Forse ritrovato il sigillo di Sansone da una spedizione archeologica in Israele
Beit Shemesh
Un sigillo vecchio di oltre tremila anni, scoperto di recente in una zona collinosa fra Gerusalemme e Tel Aviv, fa rivivere in questi giorni in Israele il mito di Sansone, anche se questo non vi viene citato. Secondo quanto hanno riferito il prof. Shlomo Benyaminovic e il dottor Zvi Laderman dell'Università di Tel Aviv, il sigillo - di un centimetro e mezzo - mostra una figura umana impegnata in una lotta ravvicinata con un quadrupede: forse un felino, a giudicare dalla forma sinuosa della coda. A un capo del sigillo era stato praticato un foro, probabilmente per appenderlo al collo. Tra le varie prodezze attribuite a Sansone dalla Bibbia c'è appunto il suo successo nel sopraffare a mani nude un leone in cui si era imbattuto nelle foreste a Ovest di Gerusalemme. Le possibili connessioni con il mito di Sansone sono molteplici, hanno spiegato i due studiosi. Innanzitutto la località del ritrovamento è vicina a Beit Shemesh, un posto geograficamente contiguo con la zona dove Sansone risiedeva secondo la Bibbia. Il nome Sansone potrebbe inoltre essere derivato dall'ebraico Shemesh, ossia Sole: da qui un altro possibile legame con Beit Shemesh. Infine, hanno rilevato i due studiosi, il sigillo sembra essere stato forgiato nell'XI secolo a.C.: all'epoca cioè dei Giudici di Israele, uno dei quali era Sansone.
Secondo una ricerca israeliana anche le piante vedono, sentono e annusano
TEL AVIV, 31 lug. - Una ricerca dell'Universita' di Tel Aviv in Israele ha rivelato l'importanza delle connessioni tra le piante e la biologia umana. Lo studio delle somiglianze rivela le basi biologiche di alcuni comportamenti umani e dell'insorgere di malattie come il cancro. E' la tesi di Daniel Chamovitz, direttore del Tau's Manna Center for Plant Biosciences e autore del libro "What a Plant Knows". "Proprio come gli esseri umani - ha spiegato Chamovitz - anche le piante posseggono i 'sensi', come vista, olfatto, tatto e gusto". "Inoltre - ha continuato - condividiamo gran parte del nostro patrimonio genetico con le piante, una condivisione che dovrebbe indurre gli studiosi a riconsiderare le basi biologiche che avvicinano la natura agli esseri umani. Un esempio? Le piante costituiscono un modello eccellente per gli esperimenti a livello cellulare. E per la sicurezza alimentare.
L'analisi delle risposte genetiche delle piante all'ambiente e', infatti, fondamentale per garantire l'approvvigionamento di cibo sufficiente per la popolazione mondiale in crescita. Le piante offrono prospettive interessanti anche per comprendere processi che recentemente sono tornati alla ribalta come l'importanza della luce e del ritmo circadiano che influenzano il nostro sistema immunitario".
Il doppio - o quasi - della popolazione israeliana. Quasi quanti sono quelli della sola Tokyo. In cifre: 13.580.000. Sono gli ebrei presenti sul pianeta Terra (nell'anno 2010). Li ha contati il professore Sergio Della Pergola per conto della Jewish People Policy Institute. I suoi dati sono finiti sulle pagine del settimanale britannico The Economist.
I numeri, dicevamo. Sono in aumento, rispetto al 1970. E anche rispetto al 1948, anno della fondazione dello Stato d'Israele. Meno, però, degli oltre 16 milioni del 1939. Prima dell'Olocausto, insomma. L'81% degli ebrei del mondo vive tra Israele (5,7 milioni) e Stati Uniti d'America (5,3 milioni). Il resto si divide tra Francia (483 mila), Regno Unito (292 mila), Russia (205 mila), Argentina (182 mila) e Germania (119 mila). In Italia siamo sotto quota 30 mila (28.400 per la precisione). «Vittima», questa cifra, anche di quei centinaia di giovani (e non solo) italo-israeliani che decidono di lasciare il nostro Paese per lo Stato ebraico. (l.b.)
Il giornale free-press compie cinque anni, rivali nei guai
Il giornale filo-governativo 'rovina il mercato'
TEL AVIV, 31 lug - A cinque anni esatti dal suo ingresso sul mercato, il free-press filo-governativo Israel ha-Yom è ormai il giornale più letto in Israele, mentre i suoi rivali diretti (Yediot Ahronot, Maariv e Haaretz) sono costretti a tagliare severamente i costi di produzione per restare a galla. "Israel ha-Yom sta distruggendo la stampa israeliana, sia dal punto di vista professionale con le sue scelte vergognose, sia dal punto di vista economico. Rovina il mercato offrendo la pubblicazione di annunci a costi irrisori, gli altri giornali non possono competere", ha detto al quotidiano economico Globes un dirigente di Yediot Ahronot, che si vede adesso costretto a licenziare decine di giornalisti. Distribuito gratuitamente in centinaia di migliaia di copie, Israel ha-Yom è finanziato totalmente dal controverso uomo d'affari statunitense ed ultra-conservatore Sheldon Adelson (un amico personale del premier Benyamin Netanyahu), che ieri ha organizzato a Gerusalemme un incontro fra il candidato repubblicano alle presidenziali Mitt Romney e decine di facoltosi finanziatori americani della sua campagna elettorale. Secondo una recente indagine di mercato, Israel ha-Yom viene letto dal 38,7 per cento di chi sfoglia un quotidiano in Israele, seguito da Yediot Ahronot (37,6), Maariv (11,9) e Haaretz (7). Nell'edizione del week-end, tuttavia, Yediot Ahronot mantiene ancora il primato (43,4), seguito da Israel ha-Yom (31,3), Maariv (22) e Haaretz (7,9). La durissima concorrenza economica (che fra l'altro ha costretto Yediot Ahronot a distribuire pure copie gratuite per non perdere inserzioni) si riflette anche nei contenuti dei giornali. Ieri Yediot Ahronot ha duramente criticato la vicinanza dei rapporti fra Netanyahu, Adelson e Romney. Oggi Israel ha-Yom repica accusando su una pagina intera un noto editorialista del giornale rivale di essersi macchiato di "superbia sinistrorsa" e di aver fatto ricorso ad argomenti "degni dei Protocolli dei Savi di Sion".
L'evento principale si terrà negli Stati Uniti domani sera, quando 92 mila persone si raduneranno nel New Jersey's MetLife Stadium, normalmente teatro delle grandi partite di football delle compagini newyorkesi. Ma le celebrazioni sono già cominciate e proseguiranno tra stasera e domani a Londra, Tel Aviv, Gerusalemme e nel resto del mondo. L'occasione è di quelle importanti: si festeggia il termine del Daf Yomi, il programma di studio che prevede di affrontare l'approfondimento di una pagina del Talmud babilonese ogni giorno. L'idea è nata nel 1923, quando al primo congresso dell'organizzazione religiosa Agudat Israel in Polonia, il rabbino Meir Shapiro propose di adottare questo particolare approccio per incoraggiare il grande pubblico a dedicare quotidianamente del tempo allo studio della Torah e creare un denominatore comune tra studenti di ogni provenienza. Un ciclo dura circa sette anni e mezzo (per 2711 pagine): da allora la Siyum HaShas (festa per aver completato lo studio di un intero testo biblico, affine a una cerimonia di laurea) è stata celebrata 12 volte.
Dopo quasi un secolo infatti, il Daf Yomi rappresenta un successo senza pari. Nel concentrarsi su quello che è il suo punto d'arrivo, non si deve perdere di vista il valore principale del programma: l'idea di portare decine di migliaia di uomini e donne in tutto il mondo con diversi background e diversi livelli di osservanza, a studiare la medesima porzione di testo nel medesimo giorno. Forse uno degli esempi di studio collettivo più potenti di questa epoca. Con dei risvolti pratici non indifferenti: il viaggiatore potrà trovare una lezione e dei compagni di studio partendo da New York e arrivando a Parigi, lasciando Israele per raggiungere Londra, e così via.
Uno stadio è stato scelto anche per la Siyum HaShas che si è tenuta ieri sera a Tel Aviv: il Nokia Arena, capacità 11 mila persone. Una festa che per gli haredim ashkenaziti è stata anche l'occasione di ritrovarsi dopo la scomparsa di rav Yosef Shalom Elyashiv. Le celebrazioni proseguiranno nei prossimi giorni a Gerusalemme, dove già si sono riuniti anche i sefarditi che hanno come punto di riferimento il movimento dello Shas guidato dal rabbino Ovadia Yosef: al Teddy Stadium sono confluti in oltre 25 mila.
Già esauriti da due settimane i biglietti per il MetLife. "Per chi come la gente della mia comunità non va mai allo stadio o al circo, vedere così tante persone a un evento per celebrare la Yiddishkeit (tradizione e cultura ebraica ndr) è davvero commovente" ha spiegato al quotidiano Haaretz Alexander Rapaport, hassid di Borough Park che ricorda bene la sua prima Siyum HaShas a Madison Square Garden, poco prima del Bar Mitzvah, in compagnia di suo padre, anno 1990. Quest'anno parteciperà insieme ai suoi sette fratelli e alle loro spose. Secondo le stime degli organizzatori, allo stadio del New Jersey domani le donne saranno circa il 20 per cento degli spettatori. Tra loro ci sarà Michelle Huttler Silver, Modern Orhodox e fotografa professionista: "Sapere che è possibile riempire non soltanto uno stadio, ma decine di luoghi in tutto il mondo per festeggiare lo studio del Talmud è davvero meraviglioso. È questo a rendere speciale l'evento".
"Quell'etichetta è un insulto". E i marocchini emettono una fatwa sui datteri israeliani
Negozio di datteri in Marocco
«Un insulto». Di più. «Una provocazione bella e buona». Una cosa così grave da meritare una «fatwa». Ecco, han dovuto scomodare pure un religioso - tal sceicco Ahmed al-Raysouni, giureconsulto islamico di Gedda (Arabia Saudita) - per porre un divieto religioso contro quel che associazioni e movimenti islamici hanno bollato come un subdolo tentativo degli ebrei di corrompere uomini e mezzi del Paese arabo.
Più che il pomo della discordia, qui a far arrabbiare sono i datteri. Siamo in Marocco. È iniziato da poco il Ramadan, il periodo di digiuno per i musulmani di tutto il mondo. Come da tradizione l'assenza di cibo per tutto il giorno s'interrompe proprio con i datteri. Solo che il mercato marocchino non ha retto e la domanda ha superato l'offerta. Così, oltre ai prezzi, a schizzare in alto è stata anche l'esportazione da altri Paesi. Arabi, soprattutto. Ma anche da Israele. Terra di latte e miele, ma anche di datteri (e agrumi, e verdure, ecc).
Un mercato fiorente che fa gola anche in Cisgiordania
di Alessandra Cristofari
Anche la Cisgiordania vuole avere il suo polo tecnologico: lo racconta Murad Tahboud, amministratore delegato di Asal.
IL FUTURO - "Ramallah, la città della Cisgiordania, è sede amministrativa dell'azienda che vuole diventare un hub per il settore tecnologico" racconta Tahboud. L'azienda ha 120 dipendenti e segna un punto importante per il piccolo ma promettente mercato tecnologico palestinese: "Questo è il momento giusto per avere una crescita". "Questo settore non ha confini, tutto quello che serve è elettricità e una linea telefonica".
L'INVESTIMENTO - Negli ultimi mesi sono stati eseguiti investimenti strategici in favore delle aziende palestinesi: l'economia palestinese è cresciuto da -1% fino a 5%. I palestinesi si stanno facendo largo nel settore hi-tech anche se un rapporto della Banca Mondiale ritiene il paese ancora troppo dipendente dagli aiuti esterni.
LE RISORSE - Esperti e imprenditori dicono che il punto forte dei palestinesi è la mentalità imprenditoriale dei giovani palestinesi ma si deve superare l'idea che il mondo ha del paese: un'area dilaniata dai conflitti dove le persone vanno a lavorare a bordo dei cammelli. Non c'è carenza di potenziali dipendenti, anzi ogni anno ci sono circa 2 mila laureati palestinesi in materia tecnologica: un terzo sono donne ma solo il 30 % trova lavoro nell'industria del posto.
Gli 'indignati' programmano una manifestazione per sabato
GERUSALEMME, 30 lug - Al termine di un dibattito durato 10 ore, il governo israeliano ha approvato - con 20 voti a favore e nove contrari - un piano di austerita'. ''Si tratta di una mossa responsabile concepita per garantire la stabilita' di Israele e i posti di lavoro dei cittadini'' ha detto il premier Benyamin Netanyahu, aggiungendo che ''le classi deboli e medie resteranno con piu' soldi in tasca''. Il movimento degli indignati ha subito indetto per sabato una manifestazione di protesta.
Ci sono tanti modi per iniziare una favola. Pape Moussa Konaté, 19 anni appena compiuti, ha deciso di farlo a suon di goal. E ha scelto un sipario niente male: i Giochi Olimpici di Londra. Dopo due giorni di gare è suo infatti il nome in testa al tabellino dei marcatori della competizione a cinque cerchi: tre reti, di cui una nell'incontro d'esordio pareggiato in extremis dal Senegal contro i padroni di casa dell'Inghilterra e altri due ieri sera che hanno permesso ai nuovi leoni d'Africa di sopravanzare in scioltezza l'Uruguay dei vari Tabarez e Cavani. E così a Tel Aviv gongolano. Sì, perché nel nuovo Maccabi in salsa blaugrana che sta prendendo forma in queste settimane con Yordi Cruyff dietro la scrivania e Oscar Garcia in panchina Konatè sarà - calciomercato e folli offerte estive permettendo - uno dei grandi protagonisti.
Il merito di averlo portato in Ligat ha'al va riconosciuto al precedente staff tecnico che sul bomber di Dakar aveva deciso di investire la scorsa estate prelevandolo dai semisconosciuti Toure Kunda de Mbour. Decisamente positivi i suoi primi dodici mesi israeliani con 29 presenze e cinque reti - alcune di pregevole fattura - all'attivo. Resta comunque il fatto che all'appuntamento olimpico Pape c'è arrivato da Signor Nessuno (o quasi) e adesso invece 'rischia' clamorosamente di uscirne da pezzo pregiato nel mirino dei migliori osservatori e club d'Europa. Soprattutto se il Senegal riuscirà ad andare avanti nel percorso olimpico - il passaggio ai quarti di finale è quasi assicurato - e se il suo centravanti ancora tutto da scoprire riuscirà nuovamente a gonfiare la rete.
Esplosività fisica, resistenza e gran corsa, Konatè eccelle anche per capacità tecniche e visione di gioco. Chiedere per informazioni a Sebastien Coates (Liverpool) e Alexis Rolin (Nacional di Montevideo, ma nel mirino di Juve e Lazio), i suoi opponenti uruguagi, che ha fatto letteralmente ammattire dal primo all'ultimo minuto. La standing ovation tributatagli ieri sera dal pubblico del Wembley Stadium certifica probabilmente l'inizio di una nuova e ambiziosa fase della sua carriera.
Se partirà da Israele o altrove saranno tante circostanze a stabilirlo. Una cosa è però senz'altro sicura: a Tel Aviv, dove lo hanno blindato con un contratto quinquennale che scadrà nel 2016, non hanno alcuna intenzione di fare sconti. Chi vuole Konatè dovrà presentarsi con intenzioni (e assegni) molto seri.
Uno dei più grandi tesori d'oro mai scoperti in Israele è stato trovato la scorsa settimana durante uno scavo archeologico nei pressi di Herzliya, in Israele. Il tesoro, più di 100 pezzi d'oro e del peso di circa 400 grammi (circa una libbra), è stimato valere oltre 100.000 dollari. Si tratta di monete che erano nascoste in un vaso di ceramica nel National Appollonia Park, dove una volta prosperava la prima città crociata di Apollonia-Arsuf. Lo scavo si sta svolgendo sotto gli auspici congiunti della Tel Aviv University e la Nature and Parks Authority.
- Un tesoro di famiglia?
In dettaglio sono 108 monete d'oro, di cui 93 del peso di 4 grammi ciascuna, e 15 di circa 1 grammo. L'oro non era nuovo e poteva far parte del tesoro di una famiglia o poteva anche essere una riserva di denaro accumulata per un investimento. Le monete furono coniate in Egitto circa 250 anni prima della loro sepoltura sotto le mattonelle del pavimento della fortezza del XIII secolo, oggetto di uno scavo di grande impegno che ha avuto inizio oltre 30 anni fa.
E' stato rinvenuto inoltre un grande deposito di punte di e altre armi, tra cui le classiche pietre utilizzate come proiettili nelle catapulte. Gli archeologi hanno costatato che una feroce battaglia aveva avuto luogo nel momento in cui i Mamelucchi avevano conquistato l'area dei crociati.
La fortezza dei crociati era stata scoperta nel sito qualche tempo fa, insieme ai resti di una città portuale risalente al tempo dei Fenici. Gli archeologi hanno anche trovato i resti di una villa romana, un mercato all'aperto del primo periodo islamico ben conservato e un'enorme complicato cancello.
Ortigia - La rinascita della Giudecca, il rione ebraico rivive nel segno della cultura
Ortigia - Rione della Giudecca
SIRACUSA, 30 luglio 2012 - Il rione degli ebrei rivive nel segno dell'arte e della cultura. E da quartiere dimenticato diviene luogo di attrazione e turismo. Accade alla Giudecca: dedalico rione nel cuore di Ortigia che, secondo le fonti non ufficiali, è divenuto sede del popolo ebreo a partire dal 1431 quando fu loro concesso di occupare un intero quartiere. Il suo nome rievoca, appunto, un luogo ebraico, abitato da dotti e benestanti.
Con l'Editto di Costantino, molti fuggirono, altri si convertirono rimanendo nella città aretusea, ma nei secoli a seguire il rione si spopolò di questa comunità e fu abitato da siracusani.
Negli ultimi decenni, però, questo tesoro urbanistico è stato caratterizzato da un notevole decadimento culturale e, di conseguenza, sociale che lo ha reso poco ospitale. Al degrado degli anni passati, però, subentra oggi un nuovo impulso di vita grazie ad associazioni, a giovani imprenditori, ad appassionati di Ortigia che hanno ridato lustro all'intero quartiere. Oggi la Giudecca è rifiorita, nutrita dalla voglia dei siracusani di darle nuova vita. Sono sorti negozi, botteghe, market, laboratori artistici, pub, uffici. Ma il rione è anche una delle location più amate per ospitare iniziative culturali. Ultima , ma non ultima, la splendida kermesse
dell'Ortigia Film Festival,
che da quattro anni porta in scena una rassegna cinematografica di opere prime e seconde, proiettandole all'aperto e gratuitamente, terminata lo scorso 24 luglio.
Ed è così che la Giudecca si riempie di gente, siracusani, turisti, che ammirano il tramonto riflesso nella pietra dorata che caratterizza questo rione, o lo percorrono cercando di scorgere ogni minimo caratteristico angolo. Affascinati dai ricami lapidei sui balconi o dagli scorci mozzafiato delle sue viuzze.
All'indolenza della politica è subentrata l'iniziativa dei singoli e, soprattutto, l'amore di siracusani e non per questo pezzo di Ortigia. Ciò che manca è adesso l'impegno affinché gli sforzi non restino vani. Si auspica che il rione possa essere gestito da una zona a traffico limitato che rispetti le esigenze di residenti, commercianti e turisti. E che l'amministrazione si dedichi alla sua rinascita così come ha fatto per gli altri salotti di Ortigia.
Il mondo ebraico commemora la distruzione del Tempio di Gerusalemme
di Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma
Oggi il mondo ebraico commemora la distruzione del Tempio di Gerusalemme con un giorno di digiuno e preghiera . Un evento avvenuto esattamente 1944 anni fa. E' un giorno di lutto così intenso che come spesso accade dentro le nostre Comunità ed in Israele è sentito e ricordato anche da ebrei NON osservanti.
Le radio cosi come le televisioni trasmettono programmi mesti e musiche tristi. Gli esercizi pubblici, spiagge comprese , sono chiusi. Un po' come avviene nel giorno sacro del Kippur. A testimonianza di una elaborazione del lutto per quel tragico evento, che non si è mai spento in due millenni.
Si narra che Napoleone, camminando per le vie di Parigi e sentendo le lamentazioni che provenivano dalla Sinagoghe della capitale francese, chiese ai suoi consiglieri cosa fosse successo di così tragico. Quando gli raccontarono che gli ebrei stavano digiunando e piangendo per la distruzione del Tempio di Gerusalemme, dichiarò pubblicamente la sua stima e apprezzamento per un popolo che dimostrava fedeltà alla sue tradizioni e alla Terra d'Israele. Vicenda questo che lo condizionò nei suoi progetti imperialistici nel rispetto del popolo ebraico.
Come poter quindi immaginare un distacco per lutti avvenuti a soli 100, 70, 50, 40 anni di distanza. Noi ebrei sappiamo dover convivere con coloro che ci odiano. Ancora peggio con coloro che ci vogliono sterminare. Così recitiamo al sera del Seder di Pesach (cena Pasquale), "Vei Sheamda ", "in ogni generazione vi è chi vuole sterminarci .". Noi ebrei abbiamo il dovere di ricordare l'Amalek che in ogni generazione si ripresenta in forme in diverse. Per questo non deve sorprendere che si voglia tenacemente ricordare in questi giorni la strage degli 11 atleti di Monaco del 1972. Questa non vuole essere una forma per "rovinare la festa dello sport" che Londra quest'anno accoglie nella sua splendida città, bensì la sua esaltazione. Ricordare l'Olimpiade di Monaco "profanata" significa proprio gridare al mondo intero che noi ebrei a quello spirito Olimpico di amore fra i Popoli vogliamo continuare a crederci. Possiamo farlo solo ricordando il sacrificio di 11 atleti israeliani morti non solo per l'odio del mondo arabo, ma per errori incredibili commessi da una nazione, la Germania, che nel 72 aveva alle spalle solo 27 anni dalla fine della Shoàh e che non avrebbe dovuto lasciare oggi sola Israele in questa battaglia di Memoria, aderendo e facendosi interprete della richiesta di un semplice minuto di silenzio durante la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici.
Oggi da italiano invece mi sento orgoglioso del mio Paese, che invece è stato l'unico ad aver trovato sponda da parte del Comitato Olimpico Italiano, nella qualità del suo presidente Petrucci che invece quel minuto lo ha proposto e fatto grazie alla tenacia del presidente della Federazione del Maccabi Italia. Sono orgoglioso di sapere che un nostro atleta, Bronzo a Monaco 72, Pietro Mennea, ha scritto al presidente del Cio per ricordare gli atleti israeliani per poi indignarsi di fronte alla pavida risposta che non si poteva fare per paura della boicottaggio delle delegazione arabe.
Orgoglioso ancora di più del fatto che il mio Paese, l'Italia, abbia accolto la proposta di 151 parlamentari (con primo firmatario la nostra coraggiosa Fiamma Nirenstein), di fare un minuto di silenzio alla Camera dei deputati con un memorabile intervento del suo presidente, Gianfranco Fini.
Mentre lo sport umilia se stesso con un clamoroso rifiuto del presidente del Cio a ricordo della strage, è lo sport stesso che dimostra che possono aprirsi speranze. La notizia che abbiamo appreso dalle agenzie di stampa, dove il delegato libico a Londra ha testualmente dichiarato che loro non sono gli eredi di Gheddafi e quindi se si fosse fosse fatto un minuto di silenzio loro avrebbero aderito nel rispetto degli atleti israeliani, apre il cuore alla speranza . Una goccia nel mare, non vi è dubbio, ma è pur sempre una goccia che rende meno amare queste olimpiadi, che comunque vadano, rimarranno come le Olimpiadi della Vergogna.
Londra: il tricolore vicino alla bandiera di Israele
LONDRA - Il tricolore a fianco della bandiera di Israele. Nel giorno in cui la delegazione azzurra ai Giochi osserva un minuto di silenzio per ricordare le vittime di Monaco '72, qualcuno al Villaggio Olimpico ha messo una bandiera dell'Italia accanto a quella israeliana. Il gemellaggio e' visibile ai piedi di una delle palazzine degli atleti olimpici. Le due bandiere si trovano lungo il tragitto che collegano l'ingresso del Parco olimpico con gli stadi sportivi e le strutture per i media.
Boualem Sansal è uno scrittore arabo nato in Algeria, che scrive in francese e non odia Israele. Questo fa - ancora - notizia, come dimostra la vicenda del «Prix du Roman Arabe» che gli è stato conferito e poi ritirato.
- Che cosa è successo, signor Boualem? «La giuria del premio, presieduta da Hélène Carrère d'Encausse dell'Académie francese, quest'anno ha scelto il mio romanzo Rue Darwin. Gli ambasciatori dei Paesi arabi erano d'accordo. Poi ho osato fare un viaggio in Israele, ed è successa la fine del mondo».
- Come mai è andato in Israele? «Ho partecipato al Festival internazionale della letteratura di Gerusalemme, è stato un viaggio bellissimo, emozionante. Ho incontrato il mio amico David Grossman, ho visitato il Muro del Pianto. Ma i Paesi arabi non hanno gradito. Hamas ha espresso una dura condanna del mio comportamento, ho ricevuto minacce di morte, e gli ambasciatori arabi hanno deciso di revocare il premio».
- Che le è stato conferito lo stesso. «I giurati hanno comunque organizzato una cerimonia di consegna nei locali del mio editore, Gallimard. Mancavano ancora i 15 mila euro previsti dallo statuto del Prix du Roman Arabe, ma a sorpresa si è fatto avanti un nuovo mecenate».
- Lei lo conosce? «No, per niente, è un mio lettore svizzero che vuole mantenere l'anonimato. Si è detto scandalizzato da quel che è successo e ha deciso di versare lui i 15 mila euro al posto dei Paesi arabi. Io ho devoluto la somma a un'associazione di medici palestinesi, israeliani e francesi che lavorano insieme per curare i bambini palestinesi».
- La storia finisce qui? «Per niente, mancano ancora le scuse, e i soldi, degli ambasciatori. E ridicolo, ricevo continuamente messaggi di sostegno, tutti parlano della vicenda e gli unici a restare in silenzio, un silenzio pieno di disprezzo e allo stesso tempo di imbarazzo, sono gli ambasciatori. Un collettivo di scrittori sta lanciando un appello per chiedere le loro scuse e convincerli a dare i 15 mila euro, che andranno alla solita associazione».
- Pochi giorni fa a Bruxelles anche i ministri degli Esteri francese Laurent Fabius e israeliano Avigdor Lieberman hanno parlato del suo caso. «Credo che quel che mi sta capitando sia importante perché dimostra, purtroppo, che non molto è cambiato nella mentalità del mondo arabo».
- Le primavere arabe hanno acceso la speranza, nelle piazze i soliti slogan contro Occidente, Israele e America non si sono sentiti. Possiamo dire che la società araba, di cui lei è espressione, anche in questo è migliore dei suoi governanti? «Mi dispiace deluderla, non ne sono sicuro. È ancora troppo presto, ci vorranno decenni per recuperare. Nel mio Paese, l'Algeria, dal 5 luglio 1962 (il giorno dell'indipendenza dalla Francia, ndr) in poi, ha agito una propaganda fenomenale, quotidiana. Ogni santo giorno, in ogni luogo, a scuola, nei giornali, in tv, alla moschea, da 50 anni viene ripetuta la litania delle critiche all'ex potenza coloniale, all'America, ai sionisti. Fa parte della base ideologica del Paese. È come un pianeta che non riesce a sottrarsi all'attrazione del sole. Se provi a esprimere un'idea diversa, a casa è tuo fratello che ti accusa, al lavoro saranno i tuoi colleghi a denunciarti, per strada verrai aggredito dai passanti.
Con le primavere arabe non è cambiato nulla. La rabbia e gli slogan sono stati diretti contro Gheddafi, Mubarak, Ben Ali e non contro l'Occidente, ma solo per una questione di priorità. Il vecchio sistema di propaganda è già tornato all'opera. Guardi le reazioni al mio viaggio a Gerusalemme...».
- A parte il governo algerino, che la censura da anni, a parte Hamas e gli ambasciatori arabi, che cosa le hanno detto i suoi famigliari, gli amici? «C'è una minoranza che la pensa come me, e cioè che siamo stufi di odio e di accuse reciproche, vogliamo la pace. Ma anche nel mio ambiente in tanti mi hanno criticato: non dovevo andare in Israele, oppure sì ma visitando prima la Palestina, oppure sì ma denunciando le azioni del governo israeliano. Non è il mio ruolo: sono uno scrittore, un intellettuale, e voglio essere libero di accettare tutti gli inviti, anche dei miei amici israeliani».
- Lei insiste molto sull'opera della propaganda. Come mai ne è rimasto immune? «Perché ho 63 anni e appartengono a una generazione particolare. In tanti della mia età sono sfuggiti al lavaggio del cervello, perché siamo nati quando ancora l'Algeria era francese e la potenza coloniale aveva deciso di concedere una serie di diritti. Mio padre analfabeta aveva solo la cultura araba, i giovani di oggi lo stesso; noi invece siamo il prodotto di una doppia cultura, araba e francese. Abbiamo studiato all'estero, parlato con tante persone, siamo capaci di sfumature. Dopo l'indipendenza in Algeria, e credo in gran parte del mondo arabo, la scuola ha funzionato come un centro di indottrinamento contro l'Occidente, la donna, la modernità, gli ebrei».
- L'antisemitismo è ancora forte? «Da sempre, e continua. La Shoah non esiste, non se ne parla: un discorso come quello del presidente Hollande al Vel d'Hiv (il velodromo dove gli ebrei francesi furono rinchiusi in vista della deportazione, ndr) da noi è inconcepibile. Capita che un algerino veda qualcosa su una tv straniera, e chieda informazioni all'imam della moschea. Nella maggior parte dei casi, si sentirà rispondere due cose: "Hitler avrebbe dovuto ucciderli tutti", oppure " l'Olocausto è una panzana inventata dal sionismo per invadere la Palestina". Non se ne esce».
- Dopo il viaggio a Gerusalemme lei ha ricevuto molte minacce. Ha paura? «Sì, anche se è una paura che non mi paralizza. Il regime algerino non mi colpirà mai in patria, ma potrebbe organizzare qualcosa all'estero. Poi, mi fanno paura gli islamisti moderati. Gli integralisti islamici ormai sono stati sconfitti, ma i moderati, pur non ricorrendo al terrorismo, tengono discorsi non molto diversi. Mi additano come un traditore, e in giro è pieno di poveracci che potrebbero pensare di guadagnarsi il paradiso "uccidendo il traditore"».
- Pensa di impegnarsi in politica? «No, mai, non è il mio mestiere. In ottobre con Grossman organizzeremo a Strasburgo una grande conferenza internazionale di scrittori per la pace. È tutto quel che posso fare».
L'Italia ricorda con Israele le vittime di Monaco '72
Petrucci: "Era un segnale doveroso, si e' parlato di pace e fratellanza"
LONDRA - Un minuto di silenzio in ricordo delle vittime israeliane a Monaco '72. L'impegno italiano e' stato mantenuto questa mattina al villaggio olimpico subito dopo la Messa domenicale officiata da Monsignor Mario Lusek, Cappellanno della squadra da Pechino 2008, negli spazi della missione italiana. La delegazione, formata dal ministro dello sport e turismo Piero Gnudi, dal presidente del Coni Gianni Petrucci, dal segretario generale del Coni e capo missione alle Olimpiadi Raffaele Pagnozzi, dal membro italiano del Cio Franco Carraro e dal vice presidente della Regione Lazio Luciano Ciocchetti si e' recata nella zona di Israele dove ad attenderli c'erano il presidente del comitato olimpico israeliano Zvivarshaviak e il capo delegazione Efraim Zinger per uno scambio solidale e per 1' di silenzio in onore delle vittime di 40 anni fa. "Oggi si e' parlato di pace e fratellanza, era un segnale doveroso ma non obbligatorio che fa parte dello spirito olimpico per ricordare quello che doveva essere e non e' stato" ha detto Petrucci.
GERUSALEMME, 29 lug. - Il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Mitt Romney, reduce dalla visita in Gran Bretagna, e' in Israele per la seconda tappa del suo tour all'estero, che si concludera' in Polonia. In mattinata, Romney ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, mentre nel corso della giornata sono in programma colloqui con il presidente Shimon Peres, membri dell'opposizione israeliana e con il premier palestinese Salam Fayyad. In giornata e' atteso anche un discorso di Romney sui temi di politica estera.
Tempo estivo, tempo rilassato. O almeno così si spera. Nulla di particolarmente rilevante da segnalare nello spoglio domenicale della stampa. Come spesso capita in queste circostanze ci si può allora dedicare con maggiore attenzione agli articoli di commento o a quelli di taglio letterario. Così è nel caso di Marco Belpoliti che sulla Stampa affronta il "continente Primo Levi" riflettendo sulle alterne fortune di un autore diventato, per molti aspetti suo malgrado, personaggio di fama internazionale. Sulla sua «impossibilità di essere anacronistico», e sui benefici, ma anche sui dolori, che gli sono derivati dall'essere divenuto il testimone del Novecento per eccellenza, si è già interrogata una parte del mondo letterario ed intellettuale. Belpoliti ci ritorna riflettendo su un libro che indaga sul rapporto tra Levi e il giornalismo, essendo stato per oltre dieci anni, tra il 1975 e il 1987, una prestigiosa firma del quotidiano torinese. Ne emerge il ritratto di un uomo mite ma al contempo moralmente severo, ispirato da una solida etica quotidiana, trasfusa nei giudizi che formulava sui fatti della contemporaneità. Condivideva tale indole con altri torinesi come Massimo Mila, Alessandro Galante Garrone e, per estensione, un po' tutta la schiatta azionista. A ciò si accompagnava una sottile ironia, intersecata ad una curiosità culturale pressoché illimitata e al bisogno di compiere scorribande intellettuali in campi anche distanti dalla sua professione di chimico e dai suoi esercizi di autore. La cifra intima della sua scrittura, molto spesso ancorata ad un netto realismo e a un duro oggettivismo, quasi cronachistico, era fondata sull'attrazione per la enigmaticità sottesa all'animo umano. Da questo punto di vista si può senz'altro dire che la fortuna delle sue opere maggiori è fortemente legata a questa impronta. Levi ha sempre accolto in sé lo sguardo indagatore di colui che osserva, anche nelle condizioni più improbabili, l'agire dei suoi simili non per giudicarlo bensì per comprenderne l'essenza. Per questo modo di essere cortese antropologo della modernità la sua lezione rimane inesaurita.
Per venire ad argomenti più cronachisti (ed avvilenti) da registrare il gesto degli atleti libanesi di judo che, trovandosi a dovere condividere per gli allenamenti la medesima palestra con i loro colleghi israeliani, hanno posto come condizione per proseguire nelle loro attività di avvalersi un separè che isoli gli uni dagli altri. Il «muro» è stato prontamente eretto dai funzionari del Cio, così come ci raccontano Stefano Semeraro su la Stampa e Maurizio Crosetti per la Repubblica.
Di segno esattamente opposto, invece, la decisione della nostra nazionale olimpica di incontrare quella israeliana, come resoconta la Gazzetta del Mezzogiorno, rispettando in tal modo quel minuto di silenzio in memoria delle vittime del 1972 che gli organizzatori di questa edizione delle Olimpiadi non hanno invece voluto riconoscere. Il Medio Oriente continua a riservarci la lunga agonia della Siria di Assad. Questa volta, dopo i massacri invernali di Homs e gli scontri a Damasco, conclusisi a favore delle truppe governative, è la volta di Aleppo, dove sta consumandosi una nuova mattanza.
Al riguardo se ne trova notizia per le firme di Lorenzo Cremonesi su il Corriere della Sera, di Gian Micalessin che scrive un informato articolo per il Giornale, di Luke Harding su la Repubblica, di Umberto De Giovannangeli su l'Unità e di Alberto Negri per il Sole 24 Ore. Peraltro le vicende siriane non possono essere disgiunte da un ragionamento di quadro sugli assetti geopolitici della regione.
Così Michele Giorgio, per il Manifesto, su quanto avviene in Arabia Saudita, tra la maggioranza sunnita e la minoranza sciita, tenendo in considerazione che il paese, insieme alla Turchia, ed auspici la Russia e la Cina, sta tirando le file dei movimenti di opposizione agli alauiti.
Un rassegnato articolo è quello di Giandrea Gaiani su Libero, dove l'autore offre il resoconto del ritiro prossimo venturo delle truppe italiane (e degli altri contingenti europei ed americano) dall'Afghanistan. La contabilità, economica e umana, in questo caso dà il segno non solo dei costi elevatissimi che si sono dovuti sostenere per una impresa di «Peace making and keeping» che è parsa, in più di un'occasione, non avere baricentro, ma anche del dilemma che questo genere di operazioni militari crea, irrisolte come sono tra lo stabilire e il mantenere sine die un onerosissimo controllo diretto dei territori e la necessità di traslarlo alle truppe locali. Queste ultime, specchio della debolezza politica e delle compromissioni del potere centrale, sono gli unici interlocutori esistenti, ma sulla capacità di resistere una volta che il ritiro della missione militare alleata dovesse essere completato, le incertezze sono molte.
Il silenzio delle chiese cristiane, Vaticano compreso
di Giulio Meotti
Wanda Poltawska
Qualche anno fa, ho avuto una lunga intervista con Wanda Poltawska, sopravvissuta polacca alla Shoah, sottoposta dai nazisti come cavia per esperimenti medici: i suoi muscoli furono infettati con batteri, le furono tagliati i nervi, le fratturarono le ossa e subì trapianti ossei.
Poltawska mi ha lasciato un ricordo sconvolgente che ancora mi ossessiona: "Nel campo di concentramento di Ravensbruck ho visto neonati ebrei gettati nel crematori".
L'inferno di Wanda è tornato in vita ancora una volta la settimana scorsa, quando un attentatore suicida ha ucciso cinque israeliani a Burgas, in Bulgaria. Una delle vittime era incinta. Poco prima che lei salisse a bordo del volo per Burgas, Kochava Shriki aveva detto alla sorella che era la prima volta che rimaneva incinta nella sua vita.
"La tua morte lascia un grande vuoto in noi", ha detto la sorella al funerale. "Mi ricordo che mi avevi chiamato per dirmi del bambino che stavi portando in grembo. Eri così felice". Shriki è l'ultima di un'orribile lunga lista di donne israeliane in gravidanza massacrate dai terroristi islamici.
La nuova mostrificatione degli ebrei inizia allo stadio del feto. Una fatwa emessa dal guru della Fratellanza Musulmana, Yusuf al-Qaradawi, autorizza l'uccisione di bambini ebrei non ancora nati, sulla logica che, una volta adulti, potrebbero far parte dell'esercito israeliano. Il Rabbino Mordechai Elon aveva individuato su una sezione del cimitero del Monte Herzl a Gerusalemme, l'area di sepoltura per le vittime non ancora nate (opposta rispetto alla sezione dei grandi leaders della nazione). Eyal e Yael Shorek sono sepolti qui; Yael era incinta di nove mesi quando fu uccisa in Giudea di fronte a casa sua. Accanto a loro riposano Gadi e Tzippi Shemesh, uccisi nel centro di Gerusalemme dopo aver appena fatto l'ecografia dei loro gemelli nascituri.
A Gaza, una squadra terrorista aveva fatto fuoco contro l'auto di Tali Hatuel, uccidendola. Poi sono state assassinate le sue quattro figlie, ognuna con un colpo a bruciapelo alla testa. E'stata un' esecuzione in stile nazista. Tali era incinta. L'elenco potrebbe continuare. Avital Wolanski era incinta di sei mesi, Rivka Holzberg lo era di cinque, e anche Tehiya Bloomberg era al quinto mese di gravidanza. Tra le 15 persone uccise a Marrakesh lo scorso anno, c'era Michal Wizman, che era incinta di nove mesi.
E che dire dei sopravvissuti al pogrom di Itamar, i giovani Vogel, Tamar di 12 anni, Ro'ie di otto e Shai di due ? Dov'è l'indignazione del mondo? Perché il Vaticano, le Nazioni Unite, le chiese più importanti, l'UNICEF, i media tacciono sull'uccisione di un'altra madre ebrea incinta in Bulgaria? Questi bambini ebrei non ancora nati sono come i 44 bambini dell'orfanotrofio francese conosciuto come "La Maison d'Izieu", che Klaus Barbie della Gestapo spedì ad Auschwitz. E non è un'eresia affermare che queste madri israeliane sono come le madri ebree che hanno cercato di proteggere i loro figli durante la Shoah. Ci sono storie di madri che agirono da eroine spinte dall'istinto di salvare i loro figli, spesso facendo loro da scudo con il proprio corpo. Nessuno potrà mai conoscere i nomi di queste donne. Ci sono anche storie di bambine che confortavano le madri all'ingresso delle camere a gas. Nessuno saprà mai i loro nomi.
Durante i suoi ultimi giorni a Treblinka, un sergente delle SS si alzò dal tavolo e disse alle due donne ebree che avevano appena cucinato per lui, "bene, ragazze, ora è il vostro turno". Una di loro, Tchechia, gli sputò addosso, dicendo "Uccidici, dai, fammi solo un favore: non chiederci di spogliarci". Dato che l'altra donna cadde in ginocchio, singhiozzando, Tchechia le disse, "Alzati, non dargli soddisfazione, ricordati che sei un'Ebrea".
Dal momento che la Shoah sta per essere consegnata all' "ultimo secolo" per la morte naturale degli ultimi sopravvissuti, la Storia diventerà racconto, il racconto un sogno e dal sogno verrà l' amnesia, per questo oggi il mondo deve essere in lutto con la famiglia di Shriki. Altrimenti il ritorno dell' anti-semitismo di Auschwitz è certo. Una pioggia acida sta scendendo, ancora una volta, su di noi.
E come la storia ci ha insegnato, comincia con gli ebrei, ma non finisce con loro.
((Informazione Corretta, 28 luglio 2012 - trad. dall'inglese Yehudit Weisz)
Tisha BeAv 5772 - Tisha BeAv è celebrato quest'anno (2012) il 29 luglio.
Il digiuno è da sabato 28 luglio ore 20.35 a domenica 29 luglio ore 21.35.
Il 9 del mese di Av nel calendario ebraico cade la giornata di lutto Tisha BeAv. E' uno dei maggiori digiuni del giudaismo dopo quello di Yom Kippur. Non è un giorno di espiazione come Yom Kippur ma un giorno di lutto. Alcuni hanno detto che Tisha BeAv era il giorno più triste della storia ebraica.
Il 9 di Av dell'anno - 586 dell'era cristiana, Nabucodonosor II marcia su Gerusalemme e distrugge la città e il primo Tempio, cacciando parte del popolo ebraico in Babilonia.
Il 9 di Av, 656 anni più tardi, Tito distrugge il secondo Tempio, brucia Gerusalemme e caccia gli ebrei fuori dalla Palestina.
Il 9 Av è per questa ragione considerata l'inizio dei due esili.
Il digiuno dura 25 ore dal tramonto del sole all'apparizione delle prime tre stelle il giorno successivo.
Come a Yom Kippur, si osserva un digiuno completo (no cibo e no bibite).
La deputata della Knesset Zoabi sulla stessa lunghezza d'onda di Teheran
di Helen Keller-Lind
La democrazia israeliana qualche volta è sorprendente. A proposito del bombardamento di Burgas e delle sue sei vittime, di cui cinque israeliane, una deputata araba israeliana con un passato di particolare odio contro Israele, ha quasi le stesse intenzioni dell'ambasciatore dell'Iran alle Nazioni Unite o del Ministero degli Esteri iraniano.
- Il patologico odio anti-israeliano della signora Zoabi
Anche se ha studiato all'Università di Haifa e all'Università Ebraica di Gerusalemme, Haneen Zoabi, membro del partito arabo israeliano Balad - che vuole l'autonomia per i cittadini arabi israeliani all'interno di Israele e il ritorno dei "rifugiati" - e deputato della Knesset, è un concentrato di odio anti-israeliano. Più di una volta ha colpito la cronaca con il suo comportamento. Gli esempi più recenti sono la sua partecipazione, a bordo della "Marmara", ad una sedicente "flottiglia" umanitaria, in realtà una grande campagna anti-israeliana, o la recente scoperta di foto della deputata israeliana, di solito con una faccia burbera, che è tutta sorrisi con i membri di Hamas. O ancora la prefazione scritta recentemente a un libro di uno scrittore considerato anti-semita, in cui definisce Israele razzista, un termine che a lei piace molto. Anche nel corso di una conferenza stampa a Parig,i qualche mese fa, aveva accusato Israele di razzismo, e non sapendo cosa rispondere a chi le obiettatava che aveva potuto fare lunghi studi in Israele prima di diventare una parlamentare, ha sputato fuori tutto il suo odio patologico.
Oggi la signora Zoabi si mostra recidiva quando dichiara, sul Canale 2 della catena israeliana, che responsabile dell'attentato di Burgas è la politica israeliana.
E ha anche preso posizione contro la richiesta fatta da molte personalità nel mondo perché ci sia un minuto di silenzio in memoria degli atleti israeliani uccisi ai Giochi Olimpici di Berlino.
- Le stesse intenzioni degli iraniani
Quanto all'assassinio di Burgas, si può notare, senza sorpresa, che ha idee dello stesso tipo di quelle dell'Iran. Infatti l'ambasciatore iraniano negli Stati Uniti, Mohammad Khazayee, respingendo ogni responsabilità del suo paese - mentre invece Israele sostiene di avere prove concrete che sono state comunicate alle pertinenti agenzie di informazione - ha dichiarato: "Una tale operazione terroristica non può che essere stata progettata ed eseguita dal regime la cui breve storia è piena di terrorismo di stato, con operazioni e omicidi che mirano a coinvolgere altri per ottenere piccoli vantaggi politici".
Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehman-Parast, ha detto che "il regime sionista è diventato maestro nell'arte del terrorismo di Stato e del terrorismo organizzato, ed ha sulle mani il sangue dei libanesi e dei palestinesi innocenti, tra le altre nazionalità." E ha ricordato l'assassinio di scienziati iraniani che lavorano nel nucleare .
Ricordiamo, a questo proposito, l'impiccagione di un giovane iraniano, Majid Jamali fashi, accusato di uno di questi omicidi per conto del Mossad. Senza che nulla sia venuto fuori dal suo processo,
(Des Infos.com, 27 luglio 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Una clamorosa azione di protesta, dopo giorni di polemiche infuocate: la squadra israeliana ha sfilato nella cerimonia di apertura delle Olimpiadi con un fazzoletto nero nei taschini delle giacche degli atleti in segno di lutto per gli undici connazionali uccisi a Monaco nel 1972 in un attacco terroristico. La decisione è stata presa dopo che per settimane il Comitato olimpico internazionale aveva respinto la richiesta dei familiari delle vittime di ricordarle con un minuto di silenzio durante la cerimonia. Intanto il ministro dello sport Limor Livnat aveva annunciato prima del via un'altra protesta, in piedi al momento del discorso di Rogge nella notte londinese: quando il presidente del Cio ha parlato, le telecamere della regia non l'hanno inquadrata. La richiesta del minuto di silenzio era stata presentata al presidente del Cio Jacques Rogge accompagnata da una petizione che aveva raccolto oltre centomila firme e l'appoggio dei leader di altri Paesi, tra i quali il presidente americano Barack Obama. Anche stamane, nell'ultima conferenza stampa prima dei Giochi, Rogge aveva mantenuto la sua posizione, sottolineando che le vittime di Monaco 72 "sono state già commemorate e continueranno ad essere commemorate" e annunciando che sarebbe stato egli stesso presente a una cerimonia organizzata dall'ambasciata israeliana a Londra per il 6 agosto. Lunedì, inoltre, il presidente del Cio aveva osservato un personale minuto di silenzio in ricordo degli atleti e tecnici israeliani uccisi durante una visita al Villaggio Olimpico. Questi gesti riparatori non sono bastati per placare gli animi, con le vedove di due delle vittime giunte questa settimana a Londra per sostenere la loro causa. Nel pomeriggio, a Trafalgar Square, 400 persone avevano partecipato a una manifestazione organizzata dalla British Israel Coalition, un raggruppamento di varie associazioni filo-israeliane, per cercare di convincere in extremis il Cio a fare osservare il minuto di silenzio nello stadio olimpico. La protesta della squadra israeliana è arrivata al termine di una giornata che ha visto altri momenti di tensione. Fonti della nazionale di judo dello Stato ebraico hanno affermato che i responsabili della palestra dove i loro atleti si stavano allenando hanno eretto una barriera per separarli da colleghi libanesi su richiesta di questi ultimi. Gli addetti all'impianto hanno risposto di avere frapposto tra le due squadre un paravento, di quelli che si usano quando le squadre temono di essere spiati durante gli allenamenti
La nuova Silicon Valley? In Israele. La storia di Emanuela
di Giulia Cimpanelli
Emanuela Donetti
Perché in Italia un giovane con una buona idea d'impresa non riesce a concretizzarla per assenza di finanziatori fiduciosi mentre in Israele il sistema delle start-up è diventato un caposaldo dell'economia? Perché Tel Aviv trasforma in aziende le idee virtuose e a Milano o Roma questo accade una volta su mille? E perché un gruppo di trentacinquenni con un'idea vincente deve spostarsi fino là per dare futuro al proprio business?
Il dato sconcertante è che Israele in pochi anni ha superato di sette volte la Silicon Valley per numero di start-up avviate con successo. E l'evidenza concreta della potenza del settore in Israele è testimoniata dalla storia di una start-up italiana che prevede un futuro a Tel Aviv per decollare.
Emanuela Donetti si definisce un'imprenditrice seriale: ha 39 anni e vive grazie alle sue start-up, la prima, Urbano creativo, è italianissima e esiste da qualche anno. Il nuovo progetto invece è molto più impegnativo: Emanuela e altre tre persone hanno creato MobiREV, una app per smartphone che permetterà di acquistare biglietti per tutti i generi di trasporto, dal treno, all'aereo, ai bus, al bike sharing, in tutto il mondo.
"In questo caso si tratta di un progetto molto più complesso per cui servono finanziamenti e competenze tecniche": per questo Emanuela ha deciso che Israele sarebbe stata la carta vincente e, dopo aver registrato la start-up in Italia per ricevere dei miseri finanziamenti regionali, ora è pronta a trasferirla a Tel Aviv.
"Ho coinvolto nella società un mio amico israeliano che è anche tecnico informatico e a dicembre partirò per Israele con una missione imprenditoriale della Camera di commercio di Milano per trovare contatti, finanziatori e un incubatore a cui appoggiarci".
Ma quali sono i reali vantaggi che Israele offre alle start-up? "Primo: l'ambiente è molto strutturato, è un settore economico reale e non è mosso dalle mode del momento. Secondo: i finanziamenti sono presenti perché gli imprenditori danno fiducia alle idee valide. Terzo, la burocrazia è molto più snella: non ci sono tipi differenti di imprese come in Italia. Un'azienda viene registrata come azienda, punto. Il mio socio israeliano è rimasto sbalordito quando è venuto dal notaio in Italia per registrare la società. Quarto, la mentalità è realistica: non pensano mai che in un mese il progetto sarà realizzato, sono concreti".
Ma quello che manca all'Italia è la consapevolezza che saranno proprio le start-up a fare il futuro del Paese: "Le idee sono tantissime, è impressionante realizzare quanto stia aumentando la propositività, quello che manca è la fiducia e il sostegno economico iniziale".
Lo dimostrano i dati dell'Acceleratore d'impresa del Politecnico di Milano: il numero di proposte mandato dagli studenti è quintuplicato, da 20 a 100 in un solo anno. Negli ultimi tre anni l'Acceleratore ha analizzato circa 600 idee di servizi o prodotti ma sono stati affiancati solo 80 progetti imprenditoriali.
Perché? "Quello che mancano sono i soldi, i finanziatori", commenta Matteo Bogana, coordinatore dell'Acceleratore.Un cane che si morde la coda, a quanto pare: non ci sono finanziamenti e le migliori idee si propongono all'estero. Come farà l'Italia a progredire e sviluppare un economia di start-up se queste possono nascere solo oltre frontiera?
Non si tratta di una bike qualunque, visto che è interamente realizzata di cartone riciclato. Il suo inventore, l'imprenditore ed ex militare israeliano Izhar Gafni, è riuscito ad architettare un sistema che ha reso scarti di imballaggi e scatoloni usati in grado di sostenere pesi fino a 140 chili e, soprattutto, a mutare aspetto tanto da sembrare plastica leggera e resistente incolume all'acqua e all'umidità. Quando tutti gli dicevano che era un'illusione da squattrinati ecologisti.
"Amo davvero molto le due ruote - racconta Gafni, originario del kibbutz Bror Hayil nel Negev, il deserto a sud di Israele - e quando ho lavorato negli Stati Uniti ho cercato se, in California, ci fosse qualcuno che avesse sviluppato un prototipo di cartone. Con mia sorpresa ho scoperto solo concept basati sul bamboo. Tuttavia, quando ho iniziato a chiedere ad alcuni ingegneri se fosse possibile produrre una bici del genere, sono stato spesso liquidato con un perentorio 'impossibile'. Un giorno mi sono ritrovato a seguire un documentario in tv sulla produzione del primo jumbo jet nel quale un ingegnere raccontava che tutti, all'epoca, gli dicevano che ciò a cui puntava era impossibile: quella storia mi ha nuovamente motivato e spinto a sperimentare diversi materiali applicati al cartone per renderlo resistente e durevole".
Non è stato facile far crescere i muscoli al cartone: i primi prototipi, pur solidi, erano davvero troppo voluminosi e ingombranti, "sembravano pacchi con le ruote ed è stato molto complicato spiegare agli investitori quale fosse la mia visione finale della bici", ironizza Gafni dal suo laboratorio cosparso di schizzi, bozzetti e ritagli marroni. Effettivamente a guardare le immagini paiono dei giganteschi e sproporzionati giocattoli per bambini. Alla fine, però, modello dopo modello, quello che gli esperti consideravano fuori dalla portata dell'imprenditore israeliano è diventato realtà: la prima bici completamente rispettosa dell'ambiente, dal primo taglio all'ultima pedalata, "così economica che non conviene rubarla". E anche l'estetica, con quel tocco magrittiano, ha fatto passi da gigante trasformandola in un richiestissimo oggetto-culto in mezzo mondo prim'ancora che venga distribuita. Non è un caso che Gafni insista sul tema dei furti: a Tel Aviv e in molte città israeliane veder sparire la propria due ruote è un fatto molto diffuso e irritante. Con la bici low-cost, anche questa piaga sembra superata.
Schermaglia Anp-Israele sulla Strage di Monaco 1972
TEL AVIV, 27 lug - A poche ore dall'apertura delle Olimpiadi, l'Anp e Israele hanno ingaggiato una polemica in seguito al rifiuto del Comitato olimpico internazionale (Cio) di osservare stasera un minuto di silenzio in commemorazione degli 11 atleti olimpici israeliani assassinati a Monaco nel 1972 da un commando di fedayn palestinesi.
A nome dell'Anp, Jibril Rajoub - presidente dell'Associazione calcistica palestinese - ha inviato una lettera di compiacimento al presidente del Cio Jacques Rogge. Secondo l'agenzia di stampa ufficiale Wafa, Rajoub ha scritto: ''Lo sport deve fungere da ponte per favorire l'amore, i legami e l'amicizia fra i popoli, e non deve essere utilizzato come fattore di separazione e di disseminazione di razzismo fra i popoli''.
Immediata la reazione del viceministro degli Esteri israeliano, Dany Ayalon, che si chiede come possa essere definita ''razzista'' la richiesta israeliana di ricordare all'apertura delle Olimpiadi i propri atleti uccisi. ''Proprio la loro uccisione in quanto israeliani e' razzista'' esclama il diplomatico, secondo cui i mezzi di comunicazione dell'Anp esaltano talvolta gli esecutori della strage di Monaco.
Anche Israele verso l'austerity: tagli a ministeri e aumento dell'Iva
GERUSALEMME, 27 lug - La crisi dei debiti sovrani investe anche lo Stato d'Israele: secondo i media locali il primo ministro Benjamin Netanyahu si appresta a varare un pacchetto di misure di austerita' volto a compensare l'aumento del deficit di bilancio del Paese, salito del 4 per cento in relazione al Pil rispetto alle previsioni del 2012.
Dopo aver introdotto in settimana diverse tasse sul tabacco e il consumo di bevande alcoliche, Tel Aviv e' pronta ad alzare l'aliquota fiscale dal 16 al 17 per cento e ad introdurre di un aumento del 2 per cento di contribuzione per le famiglie con un reddito annuale di almeno 199.300 euro.
La scure, scrive la stampa israeliana, si abbattera' anche sui bilanci di tutti i ministeri, salvo i dicasteri della Difesa, dell'Istruzione e del Welfare.
Londra 2012 - Il minuto di silenzio per ricordare Monaco '72 accende la polemica
di Pierfrancesco Demilito
Un tempo le Olimpiadi fermavano le guerre, ma nel 1972 furono guerra, odio e morte a invadere il villaggio olimpico. Durante i giochi di Monaco, infatti, un commando di terroristi dell'organizzazione palestinese Settembre Nero fece irruzione negli alloggi israeliani del villaggio, uccidendo subito due atleti che avevano tentato di opporre resistenza e prendendo in ostaggio altri nove membri della squadra olimpica di Israele. Alla fine un tentativo di liberazione compiuto dalla polizia tedesca portò alla morte di tutti gli atleti sequestrati, di cinque fedayn e di un poliziotto tedesco.
Ankie Spitzer e Ilana Romano mostrano la loro petizione respinta dal Cio
LA RICHIESTA DELLE VEDOVE - Oggi, quarant'anni dopo, quella tragedia torna d'attualità, in particolare dopo la richiesta di Ankie Spitzer e Ilana Romano, vedove di due vittime israeliane di quella strage, di tenere un minuto di silenzio in occasione della cerimonia inaugurale dei giochi olimpici di Londra. Una richiesta respinta dal Cio. Il comitato olimpico, infatti, ricorderà l'assassinio degli atleti israeliani in una cerimonia che si terrà il prossimo 6 agosto alla Guildhall - il parlamento municipale della City londinese. Ma nessun momento di ricordo si terrà all'interno degli stadi o durante la cerimonia di questa sera.
IL RIFIUTO DEL CIO - Il rifiuto ottenuto da Jacques Rogge, presidente del Cio, non ha scoraggiato le due donne che durante una recente conferenza stampa hanno invitato gli spettatori ad "alzarsi in piedi, senza fare rumore" per commemorare il massacro. "Rogge saprà - ha proseguito Ankie Spitzer - che non stanno in piedi per lui ma capirà che sono in piedi per onorare gli atleti assassinati. I nostri mariti sono morti sulla scena internazionale e dovrebbero essere ricordati di fronte a milioni di persone venute a guardare i Giochi, non in un angolo buio". Per Rogge, però, "la cerimonia di apertura non è l'ideale per una commemorazione di questo tipo" e su questa posizione è stato inamovibile. E' difficile pensare che sulla decisione non abbia pesato anche il timore di reazioni da parte delle delegazioni arabe e di quella iraniana. Nel 1972, infatti, durante i giochi di Monaco l'Unione Sovietica e gli Stati Arabi, ad esclusione della Giordania, non osservarono la disposizione di mettere le bandiere a mezz'asta.
LE APERTURE DEL MONDO ARABO - Paradossalmente, però, qualche apertura è arrivata proprio dal mondo arabo. Milad Agila, team leader della legazione libica, ha dichiarato nei giorni scorsi: "L'Olimpiade è la festa dei popoli e della pace. Quindi noi del comitato olimpico della Libia siamo assolutamente favorevoli all'idea di fare un minuto di silenzio durante la cerimonia di apertura per ricordare le vittime israeliane di Monaco". Dichiarazioni più distese rispetto alle scorse Olimpiadi sono giunte anche da Teheran. Pur non facendo nessun riferimento al minuto di silenzio, il capo della missione iraniana a Londra, Bahram Afsharzadeh, ha spiegato che gli atleti del suo paese gareggeranno senza problemi anche contro gli israeliani. Spesso, infatti, sia durante i giochi di Atene che di Pechino, gli atleti dell'Iran avevano abbandonato la competizione pur di non gareggiare contro gli atleti d' Israele.
Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente americano, Barack Obama, che ha partecipato alla raccolta firme che chiedeva il minuto di silenzio durante la cerimonia inaugurale, ma da Rogge è arrivata una risposta ferma e secca: "prestiamo attenzione alle raccomandazioni della politica, ma non dobbiamo seguirle alla lettera".
BEIRUT - Miliziani del movimento sciita libanese Hezbollah, alleato dell'Iran, sono presenti in Siria e sostengono l'esercito fedele al presidente Assad impegnato da mesi nella repressione della rivolta armata. Lo affermano fonti ben informate citate dal quotidiano di Beirut an Nahar. Secondo le fonti un numero non precisato di membri dell'unita' 910 del Consiglio combattente di Hezbollah sono presenti nella regione di Homs, in quella di Zabadani a ovest di Damasco per contrastare i ribelli.
Cambiata la foto negativa d'Israele sul sito BBC Sport
Solo dopo vivaci proteste, la BBC ha accettato di modificare la foto che aveva posto a corredo del "profilo" di Israele nel suo sito speciale dedicato alle Olimpiadi di Londra 2012. Mercoledì infatti la BBC ha sostituito l'immagine che ritraeva un aspro scontro verbale fra un agente di polizia israeliano e un manifestante palestinese con l'immagine di un edificio caratteristico dell'architettura Bauhaus a Tel Aviv (patrimonio Unesco dell'umanità).
La scelta della foto originaria era apparsa particolarmente stridente a confronto con le idilliache immagini turistiche che erano state scelte per le pagine dedicate a tutti gli altri paesi del Medio Oriente: la sfinge di Giza per l'Egitto, le rosee colonne di Petra per la Giordania, un gruppo di bambini sorridenti per la Siria, una bella moschea per l'Iran, un negoziante per la Libia, una pista da corsa per il Bahrain.
La sostituzione della foto viene considerata a Gerusalemme "una piccola vittoria".
Rimane invece la bizzarra indicazione di Gerusalemme come "sede del governo" di Israele, e non "capitale", con la postilla: "ma la maggior parte delle ambasciate straniere ha sede a Tel Aviv", per cui Israele rimane l'unico senza capitale di tutti i 205 paesi rappresentanti sul sito di BBC Sport. Prima delle proteste, il sito non indicava nessuna "capitale" né "sede governativa" per Israele, mentre indicava "Gerusalemme est" come "capitale della Palestina".
Doppia capitale per Israele: la videoprotesta contro la Bbc
Sul sito dedicato alle olimpiadi l'emittente scrive che la sede del governo di Israele ''è Gerusalemme, anche se la maggior parte delle ambasciate si trova a Tel Aviv''. Due capitali, insomma, non una, segnate entrambe anche sulla cartina del Paese. Secondo gli atleti si tratta di una provocazione, con l'obiettivo di defraudare Gerusalemme del titolo di capitale e mettere in difficoltà il governo israeliano. "Non vogliamo che la politica entri nei giochi" ha detto il manager del team, che nel frattempo però ha deciso di non lasciare correre e di rispondere alla BBC con un video (caricato su YouTube da una tv israeliana) in cui tutti gli atleti dichiarano "di rappresentare orgogliosamente lo stato d'Israele e la sua capitale, Gerusalemme".
Veterinari israeliani in visita formativa alla Asl 9 di Grosseto
L'incontro si è svolto nei giorni scorsi presso i presidi territoriali della Prevenzione e in alcune aziende agricole a di acquacoltura.
di Lina Senserini
GROSSETO - Il Dipartimento di Prevenzione della Asl 9 coinvolto in un progetto internazionale nell'ambito della Sicurezza alimentare. Nei giorni scorsi, una delegazione di veterinari e funzionari del Governo Israeliano, condotta dal Direttore dei Servizi veterinari del Paese - in Italia per un progetto europeo di collaborazione tra il Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria, della Sicurezza Alimentare e degli organi Collegiali per la Tutela della Salute (del Ministero della Salute italiano) e i Servizi veterinari dello Stato di Israele (inquadrati nel Ministero dell'Agricoltura e Sviluppo rurale) - ha visitato le strutture della Asl 9, alcune aziende zootecniche e di acquacoltura della provincia di Grosseto, accompagnata dal direttore del Dipartimento di Prevenzione, Paolo Madrucci, e da alcuni tecnici della Asl 9.
