmente finanziato parte delle operazioni dell'Undici Settembre di Al Qaeda.
Il già citato Al Aruri è, si dice da fonti sicure, il capo delle operazioni di Hamas nella West Bank, ed ha gestito il finanziamento ufficiale e governativo turco di 300 milioni di usd del dicembre 2011.
Il "braccio civile" di alcuni ambienti dell'AKP. La già citata fondazione IHH, sostiene i miliziani sunniti operanti in Siria, compresi quelli, come Ahrar al Shan e l'ISIS, connessi o filiazioni di Al Qaeda.
Al -Suri, anch'egli residente pro tempore in Turchia, è il rappresentante ufficiale di Al Qaeda in Siria e riceve numerosi finanziamenti da ricchi sostenitori di Al Qaeda operanti in Qatar, e risiamo al Qatar, sede di fatto della "politica estera" di Hamas.
La Turchia di Erdogan è ormai, insieme al governo qatarino, il maggior finanziatore di Hamas, che legge sia come struttura militare dell'area di origine comune tra Hamas stessa e l'AKP, i Fratelli Musulmani, e come braccio armato esterno per raggiungere il suo obiettivo di Grand Strategy, il Grande Califfato, quello che fu sconfitto alla periferia di Vienna l'Undici Settembre.
E Koç, tra i maggiori businessmen turchi, ha pubblicamente accusato Erdogan di possedere una fortuna personale di oltre un miliardo di usd.
(Giornale dell'Umbria, 21 luglio 2014)
Nessun accordo tra Hamas e Anp sul cessate il fuoco a Gaza
Non è stato raggiunto un accordo tra il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, e il capo dell'ufficio politico di Hamas, Khaled Mashaal, sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Lo hanno riferito fonti palestinesi presenti alla riunione che si è tenuta a Doha, in Qatar, citate dall'agenzia d'informazione Dpa.
Secondo le fonti, Abbas ha sostenuto che il movimento islamico debba accettare la proposta egiziana di cessate il fuoco. Hamas, dal canto suo, ha respinto l'iniziativa chiedendo che vengano accettate alcune sue condizioni - come la fine del blocco nella Striscia - per sospendere i combattimenti.
(Adnkronos, 21 luglio 2014)
Dov’è lo “stato di Palestina” riconosciuto dall’Onu? Chi comanda in Palestina? Qual è il suo governo? Quali sono le autorità dello stato con cui Israele sta facendo la guerra e con cui dovrebbe fare la pace? Che razza di stato è la "Palestina"? M.C.
Oltremare - Paradiso in guerra
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di Daniela Fubini, Tel Aviv
Nell'ultimo fine settimana m'è preso un attimo di vera ribellione: alla faccia della tensione, delle sirene, e delle notizie che non fanno che peggiorare. Ho preso la sacca e sono scesa in spiaggia. Sulla porta il dubbio: ok la spiaggia, ma dove? Dove si va a fare un bagno, abbastanza vicini a un luogo sicuro?
E subito addio alla libertà: anche il momento di ribellione dipende dalla realtà assurda che ci portiamo dietro da settimane (e paiono mesi). Per fortuna, Tel Aviv è dotata di una fila di hotel sulla spiaggia, scoordinati e cacofonici quanto si vuole, ma parecchio vicini all'acqua. Ho fatto due conti e ho scelto il mio punto perfetto. Un po' di onde, nessuna medusa, pochissima gente, e zero matkot (racchettoni). Insomma il paradiso.
Il paradiso, a parte appunto il numero risicato di bagnanti, surreale in un weekend di metà luglio. E gli aerei da guerra che passavano proprio sopra il mio asciugamano e quasi potevo vederne l'ombra. E il pensiero latente che se la sirena suona devo afferrare la sacca e lasciare l'asciugamano, che non ha senso perdere un secondo prezioso per raccoglierlo. E il giornale del weekend nelle mani, errore originale dato dall'abitudine, con tutte le fotografie e i commenti sulla decisione di entrare in Gaza, e relativi rischi.
Il paradiso, certo; a parte la consapevolezza che mentre io mi prendevo due ore di sole dopo la lunga e tesa settimana all'ombra dell'ufficio e le serate con gli occhi appiccicati alla televisione, i nostri erano già entrati in Gaza a far saltare i tunnel di Hamas. E non esiste guerra senza che cadano soldati, per quanto ben armati e addestrati.
Viviamo in un tempo sospeso, fra il paradiso qui a portata di mano, e la realtà che oscilla in un limbo di immagini più o meno insopportabili, a seconda del volume del notiziario, dell'ora del giorno, e della conta dei caduti, tristemente già iniziata.
(moked, 21 luglio 2014)
Un italiano lancia il primo ristorante kosher di lusso a Parigi
Simone Zanoni, chef del Raphael. Obiettivo: una stella Michelin
PARIGI - E' un giovane cuoco italiano il fondatore del primo ristorante gastronomico kosher di alto livello di Parigi, il Raphael, nel XVII arrondissement.
Simone Zanoni, 38 anni, già chef del Trianon Palace di Versailles - a cui ha portato due stelle in un anno - e allievo della star dei fornelli Gordon Ramsay, anziché cimentarsi nell'ennesimo ristorante italiano si è lanciato in una nuova avventura: la rielaborazione in chiave moderna e lussuosa dei piatti della tradizione ebraica. "C'era una domanda, ma mancava l'offerta. Con il Raphael l'abbiamo creata", spiega Zanoni che si dichiara cattolico e per il quale cucina e religione non sono legati.
La grande sfida è produrre una cucina di alto livello rispettando le regole alimentari della religione ebraica, dalla scelta dei prodotti alla preparazione, come il divieto di consumare alcuni animali (il maiale, i crostacei e i molluschi), o quello di mescolare carne e latticini, oltre alla specifica procedura di macellazione rituale di mammiferi e uccelli. "Il mio motto - dice Zanoni - è restare semplice e dare il massimo di espressività ai prodotti".
(ANSA, 21 luglio 2014)
Israele e Palestina
Riportiamo di proposito una lettera al direttore di un giornale di provincia, scritta a difesa dei palestinesi da una normale persona "di buon senso", convinta di dire cose ovviamente giuste, che tutti dovrebbero capire.
SULMONA, 21 luglio.- Sig. Direttore, ma gli ebrei di Israele sono figli e nipoti di coloro che furono sterminati a milioni da Hitler? Cosa ha insegnato loro quel genocidio? Niente. Si vendicano, per quello che hanno sofferto, sul popolo palestinese, colpevole di vivere su quel territorio che fu loro duemila anni fa. Se per Hitler gli ebrei erano un problema razziale, i palestinesi lo sono per loro. Se tre adolescenti ebrei vengono uccisi, la responsabilità non è personale, non è degli assassini, da processare e condannare, come in tutti i paesi civili, ma della intera collettività palestinese. persino dei bambini in culla. Si deve fare terra bruciata, con le armi più sofisticate del mondo. Per definire la vita a Gaza non ci sono parole. Inferno? Lo era fino a ieri, oggi è un inferno nell'inferno. I media lo chiamano banalmente "conflitto in medio oriente". Ma è una guerra di sterminio, una guerra soprattutto contro i bambini. Nell'indifferenza del mondo. Cosa fa l'Onu? Quell'enorme struttura fra New York e Ginevra, zeppa di funzionari e generosa di appannaggi. Cosa fa l'Europa? Manca, forse, la Mogherini?
I media presentano la questione come un conflitto irrisolvibile tra due parti uguali. Ma non è così. Gli attacchi degli estremisti palestinesi contro civili innocenti devono essere fermati e severamente condannati, ma il conflitto nasce dall'espropriazione che subisce il popolo palestinese. Israele occupa, colonizza, e, ora, bombarda. Attacca una nazione legalmente libera, riconosciuta dalle Nazioni Unite, e ne controlla l'acqua, il commercio e i confini. Ha creato la prigione all'aperto più grande del mondo e l'ha isolata. Ora, mentre cadono le bombe, le famiglie non hanno letteralmente alcuna via di fuga.
Sono crimini di guerra. Non li accetteremmo in nessun'altra parte del mondo. Perché li accettiamo in Palestina? Per la prima volta un famoso intellettuale [Gianni Vattimo, ndr] ha il coraggio di sfidare l'omertà occidentale:"Israele è uno stato canaglia, stato nazista e fascista, peggio di Hitler. Andrei a Gaza a combattere a fianco di Hamas, direi che è il caso di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero, in Spagna non era niente in confronto a questo. E' un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista e ci vuole una resistenza. L'unica cosa seria è che ci vogliono le brigate internazionali". Ma le parole degli intellettuali finiscono nel nulla.
Ezio Pelino
(Corriere Peligno.it, 21 luglio 2014)
Che si può dire a una persona così? Da che parte si deve cominciare? Come si fa a contrastare un odio così ben nutrito dall'ignoranza da renderlo impermeabile agli argomenti della ragionevolezza? E il direttore del giornale non dice nulla.
Fermate i razzi sui bambini israeliani
Altra lettera al direttore, indirizzata ad un altro giornale di provincia
Egr. Sig. Direttore, da giorni e da più parti assisto quotidianamente o quasi a manifestazioni e/o a prese di posizione perché Israele cessi le operazioni militari contro Gaza e contro i Palestinesi.
Giustissimo! Sacrosanto!!!!!
Ma, mi chiedo, perché mai NESSUNO manifesta o abbia manifestato per chiedere lo stop da parte di Hammas al lancio di razzi contro le città israeliane????
