Tremila anni fa, il re Davide regnò su lo Stato ebraico nella nostra capitale eterna, Gerusalemme. Lo dico a tutti coloro che proclamano che lo Stato ebraico non ha radici nella nostra regione e che sparirà presto. Nel corso della nostra storia, il popolo ebraico ha superato tutti i tiranni che hanno cercato la nostra distruzione. E le loro ideologie sono state rifiutate dalla storia. Il popolo di Israele vive. Noi diciamo in ebraico Am Yisrael Chai, e lo Stato ebraico vivrà per sempre.
Il popolo ebraico ha vissuto nella terra di Israele, per migliaia di anni. Anche dopo che la maggior parte del nostro popolo fu esiliato da esso, gli ebrei hanno continuato a vivere nella terra di Israele nel corso dei secoli. Le masse del nostro popolo non hanno mai rinunciato al sogno di tornare alla nostra antica patria.
Sfidando le leggi della storia, abbiamo fatto proprio questo. Abbiamo raccolto gli esuli, restaurato la nostra indipendenza e ricostruito la nostra vita nazionale. Il popolo ebraico è tornato a casa. Non saremo mai sradicati di nuovo.
Ieri era Yom Kippur, il giorno più sacro dell'anno ebraico. Ogni anno, da oltre tre millenni, ci riuniamo in questo giorno di riflessione e di espiazione. Facciamo il bilancio del nostro passato. Preghiamo per il nostro futuro. Ricordiamo i dolori della nostra persecuzione, ricordiamo i travagli grandi della nostra dispersione; piangiamo lo sterminio di un terzo del nostro popolo, sei milioni, durante la Shoah. Ma alla fine dello Yom Kippur, festeggiamo. Festeggiamo la rinascita di Israele. Celebriamo l'eroismo dei nostri giovani, uomini e donne, che hanno difeso la nostra gente con il coraggio indomito di Giosuè, Davide, e i Maccabei di un tempo. Celebriamo la meraviglia del fiorente Stato moderno ebraico.
In Israele, camminiamo sulle stesse strade percorse dai nostri patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma tracciamo vie nuove nel campo della scienza, della tecnologia, della medicina, dell'agricoltura. In Israele, il passato e il futuro trovano un terreno comune. Purtroppo, questo non è il caso in molti altri paesi. Oggi una grande battaglia è in atto tra il moderno e il medievale. Le forze della modernità cercano un futuro luminoso in cui siano tutelati i diritti di tutti, in cui una continua espansione delle informazioni digitali sia disponibile nel palmo di ogni bambino, in cui ogni vita sia sacra.
Le forze di medievalismo cercano un mondo nel quale siano sottomesse le donne e le minoranze, in cui la conoscenza sia soppressa, in cui non la vita, ma la morte sia glorificata.
Queste forze si scontrano in tutto il mondo, ma in nessun luogo più crudamente che in Medio Oriente. Israele si erge con la forza della modernità. Proteggiamo i diritti di tutti i cittadini: uomini e donne, ebrei e arabi, musulmani e cristiani - tutti sono uguali davanti alla legge.
Israele lavora anche per rendere il mondo un posto migliore: i nostri scienziati vincono premi Nobel. Il nostro know-how è in ogni telefono cellulare e in ogni computer utilizzato. Preveniamo la fame (insegnando) a irrigare le terre aride in Africa e in Asia. Recentemente, sono stato profondamente commosso quando ho visitato il Technion, uno dei nostri istituti tecnologici a Haifa, e ho visto un uomo paralizzato dalla vita in giù salire una rampa di scale, abbastanza facilmente, con l'aiuto di un'invenzione israeliana. E la creatività eccezionale di Israele si sposa con la compassione notevole del nostro popolo. Quando il disastro colpisce in tutto il mondo - ad Haiti, Giappone, India, Turchia, Indonesia e altrove - i medici israeliani sono tra i primi sul posto, eseguendo interventi chirurgici salva-vita.
L'anno scorso, ho perso mio padre e mio suocero. Negli stessi reparti ospedalieri nei quali sono stati trattati, i medici israeliani stavano trattando arabi palestinesi. Infatti, ogni anno, migliaia di arabi dai territori palestinesi e da tutto il Medio Oriente vengono in Israele per essere curati in ospedali israeliani da medici israeliani.
So che non lo sentirete urlare dagli altoparlanti intorno a questo podio, ma questa è la verità. E' importante che siate consapevoli di questa verità. È perché Israele nutre la vita, che Israele nutre la pace e cerca la pace. Noi cerchiamo di mantenere i nostri legami storici e i nostre storici trattati di pace con Egitto e Giordania. Cerchiamo di creare una pace duratura con i palestinesi. Il Presidente Abbas ha appena parlato qui.
Io dico a lui e io vi dico: Non risolveremo il nostro conflitto con i discorsi diffamatori alle Nazioni Unite. Non è questo il modo per risolverlo. Non risolveremo il nostro conflitto con le dichiarazioni unilaterali di statualità. Dobbiamo stare insieme, negoziare insieme e raggiungere un compromesso reciproco, in cui uno stato palestinese smilitarizzato riconosca il solo e unico Stato ebraico.
Israele vuole vedere un Medio Oriente di progresso e di pace. Vogliamo vedere le tre grandi religioni che sono nate nella nostra regione - Ebraismo, Cristianesimo e Islam - coesistere in pace e nel rispetto reciproco. Eppure le forze medievali dell'Islam radicale, che avete appena visto all'assalto delle ambasciate americane in tutto il Medio Oriente, vi si oppongono. Essi cercano la supremazia su tutti i musulmani. Sono intenzionati a conquistare il mondo. Vogliono distruggere Israele, l' Europa, l' America. Vogliono spegnere la libertà. Vogliono la fine del mondo moderno. L'Islam militante ha molti rami - dai governanti dell'Iran con i loro guardiani della rivoluzione, ai terroristi di Al Qaeda, alle cellule radicali in agguato in ogni parte del globo. Ma nonostante le loro differenze, sono tutti radicati nello stesso terreno amaro dell' intolleranza. Intolleranza diretta prima di tutto contro i loro fratelli musulmani, e poi contro i cristiani, ebrei,I buddisti, indù, non credenti, tutti coloro che non si sottomettono al loro credo non sono perdonati.
Vogliono trascinare l'umanità alla un'epoca di indiscutibile dogma e inesorabile conflitto.
Sono sicuro di una cosa. Alla fine verranno a mancare. In ultima analisi, la luce penetra le tenebre. Abbiamo visto già questo accadere prima. Circa cinquecento anni fa, la stampa ha contribuito a sollevare l'Europa dalla clausura di un periodo oscuro. Alla fine, l'ignoranza ha lasciato il posto all'illuminismo.
Allo stesso modo, la chiusura in Medio Oriente alla fine cederà al potere irresistibile della libertà e della tecnologia. Quando questo accadrà, la nostra regione sarà guidata non dal fanatismo e dalla cospirazione, ma dalla ragione e dalla curiosità. Credo che la domanda in questione sia questa: non è tempo che questo fanatismo sia sconfitto? E quante vite saranno perse prima che sia sconfitto? Abbiamo già visto questo.
Circa 70 anni fa, il mondo ha visto un' altra ideologia fanatica alla conquista del mondo. E' andata in fiamme. Ma prima ci sono voluti milioni di persone morte. Coloro che si opponevano al fanatismo hanno aspettato troppo a lungo per agire. Alla fine hanno trionfato, ma a un costo terribile. Amici miei, non possiamo permettere che accada di nuovo. La posta in gioco non è solo il futuro del mio paese. La posta in gioco è il futuro del mondo. Niente puo' porre in pericolo il nostro futuro comune più dell'armamento nucleare dell' Iran. Per capire ciò che il mondo sarebbe con un Iran dotato di nucleare, basta solo immaginare il mondo con un armamento nucleare di Al-Qaeda. Non fa differenza se queste armi letali sono nelle mani del regime terrorista più pericoloso del mondo o della più pericolosa organizzazione terroristica del mondo. Sono entrambi mossi dallo stesso odio: sono entrambi mossi dallo stesso desiderio di violenza.
Basta guardare a ciò che il regime iraniano ha fatto fino ad oggi, senza armi nucleari.
Nel 2009, hanno brutalmente represso le proteste di massa che chiedevano la democrazia nel loro paese. Oggi, i loro scagnozzi stanno partecipando al massacro di decine di migliaia di civili siriani, tra cui migliaia di bambini, partecipando direttamente a questo omicidio. Hanno incoraggiato l'uccisione di soldati americani in Iraq e continuano a farlo in Afghanistan. Prima di allora, i mandatari iraniani hanno ucciso centinaia di soldati americani a Beirut e in Arabia Saudita. Hanno trasformato il Libano e Gaza in roccaforti del terrore, incorporando quasi 100.000 missili e razzi in aree civili. Migliaia di questi razzi e missili sono già stati sparati contro le comunità israeliane dai loro delegati terroristi. Nell'ultimo anno, hanno diffuso le loro reti terroristiche internazionali in due dozzine di paesi nei cinque continenti - dall'India e dalla Thailandia al Kenya e la Bulgaria. Hanno anche complottato per far saltare in aria un ristorante a pochi isolati dalla Casa Bianca per uccidere un diplomatico.
E, naturalmente, i governanti iraniani ripetutamente negano la Shoah e invitano alla distruzione di Israele quasi ogni giorno, come hanno fatto anche questa settimana dalle Nazioni Unite. Quindi vi chiedo, dato il record di aggressione iraniana senza armi nucleari, figuriamoci l'aggressione iraniana con armi nucleari. Immaginiamo i loro missili a lungo raggio con testate nucleari, le loro reti del terrore armate di bombe atomiche. Chi di voi si sentirebbe al sicuro in Medio Oriente? Chi sarebbe al sicuro in Europa? Chi sarebbe al sicuro in America? Chi sarebbe al sicuro da qualsiasi parte? Ci sono quelli che credono che un Iran dotato di nucleare possa essere dissuaso come l'Unione Sovietica. Questo è un presupposto molto pericoloso. I Jihadisti militanti si comportano in modo molto diverso dai marxisti secolari. Non c'erano kamikaze sovietici. Eppure l'Iran ne produce orde.
La deterrenza ha funzionato con i sovietici, perché ogni volta che i sovietici dovettero scegliere tra la loro ideologia e la loro sopravvivenza, scelsero la loro sopravvivenza.
Ma la deterrenza non può funzionare con gli iraniani una volta ottenute le armi nucleari. C'è un grande studioso del Medio Oriente, il Prof. Bernard Lewis, che lo ha meglio esposto. Ha detto che per gli ayatollah dell'Iran, la distruzione reciproca assicurata non è un deterrente, è un incentivo. I leader iraniani apocalittici credono che un uomo sacro medievale riapparirà sulla scia di una devastante guerra santa, in modo da garantire che il loro marchio di Islam radicale giudicherà la terra. Questo non è solo ciò in cui credono. Questo è ciò che in realtà guida le loro politiche e le loro azioni. Basta ascoltare l'ayatollah Rafsanjani che ha detto, cito: "L'uso di una sola bomba nucleare all'interno di Israele distruggerebbe tutto, però danneggerebbe solo il mondo islamico".
Rafsanjani ha detto: "Non è irrazionale contemplare una simile eventualità." Non è irrazionale ... E proviene da uno dei cosiddetti moderati dell'Iran. Incredibilmente, alcune persone hanno cominciato a spacciare l'idea assurda che un Iran con armi nucleari sarebbe in realtà stabilizzante per il Medio Oriente. Sì, come no ... E' come dire un armamento nucleare di Al-Qaeda potrebbe inaugurare un'era di pace universale.
Signore e Signori,
Sto parlando della necessità di impedire all'Iran di sviluppare armi nucleari da oltre 15 anni. Ne ho parlato nel mio primo mandato come Primo Ministro, e poi ne ho parlato quando ho lasciato l'incarico. Ne ho parlato quando era di moda, e ne ho parlato quando non era di moda. Ne parlo ora perché l'ora è tarda, molto tarda. Ne parlo ora perché il calendario nucleare iraniano non ha più tempo per qualcuno o per qualcosa. Ne parlo ora perché quando si tratta della sopravvivenza del mio paese, non è solo il mio diritto di parlare: è mio dovere. E credo che questo sia il dovere di ogni dirigente responsabile, che vuole preservare la pace nel mondo.
Per quasi un decennio, la comunità internazionale ha cercato di fermare il programma nucleare iraniano con la diplomazia. Non ha funzionato. L'Iran usa trattative diplomatiche come mezzo per guadagnare tempo per far avanzare il suo programma nucleare. Da oltre sette anni, la comunità internazionale ha imposto sanzioni all'Iran. Sotto la guida del presidente Obama, la comunità internazionale ha applicato alcune delle più forti sanzioni fino ad oggi. Voglio ringraziare i governi rappresentati qui che si sono uniti in questo sforzo. Ha avuto un effetto. Le esportazioni di petrolio sono state frenate e l'economia iraniana è stata colpita duramente. Ha avuto un effetto sull'economia, ma dobbiamo affrontare la verità. Le sanzioni non hanno fermato il programma nucleare iraniano.
Secondo l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, durante l'ultimo anno soltanto, l'Iran ha raddoppiato il numero di centrifughe nel suo impianto nucleare sotterraneo a Qom. In questa ora tarda, c'è solo un modo per evitare che l'Iran ottenga tranquillamente bombe atomiche. E' mettere una chiara linea rossa sul programma di armamento nucleare iraniano. Le linee rosse non portano alla guerra; le linee rosse la prevengono.
Guardiamo alla Carta della NATO: è chiaro che un attacco contro un paese membro sarebbe considerato un attacco a tutti. La linea rossa della NATO ha contribuito a mantenere la pace in Europa per quasi mezzo secolo. Il Presidente Kennedy traccio' una linea rossa durante la crisi dei missili a Cuba. Quella linea rossa ha impedito la guerra e ha contribuito a preservare la pace per decenni. In realtà, è l'incapacità di mettere linee rosse che ha spesso invitato all'aggressione. Se le potenze occidentali avessero disegnato chiare linee rosse nel 1930, credo che avrebbero fermato l'aggressione nazista e la seconda guerra mondiale avrebbe potuto essere evitata.
Nel 1990, se a Saddam Hussein fosse stato chiaramente detto che la sua conquista del Kuwait avrebbe attraversato la linea rossa, la prima guerra del Golfo avrebbe potuto essere evitata. Cancellare linee rosse è lavorare con l'Iran.
All'inizio di quest'anno, l'Iran ha minacciato di chiudere lo Stretto di Hormouz. Gli Stati Uniti hanno tracciato una chiara linea rossa e l'Iran ha fatto marcia indietro. Linee rosse potrebbero essere tracciate su diverse parti del programma di armamento nucleare iraniano. Ma per essere credibile, una linea rossa deve essere tracciata prima di tutto in una parte vitale del loro programma: gli sforzi dell'Iran di arricchire l'uranio. E spiego il perché:
Fondamentalmente, qualsiasi bomba consiste di materiale esplosivo e di un meccanismo per innescarla. L'esempio più semplice è della polvere da sparo e un fusibile. Cioè, accendete la miccia e attivate la polvere da sparo. Nel caso dei piani dell'Iran per la costruzione di un'arma nucleare, la polvere da sparo è l'uranio arricchito. Il fusibile è un detonatore nucleare. Per un paese come l'Iran, ci vogliono molti, molti anni per arricchire l'uranio per una bomba. Ciò richiede migliaia di centrifughe spinning in tandem in impianti industriali molto grandi. Tali impianti iraniani sono visibili e sono ancora vulnerabili. Al contrario, l'Iran potrebbe produrre il detonatore nucleare - il fusibile - in molto meno tempo, forse meno di un anno, forse solo pochi mesi. Il detonatore può essere fatto in un piccolo laboratorio delle dimensioni di una classe. Può essere molto difficile da trovare e colpire tale laboratorio, specialmente in Iran. Un paese che è più grande di Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna messe insieme. Lo stesso vale per il piccolo impianto in cui potrebbero assemblare una testata o un dispositivo nucleare che potrebbe essere collocato in un container di una nave. È probabile che non poterlo trovare mai.
Quindi, in realtà l'unico modo con il quale sii può credibilmente impedire all'Iran di sviluppare un'arma nucleare, è quello di impedire all'Iran di accumulare abbastanza uranio arricchito per una bomba. Quindi, che quantità di uranio arricchito è necessario per una bomba? E quant'è vicino l'Iran ad ottenerlo?
Lasciate che vi mostri. Ho portato uno schema per voi. Ecco il diagramma.
Questa è una bomba, questo è un fusibile. Nel caso di piani nucleari iraniani per costruire una bomba, questa bomba deve essere riempita con abbastanza uranio arricchito. E l'Iran deve passare attraverso tre fasi. La prima fase: devono arricchire abbastanza uranio a basso arricchimento. La seconda fase: devono arricchire abbastanza uranio arricchito mediamente. E la terza e ultima tappa: devono arricchire abbastanza uranio altamente arricchito per la prima bomba. A che punto è l'Iran? L'Iran ha completato la prima fase. Ci sono voluti molti anni, ma hanno completato e sono al 70% della strada. Ora sono nel secondo stadio. Per la prossima primavera, al massimo entro la prossima estate alla velocità corrente di arricchimento, avranno terminato l'arricchimento medio e passaranno alla fase finale. Da lì, sarano solo un paio di mesi, forse un paio di settimane prima di ottenere abbastanza uranio arricchito per la prima bomba.
Signore e Signori,
Che cosa vi ho detto ora non si basa su informazioni segrete. Non su servizi segreti militari. Si basa su relazioni pubbliche da parte dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Chiunque può leggerli. Sono on-line. Quindi, se questi sono i fatti, e lo sono, da dove tracciare la linea rossa? La linea rossa deve essere redatta proprio qui ...Prima che l'Iran completi la seconda fase di arricchimento nucleare necessario per costruire una bomba. Prima che l'Iran arrivi a un punto in cui si tratterà di un paio di mesi o di un paio di settimane di distanza dall' accumulare abbastanza uranio arricchito per costruire un'arma nucleare. Ogni giorno, quel momento si avvicina. Ecco perché parlo oggi con un senso di urgenza. Ed è per questo che tutti dovrebbero averlo. Alcuni di coloro che sostengono che anche se l'Iran completasse il processo di arricchimento, anche se attraversasse quella linea rossa che ho appena disegnato, i nostri servizi segreti saprebbero quando e dove l'Iran farà il fusibile, assemblerà la bomba, e preparerà la testata. Guardate, nessuno apprezza le nostre agenzie di intelligence più del primo ministro di Israele. Queste importanti agenzie di intelligence sono eccezionali, compresa la nostra. Hanno sventato molti attacchi. Hanno salvato molte vite. Ma non sono infallibili. Per più di due anni, i nostri servizi segreti non hanno saputo che l'Iran stava costruendo un grande impianto di arricchimento nucleare sotto una montagna. Vogliamo rischiare la sicurezza del mondo, partendo dal presupposto che troveremmo in tempo un piccolo laboratorio in un paese grande la metà dell' Europa?
Signore e Signori,
La questione rilevante non è se l'Iran avrà la bomba. La domanda in questione è in quale fase si può più impedire all'Iran di ottenere la bomba. La linea rossa deve essere disegnata sul programma di arricchimento nucleare iraniano perché questi impianti sono gli unici impianti nucleari che si possano sicuramente vedere e mirare. Io credo che di fronte a una chiara linea rossa, l'Iran tornerebbe indietro. Questo darà più tempo alle sanzioni e alla diplomazia per convincere l'Iran a smantellare del tutto il suo programma di armi nucleari. Due giorni fa, da questo podio, il presidente Obama ha ribadito che la minaccia di un Iran dotato di nucleare non può essere contenuta. Apprezzo molto la posizione del presidente come tutti nel mio paese. Condividiamo l'obiettivo di fermare il programma di armamento nucleare iraniano. Questo obiettivo unisce il popolo di Israele. Esso unisce gli americani, democratici e repubblicani, ed è condiviso da importanti leader di tutto il mondo. Quello che ho detto oggi contribuirà a garantire che questo obiettivo comune sia raggiunto.
Israele è in trattative con gli Stati Uniti per questo problema, e sono fiducioso che si possa tracciare un percorso in avanti insieme.
Signore e Signori,
Lo scontro tra modernità e medioevo non deve essere uno scontro tra progresso e tradizione. Le tradizioni del popolo ebraico risalgono a migliaia di anni. Essi sono la fonte dei nostri valori collettivi e il fondamento della nostra forza nazionale. Allo stesso tempo, il popolo ebraico ha sempre guardato verso il futuro. Nel corso della storia, siamo stati in prima linea negli sforzi per espandere la libertà, promuovere la parità, e far avanzare i diritti umani. Sosteniamo questi principi non malgrado le nostre tradizioni, ma grazie a loro. Abbiamo ascoltato le parole dei profeti ebraici Isaia, Amos, Geremia di trattare tutti con dignità e compassione, di perseguire la giustizia e di amare la vita e pregare e lottare per la pace. Questi sono i valori senza tempo del mio popolo e sono il più grande dono del popolo ebraico all'umanità. Cerchiamo di impegnarci oggi per difendere questi valori in modo da poter difendere la nostra libertà e proteggere la nostra comune civiltà.
Grazie.
(Viva Israele, 30 settembre 2012 - trad. "Sionismo istruzioni per l'uso")
Le autorita' smentiscono. Il paese sarebbe una base ideale per i rifornimenti
BAKU, 30 set - L'Azerbaijan del presidente Ilham Aliyev potrebbe dare il suo sostegno logistico a Israele per un eventuale attacco contro gli impianti nucleari iraniani. Lo hanno rivelato fonti militari "bene informate" a Baku e Mosca.
I rapporti tra Israele e l'Azerbaijan musulmano e ricco di petrolio sono molto buoni, incentrati su un megaordine da 1,6 miliardi di dollari per i droni spia israeliani e l'interesse dello Stato ebraico per il petrolio del Mar Caspio.
Nella modesta dimora di Ben-Gurion, fondatore e primo ministro dello Stato di Israele dal 1948 al 1954, l'unica immagine appesa alle pareti era una fotografia di Mahatma Gandhi, proverbiale leader dell'indipendenza indiana che sostituì la lotta armata con la protesta non violenta.
FAME DI TECNOLOGIE. Ironia della storia, mezzo secolo dopo il legame più forte tra Israele e India è diventato il commercio di tecnologie militari: un armamentario bellico del valore di 10 miliardi di dollari acquistato, almeno secondo i resoconti dettagliati degli istituti di ricerca internazionali e le inchieste della stampa indiana, negli ultimi 10 anni da New Delhi.
Per il piccolo Stato mediorientale il business è decisamente redditizio. Nel 2012, l'India si è posizionata al primo posto al mondo tra gli acquirenti di armi, con una spesa per la difesa del Paese pari a 13 miliardi di dollari in soli quattro anni. Dal 2002 al 2012, poi, l'importazione di armi è aumentata del 66%.
Alle consuetudine di svolgere operazioni militari sul versante pachistano e impiegare l'arsenale bellico per neutralizzare gli allarmi interni della lotta maoista e del terrorismo islamico, nell'ultimo decennio per Nuova Delhi si è aggiunta la paura del vicino cinese: la potenza militarmente più equipaggiata al mondo, almeno fino al 2011.
- La Russia è il primo venditore. Ma presto avverrà il sorpasso
Per lo Stockholm international peace research institute, sono queste le cause della zelante e dispendiosa corsa indiana a una difesa strategicamente e numericamente proporzionale alle minacce avvertite all'interno e all'esterno dei suoi confini.
Sin dai tempi del conflitto sino-indiano del 1962, l'India ha trovato in Israele un alleato presente e particolarmente affidabile nel campo dell'importazione di tecnologie belliche a bassa intensità.
TECNOLOGIE PIÙ SOFISTICATE - Secondo solamente alla Russia per dimensioni della partnership commerciale con il ministero della Difesa indiano, Israele potrebbe presto diventare il venditore prediletto per New Delhi.
Il quotidiano The economic Times ha pronosticato una vera e propria invasione israeliana di armi, negli anni a venire. «Sono i migliori distributori. Sono davvero bravi e ci tentano con tecnologie all'avanguardia», ha dichiarato un ex funzionario dell'esercito indiano, aggiungendo poi indiscrezioni su una serie di tunnel sotterranei tra India e Pakistan, che potrebbero essere monitorati con tecnologie di fattura israeliana. Apparecchi già collaudati in passato per smantellare i passaggi usati dall'Egitto per rifornire i palestinesi di Gaza.
I LEGAMI STRATEGICI - I ripetuti attacchi terroristici a Mumbay, che nel 2008 hanno colpito un'istituzione ebraica, e il business nevralgico del commercio di diamanti e gioielli (controllato da commercianti ebrei) in India avrebbero ulteriormente rafforzato i legami tra i due Paesi nell'ambito della sicurezza.
- Israele esporta il "know-how" in India
Tra i punti di forza dei produttori di Tel Aviv spiccano la «convenienza e i comfort»: gli acquirenti indiani si dicono soddisfatti dell'efficienza delle procedure con le quali si sbrigano gli accordi commerciali.
Anche il Jewish people policy institute (Jppi) ha confermato che Tel Aviv, in genere, reagisce con «rapidità e flessibilità» alle richieste dei compratori. A differenza delle rigide procedure nelle quali sono imbrigliati gli esportatori dei Paesi occidentali, gli israeliani non perdono tempo in colloqui e interviste scrupolose volti all'accertamento dei reali intenti difensivi degli acquirenti.
L'ammontare colossale delle spese indiane per la Difesa è dovuto in primo luogo all'incapacità di Nuova Delhi di munirsi di un'industria bellica propria, proporzionale alle dimensioni del gigantesco fabbisogno.
Persino beni primari per l'equipaggiamento dei soldato, come come scarponi e fucili, sono d'importazione.
JOINT-VENTURE MILITARE - Ma anche a questo gap, grazie a Israele, sembra possibile porre rimedio. I produttori di Tel Aviv si sono mostrati disponibili a condividere nuove tecnologie e a diffondere il know-how in India.
La cooperazione tra le industrie aerospaziali è già attiva in un progetto da 104 miliardi di rupie (circa 2 miliardi di dollari), per la produzione missilistica di Mr-Sam: la più grande joint venture stretta tra l'India e un partner straniero.
Avvalendosi della professionalità israeliana nella produzione bellica e nella lunga esperienza militare e militarizzante, a lungo termine l'India ambisce a superare lo scarto, posizionandosi sul mercato globale come esportatore di armi.
GERUSALEMME - Una quindicina di disegni dello scrittore tedesco Hermann Hesse (autore, fra l'altro di 'Il Lupo nella Steppa' e 'Siddharta') saranno esposti fra due settimane dalla Biblioteca nazionale israeliana di Gerusalemme dove sono stati scoperti dopo un oblio di decine di anni.
Lo riferisce il quotidiano Haaretz, secondo cui le illustrazioni accompagnano una delle numerose stesure di Hesse della favola d'amore 'Metamorfosi di Pictor': quindici pagine in tutto, che pure saranno presentate al pubblico.
Secondo il giornale, nel 1932 Hesse dedicò il volumetto a un ebreo tedesco di nome Menachem Weitz. Di lui sono rimasti scarni elementi biografici: a quanto pare si era trasferito a Gerusalemme dove viveva di agricoltura. Nel 1943 la favola di Hesse raggiunse la Biblioteca di Gerusalemme: là fu registrata a matita, ma non catalogata. Solo di recente è stata recuperata da un ricercatore specializzato in letteratura tedesca e sarà esposta nel 50.mo anniversario della morte del celebre scrittore.
Haaretz aggiunge che altri disegni sconosciuti di Hesse (datati 1927) sono stati intanto ritrovati in Israele nell'archivio del filosofo ebreo-tedesco Martin Buber.
Osservando le festività del mese di Tishrì con uno sguardo d'insieme, notiamo come esse siano racchiuse fra due inizi. La prima ricorrenza, Rosh haShanah (Capodanno), segna l'inizio di una nuova annata sul calendario, con tutte le speranze e aspettative che ogni novità porta con sé. Ma anche l'ultima delle giornate festive, Simchat Torah (Gioia della Legge), segna un inizio: qui si tratta di ricominciare daccapo la lettura pubblica del Sefer Torah, con tutto lo Studio che l'accompagna. Colpisce senz'altro il fatto che i due inizi, del Calendario e della Lettura, non coincidano. Contro ogni logica apparente: sarebbe stato appropriato che il capitolo della Creazione del mondo (Bereshit) venisse letto il giorno di Rosh haShanah, anniversario della Creazione medesima.
Eppure, i Maestri hanno voluto diversamente. C'è chi spiega la dilazione come un doveroso atto di riguardo per il Sefer Torah: non sarebbe stato dignitoso cominciare una lettura per poi interromperla subito a causa dei Mo'adim. Ma c'è chi dà un'interpretazione diversa. Lo Studio della Torah deve essere intrapreso con gioia, perché la Torah stessa è gioia. Per questo occorre attendere la festa di Sukkot, avere prima sperimentato l'atmosfera gioiosa della Sukkah, il tripudio festoso del Lulav, per poi iniziare il nuovo ciclo di Parashot. Lo Shofar di Rosh haShanah, i Giorni penitenziali e il digiuno di Kippur, con il loro carattere austero, ci richiamano invece il rigore del comportamento. Rigore dell'Azione e Gioia dello Studio sono i due principi fondamentali dell'ebraismo: non a caso essi vengono riaffermati al principio di ogni anno. Rosh haShanah e Yom Kippur vengono prima di Sukkot e Simchat Torah: se non vi è Gioia non vi può essere Studio, ma se non vi è Rigore non vi può essere Gioia. Il mese di Tishrì è chiamato nella Tradizione Yerach ha- Etanim "mese dei Saldi" (I Re 8), cioè dei forti perché, come spiega il Talmud "in esso sono nati i Saldi del Mondo" (Trattato Rosh ha- Shanah 11a), i Patriarchi che sostengono il mondo con i loro meriti. Ma la parola italiana "saldi" può paradossalmente essere intesa anche nel suo significato più quotidiano. I Maestri dicono che Tishrì è "un'occasione" da non perdere per riavvicinarsi a D. Se nel corso dell'anno la Provvidenza non ci manca, pur tuttavia in questo mese Egli è più vicino all'Uomo: "cercate il S. mentre si trova" (Isaia 55). Il duplice inizio di cui abbiamo parlato vuole rinsaldare la nostra fede e il nostro impegno ebraico. Prendiamo l'abitudine di guardare ad ogni cosa con l'ottimismo che caratterizza qualsiasi novità: come se tutti i giorni dell'anno fossero altrettanti inizi! Come è noto, la nostra tradizione riconosce l'esistenza di due Torot, la Torah scritta, ovvero la Bibbia propriamente detta, consegnata a Moshè sul Monte Sinai e nella Tenda della Radunanza e da lui messa immediatamente per iscritto, e la Torah Orale. Quest'ultima raccoglie tutte le interpretazioni della Torah scritta che Moshè tramandò oralmente ai suoi discepoli.
Tali interpretazioni furono a loro volta messe per iscritto in un'epoca molto successiva, allorché si cominciò a temere che le persecuzioni avrebbero potuto privarci di questa eredità spirituale qualora non la si fosse consegnata alla carta. Nacque così la stesura della Mishnah e del Talmud. Naturalmente, il nostro approccio alla Mishnah e al Talmud ha regole e modalità assai diverse da quello verso la Bibbia. La qedushah del Sefer Torah consiste nei canoni fissi attraverso i quali noi tramandiamo la Scrittura: è quindi una qedushah oggettiva. La Torah orale, invece, "santifica il pensiero umano, il cuore dell'uomo e spalanca orizzonti nuovi all'ispirazione della qedushah" ed è dunque una qedushah del soggetto. Non c'è dubbio che la qedushah della Torah scritta, in quanto fatto oggettivo, preceda quella della Torah orale per importanza: il Sefer Torah incarna la qedushah stessa della Parola di D. Ma è anche vero che, su un piano strettamente metodologico, si può pervenire alla qedushah della Torah scritta soltanto se prima si è passati attraverso quella della Torah orale: in pratica, attraverso la Mishnah e il Talmud il cui studio richiede, come si è detto, attenta analisi e riflessione. Sembra che l'andamento delle festività autunnali voglia in qualche modo richiamarci questo principio fondamentale dell'ebraismo. Alla qedushah del Sefer Torah si perviene soltanto alla fine, festeggiando Simchat Torah. Prima si deve affrontare un attento studio di noi stessi, nel lungo periodo penitenziale segnato da Rosh ha-Shanah e Kippur. Questa preparazione è paragonabile ai meccanismi mentali dello studio della Torah orale, fatti di domande e risposte. Non a caso la tradizione adopera lo stesso termine, Teshuvah, per indicare tanto il "pentimento" che la "risposta". Ma per giungere alla qedushah, occorre anche la 'anavah, l'umiltà. Se la Teshuvah misura la nostra vicinanza a D., come dice il Profeta: "invocateLo quando è vicino" (Isaia 55, 6), la 'anavah ci aiuta invece a capire quanta strada dobbiamo ancora affrontare per arrivare a D.
La 'anavah, ben inteso, non è autoannullamento, accettazione passiva di una presunta nullità; la 'anavah è consapevolezza attiva della propria finitezza. La 'anavah è rinuncia ai limiti di un tetto (la dimora nella Sukkah) e tensione verso l'alto (agitazione del Lulav). Le iniziali di queste tre virtù, Teshuvah, Qedushah e 'anavah, formano la parola tèqa', con cui si indica il suono dello Shofar: teqà' be-shofar gadol le-cherutenu, "suona il grande Shofar della nostra Redenzione". Le-Shanim Rabbot, Tovot u-Mtukkanot.
Un paese al top. Dà spazio a una serie sempre più ricca di aziende hi-tech, quotate al Nasdaq Usa dove è stato creato persino un sotto-indice ad hoc. Superata la condizione di sussistenza economica, si è guadagnato la palma di potenza tecnologica mondiale.
Cambiano i tempi, ma quello israeliano resta un modello vincente. Biotecnologie, internet, computer fanno sì che anche oggi il Paese sia «la culla dell'innovazione». Lo Stato ebraico ospita una sempre più ricca serie di aziende dell'hi-tech: al Nasdaq sono talmente tante le società provenienti da Tel Aviv che è stato creato un sotto-indice apposito.
In passato le parole d'ordine erano software, semiconduttori e telecomunicazioni. Oggi sono altre, legate soprattutto alle infinite potenzialità offerte dal web. Seguendo questo percorso, iniziato all'inizio degli anni '70, Israele ha potuto superare la condizione di sussistenza economica, cui sembrava condannato, per guadagnarsi la palma di potenza tecnologica mondiale, baciata da una crescita costante: questo a dispetto di un clima politico che non conosce schiarite, di una crisi mondiale capace di mettere in difficoltà nazioni ben ben più attrezzate. Se possiamo chattare in diretta da un pc all'altro lo dobbiamo a un cervello israeliano. Se abbiamo bisogno di conservare il contenuto del nostro lavoro in una «chiavetta» e scaricarlo poi su un altro computer, è merito di un ricercatore israeliano che ha inventato il prezioso dispositivo. Se vogliamo mettere i documenti, oppure le conversazioni al riparo da occhi, orecchi e mani indiscrete, è grazie a una ditta israeliana che ha fornito il programma di criptaggio adatto. Ma anche la salute è appesa sempre di più alla capacità di un cervello elettronico di decifrare, classificare e trasmettere i dati che forniscono gli organi del corpo umano: anche in questo settore della medicina, come in quello dell'equipaggiamento bio-medico, i tecnici e gli studiosi israeliani sono molto avanti; come nell'ingegneria genetica, nelle bio-tecnologie applicate all'agricoltura e nelle energie alternative.
In israele, lo scorso anno, è stato assegnato a Dan Shechtman (naturalizzato statunitense) il Nobel per la chimica: è il decimo studioso di quel Paese premiato in soli 45 anni. L'istituto di scienze Weizmann di Rehovot, vicino Tel Aviv, è stato nominato nel 2011 dalla rivista americana The Scientist «miglior posto al mondo per lavorare nella ricerca». E se negli Usa c'è la Silicon Valley, nello Stato mediorientale, dove grande, se non eccessiva, è l'attrazione verso il modello Usa, per assonanza è stata chiamata Silicon Wadi la vasta piana tra Tel Aviv ed Haifa dove sono concentrate la maggior parte della aziende hi-tech israeliane. Un grande «serra» dove fioriscono start-up inimmaginabili, molte delle quali destinate ad essere quotate in America.
Dopo aver gradualmente imposto abbigliamenti molto castigati alle donne di Gaza, Hamas sembra rivolgere adesso la propria attenzione anche ai vestiti maschili.
CONTRABBANDO - Secondo il quotidiano israeliano Maariv, agenti di Hamas hanno compiuto ieri arresti a Rafah (nel sud della Striscia) fra giovani scoperti in strada mentre indossavano pantaloni a vita bassa: un capo di abbigliamento ritenuto inaccettabile perche' talvolta lascia intravedere anche la biancheria intima. Secondo Maariv, in un sito web di Hamas quegli arresti hanno innescato un dibattito ideologico vero e proprio. Alcuni hanno condannato la repressione, giudicandola esagerata. Altri hanno suggerito che Hamas - essendo in totale controllo dei tunnel di contrabbando - provveda ad impedire la importazione a Gaza dei jeans ritenuti disdicevoli.
RIEDUCHIAMOLI TUTTI - Altri ancora hanno invece giustificato in pieno gli arresti in quanto, hanno rilevato, chi esibisce quei pantaloni 'cerca solo di scimmiottare l'Occidente' e necessita dunque una rieducazione politico-culturale. Nei giorni scorsi dal Sud della striscia di Gaza erano giunte immagini fotografiche di adolescenti impegnati nel 'Parkour': ossia nel rapido attraversamento di itinerari urbani di vario genere, anche mediante salti e capriole, in voga fra i giovani nelle periferie francesi. Non e' adesso escluso che questa moda occidentale possa pure entrare nel mirino dei difensori del tradizionalismo islamico nelle strade della Striscia.
Il Pentagramma della Memoria, il 2 ottobre presentazione alla LUISS di Roma
Il 2 ottobre nell'Aula Magna della LUISS Guido Carli di Roma in viale Pola, alle 18.30 ci sarà un concerto - dibattito per la presentazione, in anteprima nazionale, del progetto 'Il Pentagramma della Memoria', ideato dalla giornalista Enza Nunziato, in collegamento con l'Istituto di Cultura Italiana di Tel Aviv. Un'iniziativa che rappresenta il proseguimento naturale di una serie di eventi legati al tema della Memoria portati avanti negli anni da Enza Nunziato.
Dibatti con testimoni della Shoah, come Massimo Foa, Alberta Levi Temin, Franco Perlasca (figlio del Giusto Giorgio), Pietro Borromeo (figlio del Giusto Giovanni), Emanuele Salottolo solo per citare qualche nome. Nonché la proposta di realizzare a Benevento un monumento dedicato alle vittime della Shoah, creato dallo scultore Salvatore Paladino e collocato nei Giardini della Rocca dei Rettori, sede dell'attuale amministrazione provinciale.
Alla manifestazione organizzata dal Rotary Club di Benevento con il patrocinio morale della LUISS Guido Carli di Roma, interverranno il Rabbino della Comunità Ebraica di Napoli, Shalom Bahbout, il professore Guido Sacerdoti, presidente della Fondazione Carlo Levi di Roma, il presidente del Rotary Club di Benevento Gian Raffaele Cotroneo, e in diretta da Tel Aviv, il direttore dell'Istituto di cultura italiano Carmela Callea e la scrittrice Manuela Dviri Norsa testimonial del progetto Saving Children, la Medicina al servizio della Pace.
Seguirà un concerto, a cura dell'Ensemble Stella, che intende far conoscere le musiche scritte da valenti musicisti nei legar nazisti perché ebrei. La novità di questo progetto musicale è che i musicisti Sergio Casale e Luca Aquino hanno arrangiato in jazz le musiche concentrazionarie realizzando un lavoro di grande suggestione e impatto emotivo. Alcuni brani saranno accompagnati dalla lettura di poesie legate al tema della memoria.
VIENNA, 29 set. - I governi mondiali lasciano centinaia di milioni di malati di tumore a soffrire inutilmente per l'incapacita' di assicurare un accesso adeguato ad oppiacei e anti-dolorifici. E' la denuncia degli oncologi riuniti al congresso europeo Esmo 2012 in corso a Vienna. Secondo uno studio - condotto tra dicembre 2010 e luglio 2012 sotto la guida dello Share Zedek Medical Center di Gerusalemme - pochissimi Paesi forniscono tutti e 7 gli oppioidi considerati essenziali a combattere i dolori del cancro indicati dall'Associazione internazionale per le cure palliative (International Association for hospice and palliative care).
Per il rial -4% in una seduta a 28.000 per un dollaro
TEHERAN, 29 set. - Prosegue la picchiata della moneta iraniana, zavorrata sui mercati dalla crescente incertezza sull'economia e dalle insistenti voci di un'imminente azione militare israeliana per bloccare il processo di riarmo nucleare di Teheran. Nella seduta di sabato il rial ha perso ben il 4% passando a un cambio di 28.000 per dollaro contro i 26.600 di giovedì.
Il forte ribasso e il contestuale rincaro delle quotazioni dell'oro comprato in Iran, suggeriscono che le famiglie e le aziende del paese stiano accelerando i loro acquisti di dollari e altre valute straniere a causa della crescente incertezza economica.
Dalla fine dello scorso anno il rial ha perso oltre il 60% del suo valore anche a causa delle sempre più rigide sanzioni occidentali. A sua volta la svalutazione ha innescato un'inevitabile ulteriore aumento dell'inflazione con i prezzi dei prodotti alimentari che sono incrementati del 50%.
A partire da domenica 30 settembre, ogni ultima domenica del mese sarà possibile visitare il cimitero ebraico di Siena
L'apertura al pubblico del cimitero ebraico situato in Via del Linaiolo, fuori le mura della città e poco distante da Porta Romana, rappresenta una novità. Aperto fino ad oggi solo in occasioni straordinarie è uno dei luoghi sconosciuti della città che conservano tracce importanti della nostra storia.
Il cimitero ebraico di Via del Linaiolo è l' unico luogo di sepoltura utilizzato dalla fondazione della Comunità ebraica ad oggi e testimonia dei molti secoli di vita dell'insediamento ebraico senese. Disporre di un'area da destinare alle sepolture è considerato da ogni nucleo ebraico una esigenza primaria. Per l'ebraismo la sepoltura è eterna ed intoccabile ed il luogo di sepoltura deve essere acquisito in forma perpetua. Questa è la ragione per la quale, ove non siano intervenute delle forzature di carattere urbanistico locale, si possono tuttora rintracciare numerosi cimiteri ebraici: la posizione, la dimensione e la moltiplicazione di essi è dipesa ovviamente dalle leggi sanitarie o dalle "licenze" che venivano concesse nell'ambito locale, dalla capacità commerciale e dalla entità demografica della Comunità del momento, legata anche a una previsione di possibilità di sopravvivenza nel tempo della Comunità medesima.
A Siena l'istituzione di un cimitero ebraico data a partire dal XVI secolo ed avvenne ad opera di una Comunità che si era accresciuta con la concentrazione nel ghetto e l'arrivo di famiglie provenienti dal resto della penisola. Da un documento della Balia del 1611 apprendiamo che gli ebrei da lungo tempo possedevano un cimitero "nel quale per tanto tempo che non è memoria d'huomo incontrario", i morti che sono stati per i tempi di detta Università si sono seppelliti in un campo fuori di Porta S. Viene, volgarmente chiamato il campo delli Hebrei, per il quale per ciò si è creduto essere di detta Università per ragioni di pieno dominio." A partire dal 1890 la custodia e il mantenimento del cimitero furono affidate alla Società di Misericordia Israelitica di Siena. Quest'antica confraternita aveva lo scopo di assistere e curare gratuitamente i malati indigenti ebrei residenti in città e si occupava del trasporto dei defunti e della tumulazione.
Il cimitero si estende su una porzione di terreno di circa un ettaro e mezzo. La sua conformazione attuale è il risultato di un ampliamento realizzato intorno al 1890, anno in cui fu realizzata una cinta muraria fino ad allora inesistente.
Il percorso di visita ha inizio nella Cappella mortuaria, dove si svolgeva il rito del lavaggio rituale del corpo del defunto e della veglia funebre.