Obiettivo della visita, che rientra nei progetti di partnership tra Europa e Israele per gli scambi commerciali in campo alimentare, è studiare i modelli di controllo e ispezione per la sicurezza alimentare e la sanità animale, effettuati dal servizio pubblico italiano, con particolare attenzione ai sistemi informativi e di tracciabilità degli alimenti, nonché all'organizzazione dei Servizi veterinari centrali e periferici. Modelli che vengono confrontati con quelli israeliani, ai fini di una integrazione dei sistemi stessi di verifica, nell'ambito degli scambi commerciali tra i due Paesi.
Il Ministero della Salute, che ha organizzato la visita della delegazione israeliana, ha indicato la Asl 9 di Grosseto come modello di organizzazione territoriale per la prevenzione e per la sicurezza alimentare, anche in virtù di un sistema unificato che consente il controllo capillare sia della sanità animale che della trasformazione e commercializzazione dei prodotti alimentari, di origine animale e vegetale.
Tra l'altro, il Dipartimento di Prevenzione della Asl 9, i cui Settori sono certificati ISO 9001/2000, ha fatto registrare la "best practice" regionale nella valutazione del Laboratorio Mes per il 2011, tra i vari indicatori, anche per "l'efficacia ed l'efficienza nella sicurezza alimentare e nutrizione".
Un'ebrea israeliana ripercorre il sentiero che la salvò, colta da malore
Ancora bambina aveva passato a piedi il confine con l'Italia insieme a migliaia di sopravvissuti diretti in Palestina.
Ebrei sul sentiero dei Tauri
E' stata una delle poche superstiti del gruppo di bambini ebrei che per sfuggire ai campi di sterminio nazisti, percorse partendo dall'Austria l'impegnativo sentiero chiamato la Via dei Tauri, nell'estate del 1947.
65 anni dopo ha voluto ripercorrere lo stesso camminamento, ma è stata colta da malore. Protagonista una donna israeliana oggi 78enne, sfuggita ai campi di concentramento nazisti assieme ad altri cinquemila ebrei grazie al passaggio "segreto" del passo del Tauri (2.634 metri di altitudine).
Nel corso dell'escursione lungo il difficile sentiero d'alta montagna, la donna dopo dodici ore di marcia non ha avuto più le forze per proseguire e quindi tornare a valle. Nel corso di una ricognizione la pattuglia del Soccorso Alpino ha notato un gruppo di persone e, una volta avvicinatasi, ha riscontrato la presenza della signora che ormai non era più in grado di continuare il cammino.
La donna è stata accompagnata dai finanzieri passo-passo fino a fondovalle. E' stato lungo il cammino che la signora ha confidato il motivo della sua azzardata escursione. Ha raccontato di essere una delle poche superstiti del gruppo di bambini ebrei che nel 1947, per sfuggire alle persecuzioni razziali ancora in atto e raggiungere la Palestina attraverso i porti di Trieste e Genova, ha percorso partendo dall'Austria l'impegnativo 'sentiero 14-Via dei Tauri'.
L'antisemitismo non appartiene solo al passato. Anzi, sembra conoscere un preoccupante revival. Lo testimonia il caso della Spagna. Dove risulta che l'"Observatorio de Antisemitismo" ha registrato nell'ultimo anno il 50% in più delle denunce riguardanti atti di violenza verbale e fisica nei confronti degli appartenenti alla comunità ebraica. Da parte non solo di comuni cittadini, ma anche dei media. Sotto accusa soprattutto alcune espressioni spregiative radicate nel linguaggio comune, usate anche da anchormen e noti giornalisti (v. la parola "giudiata" che sta a indicare "un'azione malvagia propria degli ebrei"). Modi di dire duramente condannati a tal punto che è stato chiesto più volte alla Real Academia Spagnola di eliminarle dal dizionario. Una dura realtà confermata dal proliferare di siti web e gruppi nelle reti sociali apertamente antisemiti e negazionisti.
Dal 2014 i piloti militari israeliani, che per decenni hanno imparato a fare la guerra su vecchi aerei americani, useranno i nuovi M-346 italiani prodotti da Alenia Aermacchi.
S
Aermacchi M-346
L'azienda aeronautica del gruppo Finmenccanica ha appena firmato con il ministero della Difesa israeliano un contratto da 850 milioni di euro per la fornitura di trenta velivoli da addestramento. "Una eccezionale vittoria del sistema paese Italia", per l'amministratore delegato Giuseppe Giordo. "Siamo fieri di essere protagonisti e partecipi di questo notevole successo".
Pecunia non olet, tanto meno per i mercanti di guerra. Per loro gli affari sono affari, soprattutto in tempi di crisi. Poco importa che il cliente sia una forza militare che si è macchiata dei peggiori crimini di guerra, commettendo stragi di civili in maniera così sistematica da spingere decine di piloti israeliani a fare pubblica obiezione di coscienza.
"Fieri" di collaborare con chi nel 2006 bombardava a tappeto i quartieri residenziali di Beirut e i villaggi del sud del Libano (ricordate la strage di bambini nel villaggio di Cana?). "Fieri" di fare affari con chi nel 2009 a Gaza sganciava bombe al fosforo sulla scuola dell'Onu stipata profughi. "Fieri" che i piloti che si preparano a bombardare l'Iran si addestrino su velivoli italiani.
(E-online, 26 luglio 2012)
A questo articolo è stata aggiunta nel sito una risposta, che riportiamo qui come esempio di quella stupidità che alimenta "l'antisemitismo che non muore mai":
«Ci manca una parolina di soddisfazione di Napolitano per questa iniziativa che va in direzione della "coesione" con l'unica democrazia del medio oriente e la "condivisione" di valori, soprattutto per i giovani, con l'esercito più etico del mondo. Israele infatti è l'unico paese al mondo in cui l'addestramento è veramente tale perché fatto "in corpo vivo". Le armi si testano sui palestinesi. Sui nostri aerei, orgoglio del Made in Italy, verranno formati dei giovani etici piloti, che si addestreranno a bombardare l'Iran facendo raid assassini sulla striscia di Gaza.
Viva l'Italia, viva Napolitano! Viva il Made in Italy!» Come volevasi dimostrare. M.C.
Londra2012: appello delle vedove degli atleti di israele per un silenzio spontaneo
LONDRA, 25 lug. - "Rogge sapra' che non stanno in piedi per lui ma capira' che sono in piedi per onorare gli atleti assassinati" ha spiegato Ankie Spitzer, vedova dell'allenatore di scherma israeliano Andre Spitzer, durante una conferenza stampa a Londra. Il gesto del presidente del comitato di tenere un minuto di silenzio durante la visita al villaggio degli atleti lunedi' scorso e' stato respinto dalle vedove, che vogliono un gesto ufficiale. "I nostri mariti sono morti sulla scena internazionale e dovrebbero essere ricordati di fronte a milioni di persone venute a guardare i Giochi, non in un angolo buio", ha sottolineato la Spitzer, accompagnata da Ilaria Romano, vedova del sollevatore di pesi Yossef Romano. Le vedove hanno raccolto 105mila firme a sostegno della loro campagna, compresa quella del presidente Usa Barack Obama: e' dal 1976 che chiedono di osservare un minuto di silenzio per commemorare il rapimento e l'assassinio degli atleti della squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Per Rogge, la costosa cerimonia di inaugurazione da 27 milioni di sterline con cui si apriranno i Giochi e' "un'atmosfera che non si adatta a ricordare un cosi' tragico incidente", ma le donne accusano gli organizzatori di temere la reazione dei Paesi arabi che partecipano alla competizione sportiva. (AGI) Rmo
Monaco '72, ricordo della strage. Cerimonia davanti alla Sinagoga di Roma
ROMA - Alle 21 di giovedì 26 luglio, in largo Sefano Gaj Taché , la Comunità ebraica di Roma invita tutti i cittadini all'incontro pubblico per ricordare le 11 vittime israeliane: Moshe Weinberg, Jossef Romano, Zee'v Friedman, David Berger, Yakov Springer, Eliezer Halfin, Jossef Gutfreund, Kehat Shorr, Mark Slavin, Andre Spitzer, Amitzur Shapira
Un minuto di raccoglimento e di preghiera. Così la Comunità Ebraica di Roma, l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Federazione Italiana Maccabi, in concomitanza con l'apertura dei Giochi Olimpici di Londra 2012, vogliono ricordare, 40 anni dopo, la strage degli 11 atleti israeliani sequestrati ed uccisi alle Olimpiadi di Monaco '72 dal commando terrorista palestinese di 'Settembre Nero'.
Alle 21 di giovedì 26 luglio, in Largo Sefano Gaj Taché davanti all'ingresso della Sinagoga Maggiore di Roma, si terrà così la cerimonia commemorativa dedicata a Moshe Weinberg, Jossef Romano, Zee'v Friedman, David Berger, Yakov Springer, Eliezer Halfin, Jossef Gutfreund, Kehat Shorr, Mark Slavin, Andre Spitzer, Amitzur Shapira. Ed è di queste ore l'appello delle vedove di due degli atleti israeliani uccisi affinché il pubblico presente venerdì alla cerimonia d'apertura dei Giochi a Londra si alzi in piedi durante il discorso del presidente del Cio Jacques Rogge, per protestare contro il rifiuto del Cio di osservare ufficialmente un minuto di silenzio.
Al ricordo al Ghetto, sottolinea la Comunità ebraica, sono invitati tutti i romani.
Si sono incontrati stamane, al Palazzo degli Elefanti, sede del Comune di Catania, il rabbino capo della Comunità Ebraica di Napoli e del Meridione d'Italia, Rav Scialom Bahbout e Raffaele Stancanelli, sindaco del capoluogo etneo.
Bahbout è arrivato nell'Isola in occasione del convegno su le "Giudecche di Sicilia" che si svolgerà nei prossimi giorni a Castiglione di Sicilia, dove sono presenti importanti insediamenti di un'antica comunità ebraica. Il rabbino Bahbout, accompagnato in Sicilia dal presidente dell'istituto internazionale della Cultura Ebraica Davide Scibilia, dal presidente della Carta delle Giudecche Benito Triolo e da Alessandro Scuderi, ha da poco assunto l'incarico di vertice religioso per il Meridione e sta ponendo le basi per la riscoperta dei luoghi storici e per creare, tra l'altro, un circuito turistico che porterebbe in Sicilia il turismo ebraico nazionale e internazionale.
In questo circuito troverà spazio anche la cultura enogastronomica, con scelta di menù "Kosher" appositamente realizzati e che ben si sposano con la cucina mediterranea.
"Siamo disponibili- ha detto il sindaco Stancanelli - a collaborare alle vostre iniziative che per noi, oltre ad essere occasione di turismo, sono anche riscoperta del nostro territorio in cui il terremoto del 1693 ha cancellato larga parte della nostra storia".
Anche a Catania infatti vi erano due zone ebraiche: la Giudecca di Sotto, nella zona di via Manzoni, e la Giudecca di Sopra, tra le vie Manzoni e Vittorio Emanuele in cui, dopo il devastante terremoto, furono edificate tre chiese proprio dove sorgeva la Sinagoga della comunità catanese.
BURGAS - L'orribile attacco all'aeroporto in Bulgaria contro ebrei provenienti da Israele ha di nuovo scioccato gli ebrei di tutto il mondo. Ancora una volta, Chabad è stata in prima linea nel portare aiuto perché, per fortuna, molti suoi esponenti si trovavano sul luogo dell'attentato per aiutare le migliaia di Israeliani che, nei mesi estivi, vengono in vacanza a Burgas.
In Bulgaria, Chabad è presente dal 2001: a Sofia con Rav Yosef Solomon e la moglie Tamar, mentre nel 2003 ha aperto un centro ebraico grazie alla famiglia Rohr di Miami. Da due anni sono stati realizzati un Beit Chabad, una sinagoga e un ristorante a Burgas.
Rav Chaim Tvardoviz e altri aiutanti di Chabad sono arrivati all'ospedale solo un'ora dopo l'attacco per assistere i feriti portando loro cibo kasher, supporto morale e per aiutarli nella traduzione dal bulgaro all'ebraico e viceversa. Più tardi, hanno anche fornito assistenza in aeroporto alle squadre di soccorso israeliane una volta arrivate a Burgas, inoltre gli studenti di Yeshiva hanno recitato i Tehillim (Salmi) vicino ai corpi in attesa di essere trasportati in Israele.
Gli ebrei locali e i turisti si sono diretti al Beit Chabad subito dopo l'attentato per tenersi informati della situazione e per avere un supporto morale. Quindici linee telefoniche sono state abilitate per i parenti in Israele, in modo da ricevere notizie dirette e per poter chiamare in Israele e avvisare le rispettive famiglie delle loro condizioni di salute.
I rappresentati di Chabad hanno incontrato il primo ministro Bulgaro, il ministro degli Esteri e il ministro degli Interni per discutere sia di sicurezza ma anche delle regole ebraiche riguardo il rispetto per i morti secondo la legge ebraica. Inoltre, erano in contatto costante con l'ambasciatore israeliano che ha dato istruzioni nei primi momenti prima ancora che fossero arrivati sul posto rappresentati israeliani.
Lo Shabbat seguente all'attacco oltre cinquecento turisti si sono radunati per la preghiera e il pasto di Shabbat nel ristorante Habait del Beit Chabad. In un'intervista a Israel Hayom, Rav Chaim Tvardoviz, lo shaliach a Burgas, ha detto: "Era importante per le persone venire a pregare insieme per rispondere al terrorismo e mostrare che non stiamo scappando".
Prima di tornare in Israele, i responsabili delle squadre di soccorso del Maghen David Adom e di Zaka, hanno cenato a casa di Rav Solomon.
Moshe Shoham ha scritto a Rav Solomon: "Non ci sono parole per l'ospitalità e il cibo delizoso, specialmente dopo quarantotto ore d'incessante lavoro, complimenti a Sua moglie. Avete lasciato un'impressione profonda in tutti noi dell'importante lavoro che svolge Chabad".
In Israele, Chabad Terror Victims Project ha visitato i feriti e le famiglie che hanno perso i loro cari per porgere loro sostegno spirituale e materiale, e tutte le famiglie hanno ringraziato Chabad per il loro aiuto, specialmente negli attimi immediatamente seguenti l'attacco a Burgas.
All'ospedale Chaim Sheba la famiglia di una vittima che è gravemente ferita ha chiesto ai rabbini Chabad Aharon Prus, Menachem Kutner e Levi Gopin di recitare una preghiera e aggiungere un nome
Londra 2012: gli atleti iraniani d'accordo a competere contro gli israeliani
LONDRA, 25 lug. - Gli atleti iraniani non si rifiuteranno di competere contro quelli israeliani durante i prossimi Giochi Olimpici di Londra. Lo ha annunciato il segretario generale iraniano del comitato olimpico,Bahram Afsharzadeh, dichiarando che"ci concentreremo sullo sport" e non sulla politica. Durante le Olimpiadi del 2004 e del 2008 gli atleti iraniani si erano ritirati dalle competizioni al momento dello sfida con gli israeliani. L'Iran, infatti, non riconosce lo Stato di Israele.
(Adnkronos, 25 luglio 2012)
Uno Stato dellOnu che non riconosce un altro Stato dellOnu: se questo non sembra strano (e pare proprio che sia così per molti), vuol dire che si è già assorbito un po di quellantisemitismo passivo che al momento opportuno è pronto per diventare attivo.
Dal '48 a Eichmann, perché Israele rialza ogni volta la testa
di Fiamma Nirenstein
Che può esserci in comune fra due libri abissalmente lontani come 1948 di Yoram Kaniuk, edito dalla Giuntina, e La casa di via Garibaldi di Isser Harel, Castelvecchi editore? A leggerli di seguito si capisce: contengono uno dei segreti più importati del popolo ebraico, quello di una imprevedibile risposta vitale ad ogni evento, anche il più luttuoso e persecutorio, e dell'impulso morale che gli ha consentito di curarsi le più immani ferite.
È il «tikkun olam» la base filosofica dell'ebraismo, «curare il mondo» per aiutare il Padre Eterno a farlo migliore.Kaniuk racconta la pazzesca guerra del '48 in modo opposto all'iconografia eroica ufficiale: una guerra è una sentina di orrore, e ancora di più lo è quando cinque eserciti arabi saltano addosso a un Paese in cui una banda di ragazzi, con qualche giovane uomo confuso alla testa (spunta anche Rabin, o il grande capo di stato maggiore «Dado») si battono senz'ordine subito dopo la partizione approvata dall'Onu. La morte diventa una mietitrice impazzita, dato che lo scrittore racconta se stesso a diciassette anni, un ragazzo che non sa nulla e si trova sul campo a conquistare una patria nel mezzo di interrogativi fra i più assoluti: il senso di colpa verso gli arabi che pure compiono efferatezze mai viste, l'eroismo obbligatorio di ragazzini appena arrivati sul suolo d'Israele in uno scontro per la vita e per la morte non di un uomo, ma di un popolo. I ragazzi che combattono insieme a Kaniuk sulla via di Burma, nel Gush Etzion, a Gerusalemme, che muoiono come mosche, sono infatti spesso sbarcati poco prima da una qualche nave che li ha trasportati dall'Europa reduci dai campi di sterminio. Le loro avventure con un vecchio fucile cecoslovacco in mano, senza saper sparare, senza sapere chi è il nemico, compongono il disegno eroico della sopravvivenza del popolo ebraico, nonostante tutto.
Le memorie di Isser Harel, capo del Mossad, sulla cattura di uno dei più importanti organizzatori e perpetratori dello sterminio degli ebrei, Adolf Eichmann, hanno a loro volta il senso della nemesi. Il segno è quello della giustizia nonostante tutto. Passo passo le avventure di Harel e dei suoi, in una fredda Buenos Aires, dove Eichmann si è nascosto, portano alla cattura e all'affermazione di un principio generale, la capacità del popolo ebraico, fattosi Stato d'Israele, di ricostruire la memoria e ristabilire la giustizia laddove sembrava ormai impossibile. La cronaca delle cattura è un giallo mozzafiato, con almeno una quarantina di personaggi la cui umanità, la cui rabbia, vengono addomesticata dalla necessità del momento. Spesso infatti è un silenzioso figlio della Shoah a verificare le informazioni ricevute, ispezionare il terreno del rapimento, preparare i documenti, l'attrezzatura, le auto.
Una volta catturato Eichmann, comincia la parte più conturbante, quella del contatto fra i carcerieri e questo ometto, pronto a diventare di nuovo uno schiavo compiacente come certo era stato col regime nazista. I suoi carcerieri sono quasi tutti sopravvissuti alla Shoah o figli di persone uccise, e quindi il giallo di Harel è carico del pathos dei sopravvissuti che piangono e vivono il loro disgusto restando a contatto col prezioso prigioniero e avendone ossessiva cura. Zvi Guttman, il vicecapopilota, non può per esempio sopportare che uno dei suoi colleghi dia al criminale una sigaretta: «Non vedeva Eichmann ... vedeva il fratellino Zadok trascinato via da un soldato tedesco. Era così piccolo Zadok aveva solo sei anni... era troppo piccolo per vivere ma grande abbastanza per morire... Zvi perse il controllo di se stesso e scattò: ?Lei gli dà le sigarette, lui ci ha dato il gas?». Nonostante tutto, il vicecapopilota Guttman garantì il trasporto del prigioniero fino a quel tribunale in cui per la prima volta fu delineata da Israele l'intera storia della Shoah.
Ritengo opportuno, per una volta, iniziare questa mia rassegna invitando i lettori a leggere l'articolo di Giampiero Caragnano su Rinascita. Prendendo lo spunto dall'attentato di Burgas, senza una parola di partecipazione verso le vittime, dopo una descrizione delle divisioni tra le tante correnti religiose islamiche, Caragnano si chiede perchè Netanyahu abbia accusato proprio gli sciiti, senza neppure svelare le "sue" prove (bisogna forse spiegare a questo giornalista come ci si muove ad operazioni in corso in tutto il mondo? Le prove usciranno a tempo debito, come sempre in Israele). Riporto solo alcune frasi, a beneficio di chi si rifiuta di leggere l'articolo intero. "Gli ebrei sono eterne vittime". "Ha mai fatto qualcosa Israele per l'Italia?" (ricordo, ad esempio, la brigata ebraica e, più recentemente, gli aiuti ai terremotati dell'Emilia che vergognose figure avrebbero voluto rifiutare!). "L'Occidente si serve dei salafiti per i suoi piani". "L'attentato giunge a Israele come cacio sui maccheroni per stornare la colpa sull'Iran" ed infine la chiusura dell'articolo: "A noi basta la loro sacra parola. In fondo sono gli angeli del bene, il popolo eletto da Dio. Chissà che abbiano anche una linea diretta col Padreterno". Aggiungo solo che queste vergognose parole sono pubblicate anche, per non dire soprattutto, grazie ai fondi versati con le tasse dei cittadini italiani.
Tutti i quotidiani dedicano molto spazio a quanto avviene in Siria; Lorenzo Cremonesi, per i lettori del Corriere, continua a raccontare la sua avventura con i ribelli, dentro ai confini di un paese in piena guerra civile, con successi alterni per le due fazioni. Tanto di cappello per il coraggio di Cremonesi. Molta preoccupazione destano le armi chimiche che sarebbero anche state spostate dai loro depositi normali, e Francesco Palma su Avvenire ci ricorda che il primo utilizzo nella storia di armi chimiche sarebbe avvenuto proprio in Siria nel III secolo, ma dimentica di ricordare che il padre di Assad le usò contro i suoi cittadini ammazzandone 20000. Che la situazione sia caotica nel paese è del tutto evidente, ed oggi si apprende da Paola Peduzzi sul Foglio che neppure la CIA riesce a capire che cosa succede in quel paese nel quale "ci sono più convinzioni che informazioni" dove "la verità è la prima a morire, ma tutti la cercano".
Su questo stesso tema Maurizio Molinari va oltre e spiega che queste difficoltà della CIA prendono origine dall'ordine di Obama di osservare il conflitto a distanza. Grazie a Maurizio Molinari, così, molto diventa così più chiaro. Egli aggiunge anche che di fronte all'incertezza operativa degli USA si è in presenza di un'azione estremamente decisa dell'Arabia Saudita contro Assad e l'Iran, pur con profonde spaccature tra i ribelli, divisi in almeno tre battaglioni. Fausto Biloslavo sul Giornale fa un quadro molto preciso e dettagliato di quanto sta avvenendo all'interno del regime di Assad. Pierre Duthion su Repubblica, in una breve descrive la vita in Siria ieri ed oggi.
Il Figaro si chiede se sarà possibile rivedere gli accordi tra Egitto ed Israele; se Netanyahu accettasse questa richiesta di Morsi gli concederebbe la possibilità di dimostrare ai suoi concittadini che è riuscito a migliorare gli stessi, mentre Israele godrebbe di nuovi accordi siglati proprio dai Fratelli Musulmani; ma bisogna chiedersi se i Fratelli siano pronti a questo scenario o se non si tratti piuttosto di fantapolitica.
Davide Frattini sul Corriere, dove bisogna leggere con attenzione anche titolo e sottotitolo, spiega che Mofaz non sarebbe uscito dal governo per il dissidio sul servizio militare da imporre agli ultraortodossi; questa sarebbe solo la versione ufficiale, ma la realtà starebbe invece nella decisione da prendere se attaccare o meno l'Iran. Mofaz ha fatto ieri alcune dichiarazioni, ma ieri era di nuovo il capo dell'opposizione, e non più un uomo di governo (che è stato per solo 70 giorni), e questo fatto è stato trascurato da un Frattini, noto per la sua avversione al governo di Netanyahu (e non solo).
Ha fatto il giro del mondo un you tube di MEMRI che riprende alcune scene della versione egiziana di scherzi a parte; Dimitri Buffa su l'Opinione dimostra quanto l'odio per Israele sia radicato oggi nella popolazione egiziana.
Un secondo articolo di Maurizio Molinari su La Stampa spiega cosa si ripromette il candidato Romney dal suo imminente viaggio in Europa ed in Israele; non ultimo il desiderio di ridare spazio alla grandezza dell'America.
Dopo la sentenza del tribunale di Colonia sulla circoncisione, si legge su Le Monde che il parlamento di Berlino ha chiesto al governo di definire un quadro legale per permetterla, con la sola opposizione dei verdi e dei Linke, ma ora vengono alla luce tutte le difficoltà pratiche per rispettare al contempo i principi di integrità fisica, di libertà religiosa e delle cure da assicurare ai bambini. Manca purtroppo, in questo articolo, qualsiasi accenno alla decisione dei Kinderspitalen di Zurigo e di San Gallo di sospendere le circoncisioni religiose. La macchia si sta allargando.
Il presidente della Puglia, come si legge sulla Gazzetta del Mezzogiorno, ha invitato dei bambini di Gaza nella sua regione, e non ha perso l'occasione per condannare Israele che non rispetta i diritti di questi bambini; gravi dichiarazioni, le sue, e non una parola né sui crimini sui propri bambini commessi da Hamas (degno compare dell'Iran che, nella guerra contro Saddam li usava per far saltare le mine prima del passaggio delle truppe), né sulla violenza sui bambini israeliani commessa da Hamas, bambini che vivono nel terrore dei razzi che cadono a centinaia, dovendo restare sempre in prossimità dei rifugi che devono poter essere raggiunti entro 15 secondi.
Una breve sul Messaggero annuncia che la Libia sarebbe disponibile ad osservare un minuto di silenzio per le vittime di Monaco '72 durante la cerimonia di apertura, minuto che, al contrario, si celebrerà in moltissime città del mondo, ma non a Londra venerdì (ricordo che molte delegazioni, tra le quali quella italiana, organizzeranno manifestazioni apposite).
Infine ricordo alcune recensioni: Fiamma Nirenstein sul Giornale parla di due libri: 1948 e La casa di via Garibaldi, e spiega che gli ebrei trovano sempre la risposta più imprevedibile per ogni evento. Claudio Vercelli sul manifesto parla di un un libro sull'antisemitismo di Elena Mazzini, e Lanfranco Palazzolo su La voce repubblicana intervista Fania Cavaliere che, nel suo libro, riprende i diari della nonna passata dall'antisemitismo russo a quello del nazi-fascismo.
La comunità ebraica slovacca chiede l'estradizione di Laszlo Csatary
Laszlo Csatary con il suo avvocato
BRATISLAVA, 24 lug. - La comunità ebraica della Slovacchia ha lanciato un appello a Bratislava affinché chieda all'Ungheria di estradare Laszlo Csatary, criminale nazista arrestato la settimana scorsa in Ungheria. Lo riferisce Jaroslav Franek, portavoce della Federazione delle comunità ebraiche.
Il 97enne, accusato di crimini di guerra per i presunti abusi sugli ebrei durante la seconda guerra mondiale, è ai domiciliari in Ungheria in attesa di processo in Slovacchia. La settimana scorsa è stato accusato dalle autorità ungheresi di "torture indiscriminate su esseri umani". Se condannato, rischia l'ergastolo.
Csatary era un ufficiale di polizia nella città slovacca di Kosice, in precedenza ungherese, quando avrebbe aiutato a deportare migliaia di ebrei ad Auschwitz. Fu condannato a morte in contumacia in Cecoslovacchia nel 1948 per crimini di guerra. Il ministero della Giustizia slovacco ha reso noto che valuterà la richiesta della comunità ebraica sulla domanda di estradizione.
Israele consente alla compagnia Shemen perforazioni in zona militare
TEL AVIV, 24 lug. - La compagnia privata israeliana Shemen ha annunciato ieri di aver ricevuto l'autorizzazione dal Ministero della difesa ad avviare le attivita' di perforazione nel blocco offshore Yam 3. Le trivellazioni dovrebbero iniziare a settembre per un periodo di sei mesi al largo della costa di Ashdod. La licenza di Shemen e' situata a 15 chilometri ad ovest di Ashdod in una zona di addestramento dell'esercito israeliano e per questo richiedeva un permesso speciale. Secondo alcune stime, l'area interessata ha un potenziale di 227 milioni di barili di petrolio.
ROMA - Toive Weitman e Chaim Creimer sono originari dal Brasile, ma stanno trascorrendo l'estate a Roma. Questi due ragazzi fanno parte di un progetto, ideato dal Rebbe di Lubavitch, che prevde l'invio di studenti delle Yeshivot, durante la loro pausa estiva, in giro per il mondo con la missione di accendere le anime ebraiche. Il centro Chabad mondiale (Merkos Linyonei Chinuch) di New York ne manda oltre trecento....
Israele porta a quota 38 le colonnine di ricarica Better Place
Per agevolare la diffusione della mobilità elettrica Better Place oltre ad aumentare l'istallazione di colonnine di rifornimento per EV suggerisce diversi metodi di pagamento del servizio
Dopo aver testato una flotta elettrica per 6 mesi in Israele la società Better Place annuncia il lancio di un nuovo progetto per ampliare il sistema di ricarica per le batterie delle vetture elettriche, da istallare sul territorio. Attualmente sono in funzione 10 stazioni in tutto il paese, ma entro settembre Better Place mira ad arrivare ad averne 38 attive in modo da permette agli utenti di viaggiare attraverso l'intero paese. Finora sono state numerose le critiche mosse nei confronti del sistema di pagamento in abbonamento per la ricarica delle auto, che pretende il pagamento dell'equivalente di 20mila chilometri percorsi. Per questo la società ha studiato metodi di fidelizzazioni alternativi: uno che funziona secondo il meccanismo "pay as you go" che scala l'importo da una tessera prepagata e che calcola 0,13 centesimi di euro per km se l'utente effettua un minimo di mille km/mese con la possibilità di far scalare i chilometri non consumati nel mese successivo. L'altro metodo quantifica invece il numero di chilometri percorsi e calcola un importo di 0,11 centesimi di euro per ogni km percorso ma solo se si effettuano 40mila km in 3 anni o 50 mila km in 4 anni. Per agevolare i consumatori Better Place ha inoltre stretto un accordo con la Union Bank, che sta sviluppando soluzioni di finanziamento adatte alle diverse esigenze.
Muti: l'Italia ha il dovere di proteggere i suoi talenti
Trionfo in Israele
di Massimo Lomonaco
TEL AVIV - "Abbiamo il dovere di proteggere i nostri giovani, metterli a frutto nel nostro paese. Non dobbiamo costringere i nostri talenti ad andare via perché in Italia non ci sono le condizioni per potere operare". Riccardo Muti scandisce bene le parole nel lanciare il suo messaggio: lo fa - con l'ANSA - al termine di una tournee di tre giorni (19, 21 e 22 luglio) in Israele dove a Tel Aviv ha diretto nel 'Requiem' di Verdi la prestigiosa Israel Philarmonic Orchestra, il cui concerto inaugurale nel 1936 fu ad opera di Arturo Toscanini.
Le tre serate - ogni volta applauditissime dal pubblico che ha seguito particolarmente commosso la prima dedicata alle vittime, israeliane e non, dell'attentato di Burgas in Bulgaria, definito da Muti "un atto di barbarie" - hanno visto ancora una volta la potenza dell'arte e della cultura italiana. Nella sala stracolma dell'Hangar 11 al vecchio porto di Tel Aviv al termine della 'Messa' del Maestro di Busseto tutti hanno ammirato due grandi italiani. Anche per questo Muti sottolinea di avere un sogno: "Vedere il nostro paese riprendere, attraverso la cultura, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, quel posto di preminenza e di rispetto nel mondo che il popolo italiano merita". Un posto - spiega - che "non deve venire meno per le operazioni non oculate, superficiali o non pulite di singoli personaggi".
"Credo che il popolo italiano - dice - meriti la ripresa di quella che è la sua grande storia. Non sono solo gli altri che devono indicarci e ricordarci ciò che noi abbiamo e quello che possiamo dare al mondo. Siamo noi che dobbiamo dare. Soprattutto in un momento in cui nuovi paesi si affacciano alla storia con una baldanza e una forza creativa così vivida, non possiamo essere solamente 'il museo' da visitare, ma dobbiamo essere propositivi". In tempi di crisi, di spending review, quello dei possibili tagli alla cultura e quindi del futuro dei giovani è un tema molto caro al Maestro: a questo proposito ricorda che il 31 luglio dirigerà in Calabria 450 ragazzi di varie bande musicali locali. "Gli sono stati forniti degli strumenti musicali e si sono formati in bande. Grazie a Dio musicali e non di altro tipo. Ciò vuol dire - continua - che i giovani sono apertissimi al fatto musicale, alla cultura e all'armonia. Del resto, il nostro paese e la sua storia sono stati fondati sull'arte. Ignorare questo aspetto, avere musei che fanno fatica ad andare avanti, siti archeologici che crollano, orchestre che stentano a proseguire, teatri che sono sempre sull'orlo di chiusura, è - sottolinea - indegno di un paese come l'Italia".
E subito dopo ribatte sulla "necessità della valorizzazione dei nostri talenti e dei nostri giovani, in senso culturale, musicale, scientifico". E non è certo questione di nazionalismo ("sono un italiano che dirige l'Orchestra di Chicago"), però - aggiunge - "mi fa piangere il cuore sapere che nelle Università di quella città ci sono moltissimi ricercatori italiani che hanno dovuto spostarsi negli Usa per necessità". Muti indica poi nella musica un valore di pace: "nel fondo del Requiem, ad esempio, c'é proprio questa richiesta di pace che non è solo dell'anima , ma del mondo. E anche se il testo di Verdi è un testo cristiano, certamente può coprire tutte le forme di religioni ed è di profondissima umanità. Sia l'orchestra, sia il coro, sia il pubblico - dice tornando ai concerti di Tel Aviv - hanno mostrato di aver apprezzato profondamente". Del resto il suo amore per Verdi è testimoniato da un altro fatto: "se fossi costretto a scegliere cosa salvare con me su un'isola, allora, pur piangendo per quelle che tralascio, porterei 'Cosi' fan tutté di Mozart e 'Falstaff' di Verdi: entrambe - conclude - parlano della vita e hanno un sorriso, anche sottilmente amaro, sulla vita stessa".
Cucina etnica di solito significa esperienza di sapori, ma anche scenografie colorate, quasi un palcoscenico che riporta ad esperienze e paesi lontani. Se è questo che cercate in una cucina mediorientale, Re Salomone non fa per voi. Nato nella vicina via Washington e poi trasferito nell'attuale (più ampia) sede di via Sardegna, dotata di scenografica veranda, questo locale con cucina ebraica di rigorosa osservanza, ha da sempre evitato i luoghi comuni delle cucine "esotiche". Dudi, aiutato dal padre e da uno staff di collaboratori giovanissimi, è il motore di questo locale e l'ispiratore delle scelte di stile e di cucina. Arredi e allestimento degli spazi in sobria chiave moderna, sale funzionali a un'ospitalità numerosa, mai affollata, sono i tratti estetici di un locale in cui si è scelto di evitare il folclore pur rispettando la tradizione e, nello specifico, le regole religiose ebraiche in fatto di cibo e vini. Il servizio, efficiente e veloce, permette di apprezzare gli autentici sapori medio-orientali senza la lenta ritualizzazione che si riscontra spesso in cucine simili, dove la coreografia di salse che accompagnano i cibi prevalgono spesso sulla sostanza e portano la cena ad essere un'esperienza di lunghezza estenuante....
L'Unione europea non inserisce Hezbollah nella lista nera
BRUXELLES, 22 lug - L'Unione europea ha respinto la richiesta del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman di inserire il movimento libanese Hezbollah nella lista nera di Bruxelles.
''Una decisione del genere richiede l'unanimita' del Consiglio ma tra i membri Ue non c'e' consenso sull'inserimento nella lista nera dell'Hezbollah libanese, che e' un'organizzazione che comprende un partito politico ed un network sociale ed e' attiva nella politica libanese, nel governo e nel Parlamento'', ha dichiarato il capo della diplomazia cipriota, Erato Kozakou-Marcoullis, che, nella sua veste di presidente di turno dei 27, ha presieduto questa mattina il Consiglio di associazione Ue-Israele.
Descrizione: Hanno entrambi 29 anni e suonano il pianoforte. Uno è nato in Palestina, uno in Israele. Si sono conosciuti a Gerusalemme e hanno deciso di dar vita a un duo pianistico al servizio della pace. Bishara Haroni e Yaron Kohlberg suonano martedì 24 a Palazzo Isimbardi. Il concerto, ideato da Francesca Parvizyar, tocca pagine di Liszt, Prokofiev, Debussy, Rachmaninov. Si raccolgono offerte per la scuola musicale interculturale «Magnificat» di Gerusalemme.
A Grillo non piace Israele, e gli piace invece l'Iran. Non è forse questo il problema vero. Il problema è invece che un Grillo, già simpatico e sarcastico fustigatore di costumi, si presenti ora come leader di un movimento politico; è questo che la dice lunga sulla degenerazione della politica e dei politici nel nostro paese. Che Grillo sia il prodotto di una situazione degradata non necessita di dimostrazione, che le sue idee politiche siano raffazzonate e superficiali, anche. Lo si è sentito arringare la folla contro i poteri forti del paese, gli sprechi della politica, la corruzione, le tangenti, e contro la privatizzazione dell'acqua potabile. È l'uomo qualsiasi che protesta contro l'ovvio. Questo, da solo, non fa di lui un virtuale statista, ma gli uomini qualsiasi ne rimangono attratti, e ce ne sono tanti evidentemente. In effetti, un progetto politico di respiro per rimettere in sesto il paese Grillo non lo sviluppa. Come se si potesse governare un paese con le urla, le parolacce, la protesta populista e una battuta razzista sugli ebrei che mettono in pericolo il povero Iran di quel campione di democrazia che si chiama Ahmadinejad. Ma bisogna pur mettere nel conto che molti, nauseati dalla politica di questi anni, al momento opportuno lasceranno a casa il cervello e voteranno con la pancia. È accaduto già altre volte.
Israele: 180 milioni di shekel per evitare il soffocamento dell'Autorità palestinese
di David Koskas
Lo Stato di Israele ha dato 180 milioni di shekel - circa 36 milioni di euro- all'Autorità palestinese, piombata in una grave crisi finanziaria.
I fondi sono stati trasferiti in questi ultimi giorni prima dell'inizio del Ramadan.
Questo "gesto di buona volontà" permetterà all'AP, a corto di risorse, di pagare gli stipendi dei suoi funzionari.
Deciso dal Primo Ministro Binyamin Netanyahu e dal ministro delle Finanze Yuval Steinitz, questa azione si iscrive in una serie di segnali inviati dall'inizio dell'anno per migliorare le relazioni tra i due vicini e incoraggiare il Presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, a riprendere il dialogo con gli israeliani.
Anche la concomitante decisione di aumentare a 5000 il numero dei lavoratori palestinesi autorizzati a lavorare in Israele fa parte di questa azione.
"Migliorare l'atmosfera", questo è l'obiettivo secondo un funzionario israeliano.
Il precedente "gesto di buona volontà" è avvenuto a maggio, quando Israele ha restituito i corpi di più di 90 terroristi all'AP.
E 'anche un modo per Israele di cercare di "preservare l'economia palestinese".
La crisi che attraversa attualmente l'AP - la peggiore in 30 anni secondo il capo negoziatore Saeb Erekat - potrebbe effettivamente portare alla bancarotta, e costituire di conseguenza un rafforzamento di Hamas, che potrebbe quindi di prendere il controllo della Cisgiordania.
Secondo i responsabili israeliani, lo Stato ebraico trasferisce ogni mese all'AP circa 100 milioni di shekel, che corrispondono alle tasse raccolte da Israele per suo conto.
Ma questi trasferimenti sono spesso bloccati da Gerusalemme, in risposta ad azioni palestinesi.
E' quello che è avvenuto precisamente nel mese di novembre, dopo la candidatura e l'adesione dei palestinesi all'UNESCO.
(IsraèlInfos, 24 luglio 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Non c'è niente da ridere, ma il paradosso è semplice: saranno i terroristi islamici gli unici estremamente disponibili a commemorare l'eccidio olimpico degli 11 atleti israeliani a Monaco nel 1972. Come? Ovviamente cercando di ammazzarne altrettanti a Londra, a partire dal 27 luglio 2012. Più si avvicina la data di venerdì prossimo più sembra addensarsi l'ansia generale per qualche cosa del genere. Troppi kamikaze fai da te sono in sonno in Europa.
Ovviamente a partire dai terroristi etero diretti dall'Iran, che non aspetta altro che una simile occasione per "farsi bello", sottobanco, con i propri referenti dell'anti-semitismo mondiale. Di fatto Shin Bet e Mossad sono a Londra per evitare che il massacro del 1972 si possa ripetere proprio quest'anno. Israele teme un possibile attentato per mano iraniana, così ha inviato alcuni agenti, per rafforzare la protezione sui 38 atleti, che parteciperanno ai giochi olimpici. "Baionetta" sarebbe il nome in codice dell'operazione, secondo il Sunday Times, e servirebbe a dare la caccia ad una cellula di terroristi europei bianchi, convertiti all'Islam, che lavorerebbero con la forza iraniana Quds e con Hezbollah. I servizi segreti sarebbero sulle tracce di un terrorista che si muove con passaporto americano, e che si fa chiamare David Jefferson.
L'uomo mercoledì scorso sarebbe riuscito a scappare, dopo l'attentato all'aeroporto a Burgas in Bulgaria, contro un autobus di turisti israeliani. Jefferson, secondo il domenicale britannico, sarebbe in possesso di un altro potentissimo ordigno, simile a quello del massacro di Burgas. L'ironia della sorte, e delle ricorrenze, è che queste ferali intenzioni vengono fuori in concomitanza con il disvelamento di altri altarini che riguardano Monaco 1972. Ieri il Corriere della Sera dava infatti notizia dell'apertura degli archivi dei servizi di sicurezza tedeschi dopo la lunga battaglia condotta dai familiari delle 11 vittime del 1972 a Monaco. Ebbene viene fuori che sarebbero stati prudentemente occultati ben 3808 fascicoli dove si parla di soffiate non prese in considerazione, né dalla polizia federale dell'epoca, né da quella locale di Baviera.
In particolare il settimanale Der Spiegel rivela di aver ottenuto e analizzato nuovi documenti su quella strage. In uno si racconta come i tedeschi abbiano sottovalutato una soffiata arrivata da un informatore libanese. E sostiene che i servizi tedeschi abbiano «usato i decenni dopo la strage per coprire gli errori commessi». La dritta era precisa: il 14 agosto l'ambasciata a Beirut invia un dispaccio a Bonn e avverte che una fonte ha parlato di un progetto "per un incidente" durante l'Olimpiade. Quattro giorni dopo il ministero degli Esteri passa la notizia ai servizi segreti a Monaco: «È fondamentale prendere tutte le misure di sicurezza possibili».
Der Spiegel fa sarcasmo sull'intelligence tedesca: «non tiene conto neppure di quello che legge sui giornali». Infatti il 2 settembre la rivista italiana Gente scrive che i terroristi di "Settembre Nero" progettano «un'impresa clamorosa ai Giochi». Tutti sapevano, ma nessuno fece nulla. A dire il vero neanche il Mossad.
Damasco: non useremo armi chimiche. Ma Israele si prepara lo stesso
Il regime ammette per la prima volta di possederle ma garantisce che non le impiegherà all'interno della Siria. D'altra parte non ne ha bisogno: secondo il ministro Terzi avvengono massacri degni di una pulizia etnica. E Tel Aviv non si fida, teme che le armi chimiche possano cadere nelle mani di gruppi integralisti incontrollabili.
di Roberto Schena
DAMASCO - Il governo di Damasco utilizzerà le sue armi chimiche solo contro un attacco straniero. Lo ha detto un portavoce del ministro degli Esteri siriano. È la prima volta che il governo di Damasco ammette apertamente di possedere depositi di armi chimiche e biologiche.
Come ha confermato durante una conferenza trasmessa in televisione, il portavoce del ministro, Jihad Makdissi, le riserve di armi chimiche di Damasco sono al sicuro sotto protezione dell'esercito e non saranno mai usate "all'interno della Siria". Negli ultimi giorni sono aumentate le preoccupazioni per la possibilità che i depositi di armi chimiche possano cadere nelle mani dei combattenti ribelli anti-governativi, alcuni dei quali si pensa abbiano legami con al-Qaeda. Ma il timore era stato anche il regime potesse ricorrere ad essere per difendersi.
«Nessuna arma chimica o biologica sarà mai usata, e ripeto, sarà mai usata, nel corso della crisi in Siria, a prescindere da quali saranno gli sviluppi», ha spiegato Makdissi, aggiungendo: «Tutti questi tipi di armi sono nei depositi e sotto la sicurezza e la supervisione diretta delle forze armate siriane, e non saranno mai usati a meno che la Siria non sarà esposta a un'aggressione esterna». Tra le armi in possesso della Siria si pensa ci siano agenti nervini e iprite, missili Scud capaci di diffondere gli agenti letali e un'altra serie di armi convenzionali, tra cui missili anti-carro e anti-aerei.
In effetti, le armi chimiche non servono. I massacri compiuti dall'esercito siriano contro la popolazione rasentano comunque «la pulizia etnica e i crimini contro l'umanità». Lo ha detto il ministro degli Esteri Giulio Terzi al suo arrivo a Bruxelles. Per Terzi «l'esercito sta combattendo una battaglia inaudita che va ben al di là di qualsiasi repressione vista nei Paesi della Primavera araba».
E chi sia il "nemico esterno" si sa. Israele ha detto nei giorni scorsi di temere che, in caso di caduta del governo Assad, i nemici di Tel Aviv entrino in possesso di questo arsenale e non ha escluso un intervento militare per impedire che ciò avvenga. Secondo un ufficiale dell'intelligence statunitense, l'esercito siriano avrebbe spostato le armi chimiche dal nord del Paese dove sono più intensi i combattimenti, per metterle al sicuro. Tuttavia, fonti degli Usa si sono dette preoccupate per un intensificarsi delle attività in tutte le installazioni militari siriane e stanno aumentando gli sforzi per monitorare gli arsenali e provare a capire se Damasco abbia intenzione di utilizzarli.
I leader israeliani hanno discusso con gli inviati statunitensi di come affrontare un eventuale collasso del governo siriano. Lo rivela un ufficiale israeliano, rimasto anonimo. «Potete presumere - ha dichiarato, senza fornire ulteriori dettagli - che questo tipo di problemi siano venuti fuori con i rappresentanti americani quando hanno visitato di recente Israele». Ieri, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha avvertito che il governo di Tel Aviv potrebbe "dover agire" se necessario per impedire che le grandi riserve di armi chimiche di Damasco cadano nelle mani di militanti, nel caso in cui il governo siriano cada.
INCROCI MUSICALI - Sono il simbolo di quel klezmer che fonde le tradizioni askenazite con le influenze dell'avanguardia jazz più tipiche del nuovo continente. I Klezmatics, giovani musicisti del Lower East Side di New York, hanno studiato l'idioma della tradizionale musicali delle feste ebraiche dell'Est Europa, conosciuta come klezmer, e se ne sono impadroniti, apportandovi sensibilità contemporanee, combinando identità e misticismo ebraico con lo spirito del nostro tempo... Ora arriva il loro atteso concerto milanese...
I Klezmatics
I Klezmatics, giovani musicisti del Lower East Side di New York, hanno studiato l'idioma della tradizionale musica delle feste ebraiche dell'Est Europa, conosciuta come klezmer, e se ne sono impadroniti, apportandovi sensibilità contemporanee, combinando identità e misticismo ebraico con lo spirito del nostro tempo e diventando tra le più note e apprezzate formazioni della musica klezmer contemporanea internazionale.
Sono per gli appassionati il simbolo di quel klezmer che fonde le tradizioni askenazite con le influenze dell'avanguardia jazz più tipiche del nuovo continente.
L'essenza è quella di una musica di festa, che celebra la natura estatica delle sonorità yiddish e crea sonorità di volta in volta riflessive, ballabili e liberatorie. Forniscono impressioni decise e dirette, con la profondità propria di un repertorio che contempla una vibrazione interiore, forse una fede.
Creatori quindi di un nuovo klezmer, in cui si mescolano avanguardia classica e pop, folk, rock, jazz, heavy metal, sin dall'esordio, datato 1986, i Klezmatics hanno registrato il tutto esaurito nei loro spettacoli nel Nord e Sud America, e in tutta Europa, comprese le apparizioni ai tanti festival, Womad di Peter Gabriel, Jazz di Montreal, Folk di Philadelphia o Klezmer di Safed, in Israele. Hanno raggiunto le case di milioni di telespettatori attraverso CBS, BBC, MTV.
L'appuntamento:
Mercoledì 25 luglio 2012 ore 21.30
Via Granelli 1, Sesto San Giovanni (MI)
Parco Archeologico Industriale Ex Breda
Riceviamo da Paola Farina una sua lettera pubblicata sul quotidiano "VicenzaPiù".
Da anni vedo in tutta Italia ed anche a Vicenza un fiorire di manifestazioni contro Israele, vuoi per il muro, per i territori... per l'acqua.. per il vino.. per la frutta... e chi ha più fantasia, ne aggiunga! A gennaio del 2009 si è tenuta a Vicenza una corposa manifestazione pro Palestina....
Io non ho mai creduto che fosse una manifestazione pro Palestina, né tantomeno una manifestazione pacifica: nessuna manifestazione che incita all'odio e alla negazione può essere considerata tale e nemmeno una manifestazione che urla frasi in arabo non comprensibili alla collettività, siamo in Italia, a Vicenza. Ho sempre pensato che fosse una manifestazione contro Israele con l'aggravante di essere autorizzata. E non credo di essermi sbagliata... Visto che ora... nessuna voce si è levata contro i massacri in Siria e prima in Egitto e Libia.
In Siria si parla di 16.000 morti, in Libia sono stati 10.000, in Egitto "solo 365". Fa schifo parlare di contabilità di morte, ne sono consapevole. Purtroppo il confronto è un atto dovuto: sedicimila morti siriani, ammazzati dai loro fratelli siriani, non valgono dieci morti musulmani, ammazzati dai loro cugini ebrei. Migliaia e migliaia di Musulmani assassinati da Musulmani non hanno alcun effetto mediatico, non feriscono alcuna sensibilità... ma se ad ammazzare un musulmano è un israeliano allora le lacrime ipocrite fuoriescono a ruscello!
Ben lungi da me l'idea di giustificare un qualsiasi assassinio, ma mi sia consentito di esprimere un pensiero di assoluta ribellione nei confronti di questi eserciti pericolosi di pseudo pacifisti, che altro non sono che vili antisemiti e pericolosi razzisti anti Israele, perché se cosi non fosse sarebbero scesi in piazza a protestare anche contro i genocidi in Siria, Libia ed Egitto. I musulmani uccisi dai loro fratelli non fanno rumore, sembra quasi si possano avvalere di una speciale licenza di uccidere... giacché Israele non è coinvolto, non vanno ricordati, non vanno commemorati, non vanno combattuti, meglio essere silenti piuttosto che innervosire i musulmani... come che la vita vissuta dei massacrati non abbia avuto alcuna valenza nel suo percorso e non meriti alcun rispetto.
E allarghiamo il discorso al 4 giugno 2012: un musulmano convertito al cristianesimo è stato decapitato nella "moderna e civile" Tunisia... nemmeno per lui c'è stato un momento di condivisione del dolore... Nemmeno il rinnovato Egitto ha risparmiato i cristiani copti. Nel modernizzato Egitto i cristiani massacrati hanno avuto una forte ascesa dopo la "liberazione da Mubarak" e secondo René Guitton nel mondo almeno cinquanta milioni di cristiani sarebbero vittime di discriminazioni e persecuzioni. E la chiesa rimane zitta... ora come allora (mi riferisco alle leggi razziali) e come tante altre volte.
Non parlo degli Ebrei, altrimenti dite che sono giustamente di parte... fatemi fare almeno un accenno ai 300 Ebrei che ogni anno lasciano la "liberale Turchia" perché non si sentono tranquilli.
Dove è finito quell'ammasso di uomini e donne (per la maggioranza islamici), spalleggiato dagli odiatori di Israele che profondevano a gennaio 2009 e profondono i diritti della Palestina libera? Che occupavano (autorizzati) le strade di Vicenza per protestare contro che cosa? Contro Israele ovviamente.
Le donne ora sono a casa a seguire i figli ed a invelarsi... i mariti al lavoro... molti di loro in vacanza nei loro natii e democratici paesi... tanto chi se frega... a morire sono musulmani per opera di musulmani ed i panni sporchi si lavano in famiglia.
Ed ora non chiedetemi perché non faccio la crociata pro-siriani... io una causa l'ho abbracciata, quella pro Israele e sono e resto coerente con le mie idee.
Londra 2012 - Monaco '72, chiesto un minuto di silenzio
Appello di due vedove israeliane, petizione con 103 mila firme
LONDRA, 23 lug - Le vedove di un atleta e di un allenatore israeliano uccisi alle Olimpiadi di Monaco '72 terranno una conferenza stampa mercoledi' per cercare di convincere il Cio a osservare 1' di silenzio in memoria delle 11 vittime. Domani Ankie Spitzer e Ilana Romano presenteranno al n.1 Cio Jacques Rogge la petizione con 103.000 firme per 1' di silenzio.Ankie Spitzer e Ilana Romano sono vedove di Andrei Spitzer, allenatore israeliano della scherma, e Yossef Romano, sollevatore di pesi,uccisi il 5/9/1972.
Antisemitismo, (grave) effetto collaterale della crisi
L'ultimo episodio questa mattina con la profanazione di 57 tombe nel cimitero ebraico di Kaposvar in Ungheria. Prima ancora eventi antisemiti in Bulgaria, Polonia e rischio alto a Londra per le Olimpiadi.
di Marco Ventura
Il cimitero ebraico profanato
È il risorgere dell'antisemitismo uno dei più abominevoli effetti collaterali della crisi? L'antisemitismo fa parte della storia europea e l'enormità della Shoah non è riuscita a sconfiggerlo, ma quando il futuro si fa più incerto scatta il meccanismo del capro espiatorio. L'ultimo episodio risale a questa mattina. Si è infatti scoperto che nella notte 57 tombe sono state profanate nel cimitero ebraico di Kaposvar, nel sud dell'Ungheria. In pezzi le lapidi in un paese, l'Ungheria, in cui il bilancio della Shoah è stato di 575 mila ebrei uccisi, solo 206 mila sopravvissuti alle leggi discriminatorie del 1941, ai campi di sterminio, alle "marce della morte", alla fatica dei lavori forzati e alle stragi di Kamenets-Podolsk e delle Croci Frecciate.
Appena il mese scorso, il Premio Nobel Elie Wiesel aveva restituito alle autorità ungheresi una onorificenza ricevuta nel 2004, per protesta contro la riabilitazione di personaggi tristemente legati alla persecuzione nazista. L'Ungheria è anche il paese in cui riescono ad avere popolarità e consenso esponenti politici come Krizstina Morvai, eletta al Parlamento europeo nelle file del Partito per un'Ungheria Migliore forte del 15 per cento, che in polemica con un radiologo ebreo di New York che l'aveva definita "un caso psichiatrico" per i suoi accenti antisemiti in campagna elettorale, ha avuto il coraggio di dire: "Sarei contenta se coloro che si definiscono fieri ebrei ungheresi se ne andassero a giocherellare con i loro piccoli peni circoncisi, invece di insultare me".
La Morvai si era fortemente impegnata a favore di Hamas nella Striscia di Gaza dopo l'offensiva israeliana. In una lettera all'ambasciatore di Israele a Budapest, è arrivata a scrivere: "Il solo modo di parlare con gente come lei è nello stile di Hamas. Mi auguro che tutti voi pidocchiosi e sporchi assassini ricevano i 'baci' di Hamas".
Ma non basta. L'Europa è tuttora scossa dalla strage di turisti ebrei in Bulgaria, e quattro mesi fa in Francia il terrorista islamico Mohamed Merah ha ucciso professori e adolescenti in una scuola ebraica a Tolosa. L'aspetto paradossale è che mentre in Francia la comunità ebraica è forte e numerosa e in Ungheria, a Budapest, c'è la seconda più grande Sinagoga d'Europa, oltre alla casa natale di Theodore Herzl, teorico e fondatore del sionismo, in paesi come la Polonia la comunità ebraica è ridotta ai minimi termini eppure c'è tuttora un potente movimento antisemita. Una sorta di "antisemitismo senza ebrei".
Neanche Londra è immune. In questi giorni infuria la polemica sui toni anti-israeliani dei programmi della BBC, che nella copertura quotidiana delle Olimpiadi citano Gerusalemme come capitale della Palestina e di Israele, mentre i produttori della serie dei BBC Promenade Concerts rifiutano addirittura di trasmettere un concerto dell'Orchestra filarmonica israeliana per le pressioni arabe e il Canale 4 dell'emittente britannica si sbizzarrisce in documentari sulla lobby ebraica israeliana. Tant'è.
Bisogna quasi salutare come un atto di coraggio, e certo come un atto di dignità politica, il discorso con il quale il presidente francese François Hollande ha appena riconosciuto, contro le reticenze di De Gaulle e Mitterrand ma in linea con la prima solenne ammissione di Chirac, la responsabilità della Francia e dei francesi nella deportazione di 13.152 tra uomini, donne e bambini ebrei, rastrellati e portati all'alba del 16 luglio 1942, a Parigi, nel Vélodrome d'Hiver.
Tornarono alla fine della guerra in meno di cento, e tra loro nessuno dei 4 mila bambini. "Questo crimine si è svolto qui - ha detto Hollande -, nella nostra capitale, nelle nostre strade, nei nostri cortili, nelle scale dei nostri palazzi, sotto le tettoie delle nostre scuole". Come sempre, perché la banalità del male vive dell'intolleranza quotidiana e di un odio che scarica le frustrazioni collettive sugli ebrei. Oggi come ieri.
Hedwig Porschütz ha salvato ebrei durante il nazismo, ma nessuno la ricorda mai
di Dario Ferri
Esistono eroi che purtroppo per pregiudizi non vengono celebrati. Una di queste personalità è Hedwig Porschütz, una prostituta di Berlino che ha salvato vari ebrei dalla morte nazista, ma a causa del suo lavoro non ha mai ottenuto riconoscenza per il suo comportamento.
PROSTITUTA PER CRISI - L'orrore hitleriano è stato contrastato da molti tedeschi, che durante la fase più tragica del regime nazionalsocialista si sono opposti per le più svariate motivazioni alle persecuzioni contro gli ebrei. Molti di loro erano persone semplici e sono finite nel dimenticatoio, e il loro operato fu celebrato grazie all'iniziativa di un ministro cittadino della Spd, Joachim Lipsitz. Altre persone però non hanno ottenuto neppure questo riconoscimento postumo, ed una di questi eroi si chiama Hedwig Porschütz. Nata come Hedwig Völker nel 1900 nel quartiere di Schöneberg, la berlinese cambiò vari lavori in gioventù, ma diventò disoccupata agli inizi degli anni trenta. Quando arrivò la grande crisi che travolse la repubblica di Weimar, Hedwig Porschütz iniziò a vendere il suo corpo per potere sopravvivere insieme al marito, anch'egli senza lavoro. Le sue attività di prostituta si concentravano ad Alexanderplatz, la grande piazza della parte orientale di Berlino dove la Porschütz aveva un alloggio. La vita della prostituta è sconosciuta fino agli anni quaranta, quando inizia ad avere un rapporto molto stretto con Otto Weidt, uno degli eroi della Berlino anti nazista, anche se è conosciuta la condanna subita per la sua professione.
EBREI SALVATI - Nella fabbrica di Otto Weidt trovarono ospitalità molti ebrei perseguitati dal regime hitleriano. Un cerchio di amicizie permetteva a Weidt di aiutare coloro i quali erano finiti nel mirino nazista a causa della loro etnia. Tra questi c'era in un ruolo di primo piano, come illustra Die Zeit, Hedwig Porschütz, che conduceva per l'imprenditore berlinese i fondamentali affari sul mercato nero. Questi servivano sia per fornire di vivere gli ebrei nascosti nelle officine, sia per corrompere i funzionari della Gestapo al fine di non far deportare i rifugiati nei campi di sterminio. La prostituta lavorava formalmente nella fabbrica di Weidt, anche se i suoi veri compiti erano le missioni di supporto agli ebrei nascosti dall'imprenditore berlinese. La stessa Hedwig Porschütz ospitò alcune donne a casa sua. Tre di loro si salvarono dai nazisti, mentre una fu deportata ad Auschwitz.
CONDANNA A VITA - Il ruolo della prostituta però non fu mai riconosciuto, neanche dopo la guerra, a causa di una condanna subita nel 1944. La polizia la prese a far acquisti sul mercato nero, e la sua attività di meretrice aggravò la condanna a sei mesi di carcere. La donna aveva perso la casa durante i bombardamenti su Berlino, e insieme al marito si trasferì in un altro quartiere della capitale dopo che il suo compagno tornò, molto malato, dalla guerra. La condizione di estrema povertà accompagnò la Porschütz per il resto della sua vita, ma la donna non ebbe neppure la gratificazione della riconoscenza. Nel 1959 l'ufficio competente per i risarcimenti di Berlino stabilì che le sue azioni pro ebrei non costituissero atti di resistenza al regime nazista tali da meritare una ricompensa. La condanna per prostituzione fu uno dei motivi per i quali alla Porschütz fu negata anche questa soddisfazione. Nel 1997 la donna morì in un ricovero per anziani. Solo il 20 luglio del 2012 è stata dedicata una targa alle sue azioni, a memoria delle prostituta che aveva salvato gli ebrei.
Profanate 57 tombe in un cimitero ebraico in Ungheria
Negli ultimi mesi episodi simili si sono susseguiti in Ungheria alimentando i timori di un'ondata di antisemitismo nello stato membro dell'Unione Europea.
BUDAPEST, 23-07-2012 - Sono almeno 57 le tombe profanate in un cimitero ebraico in Ungheria. A denunciarlo Laszlo Rona, presidente dell'associazione delle comunità ebraiche a Kaposvar, in Ungheria.
"Si è trattato di un chiaro atto di razzismo", ha spiegato Rona. Le lapidi, alcune delle quali risalenti al 19esimo secolo, sono state distrutte.
I danni si aggirano intorno ai 12 mila euro. I vandali, secondo gli inquirenti, sarebbero stati due. Negli ultimi mesi episodi simili si sono susseguiti in Ungheria alimentando i timori di un'ondata di antisemitismo nello stato membro dell'Unione Europea.
Fiamma Nirenstein: Hezbollah nella lista del terrorismo internazionale
ROMA, 23 lug - Dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein, Vice Presidente della Commissione Esteri:
"L'attentato di Burgas ha richiamato l'attenzione sul micidiale coinvolgimento dell'Iran e degli Hezbollah, braccio destro degli Ayatollah, nel terrorismo internazionale. Oltre all'attentato di Burgas, in cui sono stati uccisi cinque innocenti giovani turisti fra cui una donna incinta su un autobus che doveva portarli a una vacanza marina, gli Hezbollah, con l'aiuto indiretto o diretto iraniano, sono ormai responsabili di centinaia di attentati o di tentativi di attentato in tutto il mondo. In prevalenza il loro odio si esercita contro ebrei (come 19 anni fa Buenos Aires, dove uccisero 85 ebrei locali) o contro israeliani, ma per esempio poco tempo fa attentarono alla vita dell'ambasciatore arabo saudita a Washington. E' una forza bestiale e incomprensibile di cui possiamo solo dire che deve essere fermata. Gli Hezbollah devono finalmente rientrare, quale sia la loro prepotente forza pubblica in Libano, nella lista del terrorismo internazionale. E' anche particolarmente importante evitare con tutti i mezzi che le armi chimiche di Bashar Assad, un altro loro sostenitore indefesso e fornitore di armi di ogni genere, finiscano nelle loro mani in tempi di grande confusione quali quelli che adesso corrono nella zona. Dobbiamo intervenire perché questo non avvenga. Quanto all'Iran il mondo intero deve intensificare i suoi sforzi perché una simile forza terrorista non possa raggiungere il possesso dell'arma nucleare: è evidente e totalmente inaccettabile quale generale ricatto internazionale potrebbe nascere da questa disgrazia".