E' illuminante leggere quanto riferito dalla giornalista Fiammetta Nirenstein su come Israele vive questa guerra, e soprattutto sui perché di questa guerra…: "La pena più grande, in questa guerra, è quella dell' incomprensibile impossibilità del mondo di rendersi conto di quello che sta accadendo qui. I giornalisti e l'opinione pubblica che si sentono virtuosi quando denunciano la morte di alcuni bambini palestinesi, ignorano completamente le ragioni per cui questo accade, ragioni penose per Israele ma anche e soprattutto per i palestinesi. … Il punto è tuttavia che anche se i bambini israeliani sono l'oggetto dell'attacco spietato dei missili che a migliaia piovono su Israele, essi sono il tesoro di Israele che se prende una cura infinita, che, al contrario di ciò che fanno i palestinesi con i loro figli, li difende con rifugi, sorveglianza continua, orari prestabiliti di uscita, sistemi di difesa.
Invece per Hamas è il contrario: si è avuta notizia da una denuncia dell'UNRWA (Nazioni Unite) del fatto che la sua scuola era stata trasformata in un deposito di missili. L'UNRWA l'ha denunciato, ma certo le scuole comunali o statali o quelle dei privati di Gaza non lo possono fare, hanno paura dei terroristi di Hamas: sono loro che danno gli ordini, e quindi sono moltissime le istituzioni, le case, le scuole, le moschee che Hamas ha trasformato in depositi di armi. E spesso quelle armi stanno per essere lanciate.
Purtroppo (guarda caso!!!) le rampe missilistiche, i proiettili, le strutture militari di Hamas sono sparse PROPRIO in mezzo ai bambini, i bambini sono il loro scudo, anche il tragico missile che ha colpito quattro bambini che giocavano sulla spiaggia era diretto verso una struttura militare, forse una rampa di lancio pronta a lanciare il suo messaggio di morte su Israele. Israele deve continuamente distruggere strutture che stanno in mezzo alla gente, perchè esse stanno per sparare le migliaia di missili che ci fanno correre tutti continuamente nei rifugi, e che sono state appositamente nascoste fra i bambini.
E' un dolore senza fine vedere la società di Gaza costretta a subire queste perdite, ma è il diritto alla vita stessa che impone l'operazione in corso. Se si pensa che sono stati distrutti per ora circa 2000 obiettivi militari sparsi fra la gente, si capisce quanto sia difficile difendere oltre ai nostri bambini, anche i loro. Vorrei tanto che la gente di Gaza lo facesse, in sfida a Hamas.
Ed ancora, riferisce la Nirenstein, di quanto accade nel kibbutz di Ein ha Shlosha: "Abbiamo cercato di cooptare i nostri vicini palestinesi alla coltivazione di patate e pomodori. I kibbutz dell'Eshkol sono ottimi agricoltori, ma pare che preferiscano i razzi" dice sconsolato Chaim Yelin, il presidente della regione che ci accompagna fino a una casa fra le palme. … I "bum" si susseguono, un po' i cannoni di qua, un po' i missili di là. Qui ci sono solo 5 secondi per rifugiarsi, dato che la distanza è di 4 chilometri da Gaza da cui si vedono fumare gli obiettivi colpiti. Meno male che non era in casa alle 9 di sera l'84enne padrona di questa casetta fra le palme: il tetto è tutto un buco da cui pendono residui di soffitto, la libreria, il tavolo, gli oggetti... Tutto è a pezzi. (…)".
Giusto e corretto che Israele cessi i suoi attacchi per distruggere le rampe di lancio che piovono sul suo territorio, ma ancora più giusto e corretto che Hammas cessi di lanciare missili contro i civili israeliani e, soprattutto, cessi di fare scudo a quelle stesse rampe con bambini innocenti i cui corpi martoriati sono poi destinati ad apparire sui telegiornali con il palese scopo di suscitare l'indignazione dell'occidente contro uno Stato, quello d'Israele, colpevole solo di difendere i propri cittadini e il proprio territorio.
Shalom!
Bruno Paolillo
(VareseNews, 21 luglio 2014)
Netanyahu: "Sono triste per tutte le vittime civili. Ma stanno usando le foto di quei morti"
"Alcuni dei loro razzi hanno colpito le nostre scuole: avevamo il dovere di fermare tutto questo".
di Wolf Blitzer
- Una domanda veloce. Come pensa di uscire da Gaza? Quando avremo raggiunto una serenità sostenibile. Voglio dire non desideravamo che la situazione si inasprisse in questo modo. Ci è stato imposto da Hamas. Hanno iniziato a lanciare missili sulle nostre città aumentando le ostilità a ritmo serrato. Avevo chiesto di ridimensionare i toni. Hanno rifiutato. Avevo accettato la proposta egiziana di un cessate il fuoco appoggiato dalla Lega araba e dall'Onu. Loro l'hanno rifiutata. Ho accettato un'interruzione umanitaria proposta dalle Nazioni Unite. L'hanno rifiutata. Interromperemo le operazioni militari quando potremo ridare serenità alla nostra gente.
- Alcuni ministri del suo gabinetto pensano che l'unico modo poterlo fare è di rioccupare Gaza Lei è a favore? Sono a favore di qualsiasi intervento necessario a porre fine a questa folle situazione. Provi a immaginare cosa sta passando Israele. Immagini se il 75 per cento della popolazione degli Stati Uniti fosse a portata di missili nemici, e avesse 60-90 minuti di tempo per raggiungere i rifugi. Non dico solo New York, ma New York, Washington, Chicago, Detroit, San Francisco, Miami... scelga lei. È impossibile. Non si può vivere così. Penso che occorra ripristinare una serenità e una sicurezza sostenibili. E intraprenderemo qualsiasi azione sarà necessaria a raggiungerle.
- Quindi anche una possibile rioccupazione di Gaza? Perche molti suoi strateghi militari temono che si possa finire in un pantano, un pantano pericoloso. Nessuno desidera spingersi troppo in là con le strategie, ma ciò che sta accadendo è eccessivo. Non stanno solo prendendo di mira le nostre città. Stanno deliberatamente lanciando migliaia di missili. Negli ultimi giorni ne hanno lanciato duemila sulle nostre città. E non solo: intendono uccidere il maggior numero possibile dei sei milioni di israeliani che vivono a portata dei loro missili. Non ci sono riusciti, e non per mancanza di volontà, ma perché noi, con l'aiuto degli americani, siamo migliorati. Sono grato al presidente Obamae al Congresso Usa per l'aiuto che ci hanno dato nello sviluppare questi Iron Dome: dei sistemi fantastici. Alcuni missili però riescono a oltrepassarli. E colpiscono le nostre scuole. Quindi dobbiamo porre un freno. Oltre ai missili hanno costruito anche dei nuovi tunnel del terrore all'interno delle abitazioni palestinesi di Gaza. Raggiungono il territorio israeliano dal sottosuolo. I terroristi spuntano tra di noi, tentano di uccidere i civili e rapire gli israeliani. Quindi ci stiamo dando da fare per neutralizzare quei tunnel. E protrarremo le operazioni per tutto il tempo che riterremo necessario.
- Si vedono però delle foto tristissime che ritraggono bambini e rifugiati palestinesi che fuggono a migliaia dalle loro case. Sono immagini orrende, strazianti Cosa prove nel vederle? Proviamo tristezza per ogni civile che viene ucciso. Non è nelle nostre intenzioni. È questa la differenza tra noi e loro. Hamas prende deliberatamente di mira i civili e deliberatamente si nasconde tra la popolazione civile. Nascondono tra i civili i loro soldati, i loro missili e le altre armi. Che scelta ci resta? Dobbiamo proteggerci. Ecco perché cerchiamo di prendere di mira coloro che lanciano i missili, è chiaro. Non intendiamo colpire i civili, è Harnas che intende farceli colpire. Vogliono il maggior numero possibile di vittime civili, perché si dice che sfruttino - è orribile - che sfruttino la telegenicità dei morti palestinesi a favore della loro causa. Più ci sono morti e meglio è.
- Adesso però c'è una grande violenza. Adesso è molto difficile, perché Hamas sta usando i palestinesi come scudi umani. Mentre noi usiamo sistemi antimissile per proteggere la nostra popolazione civile, loro usano i loro civili per proteggere i missili.
- Molti sono profondamente preoccupati da ciò che vedono in questa ondata - ridotta ma molto violenta e pericolosa - di estremismo israeliano in Israele. Ecco dovè la differenza. Noi non glorifichiamo questi assassini. Noi li mettiamo - lo abbiamo preso tre giorni dopo quel tragico assassinio. Non li glorifichiamo. Non allestiamo campi suicidi per bambini.
(la Repubblica, 21 luglio 2014 - Cnn, trad. Marzia Porta)
L’intervista della CNN a Netanyahu è più lunga, ma Repubblica non ne fa tutta la traduzione. Presentiamo
il video dell’intervista completa, purtroppo senza la traduzione (vorrà farla qualcuno?).
Civili come scudi umani. Così si arriva alla strage
Hamas si mescola ai cittadini impedendo di colpire gli arsenali. La gaffe di Kerry: "Altro che operazione di precisione".
di Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME - Di nuovo e ancora di nuovo, quando Israele è costretta a combattere, la Bbc, la Cnn, Al Jazeera si affrettano a denunciare orribili stragi perpetrate contro cittadini innocenti dai pessimi soldati israeliani, per poi dovere, nel tempo, ammettere che invece si è trattato di una durissima battaglia su un terreno fitto di combattenti mescolati a cittadini nelle cui case sono state stipate le armi, le rampe di lancio, nelle cui cantine si trovano le imboccature delle gallerie che sono l'autostrada degli attentati terroristi.