L'area più antica, con tombe che risalgono al XVII secolo si sviluppa partendo dall'alto lungo il pendio boscoso della collina. In questa zona sono collocati esclusivamente stele verticali e cippi cilindrici assai erosi, ma di bella fattura, con iscrizioni e semplici decori. La parte bassa accoglie inumazioni ottocentesche e novecentesche di gusto classico o in forme romantiche o naturalistiche, ed è caratterizzata da una vasta radura fiancheggiata da siepi di bosso. La zona è particolarmente suggestiva. Le iscrizioni sono esclusivamente in ebraico nei monumenti antecedenti la metà del XIX secolo, sovente in doppia lingua dopo questa data, e solo in italiano in quelli risalenti ai decenni più recenti. I monumenti funebri sono costituiti da pietre locali (arenarie e travertini) o marmi.
Il cimitero ebraico di Siena è aperto l'ultima domenica del mese con visita guidata alle ore 10.30 .
L'appuntamento è al cancello d'ingresso. La visita ha la durata di circa un'ora.
Intero: 4 euro
Ridotto: 3 euro
Tariffa unica sinagoga di Siena + cimitero: 7 euro
Ragazzi dai 6 ai 14 anni; studenti* dai 15 ai 25 anni; giornalisti*; gruppi superiori alle 20 persone, possessori di un biglietto della Sinagoga e Museo Ebraico di Firenze o del Museo Ebraico di Venezia*.
*è richiesto un documento comprovante
Gratuito:
Accompagnatore di un portatore di handicap; bambini fino ai 6 anni.
Informazioni e prenotazioni per aperture straordinarie:
CoopCulture società cooperativa
Tel. + 39 0577-271345 - 3665770306
TEL AVIV, 28 SET - L'immagine del premier Benyamin Netanyahu, ieri alle Nazioni Unite, mentre espone il disegno in stile comics di una ''bomba iraniana'' scatena i commentatori sulla stampa israeliana, che alternano toni ironici ad analisi preoccupate. Tutti ammettono comunque che 'Bibi' Netanyahu, con quell'espediente, ha avuto il pregio di evidenziare per le masse un concetto estremamente complesso: ossia il momento in cui i progetti nucleari dell'Iran arriveranno a un punto di non ritorno.
STOCCOLMA, 28 set. - Un'esplosione si è verificata in un
centro ebraico di Malmo, nel sud della Svezia, e due giovani sono stati fermati con l'accusa di vandalismo. Lo scoppio, avvenuto stamattina e che ha danneggiato le finestre dell'ingresso al centro, non ha provocato feriti. La piccola comunità ebraica della città si sente da tempo sempre più minacciata. I due fermati pare siano adolescenti e sono ancora sotto interrogatorio da parte della polizia. A Malmo, dove è presente una grande comunità musulmana, è stato registrato un aumento dei crimini d'odio nei confronti degli ebrei a seguito dell'invasione di Gaza da parte di Israele nel 2009. In Svezia vivono circa 20mila ebrei.
Nome della moneta: "Ginnastica"
Autore: David Harel
Conio Bank of Israel
1o Premio
«THe Holy Land Mint - Israele»
di Paola Farina
Motivazione: Per l'elegante sintesi tra la figura stilizzata della ginnasta e il suo nastro che forma la stella di David. Il rovescio nella sua originale essenzialità ben si armonizza con il dritto. La finitura a fondo specchio fa risaltare ancora di più le composizioni.
Tutti in Fiera a Vicenza ad ammirare la moneta vincitrice del Primo Premio Vicenza Numismatica nei giorni 28 e 29 settembre 2012.
La moneta vincitrice del primo premio trae ispirazione dall'evoluzione della ginnastica israeliana, che è arrivata ai massimi livelli mondiali, utilizzando tutta la tecnologia disponibile e liberandola sì in forme sportive, che prestano attenzione al corpo, alla sua sensualità ed anche alla sua fragilità, ma anche trasmettendo al mondo il linguaggio della nostra anima e i grandi valori profusi dalla nostra religione, formando con un gioco di nastro il Meghen David durante la performance dell'esercizio ritmico.
La medaglia è stata disegnata da David Harel, un artista specializzato in acquaforte (prima tecnica indiretta in cavo ed è la più usata come mezzo espressivo dagli artisti antichi e moderni, per la libera gestualità dell'operatore a differenza di altre che hanno bisogno di lungo tirocinio), ma anche in taglio del legno, dipinti su seta e lavori di litografia, a riconferma dell'estrema versatilità e adattabilità della mente umana ebraica. Disegnatore di molte campagne pubblicitarie, libri e logos e già vincitore di molti premi, ha esposto oltre che in Israele, negli Stati Uniti, Giappone, Germania e Francia.
Netanyahu all'ONU: l'Atomica dell'Iran entro fine estate 2013
Nelle ultime ore davanti all'Assemblea dell'ONU non se le sono mandate a dire, la diplomazia è andata in vacanza.
Nelle ultime ore davanti all'Assemblea dell'ONU non se le sono mandate a dire, la diplomazia è andata in vacanza, lasciando spazio a moniti, allarmi e velate minacce. E' un sottile gioco della tensione quello che si sta consumando tra USA, Iran e Israele, sullo sfondo lo spauracchio del programma nucleare di Teheran.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo ha affermato in termini decisamente più chiari di Barack Obama: entro la fine dell'estate l'Iran potrebbe riuscire a dotarsi del suo primo ordigno nucleare. E quello che a Tel Aviv definiscono in gergo il "punto zero", il punto di non ritorno dove l'azione diplomatica (ma anche militare) rischia di divenire azzardata se non controproducente.
Anche Barack Obama, il giorno precedente, aveva lanciato un monito agli Ayatollah: tuttavia secondo molti analisti sono apparse come parole dettate più da esigenze di campagna elettorale piuttosto che da una determinazione ad un intervento militare.
La sensazione diffusa è che, eccettuato Israele, nessuno sia realmente disposto ad accettare le conseguenze di una crisi militare nel Golfo Persico. Le ricadute sull'economia globale, vista anche la fragile situazione internazionale, potrebbero rivelarsi catastrofiche. L'opzione diplomatica, tuttavia, sinora è apparsa sterile e si profila il rischio di finire in un vicolo cieco.
Gli USA non possono permettersi, con il problema Afghanistan ancora in via di risoluzione e la fragilità interna in Iraq, una nuova crisi mediorientale. Il regime degli Ayatollah punta al programma nucleare per offrire, ad uso interno ed esterno, l'immagine di potenza in ascesa. Rinunciarvi apparirebbe, agli occhi della casta militare e degli oppositori, un segno di debolezza e potrebbe portare ad una crisi irreversibile.
Israele, ed in particolare il governo di Benjamin Netanyahu, non può accettare la minaccia di un Iran dotato di armi nucleari. La sopravvivenza di Israele, nell'ultimo mezzo secolo, si è fondata anche e soprattutto nell'essere l'unico paese della regione a detenere il monopolio atomico, soprattutto a scopo di deterrenza. E' come un tiro alla fune, destinata a spezzarsi prima o poi se qualcuno non cede.
Prima o poi questo argomento diventerà un cavallo di battaglia dei nuovi antisemiti. Perché la polizia protegge solo le sinagoghe e non gli altri luoghi di culto, come chiese e moschee? La storia si ripete: se gli ebrei li ammazzano, è colpa loro; se si difendono, è colpa loro; e se altri si attentano a difenderli, è sempre colpa loro. Perché si fanno proteggere? E chiaro: perché sono loro che controllano il mondo.
Un video girato in Francia presenta un assaggio di questa filosofia.
Berlino: si moltiplicano gli episodi di antisemitismo
BERLINO - In Germania sembrano moltiplicarsi in maniera preoccupante, negli ultimi tempi, i casi d'antisemitismo. A circa un mese dall'aggressione violenta subita da un rabbino e da sua figlia a Berlino, un membro del Consiglio centrale ebraico è stato oggetto di offese nel pieno centro della capitale tedesca, mentre un tassista si è rifiutato di portare una famiglia in sinagoga.
Stephan Kramer, questo il nome del membro del consiglio ebraico, ha denunciato un uomo che lo avrebbe offeso, mentre era in compagnia dei suoi due figli, dopo aver riconosciuto un libro di preghiere ebraiche. "Verosimilmente si è sentito provocato", ha spiegato Kramer, che a sua volta è stato denunciato per aggressione dal presunto antisemita.
Per evitare che la situazione precipitasse, Kramer avrebbe infatti mostrato subito una pistola che portava sotto la giacca, per cui detiene un regolare porto d'armi da otto anni. Sempre oggi un tassista berlinese si è rifiutato di portare una famiglia in sinagoga. Dopo aver accolto i clienti gentilmente sul taxi e aver appreso la destinazione, l'uomo ha accostato la vettura invitando gli increduli passeggeri a cercarsi un altro mezzo di trasporto.
Fra Victores, un demagogo manipolatore di mezze verità
Solo ora, molti mesi dopo, vediamo su uTube un filmato del Fatto Quotidiano dello scorso aprile in cui il francescano Atermio Victores, Vicario della Custodia di Terra Santa, parla della riduzione dalla popolazione cristiana a Gerusalemme e nella zona circostante. Victores attribuisce il calo demografico alla discriminazione di cui sarebbero vittime i cristiani in Israele. I fatti sono ben diversi. Nella città di Gerusalemme nel 1947, prima dell'occupazione della città vecchia e dei quartieri orientali da parte della Legione Araba, i cristiani erano 32.700. Nel 1967, al momento dell'annessione di quegli stessi quartieri orientali da parte di Israele dopo la guerra dei Sei Giorni, i cristiani erano ridotti a 12.900. Oggi sono 14.600. In tutta Israele, al momento dell'indipendenza nel 1948, vivevano 34.000 cristiani e all'inizio del 2012 il loro numero era aumentato a 154.000. Dunque sotto regime israeliano i cristiani sono aumentati, anche se meno di fronte all'enorme crescita proporzionale e assoluta dei musulmani. La fuga dei cristiani è avvenuta interamente dai territori governati dall'Autorità palestinese. Città storicamente cristiane come Betlemme-Beit Jalah e Ramallah-El Bireh, sono diventate roccaforti musulmane. Atermio Victores dica allora tutta la verità: la fuga dei cristiani non è dalle aree ebraiche, è dalle aree islamiche sotto la spinta della continua intimidazione retorica e fisica della dirigenza politica e religiosa e dei movimenti terroristici palestinesi. Il Fra Victores che attribuisce il calo demografico dei suoi correligionari agli israeliani è un rozzo polemista, un demagogo manipolatore di mezze verità, e un seminatore di odio e di discordia che fanno molto male al dialogo inter-religioso. Concediamo pure a Fra Victores di essersi espresso a titolo personale, magari per far piacere alla redazione del Fatto Quotidiano. Ma ci aspettiamo dal Custode di Terra Santa, Monsignor Pierbattista Pizzaballa, un autorevole esplicito cenno di rettifica delle false e nocive esternazioni del suo vicario.
Obama non vede il pericolo Ahmadinejad e l'America trema
di Glauco Maggi
Chamberlain - Obama
A futura memoria, speriamo che le frasi che stiamo per riportare non finiscano nel libro nero dell' "Appeasement nella Storia delle Nazioni", al capitolo su "Perché l'Iran di Ahmadinejad non è stato fermato per tempo?". Eppure, era stato chiarissimo nelle sue intenzioni. La raccolta delle citazioni la fornisce il Wall Street Journal, che non ha dovuto fare giornalismo investigativo ma ha applicato la massima di George Orwell: "Per vedere quello che ci passa davanti al naso abbiamo bisogno di batterci costantemente". E ha riportato le minacce iraniane agli ebrei in occasione del discorso che il presidente iraniano ha pronunciato davanti all' Assemblea delle Nazioni Uniti, nella sua usuale tirata settembrina contro Usa e Israele.
Non ha promesso di "eliminare" Israele, ma solo perché l'aveva già fatto lunedì, sempre parlando a New York. "L' Iran è sulla scena da 7000-10000 anni, loro (gli israeliani NDR) stanno occupando questi territori da 60-70 anni con il sostegno e la forza degli Occidentali. Loro non hanno radici nella storia. Crediamo che si trovino in un vicolo cieco e che stiano cercando avventure per scappare a questo punto morto. Non saremo danneggiati da bombe straniere. Non le mettiamo neppure nel conto in nessuna equazione che riguardi l'Iran. Durante una fase storica, loro (gli sraeliani NDR) rappresentano un minimo impiccio che entra in scena e che poi viene eliminato".
"Eliminato", "annichilito", "spazzato" sono parole-concetti ricorrenti. Nell'ottobre 2005, lo stesso Ahmadinejad, citando l'Ayatollah Khomeini, disse che Israele "deve essere spazzato via dalla mappa". Nel giugno 2008 ribadì: "Israele ha raggiunto la fine della sua funzione e presto sparirà dalla mappa geografica".
Altri dirigenti iraniani hanno fatto eco. Nel febbraio scorso, in Tv, il Leader Supremo Ali Khamenei chiamò Israele un "tumore canceroso che dovrebbe essere asportato e sarà asportato. D'ora in poi, in ogni posto, se qualunque nazione o gruppo combatte il regime sionista noi lo appoggeremo e lo aiuteremo. E non abbiamo paura nell'esprimere ciò".
"La nazione iraniana è impegnata nella sua causa che è la completa distruzione di Israele" (annihilation, annullamento è l'espressione usata), ha detto in maggio il capo di staff delle forze armate, il maggiore generale Hassan Firouzabadi.
E' un piano che viene da lontano, per la verità, e suona più terribile ora che la meta dell'arma nucleare è prossima : "Uno dei nostri punti più importanti è che Israele deve essere distrutto", disse Khomeini già negli Anni Ottanta. E l'ex presidente Akbar Rafsanjani, che passava per un moderato, nel 2001 disse: "Se un giorno il mondo islamico sarà equipaggiato di armi come quelle di cui dispone ora Israele, allora la strategia degli imperialisti raggiungerà un punto morto perché anche l'uso di un solo ordigno nucleare su Israele distruggerà ogni cosa. E comunque farà invece solo un danno al mondo islamico. Non è irrazionale contemplare una simile eventualità". Se anche per i "moderati" iraniani l'idea di provocare milioni di morti tra i musulmani "non è irrazionale" quando accompagnata alla eliminazione totale degli ebrei e di Israele, sarebbe bene che l'Occidente e i governi Usa ed europei "vedessero con chiarezza quello che è sotto il loro naso", come suggerisce il WSJ, via Orwell.
Obama, martedì all'Onu, ha detto che "gli Stati Uniti faranno ciò che si deve per prevenire l'Iran dall'ottenere un'arma nucleare". Ma mentre è certo che ha parlato agli elettori ebrei della Florida e degli altri stati ballerini, chi può credere davvero che intende quello che dice, in termini concreti e cioè militari, quando fa una simile promessa? Sarà davvero disposto a "fare ciò che si deve"? O sta facendo solo la faccia dura perché mancano sette settimane al voto? Nei 4 anni di presidenza non ha fatto altro che tendere la mano ai nemici, e bistrattare Israele. Il Nobel della Pace l'ha già vinto, e viene più da temere che coltivi dentro di sé l'idea di entrare nella galleria sciagurata dei Naville Chamberlain, il ministro inglese che, come gli altri leader europei devoti dell'appeasement, si rifiutò di vedere il pericolo dell'Hitler che gli stava davanti al naso.
A Gaza la protesta anti-Hamas: governo incompetente
Rara manifestazione contro il regime di Hamas a Gaza, dopo la morte di un bambino durante l'ennesimo blackout. In piazza la gente chiede al partito di andarsene.
A Gaza va di scena una protesta anti-Hamas. Un evento raro, che ha visto scendere in strada circa 500 manifestanti e la rabbia per la morte di un bambino di tre anni nel campo profughi di Bureij. Il piccolo, Fathi al-Baghdadi, è morto in un incendio durante l'ennesimo blackout di elettricità: una candela accesa per fare luce è caduta, l'incendio si è esteso e ha ucciso il bambino e provocato gravi ustioni alla sorella. Martedì notte, i manifestanti hanno accompagnato il corpicino all'ospedale e intonato slogan contro il governo de facto della Striscia, chiedendo che Hamas lasci il potere per incompetenza e incapacità di governare Gaza. La polizia è intervenuta disperdendo la folla.
"La gente vuole far cadere il regime", uno degli slogan cantati durante la protesta, in ricordo di quelli urlati in Tunisia ed Egitto durante le rispettive rivoluzioni. Il padre del bambino ha detto di sperare in ulteriori proteste e nella definitiva riconciliazione tra Hamas e Fatah: "Chiedo alla gente di rimanere in strada e di non aver paura della polizia - ha detto il giovane padre, Abdel-Fattah al-Baghdadi, 23 anni - Ritengo responsabili di quanto accaduto sia il governo di Gaza che quello della Cisgiordania".
L'uomo lavora come guardia al Ministero degli Affari Religiosi. Uno stipedio di 1.250 shekel al mese (circa 250 euro) non è abbastanza per mantenere la sua famiglia. e non potendo comprare un generatore, utilizza le candele a basso prezzo per illuminare la casa durante la notte.
Da febbraio, la popolazione della Striscia ha la corrente elettrica per sole sei ore al giorno. Da allora ben tre bambini sono morti a causa di incendi simili, provocati da candele e piccoli fuochi. Hamas si difende: la colpa è dell'Egitto, che ha tagliato le forniture di combustibile alla centrale elettrica di Gaza, e di Israele che dal 2007 costringe la popolazione palestinese ad un severo embargo.
Un portavoce del governo di Hamas, Taher al-Nono, ha detto che la morte del bambino è un messaggio all'Egitto e alle continue promesse del Cairo di risolvere la crisi di elettricità nella Striscia. Ma qualcosa si muove: manifestazioni anti-Hamas nella Striscia sono un evento rarissimo, visto lo stretto controllo esercitato dal partito a partire dal 2007, dopo la vittoria alle elezioni nazionali e la creazione di due governi palestinesi, uno a Gaza e uno in Cisgiordania.
Commemorazione dell'inizio delle deportazioni degli ebrei dall'Italia
Alla commemorazione della deportazione degli ebrei d'Italia del 16 ottobre 2012 a Yad Vashem avverrà la consegna dell'elenco digitale dei nomi delle vittime della Shoah italiana.
Giorgio Sacerdoti
Il Presidente della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC, professor Giorgio Sacerdoti, il Presidente del Consiglio direttivo di Yad Vashem, Avner Shalev, il Presidente della Hevrat Yehudè Italia, giudice Eliyahou Ben Zimra, il Presidente dell'Irgun Olè Italia, Vito Anav e il Presidente del Com.It.Es . d'Israele comunicano che quest'anno la cerimonia in Israele di commemorazione dell'inizio delle deportazioni degli ebrei dall'Italia, che si terrà il 16 ottobre 2012 a Yad Vashem - il Memoriale dell'Olocausto a Gerusalemme , è dedicata alla consegna da parte della Fondazione CDEC a Yad Vashem dell'elenco digitale dei nomi delle vittime della Shoah italiana.
Tali nomi, prosegue una nota del Comites di Israele - frutto di una pluridecennale ricerca storica condotta dall'Istituto italiano, figurano nel nuovo sito www.nomidellashoah.it e figureranno anche nel Central Database of Shoah Victims' Names di Yad Vashem.
La cerimonia avra' inizio lunedi' 16 ottobre 2012 alle ore 16,30 con una solenne preghiera alla Tenda della Rimembranza, dopo di che nell'Auditorium di Yad Vashem prenderanno la parola il Rabbino Israel Meir Lau, Presidente del Direttivo di Yad Vashem, S.E. Francesco Maria Talo' Ambasciatore d'Italia in Israele, la dott.ssa Liliana Picciotto, Direttore alle ricerche del CDEC. Il programma verra' presentato dalla dott.ssa Iel Nidam-Orvieto, Editor in chief delle Edizioni di Yad Vashem.
E' prevista anche la presenza dell'avv.to Renzo Gattegna, Presidente dell'Unione delle Comunita' ebraiche d'Italia.
"Smile they Shoot" è il titolo del progetto coreografico degli artisti israeliani Michael Getman, Uri Frost e Irad Mazliah, che terranno una prova aperta al pubblico Sabato 29 settembre alle ore 20.00 al Garage Nardini
di Alessia Zanchetta
Proseguono con un primo step fino a fine anno le residenze coreografiche internazionali del CSC, Casa della Danza di Bassano del Grappa che apre le porte per due settimane ad artisti provenienti da Paesi europei ed extraeuropei, trovando nel Garage Nardini spazio e strumenti per portare avanti la loro ricerca coreografica.
In queste settimane sono a Bassano gli artisti israeliani Michael Getman, Uri Frost e Irad Mazliah che sabato 29 settembre alle ore 20.00 apriranno le porte al pubblico per condividere il loro nuovo progetto coreografico "Smile they shoot".
Il pubblico potrà così assistere ad un work in process che li vede impegnati nello sviluppo di un progetto articolato su tematiche collegate alla banalità del male (Hanna Arendt), alle scelte, alle ideologie che portano all'uso della violenza, ma anche alla violenza stessa come risposta alle problematiche sociali culturali e politiche.
Il loro lavoro intreccia eventi storici e la realtà di tutti i giorni, la quotidianità europea con quella israeliana, offrendo spunti di riflessione e analisi con diverse prospettive.
Durante il processo di ricerca e creazione a Bassano, gli artisti hanno incontrato, insieme alla scrittrice Giulia Galvan i signori Alfeo Guadagnin, Benito Gramola e Pietro Piotto direttamente o indirettamente coinvolti con eventi della seconda guerra mondiale, collegando il racconto di vicende e storie legate al territorio di Bassano ad un quadro più generale e universale.
Durante la residenza gli artisti hanno inoltre condotto un workshop intensivo e gratuito ai giovani danzatori del territorio.
Gli artisti in residenza sono sostenuti dall'Ufficio Culturale dell'Ambasciata di Israele in Italia e dal Ministero degli Affari Esteri di Israele.
Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti.
"ETERNA/mente". In mostra foto di Gerusalemme e Betlemme
BOLOGNA - Si inaugura venerdì 28 settembre alle 17 nella Sala Museale del Baraccano, "Eterna/mente", mostra fotografica di Andrea Mirenda e Giampiero Nascimbeni curata da Giuseppina Massara per Piazza d'Arte. Fino al 5 ottobre
Per la sua rilevanza ha ottenuto il patrocinio del Comune di Bologna, della Regione Emilia Romagna e dell'Unesco. Essa rappresenta il punto di arrivo di un progetto fotografico svolto dagli autori durante un viaggio in Terrasanta tra Gerusalemme e Betlemme ed è incentrata sulle forti relazioni emotive tra l'uomo credente ed i luoghi più sacri della tradizione ebraico-cristiana.
Le fotografie ritraggono uomini ebrei raccolti in preghiera nella loro postura ondeggiante; donne cristiane in fila, avvolte nei loro veli intrisi di commozione, per un accesso fugace agli altari e ai sepolcri; severi ministri di culto e fedeli imploranti. Nei loro volti, nei loro gesti, nell'atmosfera rarefatta dei luoghi, la suggestione del mistero dell'umanità.
ETERNA/mente è la testimonianza della perpetua tensione del pensiero umano, laico o religioso che sia, verso il mondo dello spirito, in superamento di una condizione terrena avvertita nella sua materialità come limitata e non appagante.
Sala Museale del Baraccano
Via Santo Stefano, 119 - Bologna
g.massara@fastwebnet.it - 347 0581371
orari: aperta fino a ven 5 ottobre ore 10-12.30/16-19:30
In corso colloqui tra Israele e Usa per fissare una 'linea rossa'
GERUSALEMME, 27 set. - Israele e Stati Uniti sono impegnati in una serie di colloqui segreti per fissare una "linea rossa" sul programma nucleare iraniano. Vale a dire l'orizzonte oltre il quale non verra' piu' consentito a Teheran di eludere i controlli internazionali sulla natura del programma. Lo ha rivelato alla radio israeliana il vice ministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon, sostenendo che "al momento gli eccellenti contatti con gli americani si stanno concentrando su questa questione".
Per Ayalon, nonostante Barack Obama nel suo intervento alle Nazioni Unite non abbia stabilito una "linea rossa" nei confronti dell'Iran, e' "molto importante" il fatto che il presidente Usa abbia esplicitamente avvertito Teheran che non le sara' consentito di dotarsi di armamenti nucleari.
Nuovo assalto dei grafomani alla sinagoga di Trani. Lotoro: «Ci sentiamo indifesi»
«Da anni compiamo sacrifici di ogni tipo per riportare in auge l'ebraismo in città. Ebbene, a fronte a tutto questo, ci sentiamo sempre più inermi ed indifesi quando, quasi quotidianamente, la nostra sinagoga diventa preda dei grafomani».
Lo sfogo di Francesco Lotoro, responsabile culturale della comunità ebraica di Trani, è molto duro. Il fenomeno, infatti, non è nuovo e, soprattutto nel 2009, aveva raggiunto un vergognoso apice. Oggi le scritte sono meno evidenti, ma numerose e sempre più indici di un decadimento culturale dei giovani veramente preoccupante. Non ve ne sono con lo spray, ma i pennarelli sono indelebili e, per rimuoverli, anche questa volta, si dovrà chiamare qualcuno che lo faccia di mestiere.
Nel giorni precedenti a «Lech Lechà», la grande manifestazione ebraica tenutasi all'inizio di settembre in dieci comuni pugliesi, con Trani città capofila, gli ebrei della locale comunità hanno dovuto usare solventi e tanto olio di gomito per rimuovere, sebbene parzialmente, imbarazzanti scritte impresse con pennarelli rossi e blu sui primi scalini d'accesso alla sinagoga: le tracce, peraltro, sono ancora presenti oggi. Sulla sommità della stessa scalinata, poi, i tanti piccoli messaggi amorosi disseminati qua e là. Uno di questi, per staccarlo dalla massa, è stato scritto da qualcuno che si è preso la briga di salire in piedi sul parapetto della rampa, sfidando il vuoto.
La condanna del comunità ebraica è ferma, ma include anche un appello alla vigilanza di questi beni sacri ed una nuova raccomandazione, alla Soprintedenza, per realizzare un progetto che, già proposto e respinto tre anni fa, oggi torna d'attualità: un cancello protettivo da installare ai piedi della scalinata.
In Israele la maggioranza teme la guerra con lIran nel 2013
La maggioranza degli israeliani (56%) teme in varia misura che nel 2013 si verificherà un conflitto fra Israele ed Iran. Lo afferma il quotidiano Haaretz sulla base di un sondaggio di opinione. Se effettivamente divampasse una guerra di larga scala, potrebbe essere messa in forse - secondo il parere del 50% degli intervistati - la stessa esistenza di Israele.
"Il pubblico è spaventato, impaurito" commenta il giornale secondo cui gli israeliani non sono persuasi dalle assicurazioni del governo che eventuali attacchi alle retrovie israeliane provocherebbero solo perdite contenute.
La minaccia nucleare incombente su Israele dall'Iran sarà oggi discussa all'Assemblea generale delle Nazioni Unite dal premier Benyamin Netanyahu. "Nel nostro giorno più sacro, il giorno del Kippur (digiuno penitenziale, ndr) il tiranno iraniano ha invocato la nostra scomparsa", ha rilevato ieri il premier. "Ma la Storia ha dimostrato che quanti hanno cercato di cancellarci, hanno fallito e che il popolo ebraico è riuscito a superare tutti gli ostacoli".
BERLINO - 26 settembre 2012 - Israel Railways (ISR) sta facendo un passo molto importante nell'ambito del programma di modernizzazione del proprio parco treni. L'ente ferroviario israeliano ha infatti ordinato 72 nuovi esemplari di carrozze a due piani prodotte da Bombaridier Transportation, società leader nel settore della tecnologia ferroviaria. Il presente ordine si inserisce nell'ambito di un accordo quadro stipulato nell'ottobre del 2010 che già garantiva l'acquisto di 150 carrozze. Il nuovo ordine di 72 carrozze porta il numero totale di nuove carrozze a due piani a 222. Nei prossimi tre anni le ferrovie israeliane mirano a raddoppiare il proprio parco carrozze a due piani. I nuovi veicoli contribuiranno a soddisfare la forte domanda per un maggior comfort per i passeggeri.
Barack Obama verrà rieletto alla presidenza degli Stati Uniti per un ulteriore quadriennio. E questo accadrà grazie al voto degli ebrei americani.
E' quanto scrive il portale d'informazione israeliano JSSNews.com : "Malgrado la sua catastrofica politica nei confronti di Israele, malgrado la sua diplomazia che spinge i palestinesi a chiedere sempre di più, malgrado un Iran presto dotato dell'arma atomica, malgrado il suo sostegno agli islamisti che hanno rovesciato Hosni Moubarak, gli ebrei americani voteranno massicciamente per Barack Obama.
Un sondaggio Gallup pubblicato da BuzzFeed mostra che gli elettori ebrei sostengono Obama contro Romney in un rapporto di 70% contro 25%.
Quattro anni fa, Obama aveva vinto la Casa Bianca grazie a un 69% di voti ebrei, contro appena il 25% raccolto dal suo rivale repubblicano McCain.
Sempre su JSSNews.com si legge che "il biglietto che Mitt Romney ha lasciato in una fessura del Muro del pianto (durante una sua recente visita in Israele, ndr) è stato discretamente ritirato dagli agenti della Fondazione del Patrimonio per il Muro Occidentale.
La Fondazione ha precisato di averlo messo in un posto diverso del Muro, protetto da sguardi indiscreti e giornalisti curiosi per mantenere il riserbo su quanto scritto da Romney.
Di fatto, si voleva evitare una replica di quanto era accaduto nel 2008, quando l'ex senatore (e candidato alla presidenza) Barack Obama si era recato al Muro del pianto per lasciarvi un biglietto.
Pochi minuti dopo la sua partenza, il biglietto era stato preso da un giornalista, che lo aveva fatto pubblicare nel quotidiano Maariv.
La pubblicazione dei pensieri di Obama sul giornale aveva attirato l'ira di tutti i commentatori israeliani.
Il rabbino preposto al Muro Occidentale, Shmuel Rabinovitz, aveva ricordato che "i biglietti lasciati nel Muro sono un contatto tra la persona e il suo Creatore. E' proibito leggerli o farne un qualunque uso."
Il significato della primogenitura. Il discorso del rabbino capo di Roma, rav Riccardo Shemuel Di Segni, in occasione del Giorno di Kippur
Tra un'ora circa, in uno dei momenti culminanti di questa nostra giornata, i kohanim, i sacerdoti discendenti di Aharon, ci daranno la benedizione. Prima di salire in tevà si faranno lavare le mani. Il privilegio di compiere questo rito, lavare le mani, spetta ai Leviti, e in loro assenza ai primogeniti. Questo perché prima che la funzione dei Leviti fosse consacrata, erano i primogeniti a svolgere certi ruoli importanti, e ancora lo fanno in qualche caso.
La storia della primogenitura ci suggerisce degli spunti importanti sui quali è opportuno riflettere. Dedichiamo un momento a ragionare su un antico racconto, che conosciamo tutti, ma ogni volta che lo rileggiamo mostra aspetti nuovi.
Abbiamo davanti due fratelli, 'Esav e Ya'aqov, che per quanto siano gemelli sono molto differenti tra di loro, sia nell'aspetto fisico che nel modo di comportarsi. 'Esav, il primogenito, sta sempre in giro a caccia, mentre Ya'aqov, il fratello minore, passa il tempo a casa, anzi nelle tende, perché quella era loro casa allora. Un giorno 'Esav torna a casa affamato e stremato dalla fatica e trova Ya'aqov davanti a un piatto di minestra rossa. 'Esav la chiede e Ya'aqov gli propone un affare, il piatto in cambio della primogenitura. 'Esav accetta e fa lo scambio. Lasciamo stare per ora le domande importanti e più spontanee: l'affare era giusto? Ya'aqov era un imbroglione o un profittatore? Fermiamoci su un aspetto di questa scena, la risposta di 'Esav alla proposta del fratello:
"ecco io vado a morire, e che ci faccio della primogenitura?" (Gen. 25:32)
Che cos'era la primogenitura, allora? Dopo l'epoca dei patriarchi, nel diritto ebraico, essere primogeniti significa ricevere, nella divisione dei beni famigliari, una parte doppia rispetto a quella di ciascun altro fratello. Inoltre i primogeniti sostituiscono i genitori nella scala del rispetto. I primogeniti esercitavano funzioni sacre, di cui è rimasto qualcosa come l'esempio, che abbiamo appena citato, e ancora oggi a 30 giorni dalla nascita devono essere riscattati. Non sappiamo bene cosa si siano scambiati i due fratelli con la vendita della primogenitura; certamente il diritto alla terra, per cui leggiamo nella Torà che Ya'aqov rimane nella terra promessa, mentre 'Esav si sposta più a sud. Ma perché 'Esav rinuncia alla primogenitura con tanta leggerezza? Nelle sue parole si avverte un senso di insicurezza, sente che la sua esistenza è precaria e di promesse lontane non sa cosa fare. Solo molti anni dopo si sarebbe lamentato, e forse pentito della sua scelta. Ma in quel momento leggiamo cosa fa:
"mangiò e bevve, si alzò e se ne andò; ed 'Esav disprezzò la primogenitura" (v. 34)
Questo disprezzo dovrebbe spiegare perché Ya'aqov non era un profittatore. Semplicemente dava un senso a un ruolo spirituale, prima ancora che materiale, che invece il fratello rifiutava.
Perché parlare di tutto questo proprio ora? Perché ogni racconto antico si chiarisce con quello che succede dopo e assume significati molto più ampi. Quando Moshè si presenta al Faraone per chiedere la libertà al suo popolo, riceve l'ordine divino di dichiarare:
"Così ha detto il Signore: Israele è il mio figlio primogenito" (Es. 4:22)
Il profeta Geremia dirà:
"Israele è sacro al Signore, l'inizio del suo raccolto" (Ger. 2:3)
La primogenitura non è solo una questione tra fratelli. È una questione tra popoli e nazioni. Secondo la Bibbia noi, Israele, siamo la nazione primogenita. Sappiamo che altre nazioni della terra non accettano di buon grado questa nomina biblica. O la negano, o dicono che l'abbiamo persa. Ma il problema non è tanto come gli altri vivano questa storia. È come noi la viviamo. Sia chiaro che la primogenitura comporta qualche privilegio, forse, ma soprattutto molti doveri e molti rischi. Secondo Rashì, quando 'Esav diceva che non gli importava la primogenitura perché "andava a morire", non parlava della sua vita rischiosa, ma dei rischi anche mortali della primogenitura, che lui non si voleva assumere. Non dobbiamo pensare semplicemente che noi siamo Ya'aqov e gli altri 'Esav. Se la Torà racconta che la discussione nasce in famiglia tra fratelli gemelli, vuol dire che il rapporto con la primogenitura, tra accoglienza e disprezzo, è questione di casa nostra, è un dissidio tra di noi; e ancora di più che una parte di 'Esav è dentro ognuno di noi.
Che vuol dire disprezzare la primogenitura? Significa non rendersi conto, o non dare importanza alla condizione del tutto speciale che abbiamo come popolo ebraico. Lo si può fare in tanti modi e a tutti i livelli. Si può negare del tutto la propria condizione, cercando di scappare il più lontano possibile. Si può rivendicare una sorta di nobiltà, ma svuotandola degli impegni e dei doveri che la caratterizzano, trasformando e degradando la primogenitura in una distinzione senza contenuto, quasi razzista. Si disprezza la primogenitura mancando di rispetto a tutto o a parte di ciò che ci è stato trasmesso e che dobbiamo a nostra volta vivere e trasmettere.
In questa ora del tutto speciale di eccezionale affollamento, di riunione nel nome di Israele, dobbiamo riflettere su cosa significa essere Israele. Da questa riflessione deve derivare un impegno che non si fermi all'emozione di pochi momenti. Un impegno ad identificarsi nella condizione di essere il popolo figlio primogenito del Signore; senza nessuna presunzione, ma con la consapevolezza di un ruolo importante, da accettare con gioia e ottimismo; l'apprezzamento della nobiltà spirituale si deve riversare nella vita quotidiana: studiamo di più, osserviamo di più, aiutiamo di più.
Questa nostra Comunità, con la sua storia bimillenaria, continua a creare e vivere collettivamente momenti straordinari di coesione e salita spirituale, come li vivremo tra poco nel canto di E-l norà, nella berakhà, nell'ascolto dello shofàr. Sappiamo che sono le cose che ci mantengono in vita e che ci rendono indistruttibili. Tra pochi giorni le massime autorità dello Stato saranno qui con noi a ricordare gli anniversari di eventi tristi, deportazioni e attentati, che non sono stati capaci di distruggerci. Se abbiamo resistito tanto e anzi siamo cresciuti, lo dobbiamo alla consapevolezza dell'importanza del nostro ruolo. Impegniamoci, in questi momenti solenni ad essere coerenti con questa chiamata.
Il 4 ottobre sarà un giornata memorabile per Napoli e il suo porto. Sta infatti per arrivare la terza Freedom Flotilla per Gaza. Il sindaco Luigi De Magistris non sta più nella pelle. Anzi, è già in spolvero e rilascia dichiarazioni ad effetto alle tv locali. Ad esempio parlando di «assedio dell'esercito israeliano» e di «cibi e medicine che non passano». Tutte banalità plurismentite dai fatti, ma sempre buone per il volgo.
Al tg di Julie Italia parla di «Napoli città di pace», e di «pagina storica da scrivere a Napoli», «laddove persino l'amministrazione Obama non è riuscita».
Bellissime parole, ma diventeranno fatti sponsorizzando un'iniziativa a senso unico, dichiaratamente anti israeliana, come la Freedom Flotilla? Che naturalmente neanche quest'anno si dirigerà verso i porti del Libano, magari per poi dirigersi in Siria, ma sempre verso la detestata patria degli ebrei. Con tanto di concerto dei 99 Posse a fungere da fanfara di accoglienza e di raccolta fondi.
In sostanza, la nave Estelle partirà da Barcellona ed arriverà a Napoli il 4 ottobre come ultima tappa, per potersi rifornire di soldi e altri beni, grazie anche al concerto che si terrà la sera dello stesso giorno, presso la Mostra d'Oltremare.
Il sindaco De Magistris ha patrocinato personalmente l'evento, insieme al suo assessore alle politiche sociali, Sergio D'Angelo, sicuro candidato alle prossime elezioni nazionali nella Lista Civica Arancione, che probabilmente farà parte di una coalizione dove ci sarà anche Rifondazione comunista.
Una non indifferente parte della popolazione napoletana, compresa la locale comunità ebraica e le associazioni di amicizia con Israele, non ha però ben digerito l'ennesima trovata pubblicitaria dell'ex pm Lugi de Magistris. E così, dichiarandosi «indignata», gli ha scritto una lettera aperta dai toni molto duri. A essa si è aggiunta la lettera da Israele vergata dall'ex rabbino capo di Napoli, Pierpaolo Pinhas Punturello, che si definisce «un cittadino napoletano, nato a Napoli, di famiglia napoletana da molte generazioni per parte di madre, da appena una sola per parte di padre».
«Ho vissuto a Napoli - esordisce la missiva - dove sono stato rabbino della locale comunità ebraica e certamente Lei avrà già conosciuto chi mi sostituisce, il rabbino Scialom Bahbout. Dico certamente perché da buon primo cittadino il 27 gennaio avrà onorato la Memoria delle vittime della legislazione e persecuzione razzista che ha visto dolore anche nella nostra città, anche tra gli ebrei partenopei».
E ancora: «le Leggi Razziali resero Napoli non più madre ma matrigna e molti ebrei di origine straniera persero per decreto leggi il passaporto italiano e furono espulsi dal Regno di Italia. Così, dopo meno di vent'anni dal loro arrivo a Napoli, molti ebrei greci, ormai partenopei, si ritrovarono di nuovo al porto, imbarcandosi per non tornare. Non erano emigranti, caro sindaco, erano espulsi: apolidi per legge, rifiutati per identità. I fortunati che riuscirono a partire per le Americhe si salvarono, ma molti di loro preferirono tornare in Grecia, dove trovarono la morte per deportazione dopo l'invasione nazifascista».
Poi l'ex rabbino entra nel vivo: «Il nostro porto ha continuato, come il mare che lo bagna, ad accogliere e veder partire umanità e proprio pochi minuti fa ho letto che il veliero Estelle, il convoglio internazionale della "Freedom Flotilla", dal 4 al 6 ottobre sarà accolto nella nostra città che Lei al momento amministra. Ho letto anche del bel concerto che il 22 settembre sarà un momento di raccolta fondi per "sensibilizzare la cittadinanza sulle tragiche condizioni di vita dei palestinesi". Ho citato le informazioni prese dal sito del Comune di Napoli. Caro Sindaco, io le ho raccontato, in poche righe, storie reali, documentate, che Lei potrà verificare di persona, ma a questo punto, Lei mi potrebbe descrivere e documentare le "tragiche condizioni di vita palestinese" che la "Estelle" verrà a lenire?».
«Nel mio piccolo - prosegue la lettera aperta dell'ex rabbino capo di Napoli - nel mio essere cittadino napoletano e gerosolomitano, nel mio essere stato rabbino di quella città, Le chiedo: è mai stato in visita in Israele e Palestina? Prima di pensare al suo dovere di "sensibilizzare la cittadinanza sulle condizioni di vita a Gaza" Lei, gentile Sindaco, è mai stato a Gaza o Ramallah? O ha mai passeggiato per le città israeliane di Sderot, Ashdod, Ashkelon, Beer Sheva ed altre ancora che sono sotto il costante lancio di missili che partono proprio da Gaza? Queste condizioni di vita israeliane non meritano una Flotilla o un concerto? I bambini che hanno imparato a correre nei rifugi prima ancora che a parlare, non hanno diritto ad una qualsiasi barca salvifica?».
Poi la chiosa finale: «Egregio Sindaco, Napoli, attraverso questa iniziativa voluta dalla Sua amministrazione, mi ha schiaffeggiato in quanto suo figlio e non è meno matrigna di quando fece imbarcare i suoi figli espulsi per mondi lontani dai quali non tornarono. Sono certo che il prossimo 27 gennaio Lei renderà omaggio alla Memoria delle vittime degli anni bui del fascismo, prima di farlo, La prego di venire a trovarmi in Israele. Sarà mia cura portarla ad Ashdod. Impari prima a correre però e sappia che il porto di Ashdod è chiuso a causa dei missili lanciati da Gaza. Sensibilizzi i miei concittadini anche su questo argomento».
Insomma una brutta gatta da pelare per il sindaco ex pm e neo-Masaniello del sentire popolare, che si scorda degli ebrei napoletani convinto, forse, che i "poveri palestinesi" di Gaza facciano più audience.
Ora si aspetta una sua risposta, possibilmente non burocratica o di repertorio.
Cento anni fa nasceva Raul Wallenberg, giusto d'Israele
Raul Wallenberg
"Coraggio di fronte al male - In memoria di Raoul Wallenberg" un convegno a Roma ha ricordato il "Giusto fra le nazioni" che in Ungheria salvò migliaia di ebrei dalle deportazioni. Dopo il pellegrinaggio, appena conclusosi, di 2000 giovani europei ad Auschwitz e alla vigilia della festa ebraica dello Yom Kippur, un nuovo tassello si aggiunge alla memoria della Shoà. Raul Wallenberg, diplomatico svedese a Budapest, reagì con coraggio alle inumane deportazioni verso i campi di sterminio concedendo a 100 mila ebrei dei lasciapassare svedesi simili al passaporto. A 100 anni dalla nascita, la sua figura è stata ricordata in un convegno promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, insieme all'Unione delle comunità ebraiche italiane e all'Ambasciata di Svezia presso la Santa Sede. La grandezza di Wallenberg fu nella totale dedizione e generosità con cui salvò la vita di molti ebrei ungheresi nel 1944, ingegnandosi nel trovare tutte le forme possibili di protezione internazionale.
Come racconta Frank Vajda, sopravvissuto alla fucilazione nazista insieme alla famiglia grazie al tempestivo intervento del diplomatico svedese. E ricordando la testardaggine con cui Wallenberg cercava fin dentro i vagoni dei treni destinati ad Auschwitz tutti coloro che pur in possesso del lasciapassare svedese venivano presi dall'esercito tedesco.