Un articolo lucido e intelligente, da leggere e far leggere. Ecco perché è riesploso l'odio per Israele
Vittorio Dan Segre
Vittorio Dan Segre
La ruggine fra Israele e la BBC che nella sua copertura quotidiana delle Olimpiadi di Londra ha menzionato Gerusalemme come capitale della Palestina e Israele unico fra tutti i Paesi partecipanti - come Paese senza capitale non è nuova. Più volte la grande emittente britannica ha dovuto riconoscere il «disequilibrio» fra la presentazione di notizie concernenti Israele e quelle degli arabi. Gli attentatori suicidi sono combattenti radicali; i militari utenti di «violenza eccessiva» nel rispondere a 4.000 razzi lanciati da Gaza contro il proprio territorio.
Per la prima volta nella popolarissima serie dei BBC Promenade Concerts l'emittente inglese ha rifiutato di trasmettere un concerto (dell'Orchestra filarmonica israeliana) per pressione araba. L'atteggiamento «equanime» della BBC non è che un aspetto del rovente clima anti israeliano intellettuale e di sinistra inglese ma non solo. Israele «è uno stato di feccia» per il direttore di Amnisty Frank Johansson. Il canale 4 ha offerto agli ascoltatori un intero programma intitolato «Dentro la lobby israeliana britannica» che dovrebbe dominare il partito conservatore. Un tema in voga dopo il successo del libro di due professori di Harvard, J. Mearsheimer e S. Walt «Il Lobby Israeliano che sarebbe la «coda» che fa muovere il cane politico americano. Oggi è diventato facile pubblicare libri, non importa di che valore, a condizione che denigrino Israele. I sindacati degli insegnati delle scuole inglesi chiedono di boicottare Israele; molte università si oppongono alla presenza di professori e di dottorandi israeliani; nonostante le promesse del governo militari di alto grado e addirittura l'ex ministro degli esteri e ex capo del partito di opposizione Kadima Zipi Livne hanno rinunciato a recarsi in Inghilterra per tema di essere arrestati su azione legale mossa contro di loro per violazione di diritti umani (palestinesi).
L'aver ora accentuato i pericoli che la presenza degli atleti israeliani può causare alle olimpiadi è dettato non solo dalla antipatia che molti media inglesi sviluppano per Israele ma dal fatto che il sistema incaricato di garantire la sicurezza di questo grande avvenimento sportivo si è rivelato a detta
Frank Johansson, direttore di
Amnesty. Per lui Israele è
"uno stato di feccia"
degli inglesi stessi «fallimentare». Il personale reclutato attraverso una compagnia di sicurezza privata soprattutto fra disoccupati di origine straniera si dimostrato impreparato, incapaci di seguire le istruzioni di allarme, di rimanere sveglio in servizio. I dirigenti della società in questione si sono ufficialmente scusati e hanno promesso di intensificare i corsi di istruzioni. Il bisogno di mettere le mani avanti facendo di Israele un capo espiatorio per tutti i problemi di sicurezza che potrebbero verificarsi è diventato pressoché istintivo.
Il caso inglese non è del resto né nuovo né unico. Il tribunale Russel per i «crimini di guerra» che non ha mandato dell'ONU è la più potente lobby politica culturale, legale contro Israele pieno di Premi Nobel (José Saramago ha paragonato Ramallah a Auschwitz) mentre per Michel Warschawski «Israele è un ghetto super armato di immensa paranoia e bombe atomiche». Se Obama non sarà rieletto la colpa sarà della Lobby ebraica. C'è qualche cosa di profondo in questo anti israelianismo serpeggiante un po' ovunque: l'invidia per Israele e la rabbia di dover riconoscere di aver torto. Il conflitto palestinese si rivela non essere la causa delle convulsioni del mondo arabo; la teoria di Obama secondo la quale stendendo la mano al mondo arabo musulmano questo diventa - come prevedeva il presidente americano nel suo famoso discorso del Cairo nel 2008- meno anti occidentale e anti americano si è dimostrata fallace. È irresponsabile pretendere da Israele di fare «concessioni» a Palestinesi sempre più divisi e che rifiutando di negoziare con Israele hanno probabilmente sperperato l'appoggio della amministrazione americana più favorevole nella loro storia.
Ma tutto questo sembra meno importante dell'irritante fatto del fiorire di Israele nel mezzo alle catastrofi del mondo arabo musulmano. Non è certo una situazione comoda o sicura per uno stato degli ebrei oggetto da settarismo mediatico, da continue domande di sanzioni, e da distorsioni accademiche. Ma per due nemici «viscerali» di Israele - Turchia e Iran - l'anno in corso è stato disastroso col dilagare di un islamismo sunnita che in Libia, Egitto, Siria non sente bisogno di seguire il modello non arabo turco e ancor meno quello shiita persiano. La guerra civile in Siria sta distruggendo il paese-cuore del nazionalismo arabo senza rimpiazzarlo con alternative di potere che non siano tribali, anti occidentali, anti cristiane. Non è dai guai altrui che Israele può trarre sicurezza. Ma il suo sviluppo economico in mezzo alla crisi mondiale, la solidità del suo sistema democratico e legale, il rifiuto del milione e mezzo dei cittadini arabi di passare sotto controllo di un eventuale stato palestinese, lo piazza come il solo paese del Medio oriente in cui le minoranze etniche -religiose si sentono protette. Assieme ai suoi sistemi di difesa e di offesa, Israele, anche se isolato e da molti delegittimato, rappresenta un capro espiatorio più coriaceo di quello che i suoi avversari e alcuni dei suoi cosiddetti amici, vorrebbero.
Olimpiadi - Lo Stato dIsraele compare privo di capitale
LONDRA - Il premier Benyamin Netanyahu ha reagito ieri con collera dopo avere scoperto che lo Stato di Israele compariva come privo di capitale nel sito web allestito dalla Bbc in occasione dei Giochi olimpici. Secondo il quotidiano Haaretz, Netanyahu è rimasto sbalordito nel notare che nella pagina relativa a Israele non si faceva alcun riferimento a Gerusalemme (la capitale autoproclamata dallo Stato ebraico), mentre nella pagina della Palestina veniva menzionata Gerusalemme est.
Haaretz precisa che, in seguito a una formale lettera di protesta del premier, la Bbc ha aggiornato la pagina di Israele, informando adesso con una circonlocuzione che "la sede del governo israeliano è a Gerusalemme, anche se la maggior parte delle ambasciate si trovano a Tel Aviv". Ma la categoria di 'capitale', per Israele, non esiste ancora in quel sito.
Per quanto riguarda la Palestina, la Bbc scrive che "la progettata sede di governo è a Gerusalemme est, mentre Ramallah funge da capitale amministrativa". Haaretz nota che la schermaglia fra Netanyahu e la Bbc non si è ancora conclusa. Il premier ha infatti ordinato che sia aperta una pagina Facebook da dove coordinare ulteriori pressioni sulla emittente britannica.
(www.tio.ch, 22 luglio 2012)
Si conferna che Gerusalemme resta il punto cruciale per le nazioni. Non riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico significa prendere una precisa posizione. In quel giorno avverrà che io farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli; tutti quelli che se la caricheranno addosso ne saranno malamente feriti" (Zaccaria 12:3).
Una volta dicevamo "mai più" e ancora forse osiamo ripeterlo per la Giornata della Memoria o Yom HaShoah. Mai più stragi, mai più discriminazioni, mai più ebrei nel mirino dei carnefici. Ma di fatto ci ritroviamo con una terribile continuità a piangere persone uccise in quanto ebree. Questa settimana c'è stata la strage in Bulgaria, prima Tolosa, prima ancora Eilat, i Fogel, Mumbai... La memoria si satura, gli anniversari si sovrappongono: chiediamo invano che nella cerimonia olimpica si ricordi la strage di Monaco di quarant'anni fa; l'attentato di Burgas è accaduto lo stesso giorno di quello che devastò il centro sociale ebraico di Buenos Aires, fra un po' saranno i trent'anni di quello di Roma, i palestinesi hanno appena onorato come eroi i resti di un centinaio di terroristi di cui Israele ha riconsegnato loro i resti...
E si moltiplicano anche i tentativi di strage contro gli ebrei: negli ultimi mesi Istanbul e la Thailandia, l'India e l'Azerbaijan e Cipro, tutti con una chiara matrice iraniana o di Hezbollah, spesso con arresti e confessioni dei responsabili; a una recente audizione alla Knesset un responsabile militare ha parlato di dieci tentativi analoghi a quello di Eilat negli scorsi mesi provenienti dal Sinai, sventati dall'esercito israeliano. E naturalmente ci sono i razzi da Gaza ora anche provenienti dalla Libia, altri razzi dal Sinai, le armi chimiche della Siria che rischiano di finire ad alimentare l'arsenale ricchissimo di Hizbullah, puntato contro il nord; sullo sfondo la bomba atomica e i missili a lunga gittata che l'Iran continua a costruire nonostante tutti gli embargo: tutta una rete che si stringe intorno a Israele e agli ebrei.
E per favore, nessuno mi venga a dire che Israele e gli ebrei sono cose diverse, problemi diversi, che i poveri palestinesi o iraniani fanno solo la guerra a Israele e noi non c'entriamo: basta andare davanti a una sinagoga, a una scuola o una casa di riposo e vedere le camionette militari e le altre misure di sicurezza, i nostri dirigenti che devono muoversi con la scorta, e così in mezzo mondo; basta vedere un po' di sermoni islamici su Youtube per capire che c'è un solo problema, un solo terrorismo. Non erano israeliani ma ebrei i morti di Tolosa, quelli di Buenos Aires, il piccolo Gay Taché a Roma. E anche se l'attacco fosse a uno stato, che guerra è ammazzare turisti che vanno in spiaggia all'estero, sgozzare bambini, cercare di fare esplodere diplomatici in paesi terzi, mettere bombe in pullman e ristoranti?
Questo problema, il nostro problema, è infatti del tutto eccezionale nel panorama internazionale. Quale altra religione, quale altra minoranza, quale altra nazione è braccata in questo modo? Che altri turisti devono temere per la loro vita non recandosi in luoghi tumultuosi come lo Yemen o il Mali dove forse è ragionevole attendersi dei guai, ma in una tranquilla spiaggia del Mar Nero o anche a casa propria, di notte, nel sonno? Che altro paese viene continuamente minacciato di essere "cancellato dalla carta geografica", boicottato culturalmente ed economicamente, indagato dalle organizzazioni internazionali se si difende don una barriera di sicurezza o reagisce ai bombardamenti dei suoi vicini? Chi deve difendere confini e aeroporti da minacciate invasioni di vicini e "militanti"? Quale stato riceve per anni e anni una media di cento razzi o colpi di mortaio al mese su case civili, scuole, fabbriche?
Noi ci siamo tutti ormai un po' assuefatti a questa situazione. Quando un consiglio dei diritti umani dell'Onu, che è stato presieduto fino all'anno scorso dalla Libia di Gheddafi e forse ha ancora al suo interno Siria e Iran e analoghi modelli di democrazia, emette la quinta o la tredicesima o la ventesima condanna di Israele, ci viene quasi da ridere. Ci dimentichiamo quasi che è un altro tassello di un piano aggressivo condotto instancabilmente. Quando un altro organismo dell'Onu, che si dice culturale e mai si sognerebbe di ammettere l'Eta proclamando al contempo la cattedrale di San Juan de Compostela patrimonio culturale dell'inesistente paese basco, ammette invece l'Anp come Stato e decide che la basilica della Natività o la Tomba di Rachele sono patrimonio culturale palestinese, scrolliamo le spalle. Quando il Comitato Olimpico si rifiuta di commemorare gli atleti israeliani ammazzati durante le Olimpiadi di Monaco, protestiamo educatamente, raccogliamo firme, e naturalmente il comitato olimpico ha più paura del boicottaggio dei ricchi arabi e del loro terrorismo che delle nostre firme e abbozza.
Noi ci difendiamo, ma restiamo educati e civili. Chi ha mai sentito dire il più estremista politico israeliano che tutti gli arabi andrebbero sterminati? Chi ha paura di attentati ebraici alle scuole arabe o ai diplomatici, ai turisti, agli atleti arabi nel mondo? Quando in Israele qualche estremista sfregia una moschea con una scritta, o fa un atto di terrorismo vero, com'è accaduto una sola volta vent'anni fa, i colpevoli non sono certo esaltati, ma condannati dall'opinione pubblica, indagati e processati. Anzi, siamo tentati di essere i primi della classe in tolleranza e apertura, di fingere che esista un "processo di pace" dove c'è un piano a tappe ripetutamente proclamato da Fatah e Hamas per espellere tutti gli ebrei dalla "Palestina storica".
Forse facciamo bene, perché credere nelle favole fa dormire meglio e non prendersela per le provocazioni previene il mal di fegato. Ma forse dovremmo anche renderci conto che una grande macchina dello sterminio di nuovo scalda i motori, misura la sua forza, si prepara ad agire e certamente non si farà fermare da qualche vecchia stretta di mano a Washington e da un pezzo di carta firmato a Oslo. Forse dovremmo impostare il tema della prossima Giornata della Memoria - credo si decida in questi mesi - sul perché la Shoà non è mai finita davvero, perché ancora siamo chiusi nel ghetto e fatti oggetto di pogrom. Perché ebreo, israeliano, sionista sono insulti. Perché i Protocolli dei Savi di Sion e Mein Kampf sono best seller in mezzo mondo, uguagliati solo dai sermoni islamisti. E' una proposta che difficilmente verrà accolta, lo so bene. Ma in cambio abbiamo tutti avuto di recente il piacere di conoscere il tema della prossima giornata internazionale della cultura ebraica di quest'anno, che è sull'umorismo. Come dice Freud, se non sbaglio, l'umorismo ebraico nasce dal tentativo inconscio di far proprio e anticipare l'antisemitismo, per ammortizzarne gli effetti psichici. Appunto.
Londra 2012: come in 'Munich', Mossad a caccia di terroristi
LONDRA, 22 lug. - Una squadra del Mossad si aggira in Europa alla ricerca di un gruppo di terroristi impegnati a progettare un attentato contro il team di atleti israeliani delle Olimpiadi di Londra. Non e' il sequel di "Munich", il film con cui Steven Spielberg ha raccontato gli omicidi mirati di esponenti palestinesi messi in atto da Israele in Europa dopo la strage di Monaco del 1972, ma uno scoop del Sunday Times, in mattinata smentita dal governo dello Stato ebraico. Nell'anno in cui ricorre il 40esimo anniversario dell'operazione in cui vennero uccisi, e alla luce dell'attentato a una comitiva israeliana a Burgas, il governo guidato da Benjamin Netanyahu ha messo in moto sia lo Shin Bet che il Mossad per proteggere la delegazione di 38 persone che partecipera' a Londra 2012 ma soprattutto per anticipare le mosse di chi vuole ucciderli. L'intelligence israeliana, riporta il quotidiano britannico, "e' a caccia di bianchi europei convertiti all'Islam, e alle dipendenze di Quds (la forza di elite delle Guardie della rivoluzione dell'Iran) ed Hezbollah, gruppo terrorista sostenuto dalla Repubblica islamica. Uno degli obiettivi e' un terrorista con il passaporto americano, che viaggia con l'identita' di David Jefferson, del quale si sono perse le tracce dopo l'attentato di Burgas" e "in possesso di un congegno esplosivo potente" e simile a quello usato nell'aeroporto bulgaro mercoledi' scorso.
L'intelligence "non va a caccia di fantasmi", ha reagito Israele. "Siamo molto vigili", ha spiegato il ministro della Difesa, Ehud Barak, anche perche' attentati ne corso di Olimpiadi "sono gia' accaduti. Ricordiamoci di Monaco". Ma, ha precisato Amos Gilad, capo di gabinetto dello stesso Barak, "l'intelligence non lavora nel modo" descritto dal Sunday Times. "Dobbiamo avere informazioni precise, e' un lavoro da formiche. Vi sono state tentativi di Hezbollah e dell'Iran in tutti i Paesi, ma dobbiamo mantenere il senso delle proporzioni, essere freddi ed equilibrati nonostante la difficolta' della situazione".
1944, Rodi-Auschwitz ebrei italiani dalle rose all'inferno
di Umberto Gentiloni
Piazza Martiron Evreon, nel quartiere ebraico di Rodi
RODI - Un lungo abbraccio, dopo sessantasette anni, un incontro inatteso, imprevisto, quasi incredibile. Sami Modiano e Moshe Cohen fanno parte del gruppo di sopravvissuti alla distruzione della comunità ebraica dell'isola di Rodi. Senza saperlo si danno appuntamento per celebrare l'anniversario della deportazione (23 luglio 1944). Faticano a riconoscersi, sopraffatti dalla lacrime e dal tempo che li separa dall'ultimo incontro a Roma nel 1945.
I loro destini non si erano più incrociati: Modiano, dopo alcuni anni trascorsi nel Congo belga, vive oggi tra Rodi e Ostia; Cohen aveva lasciato l'Italia per combattere volontario contro gli inglesi in Medio Oriente, e dopo un periodo in Israele si è trasferito in California. Si guardano intensamente, l'occhio cade sui numeri tatuati sull'avambraccio dai nazisti nella Sauna di Birkenau nell'estate del 1944: sono divisi da 150 cifre, nella sequenza che unisce i pochi scampati alla selezione sulla rampa della morte. Erano partiti dall'isola delle rose insieme, quando la macchina della deportazione nazista si era messa in moto. Ricordano a fatica, commossi e felici di incrociare il loro cammino. I racconti sfiorano gli sguardi dei turisti che popolano la città vecchia nei pressi della Giuderia, il vecchio quartiere ebraico.
È una storia secolare quella della comunità di cui sono parte: cominciata nel XVI secolo, si interrompe il 18 luglio di sessantotto anni fa. I capifamiglia vengono arrestati dai tedeschi, con il pretesto di un controllo dei documenti, e rinchiusi nella Kommandantur, già caserma dell'Aeronautica militare italiana. Il tempo di Rodi italiana, iniziato con la guerra del 1912, si era chiuso nel 1943 con il passaggio dell'isola sotto il controllo nazista. Ma lasciamo parlare Modiano: «Il giorno dopo, il 19 luglio, chiesero a tutti i familiari di fare un fagotto con i beni di prima necessità: cibo, vestiti e oggetti di valore. Cercavano soprattutto oro. In silenzio andammo anche noi verso la caserma, mio padre Giacobbe era già lì. Restammo chiusi per alcuni giorni».
All'alba del 23 luglio 1944 ha inizio il lungo viaggio verso la fine. I numeri sono incerti, mancano riferimenti anagrafici e ricostruzioni attendibili. Dopo un breve tratto di strada fino al porto, circa duemila persone vengono stipate in quattro o cinque chiatte adibite al trasporto di animali. Un viaggio per molti insopportabile. Una prima sosta all'isola di Kos per imbarcare altri nuclei familiari, poi rotta verso il Pireo. «All'improvviso la nostra adolescenza era finita del tutto», prosegue Modiano. «Già nel 1938 ero stato espulso dalla scuola italiana in seguito all'applicazione delle leggi razziali di Mussolini. Avevo un maestro bravissimo, lo ricordo ancora con nostalgia. Il viaggio fu davvero una marcia di avvicinamento verso l'inferno. Il caldo, gli odori, i bisogni e i primi cadaveri gettati in mare».
Ad Atene il trasferimento su un treno, per molti un oggetto sconosciuto e misterioso. L'arrivo ad Auschwitz il 16 agosto. Un mese di viaggio attraverso l'Europa nel vivo della fase decisiva dell'offensiva alleata al cuore del Terzo Reich. Ebrei italiani scovati e catturati in un'isola del Dodecaneso, a ridosso della costa turca, quando già Roma era in mano agli anglo-americani e la guerra di Hitler si stava trasformando in una sconfitta, una resa incondizionata. Eppure la macchina dello sterminio non si inceppa, non conosce ostacoli, prosegue il suo cammino di morte e terrore.
Anche il viaggio dei rodioti è senza ritorno. Poche decine i sopravvissuti: 31 uomini e 120 donne ce la fanno. Per tutti loro la dolorosa ricerca dei familiari e di una patria: Rodi passa alla Grecia nel 1947, i beni dell'antica comunità si popolano di nuovi inquilini. Il ritorno alla vita è lontano dall'isola. Diverse le mete: America, Australia, Argentina, Italia, Israele, Congo o Sud Africa. Rodi rimane nel cuore di tutti, come imperativo per non dimenticare, omaggio ai tanti sommersi che non ci sono più. «È un mondo che se n'è andato in fretta, eravamo migliaia e l'isola era un luogo fantastico. Quando cammino per queste stradine nel silenzio della sera lo rivivo con dolore. Eravamo ospitali e solidali. In pochi metri vivevano ebrei, musulmani e cristiani. Si parlava ladino (la nostra lingua), turco, italiano e greco. Se penso al paradiso non riesco a trovare un'immagine migliore».
Il tempo scorre impietoso. La stele di granito nella piazza Martiron Evreon (dei martiri ebrei) recita in sei lingue «Alla memoria eterna dei 1604 ebrei di Rodi e Kos sterminati nei campi di concentramento nazisti. 23 luglio 1944». L'antica sinagoga è a pochi passi, la comunità oggi non raggiunge le trenta unità. Modiano depone un sasso in memoria della sua famiglia e di tutti gli altri: «Sono tornato vivo da quell'orrore per tutti loro, per poter raccontare a chi è venuto dopo o non credeva, per non disperdere la loro voce e la loro memoria».
La comunità ebrea dell'isola di Rodi ha una storia ricca che risale al secondo secolo AC, quando per prima volta è menzionata nel libro dei Maccabei. Altri accenni alla presenza ebraica sull'isola si trovano negli scritti dello storico ebreo Josephus Flavius. Gli ebrei di Rodi, come gli altri ebrei che vivevano in Grecia, parlavano in greco e conducevano i servizi religiosi in greco, seguendo il rito romaniota, diverso dal rito Sefardita, Ashkenazi e riti italiani.
Durante il regno dei Cavalieri di San Giovanni nel XIV secolo, gli ebrei dell'isola furono relegati nella zona sud orientale della città vecchia, dove rimasero fino alla loro deportazione nel 1944, nei campi di sterminio nazista. Nel 1500, il Grande Maestro D'Aubusson cacciò tutti gli ebrei che rifiutarono di convertirsi alla fede Cristiana. Sembra che per un corto periodo non ci furono più ebrei sull'isola di Rodi, fino al 1522 quando Solimano il Magnifico degli Ottomani decise di ripopolare la parte ebraica dell'isola. Fece un richiamo agli ebrei sparsi in tutto l'impero, per venire a Rodi, per sviluppare una nuova comunità. Gli ebrei che vennero erano Sefarditi, che avevano trovato rifugio nell'impero ottomano dopo essere stati espulsati dalla Spagna nel 1492. Questi ebrei portarono con loro la loro cultura, le loro usanze e tradizioni, la loro lingua che era l'Espanyol come la chiamavano loro, anche conosciuta come "Ladino" e "Giudeo-Spagnolo. Il quartiere ebreo della città era chiamato popolarmente "La Juderia"....
Hollande: la deportazione di ebrei nel 1942 è stato un crimine commesso da noi
PARIGI, 22 lug. - La persecuzione degli ebrei in Francia nel 1942 e la loro deportazione ad Auschwitz ''e' stato un crimine commesso in Francia dalla Francia''. Lo ha affermato il presidente Francois Hollande nel suo intervento alla cerimonia per commemorare il 70esimo anniversario delle retate del 16 e del 17 luglio con cui la polizia francese aveva arrestato 13.152 ebrei, la maggior parte dei quali donne e bambini, a Parigi e nei dintorni della capitale, su ordine della Germania nazista. Hollande ha cosi' seguito la strada aperta da Jacques Chirac nel 1995 nell'infrangere quello che in Francia rimane un tabu', le giornate del Vel d'Hiv, dal velodromo di Parigi in cui furono radunati gli ebrei arrestati in vista della loro deportazione. La fiducia di queste persone nei valori della Francia, molti di loro infatti erano profughi fuggiti dai paesi dell'est europa, era stata ''calpestata''. ''Questo significa tradire'', ha aggiunto Hollande nella cerimonia che si e' svolta sul sito in cui si trovava il velodromo coperto distrutto da un incendio nel 1959, vicino alla Tour Eiffel.
Egitto: un'esplosione distrugge la conduttura del gas verso Israele
IL CAIRO - Un'esplosione ha distrutto nel Sinai la conduttura che trasferisce gas a Israele e Giordania. E' la quattordicesima esplosione che colpisce l'infrastruttura dal 2011. La deflagrazione si e' verificata vicino alla citta' di El Arish. La vendita di gas dall'Egitto a Israele e' stata di recente al centro di un braccio di ferro tra i due Paesi dopo la caduta del regime di Hosni Mubarak.
Cio: "Sì al ricordo di Monaco'72, ma non negli stadi"
Commemorazione della strage degli israeliani in municipio
dell'inviato Francesco Grant
Jacques Rogge
Per un ebreo esistono sei sensi: vista, udito, tatto, olfatto, gusto e memoria. L'aforisma dello scrittore americano Jonathan Safran Foer può forse aiutare a comprendere la vicenda della commemorazione della strage di Monaco '72 alle Olimpiadi di Londra; anche per quanti non si riterranno soddisfatti del si' che il Cio ha comunicato in queste ore alle pressanti richieste di ricordare quel massacro. La pagina nera dell'olimpismo moderno, quella strage che non fermò i Giochi 40 anni fa, sarà ricordata a Londra come chiesto da tanti. Ma solo nella City, la città nella città, e non alla cerimonia d'apertura o in altri 'siti' olimpici . Ci sarà anche Jacques Rogge, presidente del comitato olimpico internazionale, il 6 agosto alla Guildhall - il parlamento municipale della City londinese - per la commemorazione delle 11 vittime del massacro provocato dal blitz terroristico, tra il 5 e il 6 settembre del '72 nel villaggio olimpico di Monaco di Baviera. Furono uccisi 11 tra atleti e tecnici della squadra di Israele, oltre a un poliziotto tedesco e 5 feddayn. Dai familiari delle vittime era partita una raccolta di firme per chiedere al Cio un minuto di silenzio durante la cerimonia d'apertura, nel quarantennale di quel settembre nero. Un'onda che ha smosso anche il Senato Usa, il ministro degli esteri tedesco Westerwelle, una nutrita pattuglia bipartisan di politici italiani. E ha riaperto antiche ferite e nuove paure, nella città d'Europa più esposta al rischio terrorismo.
La risposta del Cio è arrivata con una lettera al neonato parlamento ebraico d'Europa, firmata da Jacques Rogge, belga di Gand, nel '72 atleta a Monaco nella vela e ora presidente del Cio. ''Interverrò con un discorso alla commemorazione del 6 agosto", dove ci saranno i familiari, il sindaco Boris Johnson, rappresentanti del governo e della squadra d'Israele ma anche il presidente del Coni Gianni Petrucci e Mario Pescante. Rogge ricorda tutto quello che nel passato il Cio ha fatto per tener viva la memoria, e sottolinea che il ricordo sarà rinnovato il 6 settembre all'aeroporto di Monaco. L'ufficialità della presenza Cio alla cerimonia londinese, decisa nei giorni scorsi dall'esecutivo, è giunta in Israele nello Shabbat, e la reazione informale è stata un misto di soddisfazione e amarezza: "al minuto di silenzio negli impianti olimpici fa da scudo il no dei paesi islamici", è la convinzione in Israele. "Se un rammarico dobbiamo avere, è il non aver fatto qualcosa di più a Monaco - spiega invece Pescante - Ero nella palazzina di fronte a quella del blitz dei terroristi, dopo l'iniziale choc non si seppe più molto. E i Giochi continuarono". La scelta di ricordare alla Guildhall e non nei siti olimpici "é stata presa dal Cio senza alcun tipo di pressione esterna, con il pieno consenso del comitato israeliano e di Alex Gilady, membro del comitato olimpico: è il modo più consono per commemorare quel giorno terribile - prosegue Pescante - E d'altra parte, il Cio e il comitato olimpico italiano lavorano da 12 anni al riavvicinamento tra israeliani e palestinesi, con qualche successo in più della politica...". Dalla quale il Cio ha l'obiettivo di tenersi più lontano possibile. In queste ore ha provocato più di qualche imbarazzo il no che il Foreign Office ha opposto all'ingresso in Gran Bretagna di un alto dirigente del comitato olimpico iraniano, membro anche del governo di Teheran. Piccolo caso diplomatico, almeno questo in via di risoluzione.
"Ho ordinato all'esercito di Israele di prepararsi per una situazione in cui dovremo valutare la possibilità di un attacco" contro gli arsenali chimici di Damasco. Lo ha detto il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, in un'intervista televisiva. Un alto funzionario del ministero della Difesa israeliano, Amos Gilad, spiega che l'attacco sarebbe mirato a impedire che i missili di Damasco finiscano nelle mani di militanti libanesi o di Al Qaeda.
le scrivo in riferimento all'articolo scritto da Umberto De Giovannangeli «Israele, un Paese "murato" per 1000 km» pubblicato sul suo giornale il 12 luglio scorso. In particolare vorrei porre la sua
attenzione su alcuni punti: ovviamente non posso non essere d'accordo con quanto detto da Yigal Allon: «Nessun Paese moderno può circondarsi di mura »; ed lsraele come ogni Paese moderno e democratico non lo vorrebbe, ma questa barriera difensiva, come tutti sanno, ci è stata imposta dalla terribile realtà degli attacchi terroristici. La decisione della costruzione della barriera tra lsraele e la Cisgiordania presa all'inizio degli anni 2000, dopo che nelle strade israeliane erano stati uccisi più di mille cittadini innocenti. La barriera difensiva è riuscita ad evitare la riuscita del 90% degli attentati che erano stati pianificati in Cisgiordania. Dalla costruzione della barriera difensiva la vita «normale» è tornata nelle strade del Paese, rendendo allora possibile il ritorno al tavolo dei negoziati con i palestinesi. La barriera è stata costruita bilanciando la necessità della sicurezza per lsraele e la vita quotidiana della popolazione palestinese, il tracciato è stato modificato alcune volte, a seconda della decisione della Corte Suprema israeliana, con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita dei palestinesi. Ad esempio per proteggere i mezzi di sussistenza dei palestinesi, Israele ha trasferito 90.000 alberi d'olivo dalla parte occidentale a quella orientale della barriera difensiva. Basti pensare che alcuni militari israeliani hanno irrigato gli alberi, fino a fargli mettere le radici. Anche le altre barriere difensive che sono già state costruite o che si pensa di costruire nei confini internazionali d'Israele, sono il risultato della realtà dei paesi circostanti. Purtroppo i vicini d'Israele non sono né la Francia né la Svizzera, bensì Siria ed Egitto, con gli scossoni che caratterizzano oggi questi Paesi. ll diritto naturale d'Israele è quello di proteggersi soprattutto contro le infiltrazioni di elementi terroristici e il contrabbando di armi. Negli ultimi anni si è aggiunto anche il problema dell'immigrazione illegale, che aumenta esponenzialmente. Poiché Israele è l'unica economia occidentalizzata, l'unico Paese sviluppato che si trova «lungo il cammino » dei Paesi del Corno d'Africa, divenendo così l'obiettivo di quanti cercano una vita migliore. Ma essere un piccolo Paese, con una popolazione di 7.5 milioni di persone non ci permette di affrontare il flusso d'immigrati. Come accade in altri Paesi occidentali, come ad esempio la stessa Italia, la quale per contenere il fenomeno dell'immigrazione è costretta a porre dei limiti d'ingresso. Anche altri Paesi occidentali, come ad esempio la Grecia, in scala ridotta, hanno costruito una barriera al confine con la Turchia e, in scala più ampia la barriera tra gli Usa e di il Messico. Amio parere, i pionieri sionisti se avessero visto lo Stato d'Israele oggi, con la sua società democratica e vibrante, l'economia stabile e sviluppata, il potere della tecnologia e della cultura che è ai massimi livelli in tutti i campi a dispetto di tutte le complicate sfide della sicurezza, sarebbero molto orgogliosi dei risultati ottenuti dello Stato d'Israele.
(lUnità, 21 luglio 2012)
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Ho vissuto dietro il muro di Berlino
di Egmond Prill
Testimonza di un pastore evangelico che è cresciuto dietro un vero muro di separazione: il muro di Berlino.
Israele costruisce una barriera di sicurezza per proteggersi dal terrorismo quotidiano. In alcuni punti è un poderoso, alto bastione con sistemi di sicurezza elettronici. A molti ricorda il muro che ha diviso in due Berlino. "Il nuovo muro di Berlino", è stato chiamato, e così agli occhi di molti giornalisti la barriera di Israele ha trovato il nome adattto. Anche il vescovo bavarese Friedrich ha usato un titolo simile e ha invitato a porre fine alla divisione del paese e alla costruzione del muro.
Io ho vissuto decine di anni dietro il muro, dietro l'autentico muro di Berlino, dietro la linea di demarcazione, con fili spinati, cani da combattimento, campi minati e impianti di sparo automatico. Ho vissuto nella DDR e per dieci anni proprio a Berlino. Il muro è stato costruito nel 1961 dai governanti di Berlino est come "baluardo antifascista" contro la Bundesrepublik e la Berlino libera. Ma soltanto diversi giorni dopo la costruzione del muro è diventato chiaro che la struttura di recinzione non serviva contro l'Ovest, ma contro l'Est. I sistemi di sparo miravano al proprio popolo. La DDR si assicurava non contro l'assalto dell'Ovest, ma contro la fuga della propria popolazione.
Israele non costruisce nessun "muro di Berlino". Non è un fabbricato contro il proprio popolo, e non è neanche un muro contro un altro popolo. E' un costoso tentativo di proteggere una cosa che deve stare a cuore ad ogni Stato civilizzato e per la quale nessun prezzo è troppo alto: la vita dei suoi cittadini. Israele protegge se stesso dai terroristi con un muro. Per una lunghezza di chilometri il semplice cammino verso Haifa, Netanya, Herzliya viene sprangato dalla barriera. Con controlli quotidiani fatti da civili - davanti a ogni supermarket, davanti ad ogni cinema, davanti ad ogni pizzeria bisogna aprire la propria borsa - Israele protegge la vita nel proprio paese. E' una difesa passiva dal terrorismo, una cosa che ogni tanto gli addetti ai controlli pagano con la propria vita. Il muro serve a migliorare la difesa.
L'opinione pubblica mondiale si è pronunciata raramente contro il vero muro di Berlino, che i comunisti nell'Est e molti democratici dell'Ovest hanno lodato come linea della pace. Israele costruisce un muro, e subito diventa un impedimento alla pace. Mi attento a dire che se Israele piantasse uva spina lungo la linea verde, anche questa azione verrebbe criticata a causa delle spine.
Il fatto che lo Stato ebraico protegga i suoi cittadini irrita il mondo. Se Israele si difende, molti Stati si arrabbiano, perfino gli americani. Arriva quindi subito la condanna dell'Assemblea dell'Onu. Gli USA sono diventati più silenziosi dopo che a metà ottobre tre diplomatici USA sono saltati in aria a Gaza e alla fine di ottobre a Bagdad diversi attentatori suicidi si sono gettati contro la centrale della Croce Rossa internazionale con autambulanze piene di bombe e hanno fatto saltare in aria più di quaranta aiutanti.
Adesso gli edifici dell'Onu a Bagdad e le sedi degli aiuti internazionali in Iraq devono essere meglio protetti: muri doppi di cemento con paratoie vengono costruiti.
(Israelreport, aprile 2003 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Israele nel mirino. Attentato a Burgas genera paura e sgomento
Ieri in Bulgaria 8 morti e 31 feriti: come mettere fine al terrorismo islamico?
di Rachele Hassan
'Atto barbaro' l'attentato che ieri ha colpito un autobus di turisti israeliani in Bulgaria, presso l'aeroporto di Burgas: Barack Obama ha definito così l'ennesimo atto terroristico islamico, sancendo di nuovo l'impegno degli Stati Uniti verso la sicurezza di Israele, cui sono legati da una nota e risalente amicizia.
8 morti, 31 feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni: le unità di emergenza della Magen David Adom (l'equivalente della Croce rossa italiana), appresa la tragica notizia, sono partite immediatamente da Israele per occuparsi dei feriti, soccorsi in ospedale.
Il Jerusalem Post riferisce che il sospettato attentatore avrebbe avuto con sé un passaporto americano falso; le telecamere di sicurezza aeroportuali avrebbero visto l'uomo in giro un'ora prima dell'esplosione. Ma è ancora incerta la dinamica dei fatti: in un primo momento si è ritenuto che l'attentato sarebbe stato causato da una bomba posta nel vano bagagli dell'autobus. Viceversa, un'indagine svolta dalle autorità bulgare in collaborazione con l'FBI, la CIA e le autorità israeliane, crede ora si sia trattato di un attentatore suicida, descritto come un tizio dai capelli lunghi e l'abbigliamento sportivo.
Sul luogo dell'orrore, sono arrivati il presidente bulgaro, il primo ministro, il ministro dell'interno, nonché il ministro degli esteri Nickolay Evtimov Mladenov, che ha tenuto aggiornato telefonicamente il suo collega israeliano Avigdor Lieberman. Alla voce di Obama si sono aggiunte le condanne da parte delle autorità dei Paesi dell'Onu. Benjamin Netanyahu ha additato l'Iran come responsabile, dichiarando una pronta risposta.
Ancora una volta domina terrore e sgomento. Le autorità aeroportuali bulgare hanno deviato tutti i voli sullo scalo di Varna, sempre sul Mar Nero; le misure di sicurezza sono state rafforzate anche all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, dove hanno annunciato ritardi dei voli in partenza e in arrivo dall'Europa. Peraltro, sono state sospese le partenze per Azerbaijian, Grecia, Serbia, Turchia, Croazia, Thailandia e Sud Africa.
Alle ragioni di una spietata violenza non c'è risposta. L'odio genera fomento, il fomento follia, la follia morte. È aberrante.
Ma come si combatte contro chi non ha paura di morire?
I figli di Israele vanno difesi ma neppure l'America si impegna contro il terrore
di Fiamma Nirenstein
La carne giovane è la preferita dai terroristi. La perdita dei figli è stata sempre un'arma da essi usata per distruggere l'anima stessa di un Paese che della salvaguardia dei giovani che lo proteggono con la propria vita ha fatto il suo principale scopo. Basta pensare che 1500 prigionieri nella maggior parte terroristi sono stati consegnati all'Autorità Palestinese in cambio di un ragazzo solo, Gilad Shalit. Chi lo intende, può capire anche che cosa abbia attraversato ieri Israele, quando ha seppellito in fretta prima dello Shabbat (che interdice la sepoltura) quattro giovani e una donna quarantenne, Kochava Shikri, incinta dopo tanti tentativi. Lo aveva saputo solo quel giorno, ha raccontato sua sorella, ed era raggiante. Suo marito ferito nell'attentato a sua volta, il volto tumefatto, mentre la seppelliva non si capacitava di averla cercata fra i feriti senza trovarla, senza sapere per un giorno intero. I giovani uccisi erano amici per la pelle: insieme, raccontano le mamme, viaggiavano, lavoravano, progettavano. Amir Menashe e Itzik Kolangi, ventottenni, sono stati uccisi e sepolti nello stesso cimitero. Lasciano la disperazione dei genitori e delle mogli che li vedono scendere sotto terra e restano con i loro neonati di pochi mesi. Insieme nell'amicizia e nella morte anche Elior Price, di 26 anni, e Maor Harush, di 25.
L'amicizia in Israele è fatta di una vita insieme nella fatica e nel cameratismo dell'esercito che dura tre anni, nel rischio che non ti lascia mai anche in vacanza, ed è allora che sei il ventre molle di Israele. Allora è facile per gli jihadisti colpire. In questi mesi tentando un numero di attentati che disegna una situazione strategica nuova, si è organizzato un vero esercito di Guardie della Rivoluzione Iraniana e dagli Hezbollah all'estero: si calcolano circa ventimila militanti sparsi per il mondo. La diagnosi è che stavolta la scelta sia andata a un autobus di turisti perchè gli obiettivi simbolici, ambasciate e personaggi, erano stati tentati senza successo.
Gli americani da ieri, con gli Israeliani, certificano che il terrorista di Burgas sia un hezbollah guidato dall'Iran. Ora, se fossero vere le ipotesi finora smentite dalla Svezia, l'attentatore al servizio degli Hezbollah sarebbe uno svedese di origine tunisina che ha fatto qualche anno a Guantanamo come jihadista ed è stato liberato per l'impegno della Svezia stessa. Per ora è certo soltanto che la Bulgaria ha in mano il dna dell'attentatore. Vedremo. Ma è certo che quando il 9 luglio gli Usa hanno aperto il Global Forum contro il terrorismo appena fondato, su richiesta turca, Israele è stato escluso. Non solo: citando la lista dei Paesi colpiti dal terrore la sottosegretaria di Stato americano Maria Otero si è dimenticata di citarlo. In queste ore Obama e Netanyahu parlano al telefono, perchè Obama teme una reazione israeliana sul Libano degli hezbollah o su obiettivi iraniani. Ma è difficile credere a un'alleanza vera contro il terrore quando gli Usa discriminano il Paese più colpito e fra i più capaci.
L'Italia ebraica ricorda le vittime del terrore in Bulgaria
Numerose le cerimonie di commemorazione per le vittime dell'attentato in Bulgaria in svolgimento in queste ore nelle sinagoghe e nelle Comunità ebraiche di tutta Italia. Da Roma a Milano, da Firenze a Torino, al fianco degli ebrei italiani in queste ore di grande dolore, sofferenza e vicinanza allo Stato di Israele e alla sua gente i massimi rappresentanti delle istituzioni e tanti cittadini comuni.
Rav Eliahu Birnbaum
TORINO - Ieri sera la Comunità di Torino ha commemorato le vittime dell'attentato in Bulgaria, e ha pregato per la guarigione dei feriti, con un limud che ha visto la partecipazione, tra gli altri, del sindaco Piero Fassino e del presidente dell'Assemblea Rabbinica Italiana, Rav Elia Richetti. Rav Eliahu Birnbaum, rabbino capo di Torino, si è rammaricato di dover dare il benvenuto agli ospiti in un momento così triste; ancora una volta si è avverato il detto dei maestri secondo cui da quando inizia il mese di Av diminuisce la gioia; ieri si è aggiunto un nuovo capitolo nella storia delle sofferenze del popolo d'Israele; l'attentato - ha osservato Rav Birnbaum - è stato una tragedia non solo per il popolo ebraico, ma anche per la Bulgaria, paese in cui, grazie alla solidarietà della popolazione, nemmeno un ebreo è stato ucciso nella Shoah e terra di pace, dove diverse religioni convivono in armonia. Tuttavia - ha concluso il rav - dobbiamo continuare la nostra vita ebraica in Europa senza paura e dobbiamo saper trovare l'orgoglio di essere ebrei anche nei momenti difficili. Concetto ribadito anche da Rav Richetti: la risposta al terrorismo sta nel rafforzare la nostra consapevolezza ebraica. Noi ci siamo e ci saremo. Rav Richetti ha poi concluso augurando che Av diventi il mese della consolazione. Emanuel Segre Amar, vicepresidente della comunità, ha osservato che tra le vittime si può includere anche il kamikaze, ucciso da un'ideologia che ama la morte e non la vita. Il sindaco Fassino ha poi espresso alla comunità il cordoglio e la vicinanza di tutta la città per un crimine che non può avere nessuna giustificazione. Occorre rifiutare con fermezza ogni forma di antisemitismo, antisionismo, razzismo, intolleranza, violenza, parole diverse, ma che hanno tutte in comune il non riconoscimento dell'altro; occorre invece - ha concluso il sindaco - il rispetto dell'identità di ciascuno, perché ciascuno la possa vivere nella gioia.
Durante la Seconda guerra mondiale una manifestazione popolare impedì la deportazione di 20mila ebrei. Il Paese è rimasto una delle mete preferite dai turisti israeliani, molti dei quali di origini bulgare.
di Giulia Sabella
L'amicizia che lega Sofia alla comunità ebraica ha inizio durante la Seconda guerra mondiale. Nella storia dell'Olocausto, quella della Bulgaria viene spesso citata come una felice eccezione, e non è quindi un caso che questo paese sia spesso meta di turisti provenienti da Israele.
"L'eccezione bulgara" - Nonostante il sovrano Boris III si fosse schierato a fianco dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, nessun ebreo fu vittima della Shoah. Nel maggio del 1943, quando il Reich impose a 20mila persone di presentarsi alla stazione della capitale per essere deportati, un'immensa manifestazione bloccò la città, impedendo che venissero eseguiti gli ordini. I tedeschi arrestarono alcune centinaia di persone, ma quei treni diretti ai campi di concentramento non partirono mai dalla stazione.
Fatta eccezione per quei circa 11mila ebrei della Tracia e della Macedonia che vennero deportati a Treblinka, e dei quali spesso ci si dimentica, gli altri 50mila che vivevano in Bulgaria non vennero colpiti dalla "soluzione finale", anche se ovviamente furono vittima della discriminazione razziale.
All'indomani della nascita di Israele, complice anche l'occupazione sovietica, il 90% circa degli ebrei bulgari emigrarono nel nuovo Stato, diventando così una delle comunità più numerose.
CONTATTI TRA SOFIA E IL MOSSAD - Non c'è quindi da stupirsi che la Bulgaria sia ancora oggi una delle mete turistiche preferite dagli israeliani. Anche per questo motivo il governo di Sofia e il Mossad, il servizio segreto israeliano, hanno alle spalle una lunga storia di collaborazione, volta anche a prevenire eventuali attentati terroristici.
L'attacco che ieri ha causato la morte di 8 persone riporta in primo piano la questione della sicurezza per i turisti provenienti da Tel Aviv. Secondo quanto riferisce la Bbc, a gennaio Israele avrebbe chiesto alle autorità bulgare di rafforzare la sicurezza per i visitatori che viaggiavano con i bus, a seguito del ritrovamento di un pacchetto sospetto su un autobus di turisti proveniente dalla Turchia e diretto a Sofia.
L'anno scorso era stato sventato un attentato simile - Il presidente Rosen Plevneliev ha messo le mani avanti, dichiarando di aver incontrato i membri del Mossad proprio un mese fa e di non aver ricevuto nessun tipo di avviso circa un possibile attentato nella zona di Burgas. "L'attacco non significa che la Bulgaria sia una meta rischiosa per i turisti", ha poi aggiunto il premier, come riporta il Jerusalem Post. Secondo il quotidiano israeliano proprio l'anno scorso in Bulgaria sarebbe stato sventato un attacco simile contro un bus di turisti.
LE ACCUSE CONTRO L'IRAN - Il premier israeliano ha immediatamente puntato il dito contro Teheran, accusata di aver ordito l'attacco con la complicità di Hezbollah, che ha sempre negato ogni tipo di responsabilità. Benjamin Netanyahu ha inoltre sottolienato come ieri ricorresse il 18esimo anniversario della strage terroristica di Buenos Aires, quando una bomba collocata nel centro ebraico argentino esplose provocando la morte di 85 persone e il ferimento di altre 300. Netanyahu ha ribadito le proprie accuse, affermando che dopo 20 anni "il mortale terrorismo iraniano continua a colpire persone innocenti", promettendo che "Israele reagirà con forza".
Varsavia commemora domenica la deportazione del ghetto ebraico
Dal 22 luglio '42 deportati e uccisi in tre mesi 260.000 ebrei
Varsavia commemora domenica il 70mo anniversario della 'liquidazione' del ghetto da parte della Germania nazista, che portò alla morte centinaia di migliaia di ebrei, deportati dalla capitale polacca al campo di concentramento di Treblinka, un centinaio di Km a nord-est. E' la prima volta che in Polonia si ricorda anche la deportazione e non solo l'Insurrezione di aprile del ghetto.
A partire dal 22 luglio 1942 "in tre mesi 260.000 abitanti del ghetto furono deportati e uccisi. Circa un quarto della popolazione di Varsavia", ricostruisce Pawel Spiewak, presidente dell'Istituto storico ebraico (Zih). Creato nell'ottobre del 1940, il ghetto ebraico di Varsavia fu il più grande tra quanti sorti in Polonia, dopo l'occupazione nazista nel 1939. Esteso su un'area di tre km2, racchiudeva tra le sue mura di cinta circa mezzo milione di ebrei.
La liquidazione del ghetto rientrava nella più ampia operazione di sterminio antisemita "Reinhardt", lanciata nel 1941 dalla Germania sui territori polacchi occupati: portò alla morte di due milioni di ebrei nei campi di concentramento di Treblinka, Sobibor e Belzec.
VARESE - Le trattative per definire i dettagli sono state fitte e avvolte dal massimo riserbo per mesi, ma giovedì 19 luglio è arrivata l'ufficialità: il ministero della Difesa israeliano ha firmato un contratto per la fornitura di 30 velivoli da addestramento M-346 "targati" Alenia Aermacchi. L'annuncio dell'interessamento era arrivato nel mese di febbraio, quando a "sponsorizzare" gli aerei made in Varese era stato addirittura Udi Shinai, direttore generale del dicastero israeliano, ma mancava ancora la firma in calce al contratto che, appunto, è arrivata giovedì. L'accordo - che include velivoli, motori, manutenzione, logistica, simulatori e addestramento forniti anche da altre aziende israeliane e internazionali - è parte di una più ampia intesa tra il governo italiano e quello mediorientale. Finmeccanica, il colosso industriale in cui rientra pure Aermacchi, ha infatti annunciato che, complessivamente, i contratti stipulati con Israele hanno un valore di circa 850 milioni di dollari e che, oltre all'azienda aeronautica di Venegono, comprendono anche altre imprese italiane. Nel dettaglio, il contratto con Aermacchi ammonta a 600 milioni di dollari, ossia quasi 490milioni di euro, ma la fornitura dei trenta velivoli costerà in tutto un miliardo di dollari tondo tondo (i motori degli aerei saranno infatti prodotti negli Stati Uniti d'America e quindi non saranno di competenza "varesotta"). La notizia è stata accolta con grande soddisfazione dal sistema economico locale.
Gerusalemme - Dall'Asia, all'Europa, all'America del Sud e del Nord, all'Africa. Benijiamin Netanyahu ieri ha avvertito: una serqua di attentati a iniziativa iraniana e eseguita dagli hezbollah segnalano un pericolo che aumenta ogni giorno e che invade tutto il mondo, e che potrebbe diventare un pericolo chimico. Qui da Israele la scena è insieme assurda e consueta. Ancora famiglie i cui membri, scaricati dall'aereo proveniente dalla Bulgaria sulle barelle, sono stati tutti feriti nel medesimo attentato, feriti disperati per il dolore e che piangono l'esistenza di tanto odio, morti di cui il nome non viene rivelato finchè ogni persona collegata al caduto non sia avvertita, tutta Israele in amorosa fibrillazione mentre i 33 feriti e i corpi dei cinque uccisi vengono sbarcati dagli aerei all'aereoporto Ben Gurion. Sempre innocenti, stavolta turisti, ieri alunni delle scuole, passeggeri di autobus, avventori ai caffè, donne e vecchi al mercato. Proprio ieri era l'anniversario dell'attentato di Buenos Aires del 1994, come questo compiuto dagli Hezbollah, allora con 85 morti e centinaia di feriti. Israele, gli ebrei, seguitano a essere l'obiettivo preferito di un terrorismo sistematico, ripetuto, strategico, che colpisce in tutto il mondo.
Il terrorista suicida di cui ormai si conosce la sagoma ripresa dalle telecamere dell'aereoporto, un bianco con i capelli lunghi e sulla schiena uno zaino pieno di tritolo (quante volte gli hezbollah, e anche i palestinesi si sono serviti di tedeschi, di occidentali di varie nazionalità, o, andando più lontano, persino di giapponesi) è stato fin dai primi momenti individuato come un emissario non solo dell'organizzazione degli hezbollah, ma di un asse intero dietro il quale si erge soprattutto il massimo nemico, l'Iran.
«Un Paese che seguita a promuovere attentati - ha detto Netanyahu - chissà cosa potrebbe fare con la bomba atomica». Da Israele, che da mesi vede un moltiplicarsi degli attentati o dai tentativi di attacco, in Kenia, India, Tailandia, Georgia, Grecia, Turchia, Cipro, Azerbajan, l'indicazione dell'Iran come del burattinaio coadiuvato da molti volenterosi assassini è univoca, da Netanyahu a Barak a tutti gli esperti: la collezione di prove punta in quella sola direzione. La mobilitazione degli hezbollah, che preferiscono colpire lontano dal confine del Libano con Israele e spingersi oltremare per tenere lontana una reazione fisica immediata di Israele, è facilitata dalla ricerca di una vendetta dopo l'eliminazione mirata di Imad Mughnije nel 2008.
Ma la dimensione strategica dell'attacco, che è l'elemento più importante perchè disegna la prospettiva di attacchi programmati in tutto il mondo, l'ha spiegata mercoledì Hassan Nasrallah, il capo degli hezbollah, in un discorso sulla guerra del luglio 2006. Nasrallah ha lodato il coraggio della Siria che «ci ha dato le armi per la lotta di resistenza contro Israele non solo in Libano ma anche a Gaza»; e ha invece preso in giro per la loro viltà l'Arabia Saudita e l'Egitto per essersi sempre tirati indietro.
Ora, la casa madre fornitrice delle armi che Assad ha passato agli hezbollah è l'Iran, che oggi seguita a sorreggere la casa alawita oramai alla fine. Iran, Siria, Hezbollah: tre entità diverse in grave crisi, l'Iran per l'attacco concentrico mondiale a causa del programma atomico che richiama condanne e sanzioni, e perchè è chiaro che esso è accompagnato anche da un programma terroristico ad esso connesso come scudo di deterrenza; la Siria, perchè la rivoluzione in corso da un anno e mezzo sembra spingere senza rimedio Assad giù dalle vette del potere specie dopo l'uccisione del suo ex ministro della difesa Hassan Turkman e di suo cognato Assaf Shawkat, grosso papavero militare del regime.
Gli Hezbollah, in un Libano senza pace e senza equilibrio, cercano di mantenere il loro predominio mentre crolla il mondo che li ha sostenuti con armi, denaro, spinta ideologica sciita contro un mondo sunnita che vince le rivoluzioni arabe una dopo l'altra. L'arma che questo asse ha in mano è quello di cui il mondo arabo si è sempre servito per motivi di dominio e di sopravvivenza: l'odio antisraeliano. In questo contesto si disegna la spaventosa prospettiva che le armi chimiche siriane (di cui nei giorni scorsi abbiamo descritto il minaccioso spostamento da parte del regime di Assad) finiscano nelle mani degli Hezbollah pilotati dall'Iran, e che la catena di attentati che si disegna all'orizzonte si colleghi a questo nuovo pericolo.
É per evitare questo che americani e israeliani ai massimi livelli si incontrano intensamente in questi giorni: forse è il caso, si chiedono, di togliere quelle armi dalla circolazione a un costo che comunque sarebbe minore di un eccidio collettivo del Medio Oriente. Il rischio è spaventoso, e l'attentato di Burgas lo segnala denza pietà.
Amaro Ramazzotti ha ottenuto la Certificazione Kosher
Il Rabbino Hazan, una delle personalità più insigni della comunità ebraica la cui autorevolezza è riconosciuta a livello internazionale, ha dichiarato Amaro Ramazzotti prodotto kosher.
Una certificazione di grande valore, un riconoscimento rilevante nonché garanzia della qualità, genuinità e purezza di Amaro Ramazzotti.
Essere conforme alla legge ebraica significa aver superato rigidi, minuziosi e seri controlli sia per quanto riguarda la produzione e il confezionamento sia in merito alle caratteristiche organolettiche del prodotto.
Amaro Ramazzotti è creato nel pieno rispetto delle leggi alimentari ebraiche - kasheruth - tramandate attraverso il testo sacro Torah, norme ferree per mantenere corpo, mente e spirito sani.
Amaro Ramazzotti ha sempre fatto dell'autenticità e della naturalità i suoi cavalli di battaglia, difendendo la sua identità, istintivamente riconoscibile. L'Amaro più antico d'Italia - è nato nel 1815 - ha saputo mantenere un legame forte con la tradizione e con l'antica ricetta segreta di famiglia, creata senza l'uso di coloranti o aromatizzanti artificiali.
Un'accurata miscela naturale di 33 erbe e radici provenienti da tutto il mondo tra cui spiccano l'anice stellato, i chiodi di garofano e il cardamomo, arance amare di Curaçao e arance di Sicilia. Quest'ultime vengono ancora sbucciate a mano per mantenerne intatta la dolcezza e regalarci quel gusto amabile ed equilibrato apprezzato in tutto il mondo.
Rispettare la natura fa bene a se stessi
MILANO, 20 luglio - Seduta in buon rialzo a Piazza Affari per Finmeccanica, aiutata da una serie di fattori positivi: l'annuncio di contratti con Israele, le indiscrezioni su un'imminente offerta di Siemens per Ansaldo Energia e i buoni risultati della partecipata Avio.
Intorno alle 9,30 il titolo sale dell'1,6% a 3,006 euro, dopo essere arrivato a guadagnare fino al 2,6% con volumi tranquilli (circa un milione di pezzi contro i 6,4 milioni della media di un'intera seduta).
Ieri il gruppo ha annunciato la firma di contratti con Israele, per un valore pari a circa 850 milioni di dollari, attraverso le società operative Alenia Aermacchi, Telespazio e SELEX Elsag.
Per quanto riguarda Avio, il primo semestre si è chiuso con un Ebitda in crescita del 13% e ricavi in rialzo di oltre il 25%.
Inoltre oggi il Sole 24 Ore scrive che Siemens sta perfezionando in queste ore un'offerta per Ansaldo Energia, controllata da Finmeccanica al 55%. Il gruppo tedesco punta al 100% dell'azienda e pagherebbe 1,3 miliardi di euro.
Nessun commento da parte di Finmeccanica e di Siemens.
"Sono tutte notizie positive", commenta un trader, ricordando che la vendita di Ansaldo Energia rientra nel disegno strategico voluto dal gruppo.
Burgas - La comunità ebraica di Milano: "L'Europa ora deve reagire, abbiamo paura"
di Francesca Martelli
Una serata di preghiera alla Sinagoga aperta a tutti i cittadini: così la comunità ebraica milanese, la seconda più numerosa d'Italia, si stringe al dolore dei familiari che hanno perso i propri cari nell'attentato di ieri a Burgas, in Bulgaria. Una strage che il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha attribuito a Teheran: le indagini proseguono e in queste ore la polizia ha diffuso le immagini del presunto attentatore. "Hanno attaccato gente inerme, persone che andavano in vacanza in Bulgaria anche perché si spendeva poco - sottolinea Walker Meghnagi, presidente della comunità ebraica di Milano - ora tutta l'Europa deve reagire e dialogare affinché si blocchi questa ondata di violenze". Il portavoce della comunità Daniele Nahum esprime preoccupazione: "Molti dei nostri iscritti hanno metà della famiglia in Israele. Dopo i fatti di Tolosa, speriamo che episodi così non succedano anche in Italia. Qui le istituzioni ci proteggono, ma vorremmo poter fare a meno di questa protezione".
Le foto della cerimonia di ieri per uno studioso e celebre leader della comunità haredim
Il quartiere di Mea Sharim, nel centro di Gerusalemme, è abitato per la maggior parte dagli haredim, i cosiddetti ebrei "ultraortodossi". Gli haredim sono gli appartenenti alle frange più integraliste della religione ebraica. Si considerano eredi e custodi della tradizione che discende direttamente da Mosè. Molti di loro, che non fanno parte di un unico gruppo ben definito, ma riuniscono diverse tradizioni, soprattutto dell'ebraismo dell'Europa orientale, vestono con abiti neri e lunghi, seguendo un ideale di sobrietà e semplicità. Alcune comunità sono state criticate e accusate di razzismo e intolleranza, nonché di discriminazione nei confronti delle donne.
Ieri, un celebre studioso dei testi sacri e leader della comunità religiosa degli haredim, il rabbino Yosef Shalom Elyashiv, è morto a 102 anni dopo diversi mesi in un ospedale di Gerusalemme. Elyashiv era di origini lituane e viveva da decenni a Mea Sharim: aveva pubblicato molti libri su questioni religiose ed era stato un leader spirituale per uno dei piccoli partiti che rappresentano gli ebrei ultraortodossi nel parlamento di Israele. Elyashiv aveva 12 figli, seguendo la tradizione degli ebrei haredim di essere molto prolifici. Un suo collaboratore, intervistato da Associated Press, ha stimato il numero dei suoi discendenti "vicino al migliaio".
Italia e Israele firmano un accordo sulla cooperazione militare
ROMA, 19 lug - Il ministero della Difesa italiano ha firmato oggi con il Ministero della Difesa israeliano un accordo di cooperazione nel settore della tecnologia militare. Il documento e' stato siglato dai rispettivi Segretari Generali dei due dicasteri.
L'accordo, spiega una nota del ministero. prevede la fornitura alla Difesa israeliana di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 e relativi sistemi operativi per il controllo del volo. Mentre le Forze armate italiane potranno utilizzare un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per l'osservazione della Terra denominato Optsat-3000, realizzato in Israele, e la fornitura di sottosistemi standard Nato di comunicazione per due aerei destinati all'Aeronautica Militare. L'accordo tra governi consente alla Finmeccanica di avviare contratti per un valore di circa 850 milioni di dollari attraverso le societa' Alenia Aermacchi, Telespazio e Selex Elsag.
Venezia - Presentata la Giornata Europea della Cultura Ebraica
di Rachel Silvera
Presentata a Venezia la tredicesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica che avrà luogo il prossimo 2 settembre. La città scelta come capofila sarà il cuore pulsante della rassegna che avrà come tema centrale l'umorismo ebraico in tutte le sue sfaccettature. In apertura della conferenza stampa, Amos Luzzatto, Presidente della Comunità ebraica di Venezia ha chiesto un
minuto di silenzio
per ricordare il sanguinoso attentato del 18 luglio in Bulgaria, aggiungendo: "Proviamo dolore e sdegno per l'attentato in Bulgaria, perché inaugura un periodo di sfida. Dobbiamo difenderci con vigilanza e continuare la vita associativa senza fermarci, senza alcuna esitazione perché sarebbe un cedimento di fronte alla violenza bruta. Il nostro compito è continuare a vivere e produrre cultura." Il Presidente sottolinea poi la differenza tra umorismo e comicità e di come la vita degli ebrei, fatta di insidie e pericoli, abbia permesso di guardarsi allo specchio, riflettere, osservare con uno sguardo benevolo le proprie debolezze e individuare le contraddizioni. Gli ebrei non hanno mai perso la speranza. "Si racconta che in uno shtetl un mendicante dopo un anno può finalmente cambiarsi la camicia e si sente ricco, l'amico gli fa notare che che il principe la cambia una volta al giorno, lo zar due volte. E Rotschild? chiede. Ogni volta che la cambia se la rimette." Questa storia è esemplare per far capire che anche in povertà, gli ebrei si sono sempre appigliati a un'immagine di speranza. Superare le difficoltà con il sorriso, ridendo di noi stessi. "La conoscenza ci salverà" conclude.
L'intervento successivo è quello del vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach, alla sua prima uscita pubblica dopo la nomina di domenica scorsa. Ricorda come alla fine degli anni '90 si proponeva la Giornata della Cultura e molti rispondevano con scetticismo. Nonostante ciò si è giunti alla tredicesima edizione. Questa attività è fondamentale sopratutto per le piccole comunità, che pur con pochi iscritti mostrano il forte legame con questo retaggio storico e culturale confrontandosi e facendosi conoscere dalla cittadinanza italiana. "La conoscenza aiuta a opporsi alla violenza" dice. Insiste poi su due punti fondamentali: l'educazione, la formazione delle nuove generazioni e l'apertura verso l'esterno. " Il nostro compito è la trasmissione dei valori millenari di cui siamo portatori" aggiunge. La Giornata della Cultura è quindi l'occasione per mostrare il lavoro delle comunità. "Su duecentomila visitatori in tutta Europa, cinquantamila hanno partecipato in Italia." Venezia, capofila di questo anno, è la cornice ideale con una altissima concentrazione di sinagoghe in uno spazio esiguo. Tante sinagoghe vicine non solo perché dentro al ghetto ma per evidenziare le singole tradizioni e identità.