Proprio come a Jenin nel West Bank nell'aprile 2002 (dal posto testimoniammo la battaglia) dopo lo scontro i palestinesi con l'aiuto dell'ONU gridarono a una strage di 500 persone, per poi arrivare alla conclusione che erano stati uccisi 52 palestinesi e 23 soldati israeliani. Si era nel pieno della Seconda Intifada, quando gli autobus e i caffè saltavano per aria, Ariel Sharon lanciò «Scudo di Difesa» e fermò i terroristi suicidi.
Ieri a Sajaya, un enorme quartiere di Gaza, circa 80mila abitanti, si è verificata una situazione analoga in una battaglia per liberare Israele dall'assedio dei missili. Durante la notte, dopo avere ripetutamente chiesto alla popolazione di sgomberare la zona (e molti se ne sono andati), l'esercito israeliano ha attaccato. Gli obiettivi sono molto precisi: si devono trovare i depositi di armi, distruggere le rampe di lancio dei missili e i missili stessi, verificare se sono nascosti nelle case, nelle cantine, nelle scuole, negli ospedali. Sajaya è una delle principali fortezze di Hamas, con almeno dieci imbocchi di grandi gallerie, nascondigli di armi, manifatture di missili, centri organizzativi del terrorismo. I soldati sono dentro Gaza anche, e forse soprattutto, per scovare gli imbocchi delle gallerie (centinaia) che servono da rifugio e da passaggio per l' organizzazione integralista islamica che dall'interno di Gaza prepara attentati e rapimenti. Anche ieri ne è stata trovata una enorme sotto il kibbutz di Netiv Assarà.
Anche nelle ultime ore i terroristi in Israele spuntano dalla terra presso il confine, seppure già una trentina di gallerie siano state eliminate. Se ieri il tentativo di prendere il kibbutz Ein ha Shlosha dalle gallerie fosse riuscito, ci sarebbero ora centinaia di morti e forse, questo valutano gli esperti, un rapimento di massa di bambini. Ieri a Sajaya è successo di nuovo quello che accade nelle guerre asimmetriche, dove i terroristi si mescolano con i cittadini, le case sono minate e saltano per aria se solo ci si entra, la gente diventa scudo umano. Dopo la battaglia si danno ora numeri fra i 60 e i 100 morti palestinesi, purtroppo sembra siano numerosi, lo si vede nelle immagini TV, anche donne e bambini feriti. Ma Israele non ha compiuto una strage, come ieri tutto il mondo arabo ha ripetuto: ha combattuto una durissima battaglia di sopravvivenza, in una casbah di viuzze minate e agguati. Oltre ai cinque morti militari e ai 55 feriti (tutti soldati) di venerdì, con vari agguati Hamas riusciva a uccidere, nella notte fra sabato e domenica, 13 soldati dell'unità dei Golani, la più popolare d'Israele, e a ferirne 22 fra cui 8 molto gravi. Sette soldati sono stati colpiti dentro il loro mezzo corazzato, gli altri presso una galleria, altri dentro una casa e in altre situazioni.
Il comandante sul campo reagisce alle accuse di avere ucciso civili innocenti spiegando che i soldati hanno fatto di tutto per evitare di colpire persone non implicate nella battaglia, mentre Hamas fa di tutto per colpire i cittadini, e usa i suoi come scudo. Mentre le televisioni nel mondo trasmettevano invocazioni e immagini terribili denunciando una strage «come quella di Sabra e Chatila» la tv di Hamas si vantava di aver ucciso i soldati israeliani. Ma va notato che a Sajaya si è visto un esercito di guerriglieri disordinati mescolati cinicamente alla gente, fonti locali raccontano che alcuni correvano carichi di armi fra i civili. La richiesta che Hamas accetti il cessate il fuoco si sente, secondo fonti, fra la sua gente. John Kerry come Ban Ki Moon che è già in zona, è in arrivo. Alla tv ha dichiarato che Israele, dato che bombardano le sue città, ha il diritto e il dovere di fermarli. Peccato che nel suo stile da ragazzone disinvolto, si sia lasciato andare a microfono aperto a un commento che diceva: «altro che operazione di precisione, l'escalation è significativa, dobbiamo andare lì stasera stessa». Poi però ha precisato di nuovo che Israele ha diritto a difendersi. Anche Laurent Fabius, qui nei giorni scorsi, ha detto lo stesso, come Angela Merkel, e gli inglesi sono d'accordo. Aspettiamo che il nostro governo prenda posizione: non basta dire «cessate il fuoco». Ciò che è in giuoco è la guerra contro il terrorismo, e ci riguarda tutti.
(il Giornale, 21 luglio 2014)
"Israele costretta a essere crudele. Non ha scelta"
Appelfeld: viviamo chiusi in casa
di Alain Elkann
Aharon Appelfeld
Aharon Appelfeld vive quasi come un recluso nella sua casa, in un paesino vicino a Gerusalemme. Quando suona l'allarme scende in cantina con la moglie, come chiunque altro in Israele in questi giorni. «Tutti i ricordi della seconda guerra mondiale mi stanno ritornando in mente e sono sicuro che questo accada a tutti i sopravvissuti dell'Olocausto e a quelli della guerra dei sei giorni e di quella dello Yom Kippur. Non è facile vivere quando tutte le nostre città sono sotto l'attacco dei razzi. Generalmente si ha l'idea che Israele sia un Paese molto forte, armato bene. E nondimeno un piccolo gruppo di terroristi, forse 5000 o 7000, opposti a un Paese di più di 6 milioni di persone, hanno scavato e costruito un'altra città 30-40 metri sotto terra e hanno gallerie in grado di raggiungere il territorio israeliano. Questa gente continua a sparare razzi contro di noi. Combatterli sul terreno per Israele significa una battaglia casa per casa, sarà un confronto brutale e questo diventa un vero problema. Risolvere il problema significa che dobbiamo essere molto crudeli e questo moralmente non è facile da fare. E possibile che ci siano molti morti, da entrambe le parti. Ma che cosa fare contro terroristi che hanno una città sotterranea? E un terribile dilemma».
- Ci sono altre soluzioni? «La proposta di Israele è di smilitarizzare Gaza, ma dubito che i terroristi accettino». Com'è lo stato d'animo di un israelia no? «Sono molto forti, ma naturalmente soffrono ogni volta che c'è un nuovo allarme anche se sanno che i razzi vengono intercettati. Io stesso vivo chiuso in casa. Ogni cinque minuti suonano le sirene, soprattutto sulla costa, meno a Gerusalemme».
- Ma cosa ne pensa? «Pensavamo che venendo qui avremmo smesso di soffrire. Venire qui aveva una logica, è il Paese in cui gli ebrei, la loro cultura e la loro fede sono nate. All'inizio c'erano solo mezzo milione di ebrei, mezzo milione di arabi e il deserto. Ma per rispondere alla domanda, come si sentono gli israeliani, c'è una sorta di solidarietà tra le persone. In tempo di pace ci sono molti litigi ma improvvisamente diventano insignificanti di fronte alla guerra».
- Pensa che la guerra sia destinata a durare? «Non sarà breve, perché Israele non può lasciare un tale arsenale vicino alla frontiera. Solo per fare un esempio, pensiamo che tredici uomini ben armati sono sbucati da un tunnel nella notte per distruggere una piccola città israeliana. Questo vuol dire che i loro tunnel si spingono molto all'interno del territorio israeliano. Sono orripilato all'idea che tutti i soldi dati ai poveri palestinesi siano finiti così, nella costruzione dei tunnel».
- E gli altri Paesi arabi? «Siamo molto fortunati perché Hamas è diventato un nemico dell'Egitto. Siria e Iraq hanno altri problemi. Per fortuna abbiamo fatto la pace con l'Egitto e la Giordania».
- E l'America e l'Europa? «L'America si è indebolita, o forse dopo l'Afghanistan e l'Iraq e non sono pronti a investire denaro in altre guerre. Penso abbiano capito che Israele è una roccaforte in quest'area e quindi rafforzano costantemente il loro aiuto. Gli europei vogliono mantenersi in qualche modo neutrali».
- Ma non è terribile pensare che i bambini stanno morendo? «I terroristi proteggono se stessi, non la loro popolazione. La vita umana non conta. Muori e vai in Paradiso. Pare che per loro l'aldilà sia più importante».
(La Stampa, 21 luglio 2014)
Chi oggi, nell'attuale situazione, parla genericamente di pace e insiste a compiangere la morte dei piccoli bambini, è un ipocrita che vuole la distruzione di Israele. M.C.
I nemici di Israele sono nemici di Dio
"O Dio, non restare silenzioso! Non rimanere impassibile e inerte, o Dio! Poiché, ecco, i tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa. Tramano insidie contro il tuo popolo e congiurano contro quelli che tu proteggi. Dicono: Venite, distruggiamoli come nazione e il nome d'Israele non sia più ricordato!" (Salmo 83:1-4).
Quando i Romani soffocarono nel sangue la rivolta ebraica del 134 d.C. capeggiata da Simone Bar Kokhba, l'imperatore Adriano non si limitò a distruggere Israele come nazione, ma cercò di cancellarne anche il ricordo dalla faccia della terra. Per questo decise di chiamare "Aelia Capitolina" la città di Gerusalemme e "Palestina" la terra di Israele. Prima di allora con il nome "Philistia" veniva indicata una fascia costiera più o meno corrispondente all'attuale striscia di Gaza, abitata nel periodo biblico dai filistei, un popolo indoeuropeo di origine non semita. Quindi l'attuale nome "Palestina", oltre a indicare una regione geografica, esprime anche una volontà: la volontà di far dimenticare il nome di "Israele". Le intenzioni dell'imperatore romano verso gli ebrei potrebbero essere ben espresse con le parole del salmo 83:
"Venite, distruggiamoli come nazione e il nome d'Israele non sia più ricordato!"