"E' importante mantenere viva la memoria dei giusti" ha sottolineato la studiosa Liliana Picciotto Fargion, ricordando anche l'opera di monsignor Verolino, segretario della nunziatura apostolica, che salvò adulti e bambini ebrei rilasciando certificati di battesimo falsi, e Giorgio Perlasca, che fingendosi console spagnolo salvò cinquemila ebrei ungheresi dalla deportazione. Wallenberg «è una di quelle personalità - ha commentato Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane - che ha dimostrato che di fronte al male si può fare qualcosa». Ulla Gudmundson, ambasciatrice di Svezia presso la Santa Sede lo ha ricordato come «un uomo che non si tirò indietro davanti alla barbarie delle deportazioni di Budapest». Bengt Jangfeldt, intellettuale svedese che ha recentemente pubblicato una biografia di Wallenberg, ha ricordato le qualità non comuni, il suo essere un uomo molto colto e dai grandi valori morali, per cui «Nessun altro uomo avrebbe avuto le qualità necessarie per andare in Ungheria a salvare una delle più grandi comunità ebraiche».
L'impegno e l'azione di quest'uomo, che non ha esitato di fronte al pericolo per la sua stessa vita, ne hanno fatto certamente un eroe, come ha commentato Claudio Magris, scrittore e docente di letteratura tedesca, «che ha sfidato difficoltà estreme, rinunciando a se stesso» in nome di «un eroismo che si fonde con l'amore per la vita». L'eroismo della vita di Wallenberg fu spento da una morte tragica e dai contorni ancora poco chiari: arrestato dalle truppe sovietiche nel 1945, il suo corpo non è stato più ritrovato.
TEL AVIV - In occasione del digiuno penitenziale ebraico del Kippur - in cui si bloccano tutte le attività in Israele - le autorità militari hanno oggi imposto la chiusura dei valichi di transito con la Cisgiordania, che resterà in vigore fino al termine della solennità religiosa, domani sera. La polizia israeliana ha intanto elevato lo stato di allerta, in particolare a Gerusalemme est, dove negli ambienti islamici resta elevato il fermento per il film anti-islamico prodotto negli Stati Uniti. Misure cautelative vengono adottate dalla polizia lungo i confini di Israele e nelle città a popolazione mista per evitare frizioni durante il Kippur fra gli abitanti ebrei e i musulmani. Questo provvedimento si è reso necessario dopo che quattro anni fa ad Akko (S. Giovanni d'Acri, presso Haifa) in occasione del Kippur si verificarono tumulti e saccheggi.
Mostra fotodocumentaria. "Gli ebrei sotto il Regno sabaudo"
Combattenti, Resistenza, Shoah", mostra fotodocumentaria al Museo del Mare, dal 10 ottobre all'1 novembre 2012
La mostra - si legge in un comunicato - è volta ad evidenziare "la grande partecipazione degli ebrei italiani nelle guerre del Risorgimento, nei conflitti in Libia ed Etiopia, nella Prima guerra mondiale e nella Resistenza" puntando principalmente sui documenti, postali (quindi lettere, cartoline, affrancature ) e non (foto, giornali, etichette ) a dimostrare quanto gli Ebrei fossero attivi nella vita politica italiana.
Il catalogo è senza dubbio un contributo prezioso per tutti coloro che credono che il futuro possa essere migliore, non smettendo mai di imparare e di ricordare sia le grandi vittorie, che gli errori più tragici .
I primi pannelli della collezione sono dedicati alle guerre risorgimentali: tra le tante foto segnaliamo quelle tratte dall'album curato nel 1860 da Alessandro Pavia con le immagini dei mille garibaldini sbarcati a Marsala tra i quali ben sette erano ebrei.
Molti furono i giovani ebrei che nel 1911 parteciparono alla guerra italo-turca e subito dopo si trovarono impegnati nella Prima Guerra Mondiale.
La partecipazione ebraica alla guerra 1915-18 da parte di tanti ebrei giovani e anziani, fu entusiasta e massiccia, e Gianfranco Moscati vi dedica molto spazio attingendo anche dai suoi album di famiglia.
Un pannello della mostra è dedicato al corpo delle infermiere della CRI, tanto attive in zona di guerra: molte foto e medaglie riguardano Pia Del Vecchio, zia di Gianfranco Moscati.
Nell'obiettività della narrazione fotografica non potevano mancare le riproduzioni attestanti la partecipazione ebraica al movimento fascista e la documentazione della presenza dei giovani ebrei nella guerra italo-etiopica e in quella civile spagnola.
Il pannello dedicato al Bethar, scuola nautica fondata a Civitavecchia nel 1935 dal movimento sionista, dove alcune centinaia di giovani si preparavano a divenire futuri marinai, rileva l'ambigua condotta di Mussolini nei confronti degli ebrei
È stato dato molto spazio al contributo ebraico alla resistenza con i documenti forniti da Umberto Terracini e al ricordo dell'eccidio dei fratelli Nello e Carlo Rosselli.
Obiettivo della mostra è innanzitutto un omaggio ai 150 anni dell'unità d'Italia insieme a una testimonianza delle radici del legame fra l'epopea risorgimentale della Penisola e quella del sionismo.
Il Risorgimento italiano «è progredito di pari passo con l'integrazione degli ebrei nella società, i quali hanno sviluppato una coscienza di sé come italiani condividendo una lotta per la quale erano pronti a dare la vita».
A sorprendere è soprattutto la «Corona dei Cannoni», un oggetto in argento che sovrastava il rotolo della Torah - il Pentateuco - donata alla sinagoga di Alessandria proprio in ricordo di questo sovrano; « un oggetto unico nel suo genere, poiché, invece dei motivi ricorrenti dell'iconografia ebraica, è adornato con cannoni, bandiere da guerra e altri elementi militari frutto dell'entusiasmo patriottico della comunità del tempo».
Lo stesso patriottismo viene espresso nei documenti che descrivono, i "patti nuziali", (le Ketubbot) provenienti dall'Archivio storico della Comunità ebraica di Roma, che in quell'epoca sono stati abbelliti con i colori del vessillo nazionale italiano.
Il percorso della Mostra si sviluppa su 26 pannelli, stampati a colori su supporti fotografici, nel formato 100x70 centimetri e con lo stesso titolo è disponibile anche sotto forma di pubblicazione, organizzata per argomento.
I proventi della vendita del catalogo della Mostra, circa 70 pagine a colori, saranno interamente devoluti in parti uguali a favore dei bambini delle associazioni che Gianfranco segue da anni: Alyn,( l'ospedale pediatrico di Gerusalemme) e il laboratorio culturale con e per i bambini "Gioco, immagine e parole" (scuola elementare di san Giovanni a Teduccio).
La mostra, che verrà inaugurata il 10/10/2012 sarà introdotta da brevi interventi del Cav. Gianfranco Moscati, della Prof.ssa Angela Procaccini, del Prof. Francesco Soverina e della Pro.ssa Maria D'Ambrosio e resterà esposta fino al 1/11/2012.
E' morto Yehuda Elkana, studioso di antropologia della conoscenza
GERUSALEMME, 25 set. - Il filosofo israeliano Yehuda Elkana, autore di importanti contributi teorici sulla filosofia della scienza e l'antropologia della conoscenza, e' morto a Gerusalemme, in seguito ad un tumore, all'eta' di 78 anni. Nato nel 1934 in Jugoslavia da un famiglia ebraica, durante la seconda guerra mondiale fu internato per un anno in un campo di concentramento nazista. Nel 1948 Elkana si trasferi' in Israele e in seguito negli Stati Uniti, studiando filosofia e fisica alla Brandeis University. Dopo aver insegnato per un anno alla Universita' di Harvard, Elkana torno' in Israele, insegnando al Dipartimento di Storia e Filosofia della Scienza della Universita' Ebraica di Gerusalemme, ricoprendo anche l'incarico di direttore.
Una vera e propria montagna di rifiuti, alta 60 metri e che si estende su una superficie di 2000 ettari alla periferia di Tel Aviv, sarà convertita in un parco ecologico che oltre a consentire ai cittadini lunghe passeggiate nel verde, produrrà anche energia verde.
L'ex rabbino di Napoli scrive a de Magistris. "Ebrei schiaffeggiati da iniziativa pro-Palestina"
di Fabrizio Ferrante
NAPOLI - Alcuni giorni fa Pierpaolo Pinhas Punturello, un cittadino napoletano residente in Israele nonché ex rabbino della nostra città, ha inviato una lettera aperta al sindaco, Luigi de Magistris, con cui si tenta di squarciare il velo di ipocrisia dilagante, circa l'univocità della narrazione del conflitto mediorientale. La missiva, rilanciata dalla pagina Facebook "sinistra per Israele senza se e senza ma" è stata inviata a seguito di un'iniziativa del Comune, mirante a "sensibilizzare la cittadinanza sulle tragiche condizioni di vita dei palestinesi".
La lettera di Punturello si apre con la descrizione della storia di una famiglia ebrea napoletana, attualmente residente a Gerusalemme ma legata ugualmente a doppio filo con il capoluogo campano, al punto che, si legge:
"a Napoli sono nati i nostri figli. Attualmente risiedo con la mia famiglia a Gerusalemme, ma il mio essere napoletano, i colori, gli odori, il porto della mia città sono dentro di me e dentro la storia della mia famiglia".
La descrizione delle peripezie vissute dalla famiglia dell'ex rabbino, coincidenti con quelle di tante altre famiglie ebree costrette a lasciare Napoli e l'Italia a seguito delle leggi razziali del 1938, chiarisce ulteriormente il legame a doppio filo fra i napoletani di Gerusalemme e la propria città d'origine. Secondo Punturello, l'iniziativa pro-Palestina del sindaco Luigi de Magistris, col patrocinio dato a un concerto svoltosi ieri e con l'accoglimento nel porto cittadino di Estella, una nave della Freedom Flottilla - secondo alcuni una macchina da soldi di Hamas - rappresenta uno schiaffo ulteriore.
Queste le parole dell'ex rabbino:
"Egregio Sindaco, Napoli, attraverso questa iniziativa voluta dalla Sua amministrazione, mi ha schiaffeggiato in quanto suo figlio e non è meno matrigna di quando fece imbarcare i suoi figli espulsi per mondi lontani dai quali non tornarono. Sono certo che il prossimo 27 gennaio Lei renderà omaggio alla Memoria delle vittime degli anni bui del fascismo, prima di farlo, La prego di venire a trovarmi in Israele. Sarà mia cura portarla ad Ashdod. Impari prima a correre però e sappia che il porto di Ashdod è chiuso a causa dei missili lanciati da Gaza. Sensibilizzi i miei concittadini anche su questo argomento".
Sderot, Ashdod, Ashkelon, Beer Sheva sono alcune delle località israeliane poste al confine con la striscia di Gaza, da cui ogni giorno partono razzi diretti su scuole, mercati e centri abitati. In queste città, spiega Punturello, i bambini imparano prima a correre nei rifugi e poi a parlare, ma probabilmente per loro nessuna amministrazione e nessuna "flottilla", si muoveranno a difesa di diritti essenziali come la sicurezza. Del resto, in molti ambienti vicini alla "rivoluzione arancione" si è soliti indossare la kefia e demolire Israele perché "fa figo", senza neppure cercare di distinguere fra il popolo israeliano - vittima di decenni di guerre almeno come quello palestinese - il complotto "pluto-giudaico-massonico" e il tanto vilipeso Mossad. Gli israeliani, dunque, sono persone normali - seppur anch'essi troppo indietro sul fronte della laicità delle istituzioni - e non una sorta di setta al servizio delle massonerie del mondo.
La propaganda terzomondista spesso omette di ricordare che il popolo israeliano rappresenta un avamposto di democrazia in Medio Oriente e non è un caso se fra i finanziatori principali di Hamas, vi sia l'Iran. Sia la repubblica islamica che il partito palestinese - vincitore delle elezioni 2006 ma anche nella lista nera delle organizzazioni terrositiche di Ue, Usa, Canada, Giappone e Giordania - mirano infatti esplicitamente alla cancellazione fisica di Israele. La soluzione ideale sarebbe forse l'estensione dei diritti vigenti in Israele anche ai cittadini palestinesi - a loro volta soffocati da governanti capaci di erogare solo propaganda e misure assistenziali miranti al reclutamento - nell'ambito di uno stato federale, multietnico e multi confessionale. Una prospettiva in grado di mandare in soffitta la ricetta stantia dei "due popoli due stati". Il tutto, magari, condito da un ingresso nell'area Ue come auspicato da anni da Marco Pannella anche per tutti i paesi della sponda sud del Mare Nostrum, nell'ambito di un progetto "Euromediterraneo" come naturale evoluzione dell'Europa.
La soluzione, tuttavia, toglierebbe a molti la possibilità di lucrare su un conflitto dove in ambienti snob e terzomondisti - popolati di giovanotti che sanno poche cose e spesso confuse - fa comodo dipingere Israele come Satana e la Palestina come un martire. I cittadini israeliani e tutti coloro che provano a leggere il conflitto palestinese in maniera diversa dall'ideologia filo-palestinese dilagante, meritano rispetto e tutela da chi rappresenta lo Stato anche un semplice comune. Accogliamo dunque la lettera di Punturello e ci aggiungiamo al suo saluto di pace. Shalom.
Commedia israelo-palestinese a Napoli Film Festival
Per la sezione Europa-Mediterraneo, 'Man Without a Cell Phone'
NAPOLI - Un padre fiero oppositore degli israeliani; un figlio a cui interessano soprattutto gli sms con le ragazze; le onde elettromagnetiche di un'antenna per cellulari. Sono questi gli ingredienti salienti di ''Man Without a Cell Phone'', la cooproduzione franco-israelo-palestinese che verra' proiettata martedi' 25 al Napoli Film Festival nella sezione Europa-Mediterraneo. Il film e' l'opera prima di Sameh Zoabi, regista cresciuto in un villaggio palestinese nei pressi di Nazareth e laureatosi alla Tel Aviv University, che si era gia' fatto conoscere al Festival di Cannes nel 2005 con il suo corto ''Be quiet''. Qui Zoabi mette in scena una commedia sulla difficile convivenza arabo-israeliana. Al centro della scena c'e' Jawdat, un ventenne a cui interessa solo uscire con le ragazze, siano essere arabe, ebree o cristiane. Suo padre, invece, si batte per far togliere dal villaggio un ripetitore per cellulari israeliano, convinto che faccia male alla salute dei suoi concittadini. Quando pero' riesce a far togliere l'antenna, Jawdat si ritrovera' senza campo per il cellulare e senza la possibilita' di contattare le sua amiche. Il problema della coesistenza di israeliani e palestinesi e' quindi affrontato con ironia e il film ha riscosso un buon successo internazionale: e' infatti stato selezionato anche per il prestigioso Tribeca Doha Film Festival, lo spin off qatariota della rassegna cinematografica fondata da Robert De Niro a New York. ''L'uomo senza cellulare'' e' uno degli eventi della XIV edizione del Napoli Film Festival cominciato oggi: quest'anno la rassegna napoletana si divide in due tranches. Fino al 29 settembre ''occupera''' tutta la citta', portando un fiume di cinema all'Istituto di Cultura francese Grenoble, all'Accademia di Belle Arti e al Pan (Palazzo delle Arti). Dal 29 al 3 ottobre il Napoli Film Festival tornera' invece a concentrarsi nella sua sede tradizionale di Castel Sant'Elmo. Oltre al concorso Europa-Mediterraneo, vinto lo scorso anno dal film israeliano ''A cinque ore da Parigi'', la rassegna napoletana propone un'ampia retrospettiva dedicata a Francois Truffaut ed uno sguardo al cinema di un altro autore francerse, Paul Vecchiali, che sara' anche a Napoli per tenere a Castel Sant'Elmo una lezione di cinema agli studenti universitari. Spazio anche al cinema degli esordienti con i concorsi Schermo Napoli Cortometraggi, Documentari e Scuola, mentre la chiusura del festival sara' dedicata alla ''prima'' napoletana di ''Enzo Avitabile Music Life'', il film sul musicista partenopeo girato dal regista premio Oscar Jonathan Demme e accolto con successo alla recente Mostra del Cinema di Venezia.
Nascosero per quattro anni una famiglia ebrea. Oggi "Giusti tra le nazioni"
La famiglia Diena venne ospitata dal '41 al '45 nell'osteria della famiglia Lomazzi. I due figli piccoli diventarono amici, tra giochi e tensioni. Si rincontreranno a ottobre per la consegna del riconoscimento
di Manuel Sgarella
Pietro Lomazzi
Sono diventati amici in un'osteria di Tradate. Avevano 7 e 10 anni. Pietro e Joel, cristiano il primo, ebreo il secondo. Intorno a loro la guerra, il fascismo, le ispezioni dei tedeschi. Hanno vissuto insieme per quattro anni, dal '41 al '45: il padre di Pietro aveva nascosto per tutto il tempo il piccolo Joel e i suoi genitori, tra paure, tensioni, timori.
I due bambini sono cresciuti, hanno preso strade diverse, oggi hanno 75 e 78 anni, ma si incontreranno nuovamente il 23 ottobre, quando sarà consegnato a Pietro il riconoscimento "Giusto tra le nazioni", in memoria dei suoi genitori, direttamente dall'ambasciatore di Isreale in Italia. Un riconoscimento fortemente voluto da Joel, negli anni diventato anche lui ambasciatore in Canada, che non vuole dimenticare quanto accaduto in quegli anni.
«Mio padre aveva un'osteria in viale Marconi - ricorda Pietro Lomazzi -. Si dava parecchio da fare e a volte si ospitavano anche delle persone. Non so come, ma accettò di nascondere questa famiglia con un bambino. Conobbi così Joel e diventammo subito amici. È stato il mio amico, un vero amico, non come si dice oggi dove troppo spesso di usa questa parola per i conoscenti».
Lomazzi è una persona schiva, nonostante un passato da calciatore professionista (ha militato nel Varese e nel Novara negli anni '60). Ricorda con emozione i momenti passati con Joel e la sua famiglia: «Allora non ci potevamo rendere conto di quanto ci stava accadendo intorno - spiega -. I miei genitori lo sapevano benissimo, ma non hanno mai esitato. Li hanno ospitati senza mai chiedere niente in cambio, per quattro anni. Mio padre aveva cercato di farli fuggire in Svizzera ma non ci era
riuscito. Se poi penso che l'osteria era frequentata anche da fascisti e simpatizzanti, mi chiedo ancora come abbia fatto».
Pietro ricorda i giochi, le partite a pallone a cui partecipava Joel, ma anche le tensioni. «Non stava nascosto, uscivamo a giocare, stavamo sempre insieme. Alla fine io avevo 7 anni, lui 10 - ricorda -. Un giorno ci fu un'ispezione da parte dei tedeschi. Entrarono prepotentemente dalla porta, lo vedo ancora oggi, e vollero vedere dappertutto. In quel periodo mio padre ospitava anche una famiglia di milanesi e quando i tedeschi chiesero chi fossero Joel e i suoi genitori, mio padre li convinse che erano milanesi pure loro. Offri un bicchiere di buon vino e tutto passò. Ma la paura fu enorme per tutti. Quello che invece ricordo con più piacere è il pane giallo con aglio e olio che ci preparava la madre di Joel. Era buonissimo».
Pietro e Joel si sono rincontrati l'ultima volta nel 2009. «In questi 70 anni ci siamo visti tre o quattro volte, l'ultima tre anni fa quando fece coi suoi famigliari una sorta di pellegrinaggio per far vedere loro dove visse durante la guerra. Ci incontrammo per caso in strada ad Abbiate e ci siamo riconosciuti subito - ricorda Pietro commosso -. Poi l'anno scorso mi è arrivata la telefonata dell'ambasciata che mi diceva del riconoscimento. Pensavo fosse uno scherzo, aveva fatto tutto Joel».
Il titolo di "Giusto tra le nazioni" sarà quindi assegnato ai genitori di Pietro, Erminio e Ada Lomazzi, ed anche agli zii Davide Lomazzi e Giovanna Galparoli, e Giuseppina Lomazzi e Carlo Galbiati. La cerimonia si svolgerà al Liceo Curie, di fronte agli studenti, il prossimo 23 ottobre, alla presenza dell'ambasciatore d'Israele in Italia. Ci sarà anche Joel I. Diena per un nuovo abbraccio con il suo amico Pietro.
MediterraneoVideo Festival: Vince il film israeliano "Escapeland"
AGROPOLI - Si è conclusa la quindicesima edizione del MediterraneoVideo Festival, rassegna internazionale del cinema documentario.
La giuria composta da Paolo Lapponi, Alessandra Vanzi, Elisabetta Caracciolo ha assegnato il premio al miglior documentario a "Escapeland" di Oren Tirosh (Israele) con la seguente motivazione: "Per la personalissima capacità narrativa dell'autore nel partecipare, condividere e seguire nel tempo le vicende dei protagonisti e per la poetica sensibilità con cui documenta l'amore forte e tenace da tutti ostacolato, simbolo dell'incontro tra due culture diverse sul tragico sfondo della situazione geopolitica mediterranea".
Hamas ha allestito in Cisgiordania una rete di "celle segrete": lo ha rivelato il responsabile dei servizi segreti dell'Autorità nazionale palestinese. In particolare l'Anp ha scoperto una prigione clandestina di Hamas a Nablus in Cisgiordania. Sotto un ristorante è stato scoperto un tunnel che porta ad un bunker dove si trova una stanza usata come prigione clandestina, dotata di apparecchiature di trasmissione. Secondo l'Anp, celle analoghe sono state allestite anche in altre località della Cisgiordania.
Ritrovata vicino a Ein Zippori una ciotola di pietra risalente a 7000 anni fa contenente oltre 200 grani di pietra forati. Secondo gli archeologi gli oggetti hanno viaggiato per centinaia di chilometri e appartenevano a esponenti della civiltà Wadi Rabbah, chiamata così per via del sito vicino Tel Aviv in cui furono per la prima volta scoperte tracce di questa antica popolazione.
Khaled Mashaal ha deciso di lasciare la guida di Hamas. Il capo dell'ufficio politico del movimento palestinese non si ricandiderà per il terzo mandato alla guida del gruppo. Secondo indiscrezioni pubblicate oggi dal giornale arabo 'al-Sharq al-Awsat', Mashaal avrebbe deciso nel corso di un vertice che si è tenuto nei giorni scorsi al Cairo di non ripresentarsi a causa di forti divergenze sorte di recente con la dirigenza di Hamas nella striscia di Gaza. A guidare la corrente che si oppone a lui è l'ex ministro degli Esteri palestinese e leader dell'ala più oltranzista, Mahmoud al Zahhar, sostenuto dal vice di Mashaal, Musa Abu Marzuq, candidato insieme ad Ismayl Haniye alla successione. Fonti interne ad Hamas hanno riferito al giornale arabo che "alla luce di questi scontri Mashaal si è detto non più disponibile a combattere una nuova battaglia".
L'ayatollah Khamenei ingiunge di cessare gli attacchi contro gli israeliani
Il canale televisivo Al-Arabia ha riferito che la guida suprema dell'Iran, l'Ayatollah Ali Khamenei, ha disposto di cessare l'attività terroristica su scala globale.
Il relativo ordine ufficiale è stato dato al comando del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, incaricato di esercitare la supervisione sulle operazioni sovversive all'estero.
Khamenei, come si afferma, vuole che il corpo concentri le forze sui problemi regionali e smetta di disperdere le risorse nei tentativi di attaccare cittadini israeliani in tutto il mondo.
Negli ultimi mesi sono stati compiuti attacchi e tentativi di attacchi a cittadini israeliani in India, Thailandia, Georgia, Bulgaria ed altri paesi. Le autorità israeliane accusano l'Iran di attinenza con l'organizzazione di questi attacchi.
Il 20 settembre alle esercitazioni delle Forze Aeree d'Israele è accaduto un fuoriprogramma. Due aerei F-16 "Barack" per poco non si sono scontrati in volo. Ai comandi si trovavano due generali di brigata che hanno violato seriamente le regole di sicurezza. I loro aerei volavano all'incontro l'uno dell'altro e si sono allontanati alla distanza di non più di 100 metri.
Le esercitazioni d'emergenza sono iniziate il 19 settembre. Il loro scopo è controllare il livello di prontezza dell'esercito israeliano in caso d'improvvisa guerra in condizioni di tensione crescente tra l'Israele e l'Iran.
Incubo iraniano: migliaia di pasdaran in Siria pronti a colpire Israele
di Miriam Bolaffi
Secondo alcuni rapporti convergenti dei servizi israeliani, americani e turchi, l'Iran sta inviando migliaia di pasdaran in Siria, ufficialmente per dare man forte al regime di Bashar al Assad, in realtà per preparare una vera e propria forza offensiva contro Israele.
Decine e decine di aerei atterrano ogni giorno all'aeroporto di Damasco scaricando armi e uomini iraniani. Lo scudo è quello perfetto di un accordo di mutua assistenza tra Teheran e Damasco. In realtà l'Iran sta posizionando in Siria un vero e proprio esercito pronto a colpire Israele nel caso a Gerusalemme decidessero di attaccare i siti nucleari iraniani.
Il piano, svelato dai servizi israeliani e americani, sarebbe quello di coadiuvare un attacco di terra contro Israele in collaborazione con Hezbollah e, forse, Hamas. Il conflitto siriano offre uno scudo perfetto per mettere a punto questo piano criminale. Nessuno può controllare quanti siano i pasdaran iraniani in Siria, che armi hanno e quali siano realmente i loro obbiettivi. Secondo i servizi turchi i pasdaran presenti in Siria sarebbero già diverse migliaia, notizia confermata dai satelliti americani.
Gli iraniani non negano che pasdaran e Forze Qod siano in Siria, ma mentono palesemente sui numeri. Qualche giorno fa il capo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana, Mohammad Ali Jafari, ha ammesso la presenza di "un certo numero di Forze Qod" alludendo a qualche centinaio di uomini con il compito di "consulenti". In realtà sono migliaia di uomini, ben armati, altamente addestrati e con ben altri obbiettivi di quelli dichiarati, cioè aiutare Assad.
L'allarme in Israele è altissimo. Non è un caso che nei giorni scorsi si siano tenute grandi manovre militari sulle Alture del Golan e che l'IDF abbia ulteriormente rafforzato il contingente Nord. Gli analisti dei servizi danno per certa una azione militare iraniana in caso di attacco alle centrali atomiche, ma non escludono nemmeno una "azione preventiva". Avere migliaia di pasdaran iraniani massicciamente armati a pochi Km dal confine con Israele è il peggior incubo che potesse capitare al piccolo Stato Ebraico.
L'Iran mostra i muscoli: sfilano i nuovi missili di Teheran
I pasdaran: "Israele prima o poi ci attaccherà, ma siamo pronti"
TEHERAN - Venti di guerra sull'Iran. Di recente, il comandante dei Guardiani della Rivoluzione, le forze d'elite dei pasdaran della Repubblica islamica, ha avvertito senza mezzi termini: Israele prima o poi ci attaccherà. Ma saremo capaci di difenderci.Per confermare le parole del generale Mohammed Ali Jafari, nei giorni scorsi a Teheran si è svolta un'imponente parata militare che ha celebrato il 32esimo anniversario dell'inizio della guerra con l'Iraq e con la quale l'Iran ha inteso mostrare i muscoli davanti all'opinione pubblica interna e, soprattutto, esterna.Fiore all'occhiello della giornata il nuovo sistema di difesa missilistico. Con le truppe hanno sfilato anche i missili Sajjil-2 e Ghadr F-1 che hanno un raggio d'intervento di oltre 2.000 chilometri, monito non ambiguo diretto soprattutto nei confronti di Israele e Stati Uniti che non hanno mai escluso un intervento militare contro gli impianti nucleari in costruzione di Teheran.Il generale Ataollah Salehi, capo di stato maggiore dell'esercito iraniano ha voluto mettere in guardia eventuali aggressori con l'esempio della Prima guerra del Golfo: "Abbiamo già combattuto una guerra durissima, durata otto anni. Non sono riusciti a sconfiggerci allora e non lo saranno nemmeno oggi che siamo diventati ancora più forti". E il mondo trattiene il fiato.
Israele e Palestina uniti dal business: sfruttare il gas
GERUSALEMME - Con la mediazione di Tony Blair, nella sua veste di inviato del Quartetto (Onu, Ue, Usa e Russia) per il Medio Oriente, Israele e l'Autorità nazionale palestinese (Anp) stanno negoziando un rarissimo accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas scoperto al largo della Striscia di Gaza: si stima che abbia una capacità di 28 milioni di metri cubi. Il tutto senza coinvolgere Hamas, che controlla l'enclave costiera dal giugno del 2007, e che ha già fatto sapere che non riconoscerà alcuna intesa che non la veda coinvolta. Le royalties che l'Anp potrebbe ottenere dall'operazione sarebbero un toccasana per le disastrate finanze palestinesi.
Il gruppo estremista che uccide i soldati israeliani
di Tommaso Caldarelli
Si autodefiniscono Supporters of the Holy Places e sono un gruppo militante estremista islamico ben poco noto finora che ha rivendicato l'attacco oltre frontiera che ha portato alla morte un soldato israeliano lo scorso weekend. Secondo il New York Times attacchi di questo tipo non fanno che sottolineare le difficoltà del governo egiziano recentemente insediato nella gestione dell'area del Sinai.
RIVENDICAZIONE - Secondo la National Public Radio americana, anche quest'attacco sarebbe da collegarsi al video "Innocence of Muslims", che ha creato la recente ondata di proteste nel mondo islamico. I militanti sarebbero di nazionalità egiziana e l'intera operazione sarebbe da considerarsi "un attacco disciplinare contro chi ha insultato l'amato Profeta", riporta ancora la NPR. La radio americana, che chiama il gruppo, invece, "Ansar Jerusalem", spiega che "tre militanti avrebbero attraversato il confine verso Israele nella prima giornata di venerdì, hanno poi avvistato e attaccato una pattuglia israeliana". Secondo il gruppo alcuni ebrei sarebbero stati coinvolti nella realizzazione del video parodistico, il che è falso: i tre guerriglieri sarebbero stati poi uccisi dall'esercito israeliano e i loro corpi sarebbero stati riportati poi in territorio egiziano.
SOVRANITA' - Il presidente Mohammed Morsi ha il suo bel daffare nel placare una regione, il Sinai, prevalentemente abitata da beduini che considerano "i proventi di contrabbando" un diritto di nascita e che, per vero, erano abbastanza indisciplinati ed anarchici anche al tempo di Hosni Mubarak; durante la rivolta di Piazza Tahrir, la polizia ha rotto i ranghi e le illegalità sono aumentate. Ora, per il presidente Morsi, la riaffermazione della sovranità egiziana nel Sinai è "una priorità".
COSENZA, 23 set. - La festa ebraica del Kippur, ovvero dell'espiazione e del perdono, sara' celebrata a Ferramonti quest'anno da alcuni rappresentanti della comunita' ebraica calabrese.
Nel sito dove durante la seconda guerra mondiale vennero internati ebrei e oppositori politici, gli ebrei andranno a pulire le tombe al cimitero di Tarsia di coloro che non sono sopravvissuti, non potendo cosi' riacquistare la propria liberta' al termine del conflitto e dei disordini, e porranno un sassolino, come vuole la tradizione per ricordare la persona scomparsa.
Nella festa di Kippur - spiega Antonio Sorrenti, presidente del Centro studi Triveneto sulla Shoah all'Adnkronos - noi ebrei andremo a chiedere scusa e perdono a chi abbiamo offeso e restituiremo il maltolto. Poi andremo al tempio, fortunato chi ce l'ha, io andro' alla fiumara o al giardino dei giusti e chiedero' perdono all'Eterno. Preghero' una intera giornata, e sara' una intera giornata di intensita' tra me il Padre mio e gli altri".
La festa dello Yom Kippur segue l'inizio dell'anno ebraico Rosh ha Shanah, che quest'anno Sorrenti ha celebrato con una manifestazione simbolica a Reggio Calabria. Ha suonato e letto i salmi davanti a quattro luoghi simbolo della citta' dello Stretto.
Il primo e' l'incrocio tra via Aschenez e via Giudecca, un posto particolare perche' ad Askenez, pronipote di Noe', viene attribuita la fondazione di Reggio Calabria. Poi lo Shofar (lo strumento ricavato dal corno di montone) ha suonato in piazza Italia dove si trovano le sedi del Comune, della Provincia e della Prefettura di Reggio Calabria; ancora a palazzo Campanella dove risiede il Consiglio regionale della Calabria; e infine sotto l'abitazione di Cristina Marrari, il cui padre fu uno dei marescialli "buoni" al campo di Ferramonti durante la seconda guerra mondiale. Il messaggio e' duplice: da una parte pregare per i governanti, dall'altra ricordare chi ha fatto del bene.
Anche gli abitanti di Tarsia andavano alle tumulazioni. A Ferramonti la festa del Kippur assume un significato particolare. "A Ferramonti si moriva - spiega Sorrenti - e quando si moriva il rito aveva due valenze, il rito ashkenazita e il rito sefardita, su cui non entro nelle sfumature. Vorrei solo far notare che gli ebrei si sono autotassati nella loro poverta' e si sono comprati il terreno sia al camposanto di Tarsia che di Cosenza. Quando il morto veniva tumulato - prosegue - stranamente erano presenti a Tarsia anche gli abitanti di quel cocuzzolo dove volano le aquile".
La presenza della comunita' ebraica nel giorno dello Yom Kippur vuole dunque ricordare quegli anni dolorosi perche' servano a purificare l'anima. Esperienza aperta anche ai profani con la preghiera finale del Kaddish. "Noi ogni anno - spiega ancora il professore Antonio Sorrenti - andiamo a testimonianza di quella triste memoria. Ripuliamo le lapidi e le abbelliamo, certamente non portando fiori. Reciteremo un profondo e commovente salmo che poi finira' con la preghiera del Kaddish". L'esperienza a Ferramonti e' aperta anche ai non ebrei.
Coloro che verranno - continua Sorrenti - potranno assistere alla pulizia del sito e spiegheremo com'era composta l'associazione della mutualita' della morte. Racconteremo come era il rito e il lavaggio del morto, quali erano le preghiere e quali i tempi di attesa tra la morte e la tumulazione della salma". Le celebrazioni ebraiche proseguiranno nei prossimi giorni con la festa delle capanne (sukkot) che ricorda la vita del popolo di Israele nel deserto durante il loro viaggio verso la terra promessa, la terra di Israele. Durante il loro pellegrinaggio nel deserto essi vivevano in capanne, appunto.
I telefoni marchiati Apple sarebbero "strumenti di corruzione spirituale"
GERUSALEMME - Il mondo ortodosso in Israele è sceso oggi sul sentiero di guerra contro gli iPhone, in quanto "strumenti di corruzione spirituale". "È vietato possederli - ha stabilito il rabbino Yosef Haim Kanievsky (84) - e chi ce li ha deve bruciarli". Poi, per evitare malintesi, ha aggiunto: "È vietato anche vendere quegli apparecchi a Gentili (non ebrei), così come non venderemmo loro strumenti di guerra".
Pubblicato con grande risalto sulla prima pagina del giornale ortodosso 'Yated Neeman', il messaggio incendiario del religioso (particolarmente venerato negli ambienti religiosi locali) ha avuto immediata risonanza perchè va ad aggiungersi ad altre parole d'ordine militanti di rabbini massimalisti contro l'internet in tutte le sue forme.
Un importante rabbino ortodosso, ricorda il sito religioso Kikar ha-Shabat, ha osservato di recente che "i nuovi strumenti tecnologici provocano un disastro spirituale, corrompono i giovani".
"Chi entra a casa mia con un apparecchio del genere - ha insistito il rabbino - è alla stregua di un terrorista che venisse con una bomba". Gli unici telefoni cellulari tollerati dai rabbini ortodossi sono quelli di modello più antiquato, che consentono di conversare ma non di riprendere immagini o di entrare nel web.
Il Gruppo Ansar Jerusalem rivendica lattacco di venerdì nel Sinai
IL CAIRO, 23 set. - Il gruppo Ansar Jerusalem, che si ispira ad al-Qaeda e ha la propria base nella penisola del Sinai, ha rivendicato la responsabilità della sparatoria avvenuta venerdì lungo il confine tra Egitto e Israele, in cui hanno perso la vita tre militanti e un soldato israeliano. La formazione, in un comunicato pubblicato su alcuni forum di militanti nella tarda serata di ieri, spiega che l'assalto è stato lanciato in protesta contro il film 'Innocence of Muslims', che ha scatenato manifestazioni in tutto il mondo islamico.
L'operazione, si legge nella dichiarazione, è stata "un attacco disciplinare contro coloro che hanno insultato l'amato profeta". Il gruppo spiega che tre militanti hanno superato il confine israeliano nelle prime ore di giovedì, poi sono rimasti nascosti fino a mezzogiorno di venerdì, quando hanno lanciato l'assalto contro le pattuglie.
Sarà uno dei massimi scrittori israeliani, Aharon Appelfeld, a coronare oggi la tredicesima edizione di Pordenonelegge. L'autore di Storia di una vita e di Badenheim, di cui da poco Guanda ha mandato in libreria Il ragazzo che voleva dormire (301 pp., traduzione di Elena Loewenthal), incontrerà il suo pubblico questa sera al Convento di San Francesco. La sala preannuncia già il tutto esaurito, tanto che gli organizzatori suggerivano ieri di recarsi sul posto con buon anticipo. Appelfeld, con suoi modi garbati e schivi e la poesia lieve e densa che contraddistingue la sua opera, è d'altronde ormai uno degli autori israeliani più amati e apprezzati dai lettori italiani che mai come in queste occasioni mostrano vitalità e voglia di conoscere.
Da Alain Finkielkraut a Niccolò Ammaniti, dal grande poeta americano Charles Simic a Ian Mc Ewan, da Peter Cameron a Claudio Magris, gli appuntamenti del festival curato da Alberto Garlini, Valentina Gasparet e Gian Mario Villalta registrano un riscontro senza precedenti. Segno che malgrado il crollo nelle vendite dei libri stimato a livello nazionale nell'ordine del 20 per cento (ma i librai locali parlano di quasi il 40 per cento) il piacere della cultura rimane forte. Tanto che catturano il pubblico anche incontri di non immediata lettura quale quello con Alain Finkielkraut, il filosofo francese che questa mattina ha affrontato le grandi domande del nostro tempo: che cos'è la civiltà? cosa sono l'arte, l'ideale e la grazia? Tutti quesiti che, secondo l'autore di Un cuore intelligente, possono trovare risposta nella letteratura. "Se sappiamo qualcosa sull'amore, sull'odio o sui sentimenti, sono stati portati al linguaggio dalla letteratura - afferma - Non abbiamo bisogno della letteratura per imparare a leggere ma per sottrarre il mondo alle letture sommarie: la realtà ci viene nascosta da molti sipari e leggende che la letteratura contribuisce a strappare".
E a confermare l'attrazione per la lettura, l'interesse suscitato da Pagine Ebraiche. Presenza già apprezzata e gradita in molti appuntamenti culturali, dal Salone del libro di Torino al Festivaletteratura di Mantova, quest'anno il giornale dell'ebraismo ha infatti debuttato anche a Pordenonelegge con un dossier sul complesso tema della lingua e dei linguaggi, affrontato attraverso una serie d'interviste a grandi autori contemporanei.
Israele: no alla revisione degli accordi con lEgitto
Dopo voci dal Cairo su intenzioni di riesame
GERUSALEMME, 23 set - Israele esclude qualsiasi revisione del protocollo relativo alla smilitarizzazione del Sinai concordato nel contesto degli accordi di pace con l'Egitto raggiunti da Anwar Sadat e Menachem Begin. Lo ha affermato il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, commentando informazioni giunte dal Cairo secondo cui i dirigenti egiziani vorrebbero invece riesaminarlo per rendere piu' efficace il loro controllo sul Sinai alla luce di una serie di attentativi verificatisi in quella Regione.
Specialità kosher: la cultura di Israele conquista Bologna
di Gabriele Orsi
Il 23 settembre 2012 a Bologna in Corte Isolani
BOLOGNA - "Israele tra cultura, tradizione, turismo e gastronomia" è l'iniziativa che domenica 23 settembre a partire dalle 10 si svolgerà all'esterno de Il Caffè della Corte, che l'ha organizzata nella splendida cornice di Corte Isolani. La giornata dedicata a Israele offrirà ai visitatori un viaggio ideale dalle molteplici sfaccettature, per conoscere un luogo splendido dalle antichissime tradizioni.
L'appuntamento - che segue altre iniziative improntate a conoscere realtà italiane e ed estere, già organizzate dal Caffè della Corte di Corte Isolani, piccolo ma attivissimo centro culturale - permetterà di gustare assaggi di formaggi "kosher", prodotti secondo le norme alimentari ebraiche codificate nella Torah e con controlli qualitativi elevatissimi.
Si potranno acquisire informazioni turistiche, e seguire una interessante incontro aperto a tutti alle 11, con relatori di altissimo livello quali il Rabbino Capo della Comunità ebraica di Bologna Alberto Sermoneta, il consigliere affari turistici dell'Ambasciata di Israele Tzvi Lotan, un rappresentante dell'Organizzazione KKL Keren Kayeneth Leisrael che in Israele si occupa tra l'altro di rimboschinento e aree verdi.
Comandante Pasdaran: Siamo pronti, distruggeremo lo Stato ebraico
TEHERAN, 22 set. - La guerra di Israele contro l'Iran "finirà per arrivare". Lo ha dichiarato il generale Mohammad Ali Jafari, comandante in capo dei Guardiani della rivoluzione (Pasdaran), sottolineando che il Paese è pronto a rispondere agli attacchi e distruggerà lo Stato ebraico. "La guerra arriverà ma non si sa ancora quando e dove avrà luogo", ha detto il capo delle forze d'élite del regime islamico, citato dall'agenzia Isna e Fars.
Ribelli siriani attaccano un posto di blocco dell'esercito libanese
Con un gran numero di uomini, ma non ci sono state vittime
BEIRUT, 22 set. - L'esercito libanese ha annunciato che un "un gran numero di ribelli siriani ha attacco nella notte uno dei suoi posti di blocco nell'est del Libano, nei pressi della frontera con la Siria, senza provocare vittime. "Per la seconda volta in meno di una settimana, una forza dell'Esercito siriano libero (Asl) è entrata nella notte nei dintorni del villaggio libanese di Arsal e ha attaccato un posto di blocco dell'esercito libanese con un gran numero di uomini armati, senza provocare vittime tra i soldati", hanno indicato in un comunicato le forze armate.
Hadas Yaron ha vinto la Coppa Volpi femminile a Venezia
TEL AVIV, 22 set - 'Fill the Void' di Rama Burshtein e' la pellicola candidata da Israele per le nomination al miglior film straniero agli Oscar. Il film racconta la storia dell'amore nascente tra la giovane Shira e il cognato vedovo, in una comunita' di ebrei religiosi. La protagonista Hadas Yaron ha vinto alla Mostra del cinema di Venezia la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile.
Il Cairo è riluttante a porre fine all'isolameno della striscia di Gaza
IL CAIRO, 22 settembre - Stando a fonti dell'agenzia palestinese Maan, le autorità egiziane dei fratelli musulmani continuano ad essere piuttosto riluttanti a porre fine all'isolamento della stiscia di Gaza, aprire il valico di Rafah e aderire alla richiesta della autorità di Gaza (Fratelli musumani palestinesi) che chiedono la creazione di una Zona di libero scambio nella zona di frontiera tra i due Paesi.
Il Cairo teme che in caso di revoca dell'assedio imposto a Gaza, Israele chiuda definitivamente il passaggio di Kerem verso il territorio palestinese e Rafah diventi l'unica via d'accesso, e che la sicurezza nel Sinai ne risenta. Naturalmente, il regime egiziano è preccupato anche per le reazioni statunitensi. Da bravi fratelli musulmani, i dirigenti egiziani preferiscono sorridere e fare promesse ai loro confratelli palestinesi. Il premier di Gaza Ismail Haniye è appena rientrato dal Cairo, dove ha ricevuto numerosi ... incoraggiamenti.