Interviene Adriano Rizzi, Direttore area Centro Nord Società cooperativa Culture. "Da molti anni partecipiamo collaborando con la Comunità per la Giornata della Cultura e per altre attività" esordisce. Coop culture, denominazione cambiata in culture, al plurale, per simboleggiare la caratteristica tipica delle cooperative di andare oltre la gestione economica e contribuire all'integrazione, la multiculturalità e le tradizioni. Bisogna insistere sulla didattica e perfezionarla perché è motore e fattore di crescita per nuove generazioni. "Siamo orgogliosi di aiutare la Comunità ebraica perché si integra con il nostro spirito societario" conclude. Pierfrancesco Ghetti, assessore del sindaco Giorgio Soli, si mostra subito vicino al terribile attacco in Bulgaria. Torna poi sul tema della comicità. "Perché il sindaco ha mandato me? Forse perché sono il più anziano e faccio di cognome Ghetti" risponde divertito. Rido ergo sum. Insiste sulla potenza della cultura nonostante la quotidianità. Lo humor quotidiano è un meccanismo di difesa ed esalta diversità culturale. Bisogna misurarsi con i tempi. "Questa è una grande occasione di spiegare e comunicare ai cittadini veneziani quale è lo spessore della tradizione culturale ebraica". Prima di congedarsi viene ricordato il prossimo anniversario dei cinquecento anni del ghetto di Venezia. Non è una data da festeggiare ma bisogna mostrare l'importanza storica del fenomeno che ha segnato tutta l'Europa. Sono previsti film, commedie bibliche, esposizoni e conferenze. Paolo Navarro Dina, giornalista del Gazzettino e mediatore della conferenza stampa anticipa brevemente cosa accadrà nell'imperdibile appuntamento del 2 settembre: "Ci saranno proiezioni cinematografiche, attività per bambini". Venezia si animerà con il riso ebraico e con lei le comunità sparse per tutto lo stivale. Una risata ci salverà.
Gaffe della Tv tedesca, Wiesenthal scambiato per un criminale nazista
La foto del perseguitato al posto di Csatary
Simon Wiesenthal, il più noto cacciatore di nazisti al mondo, scambiato per Laszlo Csatary, il più ricercato criminale nazista vivente: accade in diretta sul primo canale della tv pubblica tedesca Ard, nell'edizione serale del tg. Pronte le scuse del direttore della testata, che ha imputato la gaffe alla "fretta" nel montare il servizio.
Finmeccanica sigla contratti per 850 milioni di dollari con Israele
MILANO, 19 luglio - Finmeccanica annuncia oggi la firma di contratti per un valore pari a circa 850 milioni di dollari attraverso le società operative Alenia Aermacchi, Telespazio e SELEX Elsag.
Una nota della società, che conferma quanto indicato da una fonte, spiega che si tratta di commesse assegnate nell'ambito di un accordo di collaborazione tra il governo italiano e quello israeliano.
In particolare Alenia Aermacchi fornirà 30 velivoli da addestramento avanzato M-346. L'accordo ha un valore complessivo pari a circa 1 miliardo di dollari, di cui circa 600 milioni di dollari di pertinenza di Alenia Aermacchi. La consegna del primo esemplare è prevista per la metà del 2014.
Da Telespazio, in qualità di prime contractor, arriverà al Ministero della Difesa italiano un sistema satellitare militare ottico ad alta risoluzione per l'osservazione della Terra, per un valore superiore a 200 milioni di dollari.
SELEX Elsag si occuperà della fornitura dei sistemi di identificazione, comunicazione e dei computer per il controllo di volo dei 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 la fornitura, per un valore di circa 41 milioni di dollari, dei sottosistemi a standard NATO di comunicazione, link tattici e identificazione per due velivoli CAEW (Conformal Airborne Early Warning).
Bulgaria - Attentato a comitiva israeliana, almeno 7 morti
I turisti viaggiavano su tre autobus, tra le ipotesi anche l'opera di un kamikaze. Netanyahu: «Tutti gli indizi portano all'Iran»
Un attentato contro una comitiva di israeliani si è verificato mercoledì, alle ore 17.30 locali, a Burgas in Bulgaria subito dopo l'atterraggio di un aereo proveniente da Tel Aviv. Lo ha riferito la televisione commerciale israeliana Canale 10. Le prime testimonianze provenienti dalla Bulgaria riferiscono di una potente esplosione che ha investito tre autobus dove viaggiavano turisti israeliani appena usciti dall'aeroporto di Sarafovo. Secondo le prime ricostruzioni, l'esplosione sarebbe avvenuta sul primo autobus, mentre gli altri due sarebbero poi andati a fuoco nel parcheggio. A bordo c'erano 44 persone.
TESTIMONE - Secondo testimoni intervistati dalla radio militare l'esplosione sarebbe stata opera di un attentatore suicida salito sull'autobus insieme alla comitiva.
EMERGENZA - I servizi di emergenza israeliani si stanno organizzando per inviare soccorsi in Bulgaria. Al momento il bilancio della disgrazia è di 7 morti e una ventina di feriti. Il premier bulgaro Boiko Borisov, il ministro dell'interno Tsvetan Tsvetanov e l'ambasciatore israeliano in Bulgaria sono partiti per Burgas.
IPOTESI - Dietro l'attentato a Burgas contro una comitiva israeliana vi sarebbe l'Iran. Lo ha detto il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. «Tutti gli indizi portano all'Iran». Secondo testimoni intervistati dalla radio militare israeliana l'esplosione sarebbe stata opera di un attentatore suicida salito sull'autobus insieme alla comitiva. Confermando la notizia dell'attentato Israele ha avanzato un'altra ipotesi: «A quanto sembra vi è stato un attacco contro un pullman che trasportava dei turisti israeliani, vi sono stati dei colpi d'arma da fuoco e un ordigno è stato lanciato contro il veicolo», ha dichiarato un portavoce dell'ufficio del Primo ministro, Ofir Gendelman. Più cauto il Ministero degli Esteri, il cui portavoce ha sottolineato come le cause dell'esplosione siano ancora ignote e non ha fornito né il numero delle vittime né confermato che siano tutte di nazionalità israeliana.
BURGAS - La città è un importante centro turistico sul Mar Nero, meta abituale di israeliani e non solo, molto noto per i locali e il divertimento notturno a prezzi decisamente bassi. I militari israeliani da tempo avevano segnalato la Bulgaria, e soprattutto questa zona della costa, come obiettivo sensibile per attacchi terroristici. Il paese è molto vulnerabile perchè i terroristi si possono infiltrare dalla vicina Turchia.
Ancora una strage, ed ancora una volta tante persone "autorevoli" si sentiranno in dovere di esprimere la loro "partecipazione", la loro "solidarietà" agli ebrei morti. Tuttavia, e va qui detto con forza, queste stragi sono perpetrate perchè si permette, coi sorrisi, che i terroristi compiano tranquillamente il loro lavoro.
Non più tardi di questa mattina, nella mia rassegna stampa su Moked, ho criticato le espressioni del presidente Napolitano rivolte al suo ospite Abu Mazen, uomo dotato di "estrema saggezza e pazienza"; certamente è molto "saggio" colui che, dopo aver collaborato coi terroristi in gioventù (non dimentichiamo che è l'uomo che assicurò i finanziamenti della strage di Monaco '72), non perde occasione di onorare i terroristi palestinesi morti nel perpetrare i loro vili attentati. Saggio? Forse paziente sì, visto che aspetta sempre il prossimo terrorista da onorare, ma saggio proprio no.
Permettetemi un ulteriore osservazione. E' ben noto che in Francia gli attentati antisemiti sono in terribile aumento. Ebbene, questa sera il canale televisivo pubblico France 24 ha "dovuto" annunciare la notizia dell'attentato in Bulgaria. Sì, ma perchè ne parlo, vi chiederete voi? La notizia è passata dopo gli annunci dei morti, purtroppo i soliti morti, in Siria, e dopo le notizie sul Tour de France. Capito? Perfino dopo le notizie della grande boucle. Questo è il valore della notizia dell'ennesima strage di ebrei. Ah no, forse sbagliavo. Dei soliti israeliani, colpevoli come, e forse peggio delle SS. E allora non stupiamoci dell'aumento dell'antisemitismo.
Morto a 102 annil l'illustre rabbino Yosef Shalom Elyashiv
GERUSALEMME, 18 lug. - Il rabbino Yosef Shalom Elyashiv, rispettato dagli ebrei di tutto il mondo come massima autorità religiosa della sua generazione, è morto oggi nell'ospedale Shaare Zedek di Gerusalemme all'età di 102 anni. Lo rendono noto fonti ospedaliere, le quali hanno precisato che Elyashiv è morto al termine di una lunga malattia. Il rabbino era leader della setta lituana degli ebrei ultraortodossi ashkenaziti, che si attengono a uno stile di vita religioso e a un'ideologia molto rigidi. Elyashiv ha dedicato la sua vita allo studio della Torah e ha attribuito la sua longevità alla sua capacità di non arrabbiarsi mai. Ha sempre rifiutato le proprietà terrene e ha scelto di vivere in modo modesto in un piccolo appartamento di Gerusalemme, dove le persone si recavano che chiedere consigli, benedizioni e pareri su questioni riguardanti la legge ebraica.
La Società Biblica in Israele ha fatto trovare ai membri del Parlamento di Gerusalemme il Nuovo Testamento nella loro cassetta delle lettere. In conseguenza di questo, alcuni parlamentari si sono lamentati dicendo che nessun materiale missionario dovrebbe essere diffuso nella Knesset. L'organizzazione però, stando alle sue dichiarazioni, con questa azione non voleva fare proselitismo, né tanto meno offendere qualcuno, ma soltanto spiegare.
Ben-Ari mentre strappa il Nuovo Testamento
Nei giorni scorsi molti deputati della Knesset hanno aperto la cassetta della posta nel loro ufficio e vi hanno trovato una Bibbia, composta da Antico e Nuovo Testamento. Alla Bibbia ebraica appartiene di solito soltanto la parte dell'Antico Testamento. La Società Biblica in Israele, un'organizzazione di ebrei messianici, aveva inviato un esemplare della loro nuova Bibbia. Gli ebrei messianici considerano se stessi come ebrei, e credono in Gesù come il Messia. E' la prima volta - spiega a Israelnetz Victor Kalisher, direttore della Società Biblica, - che una Bibbia composta da Antico e Nuovo Testamento viene stampata con riferimenti incrociati in lingua ebraica. "Come segno di rispetto, come dono e per far conoscere, abbiamo voluto inviare ai dirigenti del nostro paese per primi la nostra nuova edizione." La maggioranza dei parlamentari è stata grata, soltanto pochi hanno commentato "senza rispetto" l'invio postale.
Commenti negativi sono venuti da diversi schieramenti politici. Zippi Hozovely, deputato del Likud - il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu -, secondo il quotidiano israeliano "Jerusalem Post" ha scritto una lettera al presidente della Knesset, Reuven Rivlin, in cui si dice: "Non può essere che nella Knesset sia diffuso materiale missionario (...) Testi che sono stati usati per perseguitare e maltrattare (ebrei) non possono essere distribuiti davanti alla porta principale dello Stato d'Israele".
- "Un libro disgustoso"
Michael Ben-Ari, membro della Knesset appartenente al partito religioso "Unione Nazionale", secondo il quotidiano "Ha'aretz" ha strappato il Nuovo Testamento della Bibbia e l'ha gettato nella pattumiera. Stando all'articolo, l'ha definito come "libro disgustoso", che "ha portato all'uccisione di milioni di ebrei durante l'Inquisizione".
Il presidente della delegazione cristiana nella Knesset, David Rotem, ha definito l'invio, secondo il racconto del quotidiano, non come un "lavoro missionario", ma come un "atto di stupidità".
Il rabbino ordinato e deputato del partito religioso Shass, Nissim Ze'ev, non ha ricevuto nessuna Bibbia, ma tuttavia ha voluto commentare sul "Jerusalem Post" l'invio postale fatto ai suoi colleghi: "Queste sono persone che pensano che tutti gli ebrei in Israele devono essere convertiti al cristianesimo. Per questo ricevono doni da tutto il mondo. Come possiamo liberarli da questa idea? Ze'ev ha invitato il governo israeliano a sostenere di più la diffusione di valori ebraici, "affinché i cristiani non riempiano il vuoto." Ha anche sottolineato che la legge vigente contro il proselitismo deve essere rafforzata. Nel 1977 Israele ha approvato la "legge anti-missione", che vieta di indurre altri a cambiare religione con incentivi materiali.
Insieme alle Bibbie l'organizzazione ha inviato una lettera. In essa Kalisher mostra con orgoglio la pubblicazione della nuova Bibbia con 90.000 note, prodotta in collaborazione con ricercatori in Israele e dall'estero. A Israelnetz ha detto: "Con queste note si può vedere la stretta connessione delle parole nella Torah con il Nuovo Testamento. Molte delle profezie contenute nella Torah sono avverate nel Nuovo Testamento."
- Inviare un Corano alla Knesset?
Ai membri arabi e ultra-ortodossi della Knesset la società ha detto di non aver inviato Bibbie. Israelnetz ha chiesto a Kalisher che cosa direbbe se dei musulmani inviassero il Corano alla Knesset. "Ognuno può fare quello che vuole - ha risposto Kalisher -. Se io come parlamentare ricevessi una tale pubblicazione, ne prenderei semplicemente atto. Per chi ci crede, è un libro sacro, per me no."
In definitiva, "il Nuovo Testamento è stato scritto da ebrei per ebrei," ha detto Kalisher. La maggior parte delle persone nel mondo sostengono Israele a causa della loro origine cristiana. La lettura del Nuovo Testamento potrebbe aiutare i membri della Knesset a comunicare con queste persone.
- "Diffondere la parola di Dio"
Non è la prima volta che la Società Biblica in Israele invia il Nuovo Testamento ai politici. Nel 1970 l'organizzazione - stando alle sue dichiarazioni - ha consegnato all'ex primo ministro israeliano David Ben-Gurion la prima traduzione del Nuovo Testamento in ebraico. Secondo Kalisher, in quella occasione Ben Gurion è stato contento ed ha apprezzato il dono.
(Israelnetz, 18 luglio 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
I ciechi tornano a vedere con le sinfonie di suoni
di Viviana Kasam
Amir Amedi
È cominciato tutto con i pipistrelli. Da bambino, guardandoli volare nel cielo stellato sopra il Monte Scopus, Amir Amedi, giovane neuroscienziato israeliano, Phd alla Hebrew University di Gerusalemme, e post-doc a Harvard, si chiedeva come fanno a orientarsi e a non sbattere contro gli oggetti, essendo notoriamente ciechi.
E così, da adulto, si è messo a studiare il rapporto nel cervello tra visione e suoni, e ha sviluppato apparecchiature avveniristiche che consentono ai ciechi, anche congeniti, di «vedere» attraverso stimoli sonori, riconoscere le espressioni facciali, leggere, localizzare oggetti complessi nello spazio.
«All'inizio il mio lavoro era teorico - racconta -: attraverso la Risonanza magnetica funzionale ho scoperto un'area nel cervello che integra l'informazione tra visione e tatto ed è localizzata nel mezzo della corteccia visiva». L'area si chiama «Lotv», «lateral-occipital tactile-visual area». Poi - continua - «ho dimostrato che questa esiste anche nei ciechi congeniti, precede cioè la visione, non ne è una conseguenza. Il cervello, insomma, è organizzato secondo un modello cross-sensoriale e non, come si pensa, per aree specializzate, ciascuna per un senso».
Lavorando con i ciechi per verificare la teoria, quindi, Amir iniziò a chiedersi se non era possibile sviluppare qualcosa per aiutarli. «Sono 45 milioni nel mondo e 100 milioni le persone con gravi handicap alla vista: migliorare la loro quotidianità è un compito di grande valore sociale». E' nato così «Ssd» («Sensory substitution device»), una scatola non più grande di un pacchetto di sigarette, che sostituisce la tradizionale canna, «oggetto medioevale», sostiene Amir. Il suo «Ssd», brevettato dalla Yissum, l'agenzia della Hebrew University per il «technology transfer» - funziona secondo il principio dei sensori delle auto e dei sonar dei delfini.
Si è rivelato l'uovo di Colombo. Emette da uno a quattro raggi verso gli ostacoli per un raggio di 180o e un'altezza fino a due metri, convertendo l'informazione in suoni, che sono gravi o acuti, ascendenti o discendenti, brevi o lunghi, a seconda di posizione, distanza e consistenza dell'oggetto. Bastano pochi minuti di pratica per utilizzarlo. Dovrebbe arrivare entro un anno o due sul mercato, a circa 100-150 euro.
Ma è solo l'inizio. Ciò che Amir sta sviluppando all'Edmond and Lily Safra Center for Brain Sciences - il centro dedicato al cervello e che è il gioiello della Hebrew University - è una protesi video-acustica. In pratica, una microtelecamera montata su un paio di occhiali, collegata a un minicomputer tascabile, o anche a uno smartphone, e dotata di cuffia stereofonica che trasforma le immagini in ambienti sonori, grazie a un «algoritmo magico», come lo definisce Amir (che non per nulla è un bravo sassofonista jazz). Non un singolo suono, perciò, ma una sinfonia, che, decodificata grazie a un addestramento che dura da 20 a 70 ore, consente di sapere quante persone ci sono in una stanza e dove si trovano, di interpretare la loro espressione, di trovare le scarpe sotto il tavolo, di leggere delle parole, di riconoscere i colori. I filmati sono mozzafiato: sono stati presentati in Italia il 6 luglio scorso a Pisa, in un incontro organizzato dalla Fondazione Andrea Bocelli.
«Il mio lavoro con i ciechi è interattivo - dice il giovane scienziato, 34 anni -. Stiamo imparando molto sul funzionamento del cervello di chi utilizza gli "Ssd" e siamo arrivati a conclusioni che sovvertono alcuni principi delle neuroscienze». E' noto - aggiunge - «che l'elaborazione visiva segue due percorsi: quello ventrale è collegato alla decodifica della forma, dell'identità degli oggetti e del colore, mentre quello dorsale analizza le informazioni spaziali, attivando la pianificazione viso-motoria». Sebbene la dissociazione sia largamente provata, rimane poco chiaro il ruolo dell'esperienza visiva nel modellare l'architettura funzionale del cervello. Vale a dire: quanto dipende dall'esperienza del vedere? Le ricerche di Amedi hanno dimostrato che anche il cervello dei ciechi dalla nascita ha un'analoga suddivisione della corteccia visiva e che i due percorsi si attivano anche in presenza di stimoli diversi, purché collegati all'identificazione degli oggetti.
Tutto ciò significa, quindi, che la natura della visione non è collegata esclusivamente alla vista! Non solo. Altre ricerche di laboratorio hanno evidenziato che ci sono aree nel cervello che non sono specifiche per un solo senso, ma che sono collegate e si possono attivare in seguito a input sensoriali diversi. «E' ipotizzabile che il cervello sia una "task machine", una macchina organizzata per compiti», sostiene Amir. E allora lo si potrebbe «risvegliare» alla vista: per esempio con protesi della retina o interfacce uomo-computer, capaci di aumentare le capacità cognitive e sensoriali, creando abilità sovrumane.
Dopo appena due mesi di alleanza dentro il governo israeliano, il leader di Kadima Shaul Mofaz torna all'opposizione; la disputa sulla leva obbligatoria anche per gli ultraortodossi (e per gli arabi) continua ad essere un ostacolo insormontabile per i governi israeliani, e Netanyahu non se l'è sentita di abbandonare gli alleati della prima ora per andare incontro a quelle che sono, sicuramente, le idee della maggioranza della popolazione. Oltre ad una breve sul Corriere è interessante leggere il Financial Times che approfondisce il problema di una fetta di popolazione che finisce sempre più nelle difficoltà economiche anche per le conseguenze di questa realtà.
E di denaro si parla anche nelle vicende che coinvolgono Woody Allen, al quale il presidente Peres (coi sindaci di Gerusalemme e di Tel Aviv), cercano di assicurare enormi finanziamenti se si deciderà a girare un film in una città israeliana; lo leggiamo sul Figaro e nell'articolo di Cinzia Romani sul Giornale.
Il TG di ieri ha mostrato il Presidente Napolitano con Abu Mazen, e alcune parole sono state subito da molti giudicate per lo meno inopportune. Le riprende oggi, senza criticarle, Giovanni Trotta sul Secolo d'Italia: Napolitano ha elogiato "l'estrema saggezza e il senso della misura" del leader palestinese (in realtà parlò di estrema saggezza e pazienza), e sul Tempo Maurizio Piccirilli cita anche "il fattore positivo per la stabilizzazione democratica rappresentato dall'esperienza storica dell'ANP". A chi scrive questa rassegna tali frasi sembrano quanto meno inopportune, e ricordano altre espresse in un passato non lontano in favore di Assad e, più recentemente, della nascente democrazia in Tunisia.
Proprio del regime di Assad parlano tutti i quotidiani di oggi, ma oltre alle usuali stragi nelle città siriane (ieri soprattutto nella capitale Damasco), è importante analizzare quello che le determina. Su Europa Alberto Mucci scrive che poco importano le iniziative di Kofi Annan, e sono già dimenticate le parole di Hillary Clinton che lo scorso 8 luglio affermava che i giorni di Assad sono contati; fin dopo le elezioni USA niente sarà fatto. Renzo Guolo scrive su Repubblica che, qualora Assad dovesse cadere, i sunniti legati ai sauditi (ed ai turchi che hanno girato le proprie attenzioni dall'Europa al Medio Oriente) bloccherebbero le mire degli sciiti su tutta quell'area strategica. Come gli iraniani si troverebbero accerchiati, così finirebbero le mire neo-ottomane di Erdogan; queste sarebbero le preoccupazioni di Kofi Annan che spesso si è recato nei giorni scorsi a Teheran e nelle altre capitali. Camille Eid su Avvenire sostiene che gli alawiti alla fine lasceranno il potere centrale e si ritireranno sulla fascia costiera dove si trovano le importanti città di Latakia e Tartus; il piano sarebbe già in fase di attuazione con una pulizia etnica della quale poco si parla. Di simile piano si legge anche nell'intervista rilasciata a Maurizio Molinari su La Stampa da Joshua Landis, esperto di Medio Oriente; egli, al contrario, ritiene che gli alawiti non vorranno ritirarsi nelle loro storiche roccaforti, prive di acque e di elettricità. Sul Foglio Daniele Raineri scrive che adesso Assad, dopo che i leaders di Hamas hanno lasciato Damasco, inizia a sparare anche sulle enclavi palestinesi, mentre Hamas cerca di tenere bassi i toni per non dar troppo spazio alle lotte interne tra arabi e, soprattutto, per l'influenza iraniana. A Damasco intanto i Fratelli Musulmani stanno aumentando la loro presenza, così come gli uomini di al Qaeda. Raineri riporta anche le prime dichiarazioni che l'ex fedelissimo di Assad, suo cruciale ambasciatore a Baghdad, sta rilasciando; da queste si evidenziano le azioni fatte contro gli americani dai siriani dal momento della caduta di Saddam Hussein, sempre vicino al rais siriano. Mirko Molteni su Libero scrive che Assad sta richiamando a Damasco i suoi uomini schierati lungo il confine col Golan israeliano, confine che così può riempirsi di jihadisti. Luca Geronico su Avvenire paventa che Assad abbia già fatto uso delle armi chimiche (cosa che non sarebbe una novità in Siria dopo le stragi compiute con tali armi da Assad padre).
Lorenzo Cremonesi sul Corriere spiega che la realtà tribale per ora sembra prevalere nel dopo elezioni libiche, ed un governo provvisorio avrà 18 mesi di tempo per formulare la nuova costituzione. In un'intervista firmata L.Cr. intervista tuttavia il leader dei Fratelli Musulmani che si dichiara convinto della vittoria del suo partito grazie alla vicinanza ideologica con molti indipendenti eletti. In tale intervista si dice chiaramente che comunque la sharia sarà alla base della prossima legislazione.
Massimo Galli su Italia Oggi scrive che la crescita in Israele cala dal 4,7% ad un probabile 3,1%; Netanyahu sarebbe intenzionato a lasciar crescere il deficit fino al 3%, sperando di mantenere Israele unica isola felice nell'attuale panorama occidentale.
Andrea Avveduto su Avvenire dedica un articolo alla difficile situazione dei cristiani a Gaza, oramai ridotti a circa 1500, sottoposti ad ogni genere di soprusi per cercare di mantenere la loro fede. Avveduto non esita, oggi, a parlare delle bambine cristiane prese in sposa dagli islamici e degli assassinii di coloro che non vogliono convertirsi.
Pierluigi Battista aveva scritto ieri un invito agli sportivi italiani ad onorare gli atleti israeliani morti a Monaco '72; gli risponde oggi sul Corriere il presidente del CONI Petrucci con una lettera importante nella quale assicura che gli atleti italiani il prossimo 6 agosto onoreranno la memoria dei caduti a Londra insieme al comitato olimpico israeliano.
Infine un'altra speranza, seppur tenue, nasce dalla lettura di Abdolmohammadi Pejman sul Secolo XIX: su facebook alcune donne iraniane fanno sentire la loro voce contro l'imposizione dello chador. Sono solo poche migliaia, per ora, ma ricordando anche i giovani iraniani che grazie ad internet si entusiasmano per le canzoni dei cantanti israeliani, e in particolare di una famosa cantante di origini iraniane, ci si deve domandare se prima o poi anche gli ayatollah non vedranno tempi difficili in casa loro.
Gruppi a Gaza sequestrano giovani per convertirli all'Islam
GAZA, 17 lug - ''A Gaza sono attivi gruppi che cercano di convincere giovani cristiani a convertirsi all'Islam. Talvolta li sequestrano, li separano dai genitori e dalle famiglie, e li minacciano'': l'accusa, scrive l'agenzia di stampa palestinese Maan, e' giunta a Gaza dall'Arcivescovo greco-ortodosso Alexios che ha inscenato un clamoroso sit in di fronte alla propria Chiesa.
Trovato un antico porto vicino alla cittadella di Akko
Akko
TEL AVIV, 17 lug - I resti di un porto, vecchio di 2.300 anni, risalente all'epoca ellenistica: li hanno scoperti archeologi israeliani vicino alla cittadella fortificata di Akko, l'antica San Giovanni d'Acri, nel nord del paese. Gli scavi - secondo il sito di Ynet - hanno portato alla luce anche pavimenti di arenaria, mura, pietra di ceramica per gli ormeggi e metalli vari.
La scoperta ha messo in luce così quello che è ritenuto il più importante porto dell'epoca in Israele. Tracce dell'esistenza del molo del porto erano state rinvenute già nel 2009 e in scavi precedenti ma ora - secondo Kobi Sharvit, Direttore della Sovrintendenza alle Antichità Marine, citato da Ynet - per la prima volta sono state scoperte porzioni di porto che univano l'antica linea costiera e la città ellenistica.
«Sfortunatamente - ha aggiunto l'archeologo - gli altri tratti del molo continuano sotto le mura ottomane». Gli scavi invece proseguiranno nei tratti in cui è possibile in modo da scoprire la funzione dello scalo e se ci sono connessioni tra la sua distruzione e quelle verificatesi ad opera dei Tolomei nel 312 avanti Cristo o quella causata dalla rivolta degli Asmonei nel 167, sempre avanti Cristo, o legate ad altri eventi.
Cooperazione Ue-Israele sulla ricerca di fonti d'energia rinnovabile
Nuovo memorandum d'intesa
BRUXELLES, 17 lug - Energia verde e desalinizzazione dell'acqua: sono queste le principali priorita' della cooperazione Ue-Israele. E' quanto prevede un memorandum d'intesa Ue-Israele, in linea con il piano d'azione comune fissato nel 2005, nell'ambito della politica di vicinato dell'Unione.
Entrambe le parti, riferisce il sito web di Enpi (www.enpi-info.eu), punteranno su iniziative congiunte che serviranno ad assicurare una fornitura di energia e acqua rispettose degli standard ambientali internazionali, a caccia di tecnologie piu' efficienti e sostenibili. Al centro della ricerca saranno quindi rinnovabili, reti intelligenti, e-mobility, efficienza energetica e carburanti alternativi al petrolio, mentre sul fronte dell'acqua la ricerca si concentrera' sulla desalinizzazione, tutte aree dove Israele dispone di una forte expertise scientifica. L'accordo di cooperazione Ue-Israele ha una durata iniziale di cinque anni e prevede attivita' di ricerca e informazione scientifica comune, ma anche scambio di risultati, staff, attrezzature e materiali.
2 settembre - Giornata Europea della Cultura Ebraica
Capofila Venezia e quest'anno il tema e' l'umorismo ebraico
ROMA, 17 lug - Ridere come atto creativo, per non cedere alle avversita' della vita. Da Mel Brooks a Woody Allen, da sempre umorismo fa rima con ebraismo. A ricordarlo sara' la Giornata Europea della Cultura Ebraica, che si terra' il 2 settembre in 28 paesi d'Europa e in 64 localita' italiane, capofila Venezia, incentrata quest'anno proprio sull'umorismo ebraico, ''arma pacifica e vincente'' come ricorda il presidente Ucei Renzo Gattegna. Per l'occasione tanti eventi da Nord a Sud, da Trieste a Siracusa.
Contengono manufatti che coprono 500.000 anni di evoluzione umana
La grotta Nahal Me'arot/Wadi El-Mughara
Nuovo ingresso tra i luoghi riconosciuti come Patrimonio dell'Umanità per un bene storico israeliano. Si tratta di 4 quattro antiche grotte nella zona del Monte Carmelo. L'Unesco, infatti, ha deciso di aggiungere le grotte Nahal Me'arot/Wadi El-Mughara - Tabun, Jamal, El-Wad e Skhul tra i siti posti sotto la sua tutela così da garantirne la conservazione per le generazioni future.
Le quattro grotte sono ubicate in una delle più importanti zone fossili del mediterraneo e contengono manufatti che coprono 500.000 anni di evoluzione umana, dal Paleolitico inferiore fino ad oggi, secondo quanto evidenziato lo scorso mese di maggio da un documento di sintesi redatto dalla commissione Unesco che si occupa del riconoscimento dei siti, tali da essere considerati patrimonio dell'umanità.
Un'area di 54 ettari che fornisce prove e testimonianze dell'evoluzione del passaggio di vita dell'uomo da raccoglitore e cacciatore ad agricoltore ovvero ad un vita comunitaria più sedentaria con anche ritrovamenti di reperti dell' epoca di Neanderthal fino ai periodi di definizione dell'uomo anatomicamente moderno.
Tra i siti posti in Israele sotto la tutela dell'Unesco ricordiamo: Masada, la Città Bianca di Tel Aviv, Megiddo e Tel Hazor, Beer Sheva, la Via dell'incenso nel deserto del Negev, i Giardini Bahai di Haifa, il Giardino del Bab in Haifa, e ora, le Grotte di Me'arot Nahal.
Monito di Netanyahu a Ader: Sta tornando l'antisemitismo
Un mese fa capo parlamento ha commemorato scrittore filo-nazista
GERUSALEMME, 17 lug. - Il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha espresso preoccupazione per la recrudescenza dell'antisemitismo in Ungheria incontrando a Gerusalemme il presidente ungherese, Janos Ader. "Israele e il mondo ebraico sono preoccupati per il ritorno del fenomeno dell'antisemitismo in Ungheria", ha dichiarato Netanyahu ad Ader, secondo un comunicato diramato dal suo ufficio. "E' estremamente importante attaccare alle radici questo pericoloso fenomeno prima che si possa estendere", ha aggiunto il premier israeliano.
Un mese fa la partecipazione del presidente del Parlamento ungherese, Laslo Kover, ad una commemorazione in onore dello scrittore ungherese filo-nazista Jozsef Nyiro aveva avvelenato le relazioni fra i due Paesi. Nyiro, che era anche parlamentare, aveva sostenuto Miklos Horthy, dittatore alleato di Hitler, al potere in Ungheria dal 1920 al 1944, poi Ferenc Szalasi, il leader del partito nazista delle Croci frecciate che contribuì alla deportazione di migliaia di ebrei magiari verso i campi di sterminio tedeschi.
La sera di lunedì 23 (alle 21.15) la Piazza Colombo di Camogli si riempirà di una musica molto particolare, la musica Klezmer: canti, intonazioni, danze e musiche di varia destinazione provenienti da quel vasto patrimonio che è la diaspora ebraica, rivivranno grazie all'appassionata comunicativa, alla straordinaria capacità d'improvvisazione ed all'estro interpretativo della Klezmerata Fiorentina, gruppo formato da musicisti del Maggio Musicale: Igor Polesitzky (violino), Riccardo Crocilla (clarinetto), Francesco Furlanich (fisarmonica) e Riccardo Donati (contrabbasso).
La parola klezmer viene dalla fusione di due termini della lingua ebraica, kley e zemer, che indicano genericamente "strumenti musicali" e "canto". Tramandata nel tempo da generazioni di musicisti girovaghi attivi soprattutto nell'Europa Orientale, i klezmorim, deriva dalle forme più antiche della musica religiosa ebraica integrata da una serie molto ampia di influenze culturali in un'area che comprende gli antichi territori dell'Impero Austro-Ungarico, di quello Ottomano e della Russia zarista. Se oggi nella musica klezmer avvertiamo nitidamente la presenza di elementi tedeschi, ungheresi, tzigani, boemi, ucraini, balcanici, turchi, greci, spagnoli - con la mediazione delle comunità sefardite stabilitesi fra Bulgaria e Romania -, si deve al fatto che essa non rappresenta propriamente un genere, ma un modo d'essere che sintetizza, dandole forma unitaria, la dispersione della cultura ebraica. I klezmorim intervenivano ad accompagnare i momenti cruciali della vita di comunità: matrimoni, nascite, funerali, feste religiose e feste popolari. Il loro strumento principale era il violino seguito in ordine di importanza dal clarinetto. Poiché gran parte delle esecuzioni si basavano sull'improvvisazione, il klezmer è stato il trait-d'union naturale fra la musica ebraica e il jazz; si è addirittura portati a pensare che il klezmer abbia influenzato il jazz fin dalla sua fase nascente.
L'ensemble Klezmerata Fiorentina si è costituito nel maggio 2005 proprio per dar voce in concerto alla musica tradizionale Klezmer, patrimonio familiare del fondatore del gruppo, Igor Polesitsky. ucraino di Kiev, dal 1983 solista dell'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. "Yiddish ,deve parlare yiddish il tuo violino se vuoi che ci racconti la vita.": è ricordando queste parole ripetutegli spesso dalla nonna, che Polesitsky spiega come egli abbia iniziato a comprendere la musica klezmer nel luogo dove era nato, la splendida, antica città di Kiev; e ancora ricorda: "Cantava spesso per me innumerevoli vecchie melodie con o senza parole. La sua voce acuta e un po' tremolante evocava la storia di un mondo sparito per sempre . Lo yiddish, questa strana lingua comica e al contempo triste, una mistura di tedesco antico, slavo e ebraico l'avevo sempre sentita in casa mia da quando ero nato. Entro i confini angusti dell'unica stanza che ci apparteneva nel grande appartamento sovietico dove vivevamo, la sentivo parlare alle riunioni dei pochi membri della nostra famiglia, una volta numerosa, sopravvissuti all'ultima guerra. E così, dopo i blintzes e il gefilte fish della mia nonna, il piccolo Igor, doveva mettersi a suonare per tutti le melodie di quel mondo perduto. Una musica che riportava alla mente Kalinindorf, il loro shtetl distrutto, nel mezzo delle steppe del sud". Da allora Igor Polesitsky ha coltivato un sogno, quello di trovare dei colleghi che lo aiutassero a interpretare lo spirito e la musica yiddish e questo sogno si è realizzato appunto nel 2005, con la Klezmerata fiorentina: a Polesitsky si sono uniti Francesco Furlanich, triestino con origini slovene, fisarmonicista e fagottista, poi il contrabbassista Riccardo Donati, e infine lo strumento principe per questo genere, il Clarinetto, suonato da Riccardo Crocilla; tutti colleghi e prime parti nell'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Lo stile esecutivo che ne deriva può essere definito come musica da camera improvvisata, nella quale confluiscono da un lato l'inconfondibile linguaggio strumentale, i ritmi di danza e le melodie originali della tradizione dei klezmorim, dall'altro la complessità di espressione, l'ampia gamma dinamica e l'elasticità di tempo della tradizione classica.
Il grande successo del gruppo, dovuto alla particolarità del repertorio proposto ma soprattutto alla grandezza dei suoi componenti, è testimoniato dai concerti tenuti: il gruppo ha partecipato, nel luglio 2005, al concerto conclusivo del Martha Argerich Project di Lugano trasmesso live per Radio Svizzera Italiana e in parte registrato in disco per la Emi; la Klezmerata è stata in seguito ospite dell'Istituto Russo di cultura a Vienna, del nuovo auditorium principale di Mosca, del Piccolo Teatro di Milano, del Accademia "Bartolomeo Cristofori," del Salone dei Cinquecento di Firenze, della Società del Quartetto di Milano, del Festival delle Nazioni, del Verbier Festival, del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, e del Teatro della Pergola di Firenze. Nell'autunno 2006 è avvenuto il debutto a Tokyo. Un programma speciale dedicato al gruppo è stato trasmesso da RAI Radio3 per il Giorno della Memoria 2007 e nello stesso anno l 'ensemble ha suonato al Palazzo del Quirinale di Roma nell'ambito della rassegna "Concerti al Quirinale" di RAI-Euroradio ed è stato il protagonista musicale del Gala-Concerto "Chanuka al Cremlino" a Mosca. La Klezmerata Fiorentina vanta l'entusiastico apprezzamento e sostegno di molte importanti personalità del mondo musicale: i direttori Zubin Mehta, James Conlon, Daniel Barenboim, i violoncellisti Mstislav Rostropovich e Natalia Gutman, la pianista Martha Argerich e i violinisti Leonidas Kavakos e Dora Schwarzberg, il violista Yuri Bashmet; vari compositori fra i quali l'argentino Jorge Bosso e l'israeliana Betty Olivero, hanno scritto musica espressamente per questo ensemble.
Il concerto di lunedì sera è inserito nel Festival Camogli in Musica, organizzato dal Gruppo Promozione Musicale Golfo Paradiso, giunto al trentesimo anno di attività; grazie al sostegno del Comune di Camogli il concerto è ad ingresso libero.
Info: 0185771159 - 0185770703 - 338 6026821 - www.gpmusica.info
Giustiziati a Gaza tre palestinesi condannati per omicidio
Tre palestinesi, condannati per omicidio premeditato, sono stati giustiziati all'alba in una base di sicurezza a Gaza. Lo ha reso noto un portavoce del ministero degli Interni di Hamas. L'identità dei condannati non è stata divulgata ed il portavoce si è limitato a fornire solo le iniziali dei nomi.
In passato le condanne a morte eseguite da Hamas sono state duramente criticate da organizzazioni umanitarie, straniere e palestinesi
Oggi naturalmente non più. Le ONG non sono interessate a cercare colpe in Hamas. Non sono pagate per questo.
. A Gaza, secondo fonti locali, c'è oggi un'atmosfera di grande nervosismo.
L'analisi della commissione Levi sulla natura giuridica delle terre in Giudea e Samaria
di Bertrand-Rama Mulhbach
Area della "National Home" ebraica
Il 9 luglio 2012 la commissione di giuristi guidata dall'ex giudice della Corte Suprema Edmond Levi, che comprendeva il Ministro della Difesa Ehud Barak e il Ministro senza portafoglio Benny Begin, ha presentato la sua analisi sulla legittimità degli insediamenti ebraici stabiliti in Giudea e Samaria. I risultati non soddisferanno né i palestinesi né la comunità internazionale.
Il rapporto Levi (che ha il pregio di affrontare questa questione spinosa), rafforza la tesi del governo secondo cui la "Giudea-Samaria" è soltanto un territorio "conteso", su cui Israele è libero di consolidare la sua presenza in attesa di una soluzione negoziata. Conferma anche che Israele non corrisponde agli standard giuridici internazionali di "occupante militare" e che l'installazione di una popolazione ebraica in questa regione è "legale". Il Comitato pertanto condanna fermamente la posizione della Corte Suprema israeliana, che nella maggioranza dei suoi giudici ha sempre visto nella Cisgiordania un territorio "occupato", sottoposto a leggi e convenzioni internazionali.
Il Comitato inoltre raccomanda la legalizzazione di tutti gli insediamenti della Cisgiordania (che non lo sono ancora) precisando che gli insediamenti installati su terreni demaniali o acquistati da palestinesi sono legali, senza che il governo debba prendere decisioni specifiche a loro riguardo, dal momento che sono stati installati con il suo consenso o su sue raccomandazioni. Più in generale, il documento precisa che gli ebrei hanno il diritto di stabilirsi in tutte le aree sotto il controllo israeliano, in conformità con gli accordi di autonomia che riservano il 60% del paese al controllo israeliano. Quindi, non solo la relazione conferma la legittimità degli insediamenti, ma anche raccomanda di generalizzare il meccanismo. Da parte sua, Alan Baker, membro della commissione e ex consulente giuridico della Commissione degli Affari Esteri israeliana, conferma che lo status della Cisgiordania è indeterminato e che Israele non si trova in territorio sovrano straniero (Questa è anche la tesi che noi sosteniamo da molti anni).
Il punto di partenza dell'analisi è il seguente: la Cisgiordania è stata invasa da Israele nel 1967, durante la guerra dei sei giorni, quando il territorio era sotto la sovranità giordana, dopo la sua annessione fatta nel 1950 dal re di Transgiordania. Essa era quindi incorporata nel Regno Hashemita, quando Israele ha annesso la parte orientale di Gerusalemme e ha occupato il resto del territorio. Questo territorio è rimasto sotto sovranità condivisa, amministrativa giordana e militare israeliana, fino a quando re Hussein di Giordania ha definitivamente e formalmente abbandonato ogni rivendicazione, e rinunciato a qualsiasi sovranità sulla Cisgiordania il 31 luglio 1988. Quindi, se la Cisgiordania (come parte del territorio giordano) era legalmente "occupata" ai sensi del diritto internazionale nel momento dell'adozione della risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza (che ha chiesto a Israele di rilasciare i "territori occupati"), essa ha cessato di esserlo il 31 luglio 1988. Le risoluzioni dell'ONU o del Consiglio di sicurezza che sostengono che Israele è una potenza occupante, sono dunque obsolete dal 1988, anche se nessuno osa parlarne grazie a un sottile scivolamento che fa passare dal concetto di "territorio giordano occupato" a quello di "territorio palestinese occupato". E' ovvio che, al di fuori delle Carte Guerriere dell'Olp e di Hamas, non ci sono mai stati territori palestinesi in questa parte del mondo, per non parlare di "territori occupati palestinesi."
Entusiasti, i mityachvim hanno immediatamente chiamato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu per far mettere in atto i risultati della relazione il più presto possibile. Lo stesso dicasi del Ministro dell'Ambiente Gilad Erdan, o del Ministro degli Interni Elie Yishai, per i quali gli insediamenti si iscrivono nel quadro del sionismo e del progetto ebraico.
Piuttosto mortificati dal documento, i palestinesi continuano a credere che Israele sia una potenza militare occupante. Si aggrappano a questa ipotesi per invocare il Diritto internazionale che vieta la creazione di colonie su un territorio che non dipende dalla sovranità di uno stato. Ma questa posizione evidentemente non si giustifica sul piano giuridico in quanto il Diritto internazionale (che ha il diritto di sbagliare), occulta la sovranità giordana (del passato) sulla Cisgiordania e la decisione della Giordania di rinunciarvi. I palestinesi sono supportati anche dall'Associazione dei diritti umani israeliana Acri (Associazione per i Diritti Civili in Israele) secondo cui dal momento che la Cisgiordania non è mai stata oggetto di una annessione da parte di Israele dal 1967, gli insediamenti non ne fanno parte. L'associazione critica anche la mancanza di imparzialità del rapporto che è stato commissionato dal Primo ministro Benjamin Netanyahu, e questo sentimento è condiviso dall'organizzazione Yesh Din.
I palestinesi deplorano anche che negli ultimi decenni non meno di 120 "Yichuv" sono stati installati, sia che il paese sia governato dalla sinistra o dalla destra. Inoltre, dal 1990 un centinaio di avamposti sono stati aggiunti in modo "selvaggio", cioè senza il permesso esplicito del governo, costringendo la Corte Suprema israeliana a ordinare lo smantellamento di molti di essi. Non capiscono dunque perché la dichiarazione di indipendenza della Palestina fatta nel 1988 da Yasser Arafat da Algeri (dove era in esilio), non abbia avuto traduzione giuridica in diritto internazionale.
Ovviamente era una dichiarazione puramente simbolica, dal momento che i palestinesi non avevano alcun controllo sul territorio, che inoltre in parte era stato annesso da Israele nel 1967, e su cui il re di Giordania aveva la facoltà di rinunciare a qualsiasi sovranità, ma non di trasmetterne il controllo (che del resto non aveva) all'Autorità Palestinese.
In ogni caso, se il rapporto sarà messo in atto, i palestinesi dovranno cercare di portare il caso dinanzi alla Corte internazionale dell'Aia, ma senza molte possibilità di successo. In previsione di questa eventualità, è quindi del tutto logico pensare che Israele non autorizzerà la missione d'inchiesta dell'ONU (richiesta dalla Commissione sui Diritti Umani del 6 luglio 2012), ad entrare in Cisgiordania per (diciamo così) investigare sulle violazioni di Israele dei Diritti Umani, anche se l'organizzazione ha invitato Israele a non ostacolare il processo di collaborazione. Il portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Yigal Palmor ha infatti dato il tono: "Israele non collaborerà con la missione di indagine, e i suoi membri non avranno il permesso di entrare in Israele o nei Territori".
Il diritto internazionale dovrebbero infine cessare di essere uno strumento destinato a compiacere i palestinesi, perché la sua origine supera le semplici decisioni partigiane degli attori internazionali.
(Lessakele, 16 luglio 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Incognita su eventuale processo al criminale nazista Csatary
Resta un'incognita la sorte di Laszlo Csatary, accusato di complicità nella morte di quasi sedicimila ebrei e localizzato a Budapest. Il criminale nazista ungherese, 97 anni, è stato scovato in un quartiere elegante della capitale ungherese grazie a un'inchiesta di alcuni giornalisti britannici.
Il ministero degli Esteri francese considera i crimini nazisti imprescrittibili, e ritiene dunque che debba essere giudicato. Serge Klarsfeld, cacciatore di nazisti, presidente dell'Associazione dei Figli e delle Figlie dei deportati ebrei di Francia ha però qualche dubbio: "Di certo in Ungheria non vi sarà un processo - ha detto -. Lo proteggono, la prova è che la polizia e la giustizia sapevano molto bene dove si trovava e non hanno fatto nulla. Per questo motivo non vi è ragione di credere che sarà celebrato un processo".
La Procura di Budapest ha confermato che - a causa dei crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale di cui è accusato - un'inchiesta è stata avviata lo scorso settembre a carico di Csatary. Ma non è chiaro cosa avverrà ora, anche considerando le difficoltà nel raccogliere prove univoche a distanza di così tanto tempo.
Ultra-ortodossi protestano contro larruolamento di membri della comunità
GERUSALEMME, 16 lug. - Migliaia di ebrei ultra-ortodossi stanno protestando a Gerusalemme contro i tentativi di arruolare i membri della comunità nell'esercito israeliano. Il governo sta cercando di trovare una formula per obbligare gli ebrei ultra-ortodossi a servire nelle forze armate prima della data limite del primo agosto fissata dalla Corte suprema, che ha ordinato la revisione dell'attuale legge. Quest'ultima esenta in gran parte la comunità dal servizio militare, ma la norma è largamente contestata in quanto tutti gli altri israeliani devono arruolarsi. Nelle strade del quartiere ultra-ortodosso di Mea Shearim hanno sfilato oggi adulti e bambini con manette e cartelli con la scritta 'salvami'. Gli ultra-ortodossi sostengono di servire lo Stato servendo Dio con la preghiera e lo studio.
Alla fine di giugno le relazioni israelo-arabe hanno vissuto un evento storico, un evento che, senza clamori e lontano dalle luci della ribalta, ha commosso tutti coloro che vi hanno assistito, alcuni fino alle lacrime: veterani di guerra israeliani e giordani, che quarantacinque anni fa si sono aspramente combattuti, hanno visitato insieme il campo di battaglia che condivisero a Gerusalemme, rendendosi omaggio a vicenda e offrendo un tributo alla memoria dei loro compagni caduti.
Nel secondo giorno della guerra dei sei giorni del 1967, dopo il bombardamento dell'artiglieria giordana sui quartieri ebraici della città, i paracadutisti israeliani presero d'assalto la cosiddetta Ammunition Hill ("Collina della munizioni"), un'altura fortificata di Gerusalemme che (dal 1948) era controllata da due compagnie di fanteria giordane. Dopo quattro ore di durissimi combattimenti la collina fu presa, al prezzo di 36 morti israeliani e 71 giordani, e di decine di feriti da entrambe le parti. Colpiti dal coraggio e dalla tenacia dei loro nemici, i soldati israeliani improvvisarono un piccolo epitaffio sottoforma di un cartello, issato su un fucile giordano, che diceva: "Le Forze di Difesa israeliane - qui giacciono 71 coraggiosi soldati giordani - 7 giugno 1967". Da allora la battaglia di Ammunition Hill (Giv'at HaTahmoshet) è diventata una delle pietre miliari della storia delle guerre di Israele.
Lo scorso giugno, quarantacinque anni dopo, un gruppo di veterani giordani che presero parte alla battaglia di Gerusalemme ha visitato i luoghi dei combattimenti insieme ai loro ex nemici. La visita di due giorni, patrocinata dalla Fondazione Friedrich Ebert Stiftung e organizzata dalla Israeli Economic Cooperation Foundation e dall'Amman Center for Peace and Development, comprendeva incontri tra ex ufficiali israeliani e giordani, un tour congiunto dei luoghi delle battaglie e una cerimonia commemorativa all'Ammunition Hill.
Ho accompagnato il gruppo durante il primo giorno della visita. È stato uno spettacolo incredibile. Combattenti che avevano dovuto uccidere e mandare i loro soldati a distruggere e morire sedevano in circolo, sorridenti, rievocando i momenti della battaglia. Un ufficiale giordano, entrato nell'esercito dopo che suo padre era stato ucciso in combattimento nel 1956, è rimasto sorpreso nell'apprendere che l'ufficiale israeliano che gli sedeva di fronte aveva comandato l'azione militare in cui era caduto suo padre. Scherzando, i giordani hanno suggerito a loro collega di attuare una vendetta contro il padre dell'ufficiale israeliano o, in alternativa, una riconciliazione tribale tra le due famiglie. Io traducevo le loro parole in ebraico, osservando tra me e me l'aspetto surreale di quel dialogo. L'ufficiale giordano ha proseguito raccontando il modo in cui aveva imbrogliato gli israeliani che lo avevano catturato, dichiarandosi un "insegnante militare". Un mese dopo i soldati israeliani gli mostrarono una sua altera fotografia in un album dell'Army War College dove veniva definito "il più cocciuto prigioniero di guerra giordano" che avessero mai catturato.
Questa atmosfera leggera è cambiata in modo drammatico quando siamo arrivati all'Ammunition Hill per la cerimonia commemorativa. Il poeta nazionale israeliano Haim Gouri, comandante di compagnia nel 1967, ha letto la sua famosa e vibrante poesia "Qui giacciono i nostri corpi". Subito dopo ho letto la traduzione in arabo della poesia, che avevo preparato il giorno prima. Ho recitato quelle potenti parole, Ha hiyya ajsaduna jathima, trasformare il nemico in amico e lottare con le lacrime per la perdita di giovani vite senza distinzione di nazionalità. Il comandante giordano della compagnia che aveva difeso la collina ha poi letto a uno a uno i nomi dei soldati giordani caduti, seguito dal vicecomandante israeliano del battaglione che aveva conquistato la collina, che ha letto i nomi dei soldati israeliani caduti. È stata la prima cerimonia commemorativa congiunta in cui siano stati mai letti i nomi di caduti israeliani e arabi gli uni di seguito agli altri. Volendo prendere a prestito le parole della poesia di Guri, per un breve momento i soldati delle silenti compagnie della collina, quella israeliana e quella giordana, sono tornati in vita e si sono guardati l'un l'altro in silenzio per l'ultima volta attraverso gli occhi dei loro famigliari e dei loro compagni d'armi. La piccola folla dei presenti si è profondamente commossa quando gli israeliani hanno consegnato ai giordani una grande fotografia dell'epitaffio improvvisato nel giugno 1967.
Quando la cerimonia si è conclusa, gli ex paracadutisti israeliani hanno circondato gli ex ufficiali giordani tirandomi per la manica perché traducessi tutte le loro parole. Digli che noi saremo stati leoni, ma loro erano tigri. Digli che non sono mai stato a una cerimonia commemorativa così emozionante. Digli che mai e poi mai avevamo incontrato tanta determinazione. A un certo punto un paracadutista israeliano e il comandante della compagnia giordana scuotevano la testa increduli essendosi resi conto che avevano combattuto l'uno contro l'altro a mani nude nella trincea che si trovava proprio lì, ai loro piedi. Il comandante giordano, scosso, mi esortava: dì loro che solo quelli che hanno combattuto l'uno contro l'altro in questo modo possono comprendere il vero significato della pace.
Ce ne siamo andati al tramonto. Nella mia mente risuonavano le parole di un ex paracadutista: digli che se gli israeliani che sono qui fossero tutti gli israeliani, e se i giordani che sono qui fossero tutti gli arabi, avremmo una vera pace già da un pezzo. Ho tradotto la frase al comandante giordano, e per un momento ho pensato: forse ha ragione.
Il ministro Riccardi alla Sinagoga di Roma: "Dialogo contro ogni conflitto"
Tra i temi affrontati quello della lotta al razzismo e all'antisemitismo, contro i quali il ministro ha annunciato l'intenzione di rivedere e rendere più severa la normativa vigente sui siti internet, fino a prevederne l'oscuramento nel caso in cui propagandino posizioni di odio razziale, etnico o religioso.
Il ministro Riccardi
ROMA, 16 lug. - Visita ufficiale del ministro per l'Integrazione Andrea Riccardi alla comunità ebraica. L'esponente del governo è giunto alla Sinagoga di Roma accolto dal presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici e da Victor Magiar in rappresentanza di Renzo Gattegna, presidente dell'Ucei, l'Unione delle comunità ebraiche italiane. Al Tempio Maggiore l'incontro con il rabbino capo Riccardo Di Segni e con i membri della giunta e del Consiglio della comunità.
Nel corso della tavola rotonda, sono stati affrontati i temi del dialogo interreligioso, dell'integrazione, della pace, della promozione della famiglia, della lotta al razzismo e all'antisemitismo, contro i quali il ministro ha annunciato l'intenzione di rivedere e rendere più severa la normativa vigente sui siti internet, fino a prevederne l'oscuramento nel caso in cui propagandino posizioni di odio razziale, etnico o religioso. "Stiamo lavorando insieme ai ministri della Giustizia Paola Severino e dell'Interno Anna Maria Cancellieri per dare risposte nette e chiare contro i seminatori di odio via internet", anticipa l'esponente del governo.
Spiega Riccardi: "L'idea è quella di usare strumenti utilizzati per combattere altri reati del web e che hanno dimostrato di essere efficaci: ciò permetterebbe alla polizia postale di arrivare all'oscuramento dei siti razzisti e di perseguire anche il visitatore non occasionale di queste pagine vergognose. L'aumento dei siti internet a contenuto razzista, xenofobo e antisemita -sottolinea il ministro dell'Integrazione- impone al governo un aggiornamento della normativa in vigore, in linea con quanto viene fatto a livello europeo". Riccardi riferisce che allo studio del governo "c'è una equiparazione di questi reati a reati più gravi e soprattutto un forte controllo. Gli aspetti tecnici li stiamo valutando e approntando, ma questo vuole essere il messaggio forte del governo: vogliamo intervenire. Abbiamo questa responsabilità, specie dopo l'attentato a Tolosa".
Per il ministro dell'Integrazione, "non si puo' solo piangere dopo ogni strage e poi dimenticare le lacrime. Le lacrime devono diventare impegni fattivi per lottare contro i seminatori dell'odio, perché la predicazione del disprezzo e dell'odio è gravissima e germina negli anni. Noi questo lo dobbiamo impedire; soprattutto dobbiamo impedire che raggiunga le giovani generazioni, in un momento di spaesamento e di crisi come quello che stiamo vivendo". Ecco allora che Riccardi annuncia: "presenterò una proposta per arginare l'odio razziale, etnico, religioso, antisemita, per mezzo di internet. Assumeremo delle misure che colpiscano sia quelli che propagano questi messaggi, sia i visitatori non occasionali e penso -ribadisce- che arriveremo anche alla possibilità di oscuramento di questi siti web".
La comunità ebraica ha chiesto anche di accelerare l'iter per l'approvazione da parte del Parlamento dell'introduzione del reato di negazionismo in relazione alla tragedia della Shoah.
"Da anni discutiamo, anche con la comunità ebraica, di dialogo interreligioso - ricorda Riccardi al termine dell'incontro - Il dialogo puo' risolvere molti conflitti e noi dobbiamo praticarlo. Le minacce sono insidiose e chi crede nel dialogo e nella democrazia deve presentarsi unito e riaffermare che il dialogo e' la cultura che ci appartiene, assieme alla necessita' di garantire per tutti la sicurezza. La comunita' ebraica - aggiunge - proprio per la sua sensibilita' ai diritti umani, la sua storia di sofferenza e la sua coscienza civile, è un saldo presidio per i diritti umani".
La Germania continuerà a schierare aerei-drone israeliani fino al 2014
Berlino - "Una componente essenziale del sistema di ricognizione"
La stampa odierna (16 luglio 2012) rende noto che la Germania continuerà ad impiegare gli aerei-drone Aerospace Industries Heron-1 in Afghanistan fino all'ottobre del 2014. Questi Uav (Unmanned Aerial Vehicle, aerei senza pilota a controllo remoto) rientrano in un contratto firmato con l'industria israeliana che è stato prolungato con una spesa di altri 75 milioni di Euro (91 milioni di dollari).
"L'ordine include la continuazione di tutte le operazioni di volo con questi aere, così come l'addestramento di altro personale della German Air Force e l'installazione di nuovi sensori sugli Heron-1, più potenti dei precedenti" è stata la dichiarazione di Rheinmetall Airborne Systems, la joint venture tra Cassidian e Rheinmetall che si occupa del programma.
In particolare, va specificato che questi sistemi con pilota remoto hanno già svolto missioni per più di 9300 ore di volo operando ricognizioni importanti in Afghanistan dal marzo del 2010. Il pacchetto offerto alla Germania è composto da tre droni medi Heron-1 di produzione israeliana e da due stazioni di controllo a terra nella base militare di Mazar-e-Sharif.
"I droni Heron hanno dimostrato la loro validità durante la campagna, e sono diventati una componente essenziale del sistema di ricognizione in Afghanistan, oggi insostituibili" ha aggiunto Rheinmetall Airborne System.
Il 16 e 17 luglio del 1942 più di tredicimila ebrei, tra cui molti bambini, vennero arrestati a Parigi per essere mandati nei campi di concentramento
Il "Velodromo d'Inverno" era un circuito coperto per gare di ciclismo che si trovava a Parigi vicino alla Torre Eiffel e il 16 e 17 luglio del 1942 fu il luogo del più grande arresto in massa di ebrei avvenuto in Francia durante l'occupazione nazista. L'operazione, guidata dalla polizia francese e battezzata con il nome "Vento di Primavera", portò alla cattura di 13.152 persone, tra cui 4.115 bambini tra i 2 e i 15 anni. Quasi tutti gli ebrei radunati al Velodromo di Parigi furono deportati nei campi di concentramento e meno di 100 riuscirono a sopravvivere. In Francia la loro storia viene ricordata in questi giorni da alcune mostre, ed è stata raccontata nel 2010 in un film intitolato "Elle s'appelait Sarah" (La chiave di Sara, in italiano).
- Il Velodromo d'Inverno
Il Vélodrome d'Hiver era un velodromo coperto tra boulevard de Grenelle e rue Nelaton nel quindicesimo arrondissement di Parigi, vicino alla Torre Eiffel. L'edificio dove prima si svolgevano le gare di ciclismo si trovava poco lontano, nella Salles des Machines, che era stata però demolita per migliorare la vista sulla Torre. Così Henri Desgrange (direttore e fondatore del quotidiano sportivo francese L'Auto e ideatore del Tour de France ciclistico) aveva voluto il trasferimento della pista in quello che, su progetto dell'architetto Gaston Lambert, divenne il Vélodrome d'Hiver. Nell'estate del 1924 vi si svolsero anche alcuni eventi delle Olimpiadi. Il Velodromo è stato poi demolito nel 1959 dopo che una sua parte era andata distrutta in un incendio. Al suo posto, ora, si trovano un edificio del ministero degli Interni e un monumento commemorativo.
- La preparazione della retata
Nell'estate del 1940 la Francia era stata divisa tra la parte settentrionale occupata dalla Germania e quella meridionale - il "regime di Vichy" - formalmente autonoma e nata dopo l'armistizio con i tedeschi, guidata dal discusso governo del maresciallo Pétain in accordo con la Germania, di cui divenne via via sempre più succube. Gli ebrei francesi erano stati censiti a partire dal 1940 dopo un'ordinanza tedesca del 21 settembre. I loro nomi e i loro indirizzi erano catalogati nel dossier Tulard (dal nome del suo creatore, André Tulard). Il 4 luglio René Bousquet, capo della polizia del governo di Vichy, incontrò a Parigi gli ufficiali delle SS Knochen e Dannecker. I tedeschi avanzavano la pretesa di visitare i campi di internamento della zona non occupata per rendersi conto della situazione e predisporre i trasferimenti nei campi di concentramento. Bousquet accettò e Dannecker poté quindi telegrafare a Adolf Eichmann (uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei) il risultato positivo dei colloqui che stabilirono anche la partecipazione della polizia francese alle retate.
- Il rastrellamento di Parigi
Il 12 luglio del 1942 venne dato il via all'operazione "Vento di primavera" che, secondo gli ordini, doveva essere eseguito «con la massima velocità». L'arresto dei bambini venne effettuato su iniziativa diretta delle milizie francesi e Eichmann, che non l'aveva chiesto, si limitò ad autorizzarlo qualche giorno dopo. I tedeschi erano infatti interessati solo alle persone tra i sedici e i quarant'anni; fu Pierre Laval (Primo Ministro e principale responsabile della politica di collaborazione con la Germania nazista) a proporre ai tedeschi di prelevare le famiglie intere spiegando al Consiglio dei ministri: «Per un principio umanitario ho ottenuto, contrariamente alle prime intenzioni dei tedeschi, che i figli, compresi quelli minori di sedici anni, siano autorizzati ad accompagnare i genitori».
A partire dalle 4 del mattino del 16 luglio 1942, ebbe inizio la retata: 13.152 ebrei furono arrestati. In base ai documenti della prefettura di Parigi 5.802 (il 44 per cento) erano donne e 4.115 (il 31 per cento) erano bambini. Le condizioni per gli arrestati prevedevano che potessero portare con sé solo una coperta, un maglione, un paio di scarpe. Alcuni di loro furono inviati subito al campo di transito di Drancy, a nord di Parigi, in attesa di essere deportati in Germania o in Polonia. Altri, la maggioranza, compresi i bambini, furono ammassati e rinchiusi per giorni nel "Velodromo d'Inverno".
Qui, sotto un tetto che era stato dipinto di blu scuro per celarlo ai bombardieri, le condizioni divennero terribili per l'affollamento e per il caldo. Le finestre erano state chiuse per sicurezza, dei dieci bagni disponibili cinque erano stati sigillati, c'era un unico rubinetto dell'acqua. Coloro che cercarono di fuggire furono fucilati sul posto. Dopo cinque giorni, i prigionieri furono portati nei campi di internamento di Drancy, Beaune-la-Rolande e Pithiviers, e successivamente nei campi di sterminio.