Si può capire allora il profondo significato che ha avuto e continua ad avere il fatto che dopo diciotto secoli sia ricomparso, su quella terra calpestata dai gentili, uno Stato ebraico che ha come nome "Israele". Un fatto prodigioso, ma d'altra parte inevitabile, perché i violenti di cui si parla nel salmo 83 non sono nemici di Israele, ma di Dio: "I tuoi nemici si agitano, i tuoi avversari alzano la testa". In tutto quello che accade a Israele è in gioco il nome di Dio, quindi non è possibile che gli uomini possano avere l'ultima parola. E tuttavia continuano a provarci.
I lettori interessati possono ricevere in dono una copia gratuita del libro "Dio ha scelto Israele".
Come forma di "pagamento" si richiede soltanto di fare un'offerta di almeno 10 euro a un ente di soccorso israeliano, come per esempio Magen David Adom o Yad Eliezer.
L'impegno è esclusivamente morale, quindi non è necessario darcene conferma.
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“Caro Papa Francesco, l'estremismo islamico non si combatte con la pace”
Ieri Papa Francesco ha lanciato il suo appello per la pace: «la violenza non si vince con la violenza, la violenza si vince con la pace» ha detto Papa Francesco all'angelus. Il Papa non può dire diversamente, è il concetto cristiano del "porgere l'altra guancia" che lo costringe a dire così. Poi però c'è la realtà....
(Right Reporters, 21 luglio 2014)
Il buonismo cristiano predicato dal papa in quel contesto e da quella sede non è bontà e non è cristiano. A questo proposito, e in relazione alle rinnovate offensive ecumeniche papali con incursioni anche in campo evangelico, rendiamo nota una recente dichiarazione pubblica fatta in ambito evangelico, con la quale concordiamo anche se non fa riferimento a Israele e alla questione ebraica. M.C.
Netanyahu: non abbiamo voluto questa guerra, ma continueremo fino alla fine
GERUSALEMME, 20 lug. - Benjamin Netanyahu ha ricordato che "Israele non ha scelto di fare questa guerra (nella Striscia di Gaza), ma continueremo a combattere fino a quando dovremo". Non solo. Le operazioni saranno allargate fino a quando non tornera' la calma in Israele. Cosi' il premier israliano in una conferenza stampa nel 12esimo giorno dall'inizio dell'offensiva in cui ha ribadito che "Israele non puo essere considerata responsabile dell'escalation. Noi piangiamo ogni vittima innocente, ma la colpa e' di Hamas", ricordando che Israele ha accetato tutte e tre le tregue offerte, saltate poi' per il continuo lancio di razzi da Gaza.
Sapevamo, ha aggiunto, che sarebbe potuta essere un'operazione a lungo termine ma "il popolo eterno" non si fa spaventare da un lungo viaggio. Netanyahu ha anche replicato duramente alle critiche dell'omologo turco Recep Tayyip Erdogan, secondo il quale gli israliani "hanno soprassato Hitler in barbarie": "Erdogan parla come l'Iran ed al Qaeda", le due entita' che da fronti diversi dell'Islam, secondo Israele puntano alla distruzione dello Stato ebraico. Da ultimo Netanyahu ha anche ringraziato Barack Obama per il sostegno degli Stati Uniti.
(AGI, 20 luglio 2014)
Nei tunnel di Hamas
Una rete di decine di chilometri per il contrabbando e la guerra I terroristi li usano come magazzini e rifugi antiaerei. Ma anche per assalire i militari nemici e poi dileguarsi. Perciò Israele li sta distruggendo.
di Michael Sfaradi
ASQUELON - Con l'inizio delle operazioni militari i media hanno portato all'attenzione il problema dei tunnel sotterranei costruiti dai miliziani di Hamas. Quello che non è stato ancora chiarito è la loro natura e come possono essere usati. I primi tunnel si trovavano lungo linea Philadelphia, come era chiamata fino al 2005 dall'esercito israeliano la terra di nessuno al confine fra l'Egitto e la Sui-scia di Gaza. Questi passaggi erano molto ampi e permettevano il contrabbando di beni voluminosi come automobili e animali di grossa taglia. Proprio attraverso di essi sono arrivati a Gaza i componenti dei missili a lunga gittata di fabbricazione iraniana che in questi giorni vengono lanciati contro le città israeliane. Quando erano operativi Hamas li usava gratuitamente e imponeva pesanti tasse sui beni che transitavano in entrata. Era uno dei modi con cui l'organizzazione terroristica si finanziava.
ECONOMIA
I tunnel sotto la linea Philadelphia sono stati operativi sia quando al Cairo governava il presidente Hosni Mubarak sia, e soprattutto, nel periodo in cui i fratelli musulmani erano al potere con il presidente Mohammed Morsi. In quegli anni l'aeronautica israeliana li ha spesso bombardad riuscendo solo a rallentarne l'attività, chi li ha definitivamente chiusi, nella seconda metà del 2013, è stato l'esercito egiziano subito dopo la presa del potere del presidente Abd al-Fattah Khalil al Sisi. Proprio la mancanza degli introiti derivanti dalle tasse sul contrabbando delle merci che transitavano in quei tunnel è stato uno dei motivi della mancanza di liquidità di Hamas. Le altre tipologie di tunnel oltre a essere di carattere squisitamente militare sono ora l'obiettivo primario delle operazioni che si svolgono in queste ore. Secondo alcuni rapporti dei servizi segreti la rete di tunnel sotterranei è di decine di kilometri e variano di profondità a seconda della natura del terreno nel quale sono stati scavati. Molte di queste gallerie hanno ambedue le entrate all'interno del territorio palestinese, spesso una è dentro case private, moschee o edifici civili, mentre l'altra è in campo aperto.
TRAPPOLE
Possono fungere da magazzini di anni e missili, da rifugi durante i bombardamenti dell'aeronautica e come trappole sul modello usato dai vietcong contro gli americani durante la guerra del Vietnam. Bastano pochi uomini armati che aspettano il nemico, attaccano di sorpresa e dopo brevi conflitti a fuoco si dileguano nei passaggi. Proprio questo tipo di guerriglia è l'incubo dei comandi militari israeliani durante questa avanzata. La terza tipologia di tunnel è sicuramente la più pericolosa. Si tratta di passaggi lunghi poche decine di metri e scavati sotto la rete di confine che divide il territorio israeliano dalla Striscia. Questi cunicoli sono già stati più volte utilizzati per portare attacchi sia ai militari di passaggio lungo la strada di confine che ai civili che abitano nei kibbutz o nei villaggi agricoli di frontiera.
CEMENTO
Durante la notte fra il 17 e il 18 luglio scorso e nella notte a seguire due di passaggi sotterranei sono stati utilizzati per portare degli assalti ai militari che pattugliano la linea di confine proprio per prevenire questo tipo di situazioni. Non è un caso che proprio uno dei materiali che il governo israeliano negli anni scorsi voleva razionare all'ingresso della Striscia fosse proprio il cemento che poteva avere, come poi è successo, anche un uso militare. Su pressioni internazionali Gerusalemme è stata costretta a cedere su questo punto e il risultato è stato che centinaia di tonnellate di cemento sono entrate a Gaza e finite nelle mani di Hamas che ne ha requisito oltre l'80% destinandolo sia alla costruzione delle bellissime ville dei capi, sia per rinforzare le gallerie sotterranee che ora, una ad una, dovranno essere scoperte e fatte saltare in aria dai genieri israeliani.
(Libero, 20 luglio 2014)
Il governo israeliano avverte la stampa straniera a Gaza
GAZA/GERUSALEMME, 20 lug. - L'ufficio del governo israeliano per le Relazioni con la stampa ha avvertito gli inviati e i corrispondenti internazionali che stano seguendo l'offensiva bellica israeliana dall'interno di Gaza che non si assume la responsabilità della loro sicurezza. L'allerta è coinciso con la decisione annunciata nella notte dall'esercito israeliano di ampliare la sua incursione terrestre nella Striscia, dove si sono intensificati i bombardamenti da terra e dall'aria.
(AGI, 20 luglio 2014)
Gaza, saltata subito la tregua. Kerry: Hamas usa i civili come scudi
Israele estende l'offensiva. Almeno 60 palestinesi morti nella notte. Emergenza sfollati. In Qatar summit Ban Ki-moon-Abu Mazen.
di Orlando Sacchelli
La tregua tra Israele e Hamas siglata per consentire di evacuare i morti dopo un pesante bombardamento nel quartiere di Shejaya, a Gaza City, è durata meno di un'ora.
Subito si è ripreso a combattere. L'esercito israeliano ha reso noto che i propri soldati hanno sparato "per rispondere al fuoco di Hamas"
L'esercito con la stella di David ha impresso una forte accelerazione alla guerra.