Il muro in costruzione lungo la frontiera con l'Egitto
TEL AVIV - Un'ennesima incursione dal Sinai, che minaccia di riaccendere la tensione fra Israele e il nuovo Egitto dei Fratelli Musulmani, è sfociata venerdì nel sangue a ridosso del confine fra i due Paesi: con la morte di un soldato israeliano e di tre assalitori di nazionalità per ora incerta, incluso un attentatore imbottito d'esplosivo. L'episodio è stato innescato dall'azione d'una cellula partita dalla penisola egiziana - zona divenuta ormai agli occhi di molti una polveriera, per la presenza di gruppi agguerriti votati al Jihad, la guerra santa dell'Islam radicale -, penetrata in territorio israeliano in una zona montagnosa (fra il Monte Harif e il Saguy): dove ancora non è stata completata la barriera di confine costruita a ritmo serrato dallo Stato ebraico. Con un agguato in piena regola alle postazioni di frontiera israeliane, il gruppo si è messo in movimento mentre alcuni militari si erano distratti per soccorrere una quindicina di immigrati africani che tentavano di guadagnare il confine, e ha aperto il fuoco. Alla prima raffica, è caduto ucciso il militare israeliano Nethanel Yahalomi, un artigliere di 20 anni.
Ne è seguita una furiosa sparatoria, durata 15 minuti, al culmine della quale uno degli attaccanti è saltato in aria (quando un proiettile ha colpito il potente ordigno che aveva addosso) e altri due sono stati pure uccisi. Un secondo soldato israeliano è rimasto invece ferito, in modo non grave. "Siamo riusciti a sventare un attacco di dimensioni ancor più serie", ha commentato più tardi, quasi con sollievo, il portavoce militare, colonnello Yoav Mordechai, riferendosi alla quantità e alla qualità delle armi trovate in dotazione agli infiltrati: Kalashnikov, abbondanza di munizioni, ordigni, corpetti esplosivi, lanciarazzi.
Secondo notizie ufficiose, esperti dell'intelligence del Cairo sono stati autorizzati a esaminare i cadaveri nel quadro di un tentativo congiunto di verificare chi possa aver ordito l'attacco. E magari anche allo scopo di rivitalizzare almeno la cooperazione fra le forze di sicurezza dei due Paesi, in una fase nella quale il dialogo politico fra il governo israeliano di Benyamin Netanyahu e la leadership egiziana del dopo-Mubarak appare ai minimi termini. La situazione sul terreno, lungo il confine, resta d'altronde pericolosa e volatile come non mai. Ancora la settimana scorsa decine di beduini del Sinai e di guerriglieri affiliati a gruppi filo al-Qaida avevano dato l'assalto alla base principale della Forza multinazionale di osservatori, ingaggiando un'aspra battaglia. Due giorni fa, nel sud della limitrofa Striscia di Gaza palestinese, due miliziani islamici sono stati invece uccisi in un raid mirato della aviazione israeliana: si accingevano, secondo fonti militari, a lanciare nei giorni successivi un attacco in grande stile contro obiettivi civili in Israele, passando proprio dal Sinai. I due, stando alle medesime fonti, facevano parte di un gruppo salafita locale, "legato segretamente ad alcuni dirigenti di Hamas".
I media egiziani ipotizzano intanto che anche l'attacco odierno possa essere stato condotto da salafiti palestinesi, giunti dalla Striscia. Da Gaza, però, la leadership di Hamas - preoccupata di vedersi attribuite responsabilità in iniziative che sembrano irritare e imbarazzare il grande vicino egiziano, proprio mentre un 'fratello islamico' come Mohamed Morsi si è issato alla presidenza - lo ha recisamente smentito.
La tensione resta comunque molto elevata in tutta l'area. L' agenzia di stampa palestinese Maan ha avvertito oggi stesso che nuovi attentati destabilizzanti potrebbero verificarsi nel Sinai del nord nelle prossime 48 ore. Tanto che le forze egiziane sul posto risultano aver già innalzato ulteriormente lo stato di allerta, fino a un livello da allarme rosso.
Nei Territori Palestinesi un partito di donne sfida la tradizione
A Hebron un gruppo al femminile corre per le elezioni municipali del 20 ottobre. Con un obiettivo: dimostrare che le donne possono fare meglio degli uomini.
Le donne del partito "Partecipando, possiamo"
Ad un mese dalle elezioni amministrative nei Territori dell'Autorità Palestinese, la sorpresa arriva da Hebron: tra i candidati spunta un partito tutto al femminile. Si chiama "Partecipando, possiamo" e il motto è lo specchio dell'entusiasmo che ha spinto questo gruppo di donne a correre alle prossime elezioni locali: "Donne al comando, invece degli uomini". Un'alternativa, quella offerta dal nuovo partito "rosa" che intende dimostrare - se ce ne fosse ancora bisogno - che un gruppo di donne può fare bene, se non meglio degli uomini.
Un partito nuovo che si mette in gioco e che decide di farlo in un contesto non certo dei più semplici da affrontare.
Hebron è città tradizionalmente conservatrice, in cui la struttura della società è ancora fondata sul ruolo del maschio. "Gli uomini qui, come impone la tradizione, vogliono che loro donne restino a casa - spiega Maysoun Qawasmi, 43enne leader del gruppo - E se permettono loro di uscire per andare al lavoro, le mandano solo a svolgere lavori tradizionali, come l'insegnante".
Secondo il Palestinian Central Bureau of Statistic (dati del 2010), solo il 14,9% delle donne nei Territori Palestinesi è attivamente parte del mercato del lavoro legale, il valore più basso dell'intero mondo arabo. Il tasso di occupazione è alle stelle: 25% in Cisgiordania (nel 2010 era pari al 22,4%) e 49,7% nella Striscia di Gaza. Ad avere le maggiori difficoltà ad accedere nel mondo del lavoro sono le giovani palestinesi: il tasso di disoccupazione tra i 20 e i 24 anni d'età è del 46%. Ciò non si traduce in un'assenza quasi totale: il 60% delle donne lavora illegalmente, per lo più in agricoltura.
La ragione del gap tra uomini e donne è rintracciabile nelle discriminazioni che le donne subiscono quotidianamente in diversi settori della società. A partire dall'educazione: se la maggioranza degli studenti universitari è femminile, ciò non si traduce in una loro maggiore presenza in settori lavorativi più elevati.
"Noi vogliamo spingerci oltre. Vogliamo essere impiegate negli stessi mestieri degli uomini, per quanto possibile". A cominciare dalla politica: a correre per i 15 seggi del consiglio municipale di Hebron con il partito "Partecipando, possiamo" saranno undici candidate che stanno lavorando senza sosta per guadagnarsi il favore di una città conservatrice e religiosa e facendo campagna elettorale porta a porta.
La previsione - come spiega la Qawasmi - è di ottenere tre seggi su 15, un risultato sicuramente ambizioso ma che non spaventa il gruppo, formato da donne di successo. C'è Asma Deis, 38 anni, cinque figli, vedova, proprietaria di una piccola fabbrica per la produzione di materiali per le pulizie. C'è Liyana Abu Ashes, 28 anni, ingegnere civile impegnata oggi a mettersi in proprio. Ci sono donne già attive in politica: sei di loro sono o sono state in passato ministri nel governo Fayyad, altre 17 sono parlamentari del Consiglio Legislativo Palestinese. Asma ne è certa: "Le donne possono rendere l'impossibile possibile".
Le elezioni locali si terranno nei Territori Palestinesi il prossimo 20 ottobre. Più volte rimandate - i consigli municipali sono "scaduti" due anni fa e avrebbero dovuto essere rieletti il 17 luglio 2010 - le urne verranno finalmente aperte tra un mese per l'elezione di 245 consigli di villaggio, 98 consigli comunali e 10 consigli locali.
Il lungo stallo è stato dovuto principalmente alle tensioni interne alle fazioni politiche palestinesi, Hamas e Fatah. La Commissione Elettorale di stanza a Ramallah non è stata in grado di gestire e organizzare il voto nella Striscia di Gaza, governata de facto da Hamas. Fino al luglio di quest'anno quando, con un atto definito unilaterale dal partito islamico, il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha annunciato la data delle elezioni municipali.
Pennacchi, fanfara, passo di corsa. I bersaglieri sono nuovamente al Portico d'Ottavia, 142 anni dopo la breccia di Porta Pia e l'abbattimento dei cancelli del vecchio ghetto. È stato un concerto, fortemente voluto da Roma Capitale e dalla Comunità ebraica, a chiudere la prima giornata di eventi legati alle celebrazioni del 20 settembre. Nel repertorio della fanfara un excursus storico-musicale che ha allietato il pubblico raccoltosi a Largo XVI ottobre per il secondo anno consecutivo, tra i vicoli e le piazze che proprio i combattenti col pennacchio contribuirono ad affrancare dal giogo pontificio. A ricordare le loro azioni, con particolare riferimento ai benefici di cui potè da allora godere la popolazione ebraica, il sindaco Gianni Alemanno, il presidente dell'Associazione Nazionale Bersaglieri Marcello Cataldi, il generale Antonino Torre, il presidente della Comunità ebraica e consigliere UCEI Riccardo Pacifici e il direttore del Dipartimento di cultura ebraica della Cer Claudio Procaccia. Distribuita a tutti i presenti una copia della storia a fumetti che Saverio Di Tullio ha voluto dedicare alla presa di Porta Pia e ai giorni che che fecero da preambolo all'impresa. "Il 20 settembre - ha affermato Alemanno - segnò il ricongiungimento della nostra città con il resto d'Italia. Questa sera, al vostro fianco, festeggiamo l'ingresso di Roma nella modernità".
Grande intensità anche per le celebrazioni apertesi ieri mattina a Chieri, luogo di nascita di Giacomo Segre, militare di carriera cui fu dato l'ordine di sparare il primo colpo perché, in quanto ebreo, non sarebbe potuto incorrere nella scomunica di papa Pio IX. Di fronte alla sua tomba, nella sezione ebraica del cimitero chierese, sono stati in molti a rendergli omaggio. Assieme al sindaco Francesco Lancione, all'assessore provinciale alla cultura Ugo Perone, al coordinatore della Consulta per la laicità delle istituzioni Tullio Monti, anche una rappresentanza della Comunità di Torino con gli interventi del vicepresidente Emanuel Segre Amar, che ha ricordato il significativo contribuito dato dagli ebrei italiani al processo di unificazione nazionale, e dell'avvocato Bruno Segre, che si è invece soffermato sul tema della laicità.
(Notiziario Ucei, 21 settembre 2012)
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Qualche notizia su Giacomo Segre
Durante l'assedio di Roma del 1870, in qualità di militare dell'esercito del Regno d'Italia, Giacomo Segre diede l'ordine di fare fuoco sul muro di cinta della città, nei pressi di Porta Pia.
Dalle memorie di Paolo Alatri:
"Il mio nonno materno, Giacomo Segre, militare di carriera, era capitano d'artiglieria quando il 20 settembre 1870 comandava la batteria che aprì la breccia di Porta Pia... Poi Giacomo Segre raggiunse alti gradi nella carriera militare, fino a quello di colonnello; ma non oltre, perché morì giovane..."
Nel 1871 sposò Annetta Segre da cui ebbe nove figli, uno dei quali, Ippolito, cadde sul Carso durante la Prima Guerra Mondiale.
Nel cimitero chierese, nella parte ebraica, c'è una targa sul muro esterno che lo ricorda e soprattutto la sua tomba.
Il giorno successivo all'attacco Giacomo Segre scrisse alla fidanzata:
"Mia amatissima Annetta, ieri fu giornata abbastanza calda. Contro la mia aspettazione, le truppe pontificie fecero resistenza e si dovette coi cannoni aprire la breccia che poi fu presa d'assalto dalla fanteria e bersaglieri. La mia batteria prese parte all'azione e se ne levò con onore. Rimase morto un caporale, ferito gravemente il mio tenente che morì stamane. Povero bel giovinottino di ventiquattro anni! Feriti ugualmente altro caporale che forse non camperà fino a stasera, e più leggermente altri quattro cannonieri. Basta, Roma è nostra e domani andrò a visitarla. Io continuo a star bene e non ti so dire con quanta soddisfazione abbia ricevuto la tua ultima lettera. Dopo tanto tempo! L'ho letta e riletta, e la portavo addosso quando andai al combattimento, a cui si marcia allegramente ma colla recondita apprensione che si sa che vi si va, ma non si sa se si avrà la fortuna di ritornarne. Fu un talismano che mi preguardò da quel nuvolo di palle che mi fischiavano d'attorno" .
Ringraziamo Daniela Bonino per questi documenti.
(da Strade, tracce, uomini e idee, Ist. M.L. Quarini, Riva di Chieri)
Attacco all'Iran, lo scetticismo di israeliani e palestinesi secondo un sondaggio
di Luca Pistone
Circa l'80% degli israeliani e dei palestinesi sostiene che un'offensiva di Israele contro gli impianti nucleari iraniani possa innescare una guerra regionale, mentre circa il 70% di loro afferma che la creazione di uno Stato palestinese entro i prossimi cinque anni "è un progetto quasi inattuabile".
Il sondaggio congiunto condotto da Harry S. Truman Research Institute for the Advancement of Peace - Department of Communication and Journalism della Hebrew University - Palestinian Center for Policy and Survey Research, ha coinvolto un campione di 1.270 palestinesi adulti residenti in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza, e di 600 israeliani. Lo studio è stato pubblicato ieri dal quotidiano israeliano Haaretz.
Nel dettaglio, a ritenere che un attacco israeliano contro la repubblica Islamica possa sfociare in un "colossale scontro regionale", sono il 77% degli intervistati israeliani e l'82% di quelli palestinesi.
Per quanto riguarda la possibilità di un attacco israeliano senza il sostegno degli Stati Uniti, il 65% degli israeliani si è mostrato contrario ad una simile opzione (un aumento del 52% da giugno). Solo il 18% degli israeliani dice di supportare un attacco all'Iran senza il sostegno USA.
Inoltre, lo studio rivela che il 70% degli israeliani non crede che Israele colpirà le installazioni nucleari iraniane nei prossimi mesi, mentre solo il 20% degli intervistati sospetta che l'obiettivo primo di Teheran sia quello di distruggere Israele.
Interrogati sulla possibilità di fondare uno Stato di Palestina nei prossimi cinque anni, il 73% degli israeliani e il 71% dei palestinesi si sono mostrati del tutto pessimisti, "una possibilità minima o inesistente". Il 61% degli israeliani e il 52% dei palestinesi supportano la soluzione dei due stati, mentre il 36% degli israeliani e il 46% dei palestinesi si oppongono a tale soluzione. Infine, il 65% degli israeliani e il 68% dei palestinesi hanno dichiarato di essere "assolutamente" contrari alla soluzione dello stato unico, dove "arabi ed ebrei godono di pari diritti".
L'Iran sta portando uomini e armi in Siria e Libano per affrontare Israele
Esercitazioni sul Golan
Avevano considerato anche l'ipotesi più estrema: spedire i caccia a bombardare i tre aerei in volo. Bastava soltanto l'ok del premier Benjamin Netanyahu. Ma quell'ok non è mai arrivato. Nessuno poteva davvero giurare su cosa ci fosse dentro quei velivoli in quel preciso istante: armi o civili inermi? «Era la tipica situazione 51-49», racconta un giornalista israeliano che ha avuto informazioni di prima mano. «E comunque, anche se ci fossero stati solo militari e armi, Teheran avrebbe fatto passare la cosa come attentato d'Israele contro voli civili per infiammare il mondo islamico e scatenare la guerra».
La notizia è che ci sono due Boeing 747 - uno dell'Iran Air con numero EP-ICD, l'altro di Mahan Air con l'identificativo EP-MNE - e un altro aereo della Yas Air (altra compagnia iraniana) che da giorni viaggiano tra l'Iran e la Siria, sorvolando lo spazio aereo iracheno tra Mosul e Kirkuk e spesso spengono qualsiasi dispositivo di tracciamento. Quei tre aerei civili della Repubblica islamica da mesi non trasportano più passeggeri o turisti. Spediscono uomini dell'esercito dei pasdaran e munizioni per il regime siriano di Assad.
Fonti da Gerusalemme spiegano che il più attivo tra i velivoli, da ormai un anno, è quello della Yas Air. Si tratta di un Ilyshin IL-76TD con marchio EP-GOL. La sua base è lo scalo Mehrabad di Teheran. E ogni settimana, da ottobre 2011, compie almeno tre voli settimanali verso l'aeroporto di Aleppo. Trasporterebbe di tutto. Munizioni, in particolar modo, e granate.
Le fonti locali, in Iran, avevano raccontato tutto questo al Mossad già ad aprile. E il Mossad aveva deciso di monitorare la situazione. Scoprendo che, sì, con cadenza praticamente giornaliera in Siria arrivavano uomini delle Guardie rivoluzionarie di Teheran e decine di tonnellate di armi per rafforzare i lealisti di Damasco.
Due settimane fa la conferma delle agenzie d'intelligence europee - compresa quella italiana - sulla vera missione di quei due bolidi dei cieli. Quindi il dossier riservato è piombato al Palazzo di Vetro, a New York, dove ora gl'israeliani vogliono discutere. E cercare di spingere l'Iran all'angolo.
«Gli iraniani hanno cambiato modus operandi», scrive il dossier. «I velivoli di Teheran volano praticamente ogni giorno verso la Siria trasportando uomini delle Guardie rivoluzionarie e decine di tonnellate di armi per rafforzare l'arsenale dell'esercito di Assad e combattere al meglio la milizia dei ribelli».
Le conclusioni europee sono le stesse del Mossad. Tranne che per gli obiettivi. Perché se nel Vecchio Continente pensano che il tentativo di Ahmadinejad sia quello di far durare il più possibile il regime siriano, a Gerusalemme sono convinti che il tutto serva soltanto a preparare l'offensiva ad Israele da più fronti. Uno di questi dovrebbe essere proprio la Siria. L'altro - ne sono convinti di analisti del Mossad - non potrà che essere il Libano. Del resto è stato Mohammed Ali Jafari, capo delle Guardie rivoluzionarie armate dell'Iran, a sostenere pubblicamente : «I nostri uomini stanno fornendo supporto logistico non-militare alla Siria e al Libano». Quelle parole sono state smentite, il giorno dopo, dal ministro degli Esteri di Teheran. Ma la smentita, secondo Gerusalemme, è stata soltanto una seconda conferma.
E mentre nel governo sta dando buoni frutti la minaccia del premier Netanyahu di sottoporre alla macchina della verità i funzionari e i ministri così da capire chi sia la gola profonda che fornisce notizie riservate ai giornalisti, l'esercito dello Stato ebraico questa settimana ha richiamato tutti i riservisti per una maxi-esercitazione militare non prevista nelle Alture del Golan. Guarda caso l'area da dove, secondo il Mossad, potrebbero tentare di attaccare iraniani, siriani e libanesi di Hezbollah. E guarda caso, la stessa area - con una delle stesse brigade, la famosa Golani - dove anche la scorsa settimana si erano addestrati centinaia d'israeliani con la divisa.
«È ovvio che l'Idf, l'esercito ebraico, sta cercando di tenere in forma i suoi uomini», hanno spiegato alcuni analisti ai giornali israeliani. Lasciando intendere che, se l'andazzo dovesse essere questo, una guerra con l'Iran diventerebbe inevitabile.
L'Iran è il più grande finanziatore di film anti semiti, non di satira, ma sullo stile propagandistico di pellicole come "Suess l'ebreo" risalente al non rimpianto regime nazista, di cui peraltro la maggioranza dei Paesi arabi, all'epoca, fu alleata entusiasta. Addirittura ogni anno si svolge a Teheran il festival delle vignette "anti sioniste", in realtà anti semite, e qualche volta anche qualche vignettista italiano di destra o di sinistra ebbe il coraggio di parteciparvi. Ovviamente nessun fanatico ebreo ha mai assaltato ambasciate arabe o ucciso consoli.
Ora l'Iran ha appena prodotto una pellicola che si chiama "Il cacciatore del sabato" ("Saturday hunter"), girandola direttamente in inglese, cioè prodotto diretto all'esportazione. Ne parlava ieri in un dettagliato articolo Lettera43.
Il lungometraggio è stato finanziato dalla società di produzione iraniana Jebraeil, il regista è Parviz Sheikh Tadi, cineasta di regime che in un comunicato stampa ha definito il suo lavoro «il primo film che rivela alcuni aspetti inediti del sionismo». Nel cast compare un'attrice libanese di una certa notorietà, Darine Hamze, e il film ha avuto grande risalto in tutte le maggiori rassegne nazionali iraniane: dal Festival del cinema di Teheran, dove fu presentato in anteprima nel 2010, al Festival di cinema per bambini di Hamadan. La trama è la seguente: un'ora e mezzo di lezione di un nonno rabbino a suo nipote, nella quale il bambino assiste alle lezioni di vita del crudele nonno. Una caricatura degna dei peggiori stereotipi antisemiti: l'anziano che taglieggia i contadini arabi, sgozza a sangue freddo un inerme vecchio e guida un massacro di donne e bambini.
Il rabbino poi costringe il piccolo a sparare. «Non aver paura», dice Rabbi Hanan, «se Dio non volesse ti fermerebbe. Spara, spara. Non aver paura».
Benjamin risponde che «la Torah dice che uccidere è proibito», ma il nonno lo rimprovera: «Stupido! Solo uccidere ebrei è proibito», lo ammonisce, incitandolo poi con l'ordine: «Ammazzali, ammazzali! Prima che ti uccidano!».
Il ragazzino è combattuto anche perché fa amicizia con un coetaneo musulmano, ma verso la fine del film si consuma un massacro e il piccolo protagonista, vestito ormai dei tradizionali panni degli ebrei ortodossi, non ha pietà per nessuno e spara a sangue freddo su chiunque gli capiti a tiro, non escluso il suo amico che gli chiede pietà.
Nella scena conclusiva, il vecchio Rabbi Hanan consegna idealmente la sua eredità spirituale di odio e violenza al nipote invitandolo a non fermarsi di fronte a nulla. Nei titoli di coda, infine, passano una serie di immagini reali di bambini ebrei e soldati israeliani che pregano.
Ecco, questo orrore adesso viene trasmesso nei cinema e nelle sale parrocchiali islamico-sciite di Teheran. Non ha alcun intento satirico e non sta provocando alcuna reazione violenta da parte di comunità ebraiche contro le ambasciate iraniane. In compenso nemmeno gli europei che arriverebbero, su suggerimento di Erdogan, ad approvare una surreale legge di censura contro qualsiasi cosa che riguardi l'Islam e il profeta, fanno finta di non essersi accorti che pellicole come questa sono pane quotidiano nei Paesi arabi e anche in quelli semplicemente islamici come l'Iran.
Circoncisione vietata: tedeschi d'accordo, ebrei spaventati. È laicismo o antisemitismo?
BERLINO Un dibattito tedesco sulla legalità del rito della circoncisione ha sollevato nelle tante piccole comunità ebraiche nel Paese un interrogativo esistenziale: possono gli ebrei sentirsi a casa in Germania? Lo sono mai stati?
La risposta non è semplice, dopo che una corte distrettuale tedesca, quella di Colonia, centro giuridico della Renania, ha deciso il 26 giugno scorso che la circoncisione sui bambini equivale a una lesione della loro integrità fisica e quindi è un reato. Poco importa che la sentenza sia stata emessa sul caso di un bambino musulmano, che aveva sofferto emorragie e infezioni in seguito a una circoncisione mal praticata.
Un articolo pieno di indignazione ha evidenziato tutte le ambiguità della questione. Lo ha scritto Charlotte Knobloch, 79 anni, ex presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, associazione che rappresenta gli interessi della comunità ebraica presso il governo di Berlino.
La Knobloch, ebrea nata a Monaco che sopravvisse alle persecuzioni naziste grazie all'aiuto di una famiglia di contadini cattolici bavaresi che la spacciarono come loro figlia, ha speso gran parte della sua vita a difendere le ragioni degli ebrei, oltre al fatto che ha deciso di restare nella Germania del dopo-Olocausto. Decisione sulla quale ha avuto tanti ripensamenti, ma mai come dopo questa sentenza: "Per la prima volta nella mia vita, ho provato la rassegnazione". Tutto questo parlare di "tortura sui bambini" e di "trauma", le fa venire un dubbio: "Se veramente questo Paese tollera ancora la presenza di noi ebrei".
Il dibattito infuria in Germania. Quelli che si oppongono alla circoncisione affermano che è una pratica lesiva dell'integrità fisica dei neonati e dei bambini, e che non dovrebbe essere fatta finché i circoncidendi non siano sufficientemente maturi da poter scegliere da soli.
E, sebbene la sentenza della Corte di Colonia non ha effetto al di fuori dei confini di quel distretto, e nonostante il fatto che il governo tedesco abbia iniziato subito a rivedere la legislazione in materia in modo da affermare il principio che i genitori abbiano diritto in tutto il Paese a circoncidere i propri figli, il verdetto e il dibattito pubblico che ne è seguito hanno provocato paura e inquietudine fra gli ebrei e i musulmani tedeschi che ancora praticano la circoncisione.
All'interno della piccola comunità ebraica questa vicenda ha riaperto ferite profonde e complesse, sollevando nuove preoccupazioni sulle loro libertà religiose in una nazione nella quale la maggioranza della popolazione non sa nulla delle usanze ebraiche e non ha contatti con gli ebrei.
Indifferenza che facilmente degenera in ostilità. Contro le minoranze religiose e contro gli ebrei in particolare. Colpisce il fatto che a luglio più di 600 professionisti ed accademici hanno sottoscritto una lettera aperta al Frankfurter Allgemeine Zeitung in cui si sosteneva che "la libertà di religione non può legittimare la violenza sui minori".
Un recente sondaggio fatto da TNS Emnid ha mostrato come, su un campione di mille intervistati, il 56% era d'accordo con la sentenza della Corte di Colonia.
Recrudescenza di un antisemitismo mai sopito? In Germania ora vivono 104.000 ebrei. Prima dell'avvento di Hitler erano 530.000. Ma nell'immediato dopoguerra erano solo poche migliaia.
La gran parte di quei 104 mila sono ebrei conservatori o ortodossi, provenienti per lo più dall'ex Unione Sovietica, dopo che il governo tedesco negli anni 90 agevolò per loro le pratiche per ottenere la cittadinanza. E la Germania tornò a popolarsi di sinagoghe.
Ma l'antisemitismo è una corrente sotterranea che a volte emerge: 29 sono i casi di violenza anti-ebraica nell'ultimo anno. Nonostante il senso di colpa dei tedeschi e il loro continuo confrontarsi con il passato nazista (laddove in Italia le violenze fasciste sono state rimosse dalla memoria collettive, come dimostra la vicenda del monumento allo sterminatore Graziani), un'indagine commissionata dal Bundestag, il Parlamento, ha censito un 20% di tedeschi che mantiene sentimenti e opinioni antisemite.
Il Presidente dell'Emilia-Romagna ha incontrato l'ambasciatore d'Israele
BOLOGNA, 21 set - Il presidente della Regione, Vasco Errani, ha incontrato oggi nella sede di viale Aldo Moro l'ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, che ricopre l'attuale carica dallo scorso febbraio.
Al centro dell'incontro: la ricostruzione in Emilia-Romagna dopo il terremoto, il rafforzamento di iniziative di scambio e di sostegno alle imprese e la situazione internazionale nell'area mediterranea.
L'ambasciatore Gilon si e' complimentato con l'Emilia-Romagna per come ha risposto al sisma, mentre il presidente Errani ha voluto ricordare la donazione da parte dello Stato d'Israele di quattro casette mobili destinate al percorso nascita fino al ripristino della struttura dell'ospedale di Mirandola: ''E' stato un segno di amicizia, attenzione e di grande sensibilita' e vicinanza che abbiamo apprezzato davvero'', ha detto.
Errani e Gilon hanno poi sottolineato le relazioni positive tra la Regione Emilia-Romagna e lo Stato di Israele ed espresso la volonta' di intensificare le esperienze di collaborazione istituzionale ed economiche tra le due realta', con progetti concreti di sostegno all'internazionalizzazione e allo scambio tra imprese, soprattutto nel settore dell'alta tecnologia e dell'innovazione.
Nel cielo di Emmen testati gli Heron 1. L'esercito svizzero vorrebbe acquistarli
Drone Heron 1
BERNA - La scorsa settimana, a Emmen, Canton Lucerna, si sono svolti i primi test dei droni che l'esercito svizzero intende acquistare nel prossimo futuro. Il velivolo senza pilota, del tipo Heron 1 e fabbricato dalla Israel Aerospace Industries, è stato presentato oggi alla stampa.
In ottobre sarà testato un secondo drone, l'Hermes 900. Anche questo è di fabbricazione israeliana: è infatti concepito dalla Elbit Systems con sede ad Haifa.
L'esercito, ha comunicato il Dipartimento federale della difesa (DDPS), intende spendere 300-400 milioni di franchi per dotarsi di 6 droni. L'acquisto è previsto dal programma d'armamento 2015.
Il Club Atlético de Madrid inizia la corsa per la difesa del titolo vincendo nettamente 3-0 in trasferta contro l'Hapoel Tel-Aviv FC.
Pur senza Falcao, capocannoniere di UEFA Europa League nelle ultime due stagioni, l'Atlético s'impone senza problemi in casa dell'Hapoel, andando a segno con Cristian Rodríguez e Diego Costa nel primo tempo e Raòl García nella ripresa.
Nelle battute iniziali gli ospiti sfiorano il gol con García, Adriàn López e Diego Costa. L'Hapoel reagisce, e con un intervento sotto misura di Toto Tamuz va vicino al vantaggio.
Al 37', l'Atlético, ormai padrone del campo, sblocca il risultato con un bellissimo tiro da fuori area di Rodríguez, che si insacca all'incrocio dei pali. Passano solo tre minuti per il raddoppio. Assist di López per Costa che aggira Édel Apoula e deposita nella porta ormai vuota.
Gli uomini di Diego Simeone continuano a dominare nella ripresa. È García il primo a impegnare Apoula. Ed è lo stesso García a chiudere i conti al 63', realizzando il 3-0 con un preciso destro su angolo di Emre Belözoglu.
Grazie al regista Amos Gitai che ha voluto omaggiare il padre architetto esponente Bauhaus
Amos Gitai
TEL AVIV, 20 set - Israele ha il suo primo Museo dell'Architettura: sorge in prossimità del Monte Carmelo ad Haifa (nel nord del paese) e lo si deve in larga parte ad Amos Gitai. Il regista e produttore cinematografico da tempo si è votato alla valorizzazione dell'eredità artistica del padre, l'architetto Munio Gitai Weinraub, profugo dalla Germania nazista ed esponente di spicco della scuola Bauhaus che nella Palestina pre Israele ha prodotto opere notevolissime, specialmente a Tel Aviv. Anche se la parola 'museo' - nota il quotidiano Haaretz - forse è un po' troppo impegnativa per lo spazio non troppo grande della struttura appena aperta, il luogo tuttavia colma - grazie al progetto della famiglia Gitai - un vuoto di decenni sulla scena culturale israeliana. Lo spazio - a lungo postazione di lavoro di Munio - è stato regalato un anno fa ai Musei di Haifa che sono riusciti, insieme al regista, a trasformare velocemente il progetto in realtà. Del resto Munio è stato uno degli architetti leader nella storia del paese: arrivato nel 1934 in quello che ancora non era lo Stato di Israele e stabilitosi a Haifa, ha messo subito in pratica gli insegnamenti appresi nella leggendaria scuola di Dessau, luogo cult del Bahaus. Insieme al collega Alfred Mansfeld, altro profugo dalla Germania, Munio Weinraub per 22 anni ha disegnato di tutto: edifici pubblici e religiosi, scuole, kibbutz, industrie e centinaia di case private, oltre ad alcune parti del complesso di Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme. E, una volta finita la collaborazione con Mansfeld, ha continuato la sua attività diventando anche professore di architettura al Technion di Haifa, una delle istituzioni di elite del paese e non solo. "L'opera di Weinraub - ha detto al giornale Nissim Tal, direttore generale dei Musei di Haifa, dove Munio ha passato tutta la sua vita - è stato uno degli architetti guida di Israele e il profilo della città gli deve molto. Il museo sarà la casa permanente dei suoi archivi e ospiterà mostre di architettura che cambieranno ogni sei mesi". La prima di queste esposizioni non poteva che essere 'Architetture della Memoria', un 'dialogo' in cui Gitai figlio mette in rapporto la sua vena filmica con quella artistica del padre e dei suoi colleghi del Bauhaus. Già presentata in Italia, la mostra è un mix di differenti media, a cavallo tra il cinema, la video arte e anche una lettura intimista della propria storia familiare in versione poetica. Il tutto realizzato anche con i materiali dei film di Gitai: e il regista proprio all'ultima Mostra del cinema di Venezia ha presentato, fuori concorso, "Lullaby to My Father" (Ninna nanna per mio padre), dedicato appunto alla storia professionale e umana del padre. Il regista ha sottolineato con Haaretz lo stretto rapporto tra cinema e architettura, almeno nelle sue opere: "i film che faccio non ruotono intorno allo script: sono la combinazione di disegnatori, costumi e fotografì. A suo giudizio anche lo spazio architettonico gioca un ruolo e nel caso del nuovo museo aggiungerà un'ulteriore dimensione alla comprensione delle opere esposté. Dopo la rassegna 'Architetture della memoria', sarà la volta di un'esposizione dedicata all'architetto Moshe Gerstel e di un'altra ancora incentrata sull'architettura 'senza architetti'.
La destra rastrella media, dipendenti di Maariv in piazza
Vendita giornale a magnate filo-coloni prefigura licenziamenti
Centinaia di dipendenti di Maariv protestano
davanti alla sede del giornale a Tel Aviv
TEL AVIV - Centinaia di dipendenti del giornale Maariv - uno dei piu' importanti della stampa scritta israeliana - sono scesi oggi in piazza a Tel Aviv contro la vendita del quotidiano a un uomo d'affari di estrema destra e le pesanti conseguenze occupazionali che l'operazione prefigura. La vendita - al termine di trattative con l'editore Shlomo Ben-Zvi che da anni cerca di diffondere idee nazionaliste radicali con un altro quotidiano, Makor Rishon, vicino al movimento dei coloni - comporterebbe, secondo i media, la perdita dell'80% della forza lavoro. La proprieta' del giornale - fondato come Israele nel 1948 e negli anni 50-60 il piu' diffuso nel paese - era fino a ieri del gruppo dell'uomo d'affari Nochi Dankner che l'aveva acquistato appena 18 mesi fa. Il passaggio del Maariv a Makor Rishon e' stato interpretato da molti commentatori come un'ulteriore tappa dell'acquisizione da parte della destra della stampa nazionale. Tra gli esempi di tale strategia, viene citato il free-press Israel ha-Yom, con tirature di 250-350 mila copie, finanziato dal controverso uomo d'affari ebreo americano Sheldon Adelson: acceso sostenitore sia del premier israeliano Benyamin Netanyahu sia dei conservatori statunitensi e titolare di vasti interessi nel mondo del gioco d'azzardo a Las Vegas.(ANSAmed).
Ogni anno, a noi irriducibili del XX Settembre, viene immancabilmente chiesto, con scetticismo, se questa ricorrenza abbia ancora una sua validità. Se da ebrei, in verità assai tiepidamente, ce la caviamo in genere con il grato ricordo dell'apertura delle porte dell'ultimo ghetto d'Italia, appunto quello di Roma, credo che le tragiche cronache internazionali di questi giorni, aggiunte alle tante e ancora irrisolte contraddizioni sul tema della società italiana, rendano non solo attuale ma addirittura necessario rinforzare il ricordo di Porta Pia, azione che dovrebbe vederci in prima fila, quali ebrei, perché solo una vera società laica ha la forza di garantire a ciascuno il proprio diritto alla fede o al non credere, senza che nessuno si senta di poterlo mettere in discussione, in una sana separazione tra sfera pubblica e sfera religiosa (quale sia la sua declinazione). Insomma, Porta Pia da esportare.
Parla Astorre Modena, il fondatore di Terra Venture Partners: "Meno burocrazia per replicare il successo israeliano".
di Antonio Dini
Astorre Modena
Un mix di formazione di alto livello, imprenditoria, attrattività per gli investitori e le grandi multinazionali, e scelte strategiche sostenute anche nei momenti più difficili dell'economia. Il successo della Silicon Wadi israeliana, la Silicon Valley del Medio Oriente, continua dal 1994, quando il governo di Israele aprì il primo round di fondi di investimento con 10 player internazionali invitati a investire nel paese con il 50% di copertura statale in caso di insuccesso. Nel 2000, alla fine del primo ciclo, nove fondi erano andati in attivo. "E gli investimenti sono proseguiti anche durante la bolla del 2000: si è passati da tre miliardi investiti a due nel 2011, rispetto al crollo del 75% in Europa", dice Astorre Modena. Italo-israeliano, 41 anni, Modena è il fondatore di Terra Venture Partners, uno dei più importanti venture capital israeliani attivi nel settore delle Clean Technologies, che finanzia la creazione di start up nei settori dell'acqua, dell'energia e della sostenibilità ambientale. Prima di fondare Terra Venture, Modena ha, tra le altre cose, lavorato a Israel Seed Partners e presso McKinsey a Parigi, dopo il dottorato in fisica.
- È replicabile il modello israeliano in Italia? Cosa serve? Tre o quattro realtà di Venture capital ci sono, e anche gli incubatori. Mancano un po' i fondi di investimento e soprattutto lo spirito. Lo spirito imprenditoriale, innovativo, di spinta veloce verso il mercato, e la capacità di rendere rapidamente internazionale la società. Per Israele è una necessità: è un paese piccolo, non ha mercato regionale, deve competere con le società di tutto il mondo. Inoltre, l'Italia non attrae partner internazionali.
- Quanto pesa invece la capacità di formare laureati di alto livello? Moltissimo. Israele è nei primi posti al mondo per il numero di scienziati e ingegneri. C'è un'enorme domanda di ingegneri perché ci sono tantissime start up e questo attrae attori internazionali. Apple ha aperto di recente il suo primo centro di ricerca al di fuori della California. E ha scelto Israele. Ci sono 5mila start up hi-tech, più di cento grandi aziende internazionali come Intel, con 10mila dipendenti, e ognuna ha dai 100 ai 10mila impiegati, quasi tutti nella ricerca.
- Qual è il ruolo dell'Italia? L'Italia è il secondo partner israeliano per quanto riguarda il mercato delle joint venture nella ricerca e sviluppo israeliane. Le basi per una crescita della collaborazione ci sono: da parte israeliana non solo c'è forte interesse commerciale per l'Italia, ma anche turistico. Negli investimenti siamo indietro, ma c'è molto commercio: ci sono circa 1,5 miliardi di dollari di interscambio.
- Cosa si può fare per attivare il circuito interno fra capitali, talenti e start up? Dall'Italia escono molte idee scientifiche interessanti. E forma degli ottimi ricercatori. Ma il resto è difficilissimo: bisogna sprovincializzare i ragazzi, come si fa in Israele, portandoli a vedere altre realtà e altre università. E poi nell'università bisogna avere un atteggiamento di apertura al business: in Israele i professori del politecnico sono titolari anche di una o due start up a cui lavorano per un paio di giorni alla settimana. Questa mentalità in Italia manca quasi completamente. La strada possibile per molti giovani è quella dell'imprenditoria. Serve l'aiuto di governo e università, per riuscirci. Ma anche investire nel capitale umano e attrarre capitali anche stranieri, semplificando e non complicando la strada burocratica.
- Quali sono esempi di start up innovative sulle quali avete investito in Israele? Abbiamo 9 società in portafoglio nei nostri settori di focus, con un flusso (una al giorno) di proposte di nuovi investimenti enorme. Sono già pronte per il mercato: Phoebus, che fa sistemi per rendere molto più efficienti aria condizionata e riscaldamento per hotel e ospedali; Linum System che ha creato condizionatori d'aria solari; Wi-Charge, che sta finalizzando uno straordinario sistema per ricaricare senza fili tutti gli apparecchi elettronici di casa con un sistema ottico, non per induzione, in un raggio di dieci metri. E infine Silentium, con tecnologie avanzatissime per la cancellazione del rumore: abbiamo una poltrona da treno avvolta in una bolla del silenzio che vi farà innamorare.
(Corriere delle Comunicazioni, 20 settembre 2012)
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Protocollo con Israele su controlli security per voli aerei in partenza da aeroporti italiani
Siglato ieri a Tel Aviv con l'Isa
"L'Ente nazionale per l'aviazione civile rende noto oggi che ieri, 19 settembre, a Tel Aviv, presso il ministero degli esteri dello Stato israeliano, il direttore generale Alessio Quaranta ha firmato un protocollo d'intesa con l'agenzia israeliana per la security (Isa).
La finalità del memorandum è quella di regolamentare e razionalizzare l'applicazione dei controlli di sicurezza, intesa come security, che vengono effettuali per i voli aerei di compagnie israeliane con destinazione Israele, in partenza dagli aeroporti italiani.
Negli scali italiani, il personale di sicurezza dello Stato di Israele potrà pertanto eseguire direttamente alcune procedure di sicurezza, o visionarne l'applicazione sotto la supervisione della Polizia di Stato, sempre limitatamente ai voli di compagnie israeliane".
Ipotesi di armi chimiche siriane. L'esercito israeliano si esercita nel Golan
di Luca Pistone
L'esercito israeliano ha tenuto ieri una massiccia esercitazione sulle alture del Golan, al confine con la Siria. Martedì sera, tramite un comunicato radio, il capo di Stato Maggiore israeliano, il generale Benny Gantz, ha richiamato tutti i riservisti residenti nel centro del paese. La manovra, che ha previsto il trasporto aereo e il dispiegamento di un elevato numero di truppe, "era stata pianificata da tempo, e non ha nulla a che vedere con le tensioni con Damasco", spiegano i vertici dell'Israel Defense Forces (IDF).
Tuttavia, una fonte dell'esercito ha detto al quotidiano israeliano Haaretz che quest'ultima esercitazione "è più di una coincidenza": in agosto Bashar al-Assad avrebbe dato l'ok per testare armi chimiche da utilizzare contro i suoi oppositori.
Il piano sarebbe stato confermato da un generale siriano disertore, Adnan Sillu, in un'intervista pubblicata ieri sul quotidiano britannico Times. Sillu racconta di aver deciso di abbandonare Assad dopo aver partecipato tre mesi fa a una riunione ai massimi livelli militari nella quale si è deciso il ricorso alle armi chimiche contro i ribelli e contro la popolazione.
"Abbiamo avuto un'accesa discussione sull'uso delle armi chimiche, su come utilizzarle e in quali zone ( ) Ne abbiamo parlato come 'ultima chance', come ad esempio nel caso della perdita di territori chiave come Aleppo".
Sillu ha aggiunto che, "almeno per il momento", Assad vorrebbe trasferire queste armi a Hezbollah, suo alleato. Il gruppo sciita libanese dovrebbe limitarsi a custodirle. L'esercitazione sulle alture Golan arriva una settimana dopo quella in Galilea, ancora più massiccia, al confine con il Libano.
Martedì il settimanale Der Spiegel riportava che l'esercito siriano ha già effettuato delle prove con armi chimiche a fine agosto nel centro di ricerca delle armi chimiche -ufficialmente "centro di ricerche scientifiche"- di Safira, a Diraiham, una località nel deserto nei pressi del villaggio di Khanasir, ad est di Aleppo. Per l'occasione, continua la testata tedesca, al fianco degli ufficiali siriani, vi sarebbero stati dei Guardiani della rivoluzione iraniani (o Pasdaran).
In più occasioni i funzionari israeliani hanno lasciato intendere di voler evitare "ad ogni costo" l'utilizzo di armi proibite. Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha definito "linea rossa" l'ingresso delle armi chimiche nel conflitto siriano.
Hapoel Tel Aviv-Atletico Madrid, diretta tv Sky e Mediaset Premium, stasera ore 19
Stasera per il primo turno di Europa league del gruppo B si affronteranno i campioni in carica dell'Atletico Madrid, freschi vincitori della Supercoppa europea(battuto il Chelsea 4 a 1) e l'Hapoel Tel Aviv.La squadra israeliana è prima in campionato e ancora imbattuta in stagione, anche se gli spagnoli sono favoriti.
Simeone dovrà fare a meno di Thiago è squalificato, e di Filipe, Gabi, Falcao, Arda Turan e Godín che non sono stati nemmeno convocati. Nelle tre gare ufficiali fin qui disputate in casa l'Hapoel non ha ancora subito reti.
Parigi difende il diritto alla satira e vieta la manifestazione
Al Qaeda nel Maghred Islamico ha minacciato di uccidere gli ostaggi francesi, rapiti in Niger ed ora nel Nord del Mali, dopo la pubblicazione di alcune vignette su Maometto da parte del settimanale satirco 'Charlie Hebdo'. E' quanto riferisce il sito web mauritano Sahara Medias. Il riferimento e' a due francesi rapiti lo scorso 24 novembre, Philippe Verdon e Serge Lazarevic.