- La responsabilità francese
Per decenni il governo francese ha rifiutato di chiedere scusa per il ruolo della polizia nel rastrellamento o per qualsiasi altra complicità. Si sosteneva infatti che la Repubblica francese smantellata da Philippe Pétain e ristabilita a guerra finita, non aveva avuto alcuna responsabilità. Il 16 luglio 1995, fu l'allora presidente Jacques Chirac a dire infine che era tempo che la Francia facesse i conti con il proprio passato e a riconoscere il ruolo che lo Stato aveva giocato nella persecuzione degli ebrei.
Roma - Al Parco della Pace torna la targa per Spizzichino
Al Parco della Pace torna la targa intitolata a Settimia Spizzichino, l'unica donna superstite della retata al Ghetto di Roma del 16 ottobre del 1943. «Viale Settimia Spizzichino - vittima dellapersecuzione nazista (1921-2000)», si legge sull'insegna, installata nel parco di via di Grottarossa, dopo che ignoti l'avevano trafugata pochi giorni fa.
Alla cerimonia, oltre all'assessore alla Cultura e alla Memoria delMunicipio XI e nipote della Spizzichino, Carla Di Veroli, e ai pronipoti diSettimia, Jonathan e Miriam Spizzichino, erano presenti tra gli altri ilsindaco di Roma, Gianni Alemanno, il presidente della Provincia di Roma,Nicola Zingaretti, il presidente della Comunità ebraica di Roma, RiccardoPacifici, il presidente del Municipio XX, Gianni Giacomini, e il questore diRoma, Fulvio Della Rocca. «Chi pensava che basta trafugare una targa percancellare la memoria - ha detto Miriam Spizzichino, pronipote della signoraSettimia - ha ottenuto l'effetto opposto: noi non dimenticheremo mai cos'èstata la Shoah». Per Carla Di Veroli «oggi è stato riparato un gestovigliacco nei confronti di una donna simbolo di questa città. Settimiainfatti non era solo ebrea, era romana e amava la sua città. La trafugazionedella targa - ha aggiunto Di Veroli - non è stato solo un gesto divandalismo, ma un oltraggio ai parenti e alla città di Roma: oggi - haconcluso - Roma ha riparato questo oltraggio». Per Riccardo Pacifici «ègiusto che le istituzioni abbiano subito condannato fermamente questo gesto esi siano adoperati per ricollocare la targa il prima possibile. Quella dioggi - ha aggiunto Pacifici - non dev'essere solo una cerimonia simbolica:noi dobbiamo avere la forza di individuare quei gruppi che si riuniscono, siaddestrano e preparano le loro azioni xenofobe. Dopo la recente vicenda diFilippo Rossi bisogna fare pulizia: serve l'intervento delle istituzioni edelle forze dell'ordine, perché c'è un problema in Italia e in tuttaEuropa». Per il presidente Zingaretti la trafugazione della targa «è stataun'offesa per tutti noi, perché quando si aggredisce una persona comeSettimia Spizzichino si offendono la civiltà e la comunità, in questo casoquella di Roma. È giusto che oggi le istituzioni insieme pongano rimedio aquesta offesa, è un atto di civiltà». Per ultimo ha preso la parola ilsindaco di Roma, Gianni Alemanno: «Spizzichino è un simbolo che non dobbiamodimenticare. Bisogna mantenere la memoria, il tempo che passa non può maiessere un alibi». Alemanno ha aggiunto poi di avere l'impressione «chel'antisemitismo sia una sorta di fiume carsico che periodicamente scompare eriemerge e che sembra non essere mai cancellato. Noi dobbiamo chiederciperché, ancora nel 2012, ci sono queste forme di intolleranza, che non sonoun tema solo di Roma, ma di tutta l'Europa. Di fronte a questa targa - haconcluso il sindaco - ricordo che Roma Capitale non lascerà mai spazio alrazzismo e all'antisemitismo: faremo di tutto perché questo grande mostrovenga definitivamente stroncato».
Si è tenuto ieri sera il concerto speciale a favore di Tsad Kadima, l'associazione che si occupa di organizzare e aiutare il percorso formativo dei bambini che soffrono di lesione cerebrale in Israele. Il professor Lei Danzigher e sua moglie Rosie Ruhama hanno ospitato nel salotto della loro casa di Ghivat Schemuel, il "Rosie Salon", David Radzynski violinista appena diplomato alla "Yale School of Music" accompagnato dalla pianista Michal Tal in un programma di musica classica che comprendeva pezzi di Brahms, Bach e Beethoven. Il ricavato della serata è stato destinato a finanziare i programmi estivi di Tsad Kadima tra i quali l'imminente campeggio. Erano presenti tra gli altri la presidente di Tsad Kadima Anete Mosez, il ministro consigliere dell'Ambasciata italiana a Tel Aviv Gabriele Altana, Il compositore André Haidu, il compositore Jan Radzynski, padre del violinista. David ha dimostrato le sue straordinarie capacità musicali suonando una delle opere completamente a memoria senza alcuna nota.Tsad Kadima si appresta a compiere 25 anni di attività in Israele mentre aumentano anche quest'anno il numero di bambini educati nei vari centri.
Obama: ho fallito sulla pace fra israeliani e palestinesi
WASHINGTON, 16 lug. - Il presidente americano Barack Obama ha ammesso di aver finora fallito nello sforzo per la pace fra israeliani e palestinesi. "Non sono riuscito a portare avanti il processo di pace nel modo che avrei voluto. E' qualcosa su cui ci siamo concentrati fin dall'inizio. Ma la verita' e' che anche le parti devono volerlo", ha detto Obama, intervistato dalla rete televisiva americana WJLa (affiliata all'Abc), quando gli e' stato chiesto se c'era qualcosa in cui pensava di aver fallito durante il suo primo mandato.
L'ammissione di Obama giunge mentre il suo segretario di Stato Hilalry Clinton si trova in visita in Israele. Al centro della visita, dopo la tappa della Clinton al Cairo, vi e' lo sforzo diplomatico per mantenere la pace fra Israele ed Egitto. Ma la Clinton, che vedra' il primo ministro palestinese Salam Fayyad, parlera' anche dello stallo nel processo di pace.
Una caccia di 15 anni si è conclusa nei giorni scorsi quanto i reporter del Sun hanno finalmente localizzato in un elegante quartiere di Budapest il «criminale nazista più ricercato»: Laslo Csizsik-Csatary, 97 anni.
A darne l'annuncio è stato domenica 15 luglio il settimanale britannico, poco dopo da Gerusalemme è giunta anche la conferma del Centro Wiesenthal di documentazione dei criminali nazisti, che nel 2011 aveva dato ai reporter britannici indicazioni per localizzarlo.
Le stesse informazioni erano state inoltrate allora anche alla magistratura ungherese, ha spiegato Efraim Zuroff, direttore della sezione israeliana del Centro Wiesenthal.
UFFICIALE DURANTE LA GUERRA - Durante la Seconda Guerra Mondiale Csatary era un ufficiale di polizia nella località di Kassa, Ungheria (oggi Kosice, in Slovacchia).
Documenti dell'epoca hanno dimostrato che svolse allora un ruolo di primo piano nelle reclusione di 12 mila ebrei in un ghetto, nella requisizione dei loro beni e nella supervisione, nel 1944, della loro spedizione nel campo di sterminio di Auschwitz. Solo 450 avrebbero fatto ritorno.È accusato di complicità nella morte di 15.700 ebrei.
Dopo il conflitto fu condannato a morte in contumacia
Dopo la guerra fu condannato a morte in contumacia da un tribunale cecoslovacco. Ma Csatary sarebbe riuscito a farsi una nuova esistenza in Canada.
La sua attività di commerciante d'arte fu interrotta nel 1997, quando la sua vera identità fu scoperta e la cittadinanza canadese gli venne revocata. Ma Csatary non si perse d'animo e di nuovo fece perdere le proprie tracce.
MERITO DI UN INFORMATORE - Solo nel 2011 il Centro Wiesenthal avrebbe ricevuto (pagando 25 mila dollari) l'informazione decisiva: Csatary, «il criminale nazista più ricercato», viveva agiatamente a Budapest.
Nel suo rione, ha spiegato il Sun, era noto come 'Papà Csatary' e sul campanello di casa aveva scritto Smith-Csatary. «Adesso ci attendiamo che sia preso in custodia dalla giustizia», ha concluso Zuroff. «È un dovere verso la nostra generazione, quella che è venuta dopo l'Olocausto».
Danny Yatom, ex capo del Mossad, teme una guerra chimica con la Siria
L'ex capo dei servizi segreti israeliani, Danny Yatom, ha dichiarato che Israele deve esser pronto a contrastare attacchi militari dalla Siria.
Danny Yatom
La sua messa in guardia deriva dal timore che centinaia di tonnellate di armi chimiche stanno passando dagli arsenali del regime di Damasco nelle mani dei terroristi siriani e libanesi, che esortano i loro membri a scatenare la guerra contro lo Stato ebraico.
"Il buon senso vuole che non possiamo escludere un attacco non convenzionale contro Israele - ha dichiarato in un'intervista al canale televisivo British Sky Network - Dobbiamo anticipare i tempi, essere pronti a lanciare attacchi militari, anche se questo significherà una guerra lunga e difficile."
La Siria ha numerosi siti di fabbricazione di armi chimiche, possiede il più grande deposito di armi chimiche di tutto il Medio Oriente. Senza dimenticare i depositi di malattie infettive come il vaiolo, che potrebbe disseminare tramite appositi missili su Israele.
I responsabili israeliani sono preoccupati anche perchè un eventuale crollo del regime siriano come accaduto in Libia permetterebbe ai ribelli di accedere agli interi arsenali di armi chimiche.
Diversi rapporti fanno stato di cifre preoccupanti, comunque difficili da verificare. Stando a uno studio del Pentagono, l'arsenale chmico siriano è talmente vasto che per smantellarlo dovrebbero essere impiegati almeno 75'000 soldati.
"La verità è che nessuno ha la minima idea di quello che si può o non si può fare in Siria - commenta Yatom - Vi sono troppe armi, convenzionali e chimiche. Se il presidente Bachar al Assad dovesse cadere, cosa farebbe di tutte queste armi prima di cadere?
Ha già fatto uccidere migliaia di persone, è capace di tutto, anche di sacrificare il suo popolo lanciando bombe al Sarin su tutto il territorio siriano. Oppure di colpire la Turchia, oppure Israele, o anche la Giordania. E' per questo che al Assad non viene fatto cadere, perchè non si sa cosa accadrebbe dopo di lui."
ROMA, 15 lug. - Una citta' che non si lascia abbattere dal terremoto. Ma che, al contrario, si rilancia proponendo una stagione ricca di appuntamenti e iniziative. Ferrara, una dei capoluoghi emiliani colpiti dalle recenti scosse sismiche del 20 e del 29 maggio, da' vita a 12 mesi di arte, festival, musica e spettacolo. E' tutto questo 'Ferrara Vive', che prendera' il via con un concerto diretto da Claudio Abbado, al teatro Comunale il 23 settembre.
Da settembre, dunque, la citta' estense si animera' presentando numerose. Di particolare interesse, dopo il concerto di Abbado sara' l'esposizione a Palazzo dei Diamanti dei capolavori delle collezioni d'arte moderna e contemporanea di Palazzo Massari, temporaneamente chiuso per i danni del sisma: capolavori in mostra dal 13 ottobre al 13 gennaio.
Nel periodo autunnale, inoltre, il cartellone annovera i festival 'Ferrara Balloons' ed 'Internazionale a Ferrara'. Il primo, che viene organizzato nel mese di settembre, e' il piu' importante festival delle mongolfiere in Italia. Nato nel 1995, prevede manifestazioni aerostatiche, sportive e culturali.
Ad essere presentati saranno anche spettacoli, incontri ed animazioni, nella cornice del parco urbano 'Giorgio Bassani', a due passi dal centro storico. 'Internazionale a Ferrara', in programma dal 5 al 7 ottobre, invece giunge nel 2012 alla sua sesta edizione, trasformando per tre giorni Ferrara nella redazione del giornale da cui la rassegna prende il nome. Sara' possibile incontrare giornalisti, scrittori ed opinionisti e confrontarsi con loro sugli scenari politici, sociali, culturali. In dicembre la tradizionale 'Festa di Capodanno', nella cornice notturna del centro storico della citta' estense, scandira' il passaggio fra l'anno che sta per concludersi ed il nuovo anno alle porte. Il 2013 si aprira' con un'esposizione sui temi della cultura e della presenza ebraica in Italia nella sede della Palazzina dell'ex carcere di Via Piangipane che ospitera' il futuro Museo nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah. Nel programma primaverile a spiccare saranno il salone dell'arte e del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, dal 20 al 23 marzo, incentrato sul patrimonio storico-artistico e ambientale, e la mostra, a Palazzo dei Diamanti, 'Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti', un progetto di approfondimento sugli intrecci fra l'arte cinematografica del celebre regista ferrarese e le arti visive.
Libertà religiosa - "Alle promesse adesso seguano i fatti"
Continua nel mondo la mobilitazione delle comunità ebraiche e musulmane a difesa del diritto alla circoncisione contro il quale si è recentemente espresso il tribunale di Colonia. Commentando gli ultimi sviluppi, con la decisa presa di posizione del governo tedesco a favore di una soluzione che tuteli i valori e le tradizioni delle comunità religiose, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, in una nota emessa poco prima di Shabbat, aveva espresso approvazione per le parole pronunciate dal portavoce Steffen Seibert. "L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - si legge nella nota - accoglie con soddisfazione la notizia che il governo tedesco si impegnerà a contrastare la sentenza che vietava la circoncisione emessa alcuni giorni fa dal tribunale di Colonia. Un pronunciamento che molto aveva fatto discutere nel mondo suscitando le reazioni sdegnate di quanti, ebrei italiani in testa, vedevano nell'agire di quei magistrati un gravissimo attacco al principio di libertà religiosa su cui si fondano le moderne società democratiche". L'auspicio dell'UCEI, che si è da subito schierata al fianco delle autorità ebraiche di Germania che hanno deciso di investire direttamente il Parlamento della questione, è adesso che questa posizione "possa ulteriormente rafforzarsi" e che alle promesse "facciano presto seguito gli atti legislativi necessari e adeguati".
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Un film già visto
di Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
La decisione di una corte tedesca di considerare reato la circoncisione rituale di un minorenne è in un certo senso "un film già visto", una storia allarmante molto antica che si ripresenta con abiti nuovi. Due i motivi di allarme.
Primo: l'aspetto giuridico. Varie volte nella storia ebraica, nei peggiori momenti, la circoncisione è stata proibita per motivi diversi. La vietarono i Seleucidi in odio ai riti ebraici, i Romani sotto Adriano nell'ambito di norme contro le mutilazioni sessuali dei riti orientali (che erano ben altra cosa). Queste decisioni contribuirono a scatenare rivolte, la prima, dei Maccabei, vittoriosa, la seconda, di Bar Kochbà, disastrosa per noi. L'aspetto nuovo della decisione tedesca è che in questo caso, ammessa l'assenza di spirito ostile, ma comunque in presenza di incomprensione, entra in gioco un diritto quasi nuovo (in questa applicazione) come quello della tutela del minore. La sostanza non cambia, il divieto della milà ritorna a galla, ma la forma in cui si manifesta è nuova, come contrapposizione di diritti, quello della libertà religiosa da una parte e quello della tutela del minore dall'altra. Davanti a questo strano "scontro di civiltà" bisogna comprendere i termini e le implicazioni e prendere le
nostre decisioni come ebrei, eredi e custodi dell'ordine divino dato ad Abramo, di circoncidere ogni figlio a 8 giorni, in totale opposizione al modo in cui oggi qualcuno intende il diritto dei minori. Insomma questo è un momento e un tema nel quale bisogna scegliere da che parte si sta.
Questo introduce al secondo motivo di allarme. Il problema non è solo di una corte tedesca, il problema è interno al mondo ebraico. Sembra che il magistrato tedesco si sia meravigliato dell'ondata delle proteste, raccontando come dopo la sua sentenza abbia ricevuto numerosi messaggi di congratulazione da Israele. Sì, da Israele, dove sono attivi piccoli ma vivaci movimenti di ebrei contrari alla circoncisione sui minori. Come per qualsiasi altro tema della tradizione, anche sulla milà vi sono stati sempre discussioni e rifiuti.
Tornando ai tempi dei Maccabei, l'incontro con i greci che in palestra giocavano nudi (da qui la parola ginnastica), espose gli ebrei circoncisi al ludibrio e molti corsero ai ripari con un intervento "estetico" correttivo, scelta giudicata con orrore dalla tradizione rabbinica. Per tanti motivi, antichi e recenti, una parte seppure piccola di ebrei si sottrae alla milà. Anche qui bisogna fare la scelta, da che parte stare. Ma che si sappia che è una scelta radicale ed essenziale dell'identità ebraica.
Rita, la popstar d'Israele che fa impazzire l'Iran
di Davide Frattini
GERUSALEMME - Quando i presidenti americani inviano gli auguri alla vigilia del Capodanno persiano, parlano al popolo iraniano perché gli ayatollah intendano. Lo scorso marzo Barack Obama ha attaccato la censura elettronica, «quelle barriere che impediscono il flusso libero delle informazioni e delle idee nel Paese». Le accuse del Grande Satana hanno preoccupato il regime meno delle parole proclamate in occasione del Nowruz dalla cantante che gli israeliani considerano la Madonna nazionale: «Spero che potremo vivere fianco a fianco, danzando e cantando insieme. Solo questo alla fine resterà».
Che Rita Jahanforuz sia di origini iraniane spaventa più che tranquillizzare gli oltranzisti di Teheran: sa come parlare ai loro ragazzi e soprattutto sa come farli ballare. Il nuovo album Ha'Smachot Sheli (Le mie gioie) è diventato disco d'oro in Israele dopo poche settimane e tra gli iraniani - racconta il quotidiano Wall Street Journal - viene venduto come merce proibita, traffico clandestino di buonumore che passa attraverso la parola in codice Rita Khanum (signora Rita).
Sono vecchie e popolarissime canzoni iraniane, poppizzate e remixate da deejay come Offer Nissim. Tutte in persiano. «I miei amici all'inizio erano preoccupati - commenta Rita all'agenzia Associated Press - e mi hanno avvertito: "Non puoi usare la lingua di Mahmoud Ahmadinejad". Invece questo è il progetto più importante della mia vita».
Immigrata quando aveva otto anni, è la più celebre tra i 50 mila ebrei israeliani nati in Iran - mentre 142 mila possono annoverare antenati persiani - tra loro il vicepremier Shaul Mofaz e l'ex presidente Moshe Katsav, condannato per stupro e molestie sessuali. Nel 1998 Benjamin Netanyahu, da primo ministro, le ha chiesto di interpretare l'inno nazionale per il cinquantenario della fondazione di Israele, dieci anni dopo - durante le nuove celebrazioni - è stata eletta la migliore cantante di tutti i tempi. Pochi giorni fa si è esibita per José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea in vista alla residenza di Shimon Peres. Ha scelto Yerushalaim Shel Zahav (Gerusalemme d'oro), il ritornello più amato dagli israeliani.
All'agenzia di stampa Fars non è sfuggito che l'icona pop sia diventata un simbolo politico. I Guardiani della Rivoluzione vedono il complotto: «Rita è l'ultimo stratagemma nelle guerra soft per conquistare i giovani iraniani». Che potrebbero aver deciso di idolatrarla proprio perché ascoltare una cantante israeliana è un gesto di ribellione. Anche Commentary, la rivista dei neo-conservatori americani, la considera un'arma e in questo senso comprende la «paranoia» dei Pasdaran: «Il regime fa bene a temere l'impatto della musica occidentale. Questo album può essere una delle minacce più potenti che si trovi ad affrontare. L'esistenza di Rita - e delle libertà personali che implica per lei e i suoi numerosi ammiratori israeliani - è la forza che sloggerà gli ayatollah. Il desiderio di una libertà simile ha spinto milioni di iraniani a protestare tre anni fa e li spinge adesso ad ascoltare il suo disco».
La diva, 50 anni, ripete di voler cantare l'amore e di non essere parte di strategie diplomatico/militari. «Anche se questo album può fare la differenza. Qualunque decisione i governi prendano, la gente è intelligente e vuole vivere tranquilla. E' tempo che gli iraniani scoprano di noi qualcosa di diverso dai racconti della propaganda di regime».
Il premier Netanyahu e il suo ministro della Difesa Ehud Barak restano convinti che le sanzioni internazionali siano insufficienti per fermare il programma atomico degli ayatollah. Leon Panetta, segretario alla Difesa americano, aveva parlato di un possibile bombardamento israeliano «in aprile, maggio, giugno». Siamo arrivati a luglio ma gli analisti - come Herb Keinon sul Jerusalem Post - non escludono un'operazione prima delle elezioni presidenziali di novembre negli Stati Uniti.
Per Rita quel che conta sono le email ricevute dall'Iran. Le scrive Ali F. da Shiraz: «Le bellissime ed emozionanti canzoni che ci regali in questi tempi di guerra, in questo periodo folle di controllo islamico, donano un sentimento di vicinanza e amore tra i due Paesi. Che Dio misericordioso possa mandarti la felicità».
"Lech Lechà", settimana della cultura ebraica di Puglia: presentazione a Roma
ROMA - Concerti, cinema, conferenze, un corso di lingua ebraica moderna, la fiera del libro, visite guidate ad aree archeologiche e un seminario sull'interpretazione dei sogni. Tutto questo e altro ancora è Lech Lechà, settimana di arte, cultura e letteratura ebraica di Puglia.
La manifestazione, promossa dall'Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, è organizzata dalla Comunità ebraica di Napoli, con il patrocinio dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane e Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia e partirà domenica 2 settembre in coincidenza con la "Giornata Europea della Cultura Ebraica 2012".
Il lungo e articolato programma sarà presentato in anteprima nazionale nel corso della conferenza stampa che si terrà a Roma, venerdì 20 luglio alle ore 10.30 presso il Palazzo della Cultura, in via Portico d'Ottavia 73. Interverranno, tra gli altri, l'Assessore al Mediterraneo, Cultura e Turismo della Regione Puglia, Silvia Godelli, il rabbino Capo di Napoli, Rav Shalom Bahbout e il direttore artistico della manifestazione, Francesco Lotoro.
"Lech Lechà" - spiega il direttore artistico - è l'esortazione con la quale Dio indica ad Abramo di recarsi verso la sua nuova terra ma indica, più sottilmente, di "andare verso sé stessi". Si tratta di un viaggio verso le proprie radici, soprattutto identitarie, umane; un viaggio dello spirito e della mente attraverso i tesori visibili e nascosti non soltanto dell'ebraismo, ma delle altre culture sociali e religiose del bacino mediterraneo. La manifestazione, diretta a un pubblico variegato e non soltanto a chi è ebreo, si compone di appuntamenti culturali capaci di incuriosire e far trascorrere piacevolmente le sere d'estate: non mancheranno concerti, cinema, una fiera del libro e visite archeologiche guidate, oltre a ben 21 conferenze alle quali interverranno oltre 40 relatori tra scrittori, magistrati, politici, docenti universitari e giornalisti, tra i quali Daniela Abravanel, Piercamillo Davigo, Claudia De Benedetti, Benedetto Della Vedova, Donatella Di Cesare, Roy Doliner, David Gerbi, Rav Shalom Bahbout e Rav Amedeo Spagnoletto, Fabrizio Lelli, Moise Levy, Francesco Lucrezi, Ugo Villani, Nedim Vlora e altri".
Lech Lechà, il nome della manifestazione, riprende il suono dello "shofar", il corno d'ariete che viene suonato nelle occasioni particolari del calendario ebraico, ma è anche "il momento cruciale - conclude Lotoro - nel quale l'ebraismo, nel palcoscenico interculturale del Mezzogiorno, può fare la differenza e portare valore aggiunto alla cultura, al dialogo e al bene sociale".
Il Presidente della Provincia di Bari ha ricevuto l'Ambasciatore d'Israele
Francesco Schittulli
Il Presidente della Provincia di Bari, Francesco Schittulli, ha ricevuto ieri mattina il nuovo ambasciatore dello Stato di Israele in Italia, S.E. Naor Gillon, in visita ufficiale per la sua prima volta a Bari.
Nell'incontro, svoltosi in un clima di grande cordialità, è emersa la condivisa volontà di incrementare le relazioni soprattutto nell'ambito dei rapporti economici e nel campo della professionalità scientifica al fine di raggiungere una proficua cooperazione sulla strada dello sviluppo e verso un processo di pace nel mondo.
Nell'occasione, il Presidente Schittulli, al fine di concretizzare l'importante opportunità, ha proposto all'Ambasciatore Gillon un gemellaggio tra la Provincia di Bari e lo Stato israeliano. La proposta, accolta con entusiasmo dal diplomatico, costituirebbe la prima intesa che una Provincia italiana formalizza con Israele.
Gli scambi economici non sono stati gli unici ad essere oggetto dell'incontro.
Il Presidente Schittulli, in qualità di Presidente Nazionale della Lega Italiana nella Lotta ai Tumori - LILT -, ha proposto, altresì, all'Ambasciatore la possibilità di sottoscrivere un Protocollo d'Intesa al fine di promuovere iniziative di informazione e prevenzione oncologica, si sono per questo dati appuntamento in questi giorni a Roma.
Attacco sventato a Cipro. Netanyahu denuncia il terrorismo dellIran
La polizia ha arrestato un libanese apparterrebbe a Hezbollah
GERUSALEMME, 14 lug. - Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha denunciato il "terrorismo iraniano" dopo l'arresto della polizia cipriota di un libanese sospettato di preparare un attacco contro gli interessi israeliani a Cipro.
"Il terrorismo iraniano non ha confini. Dopo che l'Iran ha inviato suoi uomini ad assassinare l'ambasciatore saudita negli Stati Uniti, dopo i suoi attentati in Azerbaigian, a Bangkok, Tbilisi, Nuova Delhi e in Africa, (l'Iran) ha ora rivelato l'intenzione di compiere un attacco terroristico contro il territorio di Cipro", ha denunciato Netanyahu in un comunicato stampa diramato dal suo ufficio.
Secondo notizie di stampa, il sospetto farebbe parte del movimento sciita libanese Hezbollah, alleato dell'Iran. La tv pubblica cipriota ha riferito, senza fornire dettagli, che il Mossad (l'intelligence israeliana), aveva fornito informazioni sul sospetto alle autorità cipriote.
"Viaggio in Palestina per l'assessore? Attendo con ansia la lista delle spese"
La Spezia - Tre giorni fa il consigliere comunale del Pdl Maria Grazia Frijia ha presentato uninterrogazione urgente su una notizia relativa al viaggio di un assessore in Palestina per discutere con Abu Mazen. Un cittadino di La Spezia ha scritto una lettera a un giornale locale per sapere di che cosa avranno parlato l'assessore spezzino e il Presidente palestinese e, soprattutto, quanto avranno speso lui e il suo seguito per questa mediorentale visita di cortesia.
LA SPEZIA - La richiesta del Consigliere del PDL Frijia di sapere quanto è costato il viaggio in Palestina fatto ultimamente dall'Assessore Sacconi e, ancora di più, chi aveva al seguito e quali responsabilità sociali e politiche esprimono, è giusta e doverosa per quanto tutte le forze politiche si richiamano alla trasparenza amministrativa.
Sicuramente appare evidente che in un momento di crisi economica, sociale e politica sarebbe meglio che i Comuni lasciassero la logica interventista sulle sorti del mondo, svolta spesso con gemellaggi e incontri conviviali. Come dice il consigliere, sembra irreale che un Assessore di provincia, molto provincia, sia mandato a rappresentare e a discutere, forse, i problemi annosi del popolo palestinese e magari dell'intero Medio oriente.
Come cittadino spezzino, attendo con ansia l'elenco della spesa e i nominativi della rappresentativa che, a parte la facile ironia, sarà sicuramente piena di personalità di spicco del territorio Comunale, oltre un serio rendiconto degli argomenti trattati e, magari del dialogo avuti con la presidenza Palestinese.
Un cordiale saluto,
Mario Parenti
Merkel in prima linea sulla circoncisione: «Ingiusto vietarla»
di Paolo Lepri
Angela Merkel e il suo portavoce
BERLINO La libertà religiosa in Germania non è in pericolo. Lo ha assicurato il governo, costretto ad intervenire con una dichiarazione molto netta del portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, per placare l'ondata di proteste scatenata dalla sentenza della Corte regionale di Colonia che ha giudicato la circoncisione perseguibile penalmente. In cancelleria, d'accordo con il ministero della Giustizia, si lavora già ad una legge che risolva quanto prima il problema. È inoltre molto probabile che a margine della sessione parlamentare speciale sugli aiuti alla Spagna, convocata il 19 luglio, il Bundestag approvi una risoluzione per contribuire a riportare la pace con gli ebrei e i musulmani tedeschi. Il caso non è ancora chiuso, ma potrebbe esserlo subito dopo la pausa estiva.
«L'opinione di tutti, nel governo, è chiarissima: vogliamo che la vita religiosa degli ebrei e dei musulmani in Germania sia possibile. La circoncisione praticata in modo responsabile non può essere perseguita in questo Paese», ha detto Seibert. «La libertà religiosa è un diritto che sosteniamo fermamente», ha proseguito, aggiungendo che è «urgente» ristabilire un clima giuridico corretto. Le parole del portavoce della cancelliera sono giunte all'indomani della forte presa di posizione del presidente della conferenza europea dei rabbini, Pinchas Goldschmidt, che aveva detto di «non vedere un futuro» per gli ebrei in Germania e definito la decisione dei giudici «il più grave attacco dopo l'Olocausto».
Già nelle settimane scorse, tutte le associazioni degli ebrei e dei musulmani tedeschi avevano espresso forti critiche nei confronti della sentenza di Colonia, che non ha un valore vincolante fuori dai confini della regione ma può essere considerata come un precedente da altre corti in un Paese dove vivono 120 mila ebrei e quattro milioni di musulmani. I giudici si erano pronunciati il 26 giugno dopo aver esaminato il caso di un bambino di quattro anni, musulmano, ferito durante l'intervento, paragonando la circoncisione alle punizioni corporali e sostenendo il principio del consenso obbligatorio. Secondo la religione ebraica, invece, la circoncisione deve essere compiuta entro l'ottavo giorno dalla nascita.
Sono stati in molti a rilevare, sia nella maggioranza che nell'opposizione, che questa vicenda, se non risolta rapidamente, poteva provocare un danno non indifferente alla stessa immagine del Paese. Anche i rapporti con Israele, che ha invocato fin dall'inizio una chiarificazione da parte del governo, hanno vissuto momenti difficili. I giornali si sono schierati senza eccezione contro i giudici di Colonia. «La sentenza è stata sconsiderata e la forte protesta è giustificata», ha scritto Heribert Prantl, della direzione della Süddeutsche Zeitung. In questa «vergognosa farsa per la Germania», Die Welt ha visto «una manifestazione della crescente intolleranza contro i gruppi religiosi nel mondo». Molto documentata l'analisi compiuta da Christian Walter, docente di diritto pubblico all'università di Monaco, che ha parlato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung di una «inaccettabile ingerenza nella libertà di religione», avvertendo che «la difesa dai pericoli della religione non può trasformarsi in difesa dalla religione».
Lo scrittore ha deciso di intervistare l'editorialista e giornalista internazionale, Giulio Meotti: "Israele è una promessa di redenzione per l'umanità". Uno sguardo fugace nei pensieri di un "gentile giusto".
"Il mondo occidentale dovrebbe preoccuparsi molto per la sorte del piccolo Israele, da quando è diventato il membro più in pericolo della nostra civiltà. La condizione di ebreo oggi è di nuovo il punto focale di smisurate battaglie d'identità. Il giudaismo è la culla dell'umanità, della legge, della morale, della democrazia, e quindi è un faro di speranza per tutti. Questo è il tema più importante del nostro tempo, l'unico, da affrontare. Mi domando cosa succederebbe alle altre democrazie se Israele dovesse soccombere.
"La rinascita nazionale nella sua patria di origine, di un popolo minacciato di estinzione per tremila anni, dovrebbe rappresentare - specialmente agli occhi della civiltà occidentale - una promessa di redenzione per tutta l'umanità. E ancora di più, da quando questo piccolo paese arido, al limite tra sopravvivenza e distruzione, sta in mezzo ad una regione che contesta con violenza il suo diritto di esistere. Per capire questo non è necessario essere ebrei ".
Giulio Meotti è giornalista e scrittore italiano. È laureato in Filosofia, collaboratore del quotidiano "Il Foglio". Nel 2010 ha pubblicato per Lindau: "Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d'Israele".
"Sono stato spinto a scrivere questo libro per molte ragioni. Io ho fiducia nei valori dell'Occidente, e dunque anche nella sicurezza dello Stato di Israele. Scrivo dall'Europa, un continente che sta assistendo ad una sempre più pericolosa ondata di antisemitismo, nuovo e radicale, e di delegittimazione del diritto all'esistenza di Israele.
Questo indica il rischio di un'enorme frana nella società occidentale e forse anche della sua caduta. Ho avuto anche una missione: preservare le vittime israeliane dall'oblio, dando loro "un nome e un luogo" e raccontando le loro storie.
Ho passato sei anni a rintracciare i testimoni israeliani delle atrocità terroristiche tra il 1994 e il 2010, dopo la cosiddetta "guerra di Oslo". Ho intervistato persone che sono sopravvissute agli attacchi così come i famigliari di vittime che non sopravvissero.
Ho vissuto momenti molto difficili e mi colse persino il pensiero di abbandonare il progetto. È stata una fatica durata sei anni di ostinata determinazione, di solitudine e, forse, d'un impegno morale assillante. Non ho scritto "Non smetteremo di danzare" come ricordi d'archivio, ma piuttosto come un far rivivere la Shoah in scala ridotta. Come la Shoah è stata il genocidio di milioni di persone uccise solo perché erano ebrei che vivevano in Europa, così le molte persone uccise nelle stragi dei terroristi sono state colpite perché erano ebrei che vivevano in Israele.
È un immenso buco nero che in quindici anni ha inghiottito 1.557 uomini, donne e bambini innocenti e ha lasciato più di 17.000 feriti. Offro questo libro come una litania in memoria degli ebrei martirizzati, che trasmetterà la storia di Israele alle future generazioni. È un documento raro e spero che si leggeranno queste storie ripetutamente nei prossimi decenni in vista della celebrazione del centenario di Israele. Sapevo che avrei pagato un prezzo pesante per la pubblicazione di un libro del genere. Al giorno d'oggi parlare di Israele in Italia, in toni amichevoli, soprattutto nei circoli giornalistici e accademici, significa rischiare la censura. O peggio, attacchi personali. Sono stato chiamato un "agente di Israele", uno" stupido sionista pornografico" , "spregevole", "spazzatura di destra" , "Shylock" e così via.
Una foto con la mia faccia e la stella di David impressa su di essa è stata pubblicata sui siti internet arabi. Ho ricevuto e-mail minacciose come: "Caro insetto coprofago, continua a razzolare nello sterco sionista, la hasbara ti darà trenta denari."
Ma io sono orgoglioso del lavoro che faccio. Mio figlio e questo libro sono le motivazioni principali della mia esistenza. Il quotidiano Il Foglio per cui scrivo ha una bassa tiratura, ma tutte le persone chiave della società italiana lo leggono. È l'unica testata pro-Israele in Italia.
Durante la Seconda Intifada nei peggiori mesi del 2002, gli attentatori suicidi palestinesi attaccavano hotel israeliani, centri commerciali, ristoranti ecc . Hanno ucciso centinaia di persone innocenti. Il Foglio aveva allora organizzato un raduno a Roma in favore di Israele. Migliaia di persone, molti sventolando bandiere israeliane, si riunirono al tramonto al Municipio di Roma in cima al Campidoglio e fecero un corteo lungo il fiume Tevere fino a raggiungere la Grande Sinagoga. Alcuni reggevano striscioni con la scritta: "Noi siamo con Israele". Altri partecipanti mettevano sassolini intorno alla sinagoga, un gesto che ricorda l'usanza ebraica di lasciare un segno su una tomba. Bandiere israeliane sventolavano alle finestre del quartiere. Il Foglio aveva reso possibile tutto questo e ha combattuto una battaglia storica a favore della verità, della giustizia e dell'onore dell'Occidente, a cui Israele appartiene. Nel 2005, l'iraniano Mahmoud Ahmadinejad per la prima volta comunicò che lo Stato di Israele doveva essere cancellato dalla carta geografica. Il direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara lanciò un appello per una pubblica protesta, dicendo che gli italiani avrebbero dovuto dimostrare 'in difesa del diritto di Israele ad esistere'.
Quella volta la manifestazione fu davanti all'ambasciata iraniana a Roma. Vi parteciparono politici di destra e di sinistra. Fu una notte meravigliosa. Israele e gli ebrei seppero di non essere soli".
Questo è Giulio Meotti - in poche parole.
Il governo tedesco garantirà agli ebrei il diritto alla circoncisione
BERLINO, 13 lug - Il governo tedesco ha assicurato che interverra' rapidamente per salvaguardare il diritto della comunita' ebraica ad eseguire la pratica della circoncisione. Conversando con i giornalisti, il portavoce del cancelliere Angela Merkel, Steffen Seibert, si e' detto ''preoccupato'' per la sentenza della magistratura di Colonia che ha equiparato l'atto ad un delitto.
''Le circoncisioni effettuate in modo responsabile non devono essere oggetto di un'azione penale in questo paese'', ha detto Seibert, ricordando che la ''liberta' di professare la propria religione e' un principio che non puo' essere messo in discussione''.
L'assessore Beltrami e l'abbraccio con gli studenti israeliani
L'incontro è avvenuto nell'ambito del progetto «Gerusalemme» con l'Istituto Martini di Mezzolombardo
L'assessore Lia Beltrami
Il Trentino è terra di pace e di convivenza, aperta a religioni e culture diverse.
Nel ruolo di ambasciatrice della tradizione trentina, l'assessore provinciale alla solidarietà internazionale e alla convivenza, Lia Giovanazzi Beltrami, ha incontrato nella serata di ieri la delegazione di studenti della scuola di Gerusalemme «Keshet» e l'Istituto Martini di Mezzolombardo.
«Il Trentino - ha esordito l'assessore Beltrami, rivolta ai ragazzi israeliani - vi apre le porte delle proprie case e delle proprie istituzioni affinché voi possiate continuare il vostro percorso di conoscenza, rispetto e dialogo.»
Il nome del progetto - «Gerusalemme» - racchiude con semplicità ed immediatezza gli obiettivi del percorso di crescita personale avviato dai ragazzi dell'Istituto Martini di Mezzolombardo con i coetanei della Keshet School di Gerusalemme.
Dopo la trasferta degli studenti trentini a marzo nella Città Sacra per le tre grandi religioni monoteiste, i giovani della Keshet hanno ricambiato la visita in Trentino.
Nel pomeriggio di ieri, i ragazzi - circa una trentina - hanno affrontato il primo appuntamento con le istituzioni trentine, incontrando l'assessore alla solidarietà internazionale e alla convivenza Lia Giovanazzi Beltrami nelle sale del Seminario maggiore di Trento.
La Keshet School ha una peculiarità che ha contribuito a sceglierla per il progetto Gerusalemme: si tratta di un istituto frequentato sia da ragazzi ebrei ultraortodossi che da ebrei di fede moderata.
«Il Trentino - ha esordito l'assessore Beltrami - è una terra aperta alle diversi confessioni religiose e alle diverse culture. Abbiamo sostenuto il progetto «Gerusalemme», che vi ha fatto incontrare, perché rispetto il nostro spirito e si inserisce pienamente nel percorso avviato da «Officina Medio Oriente», l'iniziativa promossa della Provincia autonoma di Trento, che lavora per la pace e l'amicizia dei due popoli.»
L'assessore ha ricordato che la Provincia autonoma di Trento ha attualmente attivi in Medio Oriente una ventina di progetti.
«Si tratta di iniziative che coinvolgono tutte le popolazioni locali nei diversi settori della società, perché crediamo di poter offrire un contributo positivo alla storia di territori a noi lontani geograficamente ma che da un punto di vista umano noi sentiamo molto vicini.»
L'incontro è stata l'occasione per la delegazioni trentina di ricordare la permanenza in Israele, caratterizzata dalla visita al Museo dell'Olocausto, il viaggio nel deserto del Negev e la scoperta di Gerusalemme, dove ad attenderli c'erano anche gli addetti dell'Ambasciata d'Italia.
I ragazzi israeliani hanno ringraziato gli insegnati dell'Istituto Martini per il lavoro svolto, l'assessore Beltrami per il sostegno e la Provincia autonoma di Trento per lo scambio e l'accoglienza, che «hanno reso l'esperienza particolarmente intensa».
Fassino incontra il nuovo ambasciatore italiano in Israele
TORINO, 13 lug. - "Torino con Israele intrattiene rapporti da molti anni anche grazie all'importante Comunita' ebraica torinese ed e' interesse della Citta' alimentare e instaurare nuove collaborazioni in campo culturale, formativo ed economico con questo Paese" Lo ha detto il sindaco del capoluogo piemontese, Piero Fassino, incontrando a Palazzo Civico il nuovo Ambasciatore italiano in Israele, Francesco Talo'.
Durante l'incontro sono state analizzate le opportunita' di collaborazione con Haifa, con cui Torino ha un Accordo di partnership, e con Gerusalemme, con cui la Citta' nei mesi scorsi ha avviato un rapporto di collaborazione museale e musicale. Altri fronti potranno essere la collaborazione in campo universitario e l'interscambio economico con il supporto della Camera di Commercio di Torino.
Il ministro Riccardi visiterà lunedì la Sinagoga di Roma
ROMA, 13 lug - Il ministro della Cooperazione internazionale e dell'Integrazione, Andrea Riccardi, sara' in visita, lunedi' prossimo, alle 17,30 alla Sinagoga di Roma, dove incontrera' il rabbino capo Riccardo Di Segni e i membri della giunta e del consiglio della comunita'. Lo comunica una nota dello stesso ministero.
Sara' presente anche Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane. Nel corso dell'incontro saranno affrontati i temi del dialogo religioso, dell'integrazione, della pace, della promozione della famiglia, della lotta al razzismo, all'antisemitismo e al negazionismo, con particolare riguardo alla necessita' di norme piu' efficaci per contrastare l'odio razziale sul web.
Competitività e buone pratiche nella viticoltura europea: un'esperienza regionale e globale
Gershon Mesika
Si è conclusa la tre giorni in Valtellina di una delegazione israeliana, guidata dal governatore della Samaria Gershon Mesika e dal capo unità del ministero della Diaspora e della Diplomazia pubblica Attias Shay, formata da viticoltori e ricercatori, invitata dall'europarlamentare Fiorello Provera nelle vesti di presidente della FELD, la Fondazione per l'Europa delle libertà e della democrazia. L'iniziativa ha consentito la conoscenza e lo scambio di informazioni tra due realtà vitivinicole molto peculiari, ciascuna a suo modo eroica. La Valtellina e Israele vantano entrambi un'antica tradizione nella coltivazione della vite, hanno saputo superare le difficoltà legate alla conformazione fisica del territorio, affermando la qualità dei loro vini. L'idea di organizzare la visita, che rappresenta il primo di una serie di progetti che la Feld promuoverà, è nata e si è concretizzata nell'ambito dei rapporti che Provera intrattiene con Israele, cementati in occasione della visita ufficiale del febbraio scorso, durante la quale l'europarlamentare valtellinese aveva avuto l'onore di tenere un discorso alla Knesset, il Parlamento israeliano.
Accolti nel pomeriggio di domenica a Bormio dal sindaco Giuseppe Occhi, gli israeliani hanno trascorso l'intera giornata di lunedì nel Sondriese, tra vigneti e cantine, secondo il programma definito in collaborazione con la Fondazione Fojanini. In mattinata, nella sede di via Valeriana, i viticoltori israeliani hanno seguito con interesse la presentazione del presidente Claudio Introini e del direttore Graziano Murada che sono stati spesso interrotti per domande e richieste di precisazione riguardo ai metodi di coltivazione della vite. Nell'incontro pubblico che è seguito, Provera ha illustrato l'iniziativa parlando di "attaccamento alla terra dei padri" e di "cuore", tratti comuni che uniscono Valtellina e Israele. Quindi il benvenuto del vicepresidente della Provincia Severino De Stefani e del presidente della Camera di Commercio Emanuele Bertolini, e i ringraziamenti dei rappresentanti israeliani che si sono detti stupefatti dalla bellezza della nostra terra. Dopo la visita a una cantina di Castione e alla passeggiata tra le vigne, la delegazione israeliana è stata ospitata da Alberto Marsetti nella sua azienda per una degustazione.
La terza e conclusiva giornata si è caratterizzata per le visite alla cantina Nino Negri di Chiuro e all'azienda di Mauro Simonini: prima i vini rossi pluridecorati poi il succo di mele. Nel pomeriggio il trasferimento a Milano per l'incontro con l'assessore regionale all'Agricoltura Giulio De Capitani prima del ritorno in Israele.
Il bilancio della visita è completamente positivo, sia per gli ospiti che per la Valtellina. I primi hanno avuto l'opportunità di conoscere da vicino una realtà vitivinicola che deve fare i conti con le difficoltà, la seconda ha preso contatto con un Paese tecnologicamente avanzato che, attraverso la ricerca scientifica, ha sopperito alle carenze di acqua e di fonti energetiche. Un proficuo scambio di esperienze che prelude a nuove collaborazioni e alla visita dei valtellinesi in Israele.
Un prete osa dire la verità sui Fratelli Musulmani
Per Henri Boulad l'Occidente è di una "ingenuità monumentale" sull'Islam
Gesuita, egiziano, direttore del Centro Culturale di Alessandria e vice presidente di Caritas Egitto, Henri Boulad è stato intervistato il 25 giugno da France 24, canale francese che trasmette in continuazione notizie internazionali in francese, inglese e arabo.
Estratti dal video:
"Gli islamisti sono irriducibili ... Potete chiamarli Fratelli Musulmani o salafiti ... è lo stesso."
"Noi cristiani d'Oriente abbiamo già vissuto tutto questo... Nel 1860 mio nonno è scampato a un massacro di 20.000 cristiani a Damasco."
"Ce l'abbiamo dentro, nella nostra carne"
"Chi ha vissuto una realtà è in grado di parlarne con conoscenza di causa."
"In Occidente si mette tutto questo in categorie astratte e in un Politicamente Corretto che sta uccidendovi."
"L'Occidente vive in un complesso di colpa, rispetto al passato, e cerca di riscattarsi ..."
Salviamo i cristiani: manifestazione a Roma il 18 luglio alle ore 19
di Silvana De Mari
Oggi i cristiani uccisi, il massacro è avvenuto in Nigeria, sono circa 90. Tutti i commentatori ci stanno spiegando le motivazioni del massacro. Il massacro è stato organizzato dalle organizzazione islamiche estremiste, che è un gran bel termine, perché è sufficiente che qualcuno sia più estremista, che qualsiasi folle fa le figura del moderato. Rispetto a Hitler Mussolini era un dittatore moderato, e rispetto a Stalin era moderato Krushov e così via. Se paragonati ai salafiti, che vietano di tagliare il pomodoro in senso sagittale perché può formarsi il disegno della croce, certo i Fratelli Musulmani sono moderati. E quelli che ai cristiani vogliono togliere qualsiasi proprietà e qualsiasi diritto civile, ma sono disposti a lasciarli vivi, sono moderati rispetto a chi li sta ammazzando come si ammazzato i cani rabbiosi, come si sterminano i topi di fogna, nell'indifferenza generale di un occidente folle di buonismo islamicamente corretto e di delirante amore per il terrorismo islamico, quello palestinese in primis.
La domanda numero uno: chi è stato? trova una facile risposta: gli integralisti, anzi i salafiti, che in arabo vuol dire integralista, ma così cominciamo a imparare la lingua, il primo passo di chi si avvia alla sottomissione. I salafiti sono un gruppo a parte, l'islam è tanto buono. Non dobbiamo criminalizzare tutti per una minoranza. Vorrei ricordare che il numero di tedeschi che era favorevole allo sterminio degli ebrei inclusi i bambini era una minoranza: questo non ha salvato gli ebrei. La maggioranza dei turchi non era favorevole allo sterminio degli armeni e in particolare delle donne e dei bambini: questo non ha salvato nessuno.
E' sufficiente che il 20 % di una popolazione sia favorevole alla violenza indiscriminata sui civili perché quella popolazione sia mortalmente pericolosa, estremamente pericolosa, potenzialmente genocidaria. E così la domanda numero uno è a posto si passa alla domanda numero due: perché? Le spiegazioni sono numerose. Scelgo a caso tra le varie ipotesi. L'attentato è stato fatto come reazione a un qualche atto non gradito del governo, come reazione alla cattiveria dell'Occidente, cattivo a prescindere, per destabilizzare il governo centrale e/o locale per scatenare una guerra interreligiosa.
L'ipotesi che il massacro è stato fatto per massacrare i cristiani, che per l'islam sono infedeli, è un concetto troppo cattivo per il commentatore medio. L'islam è una religione fondata da un generale che l'ha imposta con la spada e che ordina di uccidere gli infedeli ovunque si trovino.
I cristiani in Nigeria, come quelli del Senegal, come quelli del Kenya, come l'intera popolazione di Israele, ma anche come l'intera popolazione dell'Europa sono infedeli. Non tutte le persone di convinta e reale fede islamica desiderano ucciderci. La maggioranza desidera solo dominarci in una posizione di sottomessi che si dice dhimmi. Non è possibile, il Corano lo vieta, che un musulmano possa convivere con non musulmani rispettandoli e a diritti pari.
Ciò che il Corano comanda a proposito di noi infedeli:
Sgozza gli infedeli ovunque li trovi (2:191)
Fai la guerra agli infedeli che vivono vicino a te (9:123)
Quando si presenta l'occasione, uccidere gli infedeli ovunque li si cattura (9,5)
Gli ebrei ed i cristiani sono pervertiti; combattili (9:30)
Uccidere gli ebrei e i cristiani, se non si convertono all'islam o se rifiutano di pagare la jizya [tassa dell'umiliazione] (9,29)
Mutilare e crocifiggere gli infedeli se criticano l'islam (05:33)
Punire i miscredenti con indumenti (gabbie) di fuoco, aste di ferro con ganci, acqua bollente, si fondano la loro pelle e il ventre (22:19-21)
Ogni religione diversa dall'islam non è accettabile (3:85)
Non cercare la pace con gli infedeli; decapitateli quando li prendete prigionieri (47:4)
Terrorizzare e decapitare quelli che credono in altre scritture che il Corano (8,12)
I miscredenti sono stupidi; esortare i musulmani di combatterli (8:65)
I musulmani non devono prendere gli infedeli come amici (3:28)
I musulmani devono radunare tutte le armi possibili per terrorizzare gli infedeli (8:60)
Gli infedeli sono impuri e non vanno lasciati entrare in moschea (9,28)
Chi afferma che l'islam è o può essere una religione di pace è una persona che vuole credere in un'illusione, una persona molto poco informata o semplicementevqualcuno che sta mentendo. L'unica pace possibile per l'islam è la sottomissione del mondo ai suoi precetti. Islam vuol dire sottomissione. Per la sottomissione, grazie , ma non contate su di me.
Dobbiamo salvare i cristiani, fare tutto quello che possiamo per Israele, che è sotto minaccia nucleare e creare per gli uomini e le donne nati dell'islam una via di fuga da una teocrazia terrificante.
Sono sicura che ci riusciremo. Il 18 di questo mese alle ore 19 sarò a Roma alle 19 in Piazza S. Apostoli alla manifestazione organizzata da Magdi Cristiano Allam. Sono sicura che saremo in tantissimi.
Napoli - Cimitero ebraico «Abbandonato al degrado»
Il cimiitero ebraico di Santa Maria del Pianto
NAPOLI - Una lettera aperta è stata indirizzata al sindaco di Napoli dalla comunità ebraica riguardo le condizioni di abbandono nelle quali versa il cminitero ebraico si Santa Maria del Pianto. Nella lettera si legge: «Facciamo seguito a precedenti nostre mail dirette sia a Lei che agli assessori competenti ed ai numerosi colloqui con la direzione cimiteri per segnalare l'estremo degrado con cui viene tenuto il cimitero ebraico di Napoli.
Nel 1954, la comunità ebraica di Napoli stipulava con il comune di Napoli una convenzione con il comune che cedeva alla comunità ebraica un terreno nella zona cimiteriale adatto alle nostre esigenze di culto. Nella convenzione si chiariva che la manutenzione, la pulizia, il giardinaggio e la guardiania erano totalmente a carico del Comune, alla comunità restava solo l'onere di pagare di volta in volta la porzione di suolo necessaria alle singole sepolture.
Siamo di nuovo costretti a richiamare con fermezza la convenzione a suo tempo stipulata, e chiedere che si provveda ad una assidua e costante pulizia, alla manutenzione, e, soprattutto, a programmare interventi di giardinaggio che permettano il decoro necessario al luogo ed un agevole accesso alle tombe.
Lo stato di manutenzione è inesistente, tutte le tombe sono coperta di erbacce, in alcuni casi una foresta, tanto che non è possibile avvicinarsi alle tombe stesse ed individuare le lapidi.
Questo cimitero è frequentato da molti stranieri che hanno i propri cari sepolti a Napoli e certamente noi e la città non facciamo una bella figura.
Anche in occasione di sepolture non viene svolta alcuna pulizia e agli intervenuti si manifesta uno stato di gravissimo degrado. Numerose sono state le telefonate e le lettere di protesta.
Ricordo, inoltre, che prima del Capodanno Ebraico ( Rosh ha Shana 1 tishrì 5773) e dello Yom Kippur si terranno le consuete visite ai cimiteri a partire dal 10 settembre 2012.
Iran: premiata una vignetta smaccatamente antisemita
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Si è portato a casa cinquemila euro di premio il vignettista iraniano Mohammad Tabrizi che ha vinto il concorso di satira politica organizzato a Tehran in solidarietà con il movimento americano "Occupy Wall Street".
La vignetta con cui il cartoonist si è aggiudicato il primo premio all'International Cartoon Festival intitolato "La Caduta di Wall Street" è improntata a uno dei più vieti stereotipi del tradizionale pregiudizio antisemita. Vi si vedono degli ebrei religiosi che pregano di fronte a un edificio che è un'evidente sovrapposizione di "Muro del pianto" di Gerusalemme e Borsa di Wall Street a New York: un'immagine che si riallaccia direttamente alla più truce propaganda antiebraica, particolarmente in voga durante le persecuzioni naziste, che descriveva gli ebrei al contempo come padroni e schiavi del "dio-denaro".
L'evento, co-sponsorizzato dall'agenzia di stampa semiufficiale iraniana Fars, si è tenuto a Tehran all'inizio di questa settimana con il proposito di esprimere sostegno al movimento di protesta "Occupy Wall Street" e di "aiutare il popolo americano a trasmettere il suo messaggio al resto del mondo".
Stando a quanto riferito dall'emittente ufficiale iraniana in lingua inglese Press TV, più di 1.600 disegnatori da 45 paesi (tra cui Iran, Stati Uniti, Russia, Cina, Serbia, Kazakhstan e Turchia) hanno partecipato alla competizione con i propri lavori. I 99 finalisti sono stati messi in mostra a Tehran e sul sito web dell'agenzia Fars.
La giuria era composta da sette membri provenienti da Iran, Turchia, Polonia e Romania. Vale la pena notare che è stato premiato l'unico vignettista che ha ritenuto di legare la satira contro Wall Street con quella contro gli ebrei.
"Ancora una volta l'Iran si aggiudica il primo premio in fatto di promozione dell'antisemitismo - ha commentato Abraham Foxman, direttore dell'Anti-Defamation League - La vignetta premiata infanga il luogo più sacro dell'ebraismo facendone una sorta di santuario dell'avidità: un disegno ingiurioso sotto tutti i punti di vista".
Nel 2006 l'Iran aveva sponsorizzato un concorso vignettistico internazionale incentrato sulla negazione della Shoà che aveva visto svariati cartoonist da molti paesi del mondo rappresentare la Shoà come una totale menzogna cinicamente inventata e sfruttata dagli ebrei per ricattare il mondo e soggiogare/sterminare i palestinesi. Allora il primo premio era andato a un vignettista marocchino che nel suo disegno aveva equiparato ad Auschwitz il muro della barriera antiterrorismo israeliana.
Dal Parlamento italiano un appello al CIO per onorare la memoria delle vittime di Monaco
Anche dal Parlamento italiano arriva un messaggio forte e inequivocabile affinché il Comitato Olimpico Internazionale ricordi con un minuto di silenzio, nel corso della cerimonia inaugurale dei Giochi di Londra, gli undici atleti israeliani barbaramente uccisi a Monaco sotto i colpi del terrorismo palestinese. L'appello è di 125 parlamentari di tutti i gruppi politici attraverso una lettera inviata nelle scorse ore al numero uno del CIO Jacques Rogge. "Per tutte le ultime 10 edizioni dei Giochi Olimpici, dal 1976 a oggi - si legge nella lettera - un gruppo di familiari delle vittime, guidato dalle vedove Ankie Spitzer e Ilana Romano, ha presentato la richiesta di osservare un minuto di silenzio durante la cerimonia di apertura dei Giochi. Essa è stata ogni volta puntualmente rifiutata". In occasione del 40esimo anniversario del massacro, scrivono i parlamentari italiani, "ci uniamo così alle voci delle vedove, e di molti rappresentanti della società civile, affinché finalmente il CIO dia risposta positiva a questo semplice appello. Esso si ispira soltanto al rispetto della memoria delle vittime del terrorismo e alla speranza che lo sport può e deve costituire un momento di unità dei popoli al di là di ogni bandiera o confine".
Promotrice di questa iniziativa è Fiamma Nirenstein, giornalista e vice presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, che afferma: "Il Parlamento Italiano, con quello canadese, quello australiano e col Senato degli Stati Uniti d'America unisce la sua voce a quella delle vedove e delle molte organizzazioni che chiedono un momento di pietà nei confronti degli atleti uccisi e una ferma condanna del terrorismo". Un appello che fa suo tra gli altri il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici che nelle scorse ore ha annunciato un prossimo colloquio con l'ambasciatore Naor Gilon finalizzato a coinvolgere le istituzioni e tutti i cittadini israeliani residenti in Italia. Molto attivo anche il presidente della Federazione Italiana Maccabi Vittorio Pavoncello che, in una nuova lettera inviata al presidente del Coni Gianni Petrucci, ringrazia la nostra delegazione per la grande sensibilità dimostrata in questi ultimi giorni e invita a non desistere dallo sforzo per il raggiungimento del comune obiettivo.
Israele schiererà anti-missili sul confine con l'Egitto
GERUSALEMME - Israele ha annunciato che istallera' una batteria anti-missili Iron Dome ai confini meridionali con l'Egitto, mossa che sugue gli attacchi dei mesi scorsi contro Eilat. La batteria - ha detto un portavoce militare - sara' schierata presso Eilat come parte dell'operazione che prevede anche il cambio di posizionamento del luogo". Iron Dome e' un sistema che impiega missili a guida radar in grado di intercettare e abbattere razzi e bombe da mortaio.
Azienda condannata per segregazione sessuale sui bus
GERUSALEMME, 12 lug - Un'azienda di trasporti israeliana, la Superbus, dovra' pagare 13.000 shekel (circa 2.600 euro) ad una studentessa di 15 anni alla quale fu ingiunto dall'autista del bus su cui viaggiava di spostarsi in coda per consentire a due haredim (religiosi ebrei ultraortodossi) di accomodarsi nei posti davanti. Lo riporta il sito Ynet citando la sentenza di un tribunale di Beit Shemesh, cittadina a forte concentrazione di 'zeloti' a poca distanza da Gerusalemme. La cittadina - ricorda il sito, versione online del giornale Yediot Ahronot - e' stata mesi fa il centro di una precedente battaglia legale contro la crescente discriminazione delle donne e il tentativo degli haredim d'escluderle dalla sfera pubblica.
Negli ultimi anni sono state molte le polemiche tra religiosi ultra' e laici sulla campagna intrapresa dai primi per ottenere linee di autobus separati per uomini e donne, in base alle prescrizioni delle correnti dell'ebraismo piu' radicale.
L'avvocata Orly Erez-Lahovski, dell'Israel Religious Action Center, ha salutato il verdetto come ''un passo nella battaglia contro l'esclusione delle donne dal sistema del trasporto pubblico'' e ha auspicato che esso ''mandi un messaggio preciso ad autisti e aziende di bus: ossia che la discriminazione non solo e' illegale, ma sara' anche costosa''.
La fantasia della propaganda anti-israeliana non conosce limiti. Va detto. Anzi riconosciuto, magari con un Oscar alla disinformazione per quella Palestina Hollywood che già in passato fu resa famosa dai finti funerali dei bambini martiri, ripresi dall'alto mentre cadevano dalla bara e aiutati da coloro che la sorreggevano a riposizionarvisi dentro.
Tra i king maker di questo tipo di propaganda si segnala all'estero il sito Infopal che ha una spiccata attitudine disneyana per gli animali antropomorfi in chiave sionista. L'ultima trovata è stata quella di denunciare con un comunicato serioso la nuova arma letale dei coloni contro i poveri palestinesi: un esercito di cinghiali e di maiali addestrati a spaventare i poveri "fellahin" (contadini) e a distruggere i loro raccolti. A riprova del loro assunto ne hanno anche decapitato uno mostrandolo in foto con la kefiah che rese famoso Arafat.
Secondo il comunicato di Infopal, che riprende fonti di una non meglio specificata organizzazione umanitaria araba, «Coloni e militari israeliani hanno dato vita ad una nuova unità specializzata nello spargimento del terrore tra la comunità palestinese con l'obiettivo di costringere i palestinesi ad abbandonare le loro case e la loro terra». In che modo? «Tra le tattiche utilizzate dalla nuova unità armata vi è anche l'uso di maiali, cinghiali e altri animali aggressivi, addestrati appositamente per essere aizzati contro i cittadini palestinesi». Secondo Infopal, «l'addestramento di questi animali implica il coinvolgimento di personale preparato, anche nel somministrare alle bestie sostanze chimiche». Inoltre, «dai dettagli forniti dall'Organizzazione con sede a Londra si legge come questi individui aspettino il tramonto per aggredire i palestinesi in viaggio su strade adiacenti agli illegali insediamenti in Cisgiordania».
Gli animali verrebbero usati per assaltare persone, per vandalizzare terreni agricoli palestinesi e per terrorizzare i bambini palestinesi. Il comunicato si chiude in modo serioso: «Erano otto anni che i coloni non utilizzavano più questi animali, ma oggi le autorità d'occupazione permettono loro di procurarseli e di tenerli all'interno degli insediamenti, e ciò svela la complicità con le istituzioni israeliane». Che dire ancora? Se le autorità palestinesi utilizzassero un decimo della fantasia usata per questa ridicola propaganda contro il loro eterno nemico per cercare la pace a quest'ora il Medio Oriente sarebbe un'isola felice.
Uno spettro si aggira per l'Europa, ma non è quello di cui parlava Karl Marx. E' uno spettro più antico e molto più angoscioso, specie per le persone civili e consapevoli (una minoranza ormai). Si tratta dell'odio atavico e irrazionale nei confronti degli ebrei. Questo odio - sulle cui origini e cause sono stati scritti montagne di libri, che non ricorderò qui - trova sempre nuovi pretesti per giustificarsi, nuove cause di cui alimentarsi, nuove forme per manifestare la sua violenza e barbarie. Gli ebrei sono - di volta in volta - gli assassini di Gesù Cristo, i controllori della finanza internazionale, quelli che "fanno le vittime", i carnefici dei palestinesi, i cospiratori delle trame più oscure e maligne, gli ideologi del comunismo (Marx era ebreo, no?) oppure, molto più semplicemente, quelli che "non sono particolarmente simpatici" ma non si capisce mai bene perché.