La fase terrestre dell'operazione "Margine di Protezione" si allarga: al tredicesimo giorno di conflitto, almeno 60 palestinesi sono morti e circa 400 sono rimasti ferite nei bombardamenti sul quartiere di Shejaia, nella parte orientale di Gaza City (fonti mediche palestinesi). Le immagini diffuse dalla televisione al-Aqsa di Hamas hanno mostrato vari civili, tra cui donne e bambini, stesi a terra. Intanto migliaia di persone fuggono dalla zona. Secondo i commentatori dell'emittente si tratta di una nuova "Sabra e Shatila", il massacro commesso nel 1982 nei due campi profughi palestinesi in Libano dai falangisti cristiani. Un comunicato diffuso dal ministero della Sanità a Gaza rende noto che tra le vittime ci sono i familiari di un noto dirigente del movimento islamista, morti in una casa obiettivo del bombardamento aereo. Sono circa cinquanta i militari feriti da ieri nei combattimenti a Gaza e ricoverati in Israele. Lo riferisce la tv commerciale Canale 10 secondo cui due di loro versano in condizioni gravi. L'esercito israeliano, riferiscono i suoi portavoce, ha avuto finora cinque morti.
Gli obiettivi centrati dai militari israeliani nell'ultima notte: distrutti 2 tunnel e attaccati 45 obiettivi, tra questi 10 lanciatori di razzi nascosti. Dall'inizio dell'operazione, secondo il portavoce militare i siti "del terrore" colpiti sono stati 2570. Intanto è salito a oltre 62.000 il numero degli sfollati a Gaza: lo ha comunicato l'Unrwa, l'agenzia per i rifugiati dell'Onu.
Le persone hanno trovato rifugio in 49 scuole dell'agenzia, che ha lanciato un appello per continuare a fornire loro cibo, cure mediche e aiuti d'emergenza come materassi, coperte e kit per igiene personale
L'Egitto intanto apre il valico di Rafah con la Striscia per una settimana, per consentire il passaggio dei feriti. Lo riferisce il sito israeliano Ynet.
- Kerry: Hamas usa i civili come scudi
Molto duro il commento del segretario di Stato americano, John Kerry: "Hamas usa i civili come scudo e rifiuta ostinatamente un cessate il fuoco". Ha poi aggiunto che Israele "ha tutti i diritti del mondo di difendersi", sottolineando che nessuno paese sotto attacco resterebbe immobile. Kerry ritiene che il presidente americano, Barack Obama, gli chiederà di tornare in Medio Oriente a breve per lavorare a un cessate il fuoco.
- Abu Mazen e Ban Ki-moon in Qatar
Ferventi lavori a livello diplomatico. Oggi il presidente palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), e il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, si incontrano in Qatar per discutere una possibile tregua a Gaza. A presiedere la riunione l'emiro del Qatar, Sheikh Tamim, che opera come canale di collegamento tra Hamas e la comunità internazionale. Sabato il Qatar ha consegnato all'Onu la lista con le condizioni poste dal gruppo islamico palestinese per una tregua. In Qatar vivono numerosi islamisti in esilio, tra cui Khaled Meshaal, il leader di Hamas. Secondo fonti qatariote, Abu Mazen, dopo l'incontro con Ban Ki-moon, incontrerà proprio Khaled Meshaal, che vive in Qatar da tre anni, dopo aver lasciato Damasco.
(il Giornale, 20 luglio 2014)
Lettera aperta a chi manifesta per la Palestina
Manifestare liberamente e pacificamente (e sottolineo pacificamente) è un Diritto di qualsiasi cittadino europeo. Come era ampiamente prevedibile e previsto al primo accenno di reazione israeliana il movimento pacivendolo si è scatenato un po' in tutta Europa riempiendo le piazze per manifestare solidarietà verso i palestinesi "aggrediti dagli israeliani cattivi" e spesso (molto spesso) odio verso Israele più che solidarietà verso i palestinesi. Quello che noi vorremmo chiedervi è: ma sapete per chi o per cosa manifestate?...
(Right Reporters, 20 luglio 2014)
L'Eterno vi disperderà fra i popoli, e non rimarrà di voi che un piccolo numero fra le nazioni dove l'Eterno vi condurrà. E là servirete dèi di legno e di pietra, fatti da mano d'uomo, che non vedono, non odono, non mangiano e non odorano. Ma di là cercherai l'Eterno, il tuo Dio; e lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima. Quando ti troverai nell'angoscia e ti saranno avvenute tutte queste cose, negli ultimi tempi, tornerai all'Eterno, il tuo Dio, e darai ascolto alla sua voce; poiché l'Eterno, il tuo Dio, è un Dio misericordioso; egli non ti abbandonerà e non ti distruggerà, e non dimenticherà il patto che giurò ai tuoi padri.
dal libro del Deuteronomio, cap. 4
Case a Gaza imbottite di esplosivo da Hamas
Durante i rastrellamenti a Gaza in cerca dei terroristi di Hamas, i militari israeliani hanno scoperto abitazioni imbottite di esplosivo.
(Video dell'esercito israeliano, 20 luglio 2014)
Hamas vuole armare anche i bambini
Supporto reciproco tra integralisti palestinesi e il califfato dell'Isis. Mediazione egiziana: più che nella pace al Sisi spera che Israele distrugga il suo nemico.
di Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME - Hamas può gloriarsi di aver ucciso ieri due soldati israeliani, Amos Greenberg e Adar Bersana, emersi da un tunnel nel kibbutz dove ci trovavamo giovedì, Ein ha Shlosha. Amos e Adar hanno difeso la popolazione con il loro corpo, e hanno ucciso un terrorista.
Tre soldati sono stati feriti nello scontro, altri 17 colpiti durante le battaglie dentro Gaza. I palestinesi hanno avuto una cinquantina fra feriti e qualche ucciso. Via via che scende la sera, i missili lanciati su Israele colpiscono per ogni dove. La guerra divampa, l'esercito è riuscito a distruggere 23 gallerie create per stivare le armi e fare incursioni. L'impresa di Ein ha Shlosha ha tenuto chiusi in casa per ore migliaia di cittadini dell'Eshkol. Nella città di Dimona un razzo ha centrato una famiglia di cittadini israeliani beduini, uccidendo un uomo e ferendo gravemente un bambino di tre mesi, più una donna e un altro bambino.
L'esercito ottiene risultati importanti ma deve agire su un terreno fitto di missili e di basi dei terroristi dentro case, moschee, scuole. Se si pensa che i razzi sono stati circa 1500 e gli obiettivi militari circa 2300 in undici giorni, questo da la misura della capillarità di una guerra che purtroppo miete anche vite di bambini. I palestinesi della Striscia prigionieri del regime integralista islamico che ne fa scudi umani sono esausti, 50mila hanno cercato rifugio presso l'UNRWA, ma è difficile immaginare una protesta popolare, la pena sarebbe la morte. Hamas, nonostante sia alla fame, assetato, isolato, colpito anche nelle sue strutture strategiche, è in cerca di un risultato che dimostri che lo schieramento jihadista vince: «Manderemo i bambini armati a combattere contro il nemico sionista», ha annunciato ieri un portavoce. Da un lato dichiarano che alla fine la proposta dell'Egitto dovrà essere presa in considerazione, dall'altro Mohammed Deif, il durissimo capo militare, spinge verso un accordo mediato solo dalla sua parte, quella dei Fratelli Musulmani, che dovrebbe rifornire Hamas di denaro, e di Erdogan, il presidente turco che predica che Israele è «l'assassino di bambini numero uno». La venuta di Ban Ki Moon nell'area e l'avvento previsto di Kerry non promettono molte novità.
Lo schieramento dei Fratelli Musulmani è nettamente contrapposto a quello Egiziano, dato che al Sisi nasce sull'espulsione di Morsi, ed è difficile mediare fra i due che si odiano come solo il Medio Oriente sa fare. Quando nel 2011 ebbe luogo una irruzione armata nel carcere in cui Morsi era rinchiuso, l'Egitto individuò fra i colpevoli anche membri di Hamas, e ormai il suo nome è identificato con quello di Ansar Bayt al Maqdis, colpevole di tutti gli attentati contro il ministro degli Interni, contro i Servizi di Sicurezza, contro i soldati egiziani e un elicottero egiziano abbattuto in Sinai. Per bloccare i movimenti di Hamas al Sisi ha distrutto dozzine di gallerie che da Gaza portano in Egitto. Ansar Bayt al Maqdis è l'ala militare della Fratellanza, e certo Deif non le è alieno. È difficile associare queste attività alla consueta idea della «causa palestinese». Hamas appartiene ormai a quella parte dello schieramento islamista che promuove il califfato universale, e si intreccia col movimento armato che spazza l'Iraq e la Siria e lo copre di sangue. In giugno una manifestazione pro Isis, ovvero l'organizzazione che anche ieri ha ucciso almeno 22 persone a Baghdad, ha avuto luogo a Gaza.
Il giornale egiziano Masry Al Youm ha dato notizia di 15 terroristi arrestati che, preparati a Gaza, hanno cercato di entrare dal Sinai. Su un video di Youtube terroristi di Gaza promettono fedeltà all'Isis. Anche Al Qaeda usa Gaza come base di attività: con un video hanno annunciato da Gaza la loro guerra contro «infedeli, traditori, e crociati». Al Qaeda ha annunciato ufficialmente la sua presenza a Gaza nel febbraio di quest'anno, a Gaza hanno sede e, secondo fonti, fanno il loro training, Jaysh al Ummah, Daesh, Isis, e altri gruppi di integralisti. Il primo palestinese di Al Qaeda, Nabil Abu Okal, fu arrestato all'ingresso di Gaza nel 2000, spedito dall'Afghanistan per organizzare il gruppo. Ha avuto contatto con Gaza il terrorista Richard Reid, quello che cercò di far esplodere un aereo dell'American Airlines riempiendosi le scarpe di esplosivo. Yusuf Muhammed Hanif, il terrorista suicida di nazionalità inglese che si fece saltare per aria a Tel Aviv in un bar fu reclutato a Londra, spedito a Damasco per proseguire per Gaza, e ricevette la missione da un comandante militare locale.