La Francia intanto si blinda nel giorno dell'uscita del settimanale satirico Charlie Hebdo con le vignette ose' su Maometto. Per la giornata di venerdi' e' stata disposta la chiusura di ambasciate, consolati e scuole in 20 Paesi a rischio per le possibili proteste contro la pubblicazione delle vignette. L'ambasciata a Tunisi ha precisato che le scuole francesi in Tunisia resteranno chiuse da oggi fino a lunedi' mattina e che e' stato chiesto un rafforzamento della sicurezza attorno alle rappresentanza e agli uffici francesi. In Tunisia, a differenza degli altri Paesi musulmani, scuole e uffici restano aperti il giovedi' e venerdi' e chiudono nel weekend. Il ministro degli Esteri, Laurent Fabius ha ammesso di essere "preoccupato" dalle eventuali conseguenze.
Il governo francese ha annunciato inoltre che vietera' la manifestazione contro il film su Maometto prodotto negli Usa che era stata convocata per sabato a Parigi. "Non c'e' ragione per far entrare nel nostro Paese conflitti che non hanno niente a che fare con la Francia", ha spiegato il premier Jean-Marc Ayrault. "Non tollereremo eccessi", ha aggiunto rendendo omaggio "al grande spirito di responsabilita' e moderazione" di cui hanno dato prova i rappresentanti musulmani in Francia.
Ayrault ha ricordato che la Francia e' "un Paese in cui la liberta' di espressione e' garantita, compresa quella di caricatura". "Se ci sono persone che si sentono offese nelle proprie convinzioni e ritengono che siano state violate delle leggi, e noi siamo in uno Stato in cui le leggi vengono fatte rispettare, possono rivolgersi a un tribunale", ha osservato.
Intanto il numero della rivista al centro delle polemiche e' andato subito a ruba nelle edicole francesi. In copertina raffigura un ebreo ortodosso che spinge la sedia a rotelle conun uomo in turbante e con la scritta "Gli intoccabili 2". Sulla controcopertina e' raffigurato un Maometto nudo che mostra il sedere a un regista. Fin dalle prime primo mattino il sito di Charlie Hebdo risulta bloccato. Dal mondo islamico arrivano nuove accuse alla rivista. "Respingiamo e condanniamo le vignette francesi che disonorano il Profeta e condanniamo qualsiasi azione che irrida a quanto e' sacro per altre persone", ha dichiarato il leader ad interim dei Fratelli musulmani in Egitto, Essam Erian. Sul caso e' intervenuto indirettamente il Papa Benedetto XVI con l'auspicio che cristiani e musulmani diano insieme "una testimonianza decisa contro la violenza e la guerra". Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha denunciato i "sensazionalismi irresponsabili da parte di chi utilizza spesso, a proprio vantaggio, anche nel mondo occidentale, queste grandi sensibilita' che devono essere rispettate".
Sharia contro Democrazia: la jihad islamica è una vera guerra
Dopo i tumulti che hanno seguito il film anti-Maometto forse qualcuno comincerà a capire che la jihad islamica è una vera guerra, e non un semplice desiderio di conversione interiore degli infedeli. Se in un paese democratico qualcuno offende deliberatamente i sentimenti religiosi di altre persone, che cosa devono fare coloro che si sentono ingiustamente colpiti? In uno stato democratico la risposta dovrebbe essere semplice e chiara: rivolgersi alle autorità e chiedere che giustizia sia fatta. Quando questo avviene, la democrazia vince. Che cosa fanno invece gli adepti islamici? A loro le regole della democrazia non interessano un fico secco: per loro quello che conta è la sharia. Adempiendo il loro dovere di autentici musulmani calpestano le regole degli infedeli e si fanno giustizia da soli. Che cosa dovrebbe fare uno stato democratico vincente? Dovrebbe ricordare agli zelanti islamici che l'uso della forza è riservato alle autorità competenti, e che chiunque voglia farsi giustizia da sé commette reati più gravi di quelli degli oltraggiatori. E agire di conseguenza. Che cosa fa invece lo stato che si è dimenticato di essere democratico? Rimprovera gli oltraggiatori, ingiunge loro severamente di non farlo più e cede alla violenza degli oltraggiati. E la sharia riporta una vittoria sulla democrazia con l'uso della forza fisica, come la religione islamica richiede. Sharia batte Democrazia 1-0.
Presentiamo allora, per contrasto, l'esempio di un caso del tutto diverso, avvenuto in Israele qualche anno fa. Alcuni ebrei israeliani, ortodossi e no, si erano sentiti oltraggiati da un'evangelizzazione organizzata da un ebreo messianico e avevano cominciato a diventare minacciosi e violenti. Ma le autorità d'Israele, essendo davvero democratiche, intervennero. E - sia detto per inciso - il predicatore di Gesù si comportò in modo ben diverso dai predicatori di Allah. M.C.
Primavere arabe. Era meglio quando si stava peggio
di Fiamma Nirenstein
Si stava meglio quando si stava peggio. Già sentito dire? E allora perché tutti si sono eccitati tanto quando le folle arabe, adornate di aura primaverile, hanno fatto le loro rivoluzioni? Ora la novità è che, a confermare le delusioni, i dati dicono che forza dell'opinione pubblica, libertà civili, stato di diritto e trasparenza hanno fatto passi indietro o sono rimasti fermi rispetto ai bei tempi dei tiranni. Lo scrive il rapporto della Freedom House, che misura ogni anno il tasso di democrazia. Non che lo si debba prendere per oro colato, ma poiché gli tocca in questo caso dire il contrario di quello che probabilmente farebbe piacere (se la prende più volentieri con i Paesi democratici), magari stavolta è credibile. La democrazia è misurata da parametri numerici. La perfezione nella governance democratica si raggiunge con 7 punti, la decenza con 5. Il mondo islamico è andato giù. L'Egitto che si meritava sotto Mubarak 1,98 ora, nonostante le libere elezioni che danno un bel punteggio, raggiunge solo il 2,25. Siamo vicini al Bahrein che nel 2004 aveva il 3,27 ed è piombato al 2,03, il livello della Siria quando è scoppiata la rivoluzione contro Assad. La Tunisia dal 2,36 di Zine el Abidine Ben Ali è salita al 4,11. Il dato fa piacere, ma sembra in contraddizione con le notizie: la nuova Costituzione contiene una clausola che invece di stabilire la parità descrive le donne come «complementari» alla figura maschile; un altro articolo definisce reato qualsiasi rapporto con Israele. E quanto a trasparenza non convincono proprio i giochetti per cui è svanito nel nulla il capo dei Partigiani della Sharia Abu Iyad, ricercato dalla polizia perché aveva ispirato (o comandato?) le proteste contro il film su Maometto costate quattro morti innocenti. La polizia non ha potuto o non ha voluto arrestarlo benché fosse a portata di mano. Ma al di là dei conteggi, quello che deciderà il futuro è l'aria politica che spira: si capisce che andrà di male in peggio. Nel vento non soffia la democrazia. Mugghia invece un'onda alta che porta sempre più su l'islamismo jihadista e l'odio antioccidentale. I salafiti e Al Qaida si organizzano chiedendo più Sharia. Gli Hezbollah sciiti prendono la piazza subito dopo la partenza del Papa per predicare a immense folle l'odio e la guerra, proprio dove un minuto prima si predicava amore. Si vede il presidente egiziano Morsi che ci mette troppo tempo e troppo poco cuore a condannare gli assassinii di questi giorni. Fra un po' si dirà: si stava meglio anche quando si stava ancora peggio.
Lodio al cinema. Teheran finanzia il film antisionista
di Guido Mariani
Se la galassia dell'estremismo islamico è in rivolta contro il contenuto offensivo del film The innocence of muslims, un prodotto di dubbio gusto e di dilettantesca fattura, nell'ambito delle pellicole blasfeme e razziste vige già però una triste par condicio.
Sui blog mediorientali, dopo l'attentato di Bengasi, spopola infatti Il cacciatore del sabato (The saturday hunter). Uscito nel 2011 nei cinema iraniani, trasmesso in primissima visione ad agosto e in attesa di essere proiettato nelle scuole e nelle università del Paese, il film è la storia di un rabbino sionista, l'ebreo ortodosso Rabbi Hanan, che introduce il suo nipotino Benjamin ai principi dell'ebraismo e gli insegna a odiare e uccidere gli infedeli in nome della supremazia di Israele. La vicenda è idealmente ambientata in Palestina, tuttavia la messinscena è volutamente vaga, quasi a rappresentare la minaccia globale ebraica.
L'opera dura un'ora e mezza, nella quale il bambino assiste alle lezioni di vita del crudele nonno, una caricatura degna dei peggiori stereotipi antisemiti: l'anziano mentore taglieggia i contadini arabi, sgozza a sangue freddo un inerme vecchio e guida un massacro di donne e bambini.
Il rabbino poi costringe il piccolo a sparare. «Non aver paura», dice Rabbi Hanan, «se Dio non volesse ti fermerebbe. Spara, spara. Non aver paura»....
Ricorre domani il 142esimo anniversario della Breccia di Porta Pia. Un appuntamento che avrà un significato del tutto particolare a Chieri, in Piemonte, dove due intense giornate di incontri ricorderanno la figura dell'ebreo Giacomo Segre, l'uomo cui Cadorna diede l'ordine di sparare il primo simbolico colpo sulle mura di Roma e che proprio a Chieri ebbe i natali. Le celebrazioni si svolgeranno alla presenza di una delegazione della Comunità ebraica di Torino guidata dal presidente Beppe Segre e avranno inizio domani pomeriggio con la deposizione di alcune corone di alloro sulla tomba del militare. In programma anche una mostra storica, incontri con gli studenti, momenti di spettacolo, animazione e musica.
Fra un po' si dirà: si stava meglio quando si stava ancora peggio, scrive oggi Fiamma Nirenstein sul Giornale, discutendo su quanto avviene in questi giorni nel mondo. Barbara Alessandrini su l'Opinione cita Carlo Panella che, già nel 2005, scriveva che per l'Islam l'apostasia, oltre che un peccato, è anche un reato da punire con la morte. Eppure gli ebrei sono regolarmente chiamati "porci e maiali" senza che il mondo reagisca, e nessuno reagisce nemmeno quando al festival di Venezia si proietta una scena di masturbazione con un crocefisso. Molto opportunamente la Alessandrini ritorna sull'articolo del prof. Eugene Rogan pubblicato sul Corriere di ieri nel quale veniva equiparato l'oltraggio alla religione islamica con il negazionismo; diversa è la libertà di opinione, che è ovunque riconosciuta quando sono di mezzo le religioni cattolica ed ebraica, dalla negazione di fatti storici. "E' in atto una sfida alla modernità contro la quale si deve reagire; la "Rinascita islamica" è pronta ed è capace di lanciare una sfida mortale e definitiva al mondo occidentale". Su Italia Oggi Diego Gabutti firma un altro interessante articolo nel quale si legge che l'islamismo, moderna utopia da non confondere, secondo molti, con l'Islam, ed il comunismo, da non confondere con l'idea di progresso e di uguaglianza sociale, sono "le sole dottrine sociali che reclamano la libertà sostanziale senza lasciarsi ingannare da quella formale". In visita in Egitto il ministro degli esteri francese Laurent Fabius, come scrive Roberto Fabbri sul Giornale, propone una norma internazionale contro la blasfemia; viene voglia di chiedere al ministro come penserebbe di far applicare una simile norma proprio nei paesi islamici dove ogni giorno ci si esprime, anche ufficialmente, contro le altre religioni monoteiste in maniera violentissima. Alcuni lettori scrivono a Repubblica ed al Giornale due lettere, opposte nelle tesi, ritornando sullla libertà di affermare il loro pensiero rifiutata alle giovani russe di Pussy Riot, condannate a Mosca ma difese in Occidente. Intanto in Francia ci si prepara a nuovi disordini per le vignette che usciranno oggi sul settimanale satirico Charlie Hebdo, che già nel 2006 pubblicò vignette su Maometto che causarono l'ira degli islamici; sbagliato, a parere di chi scrive, che Stefano Montefiori sul Corriere scriva di "colpa di chi produce quei contenuti".
Subito dopo la visita del papa in Libano, Camille Eid su Avvenire intervista il vescovo maronita Hobeika che afferma che ora bisognerà tradurre sul terreno quanto il papa ha lasciato, ma, come si legge sempre su Avvenire in un articolo di Vittorio E. Parsi, è immediatamente contraddetto da Nasrallah che ha incitato gli sciiti con un linguaggio che dimostra la pericolosa commistione tra politica e religione.
Roberto Zuccolini sul Corriere intervista il ministro Riccardi che si dichiara preoccupato per quanto succede alle porte di casa nostra, nel sud del Mediterraneo, e anche nell'Africa sub-sahariana dove siamo pericolosamente assenti; il ministro afferma pure che i Fratelli Musulmani sperano in una sintesi tra islam e democrazia, concetto questo che andrebbe analizzato molto più a fondo. U.D.G. su l'Unità, dopo aver finalmente riconosciuto che la transizione a un nuovo assetto democratico nei paesi della primavera araba è più complessa e contraddittoria del previsto, nega che si possa parlare di inverno islamista e dimostra di credere ancora in una democrazia che assuma il principio universale di libertà, libertà politica ma soprattutto religiosa. U.D.G. vede in quei paesi rispetto, tolleranza e dialogo, e mi viene voglia di invitarlo ad andarlo a dire alle minoranze di quei paesi (Turchia compresa) sempre più preoccupate per il proprio futuro.
Sollecitato da un lettore ad esprimersi sul terrorismo e sulla frase di Oriana Fallaci: "non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani", Sergio Romano sul Corriere, dopo aver fatto una assurda carrellata sul terrorismo dai primi del '900, deve riconoscere che la nazione (nel senso di nazione singola) araba non esiste; la religione è diventata l'estremo rifugio e "non esistono terapie sicure". Antonio Golini sul Messaggero appare preoccupato dai numeri che le statistiche ci presentano; si deve esaminare il forte incremento della giovane popolazione mondiale islamica, e questo non potrà non far aumentare le disuguaglianze già esistenti all' interno del mondo islamico. Golini osserva pure che, mentre nella religione cattolica è adesso maturata una dimensione individuale, in quella musulmana prevale quella collettiva.
Sul Wall Street Journal, che dedica ancora un articolo al problema della circoncisione in Germania, si legge che anche coloro che difesero sempre la presenza ebraica in quella nazione ((530.000 ebrei prima della guerra, poche migliaia dopo la guerra e 104.000 oggi), cominciano a dubitare di essere nel giusto, mentre ben pochi tedeschi hanno dei collegamenti personali con il mondo ebraico. Preoccupa ovviamente che oltre 600 professori abbiano firmato una lettera contro la pratica della circoncisione.
Hamas al Cairo: non chiudere tutti i tunnel verso Gaza
Vi passano merci per 2 mln di dollari al giorno
IL CAIRO, 18 set - Una delegazione di Hamas si e' incontrata oggi al Cairo col capo dell'intelligence egiziana Raafat Shehata. Nell'incontro si e' parlato di riconciliazione palestinese e gli esponenti di Hamas hanno posto sul tavolo la questione della chiusura dei tunnel verso la Striscia di Gaza.
L'Egitto ha avviato un'operazione per renderli inutilizzabili dopo l'attacco contro un posto di frontiera nel Sinai il 5 agosto scorso nel quale sono morte 16 guardie egiziane.
Secondo fonti palestinesi la delegazione, guidata dal capo dell'ufficio politico di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, ha chiesto all'Egitto di non procedere alla chiusura dei tunnel da Rafah, attraverso i quali passano tutte le merci verso la Striscia sottoposta a blocco da parte israeliana.
Secondo le fonti la delegazione ha chiesto alle autorita' egiziane di lasciare i tunnel aperti in attesa che venga realizzata una zona di libero scambio sul lato egiziano della frontiera. Secondo al Ahram online il valore della merce che passa sotto i tunnel verso Gaza ammonta a due milioni di dollari al giorno, sui quali Hamas riscuote il 7% di tasse
Secondo gli esperti occidentali c'e' la mano del Mossad o forse della CIA. Il 17 agosto una serie di esplosioni ha messo fuori uso centrali elettriche fuori dalla portata anti bunker di Israele.
VIENNA - Una serie di esplosioni ha messo fuori uso delle centrali elettriche iraniane fuori dalla portata anti bunker di Israele. Stando alle ultime rivelazioni il nuovo sabotaggio e' stato reso possibile dalla presenza di inflitrati nell'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Un'ennesima spy story che dura da anni e che investe i programmi nucleari iraniane e la cui ombra lunga arriva fino in Israele. Stando ai calcoli degli esperti e alle fonti occidentali dietro alle operazioni segrete che hanno provocato un blackout del sito nucleare iraniano non ci puo' essere altro che la mano della CIA o del Mossad. L'obiettivo e' indebolire le ambizioni atomiche di Mohamad Ahmadinejad e ritardare una guerra che pare ormai inevitabile. Ben trenta paesi hanno partecipato in questi giorni a delle esercitazioni nel Golfo Persico nello stretto d'acqua sensibile di Hormuz, molto importante per il trasporto di merci e petrolio. Le centrali elettriche riforniscono due dei piu' importanti siti nucleari della Repubblica Islamica, tra cui quello di Orgoh, che si trova diverse decine di metri sotto una montagna. I tecnici militari sostengono che la centrale sia fuori dalla portata dei sistemi anti bunker israeliani. Solo le bombe americane potrebbero raggiungerlo. Non e' chiaro quale tipo di danni sono stati recati alle centrifughe. E' il sito dove gli occhi dell'intelligence mondiali sono puntati. Fereydoun Abbasi, capo dell'Organizzazione per l'energia atomica iraniana e sfuggito qualche tempo fa a un misterioso agguato che lo voleva morto, ha tenuto oggi un discorso all'Aiea sul programma nucleare di Teheran. L'uccisione degli scienziati nucleari dell'Iran per mano dei terroristi al soldo delle potenze straniere e l'indifferenza dell'Aiea a questo riguardo sono fenomeni pericolosi anche per altri paesi che vogliono sviluppare l'energia nucleare per gli usi pacifici. Ha detto Abbasi criticando l'agenzia Onu anche per diffondere le informazioni ottenute dal Teheran negli ambienti ostili al popolo iraninao. Parlando delle operazioni di sabotaggio, orchestrate dall'estero, ai danni degli impianti nucleari dell'Iran, Abbas si e' riferito alle linee elettriche dell'impianto atomico di Fordow, nel centro, che sono state sabotate con degli esplosivi, proprio come accaduto di recente con la centrale di Natanz. ''Lo scorso 17 agosto - ha detto - le linee elettriche del complesso di Fordow, a Qom, sono state sabotate con degli esplosivi''. La conferenza generale dell'Aiea e' iniziata oggi a Vienna, sede dell'Agenzia, mentre gli interventi dovrebbero proseguire per tutta la giornata.
ISRAELE - Gli archeologi dell'Università di Tel Aviv che stanno scavando il tell di Beit Shemesh, sulle colline della Giudea vicino a Gerusalemme, hanno scoperto un antico sigillo di pietra che potrebbe rappresentare la storia del Vecchio Testamento della lotta di Sansone contro un leone.
Il piccolo sigillo (poco più di un centimetro di diametro) mostra un animale di grandi dimensioni con la coda felina che attacca un uomo e potrebbe essere, secondo il direttore degli scavi il prof. Shlomo Bunimovitz, la prova della storia biblica di Sansone che lotta contro un leone.
Il sigillo è stato scoperto a uno strato che risale a circa l'XI secolo a.C., lo stesso periodo a cui i ricercatori fanno risalire la storia di Sansone menzionata nel Libro dei Giudici, quando le tribù d'Israele si trasferirono nella zona dopo la conquista di Giosuè della terra di Canaan. Era un tempo in cui gli ebrei venivano guidati da dei capi noti come giudici, uno dei quali era Sansone. Il prof. Bunimovitz sostiene che il sigillo potrebbe essere collegato alla storia biblica proprio a causa di questa confluenza di circostanze: il sigillo è stato trovato in prossimità dei luoghi dove si crede sia vissuto Sansone ed è stato fatto chiaramente nel periodo di tempo in cui si raccontava di un uomo che aveva combattuto con un leone. E' possibile che il sigillo e la Bibbia parlino della stessa storia.
La città biblica di Timna, dove la Bibbia indica che abitasse la moglie di Sansone, si trova non lontano da Beit Shemesh. Secondo Giudici 14:05, Sansone si stava recando alla sua festa di fidanzamento, quando "un giovane leone gli veniva incontro ruggendo". Dopo aver ucciso il leone, Sansone usò il racconto dell'accaduto per intrattenere gli ospiti alla sua festa, dando vita a uno degli enigmi più famosi della storia occidentale: "Dal divoratore è uscito del cibo e dal forte è uscito il dolce" (Giudici 14:14). Il sigillo appena scoperto è la prima testimonianza fisica che i ricercatori hanno trovato di questo racconto biblico.
ANTICO CONTESTO CULTURALE - Insieme al sigillo, sono state scoperte due strutture, che erano evidentemente usate per scopi rituali durante lo stesso periodo. In una di esse i ricercatori hanno trovato una sorta di tavolo, simile a un altare, accanto al quale sono state trovate un gran numero di ossa di animali. Il prof. Bunimovitz ritiene che gli animali potrebbero essere stati usati per i sacrifici.
Una parte fondamentale dei racconti biblici su Sansone e Beit Shemesh è un confine menzionato nella Bibbia tra la zona occupata dai Filistei e quella occupata dalla gente del posto, i Cananei prima e il popolo di Giuda dopo. Anche le ossa di animali trovate a Tel Beit Shemesh aiutano ad autenticare e fornire un contesto per questa parte del racconto biblico.
A pochi chilometri a ovest di Beit Shemesh, il gruppo di archeologi ha rinvenuto un gran numero di ossa di maiale, le quali dimostrano che le persone in quella zona mangiavano grandi quantità di carne di maiale. A Tel Beit Shemesh, invece, sono state scoperte pochissime ossa di maiale (del tutto assenti dopo l'XI secolo a.C.). Il prof. Bunimovitz ritiene che quando i Filistei mangiatori di carne di maiale arrivarono !!nel paese dal Mar Egeo, la popolazione locale smise di mangiare carne di maiale deliberatamente per distinguersi dagli stranieri.
Fonte: Università di Tel Aviv - Traduzione a cura della Redazione di Tdgnews.it
Secondo la stampa israeliana il premier si sarebbe visto rifiutare dal presidente Usa la richiesta di essere ricevuto in occasione della prossima assemblea generale dell'Onu. Notizia smentita dalla Casa Bianca: "Obama e Netanyahu non saranno a New York negli stessi giorni".
WASHINGTON - Non un rifiuto ma solo una questione di agende. Si tinge di giallo la vicenda del mancato incontro Obama-Netanyahu alla prossima Assemblea generale dell'Onu. La stampa israeliana pubblica la notizia che la Casa Bianca avrebbe respinto la richiesta da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu di incontrare il presidente Barack Obama a margine della prossima Assemblea generale dell'Onu. Immediata la smentita da Washington. La Casa Bianca si è subito affrettata a precisare che quello di Obama "non è stato un rifiuto" e che entrambi i leader parteciperanno all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma i due non si incontreranno, né a New York né nella capitale americana, per una divergenza tra le agende dei due leader.
LA SPIEGAZIONE DELLA CASA BIANCA. ''Il presidente - spiega Tommy Vietor, uno dei consiglieri di Obama - arriverà a New York per l'assemblea generale dell'Onu il 24 settembre e ripartirà il giorno dopo. Il primo ministro israeliano, invece, arriverà a New York nei giorni successivi. Dunque, semplicemente non saranno in città nello stesso momento''. Vietor ha quindi sottolineato come Obama e Natanyahu si tengano in costante contatto tra loro e come il primo ministro israeliano incontrerà a New York altri alti responsabili dell'amministrazione Obama, tra cui il segretario di Stato Hillary Clinton. E un portavoce del governo israeliano ha riferito che "l'agenda di Obama ha tempi troppo serrati per poterlo permettere". In ogni caso il tema più caldo che ha complicato le relazioni tra Stati Uniti e Israele è il tipo di risposta da adottare contro l'Iran, che entrambi i Paesi ritengono impegnato nella costruzione dell'atomica. I primi preferirebbero una soluzione per via diplomatica, mentre Israele vorrebbe una reazione militare.
Israele avvia la costruzione della più grande base militare del Paese. A rischio le comunità beduine, già minacciate dalle deportazioni del piano Prawer.
L'esercito israeliano ha avviato la costruzione della più grande base militare di addestramento del Paese a Sud d'Israele. Un progetto milionario: 650 milioni di dollari il costo totale per una base che dovrebbe accogliere 10mila soldati a partire dalla fine del 2014. A Sud di Beer Sheva, la nuova base sarà lunga 30 chilometri e ospiterà i soldati oggi di stanza a Tel Aviv. Un progetto che solleva già le prime aspre critiche: Israele prosegue nella militarizzazione del Negev, al confine con l'Egitto, minacciando seriamente la vita delle comunità beduine palestinese, già da tempo target dell'amministrazione israeliana.
Nel settembre del 2011, infatti, il governo Netanyahu ha approvato il famigerato piano Prawer, ovvero il trasferimento forzato di 30-40mila beduini - di origine palestinese, ma cittadini israeliani - dai propri villaggi in Negev - verso "nuove città" appositamente costruite da Tel Aviv. Una vera e propria deportazione verso moderne baraccopoli, agglomerati urbani che finirebbero per uccidere il tradizionale stile di vita beduino. A ciò si aggiungerebbe, secondo il piano Prawer la confisca delle terre delle comunità beduine, non riconosciute come legali dal governo israeliano.
Oggi, l'ennesima minaccia giunge dalla nuova base militare: oltre 250mila metri quadrati di terra verranno utilizzati per costruire caserme, siti di simulazione, uffici informatizzati e poligoni di tiro. Oltre agli alloggi per i 10mila militari da addestrare ogni anno: non semplici soldati, ma autisti, paramedici e truppe di sostegno alle attività militari.
E tra gli obiettivi israeliani c'è anche quello di rivitalizzare il Negev e il suo aspro territorio: casa a solo l'8% dell'intera popolazione israeliana, fin dai tempi di Ben Gurion, è stato target delle autorità israeliane e del sogno di renderlo verde e vivibile. Anche attraverso la creazione di posti di lavoro: secondo l'esercito israeliano, la costruzione della nuova base darebbe lavoro a 20- 30mila israeliani impiegati nel settore delle costruzioni.
Inoltre, almeno 300 militari professionisti si sposterebbero con le loro famiglie in Negev, fornendo linfa vitale all'economia dell'area, oltre a creare nuovi servizi scolastici e sanitari. Altro esempio di colonizzazione, del tutto simile a quella in atto dal 1967 in Cisgiordania. Stavolta il target sono le comunità beduine a Sud di Israele, seppure l'esercito affermi che nessuna di loro sarà trasferita con la forza per la costruzione della base. Anzi, secondo le autorità israeliane, gli stessi beduini beneficeranno del progetto.
Pochi passeggeri e ingenti spese di sicurezza. Per questi motivi la compagnia aerea israeliana "El Al" si accinge a cancellare i voli diretti fra Tel Aviv e il Cairo, inaugurati oltre 20 anni fa come strumento per rafforzare le relazioni fra i due popoli sulla scia degli accordi di pace di Camp David del 1979 fra Israele e Egitto. La direzione della "El Al" - che da alcuni anni è una compagnia di volo privata - ha inviato una lettera al ministro degli Esteri Avigdor Lieberman per fargli presente che nelle condizioni attuali quella tratta non ha più una ragione economica per esistere. Ma nel ministero degli Esteri israeliano si teme che se il collegamento aereo verrà cancellato sarà molto difficile riattivarlo in un secondo tempo; le relazioni con il "nuovo Egitto" della Fratellanza musulmana sono ondivaghe e improntate alla reciproca diffidenza. A sostegno di questa tesi c'è l'esempio dell'ambasciata israeliana al Cairo, attaccata da manifestanti e devastata oltre un anno fa. Da allora Israele non è più riuscito a trovare al Cairo nessun altro edificio disposto ad ospitare la sede diplomatica, in quanto i proprietari temono nuovi assalti. Di conseguenza l'ambasciatore di Israele è costretto a lavorare da un appartamento privato.
Rebbe Avraham Mattisyahu de Shtefanesht. Gli Hassidim al Museo di Gerusalemme
Rebbe Avraham Mattisyahu
Il Museo d'Israele a Gerusalemme ha osato una première d'eccezione presentando una mostra consacrata agli hassidim, i membri della corrente del giudaismo haredi, ultra ortodosso, un movimento di rinnovamento della fede nato nell'Europa dell'Est nel 18esimo secolo, che predica il rifiuto del cambiamento e la comunione gioiosa con Dio, praticata senza riserve attraverso canti e danze.
A Gerusalemme i passanti incrociano ogni settimana durante il shabbat padri di famiglia hassidim che portano il schtreimel, il largo copricapo spesso decorato con pelliccia e di forma cilindrica.
Il loro modo di vestire è immutato da secoli, il loro antico linguaggio, lo yiddish - la lingua degli ebrei ashkenaziti, nata nel decimo secolo in Germania e poi diffusa nell'Europa centrale e la loro vita, incentrata sullo studio e la famiglia, ne fanno un misterioso mondo a parte.
Contrariamente ai timori diffusi, la comunità hassidim di Gerusalemme è felice che una mostra venga loro dedicata.
In esposizione vi sono molti documenti, fotografie antiche, volumi preziosi, paramenti sacri, oggetti densi di un'intensa carica emotiva, come i volumi che ancora portano le impronte dei primi rabbini che hanno contributo a divulgare l'hassidismo.
Il pezzo più ammirato è una corona in oro, decorata con pietre preziose, cesellata da un gioielliere di Vienna nel 19esimo secolo e con la quale l'illustre rebbe Avraham Mattisyahu de Shtefanesht (1847-1933, foto a lato) ornava i rotoli della Torah. E' stata prestata alla mostra dal Victoria & Albert Museum di Londra.
Rebbe è la parola in yiddish con cui viene chiamato chi ha autorità sulla sua comunità. Si tratta di una figura più importante del rabbino.
Ad esempio, se un hassid ha un problema di salute, prima di consultare il medico consulta il rebbe. Solitamente i fedeli gli affidano dei fogli dove hanno scritto i loro desideri esistenziali, in quanto si crede che le sue preghiere siano più vicine a Dio.
Alcuni rebbe hanno operato dei miracoli e in questo caso i loro abiti sono conservati come le reliquie dei santi. Sono talmente preziose che nessuna famiglia ha accettato di prestarle al museo di Gerusalemme per questa mostra.
Turchia-Israele: nonostante il gelo, gli auguri di Erdogan agli ebrei
ANKARA, 17 set - Nonostante il gelo calato sulle relazioni fra la Turchia e Israele da due anni, dopo l'incidente della 'flottiglia per Gaza' al largo delle coste dello stato ebraico nel quale nove attivisti turchi vennero uccisi dalle teste di cuoio israeliane, il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha espresso oggi un caloroso augurio di buon anno alla comunita' ebraica del paese in occasione di Rosh Hashanah.
''Presento i miei migliori auguri ai nostri cittadini ebrei ed auguro loro un nuovo anno con salute, felicita', serenita' e benessere'' ha detto Erdogan, riferisce l'agenzia Anadolu. ''La Turchia, ha affermato, e' una terra di amore e tolleranza fra le cuvilta''. Secondo la stampa turca lo stato ebraico avrebbe inviato emissari per cercare di normalizzare i rapporti con Ankara. Lo stesso Erdogan, citato da Hurriyet, ha affermato ieri che ''alcuni mesi fa mi hanno inviato i piu' ricchi uomini d'affare ebrei'' per tentare una mediazione. ''Ho ribadito che ci sono tre condizioni'' ha aggiunto Erdogan: ''Israele deve scusarsi, deve pagare compensazioni, e l'isolamento di Gaza deve cessare''.
TEL AVIV - A pochi giorni da una lunga telefonata "chiarificatrice" fra Barack Obama e Benyamin Netanyahu, Stati Uniti ed Israele si sono egualmente invischiati in una nuova diatriba sulla opportunità di tracciare una chiara "linea rossa" per bloccare i progetti atomici dell'Iran.
Obama - e con lui il Segretario di Stato Hillary Clinton e il Segretario alla Difesa Leon Panetta - non perdono alcuna occasione per ribadire pubblicamente che in questa fase limitare il proprio spazio di manovra sarebbe un errore marchiano.
Ma il premier di Israele (probabilmente irritato per non aver potuto fissare un incontro con Obama, quando alla fine del mese sarà negli Stati Uniti) resta irremovibile e la scorsa notte ha mandato a dire direttamente ai cittadini statunitensi - mediante interviste alle reti Cnn e Nbc - che su quel punto è Israele ad avere ragione. Proprio la definizione di una "linea rossa" (ossia di un ultimatum) all'Iran potrebbe costringere i dirigenti iraniani alla cautela e dunque a ridurre i rischi di un conflitto. Altrimenti, ne è più che persuaso, punteranno diritti verso la realizzazione di un ordigno atomico: «avanzano rapidamente verso l'arricchimento dell'uranio di cui hanno bisogno» - ha detto - e «tra sei mesi circa, avranno fatto il 90% del cammino».
Verso quanti sembrano non comprendere a pieno l'allarme di Israele nei confronti dei progetti nucleari dell'Iran (che anche ieri è tornata a minacciare la distruzione dello Stato ebraico) Netanyahu sembra aver esaurito ogni residua scorta di pazienza. Al giornalista statunitense che gli chiedeva se una politica di «contenimento» non potrebbe in definitiva funzionare con l'Iran come a suo tempo funzionò per l'Unione Sovietica, il premier ha risposto: «È molto diverso, loro mettono il loro zelo religioso prima ancora della loro sopravvivenza. Hanno uomini-bomba suicidi in tutto il mondo. Non mi fiderei della loro razionalità». «L'Iran - ha incalzato - è guidato da una leadership di incredibile fanatismo, lo stesso fanatismo che vedete adesso investire le vostre ambasciate. Volete che quei fanatici abbiano armi nucleari ?»
Riferendosi a quanti in Usa si oppongono strenuamente a un blitz preventivo israeliano e pensano che un male minore sarebbe accettare un Iran nucleare in funzione stabilizzatrice del Medio Oriente, Netanyahu - che ha anche confermato di non avere intenzione di interferire con la sua politica nelle prossime elezioni Usa - è infine esploso: «Io penso che questa gente ha stabilito un nuovo standard di stupidità umana».
L'Iran conferma: Nostre truppe al fianco dei militari di Assad
Un comandante: per ora solo assistenza, nessun combattimento
ROMA, 17 set. - Un comandante dei Guardiani della Rivoluzione in Iran ha confermato ieri che le sue truppe si trovano in Siria per fornire assistenza ai militari fedeli a Bashar al Assad impegnati contro i ribelli dell'opposizione. Gli iraniani, al momento, non sarebbero coinvolti direttamente nei combattimenti: ma il comandante ha avvertito che le sue unità potrebbero impegnarsi militarmente se la Siria dovesse essere attaccata da forze straniere.
Questa dichiarazione, si legge oggi sul quotidiano El Mundo, rappresenta la prima dichiarazione ufficiale sulla presenza di truppe iraniane in Siria. L'Occidente e i ribelli siriani, in passato, avevano ripetutamente accusato Teheran di fornire armi e sostegno alle forze rimaste fedeli al regime siriano.
"Mostrate la vostra rabbia e collera", dice il leaderdi Hezbollah
BEIRUT, 17 set. - Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha lanciato un appello a manifestare in Libano contro il film anti-islamico 'The Innocence of Muslims', girato negli Stati Uniti e diffuso su internet, che ha scatenato la rabbia di tutto il mondo musulmano.
"Dovete mostrare al mondo intero la vostra rabbia e la vostra collera, lunedì e i giorni che seguiranno", ha dichiarato il capo del movimento sciita in un discorso diffuso da al Manar, l'emittente di Hezbollah.
Ha lanciato un appello ai suoi sostenitori a manifestare oggi nella periferia sud di Beirut, mercoledì a Tiro, venerdì a Baalbeck (est), sabato a Bent Jbeil in Libano meridionale e domenica nella Valle di Bekaa.
Si è inoltre rivolto ai musulmani di tutto il mondo, che ha esortato a reagire di fronte a questo film descritto come il "peggior attacco contro l'islam, peggiore ancora dei 'Versi satanici' (un romanzo di Salman Rushdie pubblicato nel 1988), del fatto di bruciare copie del Corano in Afghanistan o le vignette del profeta Maometto pubblicate da un quotidiano danese.
17 settembre 2012: si festeggia l'anno ebraico 5773
di Franca Dattola
Reggio Calabria, via della Giudecca
Il 25 luglio del 1511 gli Ebrei, costretti dall'editto dell'anno precedente del re di Spagna, dovettero lasciare Reggio Calabria - città che, secondo il mito, era stata fondata da Aschenez, pronipote di Noè. Avevano, fino a quel momento, abitato la Giudecca e avevano fatto fortuna sviluppando l'arte della seta e della tintura dei tessuti e quella tipografica.
A Reggio era stata impiantata, infatti, la seconda tipografia del Regno di Napoli da parte di Abraham ben Garton che, nel 1475, vi aveva stampato il Pentateuco, primo libro in carattere israelitici del mondo (tre anni dopo, Salomone di Manfredonia, aveva impiantato una tipografia a Cosenza).
Nella Giudecca di Reggio fu stampata il 5 febbraio 1475 la prima versione ebraica della Bibbia, secondo quanto riportato sulla "Storia di Reggio Calabria", di Domenico Spanò Bolani. « In quest'antica e illustre città di Reggio posta all'estrema punta d'Italia di rimpetto alla Sicilia, vide la sua luce la prima edizione ebraica della Bibbia nel mese di Adar dell'anno 5235 della creazione del mondo, vale a dire tra il febbraio e il marzo dell'era cristiana anno 1475 - ha scritto Vito Capialbi nelle "Memorie delle Tipografie Calabresi" - Fu dessa il Commentario al Pentateuco di Rabbi Salomone Jarco (la copia anastatica del Pentateuco di Rabbi Salomone Jarco è visionabile presso la Biblioteca comunale Pietro De Nava, NdR) impresso da un tale Abramo Garton figliuolo di Isacco, del quale niun'altra notizia mi è riuscito di raccogliere. E sebbene nell'istesso anno si fosse stampato in Pieve di Sacco, terra nel Padovano, il Rabbi Jacobi Ben Ascer Arba Jurim, ch'è la più antica delle altre edizioni ebraiche conosciute, pure dessa trovandosi impressa colla data del mese Jamuz, per quattro mesi posteriore devesi riputare. »
Il 17 settembre 2012, ricorrenza dell'anno ebraico 5773, tre componenti della Comunità Ebraica si recheranno, tra l'altro, in via Aschenez, angolo via Giudecca, sotto le palme di dattero di Palazzo Campanella, e in via De Nava, presso la casa di Cristina Marrari, figlia del maresciallo del campo di concentramento di Ferramonti - Tarsia. Luoghi in cui verranno letti alcuni salmi e suonato lo shofar ebraico (corno di montone).
Un'occasione per riflettere su quell'insieme di civiltà che sono entrate a far parte, nelle piccole e grandi cose, della "regginità". I datteri, per esempio, si ritrovano nell'alimentazione della Magna Grecia, per esempio nel plakùs, dolce di forma bassa e tonda era fatto di farina, noci, pistacchi e datteri e nelle offerte votive e Demetra e Persefone; sono ampiamente presenti nell'Antico Testamento, dove il termine Tamar, albero di palme, viene usato anche per belle fanciulle; il termine arabo tamàrru prima di assumere l'attuale significato italiano, nel dialetto reggino medioevale significò venditore di datteri.
GERUSALEMME - Dopo circa 70 anni e' arrivato in Israele un tappeto che si pensa sia stato tessuto a mano e in segreto dagli ebrei ammassati dai nazisti nel Ghetto di Lodz: il secondo piu' grande della Polonia dove a partire dal maggio del 1940 furono rinchiusi dai tedeschi oltre 200.000 persone.
Per tutto questo tempo il tappeto e' rimasto appeso alla parete dell'appartamento di una donna polacca in un palazzo che, durante la Shoah, faceva parte del Ghetto stesso. Ma la storia non finisce qui: in una sorta di compensazione che pure non ripaga certo della morte e della sofferenza subite dalle vittime, il tappeto - intessuto dagli operai della fabbrica del Ghetto come augurio per Rosh-Hashana' (il Capodanno ebraico) del 1941-1942 - e' giunto in Israele a pochi giorni di distanza della festa del nuovo anno che ricorre domani.
Del tappeto - secondo quanto racconta il giornale 'Israel Ha Yom' - per molto tempo non si e' saputo piu' nulla, finche' non e' stato rintracciato dai ricercatori dell'Istituto 'Shem Ola m' di Kfar Haroeh - tra Hadera e Benyamina nel centro di Israele - che si occupa di opere e argomenti attinenti alla vita sociale e individuale durante la Shoah.
Ai ricercatori la figlia della donna polacca ha raccontato che sua madre era arrivata a Lodz da un villaggio vicino, nel 1945: l'area era abbandonata e la donna aveva preso dalle case i mobili e gli oggetti lasciati. In uno dei questi appartamenti, nell'angolo di una stanza, aveva trovato il tappeto di Rosh-Hashana' appeso al muro e da allora lo aveva tenuto a casa sua.
"Oggi - ha detto la figlia della donna, citata dal quotidiano - mia madre e' anziana e il tappeto potrebbe andare in pezzi, cosi' ha chiesto di ridarlo a voi, gli ebrei''.
"Il tappeto - ha osservato Rabbi Avraham Krieger, direttore dell'Istituto dove ora l'opera e' in mostra - e' un regalo di Rosh-Hashana e vi si possono trovare motivi speciali, come il
ragno nero e la ragnatela che rappresentano i nazisti o la stella gialla su sfondo blu e bianco, simbolo di speranza''.
Una speranza testimoniata per oltre 70 anni. Dei circa oltre 200.000 ebrei (e anche una piccola parte di zingari) che passarono nel Ghetto di Lodz, dopo le deportazioni nei campi di sterminio e la sua distruzione per mano nazista di fronte all'avanzata dell'Armata Rossa, ne sopravvissero soltanto 10.000.
El-Al minaccia la sospensione dei voli per il Cairo
TEL AVIV, 16 set - Pochi passeggeri, ingenti spese di sicurezza: per queste ragioni la compagnia aerea israeliana El Al si accinge ad annullare i voli diretti fra Tel Aviv e il Cairo inaugurati oltre 20 anni fa come strumento per rafforzare le relazioni fra i due popoli sulla scia degli accordi di pace di Camp David.
TEL AVIV, 16 set - Al calare delle tenebre il mondo ebraico celebra oggi l'inizio dell'anno nuovo: secondo la tradizione, il 5773 dalla Creazione divina. ''Lo Stato di Israele e' di fatto un miracolo'' ha detto in questa circostanza il presidente Shimon Peres. ''Ha saputo dimostrare che e' possibile fare piu' del previsto. I suoi successi sono senza eguali. Israele e' un Paese attivo, frizzante, dinamico, rafforzato da forza di volonta' e disponibilita' ed esaminare ogni nuova idea ed ogni nuovo approccio''.
di Alfredo Mordechai Rabello
Giurista - Università Ebraica di Gerusalemme
Nell'ambiente sionista religioso è rimasto famoso il discorso che il Rabbino Avraham Hacohen Kook (il primo Rabbino Capo di Erez Israel) pronunciò il primo giorno di Rosh Hashana` 5694 (1933-34). Erano passati pochi mesi da quando Hitler era giunto al potere nella Germania nazista e le notizie che arrivavano in Erez Israel dalla Germania erano sempre più terribili; più di trentamila ebrei fecero l'alià in questo periodo.
Il Rav Kook decide di fare un discorso prima della suonata dello Shofar nel Beth Hakeneset Hachurvà (Churvat Rabbi Jehudà Hechassid), nella Città Vecchia di Jerushakaim. Nella sala gremita il Rav Kook incomincia a parlare dei dinim (regole) sullo Shofar di Rosh Hashanà, spiegando come vi siano tre gradi: 1) il più alto grado è quello dello Shofar di montone, quello noto ad ognuno di noi; 2) ogni Shofar è casher, fatta eccezione di quello di mucca; 3) se una persona non ha uno Shofar casher, gli è permesso suonare qualsiasi Shofar, anche in uno pasul - inadatto dal punto di vista della Halachà- ma non dovrà fare la Berachà su uno Shofar simile.