Come tutti sanno, nel marzo scorso un terrorista di nome Mohamed Merah, fanatico musulmano, è entrato sparando all'impazzata nella scuola ebraica di Tolosa, uccidendo quattro ebrei, di cui tre bambini. Ben pochi sanno, però, che dopo quella strage si è scatenata in Francia un'ondata di antisemitismo inedita e impressionante. Una serie di aggressioni personali, profanazioni di luoghi sacri, attacchi a negozi e altre proprietà degli ebrei si sono susseguite mettendo in allarme il nuovo ministro degli interni socialista Manuel Valls, che ha parlato di fatti di "estrema gravità". Solo nel mese di marzo - quello della strage - si sono registrati in Francia ben 90 episodi di antisemitismo, che sono saliti a 148 fra marzo e aprile. L'attacco più grave è avvenuto alla periferia di Lione, presso la sinagoga Beth Menahem: tre ebrei, riconosciuti dalla kippah, sono stati aggrediti a colpi di martello e spranga da una decina di immigrati magherbini al grido di "maledetti ebrei", riportando gravi ferite.
Alla luce di questo contesto, è chiaro che definire la strage di Tolosa un "episodio isolato" è del tutto illusorio e irrealistico. Del resto, l'autore della strage è stato sepolto in gran segreto, proprio per evitare che i suoi funerali si trasformassero in una manifestazione di massa a sostegno dell'assassino e di giubilo per il suo atroce atto terroristico. Un atteggiamento rivelatore, questo del governo francese, così tipico della classe dirigente europea, che di fronte al nuovo antisemitismo dilagante preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto e la testa sotto la sabbia. La strage di Tolosa, peraltro, ha un suo "illustre" precedente nel rapimento e assassinio di Ilan Halimi, un giovane ebreo di origine marocchina sequestrato, torturato per 24 giorni e morto fra i più atroci tormenti il 13 febbraio 2006 alla periferia di Parigi. I suoi rapitori, un gruppo di fondamentalisti islamici capeggiati da tale Youssouf Fofana, lo hanno potuto tenere nascosto in un garage della banlieu incuranti delle sue urla strazianti e delle sue invocazioni di aiuto, perché potevano contare sulla tacita complicità degli abitanti della zona, che fingevano di non sapere e non sentire. Così hanno potuto telefonare alla madre disperata e farle ascoltare le grida del figlio, mentre gli spegnevano le sigarette sui genitali. Chiedevano un riscatto in denaro (gli ebrei sono tutti ricchi, vero?) senza sapere che la donna lavorava in un call center e arrivava a stento a fine mese.
Questa è l'Europa di oggi, da Parigi a Stoccolma, da Londra a Bruxelles. Un posto in cui, ogni giorno di più, per gli ebrei sta diventando pericoloso vivere. Una polveriera pronta a esplodere domani in una nuova Shoah, della quale gli episodi citati sembrano prefigurare i primi nuclei consistenti. Eppure tanti europei, specie di sinistra, continuano a non vedere e non capire, sostenendo che l'antisemitismo non c'entra, che l'Islam non c'entra, che il problema è la questione palestinese. Merah è finito ammazzato, chiedessero a Fofana.
Di Segni: siamo favorevoli all'immigrazione, ma servono regole
BRUXELLES, 12 lug - Non bisogna chiudere le porte in faccia agli immigrati, ma occorre che i flussi migratori siano regolamenti ''per evitare che l'immigrazione si trasformi in drammi sociali''. Lo afferma il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, a margine dell'incontro tra i leader religiosi europei e i rappresentanti delle istitituzioni Ue a Bruxelles.
''Noi ebrei siamo sempre stati un popolo di migranti, e quindi non possiamo certo dire 'no' all'immigrazione'', continua Di Segni. ''Siamo aperti, ma il processo di immigrazione va regolato dalla legge''. Cio', spiega, ''per favorire un processo virtuoso di integrazione ed evitare che scoppino conflitti'' sociali.
Il sindaco di Civita Castellana accoglie gli studenti israeliani della Jerusalem Studio School
Il sindaco Gianluca Angelelli
Alle ore 17,00 del prossimo lunedì 16 luglio il sindaco di Civita Castellana, Gianluca Angelelli, accolgierà presso la sala consiliare del Comune gli studenti della Jerusalem Studio School. La prestigiosa scuola d'arte di Gerusalemme realizzerà infatti a Civita Castellana il suo Master Class, un soggiorno di quindici giorni dedicato a studiare, fotografare e dipingere l'affascinante territorio falisco.
"Desidero ringraziare l'associazione culturale Argilla di Civita Castellana, che si è attivata al fine di promuovere e organizzare il master class della scuola d'arte 'Jerusalem Studio School' - ha dichiarato il sindaco, Gianluca Angelelli - L'evento rappresenta una grande occasione per la nostra città, perché artisti, studiosi e docenti, provenienti da tutto il mondo, si dedicheranno allo studio dei nostri luoghi e del nostro patrimonio storico e naturalistico .Essere stati scelti come location italiana da questa scuola è per la nostra città un grande onore, di cui devo rendere merito all'Associazione Argilla che è riuscita ad organizzare il soggiorno, dopo un lungo lavoro fatto di contatti e scambi culturali".
Turismo e Pellegrinaggio insieme tra Calabria e Israele. Il volo diretto Tel Aviv (Aeroporto di Ben Gurion) Lamezia Terme, realizzato con il progetto Turismo 2012 Cooperazione bilaterale Calabria Israele, è pronto ad essere inaugurato. Ad inaugurare il progetto Turismo 2012 sarà il volo diretto di venerdì 13 luglio alle ore 20 in arrivo direttamente da Tel Aviv all'aeroporto di Lamezia Terme. Il progetto Turismo 2012 Calabria Israele, è scritto in una nota, è stato illustrato da Enzo Saladino, responsabile della Cooperazione bilaterale Calabria-Israele, al presidente della Fondazione dei Calabresi nel Mondo, Giuseppe Galati, "che ha condiviso tale progetto dando il suo apporto politico e territoriale. Un progetto di rilievo, coordinato dall'assessore regionale Piero Aiello che è stato fortemente voluto dalla Giunta regionale con il sostegno diretto del presidente Giuseppe Scopelliti". Galati ha voluto ringraziare Saladino e la Regione per l'impegno messo in atto per il raggiungimento di questo importante e obiettivo. "Un'iniziativa importante - ha sostenuto - che rappresenta un tassello fondamentale per la Calabria sia per l'influenza del turismo religioso sia per lo scambio culturale che questo tipo di volo può innescare fra la nostra Regione e Israele". Galati ha voluto ribadire ancora una volta il ruolo e la centralità dell'aeroporto di Lamezia Terme che "rappresenta un hub prioritario per lo sviluppo dell'economia regionale. Una grande opportunità per tutte le donne e gli uomini di fede, calabresi, che da venerdì 13 luglio potranno raggiungere direttamente la Terra Santa. Inoltre è imminente un incontro, tra i protagonisti del progetto ed il Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme, mons. Cantafora, per informarlo di questa nuova e interessante proposta per tutti i fedeli calabresi". Il programma sarà rappresentato da 11 voli diretti in arrivo ed in partenza dall'aeroporto di Lamezia Terme ogni venerdì. Il volo di partenza dall'aeroporto di Lamezia verso Tel Aviv non rappresenterà, per la compagnia aerea Aviation Links, un semplice volo di ritorno, ma gli ideatori del progetto hanno voluto che si desse vita ad uno scambio reciproco, di cultura e tradizioni, tra i due popoli, ideando, per i calabresi, il Viaggio in Terra Santa, sette emozionanti giornate da trascorrere nei posti più sacri che la Terra di Israele conserva gelosamente e con cura. "Dal risultato di successo di questo progetto - conclude la nota - trapela come l'unione fa la forza, questo progetto è stato creato dall'unione politica e dall'unione di due diversi e lontani popoli tutti insieme per un solo obiettivo. L'auspico è che ogni progetto possa essere realizzato sempre sulla base del principio di unione".
Celle e torture, "campi estivi" di Hamas per i bimbi di Gaza
GERUSALEMME, 11 lug. - Celle di isolamento, tetre stanze per interrogatori, manichini ammanettati, buche per la tortura: e' il nuovo 'campo estivo' per i bambini di Gaza gestito da Hamas. "La sofferenza dei prigionieri palestinesi": e' questo il tema a cui si ispirano, quest'anno, i tradizionali campi gestiti dal gruppo islamico nella Striscia. Obiettivo, mostrare ai piu' piccoli la dolorosa quotidianita' dei detenuti nelle carceri israeliane. E, se possibile, 'formarli' alla resistenza. Lo riferisce il quotidiano israeliano Yediot Ahronot. A illustrare il 'programma' delle attivita' e' Hytham al-Madhun, guida di uno dei campi. I bimbi hanno accesso a una finta prigione, divisa in sei ambienti, ognuno dei quali simula le diverse esperienze a cui un prigioniero palestinese va incontro nei centri di detenzione dello Stato ebraico. La prima stanza e' dedicata agli interrogatori. Madhun insegna ai piccoli le tecniche dei carcerieri cosi' come "la ferma resistenza" dei prigionieri. La stanza seguente simula in tutto e per tutto una cella.
Qui i bimbi sperimentano l'esperienza della reclusione e, prosegue il quotidiano, apprendono dalle guide come gli israeliani affianchino ai detenuti proprie spie, per carpire informazioni e confessioni dai compagni. L'addestramento prosegue nella cella d'isolamento, nella buca della torura, in una stanza che riproduce l'infermeria del carcere e, infine, in un piccolo cortile per l'ora d'aria. "Ci hanno parlato delle sofferenze dei prigionieri palestinesi e di come le forze di occupazione li privino dei piu' elementari diritti umani", ha raccontato uno dei piccoli partecipanti, Abed al-Aziz.
L'Ambasciatore di Israele presso lo Stato del Vaticano Mordechay Levy rientra in Israele dopo 4 anni intensi e fondamentali per arrivare alla firma attesa da quando, nel 93, vennero firmati i primi accordi tra Israele ed il Vaticano; come scrive Salvatore Mazza su Avvenire rimangono da definire solo alcune questioni economiche e giuridiche. Di grande interesse sono le parole dell'Ambasciatore riportate nel lancio dell'ANSA. In Israele intanto si parla soprattutto della decisione del tribunale di assolvere l'ex premier Olmert dalle accuse di aver gonfiato rimborsi in occasione dei suoi viaggi e di aver accettato regalie da un suo amico ebreo americano; rimane in piedi solo l'accusa di favoritismi al suo ex socio legale Messer, e alla fine dell'estate si conoscerà la sentenza. Questo ha permesso ad un Olmert sorridente di affermare che si è dimostrato che non avrebbe mai preso bustarelle, ma appare difficile concordare col Figaro che arriva a considerare Olmert come unico possibile rivale di Netanyahu; difficile che i cittadini israeliani possano ridargli fiducia in un domani.
In Italia un editoriale del Foglio sembra volerne rivalutare la figura, nonostante il disprezzo di cui Olmert è ricoperto in Israele e nel mondo ebraico in generale.
Dimitri Buffa firma due diversi articoli su l'Opinione; in quello dedicato al minuto di silenzio che il CIO si ostina a non voler concedere alla memoria degli atleti israeliani uccisi a Monaco 72 Buffa ricorda, molto opportunamente, che allora fu proprio l'attuale presidente Abu Mazen a raccogliere i soldi che permisero di organizzare l'operazione terroristica. Nel secondo articolo, che si ricollega ai fondi ed alle strutture prefabbricate che Israele ha donato ai terremotati emiliani, Buffa denuncia l'attività della radio (filo)iraniana che opera in Italia e che ancora ieri invitava a rifiutare i doni che arrivano dall'entità sionista (nessun paese arabo, dall'altra parte, ha donato alcunché). Nei giorni scorsi si è sparsa la notizia dei 30.000 euro concessi dalla Regione Emilia e Romagna per l'educazione dei bambini palestinesi, in sostituzione della cifra identica già inviata in precedenza ma, ahimè, utilizzata invece per eliminare i rifiuti urbani (davvero eliminati? ndr); vi è da chiedersi se tale delibera, presa nei giorni intorno al terremoto, verrà davvero rispettata.
Quasi tutti i quotidiani dedicano una breve al calciatore palestinese liberato da Israele dove era in sciopero della fame dallo scorso mese di marzo; solo Francesca Paci su La Stampa dedica un articolo a questo tema. Il neo eletto presidente dell'Egitto Morsi ha riunito il Parlamento per una seduta simbolica durata 12 minuti; la giunta militare l'aveva sciolto dopo la sentenza dell'Alta Corte che ha confermato la propria decisione, ma questo episodio non appare che come la prima azione di forte contrasto tra Tantawi e Morsi; Cecilia Zecchinelli sul Corriere dedica all'argomento un articolo nel quale si legge anche dei rapporti che l'amministrazione Obama e il segretario di Stato Clinton cercano di mantenere il più stretti possibile, ma non si legge nulla su quanto numerosi commentatori, nei giorni scorsi, hanno scritto circa i rischi che l'attuale politica USA comporta per i rapporti tra Occidente e mondo arabo.
Sui Fratelli Musulmani Tiziana Barrucci su Europa scrive alcune gravi falsità: non è vero infatti che non hanno mai rimesso in discussione la pace con Israele, e non è vero che abbiano sempre negato di voler fondare uno stato religioso in Egitto. D'altra parte è interessante leggere che il neoparlamentare Hani Nour Edin, appartenente ad una formazione estremista inserita nella lista nera di Washington, sarà accolto negli USA nella delegazione ufficiale sponsorizzata dal Dipartimento di Stato (sic).
Daniele Raineri sul Foglio parla del secondo piano di Kofi Annan che cerca di riunire insorti e governativi in Siria; ora si è recato anche in Iraq e a Teheran per bloccare quelle stragi che l'ONU (Srebrenica, e non solo, insegna) non è mai riuscita a evitare. Ora Annan viene accusato anche dagli arabi che gli rimproverano di essere sensibile solo all'influenza dei media occidentali.
Sissi Bellomo firma sul Sole 24 Ore un articolo sul mercato del petrolio dal quale risulta che la produzione iraniana sarebbe molto calata a causa dell'embargo, ma non si fa il minimo accenno, ad esempio, alle importazioni italiane che solo poche settimane fa erano state dichiarate essere mantenute su livelli molto elevati; sempre difficile comprendere le parole ed i silenzi di certe testate.
Una lettera pubblicata su l'Unità ricorda come il re del Marocco, negli anni successivi al 1940, salvò i propri sudditi di religione ebraica; "non esistono in Marocco sudditi ebrei, ma solo sudditi marocchini", affermò il sovrano, e questa frase dovrebbe essere ricordata a tante persone che oggi qualificano le persone delle quali si interessano come, ad esempio, "un ebreo italiano". L'International Herald Tribune manda i suoi giornalisti nei grandi ospedali di Gerusalemme e si accorge che in queste strutture gli arabi e gli ebrei sono fianco a fianco, con pari diritti e impegni, sia che indossino il camice, sia che siano ricoverati nelle corsie; certamente questo non è sufficiente a risolvere i problemi politici che si devono affrontare di nuovo quando si esce dall'ospedale, ma dentro quelle mura la politica non entra per nessuna regione, ed anzi la convivenza, alla lunga, potrebbe anche gettare utili semi per il futuro.
Alberto Cavaglion studia il periodo torinese di Nietzsche sulle colonne de La Stampa, e, dall'esame delle sue ultime memorie spiega che il filosofo non fu un precursore del nazionalsocialismo.
Tahar Ben Jalloun sul Corriere scrive delle moschee e dei mausolei distrutti da islamisti nei giorni scorsi in Mali, uomini seguaci del teologo del XVIII secolo Wahab dal quale nacque la dottrina wahabita. Non saranno veri conoscitori dell'Islam, come scrive l'autore, ma coi mezzi dei quali dispongono, e non solo mezzi economici, ma anche politici, fanno tutto quello che vogliono.
I seminatori di odio della sinistra estremista di Mirandola hanno trovato una sponda al pregiudizio anti israeliano in Radio Italia Irib.
Si tratta, come forse non molti sanno, della radio degli ayatollah, di una struttura presente dal 1991 nel nostro paese con scopi di bassa propaganda e che trasmette su onde corte pari a 17665 kilohertz. Radio Italia Irib non ha perso l'occasione di prendere al balzo l'assist sui "soldi sporchi di sangue" donati da Israele ai terremotati di quella cittadina. Il 3 luglio, in concomitanza con la visita del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman nelle zone terremotate dell'Emilia, quest'ultimo diede l'annuncio del dono di 50 mila euro e di quattro strutture prefabbricate per bambini da parte dello stato ebraico. Subito alcuni agit prop della sinistra estrema a Mirandola, uno dei paesi più colpiti dal sisma, avevano cominciato su Facebook e sui muri cittadini ad affiggere manifesti con nefandezze ideologiche quali «Non vogliamo i vostri soldi sporchi di sangue».
Con inviti a donare il tutto all'oppresso popolo palestinese.
Peraltro si era trattato dell'unica donazione di uno stato mediorientale alle vittime del sisma. Altri, forse più ricchi di Israele, ancora non sono pervenuti. Ma ciò non è bastato per indurre alla ragionevolezza gli estremisti. Il comune di Mirandola era stato costretto a censurare i post offensivi contro lo stato di Israele su Facebook, ma nulla ha potuto contro il "rilancio" di Radio Italia, cioè radio Iran in Italia, che attraverso la propria newsletter distribuita a migliaia di persone nel nostro paese l'altro ieri ha messo il proprio carico da undici. Facendolo procedere dalla solita invocazione: «In nome di Dio il clemente il misericordioso».
Ed ecco l'Ahmedinejad pensiero in Italia su tutta la vicenda: «Avranno perso i loro beni nel terremoto, è vero, ma gli abitanti di Mirandola non hanno perso la dignità e l'umanità e danno una storica dimostrazione di quello che è "il cuore" degli italiani».
Poi la rievocazione della storia: «Il falco Lieberman ha voluto strumentalizzare il sisma che ha colpito i cittadini della località di Mirandola e nel primo giorno si è recato in questo borgo per "donare" 50mila euro e 4 strutture mobili che verranno utilizzate come "isola nido" per neomamme e i loro bambini dato che l'ospedale è inagibile. Considerando che l'Italia perde annualmente miliardi di euro di incassi e profitti nel mondo per via della sua sottomissione ad Israele, non è una grande somma». Conclusione, ovviamente interessata, della radio degli Ayatollah? «È ben chiaro che gli israeliani, contavano di fare questa operazione in un piccolo centro sperando di non essere contestati e di venire apprezzati, ignari dell'elevata intelligenza degli abitanti locali».
Speriamo di non venire un giorno a sapere che anche Radio Italia gode dei contributi pubblici governativi nostrani con i quali divulga il verbo antisionista e antisemita dell'Iran degli ayatollah. Sarebbe troppo anche per il Bel Paese.
«Intitolare il ponte della Garbatella alla memoria di Settimia Spizzichino»
Proposta del mini-sindaco Catarci e della nipote della superstite delle razzie al Ghetto nel '43, dopo atto vandalico.
di Paolo Brogi
Il nuovo ponte della Garbatella
ROMA - La proposta è di Carla Di Veroli, nipote di Settimia Spizzichino, e di Andrea Catarci, presidente dell'XI Municipio: intitolare all'unica sopravvissuta alla razzia degli ebrei del Ghetto il nuovo ponte all'Ostiense. La richiesta è stata promossa all'indomani della profanazione della targa della via - divelta e rubata nel XX Municipio - dedicata alla sopravvissuta della Shoah, unica donna dei 16 ebrei tornati dalla retata del 16 ottobre '43 al Ghetto di Roma.
MOMENTO DI VIOLENZA RAZZISTA - «La Giunta del Municipio Roma XI ha approvato un atto per richiedere formalmente alle istituzioni di Roma Capitale di intitolare il Ponte Ostiense (Cavalcaferrovia) a Settimia Spizzichino», dichiarano Andrea Catarci, e Carla Di Veroli, che è assessore alle Politiche Culturali e alla Memoria dell'XI Municipio. «Nei giorni scorsi è stata vigliaccamente rimossa nottetempo la targa toponomastica della via dedicata a Settimia Spizzichino, nel Municipio XX. Questo è accaduto proprio in un momento in cui a Roma la violenza omofoba e razzista è andata in scena quasi quotidianamente ed in un Municipio della Capitale dove si è tentato di intestare una via a Giorgio Almirante».
TORNATA DALLO STERMINIO - «Settimia Spizzichino - prosegue il comunicato - ha perso tutta la sua famiglia ad Auschwitz ed è stata l'unica donna superstite della retata del 16 ottobre del 1943 del Ghetto di Roma. E' stata testimone vivente dell'orrore dello sterminio, perché nessuno potesse dimenticare, ha vissuto fino al giorno della sua morte nel Quartiere Garbatella, dove ha attivamente partecipato alla vita sociale e politica, non mancando mai di incontrare gli alunni delle scuole che serbano di lei un ricordo indelebile. Si intitoli il Ponte alla Spizzichino a ricordo di ciò che Settimia ha rappresentato in tutta la sua vita: la sopravvivenza alla barbarie, la tenacia nel dialogo intergenerazionale, i valori della democrazia e dell'antifascismo».
Tel Aviv e Gerusalemme, un viaggio tra il sacro e il profano
La trendy Tel Aviv prima e la toccante Gerusalemme poi. Un weekend in Israele, per conoscere meglio un Paese sconosciuto ai più e per creare spirito di gruppo. Questo l'obiettivo dell'Incentive dell'Incentive Gattinoni 2012, il viaggio che ogni anno viene organizzato per gli uffici Mice e Comunicazione di Lecco e Milano. E che quest'anno è arrivato alla decima edizione. Il gruppo, che ha alloggiato all'Intercontinental David Tel Aviv, è partito venerdì da Malpensa per atterrare nel pomeriggio, in tempo per vedere il tramonto sulla Sea Promenade, per cenare presso il ristorante Raphael e per vedere la movida notturna nei locali della zona Porto. Sabato, dopo essere stati in spiaggia e aver visitato una parte della città, il gruppo si è trasferito a Gerusalemme alla scoperta della città sacra: il Muro del Pianto, la Via Crucis, il Santo Sepolcro, il Monte Zion, la Tomba della Vergine, il Monte degli Ulivi, la Chiesa dei Gezemani e poi la zona cristiana, quella ebrea e quella musulmana. Un tour della città, prima a piedi e poi con i segway, tra le vie del passato e quelle della città più moderna. La giornata si è conclusa con la cena presso il ristorante Ropftop dell'hotel Notre Dame di Gerusalemme e con lo spettacolo Luci e Suoni presso la Torre David, che ha letteralmente lasciato tutti a bocca aperta. La trasferta israeliana si è conclusa domenica, dopo la visita di Tel Aviv e Jaffa, con il pranzo presso il porto della parte storica della città e il rientro in Italia in tarda serata. Il viaggio è stato organizzato con la collaborazione e il supporto di Eshet Incoming e El Al Israel Airlines.
Riusciranno le 90mila persone che chiedono di non dimenticare gli 11 atleti israeliani trucidati dai terroristi palestinesi del "Settembre nero" (finanziati all'epoca da Abu Mazen) quel maledetto 5 settembre 1972 alle Olimpiadi di Monaco a smuovere la real politik del Comitato olimpico internazionale e a far dedicare un minuto di silenzio durante la cerimonia solenne di apertura dei giochi solo per non creare un incidente diplomatico con i paesi arabi?
Messa così la domanda appare insieme retorica, il no è scontato, ma anche mal posta. Perché mai i paesi arabi dovrebbero prendersela se qualcuno commemora undici vittime del terrorismo internazionale? Significherebbe forse che oggi come allora quei paesi si sentono più vicini ai carnefici che alle vittime? E se domani si chiedesse una commemorazione dei 3mila e passa morti dell'11 settembre 2011 durante i mondiali di calcio queste stesse delegazioni dei paesi arabi e islamici come si comporterebbero?
Il nostro amico e collaboratore Michael Sfaradi da tempo ha rotto gli indugi scrivendo una lettera aperta al Cio che qui riportiamo integralmente:
«Il rifiuto del Comitato Olimpico Internazionale alla richiesta del governo israeliano di ricordare con un minuto di silenzio, all'apertura delle olimpiadi di Londra 2012 e a quaranta anni di distanza dai fatti, gli atleti israeliani che rimasero vittime del vile attentato alle Olimpiadi di Monaco 1972, oltre ad essere oltraggioso per la memoria delle vittime infanga ancora una volta tutti quegli ideali in cui certamente credete e che già allora furono violentati dalla furia omicida.
Noi dell'organizzazione spontanea per il ricordo di: Moshe Weinberg, Yossef Romano,Yossef Gutfreund, David Berger, Mark Slavin, Yaakov Springer, Zeev Friedman, Amitzur Shapira, Eliezer Halfin, Kahat Shor e André Spitzer, chiediamo a voi, atleti della delegazione italiana alle Olimpiadi di Monaco 1972, che nel villaggio olimpico abitavate non lontano dalla palazzina in cui si svolsero i tragici fatti, di far sentire il vostro pensiero sia al Coni che al Cio in modo che non venga perpetrato uno sfregio alla memoria di morti innocenti. Siamo sicuri che in questi quaranta anni avete portato nel vostro cuore e nei vostri ricordi quei colleghi, amici e forse anche avversari che persero la vita proprio dove amicizia e convivenza avrebbero dovuto regnare. Con la speranza che seguiate, singolarmente o in gruppo, il gesto di Pietro Mennea che già nei giorni scorsi ha fatto sentire la sua voce con una toccante lettera aperta Vi ringraziamo sentitamente».
La lettera è stata inviata a tutti gli atleti, allenatori e giudici della delegazione italiana alle XX olimpiadi Monaco 1972. In particolare: «alle medaglie d'oro Klaus Dibiasi, Antonella Ragno, Michele Maffei, Mario Aldo Montano, Mario Tullio Montano, Rolando Rigoli, Cesare Salvatori, Graziano Mancinelli, Angelo Scalzone; alle medaglie d'argento: Novella Calligaris, Franco Cagnotto, Alessandro Argenton e alle medaglie di bronzo: Paola Pigni, Giuseppe Bognanni, Gian Matteo Renzi, Anselmo Silvino, Silvano Basagni, Pietro D'Inzeo, Raimondo D'Inzeo, Vittorio Orlandi».
In precedenza a rompere il muro del silenzio era stata Osher Romano Kandel, la figlia del lottatore israeliano Yosef Romano, il primo a essere stato ucciso dal commando durante l'irruzione di quella notte maledetta tra il 4 e il 5 settembre 1972 al villaggio olimpico di Monaco. Semplice l'invocazione:
«Riuscite a capire che cosa significa crescere e vivere 40 anni e a ogni olimpiade chiedere solamente un minuto di onore? Per 10 olimpiadi abbiamo elemosinato, mendicato, nelle nostre richieste, solamente un minuto di raccoglimento, 40 anni in piedi per le uniche vittime del movimento olimpico».
La lettera nei quotidiani israeliani è stata pubblicata con il titolo «In nome del padre». Oshrat, quarantasei anni, è sposata con figli, scrive fra l'altro, che nel 1972 aveva sei anni e mezzo ed «ero una bambina che era stata appena ammessa alla prima elementare» solo alcuni giorni prima che il padre Yossef fosse ucciso brutalmente all'olimpiade di Monaco in Germania. Non riuscì a guidarla nella crescita e nelle scelta e il solo crescere in queste condizioni è un qualcosa che ha segnato e sempre segnerà la sua vita.
«Crescendo ho preso coscienza che mio padre non avrebbe mai conosciuto i miei figli, i suoi nipoti. Abbiamo dovuto, nel corso degli anni, confrontarci con domande alle quali è difficile, se non impossibile, dare una risposta. La mia infanzia, nel corso degli anni è stata caratterizzata da continui ricordi e cerimonie e parteciperò mio malgrado e con rinnovato dolore un'altra di queste cerimonie non appena avrò finito di scrivere questa lettera».
«Sono quaranta anni - prosegue la lettera pubblicata da molti quotidiani israeliani - che Ankie Spitzer, la moglie di Andrè Spitzer anche lui ucciso nell'attentato, e mia madre Ilana Romano continuano a chiedere al comitato olimpico internazionale solo un minuto di raccoglimento in ricordo degli atleti durante i giochi olimpici. Solo un minuto ».
Per la cronaca, Yosef Romano aveva solo una passione oltre alla lotta greco romana, le sue due bambine che non vide crescere. La sua biografia ci dice che era nato a Bengasi, primo di undici figli, e che la sua famiglia fu costretta a lasciare di corsa la Libia dopo la creazione dello stato di Israele in cui si trasferì. In seguito studiò come arredatore d'interni e servì inoltre l'esercito israeliano durante la Guerra dei Sei Giorni. Iscritto al Hapoel di Tel Aviv, vinse dieci titoli nazionali nella categoria dei pesi medi. Prese parte quindi alla rappresentativa israeliana ai Giochi Olimpici di Monaco di Baviera 1972, durante i quali però rimediò un infortunio muscolare che lo obbligò ad interrompere la competizione e ad anticipare il rientro in patria in attesa di sottoporsi a un'operazione. Volle però restare a fare compagnia ai suoi compagni di delegazione olimpica israeliana a Monaco per assistere alle altre competizioni.
La mattina del 5 settembre 1972 un gruppo di terroristi palestinesi dell'organizzazione terroristica "Settembre Nero" fece irruzione nelle palazzine del villaggio olimpico dove era alloggiata la rappresentativa israeliana, prendendo in ostaggio diversi atleti tra cui lo stesso Romano. Nonostante camminasse mediante l'ausilio di stampelle a causa dell'infortunio, tentò di resistere ai terroristi venendo ucciso: il suo corpo fu mostrato agli altri ostaggi, come monito a non tentare di resistere. Insomma un vero eroe laico dello sport mondiale oltre che un simbolo per tutti gli atleti israeliani. Non concedere a lui e agli altri dieci trucidati dai terroristi filo arafattiani di "Settembre nero" (in seguito si sarebbe scoperto che i soldi per finanziare l'operazione terroristica erano stati raccolti da Abu Mazen, attuale presidente della Anp, ndr) neanche un minuto di silenzio è per il Cio qualcosa che si avvicina molto a un crimine morale contro l'umanità.
Gli Usa chiedono a Teheran di liberare il pastore evangelico arrestato
Nadarkhani condannato a morte per apostasia nel 2010
Youcef Nadarkhani
WASHINGTON, 10 lug. - Gli Stati Uniti hanno chiesto ieri all'Iran di liberare il pastore Youcef Nadarkhani, arrestato nel 2009 e condannato a morte per essersi convertito dall'islam al cristianesimo. "Il pastore Nadarkhani è ancora sotto la minaccia di un'esecuzione per essere stato fedele alla sua fede e noi ribadiamo il nostro appello alle autorità iraniane affinché lo liberino immediatamente", ha dichiarato la portavoce del dipartimento di Stato, Victoria Nuland.
"Sfortunatamente, il pastore Nadarkhani non è il solo a soffrire per questa situazione. Il governo iraniano continua a violare i diritti umani dei suoi cittadini, in particolare di quelli appartenenti alle numerose minoranze etniche e religiose", ha insistito la portavoce Usa in un comunicato.
Nadarkhani è stato arrestato nell'ottobre del 2009 e condannato a morte nel settembre del 2010 per apostasia, in virtù della sharia in vigore in Iran: il pastore è accusato di essersi convertito al cristianesimo quando aveva solo 19 anni, unendosi a una piccola comunità evengelica battista, la "Chiesa d'Iran".
Le "Suggestioni Ebraiche" accendono l'estate di Serrastretta
SERRASTRETTA (Catanzaro) - "Suggestioni Ebraiche" è il titolo scelto per l'importante evento musicale organizzato dalla Pro Leco di Serrastretta, con il patrocinio dell'Amministrazione Comunale, nell'ambito delle attività di tutela,valorizzazione e promozione delle tradizioni e del patrimonio storico-culturale che da sempre contraddistingue l'attività e la naturastessa dell'associazione.
Il concerto si terrà sul centralissimo Corso Garibaldi a partire dalle 20 e 30 e costituisce un'occasione unica per accompagnare il pubblico presente in un avvincente viaggio tra le varie espressioni della musica popolare ebraica mescolate, per l'occasione e in esclusiva, alle sonorità tradizionali eseguite dal gruppo musicale di sassofonisti del luogo. Ebrei e cattolici, italiani e americani insieme per un messaggio universale di fratellanza fra popoli e culture e per promuovere dinamiche di interazione e dialogo tra le comunità che convivono nel nostro territorio.
Il violino di Angela Yael Amato, il violoncello di suo figlio Joseph Alexander Amato e un quartetto di sassofoni - composto da: Bruno De Santis sassofono soprano, Pino Caruso sassofono contralto, Francesca Pascuzzi sassofono tenore e Mattia Mazza sassofono baritono - daranno vita ad una inedita sintesi musicale spaziando tra la musica Sefardita e quella Kletzmer.
Per comprendere pienamente l'origine e il significato della musica popolare ebraica non si può prescindere dalle tormentate vicende storiche del suo popolo costituito da una moltitudine di comunità disperse in almeno quattro continenti e inevitabilmente segnato da due tendenze opposte: la volontà di autonomia e l'integrazione.
La musica Sefardita è tipica degli ebrei iberici che lasciarono la Spagna e il Portogallo più di 500 anni fa durante la Santa [?!] Inquisizione e racchiude in sé tutta la nostalgia per la lontananza sia dalla terra di Israele che da quella iberica. Chiare influenze ispaniche si fondono alle melodie arabe, turche e dell'intero Mediterraneo in una musica eseguita con tipici strumenti rinascimentali in cui spicca la prevalenza della voce femminile. La sonorità si accompagnava con la danza in questa musica intesa prevalentemente come attività ricreativa nelle case e nelle corti.
Diversa è la provenienze geografica e il significato della musica Kletzmer, che rappresenta invece la musica tradizionale degli Ebrei dell'Europa centrale e orientale (ebrei askenaziti) che negli ultimi secoli popolarono la Russia, la Polonia e parte della Germania, della Boemia e dell'Ungheria. Il repertorio musicale Kletzmer mescola e rielabora quindi elementi della tradizione slava, tzigana, balcanica e occidentale nella lingua madre degli ebrei askenaziti che è l'Yddish, nato dalla mistione tra l'ebraico e l'antico tedesco e arricchita da termini slavi. Prevalentemente strumentale e spesso in forma di preghiera, il canto Yddish è melodico, struggente e vibrante e ci parla di un popolo che ha vissuto dolore e sofferenze ma che al contempo non perde la speranza e non conosce l'odio. L'occasione per realizzare questo evento di straordinaria rilevanza culturale è stata fornita dalla celebrazione del Bar Mitzvah del giovane Joseph Alexander Amato, che avrà luogo il giorno precedente nella sinagoga Ner Tamid del sud di Serrastretta dalla Rabbina Barbara Aiello. La religione ebraica ha sempre dato a tale rito un'importanza e una solennità fondamentale poiché questo momento (il compimento di 13 anni e un giorno per i maschi e di 12 anni e 1 giorno per le femmine) segna il passaggio dei ragazzi nell'età adulta; dopo il rito del Bar Mitzvah, essi infatti diventano responsabili per se stessi nei confronti della legge ebraica e sono ammessi a partecipare all'intera vita della comunità al pari degli adulti.
La rabbina Barbara Aiello è un'americana di origini italiane ed è la prima e unica rabbina riformata d'Italia. Da diversi anni a Serrastretta, paese di origine dei suoi antenati, ha aperto la sinagoga Ner Tamid del sud, la prima da cinquecento anni, e fondato il Centro per la ricerca e lo studio sugli ebrei in Calabria e in Sicilia.
TEL AVIV - Il maestro Riccardo Muti dirigera' tre concerti a Tel Aviv con la Israel Philharmonic Orchestra: in programma il Requiem di Verdi. Le esecuzioni musicali avverranno giovedi' 19, sabato 21 e domenica 22 luglio: tutte all'Hangar 11, una struttura nuova nella zona del Porto della citta'. Con Muti ci saranno il soprano Krassimira Stoyanova, il mezzosoprano Ekaterina Gubanova, il tenore Mario Zeffiri, il basso Dmitry Beloselsky e il coro Collegiate Chorale.
A commento di un importante articolo di Dror Eydar avevo scritto: «Non bisognerebbe lasciare a letterati, filosofi, artisti e moralisti di tutti i tipi il compito di difendere la posizione d'Israele: è assolumente necessario che dell'argomento storico-giuridico dello Stato d'Israele s'impadronisca un corpo di intellettuali che si proponga di diffonderlo e sostenerlo in tutte le sedi, ribaltando alla radice le accuse di illegalità, come richiede la verità storico-giuridica». Chiedo scusa per l'autocitazione, ma mi sembra necessaria per far notare con un esempio attualissimo quanto sia necessario, anzi moralmente doveroso, chiudere la bocca a certi letterati moralisti che per il fatto di aver raggiunto una certa notorietà come romanzieri si credono in diritto di poter esporre al pubblico cattedratiche lezioni di moralismo storico e politico. Si tratta di un articolo di Abraham Yehoshua: Quell'ostacolo sul futuro di Israele, comparso oggi su La Stampa. Ne riporto soltanto lo stralcio essenziale:
Quando esamino tutti gli argomenti, giustificati o meno, nei confronti della politica di Israele di questi anni ne trovo uno che ha maggiore peso rispetto agli altri e che secondo me è alla radice dell'estrema e talvolta sfrenata avversione nei confronti di Israele. Mi riferisco agli insediamenti che continuano a essere costruiti in territorio palestinese. Molti accettano il diritto di Israele a difendersi. Molti altri accettano il diritto di Israele a richiedere, a causa delle sue ridotte dimensioni e della sua vulnerabilità, che i territori occupati che saranno evacuati debbano essere smilitarizzati. Ma nessuna persona di coscienza e con un senso della storia può accettare che Israele eriga insediamenti espropriando arbitrariamente e ingiustamente territori che dovrebbero essere, a detta di tutti, dello Stato palestinese. Questo è un atto scorretto e intollerabile che mette in discussione la giusta vittoria della Guerra dei sei giorni. Ed è lo sconvolgimento emotivo dovuto al passaggio dal sostegno e dall'ammirazione del passato alla delusione amara del presente a portare a mettere in dubbio la legittimità di Israele.
La maggior parte degli israeliani considera gli insediamenti una questione secondaria, forse ingiusta e di cui si potrebbe fare a meno, comunque marginale nel quadro della battaglia di Israele per la sopravvivenza e la pace, e non capisce fino a che punto gli insediamenti minino la posizione morale di Israele agli occhi di molti. Io, da parte mia, ritengo che, per la sua legittimità, la giustificazione morale dello Stato ebraico sia molto più importante della democrazia, della memoria della Shoah e di tutti i beni economici, politici, militari e culturali che Israele ha diligentemente accumulato.
Nel mio commento all'articolo di Eydar avevo scritto: «I nemici di Israele hanno afferrato prontamente e sbandierano in continuazione termini ad effetto come "illegalità", "occupazione", "insediamenti", "coloni", che sono tutti termini giuridici. A questi dall'altra parte si oppongono di solito argomenti di moralità politica o di sicurezza nazionale.» E' precisamente quello che fa Abraham Yehoshua, il quale si sente in dovere di spiegare al mondo "fino a che punto gli insediamenti minino la posizione morale di Israele agli occhi di molti". Ma bisognerebbe che qualcuno cercasse di spiegare a questo romanziere fino a che punto il suo pseudomoralismo ignorante danneggi Israele in modo più pesante e grave di quanto possano riuscire a fare certi antisemiti dichiarati. Perché le sue sono dichiarazioni accusatorie provenienti da un ebreo, israeliano, colto e "in buona fede". Che si potrebbe volere di più? Una cosa di potrebbe volere di più: che stia un po' più zitto. Si prenda per esempio una frase come questa:
Nessuna persona di coscienza e con un senso della storia può accettare che Israele eriga insediamenti espropriando arbitrariamente e ingiustamente territori che dovrebbero essere, a detta di tutti, dello Stato palestinese. Questo è un atto scorretto e intollerabile.
Persona di coscienza, senso della storia, arbitrariamente e ingiustamente, scorretto e intollerabile, magniloquenti espressioni di moralismo indignato. Perché indignato? Perché si tratta di territori che a detta di tutti sono dello Stato palestinese. Dunque uno Stato palestinese, che giuridicamente non esiste, esiste però a detta di tutti: vox populi.... Sono queste le ragionate argomentazioni del noto romanziere?
Poiché gli uomini di lettere, come gli artisti, sono spesso un po vanesii, in certi casi il modo migliore per tentare di scuoterli è di fargli sapere che sono ignoranti, nel senso oggettivo di ignorare ciò di cui parlano. Con il conseguente amichevole invito a porvi rimedio.
Da Bergen-Belsen a Monaco '72. La lunga marcia di Shaul Ladany
di Giovanni Sallusti
Di nuovo, deve aver pensato Shaul Ladany, l'alba del 5 settembre 1972. Puoi marciare quanto vuoi, accatastare chilometri fino a esaurirti, ma i tentacoli di questo secolo breve e folle arriveranno sempre a riprenderti.
Shaul Ladany
Shaul Ladany era un marciatore della squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco, e aveva appena portato a termine la sua 50 chilometri con un buon diciannovesimo posto. Aveva pagato una partenza troppo lanciata, ma a 36 anni poteva essere soddisfatto. Calpestare il suolo olimpico dopo essere sopravvissuto al lager. Sì, perch' Shaul, all'età di nove anni, passò sei mesi nel campo di Bergen-Belsen, nello stesso periodo in cui vi morì una quindicenne di nome Anna Frank. «La puzza insopportabile che arriva dalle latrine e il profumo dei pomodori, che crescono al di là della rete elettrificata»: è un contrasto dei sensi e della ragione, il suo ricordo della Shoah, sviscerato nelle prime pagine di Cinque cerchi e una stella, il libro costruito da Andrea Schiavon attorno a questa vita straordinaria (add editore, pagg. 174, euro 14). Ma il racconto prende le mosse da quella mattina di Monaco, nel villaggio olimpico.
Quando lo svegliano farfugliando di un attacco terroristico, Shaul pensa a uno scherzo del compagno Zelig Stroch. Invece, otto fedayyin palestinesi, del gruppo terroristico «Settembre nero», hanno fatto irruzione nelle unità 1 e 3 della squadra israeliana. Due atleti vengono falciati subito, altri nove sono in ostaggio. L'unità 2, quella di Shaul, non è ancora stata attaccata, e gli atleti decidono di correre il rischio: uscita sul retro e folle corsa allo scoperto per mettersi in salvo. Ci riescono. Il sequestro dei suoi compagni finirà come peggio non poteva: tutti uccisi, anche a causa dell'impreparazione della polizia tedesca. Ma Ladany, dopo l'incubo nazista, sopravvive anche all'orrore dell'estremismo terroristico. Sono i due poli, Bergen-Belsen '44 e Monaco '72, tra cui oscilla il pendolo di una biografia impregnata del suo secolo. Emigrato negli Usa, studente e poi professore di Ingegneria alla Columbia University, per due volte, durante la guerra dei Sei giorni e quella di Yom Kippur, sceglie di rientrare in Israele per combattere. «Se non partissi, non riuscirei più a guardarmi allo specchio», dice alla moglie Shoshana la prima volta. La seconda, si paga di tasca propria il biglietto aereo fino a Tel Aviv, e raggiunge il fronte un po' in autostop e un po' marciando. «È una cosa che va oltre il senso del dovere». Forse, è un tributo a quel bambino che uscì vivo da Bergen-Belsen. Fino a diventare il marciatore che scampò a Monaco '72.
Il contributo degli Italkim alla costruzione di Israele
di Mario Avagliano
Lo Stato di Israele è stato costruito anche dagli ebrei italiani (gli Italkim), tra cui il partigiano e sionista Enzo Sereni. È il tema della due giorni di studi che si è tenuta la settimana scorsa al Mishkenot Shaananim di Gerusalemme: «L'Italia in Israele: il contributo degli ebrei italiani alla nascita e allo sviluppo dello Stato d'Israele», organizzata dall'ambasciata italiana e da Hevrat Yehudè Italia.
Il convegno ha rappresentato il seguito naturale di quello tenutosi l'anno scorso per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia, in occasione della visita ufficiale del Presidente Giorgio Napolitano in Israele, che aveva puntato lo sguardo sull'affinità ideale tra il sionismo e il Risorgimento italiano.
La comunità degli ebrei italiani in Israele, pur essendo numericamente esigua, ha svolto un ruolo importante. Lo testimonia il volume pubblicato dalla Fondazione Corriere della Sera, intitolato Italia-Israele: gli ultimi 150 anni, presentato nella due giorni, che ha raccontato l'epopea dei primi cento ebrei italiani, per lo più intellettuali, emigrati in Palestina con il sogno del nuovo Stato.
La figura chiave è quella del romano Enzo Sereni, classe 1905, sionista e socialista, che fece aliyah in Palestina (allora sotto il mandato britannico) nel 1927 e fu tra i fondatori del mitico kibbutz di Givat Brenner, dove nacquero la secondogenita Hagar e il terzo figlio Daniel. Nel giugno 1944 Sereni, dopo un periodo di addestramento in Puglia, fu paracadutato nell'Italia del Nord per collaborare con la Resistenza. Catturato, fu rinchiuso a Bolzano e poi trasferito a Dachau, dove in novembre fu ucciso dai tedeschi. Sereni è stato celebrato in Israele con l'emissione di francobolli e l'intitolazione di un kibbutz.
Ma gli «italkim» si distinsero anche nella ricerca scientifica, tecnologica, agricola, nel mondo universitario e in quello artistico e musicale. Un'altra storia emozionante è quella del triestino Martino Godelli, pioniere del sionismo socialista italiano, sopravvissuto ad Auschwitz e immigrato in seguito nel kibbutz Netzer Sereni, di cui è stata proiettata una lunga intervista realizzata dal corrispondente Rai Claudio Pagliara. La vicenda più incredibile è però quella del gruppo di circa settanta abitanti del paesino della provincia di Foggia, San Nicandro Garganico, guidato dal bracciante Donato Manduzio, che nel 1930 abbracciò l'ebraismo, resistette alle leggi razziste e, dopo la liberazione, tra il 1948 e il 1950 decise d'emigrare in Israele, alla quale è stato dedicato il film San Nicandro, Sefat. Il viaggio di Eti, del regista Vincenzo Condorelli. I loro discendenti vivono tuttora con le loro famiglie in Israele.
Gli archeologi israeliani hanno scoperto un tesoro di monete d'oro risalente a sette secoli e mezzo fa nascosto dai crociati in un castello durante l'assedio dell'esercito musulmano. Nel nascondiglio sono state rinvenute centotto monete d'oro egiziane dal peso di 400 grammi il cui valore viene stimato in oltre 100.000 dollari.
Il tesoro risalente alla metà del XIII secolo era nascosto in una pentola di terracotta rotta ricoperta di sabbia e mattoni. "Tutto questo è stato fatto deliberatamente, ma in gran fretta poco prima della presa del castello. Oltre alle monete sono stati rinvenuti altri reperti a prova del fatto che l'assedio fu lungo e la battaglia fu feroce," - dichiara il direttore dello scavo, il professor Oren Tal dell'università di Tel Aviv.
Durante gli scavi attorno al castello, che si trova vicino alla moderna città israeliana di Herzliya, sono state trovate centinaia di frecce e pietre per le catapulte. Il ricco castello che apparteneva ai Cavalieri Ospitalieri venne conquistato nel 1265 dopo quaranta giorni di assedio e distrutto dai sultano mamelucco Baybars.
Arkia Israel Airlines firma un ordine di acquisto per quattro A321 NEO
Arkia Israeli Airlines, la seconda più grande compagnia aerea israeliana, ha firmato oggi un contratto di acquisto per quattro A321 NEO al Farnborough International Airshow. Questo ordine rende la compagnia aerea un nuovo cliente Airbus, e la prima compagnia aerea in Israele a ordinare un aeromobile della Famiglia A320 NEO. La scelta del motore sarà annunciata in una data successiva. L'aeromobile sarà configurato in un unica classe economy, con 220 posti a sedere. I nuovi A321 NEO consentiranno ad Arkia di espandere le proprie rotte verso destinazioni europee e nazionali.
Sondaggio, la reclamano di piu' al sud, piu' uomini che donne
TUNISI, 9 lug - A reclamare che la sharia sia la legge fondante della futura legislazione tunisina, a guardare le tante manifestazioni di piazza cha sostengono questa tesi, sembrerebbe la maggioranza del Paese. Ed invece, secondo i risultati di un sondaggio realizzato dal giornale arabofono Al Maghreb e dall'agenzia demoscopica Sigma Conseil, non e' affatto cosi'. Anzi, le indicazioni che vengono dall'indagine sono molte chiare, attribuendo al 63,5 per cento dei tunisini una opposizione a che dalla legge coranica derivi tutto cio' che riguarda la quotidianita' della vita in Tunisia, pur rivendicando la natura musulmana del Paese.
Ma coloro che dicono no alla automatica applicazione della sharia sostengono che le leggi in Tunisia devono essere comunque fondate sui valori e i principi dell'islam, senza che pero' questo abbia come conseguenza la pedissequa applicazione delle ingiunzioni del Corano.
La necessita' che si riaffermi la natura islamica della Tunisia, pur senza la prevalenza della sharia, ricalca, geograficamente, il peso in termini di voti e consensi del partito confessionale Ennahdha, nel senso che coloro che sostengono questa posizione sono il 74,1 per cento al Sud; il 70,7 per cento nel Nord Est, ma calano sino al 56,6 per cento della Grande Tunisi e addirittura nel Nord Ovest. Cioe', punto percentuale in piu' o in meno, la stessa distribuzione dei voti che hanno consentito ad Ennadha di diventare il primo partito del Paese e il piu' rappresentato nell'Assemblea costituente.
Tra le due posizioni ve ne sono di ''intermedie'' con un robusta minoranza che ritiene invece che tutto debba derivare dal Corano, mentre c'e' una esigua minoranza che dice l'esatto contrario. E', comunque, indicativo rilevare che la percentuale di coloro che sostengono che la sharia debba essere sopra a tutto e' passata, in poco piu' d'un anno, da quasi il 9 per cento a piu' del 22.
Un altro elemento degno di approfondimento e' che sono gli uomini in maggioranza a chiedere la totale applicazione dei dettami del Corano, mentre la percentuale delle donne che vogliono la stessa cosa, rispetto ad un precedente sondaggio, si sta progressivamente abbassando. Insomma, quel che emerge dal sondaggio di Al Maghreb e dall'agenzia demoscopica Sigma Conseil e' che allo stesso modo in cui la maggioranza dei tunisini, ritenendo necessaria la laicita' dello Stato, non e' affatto sostenitrice della sharia, c'e' una minoranza peraltro consistente che chiede o spera l'esatto contrario. Quindi il quadro che emerge e' quello di un Paese che non ha abbracciato le tesi di uno schieramento o dell'altro, dando vita ad un equilibrio che, nei fatti, e' lo stesso che si sta registrando nell'Assemblea costituente dove, a fronte di una maggioranza fatta da Ennahdha e dai partiti ad esso vicini (o satelliti) resta forte la componente laica della politica e quindi del Paese.
(ANSAmed, 9 luglio 2012)
Anche dopo essere andato al potere in Germania, nel primo plebiscito il partito nazista non riuscì a ottenere la maggioranza dei voti, ma poi si è visto come è andata a finire. I partiti islamici, come quelli nazisti, non mirano alla conquista della maggioranza, ma alla conquista del potere. Non appena ne hanno conquistato una parte usano gli strumenti "democratici" ottenuti per terrorizzare gli oppositori e far capire a tutti che la cosa più conveniente è lasciarli fare, ottenendo in questo modo anche quella parte di potere che in un primo momento non erano riusciti ad ottenere. Ma la stupidità fa parte integrante della democrazia? M.C.
Già nelle precedenti edizioni, il Napoli Teatro Festival Italia aveva ospitato spettacoli di danza contemporanea coreografati da artisti di rilievo internazionale come Karol Armitage, Jan Fabre, Marie Chouinard.
Nell'edizione di quest'anno ha voluto dare particolare attenzione alla danza israeliana, che sembra avere un focus particolarmente affascinante sul linguaggio fisico come generatore di sensualità, seduzione e orientalismo.
Due gli spettacoli proposti dalla compagnia Kibbutz Contemporary Dance Company: "Bein Kodesh Le' Hol" e "If it all", entrambi del coreografo Rami Be'er e a Napoli al debutto europeo.
"Bein Kodesh Le' Hol" è una coreografia basata sulla dicotomia tra sacro e profano, dove il sacro è sottolineato dalla creazione di immagini e di ambienti che richiamano il rapporto uomo-natura (una cascata di sabbia riempie la scena e i danzatori vi danzano muovendola e creando suggestivi disegni nello spazio), mentre il profano è descritto attraverso il movimento contorto e sofferto dei danzatori che animano la scena centrale e attraverso l'uso di una struttura di ferro, in contrasto con l'elemento della sabbia.
Entrambe le coreografie portano in scena un linguaggio molto strutturato tecnicamente ed accattivante dal punto di vista virtuosistico. Assistiamo ad assoli, duetti, trii con intrecci di corpi, sospensioni e dinamiche composte.
Incalzanti le parti corali, dove emerge una netta distinzione tra danza maschile e danza femminile, energia in entrambi i casi e rigore tecnico.
La drammaturgia è cosi semplice da essere portata completamente a zero, in quanto l'elemento prevalente è sicuramente il corpo dei danzatori, che ammaliano il pubblico con la loro fisicità, la complessità delle loro evoluzioni e la voracità della dinamica spaziale.
In entrambi gli spettacoli prevale l'elemento estetico, che in "Bein Kodesh Le' Hol" sembra però voler scomparire nella parte centrale per lasciare spazio a testi registrati in francese che riportano il brano "Minuit" del compositore canadese Christian Calon, ispirato a testi di Joice, Beaudelaire, Céline e Artaud.
In "If it all", invece, il virtuosismo cede alla poesia nel momento in cui i danzatori incalzano il movimento sul suono degli spari e del rumore della folla che richiamano alla guerra, e nelle suggestive scene con la luna sullo sfondo e cambi di luce che ogni volta rendono l'idea di un paesaggio diverso, illuminando il palco di verde prato, di rosso sangue/passione e di blu mare.
Tra i dodici danzatori si distingue in particolar modo la russa Anna Ozerskaya, nella cui danza scompare l'elemento tecnico per dare spazio ad un tipo di movimento dinamicamente interessante e ad una poetica personale del gesto.
Abbiamo avuto modo d'incontrare Anna dopo lo spettacolo, e chiederle qualcosa di più sulla sua esperienza: "In Israele attualmente ci sono molte compagnie di danza contemporanea, e i giovani danzatori dopo la formazione possono scegliere in quale lavorare facendo diverse audizioni". Ci racconta anche che, pur provenendo dalla Russia, la sua formazione non è derivata esclusivamente dallo studio della danza classica bensì prevalentemente dalle tecniche di quella contemporanea.
Come danzatrice all'interno della compagnia Kibbutz svela: "Il coreografo non ci dice mai di cosa parla il suo spettacolo, ci trasferisce le strutture coreografiche e ci lascia completamente liberi di interpretare il movimento a maniera nostra, ci è molto vicino, conosce la condizione dei danzatori e per questo ci esorta positivamente sia prima che dopo lo spettacolo".
Anna, danzatrice professionista di 27 anni, sembra avere il mondo nelle proprie mani.
Prossima tappa dello spettacolo: la Cina.
Come previsto nellarticolo di Dror Eydar, è già cominciata la guerra mondiale contro il rapporto del Comitato presieduto da Edmond Levi. Gli argomenti dellarticolo che segue vorrebbero essere di tipo giuridico, e proprio su quel piano sono un insieme di sciocchezze. Ma sciocchezze di cui non ci si accorge più, un po perché sono contro Israele e questo fa piacere a molti, e un po per pigro adattamento a quello che di solito si dice, ma che non ci si preoccupa più di verificare. Ci sarà qualcuno che si deciderà a controbattere queste false accuse di illegalità israeliana che provocano tanto sdegno, anche in certi simpatizzanti di Israele? M.C. La commissione raccomanda di legalizzare gli insediamenti illegali in Cisgiordania
Il messaggio è chiaro. Le conclusioni pure. La portata - politica e internazionale - altrettanto. Tanto che, dall'altra parte del muro hanno bollato la cosa come «pura provocazione» e «pietra tombale sul processo di pace».
Il fatto è che con un tempismo che a molti è sembrato sospetto la commissione nominata dal governo israeliano per dare un parere su cosa fare con gli insediamenti illegali in Cisgiordania ha inviato il suo rapporto e le sue conclusioni. In sintesi: quegli insediamenti non autorizzati vanno legalizzati.
Di più. «La commissione - ha detto uno dei membri, Alan Baker - crede che lo Stato ebraico abbia il diritto di colonizzarela Cisgiordania perché il territorio non è occupato e non ha un governo sovrano». Non solo. «Gli insediamenti illegali - ha continuato Baker - non sono stati autorizzati perché le autorità avevano bloccato le pratiche a causa delle pressioni internazionali». Quindi l'invito all'esecutivo a completare il processo di approvazione degli insediamenti in questione.
La conclusione del rapporto non è una sciocchezza. Certo, non è vincolante. Ma rischia di tracciare la rotta di questo governo e di quelli futuri. Oltre che di offrire la possibilità al premier Netanyahu di legalizzare gli avamposti illegali. Secondo la comunità internazionale proprio quegl'insediamenti costituiscono l'ostacolo principale al processo di pace con i palestinesi, che chiedono chela Cisgiordaniafaccia parte del loro futuro Stato. Un pezzo di terra prima annesso dalla Giordania nel 1948, poi occupato da Israele nel 1967. Quindi la decisione di Amman di rinunciare a rivendicare la sovranità della Cisgiordania nel 1988.
Di là, a Ramallah, non sono stati zitti. «Si tratta di una raccomandazione in assoluta contraddizione con la legge internazionale, con le specifiche risoluzioni delle Nazioni unite e con la politica ufficiale di quasi tutti i Paesi del mondo», ha replicato Ghassan Khatib, portavoce dell'Autorità nazionale palestinese. «Simili posizioni poi sono in contraddizione con gli sforzi internazionali volti a raggiungere la pace con la soluzione a due Stati, uno dei quali dovrebbe essere situato nei territori occupati nel 1967».
A Gerusalemme, ora, si aspettano una risposta della comunità internazionale. E la divisione, sempre più marcata, tra i Paesi contrari a qualsiasi politica favorevole agl'insediamenti (Francia, in primis) e quelli che tendono a chiudere un occhio.
ROMA - Ulpan è il termine con cui si identifica un corso intensivo di lingua ebraica che coinvolge attivamente gli studenti che sin dalla prima lezione parlano, leggono e scrivono in ebraico. Nato in Israele a partire dal 1949 per consentire agli olim, i nuovi immigrati, di imparare l'ebraico corrente in modo intensivo e facile, il sistema ulpan ha visto in questi anni il fiorire di corsi ovunque anche fuori da Israele, grazie ad una accresciuta richiesta da parte degli utenti. È in quest'ottica che è stato organizzato l'ulpan del Corso di Laurea in Studi ebraici che ha immediatamente riempito i posti a disposizione. Partito da un'idea di Myriam Silvera, docente di Storia dell'ebraismo a RomaUno e di Storia dell'antisemitismo al Corso di Laurea in Studi Ebraici, l'ulpan ha avuto fra i suoi principali obbiettivi quello di accrescere le conoscenze grammaticali degli studenti consentendo loro di acquisire una terminologia più ampia e adeguata. "Ritengo che il corso sia stato molto utile - sottolinea Ester Di Segni, docente del corso - tutti i partecipanti si sono messi in gioco e hanno perfezionato la propria conoscenza dell'ebraico in modo divertente e diverso dal solito". La lezione prendeva inizio con l'esame del testo, lo studente doveva provare a capirne il significato attraverso le proprie conoscenze. Subito dopo partiva la conversazione, tesa ad approfondire la comprensione. Il tutto rigorosamente in ebraico. "Abbiamo studiato dei testi riguardanti la proclamazione dello Stato di Israele, ma anche brani tratti dal Tanach e dalla tefillà - spiega ancora la Di Segni - Molto interessante è stata anche la lezione in cui la traduttrice Raffaella Scardi, ha mostrato agli studenti le difficoltà che incontra nella traduzione di un libro per rendere al meglio il significato dal testo originale". La positiva esperienza sarà sicuramente ripetuta in futuro considerando anche le crescenti richieste da parte degli studenti.
Il cimitero ebraico di Trieste è in qualche modo lo specchio della storia di questa città dell'Adriatico, oggi sempre più amata e sempre più spesso nominata da italiani e stranieri. L'entrata di quel luogo si trova in via dei Pellegrini, accanto a quella del cimitero greco-ortodosso e a quella del cimitero riformista. Lo scalpellino del cimitero ebraico era, una volta, il custode di quello greco. Aveva impresso su centinaia di lapidi la famosa parola di cinque lettere, semplice e profonda: SHALOM, pace. Non conosceva altre parole ebraiche. Sua moglie a quell'epoca era una giovane donna sempre sorridente che vestiva gonne corte di pelle ed era cordiale con i clienti ebrei di suo marito. Anche lui era calmo, tranquillizzante, rispettoso. Il cimitero ebraico così come si vede oggi, fu aperto verso la seconda metà dell'800. Molte tombe antiche furono traslate in quegli anni da via del Monte, dove si trovava il vecchio cimitero, in via dei Pellegrini dove si trova quello più nuovo. La parte più vicina all'entrata è occupata da tombe antiche traslocate. Su via del Monte Umberto Saba ha scritto alcuni versi che sono scolpiti su una lastra, all'angolo della via. A Trieste, dove son tristezze molte/ E bellezza di cielo e di contrada/C'è un'erta che si chiama Via del Monte .
Nella parte centrale si trovano le tombe più recenti, dall'800 ai giorni nostri. Sulle lapidi sono scolpiti nomi tedeschi, ungheresi, polacchi, greci, armeni, cechi, insomma, di mezza Europa. Da quei Paesi erano venuti a Trieste molti ebrei in cerca di fortuna, facevano i mestieri più diversi, a volte arricchendosi con commerci e piccole imprese. Gli abitanti di Trieste conoscono bene quei nomi. Molti si trovarono all'epoca della Prima guerra mondiale tra gli «irredentisti» più ferventi, soffrirono prigioni, pene severe e costose.All'epoca della Seconda guerra mondiale subirono invece le leggi razziali, la deportazione, lo sterminio. A leggere i documenti relativi a quelle vite, spesso ci accorgiamo che si poteva trattare di patrioti sinceri dell'Italia che si stava costruendo.
Italo Svevo e Umberto Saba sono seppelliti nel cimitero più grande, cattolico,chiamato il Cimitero di Sant'Anna. Le loro vicende religiose erano particolari e la loro fama anche.Nel cimitero di Sant'Anna ci sono parecchi nomi di ebrei: si tratta di convertiti per convenienza e per timore delle persecuzioni. Non sempre queste conversioni garantirono la salvezza.
Un'altra particolarità del cimitero ebraico di via dei Pellegrini è lo stile dei monumenti funebri e la forma di essi. Statue di un realismo ottocentesco si mescolano a bassorilievi liberty, a monumenti dell'Art Nouveau, fino all'astrattismo. Moltissime tombe della parte interna sono abbandonate. Piante di ogni tipo le coprono, certe volte senza più possibilità di restauro. Sono tombe di famiglie estinte, sterminate nelle camere a gas oppure appartenenti a gruppi umani che non hanno più discendenti in Italia.
C'è una parte elevatain questo cimitero.Lìsi trovano le tombe più grandi, erette da famiglie molto danarose. Marmi preziosi, blocchi di pietra portati chissà da quale cava, recano iscrizioni solenni, a grandi caratteri di metallo. L'asciutta opulenza di quei monumenti incute rispetto e senso di sobrietà. Anche qui i nomi vengono da mezza Europa.