Molti altri episodi disegnano il nemico pubblico di Egitto, Arabia Saudita, Emirati, Giordania, di tutte le vittime moderate, e naturalmente di Israele. Abu Mazen, capo predestinato del fronte moderato, è andato in Turchia per bloccare i tentativi di Erdogan di boicottare la pace. E oggi a Doha, in Qatar, incontrerà il capo politico di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, per parlare di un'eventuale tregua a Gaza in grado di fermare l'azione militare di terra israeliana. Ma ci sono tre ostacoli: l'ostinazione dello schieramento estremista; il fatto che al Sisi più che fare la pace vorrebbe che Israele distruggesse il suo nemico. E infine, un paio di mesi fa Abu Mazen stesso ha formato un governo di coalizione con Hamas. E ora dovrebbe diventare il garante del mondo palestinese. Difficile.
(il Giornale, 20 luglio 2014)
La guerra immorale di Hamas
La guerra porta sempre con se' il suo carico di dolore, devastazioni e lutti; per cui sarebbe ingenuo o ipocrita credere che l'ultimo conflitto scatenato e perpetrato da Hamas , fosse diverso rispetto a quelli deflagrati in passato nell'area. Ciò non toglie che in tutte le guerre sia sempre stato rispettato un codice etico; una moralità che escludeva condotte palesemente ripugnanti, ancor prima che le stesse fossero censurate dal codice di guerra. Più volte Hamas in questi giorni sta violando senza scrupoli un codice non scritto ma rispettato da anni....
(Il Borghesino, 20 luglio 2014)
L'imam invoca davanti al Papa «La vittoria sui miscredenti»
All'incontro per la pace di Pentecoste, un invitato palestinese legge una preghiera che sa tanto di guerra santa. Il Vaticano censura il passaggio ma uno scrittore tedesco-egiziano scopre tutto.
di Andrea Morigi
Hamed Abdel-Samad, lo scrittore arabo-tedesco che ha confermato la trappola islamica tesa al Vaticano
Vatti a fidare dei musulmani palestinesi. Li inviti a pregare per la pace e loro ne approfittano per predicare la guerra santa. Quanto siano affidabili le loro proposte di tregua, nel conflitto annualmente in corso nella Striscia di Gaza, lo indica un episodio recente, avvenuto all'interno del territorio della Santa Sede, nientemeno che al cospetto del Vicario di Cristo.
8 giugno, domenica di Pentecoste. Giardini vaticani. Sul capo dei presenti, invece delle «lingue come di fuoco» citate dagli Atti degli Apostoli, scende una minaccia sotto forma di preghiera: «Tu sei il nostro patrono, dacci la vittoria sui miscredenti». L'imam sunnita palestinese che la pronuncia sta recitando la parte conclusiva della Sura II del Corano, Al Baqara. Peccato che non sia il testo preventivamente concordato e comunicato agli organizzatori della giornata, promossa da Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Terrasanta.
Lì per li, i dignitari delle tre religioni monoteiste non si scompongono. Quelli che conoscono l'arabo fanno finta di nulla, anche se le riprese filmate dell'evento li mostrano decisamente imbarazzati. Gli altri, compreso il Santo Padre che ospita l'incontro, verosimilmente non colgono l'entità dell'affronto. Tutti rimangono raccolti, come si addice alla solennità del momento.
Solo qualche giorno più tardi saranno raggiunti da una diversa consapevolezza di quanto accaduto. L'incidente viene minimizzato, a livello ufficiale. Che se ne siano accorti, è indubitabile perché, nel video diffuso dai servizi d'informazione vaticani, quel passaggio è saltato in fase di montaggio. Successivamente, sarà padre Bernd Hagenkord, gesuita responsabile delle trasmissioni in tedesco della Radio Vaticana, a tentare di chiarire l'equivoco con una versione addomesticata del versetto. Il testo, per come lo hanno interpretato loro, suona così: «Tu sei il nostro protettnore, aiutaci contro il popolo dei non credenti» e potrebbe anche indicare una sorta di slancio missionario. Avevano pubblicato anche, il 10 giugno, una smentita nervosa ed eloquente sin dal titolo: «Nein, nein, nein», dove accusavano di «insensatezza» e «paranoia» quanti cercavano di indagare sull'accaduto. L'effetto era stato simile a quello di un boomerang. I testi messi a disposizione sul sito web della Radio Vaticana risultavano monchi proprio della parte incriminata. Ma chi aveva potuto seguire la cerimonia in diretta televisiva aveva sentito tutto. E le registrazioni rimangono a documentarlo, anche su Youtube. Uno scrittore arabo-tedesco, Hamed Abdel-Samad, ne traduce e diffonde la versione completa. E così si scopre definitivamente l'inganno.
La prossima volta, magari, i dignitari ecclesiastici ci staranno più attenti, nelle occasioni di dialogo interreligioso. Ma chi ha quotidianamente a che fare con la taqiyya, cioè la tattica della dissimulazione praticata dai musulmani più scaltri, non si fida. Gli israeliani sanno che quando Hamas parla di hudna sarebbe un'ingenuità imperdonabile confonderla con una tregua: è soltanto una pausa del conflitto, che si sfrutta allo scopo di riarmarsi. Se n'era già servito Maometto nel 628 per conquistare la Mecca. Anche lui era uno che parlava di pace. Anche se intendeva quella successiva all'annientamento del nemico.
(Libero, 20 luglio 2014)
"Notizie su Israele" aveva informato di questo imbroglio più di un mese fa .
Noi ebrei italiani vediamo segnali inquietanti
di Gian Guido Vecchi
ROMA — Siete preoccupati? «Anzitutto c'è una preoccupazione di fondo per quello che sta succedendo, la pena, la sofferenza, la tensione, i morti. E a tutto questo si somma la preoccupazione per cose già viste...».
Riccardo Di Segni è il rabbino capo di Roma; la più antica comunità della diaspora risale nella memoria ad oltre duemila anni, ma non occorre andare tanto lontano.
«Ogni volta che c'è un intensificarsi del conflitto nell'area del Vicino Oriente, c'è una ricaduta europea a espressione antiebraica. E già successo varie volte, con effetti sanguinosi».
- II presidente degli ebrei romani, Riccardo Pacifici, ha ricordato l'attentato alla sinagoga di Roma, nell'82, con la morte di Stefano Gaj Taché, un bimbo di due anni. «Sì, ciò che accadde nell'82 è chiaramente simbolico, nella sua minaccia. Ci si rivolge alla sinagoga come a un simbolo, si estende il conflitto all'Europa con uno slittamento dal piano politico a quello religioso. L'indicatore francese è angosciante. Alcune cose che sono poi successe in Italia hanno avuto sempre precedenti francesi, anche nell'82. E in Francia stanno succedendo fatti allarmanti, l'assalto alle due sinagoghe, i fedeli rimasti sequestrati nel tempio a Parigi...».
- E ora sulla sinagoga di Vercelli sono apparse scritte del tipo «Israele assassini». Cosa dicono episodi simili? «C'è un conflitto mediorientale che oppone israeliani e palestinesi. Una larga ma peraltro non esclusiva maggioranza degli ebrei sostiene le ragioni di Israele, per motivi storici, di vicinanza, per il fatto che molti hanno parenti e amici là. Ma che lo si voglia far diventare un conflitto tra ebrei e musulmani è qualcosa di aberrante. L'idea che una sinagoga diventi il bersaglio del conflitto nel Vicino Oriente è folle.
E’ certamente folle, ma questo è l’islam.
Lo si trasforma in una guerra di religione.
Per l’islam la guerra in corso non è stata “trasformata” in “guerra di religione” perché “è” una guerra di religione. Questo è folle, certo, ma non è saggio non tenerne conto ed esserne sorpresi.
E ci sono dei segnali...».
- Piano religioso. La sinagoga diventa un simbolo, con uno slittamento dal piano politico a quello religioso Ad esempio? «In Turchia il partito di Erdogan ha sollecitato il boicottaggio dei negozi degli ebrei, lo stesso Erdogan dice che gli ebrei si devono scusare. E di che cosa si dovrebbero scusare, gli ebrei turchi? A Zurigo c'è stata una manifestazione filo palestinese con striscioni che dicevano che un buon ebreo è un ebreo morto. Un ebreo, non un israeliano. Qui sta il passaggio angosciante»
.
- C'è chi rinfaccia agli ebrei il sostegno alle ragioni di Israele... «La differenza è nel fatto che noi non esportiamo il conflitto in Europa, non andiamo ad attaccare le moschee. Questo è il punto nodale: c'è un fondamentalismo che sta esportando il conflitto. E poi c'è anche un problema di informazione, di chi colpevolizza una parte facendo leva su sentimenti ancestrali». Il Talmud dice che «il mondo si regge sul respiro dei bambini». Lei, da uomo di fede, cosa sente davanti a tragedie come i bimbi di Gaza uccisi in spiaggia?
«Sento un dolore, una pena infinita. Bisogna mantenere il livello di vigilanza del dolore, non abituarsi. E insieme analizzare. A distanza minima dalla Striscia sono in corso massacri che coinvolgono intere popolazioni civili, ad esempio in Siria, e la cosa non fa notizia. C'è da chiedersi perché».
- Ieri il Papa ha telefonato a Peres e Abu Mazen, quando li invitò in Vaticano disse: «Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento». «E giusto, ma a Peres scade il mandato e Abu Mazen controlla a stento la Cisgiordania e per nulla la Striscia. Si sta parlando a persone che purtroppo non hanno capacità di intervenire. Il fenomeno cui stiamo assistendo è un circolo vizioso di radicalizzazione, di estremismo. La buona volontà non manca. Ma c'è n'è tanta, di cattiva volontà».