Questi gradi dello Shofar di Rosh Hashanà sono adatti anche per i gradi dello Shofar della Redenzione.
Nella preghiera della Amidà che recitiamo ogni giorno, chiediamo: "suona nel grande Shofar della nostra libertà" - ed anche nello Shofar della gheulà vi sono tre gradi. Il risveglio del popolo per essere redento e per redimere la sua terra, è un risveglio la cui sorgente è santa, la fede in D-o e nella santità di Israel Suo popolo: questo è il grande, eccellente Shofar. La sua voce è stata udita dai grandi di Israel, che si sono svegliati all'amore per Sion ed il ritorno ad essa. Questi pii hanno visto nella loro visione la Jerushalaim celeste unita alla Jerushalaim terrestre, hanno avvertito la santità di Erez Israel. Udendo la voce di questo grande Shofar hanno compiuto la alià il Ramban, Rabbì Jehudà Hallevì, Rabbì Ovadià di Bertinoro, gli allievi del gaon di Vilna, i Chassidim del Baal Shem tov: questo è senz'altro " il grande Shofar della nostra libertà".
Ma accanto a lui vi è anche un altro Shofar che chiama gli Ebrei a fare l'alià in Erez Israel, perchè questa è la terra dei nostri Padri, qui vissero i nostri Padri, i nostri Profeti, i nostri Re. Qui possiamo vivere come popolo libero nella sua patria, qui possiamo educare i nostri figli in atmosfera ebraica; anche questo è uno Shofar casher, anche se non grande come il primo, è uno Shofar "medio" e bisogna fare la berachà anche su di esso.
Ma vi è anche (e qui il Rav scoppiò in pianto) uno Shofar di un animale impuro: quelli che odiano Israel suonano questo Shofar nelle orecchie degli ebrei e chiamano gli Ebrei a fuggire dalle terre della golà e a salire in Erez Israel finché si è ancora vivi. I nemici ci costringono a redimerci, ci fanno la guerra, ci procurano disgrazie e dolori, non ci danno pace.
Chi non ha ascoltato la voce del primo Shofar, e neppure quella del secondo, dovrà ascoltare contro voglia la voce dell'ultimo Shofar... ma non dobbiamo fare una benedizione su uno shofar simile, non si benedice su un bicchiere di disgrazie ( TB, Berachot 51 b). E noi preghiamo "suona nel grande Shofar della nostra libertà", non farci arrivare alla nostra libertà attraverso uno shofar piccolo, un suono di disgrazie, bensì attraverso uno Shofar della vera libertà, di piena redenzione proveniente da una fonte di santità.
Tutti noi attendiamo il grande giorno sul quale è detto (Isaia, 27,13): "In quel giorno verrà suonato un grande Shofar e gli sperduti nell'Assiria e i dispersi in Egitto verranno a prostarsi al Signore sul monte sacro, a Jerushalaim".
A tutti i nostri lettori l'augurio affettuoso: inizi l'anno con le sue benedizioni!
«LIslam esploderà in faccia allOccidente». Intervista con Raphael Israeli, esperto di Islam
Riproponiamo, a distanza di undici anni, un articolo che avevamo pubblicato nel primo anno di vita del nostro notiziario (Notizie su Israele 57, novembre 2001). I fatti di oggi possono essere visti come il compimento delle parole del professor Israeli. Parole che come allora probabilmente anche oggi resteranno inascoltate. M.C.
"L'Islam esploderà in faccia all'Occidente", avverte il prof. Raphael Israeli, docente di politica mediorientale e islamismo all'Università Ebraica di Gerusalemme. Il professore Israeli, che viene spesso interrogato dai media sul conflitto israelo-palestinese, ha scritto finora 15 libri, tra cui la biografia del Presidente egiziano Anwar el Sadat, Man of Defiance, un libro sull'immagine di Israele nei media arabi, Peace in the Eye of the Beholder, e il libro Islamic Fundamentalism in Israel. Presto usciranno altri tre suoi libri.
- Prof. Israeli, qual è la causa del terrorismo islamico: l'esistenza dello Stato ebraico o il contenuto del Corano?
Anzitutto il testo del Corano, perché questo esiste già da secoli, ma anche lo Stato di Israele ha contribuito nei tempi moderni ad aumentare il pericolo dell'Islam fondamentalista. Quello che adesso brucia agli occhi dei musulmani è l'attacco dell'Occidente all'Islam. E non importa che l'America lodi l'Islam e procuri cibo ai musulmani. Ai loro occhi l'America è e rimane il loro nemico mortale. Lo vediamo tutti i giorni nei paesi arabi e nei territori palestinesi.
- E' il popolo musulmano quindi a determinare il clima?
Sto scrivendo in questo momento un nuovo libro sul terrorismo islamico, dove descrivo anche i nuovi precetti legali dei dotti musulmani, che non sono da considerarsi estremisti, ma appartengono alla corrente islamica predominante Azhar. Anche loro mobilitano oggi il mondo musulmano contro l'America, perché l'America attacca i musulmani. Secondo il Corano nessun musulmano deve combattere un altro musulmano o stringere un'alleanza contro musulmani.
- Forse capiamo male l'Islam? La terminologia è un grosso problema. Noi e i musulmani usiamo le stesse parole, ma ognuno pensa qualcosa di diverso. Nella loro visione, ogni persona che attacca un musulmano è un terrorista. I musulmani descrivono il terrorismo in modo diverso dall'Occidente, dove si dice terrorista chi vuole raggiungere un obiettivo usando violenza contro civili innocenti. I musulmani considerano il terrorismo islamico contro l'America o Israele come una difesa contro l'aggressione americana o israeliana. Pensano che soltanto loro hanno diritto a difendersi, ma non l'America o noi. I musulmani chiamano tutto questo Jihad (guerra santa) per seminare paura nei cuori dei nemici, perché l'America e Israele sono nemici di Allah. I musulmani considerano quindi gli attacchi terroristici a Manhattan o nella pizzeria Sbarro a Gerusalemme come guerra santa contro i terroristi dell'Occidente.
- Non si può presentare la Jihad in modo innocuo?
No, la Jihad è una guerra. Ma all'inizio del ventesimo secolo alcuni alti religiosi musulmani hanno cercato di addolcire la Jihad e interpretarla spiritualmente, come se fosse una pacifica missione per convertire il mondo all'Islam. La Jihad è uno strumento dei musulmani per diffondere l'Islam nel mondo, così era all'inizio nel Medio Evo e così è ancora oggi. Quindi i musulmani hanno dichiarato una guerra santa contro l'America, così come hanno dichiarato una guerra santa contro di noi.
- Quale tipo di Islam dà oggi il tono, gli estremisti o i musulmani moderati?
L'Islam fondamentalista non ha inventato un nuovo Islam. C'è solo un Islam e i musulmani moderati credono le stesse cose degli estremisti, solo che non mettono ancora in pratica le idee musulmane. L'Egitto, per esempio, è un paese povero e oggi dipende dall'America. Come potrebbe l'Egitto combattere contro l'America da cui riceve ogni anno 2 miliardi di dollari? Ma non appena dovesse scoppiare una guerra totale contro i musulmani, l'Egitto combatterebbe il nemico insieme agli altri musulmani.
- L'Occidente oggi cerca di fare una differenza tra il terrorismo palestinese e il terrorismo islamico.
Come ho già detto, l'Islam sostiene di dover combattere una legittima Jihad, e tutto quello che i nemici fanno è sempre terrorismo. L'Occidente lo sa, e sa anche che le azioni di Israele nei territori palestinesi sono più umane degli attacchi aerei americani contro l'Afganistan. E tuttavia siamo noi ad essere criticati; noi, che facciamo uccisioni mirate di terroristi palestinesi e non facciamo come gli Americani, che bombardano le scuole, e come gli attentatori suicidi palestinesi, che fanno saltare in aria ristoranti e autobus. L'Occidente si comporta da ipocrita, perché vuole tenersi buono l'Islam.
- L'America combatte davvero il terrorismo Gli americani credono di combattere il terrorismo, ma in realtà lo combattono molto peggio di noi. Il ministro della difesa americano Rumsfed ha detto: "Per combattere il terrorismo bisogna cercare i terroristi dove si trovano, in Afganistan." La stessa cosa facciamo noi nei territori palestinesi, ma, a differenza dell'America, Israele viene criticato. Ma non passerà molto tempo e gli Americani si accorgeranno di non avere più dei partner di coalizione musulmani, quando nel secondo stadio della guerra vorranno combattere il terrorismo anche in Irak, in Siria e in altri paesi arabi.
- In quale misura i governi arabi sono radicati sul terrorismo islamico? Dipende dal paese. Vorrei ricordare ai lettori che il Presidente egiziano Mubarak ha ingannato il Presidente americano Reagan, quando ha negato che i terroristi responsabili del sequestro della nave Achille Lauro (1985) si trovavano nel suo paese. L'Arabia Saudita è il partner più stretto dell'America e l'Arabia Saudita paga ogni anno 100 milioni di dollari ai terroristi di Hamas. Naturalmente l'America lo sa, e tuttavia Washington non intraprende nulla contro l'Arabia Saudita, nonostante che Hamas si trovi sulla lista americana del terrorismo. Ma il governo di Bush ha annunciato di punire anche i governi arabi che sostengono il terrorismo islamico, non è vero? L'America non può permettersi di fare guerra a tutti i musulmani, e poiché Washington e l'Occidente conducono una politica di compromesso con i musulmani, l'America e l'Occidente non potranno mai annientare il terrorismo islamico.
- In altre parole: il mondo è inerme contro l'Islam?
L'Islam mette il mondo sotto pressione e il mondo mette Israele sotto pressione. L'Occidente cede all'Islam per motivi politici ed economici, tra l'altro anche per il numero crescente di minoranze musulmane in Occidente, circa 10 milioni di musulmani negli USA, 5 milioni in Francia, 3 milioni in Germania e 2 milioni in Inghilterra.
- Ma l'Europa non vede il pericolo dell'Islam?
I governi europei hanno paura dei musulmani, ma non l'ammetteranno mai. Negli anni 80 la Francia è stato l'obiettivo di numerosi attacchi terroristici e il governo francese ha dato dei soldi ai terroristi per mettere fine al terrorismo in Francia. E' più economico comprare la tranquillità che andare in guerra contro l'Islam.
- Il movimento islamico in Israele è un serio pericolo per il futuro di Israele? Già vent'anni fa ho messo in guardia contro il movimento islamico in Israele e nove anni fa ho scritto un libro sul pericolo del fondamentalismo musulmano in Israele. Le mie diagnosi erano giuste, questo l'ammette anche il servizio di sicurezza israeliano Schin Bet. Ma a che cosa serve questo se il governo israeliano, per motivi politici, non intraprende nulla contro i fanatici musulmani? Gli arabi israeliani diventeranno un grande pericolo per il futuro di Israele.
(Nachrichten aus Israel, novembre 2001 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Teheran: Pronti a distruggere Israele in caso di attacco
Il Generale Ali Jafari: Non resterà nulla dello Stato ebraico
TEHERAN, 16 set. - L'Iran è pronto a distruggere Israele e le basi statunitensi nella regione in caso di attacco militare israeliano contro i suoi siti nucleari. Lo ha dichiarato il generale Mohammad Ali Jafari, comandante in capo delle Guardiani della rivoluzione. In caso di attacco contro l'Iran, "non resterà nulla di Israele, tenuto conto delle limitate estensioni delle sue terre e della nostra forza missilistica", ha detto Ali Jafari. "Nessuna regione di Israele sarà risparmiata".
Da diverse settimane le autorità israeliane affermano di essere pronte ad attaccare gli impianti nucleari iraniani per fermare il controverso programma di Teheran che secondo Israele ha scopi solo militari.
Protesta in Israele per il ritiro delle acque del Mar Morto
Un bagno collettivo sulle rive israeliane del Mar Morto venerdì per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla costante contrazione delle acque. L'evento è stato promosso da "Salviamo il nostro mare", gruppo di attivisti che soffrono di malattie della pelle e che vedono a rischio le acque del Mar Morto, sollievo alle proprie sofferenze. Di questo passo con lo sfruttamento per industria e agricoltura, stando ad alcune proiezioni, il mare sarà prosciugato nel giro di 50 anni..
Un anno per meditare sul passato e costruire il futuro
di Rav Eliahu Birnbaum, rabbino capo di Torino
Rosh HaShanà indica la conclusione di un anno e anticipa quello nuovo. Che cosa ci rallegra in questa festa? La fine dell'anno e l'addio da esso oppure l'inizio di un anno nuovo? A Rosh HaShanà noi colleghiamo l'anno passato, il bene, le attività e le azioni racchiuse in esso con l'anno in arrivo, colmo di sfide, aspettative e novità. Rosh HaShanà simboleggia per noi il compimento di un percorso ma soprattutto l'inizio di un nuovo processo che continua fino al capodanno seguente, haba alenu le tovà. Nei giorni della festa meditiamo sulle azioni passate e dedichiamo un pensiero al futuro, giacché sta scritto "tutto segue il principio, ovvero il capo". Ci auguriamo in questi giorni, che ci conducono a Rosh Hashanà, di beneficiare del privilegio e della possibilità di imparare dal passato e meditare sul futuro. Di approfondire le nostre radici nella storia del popolo ebraico e trarre da essa ispirazione per il lavoro futuro nelle comunità italiane; un impegno che nasca dal pensiero profondo e da una speciale attenzione per ogni singolo ebreo. Shanà Tovà, Ketivà vakhatimà tovà a tutte le comunità in Italia, a tutte le famiglie e ad ogni ebreo.
Si tratta dell'apertura di una causa fra creato e Creatore davanti al tribunale celeste: ogni essere vivente sarà giudicato
di Vittorio Dan Segre
Il capo d'anno ebraico che secondo il calendario lunare biblico é il 5773esimo anniversario della creazione del mondo, inizierà la sera di domenica. Durerà due giorni e il suo significato e il suo modo di celebrarlo è molto differente da quello cristiano o cinese. Infatti si tratta dell'apertura di una causa fra creato e Creatore davanti al tribunale celeste. Davanti ad esso passerà ogni essere vivente per essere giudicato. Verrà stabilita per ciascuno - nazioni incluse - pena o premio. Chi vivrà e chi morirà. Chi si arricchirà e chi si impoverirà, chi soffrirà e chi gioirà" e così via recita il testo della preghiera. Giudizio non però definitivamente "registrato" il che avverrà solo 10 giorni dopo nel giorno di Kippur, giorno di totale digiuno e di continua preghiera. Per dieci giorni, dedicati all'esame di coscienza, alla richiesta di perdono alle persone offese, all'ammissione dei peccati, viene così offerta la possibilità di ricredersi e ottenere eventualmente, il rinvio o la cancellazione della pena. In altre parole il capo d'anno ebraico non é gioioso e materialistico anche se le tradizioni culinarie lo sono.
Diventa così naturale per i media focalizzarsi su quello che lo Stato degli ebrei, il primo dal tempo della distruzione del Tempio di Gerusalemme (simbolo dell'identità religiosa nazionale) per mano di Tito imperatore nel 70 d.C., ha realizzato o fallito nel suo 63esimo anno di esistenza, con le alte cariche civili, religiose, militari, culturali dello stato che pubblicano in messaggi e interviste il loro punto più o meno sincero sulla situazione e sul loro operato.
Alcuni fatti positivi sono evidenti: la popolazione dello stato ha raggiunto gli 8 milioni , simile a quella svizzera diventando la maggiore comunità ebraica del mondo; l'economia, in pieno sviluppo, é fra le poche non colpita dalla crisi; la moneta é solida, la disoccupazione (7%) in discesa; gli investimenti esteri in crescita, lo spread a 229, le istituzioni democratiche solide e funzionanti nel mezzo delle convulsioni del mondo arabo. Insomma dal tempo dell'esilio di Babilonia mai gli ebrei sono stato meglio nella terra di Israele.
Eppure questa società di immigranti che fanno del loro assorbimento la fonte della sua energia, affronta il nuovo anno turbata. Sul piano politico c'é la delusione per l'incapacità tanto della destra quanto della sinistra di promuovere soluzioni nei confronti del problema palestinese e di una occupazione che rappresenta per la società israeliana un peso morale più grave di quello della sicurezza, anch'esso mai risolto. La minaccia nucleare iraniana condivisa sottobanco con il resto dei paesi arabi della regione, pone il governo di fronte a scelte esistenziali che oltre tutto lo pongono in aperto contrasto con l'attuale amministrazione americana. Ma il problema più grave che questo paese deve affrontare é quello della propria identità. Come scriveva recentemente l'autorevole demografo israeliano Sergio della Pergola, è difficile parlare di Israele in termini normali. " Il sionismo storico come strumento della sovranità statale perseguiva due scopi: mantenere l'eccezionalità e conseguire la normalità per il popolo ebraico.E' possibile conseguire questi due obiettivi antitetici?" si chiedeva della Pergola.
Probabilmente no. Il fatto che lo stato di Israele sia l'unico membro delle Nazioni Unite ad essere minacciato di distruzione, l'unico la cui legittimità é contestata, ne é la prova. L'esame di coscienza che il Capo d'Anno tradizionalmente impone, non é perciò soltanto rivolto alla ricerca di soluzioni di problemi esterni ma sopratutto a quelli interni: cioè chiarire il significato di uno stato ebraico moderno e democratico che non ha "parenti" nel presente come nel passato. Se é stato difficile per l'Italia definire attraverso molteplici conflitti interni, crolli di regimi, guerre vittoriose e sconfitte cosa significa "fare gli Italiani", ancora di più lo é per una società in guerra da quasi un secolo, in un paese dalle frontiere non ancora internazionalmente riconosciute. Sono dunque molti i motivi di orgoglio, di ripensamento e di umiltà in questa società traboccante di energia e allo stesso tempo così bisognosa di quiete; così legata alle tradizioni e così appassionatamente moderna e innovatrice.
Se i pronostici sono al tempo stesso realistici e messianici, l'unica cosa certa é che anche nel prossimo anno si continuerà ad odiare o amare Israele. Ma restarne indifferenti, impossibile.
Per la seconda volta in due anni, l'Aiea esprime una "forte preoccupazione" per il programma nucleare iraniano. L'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, nella sua ultima risoluzione, accusa l'Iran di non aver voluto seriamente collaborare all'operato degli ispettori. Teheran, infatti, nega loro l'accesso ai siti sotto indagine, come Parchin, il complesso militare dove probabilmente si sono condotti studi e test sulle future testate nucleari. Il rapporto dell'Agenzia non dà adito ad equivoci: il programma iraniano è andato avanti fino al punto di poter produrre almeno 6 ordigni nucleari, se il suo intento dovesse risultare essere militare e non pacifico.
Il documento emesso dall'Aiea chiede pieno e libero accesso a questi siti. Ma la risposta iraniana già la dice lunga: «Questa risoluzione non aiuta a risolvere la questione nucleare, ma la complica - ha commentato l'ambasciatore iraniano Alì Soltanieh - perché la sta politicizzando. Renderà più difficile il clima di cooperazione. Non hanno (i rappresentanti dell'Aiea, ndr) imparato dalle lezioni del passato: ogni qualvolta siano state emesse risoluzioni, il risultato è stato controproducente». L'approvazione della risoluzione non è stata una passeggiata. Il Sud Africa e l'Egitto, ad esempio, hanno chiesto di modificare il testo. Il risultato è un compromesso, un testo meno vincolante rispetto all'originale, che è stato approvato da tutte le grandi potenze che fanno parte del gruppo di contatto "5+1": Usa, Cina, Russia, Francia, Regno Unito e Germania. L'ambasciatore statunitense all'Aiea, Robert Wood, ritiene che la risoluzione « lanci un segnale molto forte all'Iran: che la pressione diplomatica stia crescendo, si stia intensificando e che l'isolamento dell'Iran sia sempre più completo».
È però proprio l'atteggiamento degli Stati Uniti che sta mandando in crisi il governo israeliano, il più direttamente minacciato dal programma nucleare di Teheran. Benjamin Netanyahu aveva già (all'inizio del mese) rimproverato l'amministrazione Obama di non aver tracciato "una linea rossa", oltre la quale la diplomazia possa considerarsi fallita e debba lasciar spazio ad altri metodi, anche militari. Il premier di Gerusalemme ha chiesto a Barack Obama un incontro a quattr'occhi, in occasione dell'apertura della prossima Assemblea Generale dell'Onu a New York. Ma la Casa Bianca ha rifiutato, comunicando la sua decisione con un comunicato ufficiale emesso il 12 settembre. Il periodo è il peggiore possibile. Con mezzo mondo islamico che si sta sollevando contro le sedi diplomatiche statunitensi (a causa di un film "blasfemo"), l'amministrazione Obama non vuol gettare altra benzina sul fuoco.
Ma, così facendo, abbandona l'alleato israeliano in periodo di massimo pericolo. Perché anche l'Iran sta cavalcando palesemente l'onda di sdegno anti-occidentale di questa settimana. A Teheran, in migliaia hanno partecipato alla manifestazione di regime contro gli Usa, lanciando i consueti slogan "Morte all'America!" e "Morte a Israele!". Se gli Stati Uniti, per il regime degli ayatollah, sono il "Grande Satana", anche il "Piccolo Satana" (Israele) entra automaticamente nel mirino.
Le catacombe ebraiche di Venosa chiuse ai turisti ma non alle pecore
L'iniziativa è promossa dal Comitato "Venusiae 2.0". La petizione sarà consegnata al sindaco. Le catacombe ebraiche invase dagli ovini. Raccolte 900 firme per la riapertura.
di Lorenzo Zolfo
VENOSA (PZ)- Il comitato cittadino "Venusiae 2.0" ha raccolto quasi 900 firme, per l'immediata riapertura delle Catacombe ebraiche. Questo comitato cittadino del centro oraziano si era mobilitato a fine agosto per favorire l'immediata apertura delle catacombe ebraiche, riaperte al pubblico nell'ottobre del 2008, dopo 30 anni di ristrutturazione, ma dopo poco tempo, chiuse per per lavori di riqualificazione ambientale, restauro, recupero funzionale e scavo archeologicco. Evidentemente questo comitato è stato sollecitato a chiedere la riapertura del sito delle Catacombre Ebraiche perché Venosa è meta di tanti turisti, non solo in estate, e vedere questo sito chiuso non è un bel biglietto di presentazione per questa cittadina che ha dato i natali al sommo poeta latino Orazio. Anche se in questo momento di chiusura, l'ingresso delle catacombe è frequentato da turisti speciali, le pecore (vedi foto scattata dal comitato nella giornata dell'8 settembre scorso). Ecco la motivazione che ha spinto il comitato Venusiae 2.0 a chiedere la riapertura della catacombe: «Data l'importanza culturale del monumento e il suo ruolo importantissimo per incrementare il turismo cittadino e territoriale deve essere data assoluta priorità alla sua apertura. Invitiamo quindi il Soprintendente Regionale a prendere le necessarie misure per raggiungere l'obiettivo». La risposta della Soprintendenza regionale ad opera del direttore, De Siena non si è fatta attendere: «crolli e piccoli distacchi che si sono registrati all'interno delle catacombe impongono molta prudenza nella riapertura per la massima protezione delle persone e per la salvaguardia delle stesse strutture archeologiche». Le Catacombe, scoperte nel 1853 sulla collina della Maddalena, costituiscono una preziosa miniera di storia antica, che ti fanno entrare in contatto con le sepolture e le iconografie del popolo ebraico. Il sito testimonia, attraverso le epigrafi che vi sono state rinvenute, la presenza a Venosa tra il IV e il IX secolo d.C. di una consistente comunità ebraica, secondo alcuni più potente di quella presente a Roma. Il comitato cittadino "Venusiae 2.0" fa sapere che si può ancora firmare, una volta superate le mille firme, saranno consegnate al sindaco.
Cosa c'è dietro il boom di visitatori: marketing, ma anche una strategia per superare l'eterno conflitto
di Egle Santolini
Il lago di Tiberiade
TEL AVIV - Il pellegrinaggio ai luoghi santi, ma non solo. I fanghi del Mar Morto, ma non basta. Gerusalemme, Tel Aviv, il deserto, la Galilea. Si va sempre di più in Israele, da tutto il mondo e anche dall'Italia. Sono 21 mila i nostri connazionali che solo ad agosto hanno visitato il Paese, un sonoro 52% in più rispetto allo stesso mese del 2011.
Centosettemila per il periodo gennaio-agosto (11%), cifre che s'iscrivono in un boom generale visto che, sempre per il periodo gennaio-agosto, gli arrivi da tutto il mondo sono stati 2,3 milioni, più 7% rispetto al 2011 e più 10% rispetto al 2010 che già fu un anno buonissimo. Si spera per la fine dell'anno, con il picco di Natale, nel record di tre milioni e mezzo.
Nonostante le inquietudini per la situazione di quest'area e le minacce del terrorismo internazionale: evidentemente in Israele si va informati, curiosi, non irrazionalmente ansiosi, mossi da esigenze di approfondimento culturale. «Più che turisti, viaggiatori», li definisce Barbara Ambrosini, contract manager di Hotelplan per Israele e gli Emirati. «Conoscono già molti altri Paesi e non sono alle prime armi, sanno che sulle strade troveranno posti di blocco, che incontreranno parecchie persone armate, che all'aeroporto saranno sottoposti a lunghi colloqui, tanto più se volano El Al. Ma quando gli spieghiamo che dovranno arrivare con grande anticipo per garantire la propria sicurezza, si adeguano con facilità. Vanno per capire e si abbandonano all'esperienza».
In visita a Torino lo scorso febbraio, il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat aveva ribadito la volontà di aprire la sua città a diversi tipi di turismo, e non soltanto a quello religioso «per chi vuole assaporarne i valori, l'esperienza, la cultura e la spiritualità abbinati ai vantaggi competitivi storici che possediamo. Abbiamo la migliore posizione nel mondo, il miglior brand». Patrizia Stella, commerciante di Parma, è appena tornata. Non le interessava «il semplice pellegrinaggio, ma un viaggio nella Storia contemporanea. Siamo stati anche nei Territori e in un paio di insediamenti, abbiamo visto Hebron a una distanza di 500 metri. Non ho mai provato una vera e propria ansia. Mi ha confortato una frase della guida che ci accompagnava: gli attentati sono diminuiti da 100 a due».
Tvzi Lotan, consigliere per gli affari turistici dell'Ambasciata: «Considero questo boom il segno di un calo di tensione, di una stanchezza percepibile, in noi e nei palestinesi, per l'eterno conflitto». Si va di più in Israele anche come conseguenza della primavera araba, nel senso che si preferisce una destinazione problematica ma certo più stabile, oggi, rispetto all'area del Nordafrica? «Forse, ma credo che il turismo dai Paesi arabi si sia dirottato soprattutto dalla sponda Sud del Mediterraneo a quella Nord, in particolare verso Spagna, Grecia e Turchia. Si sceglie Israele perché è un posto speciale, ricco di storia e di spiritualità, a sole tre ore e mezza di volo dall'Italia, percorribile da un capo all'altro in poco più di otto ore. E poi con l'accordo «cieli aperti» stipulato questa primavera sta aumentando l'impegno delle compagnie low cost: finora ci veniva solo EasyJet, ora arriveranno compagnie polacche e soprattutto Ryanair».
Ma Israele resta una meta più cara della media, «e infatti - sottolinea Barbara Ambrosini - più che delle questioni di sicurezza i clienti si lamentano dei costi in relazione a standard alberghieri un po' spartani. Rispondiamo che, nella tradizione del posto, gli hotel sono semplici punti di ristoro, dotati dell'indispensabile ma stringati sul lusso. Ci sono molte altre compensazioni». Volendo si può anche
pernottare nei kibbutz, oggi divisi in due categorie di comfort e più accoglienti rispetto a certi ricordi un po' hippy degli Anni Ottanta.
A parte il leisure, cioè i viaggi per piacere, resta l'enorme bacino del turismo religioso: sul risultato record di agosto incide l'aumento dei pellegrinaggi giovanili, dovuto anche alla mancanza per il 2012 della Giornata mondiale della gioventù, e molto ci si aspetta per l'Anno della fede, a partire dal prossimo ottobre, in occasione del quale molte parrocchie hanno cominciato a organizzarsi. I pellegrini vengono ospitati in strutture confessionali o da famiglie locali, in cambio di un piccolo contributo. E intanto arrivano turisti da posti finora impensati: Brasile, India e Cina.
Introvabile il regista di "Innocenza dei musulmani". Una delle comparse: "Abbiamo recitato un copione diverso e poi ci hanno doppiato"
di Alberto Mucci
CHICAGO - Mezzo mondo dà la caccia al regista e al film che hanno fatto infuriare il mondo arabo. Ma le tracce dell'uno e dell'altro sono talmente confuse che ora si dubita perfino che esistano. Il regista de L'innocenza dei Musulmani è prima stato identificato col presunto magnate ebreo Sam Bacile che, sostenuto da 100 donatori ebrei americani, avrebbe prodotto la pellicola. Ma la storia non ha retto. Ore dopo la rivista americana The Atlantic ha scoperto che Bacile in realtà non è mai esistito. E sempre ieri Terry Jones, il pastore americano famoso per aver bruciato un Corano nel giorno del nono anniversario dell'11 settembre, ha dichiarato di aver sentito per telefono il «vero» regista per proporgli di collaborare e offrirgli una preghiera di sostegno. Jeffrey Goldberg dell'Atlantic ipotizza che l'identità vera sia quella di Nakoula Besseley Nakoula, 55 anni, che in un'intervista ha ammesso di aver partecipato alla realizzazione del film ma ha negato di averlo diretto.
Di più. La rivista Gawker ha sentito Cindy Lee Garcia, una delle comparse, che impaurita ha raccontato di quando, nel luglio 2011, la pellicola venne pubblicizzata col titolo I Guerrieri del Deserto. E anche la trama era un'altra: un dramma storico ambientato nell'Egitto di 2.000 anni fa. Del profeta Maometto nessuna menzione. Almeno fino alla fase della postproduzione quando il nome del protagonista «Maestro George» è d'un tratto diventato quello del profeta dell'Islam. In altre parole il cast del film avrebbe recitato un copione diverso e poi sarebbe stato doppiato. Nell'intervista Garcia ha dichiarato che il solo pensiero di aver causato morti e feriti la fa «sentire male» e gli 80 del cast hanno scritto alla Cnn evidenziando di «essere stati presi in giro». Sullo sfondo un dubbio, che esistano in realtà i soli 14 minuti diffusi su Youtube, e una domanda: chi c'è dietro?
La positiva esperienza dell'orchestra Fuori Tempo di Martignano e del gruppo Bakim Baum Compay con «Tu cresci con la musica»
GERUSALEMME - Il Trentino è sempre più in rete con il mondo, pronto a scambiare esperienze e condividere arte ed emozioni. E' quello che è accaduto in Israele grazie al gemellaggio per la pace tra i giovani dell'orchestra "Fuori Tempo" di Martignano, i ragazzi del gruppo Bakim Baum Compay (quelli l'associazione teatrale "Portland" di Trento) con i ragazzi ebrei, musulmani drusi e cristiani, del gruppo "Arcobaleno" della Fondazione "Beresheet LaShalom" e l'ensamble "Lauda" di Jezreel Walley di Nazareth. Lavorando insieme, i giovani ospiti del kibbutz di Sasa, in Galilea, hanno dato vita ad un grande laboratorio di convivenza creando una performance di musica e teatro dal titolo "Tu cresci con la musica" che ha riempito un teatro nella città di Maalot-Tarshiha, entusiasmando il pubblico.
Sono 80 ragazzi fra i 13 e 16 anni; 2 compagnie teatrali e due orchestre: ebrei, arabi, drusi e cristiani. Giovani trentini e ragazzi di Nazareth e del kibbutz Sasa hanno lavorato insieme sulla valorizzazione delle differenze.
Un percorso di fratellanza che negli ultimi tre anni, grazie all'importante esperienza di "Officina Medio-Oriente", ha costruito ponti di dialogo tra ebrei e arabi. Snodo centrale di questo progetto il Trentino: un luogo neutrale dove portare avanti esperienze concrete e tessere nuovi rapporti interpersonali.
"Officina Medio Oriente" ha trovato una sua tappa ideale con la rappresentazione al teatro di Maalot-Tarshiha ma anche con l'esperienza e la visita di Gerusalemme alla presenza delle autorità.
Già i due gruppi di ragazzi arabi ed ebrei erano venuti in Trentino negli anni scorsi e l'ultima volta a maggio, ora i trentini hanno restituito la visita in Isreale.
Una settimana di convivenza, un laboratorio di vita vissuta, per stare insieme tutti quanti senza nascondere la propria dimensione culturale, identitaria e religiosa, bensì vivendo nel modo più aperto possibile. Un percorso non facile, concreto ma anche di alto valore simbolico. Per incontrare "l'altro" bisogna riuscire a superare i pregiudizi e assaporare lo spirito positivo della convivenza.
La performance di ragazze e ragazzi di popoli diversi ha riscontrato grande successo ed apprezzamento da parte della popolazione locale presente. Il vicesindaco della città di Maalot-Tarshiha non ha mancato di ricordare come quello che oggi è un teatro per la promozione del dialogo, dell'arte e della cultura, è stato uno dei luoghi maggiormente colpiti sei anni fa durante i bombardamenti partiti dal Libano. «Sono arrivati - ha detto - 300 razzi che hanno ucciso sia arabi che ebrei a dimostrazione che la guerra non fa distinzioni. E' importantissimo per noi - ha aggiunto - che siate venuti dal Trentino così giovani a portare un tale messaggio di speranza: ci commuove e ci dà la forza per andare avanti. Persone che vivono fino in fondo la propria dimensione religiosa non possono che trovare punti di incontro. I ponti più veri e solidi sono quelli che si possono costruire con le colonne solide e ben distinte senza mescolarsi e senza nascondersi».
I ragazzi hanno lavorato molto, con grande entusiasmo, ben consapevoli della forza che l'arte ha per fare unire i ragazzi. E così, parlandosi, hanno scoperto di avere gli stessi sogni, gli stessi desideri, come se i confini del mondo, all'improvviso, non fossero mai esistiti.
Brindisi per il nuovo anno al Museo ebraico di Roma
ROMA - Sale del museo ebraico gremite per il consueto brindisi di Rosh Hashana organizzato dall'Ambasciata di Israele a Roma con la collaborazione della Comunità ebraica e rivolto agli addetti militari, alle forze armate e ai diplomatici di stanza nella Capitale. Un modo per festeggiare in compagnia l'ingresso ormai imminente del nuovo anno ma anche l'occasione per salutare un amico che si appresta a concludere il proprio mandato in riva al Tevere, l'addetto militare di Israele Yehu Ofer.
Ieri pomeriggio sono stati in molti a rivolgergli un augurio speciale. A prendere la parola tra gli altri, per un breve indirizzo di saluto, l'ambasciatore Naor Gilon, il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici e il rabbino capo rav Riccardo Di Segni. In sala anche il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e numerosi rappresentanti delle forze armate e del governo tra cui il sottosegretario di Stato alla Difesa Filippo Milone. Ad allietare il palato dei tanti ospiti la degustazione delle delizie gastronomiche di Lebonton in un percorso di sapori che ha toccato i pilastri della cucina giudaico-romanesca, alcune prelibatezze mediorientali e piatti dolci tipici della festa di Rosh Hashana.
di Vttorio Pavoncello
Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Vittorio Pavoncelo
Molto scalpore ha suscitato la morte dell'ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens, a seguito dei disordini, in Egitto e in Libia, scaturiti dalla programmazione di un film, L'innocenza dei Musulmani, considerato blasfemo e offensivo dai devoti all'Islam. Subito è partita la caccia a chi fosse dietro questa pellicola. Prodotta, finanziata e realizzata dagli israeliani e dagli ebrei, coro unanime su tutti i media.
Questa tesi ha trovato terreno fertile in quasi tutti i commenti all'accaduto, su tutti giornali, dove non si è risparmiato sulle allusioni al potere economico degli ebrei, alla loro influenza, non solo in Israele ma in tutto il mondo, anche da parte di giornalisti "amici".
Vecchia storia.
Ora, però, che i contorni dell'operazione L'Innocenza dei Musulmani, vanno delineandosi sempre più ci si rende conto che è una bufala, che gli ebrei e gli israeliani, non c'entrano affatto. La ricerca, partita per capire chi fosse dietro alla provocazione, ha portato all'individuazione di tale Nakoula Basseley Nakoula, 55 anni, cristiano copto, pregiudicato per reati finanziari, che ha riconosciuto la sua implicazione nella pellicola ed ha fornito, all'Associated Press, dei dettagli riguardo la produzione del film e chi ci fosse dietro.
Il regista Sam Bacile, sedicente israeliano non esiste, o meglio, sarebbe lo stesso Nakoula Basseley Nakoula, nome fornito, con molti altri, alla Corte Federale americana.
Sempre all'AP ha detto che il film era nato per denunciare le preoccupazioni dei cristiani copti su come fossero maltrattati dai musulmani. Sam Bacile è rintracciabile, telefonicamente, soltanto attraverso i contatti con i cristiano copti, come Morris Sadek o come Steve Klein, nome forzatamente pseudo ebraici, ma Bacile non esiste, non esistono le centinaia di ebrei finanziatori del film, non c'è nessun elemento riconducibile ad Israele, nessuno verso gli ebrei.
Molto più comodo, per tutti, per i cristiano copti, per la stampa, per i musulmani stessi, credere che dietro ci fosse il perfido giudeo, manovratore di trame oscure, gestore del Potere mondiale. Insomma, il tentativo maldestro, da parte di qualcuno, di coinvolgere Israele (con la presunta cittadinanza di Bacile) o gli ebrei (quali finanziatori del progetto) è miseramente naufragato. Mi auguro che la stampa, così pronta a dare addosso all'untore giudaico, sia altrettanto pronta a raccontare le cose come stanno.
Quarantamila presenze al Festival della letteratura ebraica
ROMA, 13 set. - "Si e' conclusa ieri, con un bilancio di 40.000 presenze, la quinta edizione del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica che si e' tenuto dall'8 al 12 settembre. Un'affluenza di pubblico sorprendente che, rispetto alle 30.000 presenze della scorsa edizione, conferma il crescente successo della manifestazione con un platea di affezionati e di nuovi appassionati, soprattutto tra i giovani". E' quanto sostiene in una nota l'assessore alle Politiche Culturali e Centro Storico Dino Gasperini.
"Il Festival anche quest'anno si e' svolto interamente nell'area dell'Ex Ghetto Ebraico di Roma - prosegue - nella zona tra il lungotevere De' Cenci e via del portico D'Ottavia e tra via Arenula e il Teatro di Marcello ed e' stato inaugurato dalla Notte della Cabbala' : appuntamenti di musica, teatro, arte, degustazioni, danza, incontri letterari e dibattiti sulla mistica ebraica che hanno coinvolto oltre 30.000 persone in una sola serata".
"Ad attestare la crescente curiosita' del pubblico, rispetto al mondo della mistica ebraica, segnaliamo che nel 'book-corner' della libreria Kiryat Sefer sono stati acquistati durante il festival ben 2.500 volumi tra narrativa, saggistica, liturgia, preghiere, Cabbala' e testi sacri dalla Mishna' al Talmud - continua l'assessore - Tutti gli incontri con autori presso il Palazzo della Cultura hanno registrato il tutto esaurito e circa 2.500 persone hanno approfittato della Notte della Cabbala' per visitare il Museo Ebraico e la Grande Sinagoga".
Si sono aperti ieri a Gerusalemme i lavori dell'Israeli Jewish Congress, organo di rappresentanza di recentissima istituzione che si rivolge a tutti gli ebrei d'Europa e di Israele. Tra gli ospiti della giornata inaugurale il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente della Repubblica Shimon Peres, i ministri Silvan Shalom e Yuli Edelstein e numerosi parlamentari e dirigenti di Comunità ebraiche tra cui il leader degli ebrei romani Riccardo Pacifici. Intervenendo a un panel dedicato al tema della delegittimazione l'onorevole Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera, si è soffermata sui nuovi venti d'odio che spirano in Europa auspicando una collaborazione sempre più intensa e proficua tra comunità della Diaspora e Israele. "Oltre a preoccupanti manifestazioni di antisemitismo tradizionale come accade in Ungheria e Grecia - ha affermato Nirenstein - non dobbiamo sottovalutare il carattere letale della delegittimazione di Israele. Da un lato la continua messa in discussione del diritto all'esistenza dello Stato ebraico, guidata a livello mondiale da un presidente iraniano che incita incessantemente alla distruzione di Israele davanti a una impassibile comunità internazionale, dall'altro la negazione del legame storico del popolo ebraico con questa terra, con Gerusalemme, precludono a Israele il più elementare dei diritti, quello alla vita". Per questo, ha concluso l'onorevole, "è importante continuare a mostrare come Israele sia invece un paese vitale ed essenziale per il popolo ebraico, ovunque nel mondo. Una sfida in cui l'Israeli Jewish Congress può avere un ruolo importante. Da un lato consolidando il legame tra gli ebrei del mondo e Israele, dall'altro rafforzando i rapporti tra Israele ed Europa perché il Vecchio Continente non ripeta gli errori del passato".
Israele non demolirà (per il momento) la Scuola di Gomme
Lo ha deciso la Corte Suprema israeliana riunitasi per discutere le cause che riguardano la scuola costruita da "Vento di Terra" per i bambini della tribù beduina Jahalin.
La "Scuola di Gomme" di al Khan al Ahmar, alle porte di Gerusalemme, non sarà demolita, almeno per il momento. Lo ha deciso la Corte Suprema israeliana che si e' riunita oggi per discutere le due cause che riguardano la scuola costruita dall'ong italiana "Vento di Terra", frequentata dai bambini della tribu' beduina dei Jahalin.
La prima causa è promossa dagli abitanti
L'originale usa il termine "coloni". L'abbiamo volutamente sostituito con abitanti. Dora in poi faremo sempre così, perché i termini coloni e colonie distorcono in modo maligno la verità giuridica dei fatti e manifestano esplicito disprezzo.
del vicino insediamento ebraico di Kefar Adumim contro lo Stato di Israele e chiede l'immediato abbattimento della scuola.
La seconda causa, promossa dalla comunità Jahalin, chiede la legalizzazione della struttura scolastica.
La Corte Suprema, anche in considerazione dell'attenzione della diplomazia e dei media internazionali, ha rinviato la decisione nel merito, di fatto auspicando una "soluzione complessiva" sulla questione beduina da parte del Governo israeliano.
All'udienza hanno partecipato rappresentanze diplomatiche di molti Paesi, tra cui Italia, Francia e Spagna, Unione Europea e Nazioni Unite, diversi esponenti di Ong e confessioni religiose, tra cui i "Rabbini per i diritti umani", oltre ai rappresentanti di Vento di Terra e della comunità Jahalin e, in rappresentanza del Fondo Provinciale Milanese per la Cooperazione Internazionale, l'Assessore di Rozzano (Mi) ed ex deputato, Stefano Apuzzo.
Rosh Hashanah 2012: "Israele non può aspettare ... non ha un posto in cui nascondersi"
Lettera circolare di Rabbi Marvin Hier ai sostenitori del Simon Wiesenthal Center
13 settembre 2012
Rabbi Marvin Hier
Cari sostenitori del SWC,
Durante il mese di Elul, quando gli ebrei di tutto il mondo si preparano per le grandi feste, siamo stati raggiunti da uno speciale saluto Buon Anno da parte dei leader iraniani. La Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ha denominato Israele, "un vero tumore cancerogeno in questa regione che dovrebbe essere reciso." Il presidente Ahmadinejad ha detto al mondo: "Chiunque ami la libertà e la giustizia deve lottare per la distruzione del regime sionista".
Non abbiamo bisogno di dare lezioni Israele sugli orrori della guerra. Gli israeliani sono stati costretti a mandare i loro figli a combattere in sei guerre per una sola ragione: il rifiuto dei loro vicini di vedere una bandiera ebraica sventolare su un minuscolo pezzo della loro patria ancestrale.
Non è una minaccia nuova. Il regime iraniano ha sempre coerentemente continuato a chiedere la distruzione di Israele. Ma adesso sono in procinto di dotarsi di armi nucleari, il che è una minaccia per tutti i paesi, ma il mondo ha ancora voglia di aspettare - così come erano disposti ad aspettare Hitler. Se il mondo avesse dato ascolto agli avvertimenti di Churchill nel 1930, avremmo potuto evitare la catastrofe degli anni '40: la seconda guerra mondiale e l'Olocausto.