Mio fratello gemello e mia madre sono seppelliti in quel cimitero. Secondo la consuetudine di certe famiglie ebraiche, anch'io ho comprato per me un posto. Con mio fratello eravamo particolarmente uniti in vita. Abbiamo scritto due libri insieme. Così tre membri del nostro vasto parentado, tutti e tre nati in Ungheria, saranno seppelliti a Trieste. Mio padre ha la tomba a Budapest,mia sorella è chiusa in un'urna cineraria in casa del suo vedovo, canadese québécois, che vive a Ottawa, i nonni paterni sono stati uccisi a Bergen Belsen, dei loro corpi non c'è nessuna traccia. I nonni materni sono seppelliti in tombe anch'esse invase dalle piante nel grande cimitero ebraico a Budapest.
È questo quello che posso dire ora del cimitero ebraico di Trieste. Chi vorrà visitarlo farà in realtà una visita a parte della cultura ebraica dell'Europa centrale, di quella greca e di quella balcanica. Uscirà da quel cimitero, dopo essersi lavate le mani a un vecchio lavandino, certamente un po' cambiato: in meglio.
Il Likud approva il servizio militare anche per gli ultraortodossi
GERUSALEMME, 8 lug - Il Likud, il partito del premier israeliano, Benyamin Netayahu, ha approvato il servizio militare obbligatorio anche per gli ebrei ultraortodossi, che in base alla legge in vigore erano esentati insieme alla minoranza arabo-israeliana. Il partito, accogliendo le raccomandazioni di una commissione, ha scongiurato così il rischio di una crisi di governo. La commissione, che a giorni formulerà una proposta di legge, è stata formata con un accordo fra il Likud e il vicepremier Shaul Mofaz, del partito centrista Kadima, che ha minacciato di togliere il suo sostegno al governo se il servizio militare non verrà esteso per legge a ortodossi e arabi. Ieri sera migliaia di israeliani sono scesi in piazza chiedendo il servizio di leva per tutti.
In 30.000 in piazza per chiedere la leva obbligatoria per gli ultraortodossi
Stop all'esonero dal servizio militare obbligatorio per gli ebrei ultraortodossi. Lo hanno chiesto in 30.000 a Tel Aviv, durante una manifestazione organizzata davanti al Museo delle Belle Arti. L'argomento ha provocato una spaccatura all'interno della coalizione del premier Netanyahu:
"Oggi i politici stanno cedendo alla pressione che subiscono da altri politici, quelli ultraortodossi, che non servono la patria, ma possono esprimersi sul fatto che Israele entri in guerra o meno", spiega Ron Ben Yishai, corrispondente di guerra e commentatore israeliano.
I manifestanti pretendono una riforma della legge, secondo la quale dal primo agosto tutti gli ebrei ultraortodossi renitenti alla leva dovranno essere considerati disertori. Ma Netayahu tentenna, perché teme lo scontro con due partiti, suoi alleati storici.
"Si approfittano del fatto che c'é l'arruolamento obbligatorio, per alimentare conflitti, odio e rabbia tra i cittadini", commenta il rabbino Israel Eichler, presidente dell'Ebraismo Unito della Torah e membro della Knesset.
"Perciò il nostro suggerimento è quello di cancellare per tutti il servizio militare, per trasformare l'esercito in una forza professionale di sicurezza, come negli Stati Uniti".
Questa domenica, dunque, il Likud si riunisce per evitare la crisi politica.
La legge in vigore è stata giudicata incostituzionale dalla Corte Suprema.
La durata della leva in Israele è di tre anni per gli uomini e di due per le donne.
Pio XII - Nuove critiche all'operato di Yad Vashem
Il rav Di Segni e lo storico Sarfatti chiedono chiarezza
"Un Museo storico non deve dare spazio né a 'critici' né a 'difensori'! Deve ricostruire, sintetizzare ed esporre fatti ed eventi, quando del caso esponendone la problematicità, ma mai ponendosi come osservatore impossibilitato a comprendere". In un editoriale che apparirà sul prossimo numero di Pagine Ebraiche, anche Michele Sarfatti, storico e direttore della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea interviene duramente nei confronti dello Yad Vashem, il Museo della Shoah di Gerusalemme, punto di riferimento mondiale per lo studio e il ricordo di quegli anni, che ha deciso negli scorsi giorni di rivedere il testo che accompagna le immagini di Pio XII, pontefice dal 1939 al 1958. Il riferimento è alla scelta di esporre sia la tesi di coloro che criticano l'operato del papa, sia quella di chi invece lo difende.
Il cambiamento operato dallo Yad Vashem ha suscitato negli scorsi giorni un ampio dibattito. Dura era stata la presa di posizione del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che l'aveva definito "una decisione che lascia l'amaro in bocca", ritenendola motivata da intenti politici più che storici.
Una dichiarazione che a Gerusalemme non è passata inosservata: e così Dan Michman e Bella Gutterman, rispettivamente capo e direttore dell'International Institute for Holocaust Research, la storica Dina Porat e Yehuda Bauer, consulente accademico, hanno deciso di rivolgersi al rav Di Segni "Come storici della Shoah abbiamo letto con grande interesse e attenzione le sue osservazione sull'Unione Informa del 2 luglio 2012. Avendo il massimo rispetto per lei e per la sua opinione, desideriamo affrontare i suoi commenti, che ci sembrano basati su cattive informazioni" hanno spiegato gli storici in una lettera indirizzata al rav, esponendo poi le ragioni del cambiamento. Gli studiosi hanno negato con vigore l'asserzione che la revisione del testo rappresenti il frutto di pressioni da parte del Vaticano ("Non ci sono parole per smentire questa affermazione con forza sufficiente"), attribuendola invece a risultati di anni di ricerche e all'attuale stato degli studi sul tema e annunciando la prossima pubblicazione degli atti del convegno sull'argomento del 2009, che forniranno le basi storiche del nuovo pannello. Nel messaggio viene poi dato conto della scelta di riportare sia le posizioni critiche nei confronti di Pio XII che quelle dei difensori del suo operato, sottolineando come questa soluzione rifletta meglio l'innegabile contesa che circonda le scelte del papa. "Inoltre oggi viene proposto al visitatore il testo integrale del messaggio radiofonico di Pio XII del Natale 1942, il punto centrale dell'intera controversia" l'osservazione conclusiva.
Una spiegazione molto vicina a quella che è stata la considerazione espressa dalla storica Anna Foa all'indomani dell'annuncio "Il cambiamento della didascalia su Pio XII al Museo di Yad Vashem era da tempo in programma. Contrariamente a quel che si è subito detto dai media, non mi sembra che la nuova didascalia rappresenti un ammorbidimento del giudizio rispetto a quella precedente, che esprimeva una recisa condanna della posizione di Pio XII verso lo sterminio degli ebrei europei. Quello che la nuova didascalia riflette è, mi sembra, un giudizio più che morale, storico: la consapevolezza che ci si trova all'interno di un dibattito ancora aperto, in cui molta nuova documentazione ha già contribuito a modificare le valutazioni e in cui ci si aspetta che l'apertura degli archivi per gli anni della guerra porti altri contributi rilevanti. La didascalia precedente era frutto, a mio avviso, di un giudizio dogmatico, assoluto, che prescindeva dall'esistenza di un dibattito a livello storiografico e dell'esistenza di nuova documentazione a livello dell'individuazione dei fatti. La nuova apre la strada ad ulteriori modifiche, in un senso o nell'altro, a dimostrazione che la storia si basa sui documenti e sulle interpretazioni, non sui pregiudizi politici o sul senso comune. E i responsabili di Yad Vashem hanno dimostrato, con questo gesto coraggioso, di esserne pienamente consapevoli". Mentre di "esigenza di revisione della scritta illustrativa da tempo avvertita" aveva parlato il diplomatico e saggista Vittorio Dan Segre, che aveva aggiunto "Il fatto che l'istituto abbia ora deciso di metterci mano dimostra che siamo vicini a nuovi accordi complessivi fra Israele e Vaticano su cui si è a lungo lavorato e che potrebbero essere presto siglati. La battaglia di chi da parte ebraica vorrebbe condannare la figura di papa Pacelli a restare perennemente rinchiusa in una dimensione di condanna morale senza appello non è alla lunga sostenibile sotto il profilo politico e forse anche sotto quello storiografico. Ma quello che più conta è comprendere che l'argomento, da qualunque parte lo si voglia guardare, oggi è in grado di suscitare solo un interesse limitato nelle opinioni pubbliche che le parti in causa dovrebbero rappresentare. Certo interessa poco all'opinione pubblica israeliana e certo ancora di meno a un mondo cattolico che comincia a temere il moltiplicarsi di massacri ai danni delle popolazioni cristiane in Africa e nel mondo islamico. C'è un contenzioso da chiudere, fra Israele e il Vaticano, e questo deve avvenire nel migliore dei modi possibili senza lasciarsi condizionare eccessivamente dalle ferite che la storia ci ha lasciato in eredità".
Chiarimenti e spiegazioni che però non hanno rassicurato il rabbino capo di Roma. "Non è la disinformazione, ma la mancanza di informazioni, la ragione delle mie considerazioni. Se esistono ulteriori documenti in vostro possesso, lasciate che altri, studiosi e non, li conoscano. In caso contrario il pubblico sarà, così come si sente adesso, scioccato da quella che sembra essere una decisione unilaterale - ha sottolineato rav Di Segni nella sua risposta agli studiosi dello Yad Vashem, esprimendo poi il dolore della sua gente - Vi prego di comprendere l'impatto della vostra decisione sulla nostra comunità. Non sono storici, è gente che la storia l'ha subita. Possono cambiare la loro opinione, ma solo sulla base di fatti e di documenti".
Sulla stessa lunghezza d'onda era stata la presa di posizione dell'ambasciatore Sergio Minerbi, esponente di spicco della comunità degli Italkim e considerato fra i massimi esperti delle relazioni fra Israele e il Vaticano. "Che vergogna, è bastata una protesta del Nunzio della Santa Sede, per far cambiare allo Yad Vashem il testo della didascalia sotto la fotografia di Pio XII. Non so se sia per incompetenza in materia o per voler andar d'accordo con tutti, ed ignoro fino a qual punto abbia influito l'ebreo americano Gary Krupp, di Pave the Way, fiero della sua decorazione vaticana, la 'patacca' di San Gregorio Magno. Nel nuovo testo, se verrà confermato, Yad Vashem agisce come se fosse neutrale in materia e si limita ad affermare che alcuni critici 'sostengono che ci fu un fallimento morale'. Ma l'istituto non ha un'opinione propria su una questione tanto sensibile? E allora a che serve questa mastodontica istituzione, cosa insegna ai suoi numerosi ricercatori? Come è possibile ammettere che Yad Vashem si limiti a constatare che 'la reazione di Pio XII è questione controversa fra gli studiosi'? Va in ogni caso ricordato che Pio XII non pronunciò una sola volta in pubblico la parola ebrei durante tutta la seconda guerra mondiale, questo punto almeno non è oggetto di controversia. Alla deportazione degli ebrei di Roma, Pio XII non reagì né in pubblico né in segreto. I suoi incontri diplomatici in quei giorni vertevano su Roma città aperta o sui rifornimenti alimentari e nulla più. Yad Vashem potrebbe agire secondo l'esempio di un gesuita, John Morley, che termina il suo libro sulla Shoah con queste parole: 'Bisogna concludere che la diplomazia vaticana fallì nei confronti degli Ebrei durante l'Olocausto non facendo quanto era possibile fare (per venire) in loro aiuto'."
Una soluzione, almeno parziale, della controversia, potrebbe venire dall'apertura degli archivi vaticani. Un auspicio condiviso da tutti gli storici e ribadito anche dal canadese Michael M. Marrus, professore di Holocaust studies all'Università di Toronto, che ha commentato gli accadimenti sul New York Times "Diversi anni fa, il Vaticano, rispondendo alle insistenti richieste di studiosi e non, compresa una commissione storica ebraico-cattolica di cui io stesso ho fatto parte, ha finalmente accettato di mettere gli archivi a disposizione dei ricercatori. Ad oggi questa promessa non ha avuto alcun seguito. Finché questo non accade, seri interrogativi a proposito di papa Pio XII persistono".
Da Israele arte e cultura, "non cambiano il mondo ma attenuano il dolore"
di Manlio Lilli
Il 2012 in Israele è l'anno dell'arte, un'occasione per rivendicare l'originalità e il valore della cultura e della produzione artistica israeliana. A Tel Aviv soprattutto, ma non solo, vengono rinnovati musei ed esposizioni che abbracciano ambiti diversi: pittura, scultura, fotografia, graffiti, cinema e altro ancora.
Last Supper, di Adi Nes
Menashe Kadishman è il grande padre dell'arte israeliana. Invece, Adi Nes è la voce più giovane e affermata della fotografia d'arte. Insieme a Pavel Wolber, anche lui fotografo e a Etgar Keret, scrittore, rappresentano i simboli della Nouvelle Vague. Modi differenti di rispondere ai quesiti del sapere in un Paese non comune. Nel quale complessità e tormento si trasformano in laboratorio culturale. Kadishman con le sculture, i quadri e i giornali che riempiono la sua casa atelier. Nes con le sue tante immagini a partire dalla più celebre. Quella nella quale è un gruppo di soldati disposti come nell'Ultima cena di Leonardo. Con al centro uno di loro con la sigaretta, destinato a morire.
La ricchezza di Israele, quella delle sue espressioni artistiche, si fonda proprio su questo continuo intrecciarsi, di passato, presente e futuro. Un mix vincente, perché unico. La realtà conduce ad un caleidoscopio di suggestioni. In essa si addensano infiniti riferimenti storici. Nella sua dilatazione geografica si concentrano le sue innumerevoli problematiche. Tra i due estremi, la guerra e la pace, l'arte ha elaborato sé stessa.
Il 2012 in Israele è l'anno dell'arte. Per l'occasione si rinnovano contemporaneamente i tre templi della cultura di Tel Aviv. La Cinématheque, il Teatro Nazionale Habima e il Museo d'Arte. Strutture, ripensate, alle quali si è aggiunto il Museo del design di Holon. Le celebrazioni sono iniziate a marzo. Visite gratuite ai musei, performance in tutta la città, concerti, proiezioni, balletti, spettacoli teatrali. Indifferentemente, di giorno e di notte. Tel Aviv, "la città che non dorme mai", in questo settore ha una tradizione consolidata. Ogni giovedì le gallerie d'arte restano aperte fino a tarda notte. E poi, da non molto, si è conclusa la popolare fiera mercato di arte contemporanea, la Fresh Paint, giunta alla sua quinta edizione. Senza contare, il Tel Aviv Global City, il progetto di una città internazionale, di nuove economie e di esperienze in osmotico contatto.
Intanto a Gerusalemme, nel nuovo Israel Museum, una grande opera di Kapoor a forma di clessidra accoglie il visitatore. Mentre nel Billy Rose Art Garden, lo spazio espositivo sul versante occidentale del Museo, concepito dall'architetto giapponese-americano Isamu Noguchi, si possono ammirare le sculture di Rodin, Calder, Moore e Picasso.
Quasi con meraviglia, nel Paese in cui convivono contraddittorie identità, si può osservare la forza con la quale si va affermando un vero e proprio laboratorio culturale. Capace di confrontarsi con le grandi capitali mondiali. Consapevole delle proprie potenzialità, di quanto la Cultura possa contribuire a sanare le "ferite". Forse. Come sostiene Kadishman «l'arte non può cambiare il mondo, come può invece fare la politica. Però l'arte può attenuare i dolori».
Quanto queste parole siano fondate lo dimostra proprio Tel Aviv, la "Città Bianca", la città patrimonio mondiale dell'Unesco dal 2004 per le sue architetture Bauhaus. La città, che nel 2009 ha festeggiato il suo centenario, conta oltre quattromila edifici progettati tra il 1931 e il 1956 dagli architetti del movimento fondato da Walter Gropius, formatisi in Europa ed emigrati in Israele. I quali hanno saputo sostituire allo stile eclettico e orientaleggiante un'espressione più propriamente moderna e occidentale. Ora, come accade a New York, Berlino o Milano, le pitture sui muri dei quartieri degradati aiutano a ricostruire la città. O, almeno, la sua immagine. Come accade negli agglomerati urbani sparsi per il mondo nei quali l'arte è una tradizione consolidata, i luoghi nei quali essa può ricercarsi, in continua espansione, anche a Tel Aviv il settore è in crescita. Questa la motivazione che ha spinto Ermanno Tedeschi ad aprire una nuova galleria lì, nel quartiere più trendy della città. Seguendo la tendenza recente. Indiziata dal nome stesso, in ebraico, delle gallerie. Pitriot, cioè "funghi". Riferimento più che chiaro alla velocità con cui si moltiplicano. Ma non solo numeri, anche qualità. Il lavoro degli spazi, sia pubblici che privati, è quello di creare un ponte tra Israele e la realtà artistica contemporanea internazionale. Ad esempio una delle più note gallerie israeliane, la Eden fine Art, fondata alla fine degli anni Novanta da Mickey e Cathia Klimovsky, oltre ad avere sedi espositive a Gerusalemme e a Tel Aviv, ha aperto nuovi spazi anche a New York e nella contea di San Diego in California. Presentando celebri artisti israeliani, tra cui Yoel Benharrouche e Mark Tochilkin, nomi che ritroviamo anche nei più prestigiosi musei, gallerie e collezioni private del mondo.
Ma non solo gallerie. Anche fotografia. Per così dire, istituzionalizzata. Dallo Shpilman Institute for Photography, creato recentemente dal collezionista Shalome Shpilman, a sud di Tel Aviv. Poi appena fuori dalla città, ad Holon, il tecnologico Museo del design. Una specie di astronave rossa con grandi fasce circolari che avvicina il futuro al presente. Tra esperienze del design israeliano e mostre dedicate a grandi designer e stilisti internazionali. Il museo costituisce la migliore esemplificazione del rapporto tra cultura, economia e qualità della vita di una città. Un museo "di modello", accanto ad altri numerosi spazi espositivi, differenti per offerta. Dalle collezioni di archeologia ed etnografia fino ad arrivare all'arte contemporanea. Sparsi in tutto il territorio, dalle grandi città ai kibbutz.
Tel Aviv Museum of Art
Il più noto è il Tel Aviv Museum of Art, che oltre a ospitare una vasta collezione di arte classica e contemporanea, prevalentemente israeliana, ha un'ala dedicata ai giovani artisti e un auditorium in cui vengono presentati concerti e film. Un altro spazio interessante è quello di Petach Tikva, città poco distante da Tel Aviv. Fondato nel 1964 il Petach Tikva Museum of Art è un museo di arte contemporanea con opere di artisti israeliani e internazionali. Al momento della sua riapertura, nel 2004, la collezione, che parte dagli anni Venti, è stata ampliata con l'aggiunta di artisti tra i quali Rami Maymon, Dina Shenhav e Keren Assaf. Poi, accanto alle mostre temporanee, il museo costituisce una piattaforma per un'ampia attività culturale, di ricerca e discussione critica di questioni chiave della società israeliana. Ma il più celebre museo del Paese rimane il museo di Israele a Gerusalemme. Fondato nel 1965, dopo tre anni di lavori, lo scorso luglio ha riaperto al pubblico. Il museo, oggi diretto da James Snyder, ex direttore del Moma di New York, registra un ampio sguardo sul contemporaneo, e lo fa non solo attraverso l'esposizione di opere in situ appositamente commissionate, come il lavoro di due metri per tre di Olafur Eliasson, ma anche attraverso esposizioni temporanee in cui gli stessi artisti si calano nel ruolo di curatori dando luogo ad una chiave di lettura tra passato e presente.
Il "luogo pericoloso", come fino a poco fa veniva percepita all'estero Israele, si è trasformato in una vera capitale della cultura. Come dimostrano i tanti spazi al suo interno nei quali, "costruendosi" arte, si contribuisce a ridefinire l'immagine del Paese. Come segnala l'interesse crescente con il quale il mondo segue la scena artistica contemporanea israeliana. La terra polverosa nella quale, da sempre, crescono, olivi, ha ricominciato a riempirsi del verde di nuove essenze e del colore di fiori profumati. Insomma, come scrive Rami Saari, in Hinnè, Matzàh et Beyt, del 1988, ".. la mia parte migliore continua ad essere un luogo di miele e agrumeti". Per merito anche della Cultura artistica.
Salvò 2500 bambini dal ghetto di Varsavia, è la "Schindler al femminile"
L'eroina della seconda guerra mondiale morta a 98 anni nel 2008, fu riscoperta per caso, 13 anni fa, da un gruppo di ragazze del Kansas che preparavano una ricerca di storia. Ora, dopo film e documentari, a ricordarla, anche una voce dell'Enciclopedia britannica.
di Ilaria Lonigro
Non smette di far parlare di sé Irena Sendler, l'eroina della seconda guerra mondiale morta a 98 anni nel 2008, dopo essere stata riscoperta per caso, 13 anni fa, da un gruppo di ragazze del Kansas che preparavano una ricerca di storia. A narrare l'epopea della donna polacca che salvò 2.500 bambini ebrei dal ghetto di Varsavia, arriva anche l'Encyclopaedia Britannica, il cui motto è "Facts matter" (I fatti importano), che, nella sua versione online, le ha recentemente riservato una voce.
Irena entrò nello Zegota, il Consiglio clandestino polacco di aiuto agli ebrei, nel '43. Grazie al suo lavoro di assistente sociale poté introdursi nel ghetto della capitale e portar via, nascondendoli con incredibili trucchi, migliaia di bambini destinati a morte certa, di stenti o nei campi di concentramento. Non era sola: Irena fu aiutata da coraggiosi collaboratori e da una rete di famiglie non ebree disposte a ospitare i bambini, ribattezzati con nomi non sospetti. Le vere identità furono trascritte e sepolte dentro barattoli in un giardino. Dopo la guerra, Irena, che nel frattempo era stata torturata dai nazisti ed era scappata poco prima dell'esecuzione, non riuscì a riconsegnare ogni bimbo alla propria famiglia: molte, infatti, non c'erano più.
E' una storia incredibile, quella di Irena, fatta di coincidenze salvifiche. Basti pensare che il 23 settembre 1999 perse il figlio Adam. Ma fu anche il giorno esatto in cui, dall'altra parte del mondo, in una cittadina del Kansas rurale e depresso, Uniontown, tre ragazze della highschool, al lavoro per un compito, scoprivano la sua storia, accennata in un articolo di giornale. L'hanno cercata, l'hanno trovata, le hanno scritto, sono andate a visitarla. E così è nato The Irena Sendler Project, che da oltre 10 anni porta in giro per States e Europa lo spettacolo "Life in a Jar" (La vita in un barattolo). Ha eventi in programma fino al 2015 e Megan Stewart Felt, una delle 3 ragazze che fecero la ricerca, ha ancora la parte di Irena. Da allora Irena ha ispirato vari libri, due film (uno è "The corageous heart of Irena Sendler" del 2009, protagonista Anna Paquin) e ha conquistato una candidatura al Nobel per la Pace, nel 2007.
"Siamo sempre meravigliati dal raggio d'azione della storia di Irena. Il nostro sito riceve email a ogni ora del giorno. Siamo fieri di aver condiviso il lascito di Irena col mondo" ha dichiarato a Ilfattoquotidiano.it Norman Conard, il professore di storia che nel '99 assegnò alle 3 studentesse la ricerca che avrebbe cambiato per sempre le vite loro e di Irena. "Era destino ci sono così tante ironie in tutto ciò. La tempistica era ed è ancora perfetta" conclude Conard, che ha lasciato l'insegnamento per dedicarsi al Lowell Milken Center, una fondazione per la riscoperta degli eroi dimenticati.
Ma come è possibile che la storia di questa Schindler al femminile sia rimasta sepolta per 60 anni? "I polacchi che fecero la resistenza furono considerati "nemici dello Stato" dai russi, perché connessi al governo polacco in esilio a Londra e all'occidente. Molte donne della cospirazione di Irena dopo la guerra furono torturate dai russi. Non fu che alla fine della guerra fredda che la storia dello Zegota divenne nota fuori dalla Polonia", ci spiega a Mary Skinner, la regista statunitense, figlia di una deportata polacca, che ha diretto il docufilm "Irena Sendler - In the name of their mothers" (2011), che ritrae Irena nelle ultime interviste rilasciate prima di morire.
SORAGNA (PR) - Le porte della Sinagoga di Soragna si sono nuovamente aperte per ospitare la rassegna «Shevilim».
Hanno partecipato il presidente della comunità ebraica di Parma Giorgio Yehuda Giavarini, il rabbino capo di Ferrara Luciano Meir Caro, il sindaco di Soragna Salvatore Iaconi Farina e l'assessore provinciale Giuseppe Romanini. Il rabbino Caro si è soffermato sul significato del concorso «Shevilim» che la comunità ha indetto per la terza volta, col fine di far conoscere ed approfondire la conoscenza dell'ebraismo e delle tradizioni ebraiche ai giovani, auspicando che possa «essere di stimolo per il raggiungimento di quella pace fra le genti, benedetta da Dio e purtroppo ancora osteggiata da sacche di antisemitismo e di diffidenza verso gli ebrei che sopravvive in certe parti del mondo». E' toccato a Renza Levi, figlia dello scomparso Fausto presidente e fondatore del «Museo ebraico di Soragna», consegnare le targhe di benemerenza alle due classi vincitrici del concorso.
Il prestigioso riconoscimento è andato agli alunni della classe 4aA della scuola primaria «Bozzani» di Porporano che hanno realizzato un importante elaborato multidisciplinare tratto dal libro «La vita quotidiana degli uomini della Bibbia» di André Chauraqui, ed a quelli della classe 3aB della scuola secondaria di 1o grado «Mazzini» di Castel San Giovanni e Sarmato, autori di un video ispirato all'operetta Brundibar di Hans Krasa. Questi ultimi hanno ringraziato con uno struggente canto.
L'incontro in Sinagoga si è concluso con il video-concerto «Stelle piume e violini» messo in scena dall'associazione Equinozio con l'esibizione di Emanuele Scataglini, Barbara Rosenberg e Andrea Talarico. Il programma ha compreso fiabe, leggende, storie vere della cultura ebraica, klezmer e nomade e canzoni che hanno spaziato dalla «Ballata di Mackie Messer» di Kurt Weil al brano «La terra d'oro» di Mordechai Gebirtig, dalla celebre ballata ebraica «Tumbalalyke» alle numerose composizioni di Emanuele Scataglini.
Arriva da Israele la marijuana senza effetti psicotici
Un particolare tipo di marijuana a scopo medico in grado di alleviare i sintomi di alcune malattie senza però far provare al paziente gli effetti psicotici della sostanza. Il prodotto è stato sviluppato dalla Hebrew University di Gerusalemme. La cannabis è costituita per oltre il 60 per cento dai cannabinoidi. Il più famoso di questi è il Ths, che è legatoagli effetti psicotropi della sostanza.
La marijuana poi contiene il cannabidiolo, che invece ha una funzione antinfiammatoria, chesi lega con difficoltà ai recettori cerebrali e quindi noninfluisce sullo stato psichico dei pazienti. Il nuovo tipo dicannabis sviluppata dai ricercatori israeliani contiene il 15,8per cento di cannabidiolo e meno dell'1 per cento di Thc. Itrial clinici non sono ancora cominciati, ma i ricercatorihanno già sperimentato il nuovo tipo di marijuana su 10pazienti e condotto test su topi da laboratorio. La cannabis arricchita con cannabidiolo potrà essere usata per trattare malattie come artrite reumatoide, coliti, infiammazioni epatiche, malattie di cuore e diabete, senza che il paziente risenta di alcun effetto psicotico.
Territori inoccupati: Chi è legale in Giudea e Samaria?
di Dror Eydar
Edmond Levi
La più importante notizia della settimana, forse dell'anno è praticamente inosservata, poco notata dai media.
Eppure!
Si tratta di un rapporto redato dal Comitato incaricato di esaminare lo stato delle costruzioni in Giudea e Samaria, presieduto dall'ex giudice della Corte Suprema d'Israele Edmond Levi.
Il rapporto va al centro del conflitto arabo-israeliano.
Si può dire che il governo ha ricevuto il permesso di gettare il rapporto del Procuratore Talia Sasson sugli insediamenti nella pattumiera della storia.
Perché il rapporto Levi conclude che Israele ha tutto il diritto di insediare ebrei in Giudea e Samaria, e non è corretto dire che la costruzione degli insediamenti è illegale secondo il diritto internazionale.
"Secondo il diritto internazionale gli israeliani hanno il diritto legale di stabilirsi in tutta la Giudea e Samaria, e quanto meno nei territori sotto il controllo israeliano sulla base di accordi con l'Autorità palestinese, e di conseguenza la creazione di insediamenti all'interno di questi territori non è un atto illegale", dice il rapporto.
La commissione conclude anche:
«Dal punto di vista del diritto internazionale, le leggi relative all'«occupazione» sono inapplicabili a causa delle particolari circostanze storiche e giuridiche relative alla presenza israeliana per diversi decenni in Giudea e Samaria».
Dopo gli anni '70 giuristi di alto livello in Israele e all'estero hanno sostenuto che Israele è completamente all'interno dei suoi diritti quando insedia i suoi cittadini in Giudea e Samaria.
Tra questi si trovano il presidente della Corte internazionale di giustizia dell'Aia, il giudice Stephen Schwebel, come anche il professor Eliahu Lauterpacht della Cambridge University e il professor Eugene Rostow, ex diacono presso la Yale Law School, i quali, insieme ad altri, hanno espresso le loro chiare analisi giuridiche per quanto che concerne la giusta rivendicazione d'Israele su Giudea e Samaria nelle presenti circostanze storiche e giuridiche.
Tuttavia, dopo la guerra dei sei giorni Israele si è astenuto dal dichiarare uno status permanente nei territori conquistati, a esclusione di Gerusalemme e del Golan.
A partire da questo vuoto giuridico il giudice Aharon Barak e altri hanno creato il paradigma giuridico di «occupazione belligerante», secondo cui il governo militare deriva la sua autorità dalle regole di diritto internazionale nei territori che sono stati conquistati durante la guerra.
Il che significa che Israele è considerato pretestuosamente di essere un occupante straniero che non ha alcun diritto di imporre la sua sovranità o di spostare la sua popolazione civile in questi territori.
Certe ostili misure di organizzazioni giuridiche, prese contro l'azione di insediamento in Giudea e Samaria, provengono da questa percezione.
Tali misure, che mirano a strangolare l'insediamento israeliano, hanno ricevuto la giustificazione dall'Ufficio del Procuratore di Stato in seguito all'adozione del paradigma della "occupazione belligerante", nonostante le molte obiezioni fatte dal governo attuale.
Ma se i territori non sono occupati, come la sinistra ha sostenuto per anni, essi devono essere annessi, come le persone che vi abitano.
Tuttavia la realtà non è così semplice: è complessa.
L'attuale rapporto riconosce una realtà intermedia: quella di un territorio conteso, con due entità, nessuna delle quali è considerata «occupante».
C'è disaccordo circa la proprietà, che deve essere chiarita in vari modi, ma non esiste una definizione di «occupazione» nel senso del diritto internazionale.
L'«occupazione belligerante» si verifica quando si conquista il territorio di un altro paese.
Nel caso di Israele l'ultima potenza sovrana è stata il Mandato Britannico, che ha ricevuto la sua legittimità dalla Società delle Nazioni la fine di creare una patria per gli ebrei in Terra d'Israele.
La sovranità giordana su questi territori (o quella egiziana su Gaza) non è mai stata riconosciuta (ad eccezione della Gran Bretagna e del Pakistan), e Israele non ha mai conquistato «territorio giordano».
La Giordania inoltre ha rinunciato alla sua sovranità su questi territori nel 1980.
Un altro punto spettacolare del rapporto è la sua posizione sulle comunità che sono state costruite senza una decisione del governo ("non autorizzate").
Il rapporto conclude che, poiché la loro creazione e il loro sviluppo sono avvenuti con la conoscenza, l'incoraggiamento e l'accordo dei più alti livelli di governo, "tale comportamento deve essere considerato come una «autorizzazione».
Pertanto, «l'atto di espulsione di queste comunità non è praticabile e una diversa soluzione deve essere trovata, in forma di risarcimento o di offerte alternative di terreno.
Per questo motivo la commissione ha suggerito allo Stato di astenersi dall'eseguire ordini di demolizione in queste comunità, dove egli stesso, in sostanza, è responsabile della loro creazione.»
Se il governo israeliano adotterà le conclusioni del rapporto, questo significherebbe che le persone che lavorano presso l'Ufficio del Procuratore di Stato non saranno più in grado di rifiutare, in nome dello Stato, l'esistenza di queste comunità, e non saranno più in grado di chiedere la loro distruzione con rivendicazioni giuridiche.
C'è da prevedere che scoppierà una guerra mondiale contro il rapporto e contro Edmond Levi.
Tutti i vecchi argomenti, le vecchie tattiche di diffamazione saranno rispolverate e messe in campo dalle organizzazioni di sinistra che chiederanno aiuto ai loro amici di tutto il mondo e all'élite giuridica straniera che lotterà contro la cosa più naturale per noi come popolo: il ritorno nella nostra patria, la culla della nostra nazione.
E' proprio per questo che il governo è stato eletto.
E' la volontà della maggior parte delle persone, ed è anche un decreto storico.
(JForum, fr, 6 luglio 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Abbiamo tradotto dal francese questo importante articolo comparso su JForum.fr nella speranza, finora vanificata, di attirare l'attenzione degli amici e sostenitori di Israele, e in particolare gli intellettuali fra di loro, sull'aspetto giuridico internazionale della questione israeliana. I nemici di Israele hanno afferrato prontamente e sbandierano in continuazione termini ad effetto come "illegalità", "occupazione", "insediamenti", "coloni", che sono tutti termini giuridici. A questi dall'altra parte si oppongono di solito argomenti di moralità politica o di sicurezza nazionale, magari facendo notare e ridicolizzando le stupidaggini con cui molti filopalestinesi sostengono la loro causa. Ma il male è impermeabile al ridicolo: ci vuol altro per combatterlo. La forma migliore è la verità. E la verità giuridica sta dalla parte d'Israele. I suoi amici però trascurano questo fatto e invece di spiegarlo e sottolinearlo in continuazione scelgono altre strade, apparentemente più realistiche, più aderenti alla realtà dei fatti, anche se poi la realtà se ne va da ben altre parti. Il motivo forse è semplice: perché questa verità non la conoscono. Si spera che non corrisponda al vero il fatto, riportato da qualcuno, che nemmeno l'ambasciatore di Israele in Italia sapesse con precisione che cos'è il Mandato per la Palestina. Non bisognerebbe lasciare a letterati, filosofi, artisti e moralisti di tutti i tipi il compito di difendere la posizione d'Israele: è assolumente necessario che dell'argomento storico-giuridico dello Stato d'Israele s'impadronisca un corpo di intellettuali che si proponga di diffonderlo e sostenerlo in tutte le sedi, ribaltando alla radice le accuse di illegalità, come richiede la verità storico-giuridica. I politici sono spesso costretti a misurare quello che dicono per il posto di responsabilità che occupano, ma a loro bisognerebbe offrire almeno il sostegno di chi parla e continua a parlare. La parola è importante, molto più importante dei sottili pragmatismi tattici. M.C.
Iran: il 63% vuole rinunciare al nucleare. Sondaggio cancellato
TEHERAN - IL 63% degli iraniani preferisce rinunciare al controverso programma nucleare pur di ottenere la revoca delle sanzioni internazionali. Questo l'imbarazzante risultato, per le autorita' di Teheran, del sondaggio condotto dalla tv di Stato Irib. Rilevazione che pertanto e' stata immediatamente sospesa. Il risultato, infatti, non era in linea con l'obiettivo di Irib tv che puntava a dimostrare l'unita' del popolo iraniano a sostegno del programma nucleare.
Il progetto iraniano in Kenya è presto detto: attaccare Israele
Fermati a Nairobi due iraniani con 15 kg d'esplosivo
di Alessandra Boga
Il 26 Giugno scorso il governo statunitense ha rifiutato di ritirare, su richiesta del governo del Kenya, l'allarme di una minaccia terroristica a Mombasa tra il 22 Giugno e il 1 Luglio: una minaccia proveniente dall'Iran. Una minaccia seria, dato che il mese scorso sono stati fermati a Nairobi due Iraniani trovati in possesso di 15 kg di esplosivi militari, e il 25 Giugno essi sono stati accusati di detenzione illegale di esplosivo e della preparazione d'un attentato terroristico.
I due arrestati fanno parte con ogni probabilità della Quds Force dei Corpi di Guardia Rivoluzionari Islamici (CGRI), un'unità segreta che agisce contro gli interessi stranieri. In particolare, essi intendevano colpire obiettivi americani, britannici o sauditi, ma soprattutto israeliani all'interno del Kenya. Nel 2007 è infatti cominciata una guerra segreta d'intelligence tra gli USA, Israele e i loro alleati da una parte, e la Repubblica Islamica ed i suoi alleati dall'altra.
L'Iran ha poi intensificato la sua campagna per attaccare Israele (e gli interessi dello Stato ebraico in Paesi come l'Azerbaijan, la Georgia, l'India e la Tailandia), a seguito dell'assassinio, avvenuto negli ultimi due anni, di cinque scienziati nucleari iraniani: assassinio dei quali Israele è il sospettato numero uno, dati i fondati timori dello Stato ebraico che la Repubblica Islamica voglia arrivare alla bomba atomica per distruggerlo.
Ma perché utilizzare il Kenya per attaccare Israele? Perché numerosi turisti arrivano proprio da lì nella città portuale di Mombasa, che è anche dimora di diversi proprietari di alberghi e uomini d'affari israeliani. Uno dei questi hotel e un aereo di linea El Al sono stati già vittima di attentati nel 2002 e non è escluso che gli israeliani a Mombasa possano essere presi di mira nuovamente.
Anche l'Iran ha delle attività economiche in Africa. Teheran e Nairobi in particolare hanno in questi anni intrapreso amichevoli relazioni economiche e diplomatiche. Tra loro esistono anche traffici illeciti di armi e droga, che utilizzano l'aeroporto di Mombasa come punto di accesso in Africa Centrale. Il Kenya funge da importante centro di forniture coordinatore logistico per l'Iran.
Tuttavia, anche la Tailandia svolgeva la stessa funzione (vi si era pure infiltrato Hezbollah), eppure ha subito attacchi da parte della Repubblica Islamica. Perciò non si può escludere che (proprio per questo?) anche il Kenya sia un suo bersaglio: i fatti parlano chiaro.
La strada intitolata all'unica donna tornata viva dalla retata al ghetto nel '43 si trova nel XX municipio. Carla Di Veroli: "Chiedo a tutte le forze antifasciste di rispondere a un oltraggio così grave. Alemanno: "Il Comune la rimetterà al suo posto". Zingaretti: "Una ferita per la città".
La targa rimossa
ROMA - La targa in zona Tomba di Nerone, nel municipio XX, che indica la via intitolata a Settimia Spizzichino è stata rimossa. La denuncia è stata fatta dalla nipote della donna, Carla Di Veroli, attraverso un messaggio pubblicato sul suo profilo Facebook.
"Sono la nipote di Settimia Spizzichino e sono sconvolta. Credo che questa sia la risposta di coloro che male hanno sopportato la mia recente battaglia per impedire che a Roma fosse intitolata una strada a Giorgio Almirante. Chiedo che tutte le forze democratiche e antifasciste rispondano ad un oltraggio così grave, fatto contro la memoria di Settimia Spizzichino, unica donna tornata viva dalla retata del 16 ottobre del 1943 nel Ghetto di Roma".
"Mi aspetto - ha concluso la donna - che il presidente del XX municipio e il sindaco Alemanno ripristino immediatamente la targa sottratta, con una cerimonia cittadina".
"Condanniamo duramente la rimozione della targa - ha detto Gianni Alemanno - è stato un gesto vile che offende la memoria e l'onore di una donna che ha vissuto il male assoluto della Shoah. Il Campidoglio ripristinerà la targa al più presto con una cerimonia di commemorazione aperta a tutta la città. Simili comportamenti vanno condannati con assoluta fermezza. Roma, città simbolo della lotta di liberazione, dei valori di civiltà, libertà e democrazia, non merita di essere sfregiata in questo modo".
"Se si tratta di un 'semplice' atto vandalico, è evidente che la condanna è netta. Rivolgo al contempo un appello al sindaco, affinché venga ripristinata la targa, perché Settimia Spizzichino, unica sopravvissuta alla retata del 16 ottobre del 1943, rappresenta un simbolo". Così, Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma, ha commentato, prima dell'inizio dello Shabbat, la notizia della rimozione della targa toponomastica di via Settimia Spizzichino.
"Quella di Settimia è una storia particolare: è la storia di una donna, l'unica, che, appena rientrata, decise di iniziare a raccontare, di fronte alle perplessità di molti, ciò che aveva vissuto. E lo ha fatto fino alla sua morte. E' stata una donna che ha continuato a combattere, ogni giorno della sua vita, contro le ideologie nostalgiche del nazismo e del fascismo".
"Se invece stiamo parlando di un atto ostile, proprio per i significati che ho appena enunciato - ha aggiunto Pacifici - è evidente che oltre a ripristinare la targa, è corretto promuovere insieme a tutte le autorità locali (Comune, Regione, Provincia), una grande cerimonia. In quell'occasione Roma vorrà gridare che la città vuole la sua via alla memoria di Settimia Spizzichino. Oltre a condannare queste azioni, che ogni tanto si ripresentano nella città e non solo a Roma, dobbiamo anche dire a questi signori che non ci impauriscono".
Per il presidente della Provincia Nicola Zingaretti "l'episodio è una ferita per la città, un gesto vigliacco che colpisce profondamente tutti noi. Per questo mi auguro che venga ripristinata in tempi brevissimi".
"Settimia Spizzichino - continua - rappresenta un'eroina dei nostri tempi, una donna coraggiosa che ha avuto la forza di condividere i suoi atroci ricordi, raccontando tutte le terribili umiliazioni subite e le sofferenze vissute alle nuove generazioni. Le sue parole sono state di enorme valore per tutti noi: hanno contribuito a non disperdere la memoria della Shoah. Mi auguro che il prima possibile siano individuati i responsabili di tale gesto e individuate le ragioni della rimozione della targa. E' opportuno, e non è secondario - conclude Zingaretti - capire se si è trattato di un atto vandalico o di un atto rivolto a colpire un simbolo della storia della Shoah".
ROMA - "La donazione del midollo osseo: Halachà, etica e clinica". Questo il tema del convegno che avrà luogo lunedì 8 luglio a partire dalle 20 al Palazzo della Cultura in pieno quartiere ebraico. Organizzato dall'Associazione Medica Ebraica con il patrocinio della Comunità ebraica di Roma, dell'Ospedale Israelitico, del Ministero della Salute, dell'Ordine dei Medici di Roma, di AIDO, AIL, ADEI e OSE, l'incontro sarà presentato da Dario Perugia, presidente Ame Roma, cui faranno seguito i saluti del presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici, del presidente dell'Ospedale Israelitico Bruno Piperno e del consigliere dell'Ordine dei medici capitolino Mario Falconi e un'introduzione di Renato Caviglia, coordinatore della commissione donazioni organi dell'Ordine dei medici. Si entrerà poi nel vivo del dibattito con gli interventi del rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni (Halachà e donazione degli organi), di Giuseppe Avvisati (Gli aspetti clinici della donazione del midollo osseo e delle cellule staminali emopoietiche) e Roberto Foà (La creazione di un registro dei donatori di midollo oserò e delle cellule staminali emopoietiche). Concluderanno i lavori le testimonianze di alcuni donatori e riceventi.
Lo ha spiegato a Wired.it Shlomo Maital, direttore del Technion Institute, che in questi giorni è in Italia per spiegare agli stakeholder del nostro paese come trasformare l'Italia in una startup nation
di Silvio Gulizia
Shlomo Maital, direttore del Technion Institute of Management israeliano, ha trascorso qualche giorno tra Roma e Milano per parlare della Startup Nation, come Israele è stata definita in un recente libro di succeso, insieme agli stakholder romani, che ha incontrato prima di partecipare alla finale di InnovactionLab, e milanesi, durante un evento al Politecnico. Il Technion Institute in Israele ha laureato in circa cinquant'anni 70 mila persone, 60 mila delle quali sono ancora attive sul mercato del lavoro in patria o altrove. Il 23% dei laureati ha creato almeno una startup e nel proprio libro Technion Nation, recentemente uscito, Maital spiega come questo sia stato possibile. In Italia però è venuto a raccontare il modello israeliano per l'innovazione e noi l'abbiamo incontrato per capire quali similitudini ci sono fra il suo paese e il nostro e come l'Italia possa diventare anch'essa una startup nation.
- Lei definisce il modello israeliano backpack startup, cioè startup zaino in spalla. Che significa e perché ce lo propone per l'Italia? "L'anno scorso nel mio Paese, che conta 7 milioni di abitanti, sono state fondate 530 startup. Ce ne sono però molte che non sono ufficiali. Diverse persone che lavoravano per grandi aziende si sono licenziate perché le loro idee non venivano ascoltate e hanno iniziato a lavorare a casa, facendo le riunioni nei bar. In Israele non ci sono i garage come nella Silicon Valley: i giovani mettono lo zaino in spalla e si portano dietro il computer. Affrontando tutti i giorni il rischio di finire i soldi. L'Italia è all'87o posto della classifica della Banca Mondiale dei paesi dove è più facile fare impresa per colpa della burocrazia. In Italia però ho trovato nei giovani lo stesso spirito di quelli israeliani: vogliono avere successo, sono brillanti e capaci e hanno a disposizione grandi università. Quindi possono farcela".
- Parlano tutti dei segreti della Silicon Valley. La seconda patria delle startup è però divenuta Israele. Qual è il segreto del vostro modello? "Sono le mamme ebree. Se torni a casa da scuola e hai preso 10 su 10, una mamma ebrea ti chiede. E le mamme italiane sono uguali in questo. Se metti una mamma ebrea e una italiana in una stanza, anche se non parlano la stessa lingua si capiscono comunque. Il successo di una nazione dipende da quanta energia e ambizione c'è nei giovani e in quelli italiani ce n'è molta, ma dovete sbloccarla".
- Oltre alle mamme quali sono gli altri ingredienti del modello israeliano? "Poca burocrazia, estrema fiducia in noi stessi e soprattutto la volontà di assumersi rischi, avendo capito che fallire non è una cosa negativa. Negativo è non concedersi almeno un tentativo nel corso della propria vita".
- Pensa che il modello israeliano possa davvero funzionare in Italia? "Assolutamente. L'Italia ha tutto il necessario per diventare una Startup Nation, manca solo di auto convinzione. Vi serve una massa critica di giovani che ci credano. La gente paragona l'Italia alla Spagna, ma quest'ultima si trova in una situazione disperata, voi no. Dovete smetterla di ascoltare agli economisti che preannunciano rovine per il vostro Paese e mettere in maggior luce i casi di successo che ci sono anche qui".
- Nel suo libro parla di uova d'oro riferendosi al mondo accademico. Qual è il ruolo delle università nella crescita dell'ecosistema delle startup? "Gli atenei sono posti dove la gente fa ricerche e scopre cose che avrebbero un grosso potenziale commerciale, ma trasformare il risultato di una ricerca in un prodotto commerciale è complicato. Per questo le università dovrebbero valorizzare quei professori in grado di individuare prodotti e aiutarli a lavorare insieme a partner strategici, cioè aziende con soldi, persone e strutture di marketing in grado di fondere l'innovazione con il mercato. Le aziende non sono i nemici che portano via i bravi ricercatori, ma sono lo strumento con il quale questi possono contribuire alla crescita del Paese".
- È impossibile che non le faccia una domanda sui soldi. Quando si parla di startup viene fuori che il problema sono sempre quelli, che non ci sono mai. "Cercare soldi per il proprio progetto porta a perdere un anno di sviluppo. All'inizio serve un prodotto, non un finanziatore. Bisogna guardare dentro di sé e individuare le proprie passioni, poi guardare fuori e capire quali sono le cose che vorremmo e non ci sono. Poi andare a chiedere alla gente cosa ne pensa. Le ricerche di mercato non servono a nulla. Facebook è nato perché Zuckerberg voleva fare l'annuario della sua classe".
- Prima o poi però i soldi servono. Oppure bisogna puntare ad avere da subito un flusso di cassa? "Assolutamente no, bisogna puntare su bisogni e utenti".
- Quindi i soldi dove li prendiamo? "I venture capital sono in declino in Europa per via della crisi che tiene lontani gli investitori dai fondi. Per questo bisogna puntare sugli angel e sul trasformare gli startupper che hanno fatto un'exit in angel. In Italia questo può diventare un modello perché ci sono tante persone con i soldi che non stanno investendo in startup. Occorre però che lo Stato rinunci a tassare i ricavi da questo tipo di investimenti che sono altamente rischiosi. I soldi che lo Stato non prenderebbe da queste tasse ritornerebbero sotto altra forma. Ne beneficerebbe il paese, perché sarebbe più facile creare imprese, attivare l'interesse degli imprenditori verso i giovani che potrebbero così beneficiare dell'aiuto di persone che hanno già avuto successo, creare nuovi posti di lavoro e offrire esempi ai coetanei".
- Quale dovrebbe essere il ruolo del governo nel processo di creazione di una Startup Nation?
"Rispondo citando gli imprenditori israeliani a cui ho fatto questa domanda. . Penso che per l'Italia sia lo stesso".
Italia e Israele partner dell'innovazione al Politecnico di Milano. Quali sono i segreti della Start up Nation, la definizione con cui è ormai conosciuto nel mondo Israele? Quali le esperienze che possono essere condivise in Italia, che di Israele è uno dei più partner commerciali più importanti? Nell'Università che è uno dei centri di eccellenza della ricerca e dell'innovazione in Italia diverse le storie e i suggerimenti condivisi da imprenditori di entrambi i paesi nel corso del convegno Start up - A comparison between Israeli and Italian experience, organizzato dalla Fondazione Politecnico di Milano e dall'Ambasciata di Israele e introdotto dal rettore del Politecnico Giovanni Azzone e dall'ambasciatore Naor Gilon.
Ad aprire l'incontro quali errori evitare al momento di creare una start up elencati dal'israeliano Ishay Green: "Pessimismo, la scelta sbagliata dei soci o dei dipendenti per i vari ruoli, basarsi su accordi orali, non lavorare partendo da un accurato business plan, considerarsi troppo piccoli per pensare in grande ".
E se Israele oggi è il paese con il più alto numero di nuove compagnie pro capite al mondo (una ogni 1844 abitanti), in Italia la creazione di start up è ancora poco sviluppata ma in costante crescita negli ultimi anni. Un paese dunque ad altissima potenziale per giovani imprenditori, come hanno ricordato i vari relatori, nonostante alcune difficoltà 'ambientali' che rendono meno favorevoli le condizioni sul mercato. Israele è un paese piccolo, caratterizzato da forti relazioni interpersonali, dalla capacità di rischiare, da un forte interscambio tra le università e il mondo del lavoro - ha spiegato l'imprenditore israeliano di origine italiana Astorre Mayer, tracciando una panoramica dei fattori che lo rendono un sistema particolarmente funzionale alle start up, ricordando anche la 'dose quotidiana di tecnologia israeliana che ciascuno assume': dai sistemi antivirus, alle chiavi per lo scambio dati, fino ad arrivare alla Voip, il sistema di traffico telefonico via internet su cui è basato per esempio Skype.
Israele, la sua capacità di raccogliere e sviluppare le sfide della progettualità, grande protagonista anche nella Capitale in occasione delle giornate della creatività e dell'innovazione organizzate dalla Provincia di Roma al Teatro India. Ieri la giornata inaugurale dedicata proprio allo Stato ebraico. Tra gli ospiti, oltre all'ambasciatore Gilon e allo startupper Ishay Green, relatori questa mattina al dibattito milanese, anche il direttore accademico del Technion Institute of Management Shlomo Maital, figura di primo piano nel panorama internazionale dell'innovazione. I tre hanno dialogato con la giornalista Federica De Sanctis sul tema Israele: gli ingredienti della Start up Nation analizzando più sfumature di un fenomeno stimolante, complesso e in continuo divenire. A rendere omaggio al 'modello Israele' anche il presidente della Provincia Nicola Zingaretti da cui è arrivato l'invito a emularne l'esempio per rilanciare anche in termini di creatività l'economia italiana.
Ishay Green: "Italiani griffate le vostre startup con il marchio madeinitaly"
di Silvio Gulizia
Ishay Green
Oggi mi sono preso mezza giornata libera per seguire la finale di InnovactionLabs. Uno degli incontri più interessanti che ho fatto è stato quello con Ishay Green, giovane imprenditore israeliano. Diverse cose mi hanno colpito di lui ed è per questo che l'ho poi raggiunto chiedendogli di registrare un video. Che ha voluto fare da solo e lo vedi qui sotto.
Durante l'evento c'è stata una presentazione del modello israeliano della startup nation, caratterizzato fra le altre cose da una scarsa paura del rischio. Questa cosa non l'ho capita fino a quando Ishay ha spiegato che puoi fallire, ma non puoi perdere. Una cosa difficile da comprendere, qui in Italia.
Prima di lasciarti al video vorrei citare una frase di Ishay, che mi ha confidato di essere alla ricerca di persone da coinvolgere in un progetto di startup da realizzare in Italia: "Io quando vado in giro non vedo problemi, ma opportunità".
Aggredito uno scolaro ebreo della stessa scuola del martire di Tolosa
PARIGI, 5 lug - Uno studente della scuola di Ozar Hatorah di Tolosa, presa di mira nel marzo scorso dal killer Mohamed Merah che uccise un insegnante e tre bambini, ha subito un'aggressione antisemita in un treno. Lo ha annunciato il ministero dell'Interno francese.
Il ragazzo violentemente aggredito ha 17 anni e frequenta la scuola Ozar Hatorah di Tolosa, dove il killer Merah uccise il 19 marzo scorso un insegnante, sua figlia iscritta a scuola e altri due bambini, inseguendoli fin dentro il cortile dell'istituto.
L'aggredito si trovava ieri sera su un treno che collega Tolosa a Lione, nel centro della Francia. I sanitari dell'ospedale gli hanno dato sette giorni di prognosi, una denuncia è stata già presentata e - secondo il ministero dell'Interno - "le identità degli aggressori sono già state individuate". Lo stesso ministero ha ribadito la determinazione a "combattere ogni rigurgito di questa malattia profonda che è l'antisemitismo".
GERUSALEMME, 5 lug - Un razzo lanciato dalla Striscia di Gaza ha colpito la zona sud di Israele senza causare, fortunatamente, vittime o feriti. A renderlo noto un portavoce della polizia israeliana.
''Il razzo ha colpito un campo nella regione di Eshkol'', ha spiegato Micky Rosenfeld. Ormai il lancio di razzi da parte dei militanti palestinesi e i raid israeliani si susseguono da lungo tempo.
Un canale diretto dedicato ai turisti di tutto il mondo, con le migliori offerte e le informazioni più approfondite e aggiornate per visitare la città.
Gerusalemme si è dotata di un nuovo sito web, che vuole essere soprattutto un canale diretto dedicato ai turisti di tutto il mondo, con le migliori offerte e le informazioni più approfondite e aggiornate per visitare la città. www.itraveljerusalem.com sarà inizialmente disponibile in inglese ed ebraico, e sarà presto lanciato in altre lingue compreso russo, spagnolo, italiano, tedesco e arabo. E' possibile inoltre collegarsi al sito anche con i cellulari abilitati a navigare sul web, per avere sempre e ovunque a portata di mano le informazioni sulla città.
A integrazione della strategia web, sono stati creati in tutta la città centri di informazione interattivi, per tutti quei turisti che non hanno accesso immediato ad Internet.
Oltre a una grande quantità di informazioni, Google Street View e il più grande database online di video in alta definizione di Gerusalemme, il sito può essere utilizzato anche per effettuare prenotazioni in ristoranti e alberghi a prezzi scontati. I visitatori e gli abitanti del posto, provvisti di telefonini di ultima generazione, saranno anche in grado di eseguire la scansione di migliaia di QR code in tutta la città per accedere con semplicità alle informazioni sui servizi ed eventi proposti.
Ieri Suha Arafat in coro con Hamas («ecco di nuovo il terribile volto dell'occupazione..») ha chiesto la riesumazione del corpo di Yasser Arafat in seguito all'inchiesta di Al Jazeera sulla morte del marito. Strano che non abbia nel contempo annunciato che intende consegnare la cartella clinica del marito che si è sempre tenuta stretta, e che anche l'ospedale francese dove è morto non ha mai lasciato vedere a nessuno. Quelle cartelle cliniche, e non Al Jazeera, descrivono tutta la verità sulla molto chiacchierata conclusione della vita del capo dell'OLP.
Ma Al Jazeera è riuscita nel colpo politico tipico della sua linea di suscitare grande scandalo internazionale su un improbabile identificazione dei motivi in un avvelenamento al polonio: l'avrebbe ricavata da analisi chimiche compiute da un istituto di Losanna sulla sua biancheria e sul suo spazzolino da denti.
In quali mani e che strada abbiano fatto in tutti questi anni questi oggetti del rais, sempre che siano autentici, naturalmente non si sa.
Ma si sanno tante cose che dovrebbero dissuadere da questa ennesima teoria della cospirazione costruita per criminalizzare Israele. Prima di tutto, Israele ha sempre detto in modo inequivocabile di non aver avuto niente a che fare con la morte di Arafat: non è irrilevante, se si pensa che, ad ogni grossa eliminazione mirata come quelle di Imad Mughniya e di Mahmoud al Mabhouh,il Mossad non ha n' ammesso n' negato, e anzi si è lasciato andare a qualche smorfia di compiacimento.
L'autorità Palestinese, che ora sta organizzando una nuova commissione ufficiale d'inchiesta, ne ha già avviate tre dal 2004 a oggi senza che abbiano mai presentato alcuna conclusione e mai hanno dato segno di aver avuto notizie dall'Ospedale francese dove è morto il rais.
Ashrafa al Kurdi, il suo medico personale aveva confermato che nel sangue del rais, come tutti, palestinesi, israeliani, dicevano da tempo, era stato ritrovato il virus dell'AIDS. Ma ha poi aggiunto che il virus non ne avrebbe causato la morte ma sarebbe stato iniettato ex post per coprire la morte da polonio 210, lo stesso isotopo radiattivo rilevato nel corpo del colonnello russo Alexander Litvinenko. Curiosa osservazione.
L'ethos palestinese ha da tempo estremo bisogno di restaurare un'aura di shahid per la figura di Arafat impoverita alquanto dagli eventi, ricoverato lontano dalla patria, in un ospedale francese, con accanto una moglie campione di lussi parigini, residente fissa dei grandi alberghi, che accumulava da tempo in banca il denaro del marito contestatole dall'Autonomia Palestinese (dopo la morte si è battuta come una tigre per i soldi ereditati, che molti ritengono frutto di accumulo truffaldino del rais), circondato dai battibecchi e dai pettegolezzi dei suoi. Davvero Arafat da tempo per gli israeliani non rappresentava un problema: indebolito, chiuso alla Mukata dopo aver gestito e perduto l'Intifada, il peggior attacco terrorista contro migliaia di civili insieme all'11 di settembre americano, ormai stanco, confuso, accusato di corruzione, lontano dalla politica...
Al Jazeera, grande inventrice di slogan politici e amante delle battaglie più sanguinose stavolta rischia un flop clamoroso.
Isreale riprenderà costruzione del muro in Cisgiordania
I lavori sono fermi da cinque anni
GERUSALEMME, 5 lug. - L'esercito israeliano riprenderà nelle prossime settimane i lavori di costruzione del muro di separazione in Cisgiordania, interrotto cinque anni fa. Stando a quanto riferito oggi dal colonnello Ofer Hindi alla radio pubblica israeliana, i lavori riprenderanno in un primo tempo nei pressi di Betlemme, per poi estendersi, il prossimo anno, a Maale Adumin, uno degli insediamenti più importanti della Cisgiordania, a est di Gerusalemme.
Hindi ha presentato il progetto per la conclusione dei lavori alla Corte suprema, la più alta autorità giudiziaria del paese intervenuta più volte per modificare il tracciato di chiusura della barriera, accogliendo gli appelli dei palestinesi. Secondo la radio, i lavori sono fermi da cinque anni a causa di "problemi di budget" e della moltiplicazione delle richieste palestinesi. Per il quotidiano Yédiot Aharonot la sospensione dei lavori sarebbe invece stata determinata dalle pressioni internazionali, tanto che i leader israeliani si aspettano nuove critiche alla ripresa del progetto.
I lavori di costruzione del muro sono iniziati nel 2002, dopo una serie di attentati in Israele: finora sono stati costruiti oltre 400 dei circa 760 chilometri di percorso, fatto di filo spinato, fossati, recinzioni elettroniche o di calcestruzzo.
Dove sono finiti i soldi donati all'Autorità Palestinese?
di Barry Rubin
Dice il primo ministro dell'Autorità Palestinese Salam Fayyad che il suo governo è a corto di fondi. Nel frattempo un lettore mi chiede: "Può spiegarmi per favore come mai, vent'anni dopo Oslo e dopo miliardi di dollari in aiuti, l'Autorità Palestinese non ha ancora costruito dei moderni ospedali? Meglio ancora, come mai i paesi donatori continuano a riversare soldi all'Autorità Palestinese senza aspettarsi nemmeno qualche risultato che salvi la faccia?"
Bella domanda. E breve risposta: conti bancari in Svizzera. In altre parole, un'enorme quantità di denaro è stata semplicemente rubata.
Non c'è niente di più disgustoso del vedere i governanti di un popolo, specie di un popolo povero, che si lamentano delle sofferenze patite dalla loro gente e allo stesso tempo se ne approfittano. Naturalmente, quando qualche osservatore straniero vede le povere condizioni dei palestinesi ne dà la colpa a Israele, e in questo modo non fa che favorire ancor di più la causa di quegli stessi dirigenti che, con le loro politiche intransigenti, si garantiscono che la situazione attuale si protragga all'infinito....
The Cutoff Man e Fill the Void selezionati da Venezia69. I film di Idan Hubel e Rama Burstein ritirati dal Festival di Gerusalemme, al via domani
"Auguriamo un grande successo ai loro meravigliosi e notevoli film". Così l'organizzazione del Festival Internazionale del Film di Gerusalemme - al via domani - ha "salutato" The Cutoff Man di Idan Hubel e Fill the Void di Rama Burstein, entrambi in programma alla manifestazione ma ritirati dagli stessi registi una volta saputo di essere stati selezionati per la prossima 69a Mostra di Venezia (29 agosto - 8 settembre). Il film di Idan Hubel è incentrato su un uomo in difficoltà che accetta un impiego scomodo: tagliare l'acqua a chi non paga le bollette. La questione si complica quando tra i morosi finisce lo sponsor della squadra di calcio dove gioca il suo unico, amato figlio. Fill the Void, invece, racconta la storia di una famiglia di ebrei osservanti, concentrandosi poi su Shira, futura sposa di un promettente giovane di una scuola religiosa: la notizia della morte della sorella, però, rischierà di far precipitare le cose.
Voto contrario del capogruppo Pd Sassoli e presidente Commagri De Castro
STRASBURGO - "L'etichettatura delle carni macellate con i riti ebraico e musulmano è una inaccettabile ghettizzazione di una pratica religiosa che, tra l'altro, rischierebbe di costituire un pericoloso precedente che potrebbe aprire le porte ad altre forme di discriminazione". Con queste parole il capogruppo del Pd al Parlamento europeo, David Sassoli, e il presidente della commissione Agricoltura dell'Europarlamento, Paolo De Castro, annunciano il proprio voto contrario alla proposta di una etichetta per le carni kosher e musulmane, contenuta "nel rapporto Paulsen sul benessere animale" al voto oggi in Aula a Strasburgo.
"L'etichettatura delle carni macellate ritualmente - precisano Sassoli e De Castro - è tra l'altro, in molti casi, voluta dalla destra in Europa con lo scopo di colpire quelle comunità religiose. Questo non è conciliabile con l'Europa dei diritti e delle libertà".