(Corriere della Sera, 20 luglio 2014)
La Dolce Vita dei capi di Hamas
di Rossana Miranda
Dettagli sullo stile di vita non troppo uguale a quello della popolazione che si dice di difendere e informazioni su come questa disparità inizia ad essere criticata dagli stessi palestinesi...
Chi vede le foto di Gaza può rendersi conto che la maggior parte della popolazione vive nella povertà assoluta. Il 90% degli abitanti non hanno possibilità economica di pagare alimenti e servizi e il 65% è disoccupato. Secondo la Banca Mondiale la Striscia di Gaza è il terzo "Paese" arabo più povero dopo il Sudan e lo Yemen, anche questi colpiti da conflitti etnici e religiosi. Nel suo blog, l'attivista palestinese Raji Surani spiega che "la vita qui a Gaza è diventata catastrofica dal 2007", quando cominciò il cerchio israeliano nella zona sotto controllo di Hamas.
- Il lusso di Hamas
Uno dei capi di Hamas prende il sole in piscina in un albergo di lusso in Qatar
Poche immagini però mostrano il lusso nel quale vivono i leader di Hamas, l'organizzazione terroristica palestinese. Uno dei capi, Khaled Meshaal, politico che appartiene alla fazione siriana dell'organizzazione, ha visto colpita la sua popolarità proprio per questo: i militanti non tollerano più il lusso nel quale vive e si chiedono da dove provengono i soldi con i quali si è arricchito negli ultimi anni.
- Le operazioni di Haniyeh
Lo scontento dei palestinesi e del mondo arabo in generale è in aumento. La rivista egiziana Rose al-Yusuf ha denunciato che l'ex primo ministro Ismail Haniyeh, nato nel campo profughi di Shaty, ha pagato quattro milioni di dollari per una casa di 2500 metri quadri a Rimal, un quartiere di lusso sul mare a Gaza City. Per non dare nell'occhio le operazioni sono state fatte da un'altra persona di famiglia. Un altro suo figlio, invece, è stato fermato a Rafah con una valigia contenente un milione di dollari in contanti.
- I soldi egiziani
Un altro fondatore di Hamas che non si risparmia quando si tratta del suo stile di vita è Ayman Taha. Nel 2011 è riuscito a comprare una villa di tre piani in centro a Gaza per 700mila dollari. I tunnel da Gaza a Israele e le mediazioni con il governo egiziano di Mohamed Morsi sono state decisive per guadagnare queste somme.
- La stampa araba
Ora che gli israeliani hanno dato il via ad un'operazione di terra (partita ieri per chiudere alcuni tunnel) i palestinesi sono più indignati e lanciano critiche pesanti ai leader di Hamas attraverso i media arabi. Le accuse sul benessere in cui vivono, mentre a Gaza si muore di fame, arrivano non solo dai rivali storici ma anche da antichi alleati nella resistenza: l'Arabia Saudita, l'Egitto di Al-Sisi e i Fratelli musulmani.
- La rabbia della stampa egiziana
La stampa ha fatto luce sulle condizioni in cui vive la leadership di Hamas. E così un giornalista egiziano sostenitore dei Fratelli Musulmani ha insistito che le forze armate in Egitto hanno problemi interni a cui fare fronte e non possono accogliere la loro richiesta di aiuto. La liberazione di Gerusalemme non è tra le priorità. Stessi commenti sono stati pubblicati dai principali media siriani.
- Gli alberghi di lusso in Qatar
"Uscite dal vostro albergo in Qatar e venite a combattere a Gaza", ha scritto l'editorialista egiziano Jaled Mash'al. E ha aggiunto: "Dove è lo spirito eroico? Uscite dagli alberghi a Doha dove tanto avete goduto e scendete nel campo di battaglia a lottare contro il nemico sionista che uccide i frutti dei nostri alberi… Non moriremo di fame mentre voi assaggiate le delizie dei tavoli a Doha".
- Perdità della legittimità
In un articolo intitolato "Gaza non è Hamas" pubblicato dal quotidiano Al-Gumhouriyya, l'analista Nagla Al-Sayyid spiega che Hamas sta perdendo la sua legittimità perché negozia con il sangue dei palestinesi e approfitta degli aiuti finanziari che raccoglie per promuovere interessi politici ed ideologici: "Che terribile è vedere bambini, donne e persone anziane vittime del nemico sionista che compie crimini contro l'umanità… Hamas ha danneggiato la causa palestinese e ha dimostrato essere un movimento di imbecilli e fallito".
- Strumento di odio
Sul sito Elaph.com, lo scrittore e giornalista egiziano Kamal Gabriel compara Hamas ad Hitler, dicendo che ha creato danni alla causa del popolo palestinese, ferendolo più di Israele: "È un fatto tragico quando un dittatore o una banda di delinquenti si fa carico di un popolo e lo fa diventare ostaggio e strumento. Hitler in Germania e Saddam Hussein in Irak l'hanno fatto in passato; Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza lo fanno ora. I "Fratelli distruttivi" (Fratelli Musulmani, ndr) ci sono quasi riusciti in Egitto".
(formiche.net, 19 luglio 2014)
Vivere e morire nei tunnel di Gaza. Ora Hamas li usa per attaccare
A innescare l'operazione terrestre israeliana a Gaza è stato, in definitiva, un tunnel. nella notte fra mercoledì e giovedì 13 ombre sono uscite dalle viscere della terra, all'interno di israele, a un chilometro dai cancelli del kibbutz di sufa, nel neghev occidentale. se questo commando di hamas, armato fino ai denti, avesse raggiunto le case vicine, avrebbe potuto compiere un massacro e anche portare ostaggi nella vicinissima Gaza. avrebbe cioè impresso una svolta ancora più drammatica e sorprendente al conflitto in corso.
Ma un drone israeliano, allertato da una vedetta, ha costretto i miliziani a rientrare nel tunnel da dove erano passati. in 20 secondi, con un prodigio di agilità, erano tutti di nuovo sotto terra. Cinque secondi dopo, l'imboccatura del tunnel (mezzo metro circa di diametro) è stata colpita da un razzo sganciato da un aereo. Quella dei tunnel scavati sotto ai recinti di confine, dice adesso il premier Benjamin Netanyahu, è — assieme con i lanci dei razzi — una delle minacce che hanno obbligato l'esercito israeliano a entrare a Gaza. Perché dal cielo non possono essere distrutti. Il tunnel sboccato a Sufa è lungo almeno due chilometri. La sua profondità media, si presume, è di 20 metri sotto al terreno. Al suo interno un uomo di media statura può muoversi eretto. Gli israeliani non hanno ancora potuto ispezionarlo. Un cane mandato in avanscoperta ha innescato un ordigno. Un soldato che gli era vicino è rimasto ferito.
Dove sia l'altro capo del tunnel e se ci siano diramazioni nel suo tragitto, Israele può solo immaginarlo. Un altro cunicolo scavato da Gaza era stato fatto esplodere la settimana scorsa, pochi chilometri a sud, al valico di Kerem Shalom. Lungo il confine con Israele potrebbero esserci altri dieci?venti tunnel di attacco. Per neutralizzarli, occorre entrare nella Striscia e trovarne l'inizio. Realizzare un tunnel di due chilometri costa, presumbilmente, due milioni di dollari. Ma su questo fronte Hamas non bada a spese. Per i suoi comandanti militari ha approntato sotto Gaza un labirinto di bunker e di sale di comando, dotate di aria condizionata, e di scorte di cibo, dove possono agire e resistere settimane, e forse mesi.
I tunnel di attacco sono invece più spartani. La loro realizzazione è' un progetto di almeno un anno di lavoro: lo ha dedotto l'intelligence di Israele avendo trovato abiti invernali in un tunnel scoperto d'estate. L'apertura (per non essere notata dai droni israeliani) e' sempre all'interno di una casa, o di una serra, o di un pollaio. Un posto qualsiasi che abbia un tetto e dove possano essere dissimulate le quantità di terra scavate. Il suo interno è largo un po' di mezzo metro. Le pareti sono tappezzate da lastre di cemento. Lungo il tragitto corrono i fili della corrente elettrica e delle comunicazioni. Sui muri sono tracciate con lo spray scritte in codice, che consentono a chi lo percorre di rendersi conto della propria posizione rispetto alla superficie.
La rilevazione in israele degli sbocchi dei tunnel non ha ancora trovato una soluzione tecnologica adeguata. mesi fa un cunicolo fu scoperto fortuitamente dopo piogge torrenziali.
Adesso gli abitanti della zona dicono all'esercito che non potranno dormire sogni tranquilli fintanto che l'intero confine con Gaza non sarà protetto — come in Europa si faceva già 500 anni fa — con un vallo molto profondo, pieno d'acqua.
(Quotidiano.net, 19 luglio 2014)
Per Israele, i tunnel che portano armi e nemici sono più pericolosi dei razzi
di Rolla Scolari
Tunnel a Gaza
MILANO - Il 25 giugno 2006, in un agguato di uomini armati appartenenti a Hamas a un gruppo di soldati israeliani lungo la frontiera della Striscia di Gaza, fu sequestrato il caporale Gilad Shalit. Il rapimento aprì un capitolo complicato per Israele, che si concluse cinque anni dopo, il 18 ottobre 2011, con lo scambio tra il giovane e 1.027 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Nel giorno dell'imboscata e del rapimento, il soldato Shalit fu ferito da un commando palestinese emerso da un tunnel sotterraneo. I miliziani lo rapirono e lo trascinarono nella galleria, oltre il confine. L'operazione di terra israeliana iniziata alle dieci di sera di giovedì avrebbe secondo i vertici militari un obiettivo tattico immediato: la distruzione di tunnel sotterranei utilizzati dai gruppi armati palestinesi di Gaza per infiltrarsi nel territorio israeliano da una parte e dall'altra per contrabbandare armi - ma anche far passare carburante e beni di consumo - lungo la frontiera con l'Egitto.