Israele non può aspettare come l'America o l'Inghilterra. Non è separato da un oceano o da un mare. Non ha un posto dove nascondersi. L'Ayatollah non cambierà idea. Siamo noi che dobbiamo cambiare la nostra. I leader del mondo occidentale dovrebbero rispondere al messaggio di saluto e dire all'Iran, in un linguaggio semplice: "Abbandonate il vostro programma di armi nucleari o noi ci uniremo a Israele per cancellare la vostra capacità nucleare." Ma non aspettatevi nulla dalle Nazioni Unite. Si sta preparando un posto di rilievo sul podio dell'Assemblea Generale di questo mese per nessun altro che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
Rabbi Marvin Hier
SWC Dean & Founder
(Simon Wiesenthal Center, 13 settembre 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Il premier parla della telefonata notturna con il presidente Usa
GERUSALEMME, 13 set - ''Una buona conversazione" ha definito il primo ministro di Israele Benyamin Netanyahu la telefonata notturna di mercolediì; scorso con il presidente Usa Barack Obama, avvenuta dopo le frizioni dei passati giorni sulla linea da tenere nei confronti di Teheran. ''Abbiamo parlato", ha detto al Jerusalem Post, "dei nostri comuni obiettivi per impedire all'Iran di sviluppare il programma di armi nucleari e del nostro desiderio di coordinare strettamente i nostri sforzi''.
La vecchia frattura tra Obama e Bibi non si ripara con una telefonata
di Mattia Ferraresi
NEW YORK - La telefonata fra Obama e Netanyahu è arrivata con il ritardo tipico delle conversazioni riparatrici, aggiustamenti di maniera che si adoperano quando troppo è stato detto e troppo poco è stato fatto per salvare la relazione quando era il momento.
La Casa Bianca ha insistito sulla durata della telefonata, un'ora, come a sottolineare che il presidente americano non sta snobbando l'alleato, sospetto alimentato invece dalla stampa israeliana, che riferisce - tramite anonime fonti governative - che Obama ha rifiutato di incontrare Netanyahu durante la visita a New York per l'Assemblea generale dell'Onu. "Semplicemente un problema di agenda", dice un portavoce dell'Amministrazione, il quale ha spiegato ai cronisti che Obama sarà a New York il 24 settembre e tornerà a Washington il giorno successivo, senza partecipare a incontri bilaterali e limitandosi al discorso al Palazzo di Vetro e alla partecipazione alla conferenza del Clinton Global Initiative; il premier israeliano arriverà in città soltanto alcuni giorni più tardi. Le fonti di Gerusalemme riferiscono però della richiesta di un incontro alla Casa Bianca, con il primo ministro che avrebbe dato la sua disponibilità ad allungare la missione americana per incontrare il presidente, circostanza che complica la posizione di Obama, immediatamente passato alla fase difensiva. La sintesi delle critiche a Obama l'ha fatta su Twitter il deputato repubblicano Ted Poe: "E' ironico che il presidente abbia tempo per una cena di fundraising da 40 mila dollari a testa con Jay- Z e Beyoncé, ma non per il primo ministro di Israele". A quel punto il presidente ha preso in mano il telefono. "Il presidente Obama e il primo ministro Netanyahu hanno riaffermato che sono uniti e determinati nell'impedire che l'Iran ottenga un'arma nucleare, e hanno detto che continueranno le consultazioni": questa la versione diramata ufficialmente ma sullo sfondo risuonava ancora la durissima frase pronunciata da Netanyahu: "Quelli che nella comunità internazionale rifiutano di mettere le 'linee rosse' sull'Iran non hanno il diritto morale di accendere la 'luce rossa' davanti a Israele".
Il riferimento esplicito è a generici attori nella comunità internazionale, quello subliminale - ma nemmeno troppo - è alle dichiarazione del segretario di stato, Hillary Clinton: "Non fissiamo nessuna scadenza" per un'operazione contro l'Iran. E' qui che Netanyahu non ci ha più visto: "Il mondo dice a Israele: 'Aspettate, c'è ancora tempo', e io dico: 'Aspettare cosa? Fino a quando?'", ha detto in conferenza stampa, e la frattura è precipitata nella querelle pubblica degli appuntamenti negati, poi smentiti e infine riparati quando ormai era troppo tardi. Il ministro della Difesa, Ehud Barak, ha detto che "Israele e gli Stati Uniti devono risolvere i loro problemi a porte chiuse" e ha ricordato, anche al suo primo ministro, "l'importanza strategica dell'alleanza con gli Stati Uniti". Detto altrimenti: la sovranità di Israele non è in discussione, ma la sua capacità di portare un attacco significativo alle installazioni nucleari iraniane senza l'appoggio degli Stati Uniti è una faccenda più complessa. Alcune fonti dicono a Fox News che la Casa Bianca sta lavorando per mettere l'incontro con Netanyahu in agenda, ma anche nel caso di un accordo in extremis si tratterebbe di un cerotto formale messo su una ferita sostanziale. Una ferita che ha a che fare con le diverse prospettive sull'Iran - nonostante la vanità degli sforzi, ufficialmente Washington insiste sulla via diplomatica - con la campagna elettorale americana e anche con la differenza di caratteri fra Obama e Netanyahu. Come scrive l'agenzia Reuters, la polemica fra i due leader "ha messo entrambi in una posizione in cui non vorrebbero essere", con il primo ministro israeliano che vede deteriorare la sua immagine di influente broker politico presso Washington, e il presidente americano che si espone all'accusa di abbandonare l'alleato nel momento del bisogno. "Throw Israel under the bus" è l'accusa che il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Mitt Romney, ripete ormai da oltre un anno; i senatori John McCain e Lindsey Graham hanno detto di essere "sorpresi e delusi" per lo sgarbo di Obama e l'ex ambasciatore presso l'Onu, John Bolton, ha parlato di un "enorme errore di politica estera". Obama ha alcune ragioni tattiche per evitare un incontro formale con l'alleato. La posizione ambigua della sua Amministrazione non può essere portata avanti se non al prezzo di fomentare le critiche all'interno, costo insostenibile per un presidente in cerca di rielezione; d'altra parte è chiaro che la dottrina di Washington sull'Iran impone attesa, sanzioni e deterrenza, ovvero quel misto di blando contenimento e diplomazia che Obama ha promosso a debole marchio di fabbrica della sua politica estera. E la divergenza con Netanyahu sullo strike è soltanto l'ultima propaggine di un rapporto che si è trascinato negli anni fra liti private, conversazioni rubate, molta anticamera, leaks maliziosi, dissensi su insediamenti e operazioni militari. Ferite che difficilmente si rimarginano con un incontro alla Casa Bianca, figurarsi con una telefonata.
Nello Zoo Biblico di Gerusalemme, il più grande acquario d'Israele
Non tutti sanno che Gerusalemme, oltre alla sua storia ed ai suoi importanti monumenti possiede uno storico Zoo Biblico (Jerusalem Biblical Zoo), che venne creato nel 1940 con la volontà di collezionare e mostrare agli ebrei tutti gli animali citati nella Bibbia. Fu creato dal Prof. Aharon Shulov proprio nel centro cittadino, in via Kook Harav, ma a causa delle guerre venne spostato diverse volte. Dal 1950 la sua collocazione fu nella zona di Givat Komuna, ove rimase fino al 1991, quando venne chiuso.
La sua riapertura avvenne due anni più tardi, nel 1993, per volontà della famiglia Tisch, ed il suo vero nome sarebbe The Tisch Family Zoological Gardens, ma per tutti rimane lo Zoo Biblico. Si trova ora nel quartiere Manahat, a sud-ovest di Gerusalemme. Oggi, lo zoo si estende su una bella zona di 25 ettari, circondata da case moderne e verdi colline. All'interno dello zoo biblico di Gerusalemme si trova un piccolo lago alimentato da un paio di cascate e piscine.
Tra i ruoli importanti dello zoo, quello di proteggere le specie di animali citati dalla bibbia a rischio di estinzione, come ad esempio il leone asiatico, scomparso da secoli dalle regioni limitrofe ad Israele. Intorno al lago ci sono molti spazi ombreggiati e prati ampi che migliorano l'atmosfera e trasformano il luogo in un bellissimo museo della natura, ideale da visitare se si vuole prendere una dolce pausa dalle visite del centro storico della capitale, specialmente durante le calde giornate estive.
Secondo quando annunciato dal municipio di Gerusalemme, lo Zoo Biblico sarà presto dotato del più grande acquario di tutto Israele. Se tutto va bene, questo unico acquario verrà aperto nel 2015 e sarà caratterizzato da specie tipiche del Mar Rosso e del Mediterraneo, oltre che del fiume Giordano. L'acquario sarà finanziato dai famosi filantropi di New York, David e Ruth Gottesman, già noti al mondo per la loro donazione di 25 milioni dollari per l'Università Yeshiva di New York.
Secondo le indiscrezioni, l'acquario verrà costruito su una vasta superficie di 6.000 metri quadrati del campus, che si trova proprio accanto agli edifici e le strutture dello Zoo biblico. L'attrazione principale del nuovo acquario sarà un moderno tunnel sottomarino, che sarà sotto sorveglianza continua, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.
Qui, i visitatori saranno in grado di vedere una vita sottomarina incredibile, e avranno una vista a 180 gradi della barriera corallina, dagli squali, alle tartarughe marine, fino alle altre specie di pesci esotici, che si possono trovare nel Mediterraneo orientale e nel Mar Rosso. In aggiunta a questa attrazione principale, ci saranno anche 30 vasche più piccole, dove i visitatori potranno osservare la vita marina in diversi habitat.
Quest'anno Israele ha registrato una crescita straordinaria di turisti italiani: da gennaio ad oggi, rispetto allo stesso periodo del 2011, oltre 107.000 turisti si sono recati in Israele con una crescita complessiva dall'inizio dell'anno di oltre l'11%. A renderlo noto è Tzvi Lotan, direttore dell'Ufficio del Turismo Israeliano in Italia. Più in generale, da gennaio ad agosto 2012 i turisti verso Israele sono aumentati del 7% rispetto all'anno scorso (5% sul 2010), arrivando alla cifra ragguardevole di 2,3 milioni di persone. E questo nonostante la crisi economica che affligge molti paesi occidentali e soprattutto i temuti venti di guerra che soffiano sulla regione a causa della crisi con l'Iran. Israele - spiega il ministero del turismo israeliano - continua cosi' a registrare record in questo campo: del complesso dei turisti, 1.900.000 sono stati quelli fermatisi per un periodo di tempo nel paese (in piu'rispetto al 2010/2011), 374.000 invece quelli entrati per un solo giorno. Agosto - e bastava aggirarsi per le localita' piu' famose del paese per rendersene conto - ha rappresentato il picco del periodo con 298.000 turisti entrati nello stato ebraico (10% in piu' rispetto allo stesso mese dell'anno precedente e un 7% sul 2010). Di questi, 248.000 sono quelli che si sonoo fermati, mentre 50.000 quelli entrati per un solo giorno. Di questi ultimi, 12.000 sono arrivati con crociere via mare. Il grosso dei visitatori di agosto e' ovviamente giunto nel paese via aereo. "Il lavoro intenso e mirato e il marketing professionale stanno portando risultati sul campo. Specialemnte in tempi di crisi - ha detto il ministro del settore, Stas Misezhnikov - il turismo e' un motore di crescita che crea impiego nelle classi medio-basse, in particolare nelle periferie e porta ogni anno miliardi di shekel".
Una class-action contro la segregazione femminile degli ultra-ortodossi
di Serena Grassia
Sul cartello: "Questa donna non è una vergogna"
Israele ha avviato la prima class-action sulla questione della segregazione di genere, per difendere il ruolo della donna nella società. "Si parla continuamente di diritti delle donne ma si fa sempre poco per garantirli" - dice Riki Shapira, consulente legale e membro del consiglio del Kolech, la prima organizzazione ortodossa femminile israeliana - "Quando la politica si accorgerà che la discriminazione costa tanti soldi, può darsi che finalmente agirà concretamente".
Kolech ad agosto ha presentato una class action di 104 milioni di NIS, ovvero più di venti milioni di euro, contro Kol Berama, una stazione radio ultra ortodossa di Gerusalemme, che vieta le voci femminili.
Per Shapira è una questione di principio: "parlare in radio vuol dire parlare al mondo. Se nessuno parla, nessuno ascolta". Sul Jerusalem Post, Kol Berama, in risposta all'azione legale, ha invitato i firmatari della class-action a rispettare le credenze e le prospettive della maggioranza ultra-ortodossa della comunità, fatta di uomini e donne.
Eppure non tutta quella maggioranza ultra-ortodossa o Haredi la pensa come Berama. Sull'agenzia di stampa IPS si leggono voci di israeliani, molti anonimi, che non approvano la discriminazione di genere predicata dagli ultra-ortodossi e non comprendono il reale motivo per cui le donne non possono parlare in radio.
Anzi, molti ritengono che questo atteggiamento così conservatore stia solo contribuendo all'usura dei diritti in Israele, in particolare quelli di genere. A luglio i quotidiani riportarono la notizia di due ultra-ortodossi che costrinsero una ragazza adolescente a sedersi nel retro dell'autobus, nonostante la separazione dei sessi nel trasporto pubblico sia illegale.
L'incidente avvenne a Beit Shemesh, a 30 chilometri da Gerusalemme, recente focolaio di tensioni religiose ai danni delle donne. Proprio a Beit Shemesh, una ragazzina di undici anni qualche mese fa fu aggredita perché vestita "immodestamente".
Ma la lista degli episodi è ancora lunga. Ad agosto, la compagnia di autobus Egged ha deciso di non utilizzare più immagini di donne nei messaggi pubblicitari posti sulla fiancata degli autobus, per non offendere la sensibilità ultra-ortodossa.
"Tutte le richieste di segregazione, di modestia, non sono sempre condivise dagli ultra-ortodossi. Molti sono contrari, anche perché l'eccessivo radicalismo di solito è legato all'esistenza di sette altrettanto radicali, diffuse tanto in Israele quanto nel resto del mondo, che non rendono un buon servizio alla libertà e al rispetto dei diritti", scrive l'avvocato Orly Erez-Likhovski del Centro di azione religiosa israeliano (IRAC), un ramo del movimento Reform Judaism.
In un rapporto pubblicato a gennaio 2012, dal titolo "Per amor di Dio", IRAC ha documentato più di cinquanta casi di segregazione di genere in Israele, solo nel 2011, tutti episodi verificatisi in strada, nelle cliniche, nei negozi di alimentari, negli uffici di collocamento, alle cerimonie di laurea e in occasione di eventi turistici.
Erez-Likhovski dice di aspettarsi un miglioramento nel futuro, perché tra il 2011 e il 2012 i media israeliani e la società civile hanno più volte denunciato il problema, portandolo all'attenzione della comunità nazionale e internazionale.
Se ci fosse un secondo Olocausto, mi nasconderesti?
di Andrea Pomella
Negli ultimi dieci anni della mia vita ho letto molta letteratura ebraica contemporanea, abbastanza da aver capito cosa riescono a fare loro di tanto stupefacente che non riescono a fare tutti gli altri (per "altri" intendo gli autori non ebrei). A loro ogni volta riesce un incantesimo prodigioso, gli basta mettere in scena due personaggi apparentemente banali, farli interagire, e questi si ergono immediatamente a simboli della storia millenaria di un popolo. Faccio un esempio: tra gli otto racconti che formano la raccolta Scene dalla vita di un villaggio (Feltrinelli) di Amos Oz, un libro uscito un paio d'anni fa, ce n'è uno che racconta la storia di un certo Pesach Kedem, un bisbetico ottantaseienne ex deputato laburista che vive con la figlia insegnante e che ogni notte sente un rumore di scavi proveniente dalle fondamenta della casa. L'uomo pensa che sia colpa dello studente arabo che lui e sua figlia ospitano in una casupola poco distante; forse - sospetta il vecchio Pesach - lo studente in quel modo cerca di reclamare il possesso della terra.
Ecco, ho ritrovato la stessa capacità di unire in un legame allegorico lo scorrere regolare della quotidianità con le grandi questioni della storia nella recentissima raccolta di Nathan Englander: Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank, pubblicata in Italia da Einaudi. Incensato pubblicamente da colleghi come Jonathan Franzen, Colum McCann, Jonathan Safran Foer, Jennifer Egan, Dave Eggers, vale a dire l'establishment culturale della nuova narrativa americana, i nuovi racconti di Englander hanno in effetti una caratteristica che negli ultimi anni è diventata una vera e propria regola per la canonizzazione dei nuovi autori: sono cioè racconti abbastanza classici e al tempo stesso abbastanza cool da riuscire a imporsi tanto all'attenzione del lettore dai gusti più sofisticati quanto alla sterminata massa dei meno esigenti.
Il filo conduttore di tutta la raccolta è l'ebraicità e la sua neshome ("anima" in ebraico-yiddish), un'ebraicità sentita come "un destino inestinguibile" usando una definizione che ne ha dato Aharon Appelfeld. Ci si muove sui più vari registri, dal comico al grottesco al tragico, e questo è uno dei marchi di fabbrica di Englander, una caratteristica già conosciuta dalla precedente raccolta Per alleviare insopportabili impulsi e dal romanzo Il ministero dei casi speciali. Qui è l'ombra sovrastante della Shoah che domina vite apparentemente tranquille.
Com'è nel caso del primo racconto che - parafrasando Carver - dà il titolo alla raccolta (in molti, me compreso, sulle prime hanno pensato: "Che gran furbata dare un titolo del genere"; ma basta leggere questo racconto per capire che forse non c'era un titolo migliore di questo), in cui si narra di una coppia di ebrei ortodossi proveniente da Israele che fa visita in Florida a una coppia di vecchi amici. Il dialogo fra i quattro si snoda attraverso vari temi, dallo stile di vita americano all'educazione dei figli, fino a sfociare in un dilemma morale di portata colossale che prende forma attraverso un gioco, il "gioco di Anne Frank": "Se ci fosse un secondo Olocausto, e tu non fossi ebreo, mi nasconderesti?" O come accade in Camp Sundown, dove la tranquilla e un po' comica routine degli ospiti di un centro estivo per anziani viene interrotta quando i villeggianti credono di riconoscere in un compagno di soggiorno uno spettro del loro passato, un carceriere nazista contro cui tenteranno di applicare le "regole del campo".
Vastità di implicazioni che non mancano neppure in Peep Show, un spassoso apologo su una delle archetipiche caratteristiche culturali e religiose dell'ebraismo, il senso di colpa, qui impersonato da un avvocato di successo che cerca la trasgressione in un locale a luci rosse, e finisce per fare i conti con la propria coscienza in un crescendo comico che ricorda da vicino il miglior Woody Allen.
La letteratura ebraica, come ebbe modo di precisare Abraham Yohoshua, "non è quel che in genere si immagina: non è tutta la letteratura scritta da ebrei, ma quella scritta da ebrei e che riguarda temi ebraici". Englander, in questo senso, è a pieno diritto un autore di letteratura ebraica, sicuramente uno dei più bravi della sua generazione (è nato nel 1970). Non so se sia davvero degno di comparire accanto ai vari Bellow, Roth, Singer eccetera, come qualcuno si è affrettato a scrivere, e non so nemmeno quanto senso abbia immaginare questi club letterari esclusivi con annessi criteri di ammissione. Una cosa è sicura, nella misura breve - e quest'ultima raccolta sta lì a dimostrarlo - Nathan Englander è uno degli autori (di letteratura ebraica e non) più capaci e raffinati in circolazione.
NAPOLI - Nella conferenza stampa tenutasi presso il Museo Civico del Castel Nuovo Maschio Angioino ho incontrato l'artista newyorkese che attraverso le sue sculture è stata in grado di incantare l'intera città di Napoli a tal punto che nel tempo di record di neanche sette giorni è stata allestita una doppia mostra.
La prima svoltasi al Maschio Angioino e la seconda al PAN - Palazzo delle Arti di Napoli , hanno visto l'incontro tra l'antico e il moderno "formula" mai usata prima d'ora e dimostratasi indubbiamente come vincente.
Durante la conferenza stampa sono intervenuti: Scialom Bahbout - Rabbino Capo Comunità Ebraica di Napoli, Antonella Di Nocera - Assessore alla Cultura del Comune di Napoli e Francesca Pietracci Storica dell'Arte. Nel corso dell'evento si è parlato della diaspora ebraica, come metafora di un momento delicato per il mondo.
Io sono arrivato alle 10.30, mezza ora di anticipo dato che la conferenza iniziava alle undici, mentre mi sono fatto indicare dal custode la sala, con gentilezza lui mi ha accompagnato dicendomi: "Dott .cheste è sala", io lo ho ringraziato ma nel contempo, dopo pochi minuti, vedo arrivare due persone di mezza età che mi vengono incontro, con grande gentilezza dicendomi lei è della stampa, e gli rispondo si, io sono la suocera di Justin e affacciandosi ad una finestra lo chiama e lui sale, mi viene incontro e scopro un uomo di grande spessore culturale che con grande umiltà, si è fatto intervistare ascoltando attentamente le mie domande.
- Giovanni Cardone: Com'è nata questa mostra e perché Napoli? Justin Peyser: Mia moglie è di origine italiana amo l'Italia e in particolar modo Napoli che mi ha dato tanto sia in termini di accoglienza che amicizia. Questa mostra è nata in meno di una settimana, ecco la bellezza di questa città e dell'Italia. Quando qualcosa si vuole fare e vien fatta con amore tutto riesce al meglio in tempi incredibili.
- Giovanni Cardone: Lei nasce come architetto urbanistico, ma vedo che lei crea delle opere meravigliose, unendo pittura e scultura?
Justin Peyser: Attraverso le mie istallazioni o sculture in metallo e in ferro cerco di creare momenti che mi portino oltre, visto che l'arte è ricerca e sperimentazione, io cerco l'unione delle arti per far si che il mio messaggio venga ben recepito, e nel contempo amo sperimentare nuovi linguaggi.
- Giovanni Cardone: Che messaggio vuole lasciare con questa doppia- mostra?
Justin Peyser: Non c'è messaggio c'è solo un'artista che ha voluto sperimentare cose nuove come vedrà, unire il percorso archeologico-medievale di questo bellissimo castello, dove attraverso la pavimentazione si riflette la grandezza della storia, il passato sempre presente, con le mie istallazioni in ferro che si uniscono al linguaggio avendo rispetto del luogo che ci ospita, mentre al PAN sarà diverso li ci sarà l'esplosione del contemporaneo, il ritorno al presente.
In questa intensa giornata di arte e di cultura ho intervistato anche il promotore dell'evento il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Napoli Scialom Bahbout.
- Giovanni Cardone: Prof. Bahbout che cos'è la Diaspora e come nasce?
Scialom Bahbout: La diaspora ebraica è la dispersione del popolo ebraico nel mondo. Ha origine prevalentemente in due distinti momenti della storia. Il primo evento storico risale alla conquista di Gerusalemme da parte dei babilonesi nel 587 a.C. e alla conseguente deportazione della popolazione ebraica a Babilonia. Nel corso della "cattività babilonese" gli ebrei completano la redazione delle norme rabbiniche ( "Talmud babilonese" ). Il secondo evento storico è datato 135 d.C. quando i romani decidono di reprimere le continue ribellioni del popolo ebraico all'autorità dell'impero romano con la distruzione della città di Gerusalemme ed il divieto agli ebrei di risiedere in Palestina. Ciò causa la migrazione forzata degli ebrei in altre terre lontane, dal Nord Africa alla Spagna, dai Balcani al Caucaso. Il provvedimento romano è alla base di tutte le persecuzioni subite dal popolo ebraico nella sua storia fino all'olocausto nazista del Novecento. Al termine della Seconda Guerra Mondiale l'ONU ha riconosciuto agli ebrei il diritto di tornare in Palestina per fondarvi lo Stato d'Israele. Ciò ha tuttavia causato la ribellione delle popolazioni locali arabe che, d'altra parte, chiedono il riconoscimento dello Stato della Palestina. La questione è attualmente uno dei problemi di politica internazionale più complessi del mondo contemporaneo. Per un ebreo sentirsi in esilio è un'esperienza che si diversifica da persona a persona, ma l'esilio come esperienza che tocca un'intera collettività è un fenomeno specifico soltanto di alcuni popoli e di alcuni etnie.
- Giovanni Cardone: Prof. Bahbout che connubio ha la diaspora con l'arte?
Scialom Bahbout: L'arte è un mezzo di comunicazione importante, in questo caso permette di capire a chiunque cos'è la diaspora, che deve tramutarsi in un messaggio positivo per l'umanità.
La notizia del giorno è sicuramente la crisi sempre più seria tra USA ed Israele; Cecilia Zecchinelli sul Corriere scrive chiaramente che Obama e Netanyahu non si incontreranno a New York, in occasione dei loro interventi di fronte all'assemblea generale dell'ONU per l'impossibilità di essere nello stesso giorno nella stessa città. Al fine di stemperare la gravità della notizia, a Washington rassicurano dicendo che comunque Hillary Clinton si incontrerà con Netanyahu, dal momento che non ci sarebbe nessuna volontà di non incontrarsi. Ma la realtà vuole che qui si dica chiaramente che la crisi c'è. Netanyahu ha dichiarato ieri, come riporta il Financial Times: "Il mondo ci chiede di aspettare, ma io chiedo: aspettare che cosa? Aspettare fino a quando?" Panetta, in evidente soccorso di Obama, afferma che c'è almeno un anno di tempo per agire, ma resta il fatto che l'Amministrazione americana rifiuta di indicare una linea rossa invalicabile. Quella linea rossa che, come scrivono Joshua e Jay sul Wall Street Journal raccogliendo le parole di Dan Halutz, ex generale comandante delle forze israeliane, serve per cambiare colore il giorno dopo essere stata tracciata; e aggiunge Halutz che, quando devi colpire, devi colpire, e non parlare. Il succo delle discussioni in atto tra americani ed israeliani sta tutto qui: gli USA non pongono ultimatum, mentre Israele non può aspettare troppo a lungo; di più: gli USA non pongono limiti all'Iran, ma li pongono ad Israele. Aggiunge chi scrive che oggi nessuno ricorda le parole pronunciate da Amano, segretario generale dell'Agenzia AIEA, parole che dovevano risuonare, come disse testualmente, da grido di allarme per il mondo intero. Anche gli altri quotidiani principali dedicano articoli a questo tema, e strana appare la scelta di Repubblica di pubblicare solo una breve. Sul Sole 24 Ore Ugo Tramballi, mai tenero con Israele, scrive di "toni offensivi usati da Netanyahu" (sicuramente non affatto evidenti nelle dichiarazioni del premier disponibili sul web ndr), e di "scelte morali diverse" per i due principali responsabili politici. Ma una chiave di lettura di quanto sta avvenendo la fornisce Robert Kagan, intervistato da Europa, che dice che appare "sconcertante il fatto che Obama oggi pensi solo in termini elettorali".
Forti tensioni si registrano in alcune città palestinesi dove, come scrive ancora Cecilia Zecchinelli (Corriere della Sera), il premier Fayyad, inizialmente abbandonato da Abu Mazen al suo destino, deve ora essere difeso dal suo leader che teme di venir altrimenti sommerso da una rivolta che rischia di sfuggire ad ogni controllo. E forti scontri avvengono anche al Cairo e nella libica Bengasi a causa di un film che alcuni copti stanno girando in America. Lo scrivente non ha visto personalmente questo video che per alcune testate girerebbe già in rete, mentre per altre (Giordano Stabile su La Stampa, ad esempio) sarebbe ancora in lavorazione. Fatto sta che, nonostante la politica di Obama sempre più vicina ai regimi islamici da lui considerati amici, le folle salafite assalgono ambasciate e consolati americani, riuscendo sia a penetrarvi all'interno, sia anche ad uccidere un diplomatico del consolato di Bengasi. Guido Olimpio inizia il suo articolo per il Corriere definendo "stupida ed inutile provocazione" la volontà di girare questo documentario, ma non può esimersi dal ricordare i massacri cui sono sottoposti i copti in Egitto.
Coloro che hanno ascoltato il TG1 delle ore 13.30 avranno sentito che ora sono tre le vittime americane a Bengasi, e, tra queste, lo stesso Ambasciatore, che fu già a Tripoli durante tutto il periodo delle rivolte. Ma perché il TG1 ha parlato di un film di un regista israeliano? Da quanto scrivono tutti i quotidiani oggi, si tratta di un'iniziativa dei copti con un reverendo americano.
Non si smentisce nemmeno oggi l'International Herald Tribune che pubblica un articolo firmato da Daniel Levy che, osservando che sono sette anni che Israele si è ritirato da Gaza, ricorda le parole dei sette anni di vacche grasse etc. L'articolo appare pieno di parole ad effetto, ma non correttamente spiegate, come quando parla della alta concentrazione della popolazione a Gaza (che non è certamente solo degli ultimi anni), e quando sfiora i problemi demografici dell'area, con parole smentite dagli studi recenti. Vanno inoltre segnalate queste altre gravi affermazioni: vi sarebbe una forte volontà in Israele di "take over the West Bank", mentre Israele deve uscirne del tutto e anche "da Gerusalemme est", dopo "45 anni di impunità". Desidero ripetere che tale articolo porta la firma di Daniel Levy.
Il sindaco di Milano Pisapia termina la sua visita in Medio Oriente e Miche Giorgio sul manifesto sembra rammaricarsi che "proprio lui" abbia proposto che, al termine di Expo 2015 Israele possa mantenere aperto il suo padiglione (dedicato a settori, come quello dell'acqua, nei quali gli israeliani sono all'avanguardia mondiale ndr).
A Gerusalemme si è svolta una riunione tra israeliani e bulgari che sembrano ora aver ritrovato l'armonia nelle indagini condotte a seguito dell'attentato di Burgas. Ne scrive Angelica Ratti su Libero, ma non ricorda che proprio ieri un ferito grave è uscito finalmente dal coma (nel quale cadde il 18 luglio). Questa redazione gli porge gli auguri di guarigione completa.
Continua l'islamizzazione in Egitto, e dopo la prima annunciatrice TV col velo, ora, come scrive Padania, è la volta delle linee aeree egiziane che stanno preparando una nuova divisa per le hostess.
La Turchia, sempre più solidale con le posizioni sunnite, rifiuta, come scrive P. Dm. su La Stampa, l'estradizione verso l'Irak dell'ex vice-premier al-Hascemi, condannato a Bagdad all'impiccagione.
In Francia, grazie all'azione di personalità come Simone Veil e Elie Wiesel, si apre al pubblico il Camp des Milles, nei pressi di Aix, di fronte a rappresentanti dei 38 paesi che ebbero cittadini che transitarono in quella ex fabbrica di tegole (che ricominciò a produrle dopo la guerra, fino al 2002); una storia tutta francese, come si legge correttamente sul manifesto (i cui giornalisti dovrebbero ricordarsi sempre di certe verità).
L'Osservatore Romano dedica un articolo alle proteste comuni di ebrei e musulmani in Germania per il noto problema delle circoncisioni.
Infine il Corriere, nelle pagine di Roma, dedica un articolo alla chiusura del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica, chiusura con uno spettacolo teatrale dedicato ad Oriana Fallaci e a Golda Meir. Bellissimo accostamento dedicato a due grandi donne dello scorso secolo, per il quale chi scrive desidera far giungere agli organizzatori il suo personale plauso.
Doppietta per Aleksandr Kerzhakov e reti di Aleksandr Kokorin e Viktor Fayzulin, la squadra di Fabio Capello resta a punteggio pieno.
Aleksandr Kezhakov segna una doppietta per la Russia che si impone per 4-0 in casa di Israele nel Gruppo F di qualificazione ai prossimi Mondiali FIFA.
Il centravanti dell'FC Zenit St Petersburg porta avanti la squadra di Fabio Capello con un calibrato calcio di punizione al 7'. Poi Aleksandr Kokorin trova il suo primo gol in nazionale al 18' risolvendo una mischia nell'area israeliana.
Kerzhakov segna ancora al 64' con un tocco delicato sul cross di Viktor Fayzulin. Lo stesso Fayzulin arrotonda il risultato in una serata umida allo stadio Ramat Gan.
Israele sfiderà il Lussemburgo il 12 ottobre quando la Russia ospiterà il Portogallo.
Israele mette a segno un +7% di visitatori da gennaio ad agosto
Soddisfazione espressa dal ministro del Turismo, Stas Misezhnikov: "L'intenso e mirato lavoro di marketing professionale sta dando i suoi risultati"
Segnali positivi per Israele. Nonostante la grave crisi economica mondiale e la situazione problematica geopolitica nella regione, Israele continua a battere i record del turismo, afferma l'ente in una nota. Sono 2,3 milioni i visitatori arrivati nel periodo gennaio-agosto 2012, un incremento del 7% rispetto allo scorso anno e del 5% in più rispetto all'anno già record del 2010. L'ente sottolinea che 1,9 milioni sono stati turisti, con un aumento del 4% rispetto allo stesso periodo del 2011 e un incremento del 7% rispetto al 2010, 374mila sono stati visitatori giornalieri, il 26% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il ministro del Turismo israeliano, Stas Misezhnikov, ha dichiarato: "L'intenso e mirato lavoro di marketing professionale sta dando i suoi risultati. Soprattutto in tempi di crisi economica, il turismo si conferma come un motore di crescita che crea occupazione e contribuisce notevolmente all'economia".
In particolare il mese di agosto è stato di per sé un mese eccezionale, 298mila visitatori entrati nel Paese, pari ad un aumento del 10% rispetto ad agosto 2011 e del 7% rispetto ad agosto 2010. Di questi visitatori, 248mila, erano turisti, +10% rispetto ad agosto 2011, 50mila sono stati visitatori giornalieri, il 10% in più rispetto ad agosto 2011. Di questi visitatori, 12mila sono arrivati attraverso crociere, il 39% in più rispetto ad agosto 2011.
FIUGGI - Oggi, Martedì 11 settembre Pino Pelloni, direttore della Biblioteca della Shoah - Il Novecento e le sue Storie" di Fiuggi, è stato ospite del programma Uno Mattina per parlare della ritrovata Menorah del Ghetto di Anticoli, l'antico borgo di Fiuggi.
Un appuntamento molto importante per l'immagine della nostra città che con il ritrovamento di questa pietra incisa risalente al XV secolo viene a ritrovarsi come città capofila, con Alatri, Veroli, Anagni e Segni per l'accertata presenza nel proprio territorio di insediamenti di comunità ebraiche dal XII al XVII secolo. Lo storico Pino Pelloni, impegnato nella stesura del libro di Don Celeste Ludovici dedicato alla storia di Anticoli attraverso gli archivi della Chiesa, è diventato una sorta di ambasciatore della nostra comunità presso le istituzioni ebraiche di mezzo mondo e presso gli studiosi della storia degli ebrei.
L'appuntamento televisivo ha visto anche la presenza di Renzo Gattegna, Presidente delle Comunità Ebraiche Italiane, che parlerà della Giornata Europea della Cultura Ebraica che si è svolta lo scorso 2 settembre e alla quale ha partecipato anche Anticoli con le visite al Ghetto e alla Menorah di via del Macello e un convegno sull'umorismo ebraico a Libri al Borgo.
L'attenzione che i media stanno rivolgendo sull'antico centro di Fiuggi può far sperare in un risanamento dello stesso e in una sua rivalutazione, visto che dal 25 luglio ad oggi i visitatori della Menorah, recuperata dal restauratore fiuggino Pietro Benezzi, hanno superato di gran lunga le mille presenze.
RAMALLAH, 11 set - Attacchi ad istituzioni pubbliche dell'Anp e ripetuti scontri con le forze dell'ordine hanno accompagnato ieri lo sciopero generale dei trasporti pubblici in Cisgiordania, decretato in protesta contro il caro vita. La miccia che ha acceso le proteste e' stata rappresentata dall'aumento del prezzo della benzina e da un incremento dell'Iva.
La stampa palestinese riferisce che gli incidenti piu' gravi sono avvenuti a Hebron e a Nablus. Un dirigente di al-Fatah, Azzam al-Ahmad, ha parlato di una ''situazione di caos'' creata da una ''quinta colonna di infiltrati'', che avrebbe a suo parere cavalcato le proteste popolari.
A Hebron, precisa l'agenzia di stampa Wafa, migliaia di dimostranti hanno attaccato una stazione di polizia e il municipio, che e' stato sul punto di essere bruciato. Il governatore della citta', Kamel Hmeid, ha precisato che esisteva il timore per la vita dei funzionari del municipio. Di conseguenza ha ordinato di disperdere la folla. Secondo la stampa, oltre 80 membri dei servizi di sicurezza sono rimasti contusi o feriti.
Duri scontri notturni anche a Nablus, dove dimostranti hanno eretto barricate, hanno dato fuoco a pneumatici e hanno impedito con la forza ai vigili del fuoco di spegnere gli incendi. Altre manifestazioni di protesta si sono avute a Ramallah, Betlemme e Jenin.
Israele segue gli sviluppi con attenzione, anche nel timore che le proteste possano assumere in una fase successiva anche un carattere piu' politico. Secondo il quotidiano palestinese al-Quds, il governo israeliano sembra propenso ad inoltrare al premier palestinese Salam Fayyad aiuti economici straordinari, per aiutarlo a fronteggiare la situazione.
In un'intervista, il capo del Mossad Tamir Pardo elogia le 007 in gonnella, definendole migliori dei colleghi uomini
Le donne si dimostrano superiori agli uomini come agenti segreti: lo afferma l'esperto n.1 in Israele, il capo del Mossad Tamir Pardo, in una intervista (rara nel suo genere) al settimanale femminile 'Lady Globes'.
"Noi prendiamo persone con un livello di intelligenza e con qualità iniziali identiche; ha detto Pardo; e constatiamo una superiorità operativa delle donne: la loro 'lettura' del terreno è eccellente, come pure la analisi delle situazioni e la visione spaziale; tutto ciò in contrasto con gli stereotipi".
Le donne, ha aggiunto, superano i loro colleghi maschi anche nelle capacità tecniche, nella resistenza alla sofferenza, nell'abilità di "recitare", e nella disponibilità a rinunciare al proprio ego pur di raggiungere l'obiettivo.
L'artista spiega la sua visione del mondo e dell'arte
ROMA, 10 set - L'abbronzatura è quella di chi vede il sole dieci mesi l'anno; la camicia - arancione, a fiori - evoca spiagge lontane. Rami Meiri è il più grande pittore di murales d'Israele ed è il prototipo perfetto dell'israeliano di Tel Aviv. In questi giorni, Meiri si trova a Roma: la Galleria Ermanno Tedeschi, nello storico ghetto ebraico della capitale, espone alcune sue opere in occasione del quinto Festival della letteratura e cultura ebraiche, che si è aperto sabato scorso e andrà avanti fino al 12 settembre. E visto che i murales sono dipinti murali, e dunque inamovibili per definizione, quello che l'artista israeliano ha portato in Italia sono fotografie dei propri lavori e un interessante video che mostra i palazzoni di Tel Aviv, e non solo, prima e dopo la 'cura Meiri'. Scialbe costruzioni sbocciate a nuova vita; muri insignificanti (o proprio brutti) che si trasformano in opere d'arte. «Abbiamo bisogno di bellezza a Tel Aviv - spiega Meiri ad ANSAmed -, la nostra è una città che ha solo un centinaio di anni, non ci sono la magnificenza e la storia di Gerusalemme o di Roma. Noi la bellezza non l'abbiamo ereditata: ce la dobbiamo costruire dal nulla». Ma se questo artista che sorride molto quando parla ha deciso, circa tre decenni, fa di votarsi alla forma del murales è anche per un altro motivo: «Volevo che il pubblico fosse direttamente a contatto con la mia arte, senza la mediazione delle gallerie. E' il modo migliore per capire che cosa la gente pensa davvero. Anche adesso, ogni tanto vado a sedermi vicino a uno dei miei lavori e osservo le persone e le loro reazioni, ascolto i commenti. Nessuno immagina che sono io l'autore di quei dipinti». «Uno dei miei murales preferiti - racconta ancora Meiri - è quello che rappresenta la faccia di un ragazzo che fa le boccacce. L'ho dipinto sul fianco di una sopraelevata, in uno dei punti più congestionati della città, nel 1989. All'epoca, non solo il traffico era terribile, ma la maggioranza delle auto non aveva l'aria condizionata e la radio dava notizie molto brutte. Ho pensato di dipingere quella smorfia per regalare un sorriso a chi si trovava imbottigliato nel traffico, sperando che un'eco di quel sorriso avrebbe accompagnato le sue azioni durante la giornata. Questo è quello che intendo io per responsabilità civile dell'artista». Meiri non affronta mai il tema del conflitto nelle sue opere, che al contrario s'ispirano ai piccoli momenti felici della vita: bere un caffé con gli amici, rilassarsi al sole, guardare i bambini che giocano. «Il conflitto è già fin troppo presente nella vita degli israeliani: io voglio dimenticarmelo e aiutare anche gli altri a scordarselo. Non ho posizioni politiche: il mio è un tipo di arte che punta a far stare bene le persone, che vuole rendere la loro vita più facile, non più complicata». Una visione generosa, che è valsa all'artista il permesso ufficiale di usare i muri della città come tela: i suoi 'graffiti' sono tutti (nonché gli unici) autorizzati dal comune.
Ma se Tel Aviv deve molto a Meiri, anche Meiri deve molto a Tel Aviv. «Se fossi nato in un'altra città, Gerusalemme magari, o una città italiana, per me le cose sarebbero state decisamente più difficili. In posti come questi, il peso della tradizione a volte è troppo pesante da sopportare, e l'artista rischia di rimanere schiacciato».
Duecentosettantotto nuovi rabbini ordinati al Collegio Rabbinico di Morristown, NJ
Posto su una verdeggiante collina, il Campus del Collegio Rabbinico di Morristown ha assunto sempre maggiore rilevanza all'interno del movimento Chabad-Lubavitch. Nella giornata di ieri ha laureato ben duecentosettantotto rabbini, provenienti da quattordici paesi diversi. Fra i laureati sono annoverati anche studenti italiani: Yossi Labi e Meme Friedman, ciascuno di essi già in possesso di un titolo corrispondente a un diploma universitario, e giunti al termine di un percorso paragonabile a un master universitario.
Alla cerimonia di laurea ha presenziato Rav Meir Lau, ex rabbino capo di Israele sopravvissuto alla Shoà, che ha dichiarato solennemente: "Possiamo promettere la continuità della comunità ebraica. La catena sarà ininterrotta". Toive Weitman, uno dei laureati già noto in Italia per la visita a Roma di quest'estate, proveniente da Sao Paolo, Brasile, ci racconta la sua esperienza: "Si impara a servire per costruire una casa ebraica e per compiere azioni concrete per servire una comunità ebraica. Devi essere in grado di dire alla gente che cosa fare."
L'Iran rende noto un piano per costruire "presto" un missile in grado di colpire in un raggio "di oltre 2.000 km", quindi anche Israele. L'annuncia il viceministro Mehdi Farahi, rilanciato dal sito dell'emittente statale Press Tv.
Per Farahi il nuovo vettore, "Meshkat", potrà essere lanciato da sottomarini,da terra e da aerei. Esperti occidentali attribuiscono all'Iran missili balistici Shabab 3 da 1.300 km e di Sejil 2 da 2.000 km, che possono colpire Israele e obiettivi Usa nll'area.
Israele e Usa discutono di "ultima frontiera" per Iran su nucleare
GERUSALEMME, 10 settembre - Israele e Stati Uniti stanno discutendo di una "ultima frontiera" per il programma nucleare iraniano, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
"Ne stiamo discutendo proprio ora con gli Stati Uniti", ha detto Netanyahu in un'intervista con la tv canadese CBC trasmessa ieri in tarda serata.
Nell'intervista, andata in onda due giorni dopo che il Canada ha sospeso le relazioni diplomatiche con l'Iran sulla questione del suo programma nucleare, il premier israeliano è tornato a segnalare che se l'Iran superasse un certo limite - che non ha però ancora definito pubblicamente - potrebbe rendersi necessaria un'azione militare.
I recenti appelli di Netanyahu alle potenze mondiali a fissare "una chiara linea rossa" che indichi la determinazione a impedire la corsa al nucleare di Teheran hanno suggerito una certa impazienza verso gli Usa, principale alleato di Israele.