Generalmente, cerco sempre - non so con quanto successo - di rappresentarmi anche le ragioni altrui, e di cercare di assumere, almeno in via ipotetica, il punto di vista di chi la pensa diversamente da me: se non altro, se non per poter cambiare idea, per poter meglio fondare e argomentare le mie ragioni. Ma - e lo dico con amarezza - mi riesce sinceramente difficile capire le recenti proposte di chi vorrebbe cambiare l'inno nazionale israeliano, per potere - attraverso una eliminazione dei riferimenti all'"anima ebraica" - renderlo meglio accetto e condivisibile da parte della minoranza araba del Paese. Mi chiedo come mai un problema del genere si ponga soltanto per Israele. Gli inni degli oltre 200 Paesi rappresentati all'ONU sono tutti perfettamente graditi, parola per parola, al 100 % delle varie popolazioni? I loro testi sono considerati come dei veri 'programmi politici', effettivi e vincolanti, entusiasticamente condivisi da tutti? Noi italiani siamo ancora convinti che la vittoria sia "schiava di Roma"? E gli americani? L'inno statunitense, com'è noto, rievoca una battaglia combattuta dai coloni inglesi contro la corona britannica, durante la guerra d'Indipendenza. In che percentuale i cittadini americani di oggi sono discendenti di quei coloni, e si riconoscono come tali? Sappiamo bene che, per Israele, le "analisi del sangue" sono sempre dieci volte più severe, ma stavolta mi sembra proprio che si voglia passare il segno.
Soprattutto, non riesco a capire perché mai, una volta modificato l'inno, non si debba poi - logicamente, coerentemente, inevitabilmente - passare ad altri tipi di modifiche. Anche la menorah, rappresentata nello stemma ufficiale del Paese, è un simbolo ebraico, bisognerebbe eliminare anche quella. E anche il maghen David, nella bandiera. E siamo sicuri che il nome Israele vada bene? Perché non Ismaele? E come si potrebbe continuare a giustificare la Legge del ritorno, che permette agli ebrei - e solo a loro - di acquisire automaticamente la cittadinanza? Bisognerebbe eliminarla, o estenderla anche agli arabi, profughi o non profughi. E anche la legge istitutiva dello Yad va-Shem, che estende una "cittadinanza della memoria" a tutte le vittime della Shoah, andrebbe eliminata. E così anche le varie celebrazioni del calendario civile israeliano, Yom ha-Shoah, Yom ha-Zikaròn, Yom ha-Azmaut ecc. ecc. Non si farebbe allora prima a dire che si vuole contestare la stessa esistenza di uno Stato ebraico? Che si vuole negare che Israele possa essere, insieme, ebraico e democratico? Lo si può anche pensare (in tanti lo fanno), ma mi pare decisamente illusorio credere che la questione si possa risolvere con qualche piccolo ritocchino, tipo una modifica dell'inno. Bisogna essere consapevoli che, così facendo, si imboccherebbe una strada che porterebbe a conseguenze ben più vaste e profonde.
Aggiungo che la questione che pare avere dato avvio alla discussione, ossia il fatto che il Giudice arabo della Corte Suprema d'Israele, Salim Joubran, sia stato "colto in fallo" a non cantare l'inno in una cerimonia pubblica, mi pare decisamente stupida. Il Giudice si è rispettosamente alzato in piedi durante l'esecuzione dell'inno, al quale non ha minimamente mancato di rispetto, mentre hanno mancato di rispetto a lui e ai suoi sentimenti quelli che lo hanno rimproverato per questo. Molto bene ha risposto il Presidente Monti, nella conferenza stampa di lunedì, a chi gli chiedeva se, durante la finale del campionato europeo di calcio, avesse cantato l'inno: "l'ho cantato, ma non è una domanda da porre". Bravo Monti. In un Paese civile non si giudica qualcuno dal fatto se canta o non canta, né glielo si chiede.
Comunque, se si vogliono cambiare le parole dell'inno, si faccia pure. Mi permetto solo di suggerire, ove mai ciò dovesse accadere, di preparare per tempo le più opportune risposte da dare alle nuove richieste che verranno, certamente, subito dopo.
La Giordania respinge palestinesi in cerca di rifugio
"Le autorità giordane hanno costretto alcuni profughi palestinesi a tornare in Siria, da dove erano arrivati, minacciandone altri di deportazione". E' questa la denuncia di Human Rights Watch (Hrw), secondo cui le autorità di Amman "hanno anche detenuto arbitrariamente in un centro rifugiati palestinesi in fuga dalla Siria senza dare loro altra opzione in cambio del rilascio che il rientro in Siria". Al contrario, i profughi siriani "hanno il permesso di restare e possono muoversi liberamente nel Paese, dopo aver superato i controlli di sicurezza e aver trovato un sostegno", spiega il gruppo con sede a New York, che fa appello alla Giordania a "trattare i palestinesi in fuga dalla Siria allo stesso modo dei siriani che cercano rifugio".
"Come migliaia di siriani, i palestinesi entrano in Giordania senza passare attraverso un punto di frontiera ufficiale, ma contrariamente a quelli vengono detenuti per mesi senza altra possibilità di ottenere il rilascio se non il rientro in Siria", afferma Gerry Simpson, ricercatore presso Hrw, che basa il suo rapporto sulla testimonianza rilasciata a metà giugno da 12 palestinesi, tra cui donne e bambini, che si trovavano in Giordania. I palestinesi in fuga dalla Siria arrivano nel Paese vicino alla luce delle stesse circostanze che stanno spingendo migliaia di siriani a lasciare le loro case, ossia a causa delle violenze e della generale mancanza di sicurezza, ma che però non sono minacciati di deportazione, sottolinea il rapporto.
In risposta alle domande sui 'rientri forzati', il segretario generale del ministero giordano dell'Interno, Saad al-Wadi al-Manasir, ha dichiarato a Hrw che la Giordania "non ha rimandato indietro alcun palestinese" e che "non vi sono state minacce di respingimento". Ma le testimonianze raccolte da Hrw parlano di una realtà ben diversa. Anche se la Giordania non ha mai siglato la Convenzione sui rifugiati del 1951, il diritto internazionale esige il rispetto del principio di non respingimento di persone che arrivano da un Paese in cui la loro vita o le loro libertà sono sotto reale minaccia. "Non ci sono scuse per la deportazione di persone in una realtà dove esiste un rischio reale per le loro vite", afferma Simpson. "Le autorità giordane - conclude - dovrebbero emanare ordini chiari ai funzionari della sicurezza di confine per proteggere chiunque arrivi dalla Siria alla ricerca di rifugio".
A caval donato non si guarda in bocca. La massima non deve valere per quel gruppo di mirandolesi che hanno offeso lo Stato di Israele «colpevole» di aver offerto alla cittadina martoriata dal sisma quattro casette mobili per neonati.
La campagna antisionista e per certi versi antisemita esplode sul profilo Facebook della città dei Pico a margine della visita in Italia di Avigdor Lieberman, vice premier e ministro degli Esteri israeliano.
Arrivato in Italia lunedì, come prima tappa della sua visita istituzionale Lieberman ha voluto toccare con mano una delle città più provate dal terremoto. Ma non si è presentato a mani vuote. Lieberman ha donato, a nome dello Stato mediorientale, 50mila euro e 4 strutture mobili che verranno utilizzate come «Isola nido» per neomamme e i loro bambini dato che l'ospedale è inagibile.
Un gesto di generosità, tra l'altro il primo indirizzato nella cittadina della Bassa da parte di un governo estero, nato sull'onda degli aiuti italiani dopo l'incendio sul Monte Carmelo nel 2010. Eppure, la notizia non ha infiammato gli oltre 5mila membri del gruppo che segue sul social network il Comune in ginocchio.
Non appena è stata «postata» la notizia i primissimi commenti sono stati da bollino rosso: «Io le rifiuterei» (le casette ndr), «case da guerrafondai? Mai». Altri: «Che se le tengano». E ancora: «Le diano ai palestinesi che affamano e uccidono» o addirittura: «Doni sporchi di sangue». E ancora, la stessa demagogia utilizzata anche per la visita del Papa: «Tutto questo dispendio di polizia e scorte che paghiamo noi per questo signore?». Insomma, il tenore ha preso da subito una piega pericolosa.
Razzismo? O forse il solito antisionismo in chiave filo palestinese tipico della sinistra, che qua è spalleggiata a volte anche da molte amministrazioni che anche in passato hanno cercato consensi con il mito dell'antimperialismo? «Imbecilli, ogni bestia fa il suo verso». Così l'ufficio stampa del Comune e moderatore del profilo ha spiegato al Giornale la decisione di oscurare i commenti negativi, applicando una censura resasi indispensabile per le gravi offese al Governo che hanno messo in serio imbarazzo l'amministrazione con un ministro estero, che si era preso persino l'incomodo di venire personalmente.
Ma c'è di più. La notizia sarebbe passata inosservata se il Comune non avesse fatto riflettere in un successivo post sulla sproporzione tra l'interesse manifestato dagli internauti verso la donazione israeliana e quello invece messo in campo qualche giorno prima sulla generosità di Biagio Antonacci. «Abbiamo postato il gesto di generosità di Biagio Antonacci (2 casette donate) e ci sono stati 1.520 "Mi piace" e 1.956 "condivisioni" (fino a ieri). Le quattro casette donate dallo Stato d'Israele sono state invece accolte - oltre che da offese - da 48 "Mi piace" e 28 "condivisioni". Troppo poco.
Così, subito dopo il pesante j'accuse, la reazione dei mirandolesi non si è fatta attendere. E sono piovute condanne sincere per quelle parole. C'è anche chi si è chiesto che cosa «hanno fatto per noi gli straricchi emiri arabi?» o chi invece si è limitato a ringraziare Lieberman perché «la madre dei talebani è sempre incinta». Ma tutto ciò soltanto dopo la miccia delle offese.
A preoccupare infatti è che l'unica donazione in terra emiliana da parte dell'unico Stato democratico del Medio oriente sia stata subito criticata e più in generale snobbata dai soliti sinceri democratici, aperti e tolleranti.
Tranne con chi non la pensa come loro.
Dare la colpa a Israele per smorzare la tensione con la Turchia. È questa la semplice tattica di comunicazione adottata da Bashar al Assad nella sua prima intervista rilasciata a un giornale turco, il "Cumhuriyet", dopo l'abbattimento di un F-4 Phantom di Ankara.
Assad corre ai ripari dopo una settimana di crescente tensione sulla frontiera turco-siriana. Benché non vi siano segni premonitori di un conflitto, la Turchia ha rafforzato il confine.
Nella sua intervista, il dittatore di Damasco spiega che il bombardiere turco in ricognizione è stato abbattuto nello spazio aereo siriano. E non solo perché aveva violato la sovranità del Paese, ma anche (e soprattutto) perché avrebbe utilizzato una rotta solitamente impiegata dagli aerei con la stella di Davide. Siria e Israele sono ancora tecnicamente in guerra. Incursioni aeree israeliane sono avvenute nel 2003, nel 2006 (durante la Seconda Guerra in Libano) e nel 2007 (distruzione di un sospetto impianto nucleare in Siria). Quindi, per precauzione, gli attenti artiglieri della contraerea siriana avrebbero sparato subito, prima ancora di accertare la nazionalità di appartenenza dell'intruso. Secondo Bashar al Assad, infatti, la batteria della contraerea protagonista dell'azione non era dotata di radar. E dunque era impossibilitata ad accertare la natura ostile o amica dell'aereo. Quest'ultima spiegazione del dittatore sembra molto poco plausibile: se già non è facile abbattere un F-4 Phantom (in volo radente e a lanciato a velocità supersonica) con un missile o un cannone anti-aereo a guida elettronica, colpirlo dopo averlo puntato a vista è una missione quasi impossibile. Ma non importa la veridicità della spiegazione. Importa, piuttosto, il suo significato politico. Assad vuole comunicare rammarico al lettore turco, per aver commesso un errore tragico. E gli vuole dire, soprattutto, che la sua tensione è causata da Gerusalemme, non da Ankara. In questo modo può ottenere ascolto dall'opinione pubblica turca, quantomeno ostile allo Stato ebraico.
Quel che Bashar al Assad teme è un riavvicinamento fra Turchia e Israele, tradizionali alleati nei decenni passati e allontanatisi solo negli ultimi anni del governo Erdogan. La crisi siriana pare aver posto fine al periodo di massima tensione fra Gerusalemme e Ankara, arrivato allo zenit dopo la vicenda della Freedom Flotilla, salpata dalla Turchia intercettata dagli israeliani nel maggio del 2010 prima che raggiungesse Gaza. Quello era lo scenario favorevole alla Siria di Assad: quando Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e la Turchia erano tutti rivolti contro Israele. Da quando è scoppiata la ribellione in casa sua, nel marzo del 2011, Assad ha invece gradualmente perso tutta questa costellazione di alleati: ora è quasi in guerra con la Turchia, ha perso il suo contatto con Hamas (che solidarizza sempre più palesemente con gli insorti) e gli è rimasto solo Hezbollah, che comunque è meno attivo del solito. Il duplice tentativo di forzare la frontiera israeliana sul Golan (il 15 maggio e il 5 giugno 2011) con masse di palestinesi disarmati, non ha prodotto alcuna "terza Intifadah", come invece sperava Damasco, principale sostenitore dell'iniziativa. Il regime siriano, dunque, deve cercare a tutti i costi un nuovo pretesto.
29o Festival Internazionale di Villa Faraldi con il duo israelo-palestinese Yuval e Wisam
Yuval Avital
Wisam Gibran
VILLA FARALDI (IM) - La 29oedizione del Festival Internazionale di Villa Faraldi si prepara a una grande apertura, con un concerto spettacolare, che va molto al di là della musica che propone: Yuval e Wisam Duo, un dialogo musicale di di Pace tra due grandi Maestri.
Yuval Avital, chitarra classica, chitarra elettrica, live electronics, israeliano, nato a Gerusalemme nel 1977 e Wisam Gibran, oud, violino, palestinese nato a Nazareth nel 1970.
Un incontro tra due compositori straordinari che nel loro linguaggio uniscono tradizione e creatività; un concerto di due virtuosi del loro strumento; un esempio di profonda e disinteressata amicizia che non tiene conto dell'abisso tra Israele e Palestina, anzi non lo considera nemmeno.
La musica di Yuval e Wisam non può essere definita da una categoria specifica, ma è il risultato di un percorso di due grandi interpreti che va oltre il suono: insieme si ascoltano l'un l'altro, giocano, improvvisano, sembrano scoprirsi e riconoscersi, creando suoni contemporanei, a partire da una ricerca profonda che dalle radici della musica tradizionale arriva alla sintesi del mondo musicale odierno.
Il Festival Di Villa Faraldi è lieto di ospitare una performance musicale significativa e di grande fascino, non soltanto per il suo valore estetico ma anche per quello etico.
Il concerto è organizzato dall'Associazione Culturale Magà Global Arts, la "factory" milanese fondata da Yuval Avital nel 2005, che si sta affermando come portavoce di nuovi linguaggi musicali per l'attenzione ai contenuti culturali e il rigore etico delle proprie proposte. L'artista ha deciso di partecipare dopo aver conosciuto le problematiche economiche del Festival, offrendo un grande concerto a budget ridotto. Wisam Gibran per partecipare partirà direttamente da Nazareth, entrambi hanno scelto di esserci, sposando la politica di ridimensionamento dei costi!
Gli artisti incontreranno informalmente, la sera del 6 luglio, i rappresentanti del Comune di Time (Norvegia - gemellato con Villa Faraldi) per confrontarsi sulle tematiche comuni dello sviluppo culturale come modello di integrazione sociale tra i popoli, con il desiderio di promuovere un grande progetto culturale comune. Perché l'arte è anche integrazione tra i popoli, scambio di idee tra culture diverse, per fornire a tutti noi il cibo per la nostra anima.
L'ingresso è gratuito.
Israele è notoriamente colpevole di tutti i peggiori crimini dell'Umanità; ancora una volta sono gli iraniani a levare alte grida, oggi per voce del loro vice-presidente. La dimostrazione, questa volta, risiede nel fatto che gli ebrei, diffusori della droga sulla terra, non ne fanno uso personale. Ne parla Fiamma Nirenstein sul Giornale, e giustamente osserva che tali accuse, mosse in un convegno voluto dall'ONU, non hanno sollevato proteste da parte delle nazioni partecipanti.
Il mondo, almeno quello occidentale, si scandalizza, al contrario, per le minacce portate dall'Iran contro la navigazione nello stretto di Hormuz; le petroliere che battono bandiera dei paesi che hanno aderito alle sanzioni rischiano di saltare in aria contro qualche mina, e per tale ragione gli USA aumentano la presenza delle loro navi militari nella zona (Elena Molinari su Avvenire). Daniele Raineri sul Foglio aggiunge che è stata rimessa in funzione anche una pipeline che, raccogliendo il petrolio estratto a nord dello stretto, lo convoglia nel porto dell'emirato di Fujairah, eliminando in tal modo la necessità per le petroliere di navigare in quel pericoloso tratto di mare.
Il presidente siriano Assad ha rilasciato una intervista ad un quotidiano turco, ripresa da Repubblica e, in parte, da De Giovannangeli su l'Unità; è sempre importante conoscere le opinioni di tutti, ma è poi opportuno leggere Guido Olimpio che, sul Corriere, spiega come la situazione internazionale impedisca comunque qualsiasi passo avanti verso la normalizzazione. Intanto Maurizio Molinari su La Stampa e Viviana Mazza sul Corriere descrivono le denunce fatte dalla Commissione per i diritti umani dei crimini commessi nelle carceri siriane (ma solo in quelle? ndr). Su tema non molto lontano scrive Pio Pompa sul Foglio facendo una analisi del connubio tra criminalità ed islamismo.
Anche in Libia la situazione appare quanto mai complicata; tra pochi giorni i cittadini saranno chiamati alle urne, come scrive Maurizio Piccirilli sul Tempo, e dovranno scegliere tra partiti filo-occidentali ed altri che sostengono posizioni simili a quelle dei talebani afghani. In Libia può ancora accadere di tutto, e la stessa unità del paese è a rischio.
Una breve su Libero annuncia un prossimo viaggio di Mitt Romney in Israele, a dimostrazione della sua volontà di vedere personalmente una realtà che, al contrario, non ha mai attirato il suo avversario Obama (che appunto non è mai andato in Israele per incontrare Netanyahu); chissà se tale gesto avrà un'influenza determinante sul voto della comunità ebraica statunitense.
Si ritorna a discutere della morte di Arafat, notizia oggi ripresa da radio, TV e quasi tutti i quotidiani in seguito alle analisi chimiche fatte fare da Al Jazeera a Losanna su oggetti appartenuti al fondatore dell'OLP; cito in particolare l'articolo di Davide Frattini che non perde l'occasione per scrivere contro Israele ritornando, sia pure con l'uso del condizionale, alla morte per leucemia, avvenuta nel '78, di Wadi Haddad; in realtà, scrive Frattini, tale decesso sarebbe stato causato da un veleno così sofisticato e lento nell'azione da non poter essere individuato (ma la sua esistenza è comunque certa per l'articolista ndr). Nell'articolo Frattini definisce anche Palestina storica quella compresa tra il Giordano ed il mare, e sorvola sull'80% della Palestina, pure storica, affidata dalla Società delle Nazioni all'Inghilterra, diventata poi Giordania, e pur abitata, in massima parte, proprio da palestinesi (ma a Frattini interessano solo quelli che combatterono ieri con l'OLP di Arafat, ed oggi con Fatah e Hamas, e non i sudditi del regno hascemita).
Ancora odio contro Israele, ed ancora sotto la bandiera dell'ONU, lo si ritrova nella relazione di Richard Falk presso il Consiglio per i diritti umani della quale scrive M.B su Rinascita. E lo stesso odio traspare nella denuncia di Andrea Zambrano sul Giornale da parte di coloro che, nel giorno della donazione fatta da Israele ai terremotati di Mirandola, portata personalmente dal vice-premier Lieberman, hanno dato libero sfogo al loro antisionismo/antisemitismo. Costoro, di sicuro, non parteciperanno al convegno, del quale scrivono il Messaggero e Repubblica, che si apre oggi a Roma, nel quale il direttore del Technion di Haifa potrà illustrare le principali invenzioni fatte da coloro che, dopo aver studiato presso il mitico politecnico, hanno portato così tanto progresso al mondo intero, e quindi anche a chi li vorrebbe annientare. Del tutto diverso il convegno annunciato a Milano al quale parteciperanno tutti i partiti della estrema destra europea (Saverio Ferrari sul manifesto).
Marco Nese sul Corriere, infine, scrive che Walter Veltroni ha sollecitato il presidente Napolitano a far rendere finalmente pubblici i tanti faldoni, sempre tenuti nascosti, che dimostrerebbero le verità di quanto successe durante la guerra, scomode per troppe persone.
l contributo degli Italkim alla costruzione di Israele
di Mario Avagliano
Enzo Sereni
Lo Stato di Israele è stato costruito anche dagli ebrei italiani (gli Italkim), tra cui il partigiano e sionista Enzo Sereni. È il tema della due giorni di studi che si è tenuta la settimana scorsa al Mishkenot Shaananim di Gerusalemme: «L'Italia in Israele: il contributo degli ebrei italiani alla nascita e allo sviluppo dello Stato d'Israele», organizzata dall'ambasciata italiana e da Hevrat Yehudè Italia.
Il convegno ha rappresentato il seguito naturale di quello tenutosi l'anno scorso per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia, in occasione della visita ufficiale del Presidente Giorgio Napolitano in Israele, che aveva puntato lo sguardo sull'affinità ideale tra il sionismo e il Risorgimento italiano.
La comunità degli ebrei italiani in Israele, pur essendo numericamente esigua, ha svolto un ruolo importante. Lo testimonia il volume pubblicato dalla Fondazione Corriere della Sera, intitolato Italia-Israele: gli ultimi 150 anni, presentato nella due giorni, che ha raccontato l'epopea dei primi cento ebrei italiani, per lo più intellettuali, emigrati in Palestina con il sogno del nuovo Stato.
La figura chiave è quella del romano Enzo Sereni, classe 1905, sionista e socialista, che fece aliyah in Palestina (allora sotto il mandato britannico) nel 1927 e fu tra i fondatori del mitico kibbutz di Givat Brenner, dove nacquero la secondogenita Hagar e il terzo figlio Daniel. Nel giugno 1944 Sereni, dopo un periodo di addestramento in Puglia, fu paracadutato nell'Italia del Nord per collaborare con la Resistenza. Catturato, fu rinchiuso a Bolzano e poi trasferito a Dachau, dove in novembre fu ucciso dai tedeschi. Sereni è stato celebrato in Israele con l'emissione di francobolli e l'intitolazione di un kibbutz.
Ma gli «italkim» si distinsero anche nella ricerca scientifica, tecnologica, agricola, nel mondo universitario e in quello artistico e musicale. Un'altra storia emozionante è quella del triestino Martino Godelli, pioniere del sionismo socialista italiano, sopravvissuto ad Auschwitz e immigrato in seguito nel kibbutz Netzer Sereni, di cui è stata proiettata una lunga intervista realizzata dal corrispondente Rai Claudio Pagliara. La vicenda più incredibile è però quella del gruppo di circa settanta abitanti del paesino della provincia di Foggia, San Nicandro Garganico, guidato dal bracciante Donato Manduzio, che nel 1930 abbracciò l'ebraismo, resistette alle leggi razziste e, dopo la liberazione, tra il 1948 e il 1950 decise d'emigrare in Israele, alla quale è stato dedicato il film San Nicandro, Sefat. Il viaggio di Eti, del regista Vincenzo Condorelli. I loro discendenti vivono tuttora con le loro famiglie in Israele.
Yitzhak Shamir ha influenzato direttamente la mia vita. E' accaduto in un giorno d'estate, nel suo ufficio di Primo Ministro. Come giornalista ho incontrato quel piccolo fortissimo statista dalla grande testa bianca diverse volte: subito si intuiva la sua determinazione dal suo modo di parlare, un ebraico con quell'accento slavo evocativo di cieli altissimi, di aspirazioni sioniste e sociali formidabili, che mi ricordava mio padre. Era un uomo diretto e cauto, non dimenticava mai che i polacchi da cui suo padre aveva cercato rifugio dai nazisti lo avevano invece ucciso. Aveva combattuto gli inglesi nel Lehi con una fortissima determinazione a fondare lo Stato d'Israele come indispensabile spiaggia della vita stessa del popolo ebraico, e questo era il suo atteggiamento generale. Il suo essere tutto d'un pezzo non gli impediva di essere abile in politica fino a raggiungerne il livello più alto, e di aver forgiato un'alleanza con Shimon Peres che salvò il Paese dal disastro economico.
Finita l'intervista, quel giorno, messo da parte il blocco e la penna, restammo un momento seduti l'uno di fronte all'altro su due sedie. Cominciai a salutare e ringraziare, ma Shamir allora mi bloccò con un gesto drammatico. Si prese la testa fra le mani, piegando il busto in avanti sulle ginocchia e rialzandosi di scatto mi disse aggrottando le sue famose sopracciglia a cespuglio: "Adesso mi deve rispondere lei, signorina, mi dica, la prego, mi dica come è possibile che il popolo italiano che ha avuto Michelangelo, Leonardo, Dante Alighieri, Boccaccio, Torquato Tasso" e qui seguitò per un po' a sciorinare nomi di grandi italiani "abbia simpatia, anzi, a volte persino ami un individuo come Yasser Arafat, un ignorante che vuole solo distruggere e distruggere, che si esprime per formule, che mente sognando solo di buttare gli ebrei in mare".
Là per là non seppi rispondere quasi niente. Sorrisi stupidamente, cercai di spiegare la cultura cattolica e di sinistra, Andreotti, le scelte italiane filoarabe... Poi, dopo essermene andata, cominciai a chiedermi: "Già, perché?". Persino io non avevo mai riflettuto a fondo sulla personalità di quel terrorista e di come aveva influenzato il movimento palestinese. E cominciai a interrogarmi su quel perché. E me lo chiedo oggi, e penso che il perché non riguarda solo noi quando ricordo che la clausola fondamentale del processo di pace voluto da Rabin fu appunto fare rientrare Arafat da Tunisi. Ne nacque la Seconda Intifada.
Arte pazza, un super-ventilatore rinfresca Tel Aviv
L'opera e' alta sei metri, e' frutto della fantasia di Tal Tenne-Czaczkes
Il super-ventilatore di Tel Aviv
TEL AVIV - In teoria e' un pezzo d'arte, con tanto di firma. Ma in pratica e' anche un super-ventilatore che funziona davvero e che da oggi allevia un po' la sensazione d'afa ai visitatori di piazza Rabin, nel cuore di Tel Aviv. La cerimonia d'inaugurazione si e' svolta stamattina, sotto la cappa d'una classica giornata estiva di caldo umido, alla presenza del sindaco della citta' israeliana, Ron Huldai.
L'opera e' alta sei metri ed e' dotata di una pala rotante di dimensioni adeguate. E' frutto della fantasia di Tal Tenne-Czaczkese, una artista 'in-stile-buzz': ovvero che esercita la sua creativita' attraverso installazioni animate da rumori e ronzii. Si tratta in effetti di una riproduzione, in colore turchese, del ventilatore 'Star': prodotto industriale di largo consumo che negli anni 1965-80 - in era pre-condizionatore di massa - spopolava nei terrazzi dei condomini israeliani. Tanto da entrare a far parte della memoria collettiva nazionale.
Alimentato da energia solare, il ventilatore gigante della Czaczkes si attiva da solo ogni mezz'ora per due minuti, durante i quali l'elica compie 14 giri. La rinfrescante opera artistica restera' esposta per due mesi.
Cinema: daL Festival Gerusalemme si guarda all'Italia
GERUSALEMME - C'e' molto di Italia - tra Roma e anche Venezia - al Festival internazionale del film di Gerusalemme che comincia il 5 luglio per chiudersi il 14. Non solo l'omaggio ad un 'titano' del cinema come Michelangelo Antonioni in occasione del centenario della sua nascita, ma anche il Gala' di apertura con il film di Woody Allen 'To Rome With Love'. A rafforzare il legame con l'Italia proprio in questi giorni la direzione del Festival - considerato il piu' importante di Israele - ha annunciato che i due film israeliani 'The Cutoff Man' di Idan Hubel e 'Fill the void' di Rama Burstein sono stati tolti dalla competizione dai due registi, visto che sono stati scelti per Mostra del cinema di Venezia.
Usa 2012: Romney corteggia il voto ebraico, presto in Israele
Incontrerà Netanyahu e anche Fayyad
NEW YORK - Mitt Romney ha sempre cercato di puntare su una politica estera più filoisraeliana di quella tenuta dall'attuale presidente Barack Obama, oltre ad essere amico di lunga data del premier Benjamin Netanyahu, che conosce dal 1976, quando entrambi lavoravano per una società di consulenza di Boston. Ora il candidato repubblicano alla Casa Bianca - secondo quanto confermato dalla sua stessa campagna elettorale - ha deciso di recarsi entro l'estate in Israele per incontrare Netanyahu, sperando con questa mossa di conquistare una fetta più consistente dell'elettorato ebraico, che tende a votare in massa per i democratici. Romney - riporta il quotidiano New York Times - ha in programma anche un meeting con il primo ministro dell'Autorità Palestinese Salam Fayyad, con il presidente israeliano Shimon Peres, e con l'ambasciatore americano Dan Shapiro. "E' un amico del nostro Paese e saremo lieti di incontrarlo", ha commentato il consulente di "Bibi" Netanyahu, Ron Dermer. Per l'ex Governatore del Massachusetts si tratta della quarta visita in Israele dal 2007, ma è la prima da quando ha ottenuto la nomination repubblicana.
Israele dona a Mirandola quattro strutture mobili per percorso nascita
Lo Stato d'Israele dona a Mirandola quattro casette mobili destinate al percorso nascita, in attesa del ripristino della struttura dell'ospedale. Per l'occasione era oggi a Mirandola il vicepremier e ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, che ha ideato l'iniziativa.
Il vicepremier del Governo israeliano ha incontrato Paola Gazzolo, assessore alla Protezione civile della Regione Emilia-Romagna, a Mirandola in rappresentanza della giunta regionale, alla quale ha consegnato una targa che verrà installata nell'ospedale mirandolese una volta che ne sarà ripristinata l'agibilità.
"E' un onore essere qui e siamo felici di poter contribuire al ritorno alla normalità di queste zone così duramente colpite - ha detto Lieberman -: quando abbiamo saputo del sisma ci siamo subito attivati per far arrivare il nostro aiuto in tempi brevi, così come era successo per l'Aquila. Spero che queste strutture possano contribuire a rendere meno pesante le condizioni delle popolazioni che ne usufruiranno. Come Stato d'Israele continueremo a sostenere azioni simili e a restare vicini alle popolazioni di queste zone".
"Ringrazio lo Stato d'Israele a nome dell'intera giunta della Regione Emilia-Romagna - ha detto Paola Gazzolo -. Il dono che ci avete fatto è ancora più prezioso perché la solidarietà ci dà nuova energia per ripartire. Quindi lo impiegheremo presto e bene, al servizio della gente colpita dal sisma, per le mamme e i nuovi nati che rappresentano il nostro futuro. Vogliamo ricostruire le nostre comunità e vi siamo grati perché la vostra presenza qui a Mirandola riafferma il valore dell'amicizia sui cui si fonda questo orizzonte". All'incontro, che si è tenuto nell'area verde di via Confalonieri a Mirandola, erano presenti anche il sindaco di Mirandola, Maino Benatti, l'assessore regionale alle Attività produtrive, Gian Carlo Muzzarelli, il vicepresidente della Provincia di Modena, Marino Galli e l'assessore provinciale alla Protezione civile, Stefano Vaccari.
Della delegazione israeliana facevano parte anche Naor Gilon (ambasciatore d'Israele in Italia), Walter Arbib (filantropo ebreo residente in Canada, presidente della SkyLink Aviation che ha contribuito generosamente alla donazione), Moody Sandberg (presidente mondiale dell'Associazione ebraica Keren-Hayesod).
Le strutture donate, alle quali si sono aggiunti ulteriori 50mila euro, verranno utilizzate - in accordo con i servizi sociali dell'Unione dei Comuni Area Nord e con il consultorio famigliare - come 'Isola nido' per alcune neomamme ed i loro neonati che, dovendo rientrare nei campi dopo il parto, potrebbero beneficiare per un breve periodo di uno spazio nel quale ricevere il necessario sostegno ostetrico e neonatale in una situazione abitativa più confortevole rispetto alla tenda. Questa soluzione consentirà anche di favorire la gestione dell'allattamento al seno, la medicazione del moncone ombelicale, il bagnetto del neonato e tutte quelle attività che in una realtà come il campo possono divenire estremamente disagevoli.
In accordo con i servizi sociali dell'Unione dei Comuni Area Nord, è stata individuata una area urbanizzata al di fuori del perimetro strettamente 'sanitario' dell'ospedale. Saranno così facilitate le dimissioni delle puerpere dai centri nascita della provincia, le quali potranno fare riferimento alla struttura in caso di dimissione precoce.
La Sinagoga di Trieste festeggia cent'anni. «Casa di preghiera per tutti i popoli»
Per il rabbino di Trieste «la sopravvivenza del tempio è stata la vendetta su nazisti e fascisti» Riconoscimento da parte del sindaco: «La storia della comunità coincide con quella della città».
di Fabio Dorigo
«Quella di oggi è una vendetta sui fascisti e sui nazisti». Rav Itzhak David Margalit, rabbino capo della Comunità ebraica di Trieste, festeggia a suo modo i cent'anni del tempio israelitico di Trieste, 12 tamuz 5772 secondo il calendario ebraico. La doppia cerimonia, anticipata di due ore a causa della finale degli europei di calcio, si è svolta tra il Caffè San Marco e la Sinagoga di via San Francesco. Il tempio israelitico triestino dei fratelli Berlam, il più grande dell'Europa occidentale, è un monumento alla resistenza sopravvissuto agli orrori del Novecento. Con i tedeschi ha rischiato di diventare una piscina coperta. Un cambio di destinazione d'uso non da poco. Così il rabbino, dopo aver definito la sinagoga come «la casa di preghiera per tutti i popoli», si è preso una soddisfazione come era solito fare suo padre. «I miei genitori sopravvissuti all'Olocausto - racconta - hanno messo su una famiglia di sette figli maschi. Tra nipoti e pronipoti siamo oltre 80. E mio padre ogni volta che arrivava un nuovo nato diceva: "Un'altra vendetta sui nazisti". Così ci siamo moltiplicati». A Trieste le cose non sono andate proprio così. «Il 27 gennaio 1912 (la data esatta dell'inaugurazione, ndr) - racconta Alessandro Salonichio, presidente della Comunità ebraica di Trieste - c'erano più di 5mila iscritti». Oggi, invece, si contano poche centinaia. La Comunità, comunque, resiste e cerca un rilancio attraverso una nuova integrazione con la città. Ieri ha avuto il riconoscimento da tutte le istituzioni cittadine accorse alla festa, dal sindaco Roberto Cosolini alla presidente della Provincia, Maria Teresa Bassa Poropat, dal prefetto Alessandro Giacchetti al questore Giuseppe Padulano. Non c'era il vescovo Giampaolo Crepaldi. E l'assenza si è notata. «A Trieste, a differenza di altre città, la storia della comunità ebraica coincide con la storia della città» ha ricordato Cosolini nel saluto in sinagoga. Parole non di circostanza. Forse. All'inizio del suo mandato amministrativo il sindaco ci ha creduto a tal punto da affidare l'assessorato alla Cultura a un esponente diretto della Comunità ebraica. Un'assoluta novità per Trieste che, però, non è durata che sei mesi.
Un unicum come il doppio rito triestino. «Durante la settimana preghiamo secondo il rito sefardita, il sabato e le feste passiamo invece a quello askenazita - racconta Jacov Belleli, assessore al culto -. Cent'anni fa fu un modo per convogliare gli ebrei triestini, di provenienze diverse, nella Sinagoga appena edificata. Oggi questa necessità forse non c'è più. Ma è una nostra peculiarità divenuta una tradizione che riteniamo giusto e doveroso portare avanti». Il doppio rito resta. Alla festa di ieri hanno partecipato Shai Misan di Trieste, Shmuel Barzilai di Vienna, Malach Kaufman di Verona, Ville Lignell di Linz e rav Elia Richetti, presidente dell'Assemblea rabbinica italiana, di Milano. Un parterre internazionale, che ripropone quel crogiuolo che nella storia ha sempre caratterizzato il mondo ebraico triestino.
La giornata si è aperta al Caffè San Marco con la consegna del'inedito premio "Il rosone del Tempio" al Caffè San Marco. Il riconoscimento, istituito quest'anno dalla Fondazione Stock Weinberg per la coesistenza tra i popoli in collaborazione con la Comunità ebraica di Trieste per premiare quanti si prodigano per il progresso e il benessere del popolo ebraico e dell'umanità, è stato assegnato a Angelina Edna Calò Livne, fondatrice del Teatro Arcobaleno attivo in Galilea dove recitano assieme ebrei e arabi, e al triestino Mario Levi che ha introdotto l'agricoltura biologia in Israele. Al San Marco si è anche esibito il coro misto Kol HaTikvah diretto da Marco Podda in una serie di canti popolari e religiosi. Esibizione obbligatoria al Caffè visto che in Sinagoga le donne non possono cantare. Le pari opportunità non entrano nel tempio. Neppure a distanza di cent'anni.
Lech Lechà, a settembre Trani capitale dell'ebraismo
Tutte le anticipazioni sugli eventi. Si svolgeranno in 10 Comuni pugliesi
Come da noi annunciato nei giorni scorsi, dal 2 all'8 settembre (ossia dal 15 al 21 Elul 5772 del calendario ebraico) si terrà a Trani e in altre 9 città pugliesi dal Gargano al Salento (Sannicandro Garganico, Manfredonia, Andria, Barletta, Bari, Brindisi, Oria, Nardò e Lecce) la settimana di arte, cultura e letteratura ebraica denominata "Lech Lechà" (Và verso te stesso).
Lech Lechà è promossa dall'assessorato al mediterraneo della Regione Puglia e organizzata dalla comunità ebraica di Napoli (sotto la cui giurisdizione ricade la Puglia e l'Italia meridionale) con il patrocinio dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Sarà inaugurata domenica 2 settembre in occasione della giornata europea della cultura ebraica 2012.
Lech Lechà si sviluppa in moduli: Reshit (conferenze), Ulpan (corso di lingua ebraica), Sefarim (fiera del libro ebraico), Il canto di Abramo (concerti), Un ebreo a Hollywood (cinematografia ebraica), Le pietre raccontano (Visite guidate ai tesori della Puglia), I sogni di Giuseppe (Seminario sull'interpretazione dei sogni), Chi è rimasto a bottega? (Minchà e Arvit in Sinagoga, 17 Stand librari discografici), Yom ha-Shabbat (Il sabato ebraico), La Notte dell'ebraismo tranese (Suoni, sapori e humour nella Giudecca).
La Settimana include conferenze su economia, politica, giustizia, medicina, Israele e Paesi del bacino mediterraneo, umorismo ebraico nella Torà (presso la Sala Rossa del Castello Svevo di Barletta), grandi figure storiche dell'ebraismo da Shabbetay Donnolo e Achimaaz di Oria a Rabbi Itzhak Malki Zedek di Siponto e Menachem Mendel Schneerson, ebraismo e cristianesimo, ebrei durante l'impero romano, accoglienza dei profughi nello Stato di Israele, scoperta di tesori nascosti e vie di guarigione spirituale che sgorgano dalla Cabbalà e simboli segreti nell'arte di Michelangelo Buonarroti e in Castel del Monte.
Ben 19 conferenze con oltre 40 relatori tra scrittori, magistrati, politici, docenti universitari e giornalisti che parteciperanno alle conferenze tra i quali Daniela Abravanel, Piercamillo Davigo, Claudia De Benedetti, Benedetto Della Vedova, Fabrizio Del Noce, Donatella Di Cesare, Ottavio Di Grazia, Piero Di Nepi, Roy Doliner, David Gerbi, Antonio Laudati, Rav Menachem Lazar, Rav Scialom Bahbout e Rav Amedeo Spagnoletto, Fabrizio Lelli, Moise Levy, Andrea Lovato, Francesco Lucrezi, Francesco Messina, Cecilia Nizza, Claudio Pagliara, Francesco Schittulli, Ugo Villani, Nedim Vlora e altri.
Non si può conoscere l'ebraismo senza conoscere la lingua ebraica; a essa e al suo storico promotore Eliezer Ben Yehuda è dedicata una conferenza mentre ogni mattina da lunedi 3 a venerdi 7 settembre presso la Sinagoga Scolanova di Trani si svolgerà un corso intensivo di lingua ebraica moderna. Saranno gli stessi autori a presentare i loro libri su tematiche ebraiche in ben 9 presentazioni mentre saranno eseguite le affascinanti musiche del Cafè chantant (I musici della Giudecca a Trani), cabaret ebraico scritto nei campi di concentramento di Westerbork, Theresienstadt e Preçu-Riga (a Trani e Andria), musica ebraica sefardita e ashkenazita eseguita dall'Ensemble Shanà Tovà (a Oria, Brindisi e Manfredonia).
Ampio spazio viene riservato al cinema che affronta i capisaldi della storia ebraica come la deportazione ebraica durante la Seconda Guerra Mondiale (Train de vie di Radu Mihaileanu a Sannicandro Garganico), i drammatici, eroici giorni della fondazione dello Stato d'Israele (O' Jerusalem di Elie Chouraqui a Trani), l'alyà degli ebrei etiopi (Vai e vivrai di Radu Mihaileanu a Nardò) e una brillante commedia con uno sguardo al mondo ebraico americano (Tentazioni d'amore di Edward Norton a Brindisi). Ne "Le pietre raccontano" gli ospiti del Lech Lechà potranno visitare alcuni tesori archeologici e museologici del territorio nord barese-ofantino quali Canosa di Puglia e il sito storico di Canne della Battaglia.
"I sogni di Giuseppe", seminario sull'interpretazione dei sogni condotto da David Gerbi, ebbe già notevole successo a Trani nel 2010 durante la giornata europea della cultura ebraica; questa volta viene riproposto in tre giorni a partire da mercoledì 5 settembre presso la biblioteca di Trani.
Lech Lechà è soprattutto una settimana di vita ebraica e la vita dell'ebreo ruota intorno allo Shabbat; perciò non può non concludersi con un sabato ebraico da vivere pienamente a Trani e che sarà introdotto prima del tramonto di venerdì 7 settembre da riflessioni e approfondimenti curati da scrittori e rabbini, prima di immergersi nello Shabbat, nello studio della Torà e nell'assaporare quel cibo che nel settimo giorno acquista odore e sapore della kedushà (santità) del sabato ebraico; al termine dello Shabbat l'evento forse più inedito dell'intera settimana ossia "La Notte dell'ebraismo tranese" che si snoderà attraverso le principali strade della Giudecca e presso i luoghi ebraici più caratteristici di Trani con illustrazioni itineranti di storia ebraica tra Scolanova, Scolagrande e le altre due ex sinagoghe tranesi che per l'occasione saranno illuminate ad arte, lezioni in memoria del Rebbe Menachem Mendel Schneerson, sui mondi segreti della Cabbalà e sull'interpretazione ebraica dei sogni e uno spettacolo all'insegna dell'umorismo in chiave israelita tenuto dall'incontenibile ebreo napoletano Roberto Modiano.
Non ultima, la cucina ebraica preparata secondo le regole della kasherut; sino al termine degli eventi di Lech Lechà, presso il Ristorante Il Marchese del Brillo di Trani (a due passi dalla Sinagoga Scolanova) sarà possibile mangiare e degustare vino kasher e, durante La Notte dell'ebraismo tranese si potrà degustare carne kasher preparata sotto stretta sorveglianza rabbinica.
Il direttore artistico del Lech Lechà è il pianista Francesco Lotoro. Autore della monumentale Enciclopedia discografica della musica concentrazionaria KZ Musik, Lotoro ha condiviso l'organizzazione della settimana ebraica con il rabbino capo di Napoli e Italia meridionale Rav Shalom Bahbout. Venerdi 20 luglio alle ore 11 presso il palazzo della cultura delle scuole ebraiche di Roma si terrà la conferenza stampa nazionale di presentazione del Lech Lechà. Il cartellone sarà presentato dall'assessore al mediterraneo Silvia Godelli, dal rabbino Capo di Napoli Rav Shalom Bahbout e da altri ospiti.
Lech Lechà è un viaggio verso le proprie radici ebraiche che in Puglia tornano a ricrescere dopo cinque secoli di silenzio nel palcoscenico interculturale di Trani, un viaggio dello spirito e della mente attraverso i tesori visibili e nascosti non soltanto dell'ebraismo ma delle altre culture sociali e religiose del bacino mediterraneo; un viaggio verso sud, nello spirito del patriarca Abramo che, uscendo da Ur-Kasdim e arrivato in terra d'Israele continuò il suo viaggio verso sud, verso un mar Mediterraneo culla della cultura occidentale e rebus irrisolto di una coesistenza pacifica con il mondo ebraico.
Il Vice Primo Ministro e Ministro per gli Affari Esteri dello Stato di Israele, Avigdor Lieberman, ha compiuto oggi una visita ufficiale alla Repubblica di San Marino, accogliendo l'invito del Segretario di Stato per gli Affari Esteri, Antonella Mularoni, che aveva a sua volta reso visita al collega israeliano nell'ottobre scorso. Al suo arrivo a San Marino il Ministro Lieberman è stato accolto dal Segretario di Stato Mularoni e si è intrattenuto a cordiale colloquio con la Collega sammarinese.
Sono stati nuovamente riscontrati, nel corso dell'incontro, gli ottimi rapporti bilaterali di amicizia e di collaborazione negli Organismi internazionali e si è ribadita la volontà di intensificare le relazioni in tutti i campi, anche attraverso la stipula di intese di natura economica. Nell'ambito multilaterale il Segretario di Stato Mularoni ha ribadito la volontà sammarinese di dare il massimo contributo per una pacifica soluzione della questione israelo-palestinese, nel rispetto dei valori di cooperazione, di salvaguardia dei diritti umani, di tolleranza e di dialogo fra i popoli che hanno sempre caratterizzato il nostro piccolo Paese.
Successivamente il Ministro Lieberman è stato ricevuto in Udienza dagli Ecc.mi Capitani Reggenti, Maurizio Rattini e Italo Righi che, nel loro saluto, hanno ribadito la volontà sammarinese di cooperazione internazionale nel rispetto dei principi fondamentali della Repubblica e nuovamente sottolineato la sincera amicizia fra i due Paesi e l'opportunità di una sempre maggiore conoscenza reciproca.
Il Ministro Lieberman si è detto lieto ed onorato di poter visitare San Marino ed ha, a sua volta, condiviso la volontà di reciproca cooperazione in ambito internazionale e di approfondimento delle già ottime relazioni bilaterali.
Prima di lasciare San Marino il Ministro Lieberman ha preso parte, assieme ai Capitani Reggenti, sulla Piazza della Libertà, alla cerimonia di piantumazione di un ulivo, donato dallo Stato di Israele, quale simbolo di pace e di fratellanza. L'ulivo troverà la sua definitiva collocazione nell'arboreto didattico di Domagnano.
PRESENTAZIONE DEL MINISTRO LIEBERMAN DA PARTE DEL SEGRETARIO DI STATO MULARONI
Eccellentissimi Capitani Reggenti,
sono particolarmente lieta ed onorata di accogliere il Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri d'Israele, Avigdor Lieberman, oggi in visita ufficiale a San Marino, accompagnato da una delegazione, cui rivolgo il più vivo benvenuto sul Titano e l'augurio di un piacevole, seppur breve, soggiorno.
La visita del Ministro Lieberman fa seguito agli incontri che ho avuto il piacere di sviluppare con il Collega e dai quali è emersa la comune volontà di approfondire l'amicizia e la collaborazione tra i due Paesi, anche attraverso una diretta conoscenza reciproca dell'altro Stato, delle sue istituzioni e del suo popolo.
Inoltre nell'ottobre scorso, accogliendo l'invito rivoltomi dal Ministro Lieberman, mi sono recata in Israele dove ho incontrato le massime Autorità. La visita è stata per me utilissima per entrare a più stretto contatto con un Paese affascinante, molto interessante e per alcuni aspetti unico. Le posso assicurare, Signor Ministro, che non dimenticherò mai le emozioni provate durante la mia visita ufficiale nel Suo Paese.
Signor Ministro,
la Sua presenza oggi a San Marino ci offre l'opportunità di confermare, Suo tramite, alle istituzioni e al popolo israeliani l'attenzione e la vicinanza del Governo sammarinese e il più sincero auspicio di veder al più presto composta la complessa situazione israelo-palestinese, affinché i popoli della regione medio-orientale possano vivere in pace e sicurezza.
A ciò unisco la volontà del mio Paese di proseguire nel cammino della più fervida collaborazione bilaterale, da svilupparsi anche attraverso una serie di iniziative e di scambi che possano sensibilmente rafforzare le nostre relazioni e la nostra amicizia e che ci auguriamo portino anche alla conclusione di intese di natura economica.
Israele vive certamente le ripercussioni di una crisi finanziaria che sta investendo l'economia globale, ma mantiene un alto indice di sviluppo e prosegue in una politica di investimenti strategici che l'hanno caratterizzato negli ultimi decenni, permettendogli di divenire un partner affidabile e competitivo in ambito europeo ed internazionale; ciò grazie ai significativi punti di forza della propria economia, che ha nell'ottimo livello di scolarizzazione, nella ricerca scientifica e nel settore medico, nella green economy e nell'high tech i punti di forza più conosciuti ma che non sono certo gli unici. Israele ha sempre fatto dell'eccellenza la sua carta più importante e da questo punto di vista è un modello per tanti Stati.
Signor Ministro,
sono lieta ed onorata dell'odierna Sua visita a San Marino ed a nome del Governo e mio personale, nel rinnovarLe la volontà di proseguire nell'ottima collaborazione avviata, La prego di gradire sinceri voti augurali di pace, prosperità e benessere per il Suo Governo e per il Suo Paese.
INTERVENTO DEGLI ECC.MI CAPITANI REGGENTI
Signor Ministro,
La Reggenza è particolarmente lieta ed onorata di accoglierLa oggi in visita ufficiale a San Marino e di rivolgere il più vivo benvenuto sul Titano a Lei ed alla delegazione che l'accompagna.
Signor Ministro,
l'averLa oggi ospite della Repubblica è prova degli ottimi rapporti bilaterali, che affondano le radici nella storia e nella cultura dei nostri Paesi.
È infatti sotto l'occhio attento della comunità internazionale e, dunque, anche della Repubblica di San Marino, la complessa vicenda che interessa il Medio Oriente e che coinvolge il Suo Paese e il Suo popolo, nei cui confronti non si può che confidare in una soluzione definitiva e duratura, che possa garantire alle parti coinvolte una pacifica convivenza sulla base del reciproco rispetto.
In questa direzione, la Repubblica ha sostenuto e continuerà a sostenere a viva voce, nelle pertinenti sedi multilaterali, i principi del dialogo e della risoluzione negoziale della questione israelo-palestinese, così come di tutti i conflitti che travagliano le ancora troppo numerose aree di crisi del pianeta.
E' con questo spirito che ci accingeremo fra breve, assieme a Lei, a compiere la significativa cerimonia di piantumazione di un ulivo della Sua terra, quale simbolo di pace che auspichiamo per il nostro e per il Suo Paese, così come per tutti gli Stati del mondo.
Signor Ministro,
I nostri Paesi sono legati da prospettive di crescente collaborazione in differenti ambiti ma sono, soprattutto, Paesi e popoli amici: per questo la Reggenza ribadisce l'auspicio di una sempre più proficua collaborazione in tutti i campi, anche attraverso la stipula di intese bilaterali che possano favorire l'interscambio economico, commerciale, imprenditoriale, turistico e culturale.
Signor Ministro,
Il nostro Paese continuerà a far conoscere, nelle sedi internazionali, la propria identità storica e culturale che ne ha consentito una secolare vita pacifica e democratica, identità riconosciuta, unitamente alle bellezze paesaggistiche e monumentali, dal prestigioso ingresso, che la Repubblica ha ottenuto nel 2008, nella lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO.
Allo stesso modo, Israele è una terra da scoprire e da visitare, per le sue straordinarie bellezze naturali che si innestano su un patrimonio storico e religioso di indiscussa unicità, una terra sempre visitata da molti cittadini sammarinesi, animati anche dal desiderio di vedere i Luoghi Sacri, che richiamano la memoria delle comuni radici cristiane ed alimentano la curiosità di toccare con mano una singolare coesistenza tra etnie, culture e religioni.
Signor Ministro,
in questo spirito di concreta vicinanza al Suo Paese la Reggenza rinnova la propria soddisfazione per questa Sua gradita visita a San Marino e si rende interprete dell'intera cittadinanza sammarinese nel formulare a Lei ed ai Suoi collaboratori, al Governo e al popolo d'Israele i migliori auspici di pace, benessere e prosperità, ribadendo allo stesso tempo i sentimenti della più sincera amicizia.
Una mamma malata di Sla parte per Israele per sottoporsi a un trattamento
Il viaggio della speranza - Barbara Giuggiioloni, la mamma maceratese malata di Sla, si sottoporrà ad un trattamento basato sulle cellule staminali.
E' pronta a partire Barbara Giuggioloni, la 37 enne maceratese che poco più di un anno fa ha scoperto di essere malata di SLA. Barbara inizierà domani (lunedì) il suo viaggio della speranza alla volta di Israele dove sarà sottoposta ad un trattamento basato sulle cellule staminali. La sua storia ha colpito i maceratesi e in molti si sono mobilitati per aiutarla a raccogliere i fondi necessari per sottoporsi al costoso intervento. Barbara è mamma di una bimba di 9 anni e gestiva con il marito una pizzeria che ha dovuto vendere a causa della terribile malattia che l'ha colpita. Nel viaggio ad Israele all' Hadassah Medical Center dove sta andando avanti una sperimentazione basata sulla tecnologia "NurOwn" ripone tutte le sue speranze per una vita. L'intervento è molto costoso, per questo Barbara aveva chiesto il sostegno e la partecipazione economica dei maceratesi che, con generosità e solidarietà, hanno risposto al suo appello.
Quasi un migliaio di persone si sono date appuntamento ieri a Trieste per la grande festa che ha celebrato il centenario della monumentale sinagoga che nel 1912 riunì, in un unico Bet HaKnesseth, gli ebrei della città.
Le celebrazioni si sono aperte, con la consegna del premio "Il rosone del Tempio" al Caffè San Marco, istituito quest'anno dalla Fondazione Stock Weinberg per la coesistenza tra i popoli in collaborazione con la Comunità ebraica di Trieste per premiare quanti si prodigano per il progresso e il benessere del popolo ebraico e dell'umanità. Il riconoscimento è stato assegnato a Edna Calò Livne, fondatrice del progetto Beresheet LaShalom, e a Mario
Levi, triestino che dal '39 vive in Israele dove dove dagli anni Settanta ha introdotto, nel kibbutz Sde Elyahu, l'agricoltura biologica (nell'immagine a fianco). Ad accompagnare il pomeriggio, la bella esibizione del coro coro Kol HaTikvah diretto da Marco Podda.
Poi tutti in sinagoga dove, alla presenza delle istituzioni cittadine, si sono esibiti cinque Hazanim: Shai Misan di Trieste; Shmuel Barzilai di Vienna; Malach Kaufman di Verona; Ville Lignell di Linz e rav Elia Richetti, presidente dell'Assemblea rabbinica italiana, di Milano. Un parterre internazionale che in un'atmosfera di grande suggestione, animata dal racconto teatrale dei cent'anni della sinagoga triestina, ha proposto una selezione di arie tradizionali.
Il Fondo Monetario Internazionale nega a Israele un prestito per l'Anp
GERUSALEMME, 2 lug. - Israele aveva chiesto un prestito di 100 milioni di dollari al Fondo Monetario internazionale da trasferire poi all'Autorita' nazionale Palestinese, (Anp) ma l'Fmi ha respinto la richiesta. Lo rivela oggi il sito del quotidiano Haaretz.
Tutto e' iniziato a meta' aprile quando il primo ministro dell'Anp Salam Fayyad ha incontrato a Washington il governatore della Banca d'Israele Stanley Fischer a margine della conferenza annuale dell'Fmi. Fayyad ha spiegato come la crisi dell'eurozona abbia ridotto gli aiuti europei all'Anp, senza che gli arabi siano intervenuti per aumentare il loro contributo. Da qui una grave mancanza di liquidita', che provoca ritardi nel pagamento dei salari dei dipendenti in pubblici, compresi quelli per la sicurezza.
Fayyad ha chiesto cosi' aiuto ad Israele per ottenere un prestito ponte di 100 milioni di dollari, che l'Anp non puo' chiedere direttamente all'Fmi non essendo uno stato. Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha approvato, convinto che un collasso finanziario dell'Anp rappresenti un rischio per Israele. L'intesa era che Israele avrebbe trasferito la somma all'Anp. Il denaro sarebbe stato poi restituito a Israele che l'avrebbe versato all'Fmi. Ma il Fondo non ha dato via libera all'operazione, per non autorizzare un prestito senza precedenti ad uno stato a nome di una entita' non statale. Fischer e Fayyad stanno cercando ora un'altra soluzione. I due si conoscono molto bene fin da quando lavoravano assieme all'Fmi e Fayyad ha sostenuto pubblicamente la candidatura di Fischer come direttore del Fondo dopo le dimissioni di Dominique Strauss Kahn.
Approvata in Israele una legge per la promozione della concorrenza
La commissione ministeriale per gli affari legislativi ha approvato con 7 voti a favore, 3 contrari e 2 astensioni, il disegno di legge per la promozione della concorrenza e la riduzione della centralizzazione nel paese. Il disegno di legge, considerato rivoluzionario per il suo contenuto, dovrebbe portare alla riduzione della concentrazione dell'economia israeliana, aumentando la concorrenza e favorendo lo sviluppo economico del paese con una prevedibile riduzione dei prezzi e dei costi per i cittadini israeliani. L'entrata in vigore della legge dovrebbe favorire inoltre l'entrata in scena di diversi player esteri, attualmente assenti dal mercato.
Si ritiene che entro sei anni dall'applicazione della legge l'attuale struttura economica, di forma piramidale e caratterizzata da forti concentrazioni economiche, verrà completamente modificata.
La prevenzione della centralizzazione sara' adottata anche nei processi di privatizzazione di aziende pubbliche o beni dello Stato in modo da minimizzare e prevenire,appunto, conflitti d'interessi.
Il Ministro delle Finanze Dr. Yuval Steinitz, ha dichiarato che questa è una mossa storica, che riforma in maniera complessiva la struttura dell'economia israeliana.
Ma il Ministro Steinitz ha firmato un'ordinanza, entrata in vigore all'inizio del mese, relativa alle agevolazioni fiscali denominate tassazione verde per l'acquisto di veicoli ibridi ed elettrici. L'obiettivo di questa politica e' quello di allargare naturalmente la penetrazione sul mercato di questi veicoli e raggiungere il target governativo che per il 2016 prevede una riduzione dell'inquinamento atmosferico,
causato da veicoli a benzina, del 50% .
Secondo la nuova ordinanza, l'aliquota fiscale relativa all'acquisto di veicoli elettrici sarà ridotta dal 10% all' 8% nel 2012-2013, mentre l'aliquota fiscale per l'acquisto di veicoli ibridi sara' del 30% nel 2013, rispetto all'aumento precedentemente programmato che doveva raggiungere il 45%.
L'obiettivo della politica fiscale verde è quello di arrivare nel prossimo futuro ad una situazione nella quale, i benefici fiscali saranno concessi esclusivamente sulla base delle caratteristiche di inquinamento del veicolo. (ICE TEL AVIV)
Consegnata dall'ambasciatore Amos Radian per conto dello Yad Vashem, nella sala polivalente del comune di Roncobello (Bergamo), l'onoreficenza di Giusti tra le Nazioni ai figli del podestà Isacco Milesi in ricordo del ruolo decisivo avuto dal padre e da sua moglie Teresa Ester nel salvataggio di alcune famiglie ebraiche (gli Israilovici di Milano, due sorelle jugoslave e un nucleo familiare di origine austriaca) durante le persecuzioni nazifasciste. Commovente e molto intensa la cerimonia, durante la quale sono stati ricordati i meriti di tutta la cittadinanza nell'opera di nascondimento e nel successivo muro di silenzio eretto contro gli aguzzini. "I figli di Milesi - ha affermato Isacco Israilovici, il più giovane tra i salvati, appena due anni all'epoca - sono stati così modesti e così nobili da consegnare l'onoreficenza a tutto il paese di Roncobello. Un gesto motivato dal fatto che senza l'aiuto e il silenzio di tutti i concittadini questa azione di coraggio non sarebbe stata possibile". Era stato proprio Israilovici il primo ad attivarsi per arrivare a questo riconoscimento. "Ho cercato la famiglia Milesi una prima volta nel 1992 - racconta commosso - ma ci dissero che qui, a Roncobello, non c'era più nessuno. Poi mi dissi assieme a mia moglie che li avrei trovati a tutti i costi". Una missione finalmente portata a termine. Con Isacco Milesi sono adesso dieci i cittadini bergamaschi iscritti nel registro dei Giusti italiani dello Yad Vashem.
Libertà religiosa: allarme per la situazione tedesca
Negli scorsi giorni il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha inviato il seguente messaggio ai vertici dell'ebraismo tedesco:
"Caro Presidente Graumann, cari amici del Zentralrat der Juden in Deutschland, desidero esprimere a nome di tutto il Consiglio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane i nostri sentimenti di solidarietà e preoccupazione per il recente, grave pronunciamento della magistratura di Colonia che, giudicando il caso di un bambino musulmano tedesco cui è stata praticata una circoncisione, sembra colpire la libertà religiosa e la millenaria pratica posta alla base della nostra identità. L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane approva il vostro preciso e circostanziato intervento a difesa della libertà religiosa e la decisione di investire direttamente il Parlamento tedesco della questione al fine di impedire che possano essere violati principi praticati in tutte le democrazie progredite e che stanno alla base della convivenza fra i popoli".
Il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni e il rabbino capo di Padova e membro della consulta rabbinica italiana rav Adolfo Locci sono stati ricevuti nel pomeriggio di venerdì 29 giugno all'ambasciata tedesca della Capitale. L'incontro è stato richiesto con urgenza dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e poiché l'ambasciatore era fuori città a riceverli è stato il suo vice F. Dauble. A nome dell'UCEI i due rabbanim hanno espresso la loro preoccupazione in merito al pronunciamento contro la pratica della circoncisione espresso da un tribunale di Colonia. Il diplomatico ha tradotto loro una dichiarazione ufficiale del ministro degli Esteri tedesco apparsa oggi sulla stampa tedesca e un'altra dichiarazione del ministro della Giustizia. "Dauble - ha affermato rav Di Segni - ci ha spiegato che questo problema può essere risolto soltanto con una legge e che l'auspicio del governo è quello di lavorare in questa direzione."
Mario Balotelli protagonista sulla stampa israeliana. Nel giorno della finale di Euro 2012 tra Spagna e Italia, i giornali si soffermano in particolare sulle origini ebraiche della madre adottiva dell'attaccante azzurro. «È uno dei nostri» scrive con tono trionfale il tabloid Yediot Ahronot in prima pagina e nella copertina del proprio supplemento.
Nei servizi si presenta ai lettori la madre adottiva, descrivendola come la «Yiddishe-Mame di Super Mario»: con questo termine si indica un carattere oltremodo premuroso e protettivo tipico appunto - almeno nella letteratura yiddish degli ebrei dell'Europa orientale - delle madri ebree.
Nei servizi viene riferito della commozione generale provata dai giocatori della squadra azzurra durante la visita ai campi di sterminio nazisti di Auschwitz-Birkenau (Polonia) e della eco seguita alla diffusione della notizie relative al retaggio ebraico della famiglia adottiva di Balotelli. I giornali precisano che questi è stato di conseguenza preso ulteriormente di mira da un sito web xenofobo che gli ha consigliato di «andare a giocare nella nazionale israeliana».
Yediot Ahronot aggiunge che la sorella di Balotelli, Cristina, ha seguito di recente un corso accademico nell' Istituto interdisciplinare di Herzlya, a nord di Tel Aviv, e che la sua famiglia ha in Israele alcuni parenti «i quali si sono impegnati a tifare Italia». «Insomma - conclude il giornale - è uno dei nostri».