Scrive il Wall Street Journal che secondo fonti della sicurezza israeliana le gallerie sotterranee di Hamas e di altri movimenti armati della Striscia sarebbero per Israele una minaccia più robusta perfino delle centinaia di razzi che da giorni cadono sul sud e sul centro del paese. Proprio un ultimo episodio, avvenuto giovedì, avrebbe spinto la dirigenza di Israele a decidere di dare il via a un'operazione di terra. Tsahal ha infatti sorpreso 13 membri di un commando palestinese mentre entravano in territorio israeliano attraverso una galleria sotterranea. Gli uomini sono stati respinti nel tunnel con l'intervento dell'aviazione.
In cinque anni i militari avrebbero individuato l'esistenza di almeno cinque tunnel sotterranei che attraversano il confine tra Gaza e Israele. Nel 2013, le unità israeliane hanno scoperto una galleria sotterranea lunga quasi due chilometri, scavata 18 metri sottoterra e rafforzata con 500 tonnellate di cemento. Gili Cohen sul quotidiano israeliano Haaretz spiega che secondo l'intelligence militare il movimento islamista avrebbe addestrato unità speciali nella costruzione di queste gallerie, spesso dotate di luce elettrica e linee telefoniche, armate di cariche esplosive per provocarne il collasso in caso di emergenza, scavate a una profondità che arriva anche a 20 metri nel sottosuolo.
I vertici militari israeliani, dopo dieci giorni di raid aerei che hanno fatto circa 260 vittime nella Striscia di Gaza, hanno deciso l'incursione di terra proprio per annientare la rete di tunnel. Per farlo, spiegano gli esperti militari, è necessaria la presenza di soldati sul campo, coperti dal fuoco dell'aviazione.
La rete di gallerie scavate dai palestinesi di Gaza non rappresenta una minaccia soltanto per gli israeliani. L'esercito egiziano, allora guidato ancora dal futuro presidente Abdel Fattah al Sisi, a marzo annunciò di aver distrutto 1.370 gallerie sotteranee che attraversavano gli appena 12 chilometri di confine tra la Striscia e il Sinai egiziano. I tunnel sotto la cittadina frontaliera di Rafah rappresentano per i cittadini di Gaza un canale per ottenere carburante, prodotti alimentari e beni di ogni tipo soprattutto da quando al Cairo siedono i militari ostili a Hamas, costola della Fratellanza musulmana egiziana. La nuova leadership egiziana ha infatti ristretto quasi totalmente il passaggio attraverso il valico di confine, e in questo modo ha sigillato ancora di più il milione e mezzo di abitanti della Striscia in 360 chilometri quadrati di costa. I gruppi armati continuano però a usare le gallerie per il contrabbando di armi e per tenere vivi i contatti tra i movimenti della Striscia e i gruppi estremisti del Sinai egiziano.
(Il Foglio, 19 luglio 2014)
Memorandum relativo al conflitto in atto tra Israele e Gaza
Il Presidente della Federazione Associazioni Italia-Israele ci ha trasmesso un documento dell'«European Alliance for Israel», di cui anche la Federazione italiana fa parte, che è un appello ai ministri degli esteri europei a difesa della legittimità di una risposta militare di Israele agli attacchi terroristici di Hamas. Il documento è stato inviato al Ministro degli Esteri Federica Mogherini.
Le Associazioni di Amicizia con Israele rivolgono un appello ai loro Governi
Il 29 novembre 2012, come diretta conseguenza del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite concedeva alla Palestina lo status di osservatore di Stato non membro. Con l'eccezione della Repubblica Ceca, tutti gli Stati europei avevano votato a favore o si erano astenuti. Un argomento spesso utilizzato a sostegno della decisione delle Nazioni Unite era che con lo status di osservatore riconosciuto allo Stato, l'ONU avrebbe potuto in futuro impedire alle fazioni palestinesi, in particolare ad Hamas, di attaccare Israele.
Quasi due anni dopo, si deve constatare che la posizione assunta dai Governi europei è stata utilizzata da Hamas. Se per i Governi l'obiettivo era davvero quello di condizionare Hamas ed il nuovo Governo di unità palestinese, essi hanno chiaramente fallito, come è stato dimostrato da Hamas con le azioni degli ultimi dieci giorni. Non si può passare sopra al fatto che da quando è stato dichiarato il cessate il fuoco, nel 2012, Hamas ha potuto aumentare massicciamente il proprio arsenale missilistico sotto gli occhi della comunità internazionale, ed ora lo sta utilizzando contro la popolazione civile israeliana, con oltre 900 attacchi sino ad oggi.
I Governi dei Paesi europei hanno più volte riconosciuto il diritto di Israele all'autodifesa. Ora Israele sta esercitando questo diritto. Le Associazioni di Amicizia con Israele, firmatarie della presente nota, si attendono che i Governi dei rispettivi Paesi riconoscano la legittimità di Israele di rispondere militarmente agli attacchi terroristici in corso da parte di Hamas.
• Anglo-Israel Association
• Česká Společnost Přátel Izraele
• Cultural Friendship Association Romania-Israel
• Dansk-Israelsk Selskab
• Deutsch-Israelisch Gesellschaft (DIG)
• Društvo srpsko-jevrejskog prijateljstva
• Federazione delle Associazioni Italia-Israele
• FRANCE-ISRAEL. Alliance Général KOENIG.
• Genootschap Nederland Israel
• Gesellschaft Schweiz Israel (GSI)
• ICEJ Suomen osasto
• Ireland Israel Friendship League
• Irish 4 israel
• Les amitiées Belgo-Israélienne
• Magyar-Izraeli Baràti Tàrsasàgok és Körök Orszàgos Szövetsége
• Med Israel for fred (Norway)
• Österreichisch-Israelische Gesellschaft (ÖIG)
• Samfundet Sverige-Israel
Gli abitanti esasperati di Tel Aviv: «Sì all'attacco, liberiamoci dai razzi»
Alle sei del pomeriggio le sirene squarciano l'aria di Tel Aviv. Il sistema antimissile Iron Dome polverizza due razzi. Sono una piccola quota dei 50 lanciati da Gaza anche ieri, primo giorno dell'invasione di terra della Striscia. «Qui l'80-90 per cento dei cittadini — confida all'Ansa un noto giornalista israeliano — è d'accordo con Netanyahu, magari a malincuore. È una maggioranza silenziosa che non agita bandiere e non suona fanfare, ma è stufa di dover scendere in guerra contro Gaza ogni due o tre anni. Tutto questo deve essere fermato una volta per tutte». Dello stesso parere è un anarchico autore di programmi radio cult, che da un tavolino del bar Tamar dice: «Nessuno vuole conquistare Gaza. Vogliamo solo che la smetta con i missili e con i tunnel dai quali sbucano all'improvviso per mettere a segno gli attentati».
(Fonte: Quotidiano.net, 19 luglio 2014)
Red Alert
Per avere una pallida idea di quello che significa vivere sotto i razzi
Esiste già da un paio d'anni una App per iPhone e iPad, Red Alert, che avverte ogni volta che da Gaza viene sparato un razzo su Israele. L'abbiamo provata. Alla fine è snervante sentir suonare ogni pochi minuti una sirena d'allarme, ma non sarebbe male che diversi provassero quest'emozione e magari facessero sentire anche ad altri il suono ripetuto di quel lugubre avviso. Qualche pensiero potrebbe cambiare.
(Notizie su Israele, 19 luglio 2014)
Lettera aperta da Tel Aviv
Articolo segnalato da Chicca Scarabello
di Giulia Pula Machtey*
Salve, il mio nome è Giulia e abito a Tel Aviv. Ci abito adesso, perché io non sono nata qui. Io sono di Rimini, la bella Rimini, in Romagna.
E' semplicemete capitato che sia venuta a vivere in questo paese, non l'avrei mai detto. Io mi sono solo innamorata di un timido ragazzo incontrato per caso sui banchi di scuola all'università, un ebreo e un israeliano. Sono ormai due anni che mi sono trasferita e sento di dover condividere in questo delicato momento il mio bollettino. Io qui non ci sono nata, e non sono nemmeno ebrea. Ho guardato un po' stupita , come spettatrice, questo mondo in cui mi trovo. E ho imparato. Ho imparato che gli israeliani sono un popolo forte. Più forte di quello che avrei potuto immaginare. E allora voglio spiegare un po' il perché. Tra una telefonata e un facetime a casa, nell'ultima settimana, mi sono ritrovata a dover correre alla disperata ricerca di un rifugio per me ed il mio piccolo bimbo di tre mesi, stretto stretto fra le mie braccia. E in questo momento e proprio da qui che sto scrivendo, dal bunker di cemento che hanno costruito dentro il mio appartamentino.
Mi ero svegliata non da molto (si sa, con un bambino così piccolo le notti sono ancora lunghe). Ero sul terrazzo, sulla mia sedia a dondolo rossa comprata in uno dei nostri afosi venerdì di luglio, in un piccolo mercatino arabo. Il mio bimbo mi stava regalando uno dei suoi primi sorrisi del mattino, quando improvvisamente sento una sirena