Washington, che ha già resistito all'idea di fissare in passato simili frontiere, sta facendo pressione sul leader israeliano per lasciare più tempo alla diplomazia e vedere se le sanzioni imposte alla Repubblica islamica riusciranno a risolvere la questione pacificamente.
L'idea è nata per sbarcare il lunario nonostante la crisi del petrolio e i prezzi del carburante alle stelle. A raccontarlo è Munther Al Qasas, tassista palestinese, dopo avere creato con le proprie mani il primo taxi elettrico di Gaza. Ci sono voluti mesi per costruirlo sul tetto di casa con pezzi riciclati. Il mezzo, - che sembra un golf cart, non ha portiere e può trasportare due ospiti - è costato meno di 800 euro e va a energia solare. Un taxi a impatto zero, anche se la questione ambientale non era l'obiettivo primario di Munther.
Il ministro Terzi: "Uniti per raggiungere nuovi traguardi"
Il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata ha rivolto alla redazione del portale dell'ebraismo italiano www.moked.it e del notiziario quotidiano l'Unione informa un messaggio che prende le mosse da un recente articolo del demografo Sergio Della Pergola pubblicato su queste testate giornalistiche.
"Ho molto apprezzato - scrive il ministro riferendosi all'articolo del professor Della Pergola - le sue parole di stima e amicizia, che mi sento di ricambiare e condividere con la nostra grande Comunità italiana a Gerusalemme e in Israele. Sono rimasto toccato dall'affetto mostratomi in questa visita, importante per la continuità e il sempre più intenso rapporto tra Italia e Israele, un rapporto contrassegnato da una profonda condivisione di valori di democrazia e di dignità dell'uomo. Con il suo contributo, e grazie all'aiuto di altri illustri rappresentanti del mondo scientifico e accademico, della comunità economica e della cultura, che vorrei idealmente riunire tutti nella Fondazione Italia-Israele, lavoreremo per rinsaldare i nostri già solidi legami e per raggiungere insieme nuovi traguardi".
"Il Ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata - aveva scritto Della Pergola nel suo ultimo aleftav - è un grande amico di Israele e della comunità italiana in questo paese. Lo ricordiamo negli anni attivissimi della sua missione, che hanno segnato una fase di impulso quasi senza precedenti, anzi di svolta storica nel rapporto bilaterale fra i due paesi: sul piano della cultura ebraica e italiana, e su quello della collaborazione politica, degli scambi commerciali e della sicurezza". Con queste parole lo studioso ed esponente della comunità degli italiani in Israele Della Pergola, nel suo ultimo aleftav pubblicato giovedì 6 settembre sul notiziario quotidiano l'Unione informa, commentava l'incontro avvenuto poche ore prima nel Tempio italiano di Gerusalemme tra la comunità degli italkim e lo stesso ministro degli Esteri, protagonista in quelle ore di una missione ufficiale in Israele scandita da molti significativi appuntamenti istituzionali. Un vero e proprio ritorno a casa per il diplomatico, che nei suoi anni israeliani - ricordava ancora Della Pergola - numerose iniziative di successo ha realizzato contribuendo a rinsaldare un legame proficuo che abbraccia vari campi di cooperazione tra Italia e Israele.
Germania - Ebrei e islamici insieme per la circoncisione
di Monica Ricci Sargentini
Sul cartello: "Finalmente:
la Germania è di nuovo
una potenza coloniale"
Musulmani ed ebrei insieme sulla piazza dell'opera di Berlino per difendere il diritto alla circoncisione e per protestare contro il decreto del tribunale di Colonia che ha messo al bando la pratica religiosa tradizionale considerandola come lesione volontaria. Oltre cinquecento persone ieri hanno preso parte alla protesta sulla Bebelplatz in cui i nazisti bruciavano i libri, cui hanno aderito anche alcuni cattolici. Numerosi gli attivisti vestiti con la bandiera israeliana o con abiti ebraici tradizionali (nella foto un momento della manifestazione).
I giudici della Corte regionale si erano pronunciati il 26 giugno dopo aver esaminato il caso di un bambino di quattro anni, musulmano, ferito durante l' intervento, paragonando la circoncisione alle punizioni corporali e sostenendo il principio del consenso obbligatorio. Secondo la religione ebraica, invece, la circoncisione deve essere compiuta entro l' ottavo giorno dalla nascita, i musulmani, invece, la eseguono tra i 7 e i 13 anni. In Germania risiedono 120.000 ebrei e quattro milioni di musulmani. Il quindici per cento degli uomini vengono circoncisi e si praticano 50.000 interventi all' anno.
Giovedì scorso, tra l'altro, la comunità ebraica di Berlino era insorta contro il nuovo regolamento sulle circoncisioni varato nella capitale tedesca, definito una "flagrante interferenza" nelle tradizioni religiose. Il Land aveva decretato che non perseguirà penalmente chi effettua circoncisioni, ma solo se si tratta di medici, se useranno anestetici, e se vi sarà un permesso scritto dai genitori e la prova che il piccolo proviene da una comunità ebraica o musulmana. In questo modo però diventano illegali "mohel", ovvero i circoncisori ebrei di professione che seguono strettamente le regole religiose, le quali vietano fra l'altro l'uso di anestetico. Di qui l'accusa di interferenza nella tradizione religiosa, contenuta in una risoluzione votata all'unanimità dall'assemblea della comunità ebraica berlinese.
Sulla vicenda si era espressa lo scorso luglio anche la cancelliera Angela Merkel definendo totalmente ingiusto un divieto della circoncisione. E il Bundestag, con una risoluzione approvata a larga maggioranza (si è astenuta soltanto la formazione di estrema sinistra Die Linke) aveva invitato il governo ad agire rapidamente e ad approvare una legge che tuteli il diritto alla circoncisione, a patto che non provochi "sofferenze inutili". A breve si attende un passo ufficiale del governo.
L'accordo tra israeliana SDE e la società di El Salvador "El Splendor" permetterà di produrre energia dalle onde marine in entrambi i Paesi
Raggiunto un accordo tra la israeliana SDE e la società di El Salvador "El Splendor" per produrre energia dalle onde marine in California e in El Salvador. SDE, società leader mondiale nella realizzazione di stazioni di energia prodotta dalle onde marine, è in grado di utilizzare una tecnica che sfrutta il moto ondoso (velocità, altezza, ampiezza delle onde) per generare pressione idraulica, successivamente trasformata in elettricità. La società israeliana condividerà con la società salvadoregna le competenze tecniche, per poi individuare i luoghi della costa di El Salvador e della California dove realizzare gli impianti. Gli impianti da realizzare in El Salvador saranno due: uno da 1 MW per alimentare un resort, l'altro da 10 MW per fornire elettricità a una città turistica. (a.d.)
Un razzo di tipo Grad sparato da miliziani palestinesi da Gaza è esploso stamane nei pressi della città israeliana di Beer Sheva (Neghev), provocando il ferimento di alcune persone. Il sindaco ha ordinato la chiusura preventiva di tutte le scuole, nel timore di altri attacchi. Un altro razzo sparato da Gaza è esploso sempre oggi nella cittadina di Netivot (Neghev), dove ha centrato un appartamento. Gli inquilini sono rimasti illesi.
Camionisti protestano a Ramallah contro laumento dei prezzi
RAMALLAH, 9 set. - Decine di autotrasportatori palestinesi hanno bloccato le principali strade di Ramallah per contestare l'aumento dei prezzi. Poco distante hanno dimostrato anche alcune decine di lavoratori delle cave. Le proteste odierne fanno parte di una più ampia contestazione contro l'Anp per l'aumento dei prezzi e il ritardo nel pagamento dei salari a oltre 150mila dipendenti pubblici. L'Autorità nazionale palestinese, che governa in Cisgiordania, sta soffrendo problemi di budget, perché Usa e Paesi arabi non hanno stanziato gli aiuti promessi.
Il premier belga chiede perdono per la deportazione degli ebrei
BRUXELLES - Il primo ministro belga, Elio Di Rupo, ha chiesto perdono per la responsabilita' del Belgio nella deportazione degli ebrei durante la II guerra Mondiale, un episodio - ha detto - che fu "uno dei piu' oscuri" della storia nazionale. Di Rupo, che parlava in occasione del 70esimo anniversario della Shoah nel Paese, ha detto che "aiutando le politiche di sterminio nazista, le autorita' del tempo e lo Stato belga fallirono nei loro doveri, furono complici nel piu' abominevole dei crimini". "E voglio ora esprimere il rammarico -ha aggiunto - e lo ignominia che questa collaborazione ci ha assicurato". Di Rupo era a Malines, la citta' da dove il 9 settembre 1942 partirono i primi convogli di ebrei. Dei circa 50mila ebrei che vivevano in Belgio all'inizio della guerra, la meta' furono deportati nel campi di concentramento nazisti, e ne ritornarono vivi solo 1.200.
La migliore attrice protagonista è lei e il verdetto della giuria della sessantanovesiva Mostra del cinema di Venezia le ha assegnato un riconoscimento che fa sognare chi è ai primi passi nel mondo dello spettacolo. Per la giovanissima e bravissima attrice israeliana Hadas Yaron è festa grande. Per il cinema israeliano, per sua creatività, la sua leggendaria libertà d'espressione, per chi ha lavorato sul progetto di portare il cinema di Israle a Venezia (a cominciare dall'Israeli Film Commission e dallo straordinario staff culturale dell'ambasciatore Naor Gilon coordinato da Ofra Zarhi) il successo è ancora maggiore.
Dopo la presentazione in anteprima su Pagine Ebraiche di settembre, dopo gli applausi a scena aperta della grande platea di critici di tutto il mondo, Lemale Et Ha'Chalal (Fill the Void) di Rama Burshtein (che fra i protagonisti, assieme a Hadas Yaron, vede Yiftach Klein, Irit Sheleg e Chaim Sharir), ha già conquistato la distribuzione nelle sale italiane.
Si tratta di un film molto particolare per la capacità della regista Rama Burshtein di raccontare dall'interno il mondo haredi in maniera equilibrata e onesta, senza pregiudizi e senza idee scontate.
Lemale Et Ha'Chalal è la storia di una famiglia chassidica di Tel Aviv. La figlia più giovane, la diciottenne Shira, sta per sposarsi con un coetaneo che appartiene al suo stesso ambiente. Si realizza un sogno e Shira è emozionata. Nel giorno di Purim, sua sorella Esther, appena ventenne, muore nel partorire il primo figlio. Il dolore che colpisce la famiglia causa il rinvio delle nozze di Shira. Tutto cambia quando viene proposto a Yochay, marito della defunta Esther, il matrimonio con una vedova belga. Yochay ritiene che sia ancora troppo presto, sebbene sappia che prima o poi dovrà riprendere moglie. La madre delle ragazze, temendo che il genero possa lasciare il paese portando con sé il suo unico nipotino, suggerisce il matrimonio tra Shira e Yochay. Shira dovrà scegliere tra il proprio sogno e il dovere verso la famiglia.
"L'amore e i rapporti tra gli individui - racconta Rama Burshtein - costituiscono l'interesse principale del mio lavoro. L'arrivismo, l'indipendenza e la realizzazione di sé sono, per me, meno importanti dell'amore, di mio marito e della mia famiglia. Ciò che mi ha attratto della fede ebraica è il suo approccio all'enigma del rapporto tra uomo e donna. Questo processo mi ha letteralmente sbalordito. Lemale Et Ha'Chalal racconta una storia d'amore basata sullo spirito; ricorda l'esperienza e il sentimento del primo amore, che vive soltanto nel cuore e non ha alcun aggancio con la ragione. Il canto di un cuore verso un altro, insieme al desiderio volutamente represso è, per me, la formula vincente nella ricerca di una gioia duratura". g.v
TEL AVIV, 9 settembre - Un razzo di tipo Grad sparato da miliziani palestinesi da Gaza è esploso stamane nei pressi della città israeliana di Beer Sheva (Neghev), provocando il ferimento di alcune persone. Il sindaco ha ordinato la chiusura preventiva di tutte le scuole, nel timore di altri attacchi.
Un altro razzo sparato da Gaza è esploso sempre oggi nella cittadina di Netivot (Neghev), dove ha centrato un appartamento. Gli inquilini sono rimasti illesi.
Dall'inizio del mese, secondo quanto riporta l'esercito, oltre dieci razzi hanno colpito il sud di Israele e oltre 455 dall'inizio dell'anno.
CERNOBBIO, 9 set - Faccia a faccia tra Mario Monti e Simon Peres, questa mattina, sulle rive del lago di Como. Il presidente del consiglio italiano ha incontrato il premier israeliano a Villa D'Este, prima dell'avvio dei lavori della giornata conclusiva del workshop Ambrosetti.
''E' stato un grande piacere ed onore incontrare il presidente Peres, ci siamo incontrati qui per molti anni'', ha commentato poi Monti, ricordando di essere stato ''ospite del presidente a Gerusalemme alcuni mesi fa''. E per il capo del governo, ''e' stato bello rinnovare qui alcune conversazioni', tanto che ascolto con particolare interesse la sua visione e le idee che io ritengo molto promettenti''.
Parole di apprezzamento anche da Peres che ha definito ''estremamente buone'' le relazioni tra Italia e Israele, evidenziando come le riforme approvate dal governo italiano in questi ultimi 10 mesi siano dal suo punto di vista ''abbastanza impressionanti''.
Infine, uno scambio di battute tra i due capi di governo, con Peres che ha evidenziato: ''Non e' un segreto che io ami molto l'Italia''. E Monti che ha replicato: ''Sai bene che il tuo amore per l'Italia e' profondamente ricambiato''.
Oggi ci sono state nuove proteste a Berlino, dopo che un tribunale l'ha dichiarata illegale sui minori: il governo tedesco ha annunciato che farà una legge per permetterla
Circa un migliaio di tedeschi di religione ebraica e musulmana si sono riuniti oggi a Berlino per chiedere che il governo inserisca chiaramente il diritto alla circoncisione nella legislazione tedesca. La protesta, l'ultima in ordine di tempo dopo che la questione era stata discussa su molti quotidiani tedeschi, è arrivata in risposta alla recente incriminazione di un rabbino bavarese per aver circonciso un bambino. Oltre 50 associazioni hanno dato la loro adesione alla manifestazione di protesta - che aveva lo slogan "Per la libertà religiosa, contro la criminalizzazione e il paternalismo" - tra cui la Chiesa Evangelica Tedesca e l'arcivescovado cattolico di Berlino.
La corte bavarese non ha ancora emesso una sentenza, a differenza del tribunale di Colonia che invece, in un altro caso a giugno aveva dichiarato la circoncisione, per motivi non medici, una lesione personale se fatta sui minorenni e quindi praticabile soltanto su uomini adulti e consenzienti.
Questa sentenza aveva già creato notevoli polemiche in Germania. Per quanto applicabile soltanto nello stato della Renania, quasi tutti i medici e molti rabbini si sono rifiutati di procedere ad ulteriori circoncisioni nel timore che altre corti federali emettessero sentenze simili. Ancora prima delle proteste di questi giorni, in un editoriale sulla Sueddeutsche Zeitung, un'attivista aveva sostenuto che vietando la circoncisione si metteva a rischio l'esistenza stessa della comunità ebraica tedesca.
In Germania vivono circa 140 mila ebrei e 4 milioni di musulmani, in buona parte turchi, ma contro la decisione della corte di Colonia si sono levate proteste anche dall'estero. Il governo tedesco, però, non ha difeso la decisione della corte e, subito dopo la sentenza, ha annunciato che presto renderà ufficialmente legale la pratica. Il governo federale di Berlino, intanto, ha già dichiarato che sul suo territorio la circoncisione è perfettamente legale se entrambi i genitori sono d'accordo e se viene effettuata con strumenti sterili (nessun cenno invece all'anestesia o alla presenza obbligatoria di personale medico). Pochi giorni fa, la comunità ebraica berlinese ha rifiutato una legislazione transitoria che avrebbe permesso ai medici di condurre l'operazione, ma non ai circoncisori tradizionali e non medici, chiamati mohels.
La circoncisione è una pratica religiosa adottata sia dagli ebrei e che dai musulmani, che consiste nell'amputazione di una parte del pene in età quasi sempre neonatale. La circoncisione per motivi religiosi, quando praticata da un rabbino o da un altro religioso (iscritti a uno speciale registro dei circoncisori autorizzati) avviene in genere senza anestesia e in ambienti privati. Uno dei due rabbini capi della comunità tedesca ha detto, secondo quanto riporta l'agenzia di stampa Deutsche Welle, che la somministrazione di anestetici non sarebbe permessa dalla legge ebraica.
Il caso su cui si è espressa la corte di Colonia e che ha scatenato le proteste era quello di un bambino che aveva subito delle ferite a causa della poca perizia con cui gli era stata praticata la circoncisione. Non è il primo caso simile che avviene in Europa: nel 2001 ad esempio suscitò gravi proteste tra gli ebrei e i musulmani svedesi una legge che imponeva l'anestesia prima della circoncisione e l'assistenza di un medico o di un infermiere all'operazione. La legge è tutt'ora in vigore. Nel 2006 in Finlandia una madre musulmana e una coppia ebrea furono condannati per lesioni per aver circonciso il figlio, ma furono tutti assolti dalla Corte suprema finlandese
La convenzione si rinnova: la sinagoga di Trani resterà alla comunità ebraica
di Ottavia Digiaro
È stata annunciata ieri l'imminente firma di un Protocollo d'Intesa fra il Comune di Trani e la Comunità Ebraica di Napoli per il rinnovo della concessione della Sinagoga Scolanova. Durante la conferenza stampa erano presenti l'assessore alla Cultura Salvatore Nardò e l'assessore alle Finanze Michele D'Amore, il Rav Scialom Bahbuot e il Rav Ishai Ochman, giunto appositamente da Israele.
Suggellato simbolicamente con una stretta di mano tra il Rav Scialom Bahbuot e l'Assessore Nardò, in rappresentanza del sindaco Gigi Riserbato (assente perché all'inaugurazione della Fiera del Levante), il documento è un punto di partenza verso una collaborazione più intensa. L'accordo prevede un rinnovo della concessione a titolo gratuito per quattro anni, realizzando così un buon compromesso fra una legge nazionale che prevede un termine massimo di 19 anni e una normativa comunale che prevede un massimo di quattro. Inoltre, la comunità ebraica si occuperà della manutenzione dell'immobile senza gravare in alcun modo sulle casse del comune di Trani.
I tempi burocratici non hanno permesso di far firmare il protocollo, ma a breve l'iter sarà completato senza ostacoli, anche perché sono già state individuate tutte le pezze d'appoggio per dar forma completa al provvedimento.
Alla conferenza è intervenuto il rabbino capo di Napoli Rav Scialom Bahbout, che ha sottolineato come il rinnovo della concessione della Sinagoga Scolanova è una condizione necessaria per ricominciare a riportare la città di Trani alla sua naturale posizione di capitale dell'ebraismo nel Meridione. Il Rav Scialom Bahbout ha illustrato la nuova iniziativa, ossia la creazione a Trani di un IRUV, l'individuazione rituale di un perimetro cittadino ben preciso all'interno del quale è possibile rispettare le regole dello Shabbat, che impone la sospensione settimanale di tutta una serie di attività, come se si fosse all'interno della propria casa. La città diventerebbe per gli ebrei una sorta di prolungamento dell'area domestica. L'illustre rabbino israeliano Rav Ishai Ochman ha il compito di individuare i parametri architettonici che permetteranno di definire tale perimetro. Ovviamente tale delimitazione sarà decisa in concerto con il sindaco di Trani.
Inoltre, nei giorni scorsi si è parlato della creazione di una Università Ebraica a Trani, e erroneamente si è pensato ad un ente assimilabili alle comuni università statali o private che rilasciano una laurea. L'assessore Salvatore Nardò ha voluto precisare che si tratta di qualcosa di diverso, ossia un luogo in cui sia possibile studiare l'ebraismo per tutti coloro che sono interessati, una scuola per la quale il termine "università" va inteso nel senso antico di "comunità".
Everest e Mar Morto assieme su un francobollo commemorativo
KATHMANDU, 8 set. - Il picco piu' alto del mondo ed il punto piu' basso della terra, il Monte Everest e il bacino del Mar Morto, sono rappresentati assieme sul francobollo commemorativo emesso contemporaneamente in Nepal e Israele per celebrare le relazioni bilaterali. L'idea di rappresentare uno accanto all'altro la piu' alta vetta della terra (8848 metri) e il grande lago salato al confine tra Israele e Giordania, situato circa 395 metri al di sotto del livello del mare, e' venuta in Israele. Con essa si vuole simboleggiare la relazione di amicizia di lunga durata esistente tra i due paesi: "Il Nepal e' stato uno dei primi paesi asiatici a riconoscere lo stato di israele 64 anni fa", ha sottolineato l'ambasciatore israeliano a Kathmandu, Hanan Goder Goldberger.
Hanan Ashrawi, il membro del Comitato Esecutivo dell'Olp più ambito dai media occidentali, ha appena conquistato la medaglia d'oro per il revisionismo storico.
In un recente articolo destinato ad un pubblico di lingua araba, ha affermato che non ci sono mai stati profughi ebrei provenienti dai Paesi arabi. Al contrario, dal suo punto di vista, ci sono stati unicamente "emigranti", che hanno lasciato volontariamente le loro antiche case. Gli ebrei non sono mai stati oggetto di alcuna persecuzione, e semmai lo sono stati, in realtà, è solo per un complotto "sionista". Questa chiave di lettura di matrice palestinese ha la stessa radice di altri analoghi tentativi di delegittimare la storia ebraica.
In altre parole, la strategia palestinese, di cui la teoria di Ashrawi è parte integrante, consiste essenzialmente nel tentativo di minare le basi su cui si fondano i principi di autodeterminazione e nazionalità degli ebrei. Il che conduce alla sua assurda pretesa di sostenere che non ci siano stati profughi ebrei provenienti dai Paesi arabi.
Volendo fare un esempio che mi riguarda personalmente, secondo la teoria di Ashrawi, la vita di mia moglie sarebbe basata su una menzogna. Ironia della sorte, mia moglie e la sua famiglia - i suoi genitori e i sette fratelli - hanno creduto nella possibilità che vi potesse essere democrazia e pluralismo nei Paesi arabi. Una visione pericolosamente miope!
Nel 1951, la Libia divenne un paese indipendente e adottò una Costituzione che garantiva la tutela delle minoranze, tra cui gli ebrei.
La famiglia di mia moglie, a differenza della maggior parte degli ebrei libici, scelse di credere in queste garanzie. Rimasero, mentre altri, temendo il peggio, lasciarono velocemente la Libia. Questi ultimi ricordavano e temevano i drammatici pogrom arabi del 1945 e 1948, quando la Libia era ancora sotto il dominio britannico, e presagivano un nuovo precipitare degli eventi con il paese governato dall'autorità libica. Che cosa è successo dopo il 1951? Agli ebrei libici non sono mai stati accordati gli stessi diritti degli altri cittadini, le pari opportunità o la stessa tutela legale.
Sin dall'inizio sono stati cittadini di seconda classe, sempre, anche quando riuscivano ad acquisire la cittadinanza libica. E la circostanza che molti di loro vivessero nel Paese da millenni e perciò da molto tempo prima che gli arabi lo conquistassero e lo occupassero - sì, conquistassero ed occupassero - è stata ritenuta irrilevante.
Poi è arrivato il fatidico anno 1967. Mia moglie e la sua famiglia sono stati costretti a diventare dei rifugiati poiché la loro incolumità è stata messa in serio ed immediato pericolo. Ma loro sono stati più fortunati di molti altri. Infatti, tanti dei loro amici e vicini ebrei, le cui identità e le cui tragiche vicende sono ancora oggi ben note, sono stati uccisi dalle orde di predoni.
Il motivo? Solo uno. Erano ebrei. Lo sfondo di questi fatti tragici era la Guerra dei Sei Giorni, a mille miglia di distanza. Gli aggressori libici trovarono una facile preda negli ebrei di Tripoli e Bengasi, lasciati senza alcun mezzo di protezione, governativa o di altro genere. Così mia moglie e la sua famiglia dovettero fuggire, in cerca di un rifugio sicuro, costretti a rifarsi una vita da zero, con la certezza che non sarebbero mai potuti tornare alla loro terra d'origine.
Se questo non li rende dei rifugiati, ditemi come altro li si potrebbe definire? Non hanno il diritto di essere ascoltati e di chiarire che ci sono state due popolazioni di rifugiati, di dimensioni quasi uguali, non una soltanto, a causa del conflitto arabo-israeliano?
Il regime libico, soprattutto dopo che il colonnello Muhammar Gheddafi prese il potere nel 1969, ha agito per estinguere ogni traccia della presenza ebraica, come per riscrivere una nuova storia in cui 40.000 ebrei non avevano mai vissuto, studiato, lavorato, creato o in alcun modo contribuito alla società libica. E ciò che è accaduto in Libia non è stato un caso unico nel suo genere. Si è ripetuto paese dopo paese, dall'Iraq alla Siria, dall'Egitto allo Yemen.
È sintomatico, che la Ashrawi non vuole capire, tanto meno affrontare, la cruda verità, no? Gli amici dei palestinesi che vogliono far avanzare le prospettive di un accordo a due Stati con Israele, dovrebbero aprire gli occhi e vedere quello che hanno davanti.
Rapidi a condannare qualsiasi supposta condotta illecita degli israeliani, tendono a rendere una forma d'arte il coccolare i palestinesi offrendo scuse o razionalizzazioni per i loro comportamenti, o semplicemente guardano da un'altra parte. Ma la negazione della storia ebraica - sia essa antica o moderna, di Israele o della Diaspora - arriva al cuore del conflitto. Non è uno spettacolo secondario: è lo spettacolo principale.
Pensate a quanto disse Yasser Arafat al presidente Bill Clinton che non c'era mai stato un tempio ebraico a Gerusalemme, cercando di realizzare il punto offensivo e falso che nessun legame fra gli ebrei e Gerusalemme sia mai esistito. O, più recentemente, a quanto detto dal successore di Arafat, Mahmoud Abbas, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso settembre. Egli ha parlato dei collegamenti cristiani e musulmani con la terra. Eppure ha volutamente omesso qualsiasi riferimento al legame ebraico, anche se precede le istanze delle altre religioni di migliaia di anni, ed è rafforzato da una Bibbia che sia il Cristianesimo sia l'Islam invocano, per non parlare di innumerevoli reperti archeologici.
Oppure pensiamo al rifiuto palestinese di riconoscere il carattere ebraico dello Stato di Israele - e i suoi infiniti sforzi per mettere in dubbio la sua stessa ragione di esistere, nonostante la Dichiarazione Balfour (1917), il Trattato di San Remo (1920), il Mandato della Società delle Nazioni per la Palestina (1922), la Commissione Peel (1936), la Commissione speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina (agosto 1947), l'Assemblea generale delle Nazioni Unite (novembre 1947), e il suo essere membro delle Nazioni Unite dal 1949.
A proposito, confrontiamo il profilo storico e legale di Israele come Stato sovrano con quelli di alcuni paesi vicini, compresi Iraq e Giordania. Un bel contrasto! Israele ha fatto molta strada dai giorni del primo ministro Golda Meir, quando il nazionalismo palestinese, all'epoca un fenomeno relativamente recente, venne respinto. Oggi, vi è un ampio consenso tra gli israeliani sulla necessità di un accordo di pace a due Stati, per quanto complessa possa essere la sua realizzazione.
Tuttavia, fino a quando i leader palestinesi cercheranno di riscrivere la storia - come Ashrawi ha appena fatto - diciamolo chiaramente, le possibilità di costruire la fiducia e di andare verso un accordo diventano sempre più labili.
* Direttore dell'American Jewish Committee
(l'Opinione, 8 settembre 2012 - trad. Carmine Monaco )
Scene di vita quotidiana da Gerusalemme a Ramallah
di Maurizio Caprara
Le routine del Medio Oriente
GERUSALEMME - Capire il Medio Oriente per chi viene da fuori non è affatto semplice, ma è impossibile se si rimane estranei alle sue routine, molteplici e spesso inaspettate. Gerusalemme, nel nostro Paese, ha soprattutto l'immagine della città antica studiata a scuola, o sentita nominare in chiesa. Da decenni viene associata a fatti di cronaca riassumibili in scontri o tensioni tra israeliani e arabi. Non si considera, da noi, che d'estate Gerusalemme possa avere anche una vita notturna di preghiera. Al Muro del Pianto, in questo mese che precede le feste ebraiche di Rosh haShanà e Kippur, all'una del mattino c'è folla. Folla di israeliani giovani, in particolare. Di soldatesse che pregano. Di soldati di colore che recitano salmi. Non soltanto di ebrei ortodossi, giovani e meno giovani, vestiti di nero nei loro soprabiti dal peso poco estivo e di un taglio che si indossava nell'Europa dell'Est di un paio di secoli fa.
NOTTI DI PREGHIERA - L'atmosfera è intensa, percorsa da sentimenti variegati. C'è il rabbino che manda in avanti la testa ritmicamente con una costanza tale da far mettere in dubbio lo scorrere del tempo. Ci sono ragazzi dallo sguardo luminoso. Ci sono fedeli dall'aria più sofferta. E può sembrare onirico che una folla così, di notte, a differenza di quanto accade nelle nostre città, si sia radunata lì senza nessun cinema all'aperto o nessuna discoteca pur essendo formata da persone con le stesse età dei pubblici di arene estive e discoteche. In più, anche le cronache possono essere aggiornate. Gli attriti abituali non sono soltanto quelli con gli arabi verso Gerusalemme Est. Spesso, in città sono i giovani israeliani laici e i coetanei ortodossi a sfidarsi e a tirarsi sassi, i primi sono infastiditi dall'intransigenza e dai riti desueti dei secondi.
SUV E PATRIARCHI - Di giorno, nella Città Vecchia, esorcizzando timori mai fugati di attentati e cercando di attrarre l'attenzione dei turisti i commercianti arabo-israeliani o israeliani vendono magliette con terroristi riprodotti in versione da cartone animato. Suv di delegazioni di ospiti, che si immaginerebbero a Cortina, parcheggiano nel cortile del Patriarcato Latino, tra una suora e un prete di passaggio, mentre altri pellegrini pregano al Santo Sepolcro e i musulmani fanno lo stesso sulla spianata delle Moschee. Meno di un'ora di auto più in là, a Ramallah, sede dell'Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania, altri Suv spiccano davanti al portone gonfiabile di un parco giochi che saluta i visitatori così: "Welcome to Happy Land", benvenuti nella Terra della Felicità.
POLTRONE DA SCARTARE - Anche qui la routine sta facendo invecchiare certi stereotipi della cronaca. A Ramallah, terra di burocrazia come tutte le capitali, seppure lo sia di uno Stato che formalmente ancora non esiste, la sera c'è chi da altre località dei Territori ci viene per ballare. Tra i palestinesi scontenti per la crisi economica si organizzano manifestazioni, è vero, ma questo malessere non cancella i segni evidenti dello sviluppo degli anni scorsi per l'economia locale: Ramallah è piena di palazzi nuovissimi, di sfavillare di finestre e specchi puntualmente ancora contrassegnati dalle sbavature della vernice appena data alle pareti. Nel frattempo, dentro al ministero degli Esteri palestinese, pieno di poltrone nuove con il cellophane ancora da scartare, adesivi con il visto di Yasser Arafat affiancano targhe degli uffici tutt'altro che lussuose. Department of Africa, Department of Asia, scritte in pennarello, come in una scuola occupata.Per strada, bambine escono da scuola trascinando una razzi-gaza-trolley con le ruote che non spezza la schiena. A casa, qualcuna di loro vedrà la televisione grazie a un antenna che i genitori hanno voluto a forma di Tour Eiffel.
SPECCHIO ANTIBOMBE - E' più largo di questa zona formata da Israele e Cisgiordania, il Medio Oriente. L'Egitto, con i suoi circa 83 milioni di abitanti dall'età media di 24 anni, ne è il Paese principale. A sorvolarlo in aereo, viene da pensare che, se a noi ci preoccupano le polveri sottili, il misto di fuliggine di gas di auto e sabbia che ricopre i tetti delle case del Cairo non è di sicuro da cartolina. Lo sono le Piramidi, padrone di un'enclave sottratta all'avanzata dell'edilizia. E il passaggio dal regime di Hosni Mubarak alla presidenza del Fratello Musulmano Mohamed Morsi poco ha potuto sul traffico delle auto, sempre massiccio anche se non peggiorato. Dentro a uno dei palazzi del presidente, El Tahadeia, uno strumento non ha risentito del passaggio da vecchio a nuovo corso: lo specchio che serve a controllare, guardando sotto l'automobile, se le macchine che entrano nel cortile non sono autobombe. Anche questa, per il Cairo e molti altri palazzi del Medio Oriente, è routine.
Delegazione israeliana in visita agli asili di Poviglio
POVIGLIO (RE) - Arrivano da Tour'an, cittadina israeliana conosciuta come "La perla della Galilea" le persone che venerdì pomeriggio hanno visitato il nido d'infanzia "Rodari" e la scuola dell'infanzia "La Ginestra", a Poviglio. La delegazione è giunta in terra reggiana dopo essere stata ospitata a Motteggiana (Mantova), comune con il quale Tour'an si è gemellato di recente in base a un'iniziativa suggerita anche da una direttiva europea e finalizzata a migliorare i rapporti culturali e religiosi tra etnie diverse.
Tour'an sorge ai piedi dell'omonimo monte, a pari distanza da Tiberiade e Nazareth: dei 13mila cittadini che la abitano, l'87% è musulmano, mentre la restante parte è cristiana, divisa tra cattolici e ortodossi. Anche la delegazione che ha fatto visita a Poviglio rispecchia queste dinamiche, in quanto delle sei persone giunte venerdì due sono ebree, tre musulmane e una cristiana.
Guidati dal sindaco Yakov Zohar, i membri della delegazione sono stati accompagnati dal vicesindaco e dal segretario generale del comune di Motteggiana, Rubes Calzolari e Tina Cappellini, e sono stati ricevuti a Poviglio da Giammaria Manghi, sindaco e delegato alle politiche scolastiche per l'Unione dei Comuni Bassa Reggiana e Cristian Fabbi, direttore dell'Azienda Servizi Bassa Reggiana, che gestisce gli asili. Guidati dalla coordinatrice pedagogica Tania Bertacchi, gli ospiti israeliani hanno visitato entrambe le strutture, manifestando un forte interesse verso le metodologie educative utilizzate nelle scuole povigliesi e reggiane, che mettono il bambino al centro del pensiero pedagogico. Numerose le domande poste da Zohar e dai suoi accompagnatori, rimasti colpiti soprattutto dalla modernità dell'asilo "Rodari", sottolineando quanto siano importanti i frutti degli investimenti in campo educativo.
Dopo i rispettivi interventi - nei quali si sono ripromessi di attivare uno scambio culturale tra insegnanti di Poviglio e di Tour'an - i due sindaci si sono scambiati dei doni tipici delle rispettive comunità, poi la giornata si è conclusa alla "Ginestra" con la visione di un filmato che illustra l'attività quotidiana dei docenti e dei bambini nella scuola. "Le visite dall'estero sono ormai una tradizione per l'Azienda - ha spiegato Manghi - che da tempo interagisce con realtà provenienti da tutta Europa. Auspichiamo che questo primo incontro con una realtà israeliana non sia che l'inizio di un proficuo rapporto di scambio e collaborazione".
Al Festival della Letteratura ebraica l'artista israeliano Hanoch Piven
ROMA, 8 set. - La quinta edizione del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica prosegue domani, domenica 9 settembre, con una mattinata ricca di eventi. Dalle ore 9.45 alle 14.00 il Museo Ebraico di Roma, in collaborazione con Biblioteche di Roma, ospitera' uno speciale workshop per bambini a cura dell'artista israeliano Hanoch Piven che propone la creazione di autoritratti/ritratti realizzati con diversi materiali, tra cui fotografie, tessuti, bottoni, materiali da riciclo di vario genere.
Alle ore 11.00, mentre al Palazzo della Cultura il raffinato enigmista Stefano Bartezzaghi analizzera' la narrativa di Primo Levi, per il venticinquesimo anniversario della morte, si svolgera' parallelamente l'inaugurazione della mostra 'Sukka" a cura di Giovanna Ben Amozegh presso i giardini del Museo Ebraico di Roma. Alle ore 20.00 il responsabile culturale de L'Espresso Wlodek Goldkorn incontrera' lo scrittore americano Shalom Auslander presso il Palazzo della Cultura.
Dissacrante e geniale, Auslander supera il confine dell'indicibile affrontando nei suoi libri numerosi tabu' - da Il lamento del prepuzio, ad A Dio spiacendo e fino a Prove per un incendio - e sfidando nello stile e nei contenuti il conformismo e le convenzioni.
Israele-Palestina. Si torna all'idea di uno Stato unico
Il 25.9% dei palestinesi è favorevole a uno Stato binazionale, stando a un'inchiesta recente condotta dal Jerusalem Media and Communications centre. Uno Stato binazionale consisterebbe nella creazione di uno Stato unico comprendente due nazionalità ben distinte costituzionalmente, dove sia israeliani che palestinesi sarebbero cittadini a parte intera.
"Si tratta di una proposta che sorge ogni volta che il processo di pace si trova in difficoltà. Il binazionalismo è sostenuto soprattutto da parte palestinese. Ahmed Qorei, ex primo ministro palestinese, ritiene che i suoi connazionali dovrebbero abbandonare l'idea di una soluzione a due Stati, rinunciare al sogno di uno Stato nazione e concentrarsi sulla strategia di uno Stato unico, comprendente Israele, la Cisgiordania e Gaza, dove ogni cittadino avrebbe gli stessi diritti.
Alcuni osservatori stranieri sostengono il binazionalismo con diversi argomenti : l'esigua estensione della terra contesa dal fiume Giordano sino al Mediterraneo, il groviglio spaziale delle due società israeliana e palestinese, l'importante numero delle colonie israeliane, la voglia di vivere insieme invece del desiderio di separazione, la fine del blocco diplomatico e la situazione della sicurezza in Cisgiordania, difficilmente gestibile dai palestinesi.
La deputata della destra, Tzipi Hotovely, difende l'idea dello Stato binazionale proponendo di integrare i palestinesi della Cisgiordania in uno Stato unico, all'interno del quale israeliani e palestinesi avrebbero gli stessi diritti e gli stessi doveri. Però gli ebrei resterebbero maggioritari in seno alla società. Si tratterebbe dunque di uno Stato unico ebreo con una larga minoranza araba.
In realtà la maggior parte degli israeliani è spaventata dall'idea di uno Stato binazionale. I detrattori di questo concetto vedono la minaccia demografica.
Secono le proiezioni demografiche, la popolazione araba (palestinesi e arabi israeliani) e dei Territori palestinesi dovrebbe superare la popolazione ebraica nel 2014-2015. In caso di Stato binazionale gli ebrei sarebbero dunque in minoranza.
Un unico Stato significherebbe dunque la fine di Israele come Stato ebraico, la fine del processo sionista dell'insediamento di uno Stato ebreo sulla Palestina, garante della sopravvivenza di questo popolo.
Il premier Benyamin Netanyahou ha messo in guardia contro questa minaccia, argomentando la necessità del rilancio del processo di pace. La pace con i palestinesi, sostiene, è l'unico modo per evitare un pericoloso Stato binazionale e salvare l'identità ebraica."
La città di Berlino impone le sue condizioni per autorizzare la circoncisione
BERLINO - La città di Berlino ha garantito mercoledì scorso, a determinate condizioni, la certezza giuridica della circoncisione religiosa, dopo che un tribunale aveva messo in dubbio questa pratica in Germania.
"Le circoncisioni religiose sono in linea di principio escluse dalla persecuzione penale se sono soddisfatte determinate condizioni", ha dichiarato in un comunicato il senatore Thomas Heilmann, responsabile della giustizia della città di Berlino.
"Secondo queste condizioni, è necessario che entrambi i genitori o tutori legali abbiano dato il loro consenso per iscritto, dopo essere stati informati in modo dettagliato sui rischi per la salute del bambino", spiega il senatore.
Le autorità locali inoltre esigono che sia dimostrata la necessità religiosa di questa circoncisione, che comunque può essere praticata soltanto in accordo con opportune norme mediche.
Questo implica, in particolare, un certo ambiente e strumenti sterili, e anche, per quanto possibile, la diminuzione del dolore, precisa il comunicato.
Nel mese di giugno l'Alta corte di Colonia aveva reso nota una delibera secondo cui la rimozione del prepuzio per motivi religiosi è da considerare come provocazione volontaria di ferite, e quindi passibile di procedimento penale.
L'incertezza giuridica causata da questa sentenza ha provocato una grande polemica, in un paese in cui vivono 4 milioni di musulmani e più di 200.000 ebrei, due comunità che praticano la circoncisione.
Su richiesta di parlamentari tedeschi, il governo federale si è impegnato a legiferare prossimamente in materia.
Le autorità di Berlino precisano inoltre che la loro posizione giuridica sulla circoncisione è stata presa in attesa di una norma federale.
"Spero di portare con questo un po' di sollievo in un difficile momento di transizione", ha detto il signor Heilmann. "Noi auguriamo volentieri il benvenuto ai musulmani e agli ebrei a Berlino. E questo vale anche per la loro religione", ha aggiunto.
Prima di Berlino, anche i pubblici ministeri di Stoccarda e Karlsruhe (Baden-Württemberg) avevano dichiarato che non avrebbero iniziato procedimenti in merito alla circoncisione.
"Ci aspettiamo che sia annunciata una regolamentazione legislativa", ha detto il procuratore generale di Stoccarda, Klaus Pflieger al giornale Sonntag aktuell, mentre il suo collega di Karlsruhe ha ricordato che la circoncisione deve essere praticata secondo le regole della professione medica, con il consenso del genitori.
Il dibattito sulla circoncisione continua comunque a proporsi con forza nei media. La Vice-Presidente del Congresso Ebraico Mondiale ed ex presidente del Consiglio Centrale degli ebrei in Germania, Charlotte Knobloch, in un forum del Süddeutsche Zeitung ha chiesto: "Volete ancora degli ebrei? Per sessant'anni, come sopravvissuta all'Olocausto, ho difeso la Germania. Adesso mi chiedo se ho fatto bene", dichiara. E osserva che per la prima volta dal 1945 l'esistenza di una vita ebraica in Germania è contestata.
(Romandie.com, 7 settembre 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Il rapporto dell'Aiea (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica) sull'Iran è più allarmante di quanto non si credesse. Ed è l'ulteriore dimostrazione che le sanzioni non funzionano. Né, finora, la diplomazia ha portato a qualche risultato. Il regime di Teheran, in pratica, risulta tecnicamente molto vicino alla realizzazione della sua prima bomba atomica. Possiede già materiale fissile sufficiente a fabbricare 6 ordigni. E sta rapidamente trasferendo il programma nel sito di Fordow che, essendo scavato in una montagna, risulterebbe immune ad un eventuale bombardamento israeliano. Infine: entro un anno, ad Arak, sarà pronto un nuovo reattore ad acqua pesante in grado di produrre plutonio, altra materia prima per le testate nucleari....
A partire da domenica 9 settembre la sinagoga di Asti sarà il punto di partenza di un breve itinerario di scoperta delle piazze e degli edifici in cui si manifestò alla fine dell'Ottocento la generosità del conte Leonetto Ottolenghi. Dopo aver visitato la sinagoga il pubblico, con l'aiuto di una planimetria del percorso, potrà accedere al Museo del Risorgimento ospitato a Palazzo Ottolenghi, osservare i monumenti celebrativi di piazza Roma e piazza Cairoli e concludere ammirando nella Pinacoteca Civica di Palazzo Mazzetti i ritratti eseguiti dal pittore astigiano Pittatore ad alcuni personaggi illustri della locale comunità ebraica.
L'iniziativa, denominata Ricordi ebraici in musei, piazze e sinagoghe astigiane. Mecenatismo ebraico dall'Emancipazione all'Unità d'Italia, è a cura di "Artefacta Beni Culturali" in collaborazione con l'Ufficio Musei del Comune di Asti e con l'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Asti.
La manifestazione di terrà nelle domeniche 9, 16, 23 e 30 settembre.
In queste date la Sinagoga (via Ottolenghi 8) e il Museo del Risorgimento (corso Alfieri 350) saranno aperti dalle ore 15.00 alle ore 18.00, con ingresso gratuito. Palazzo Mazzetti osserverà il consueto orario di visita.
Non è necessario prenotare.
Per informazioni:
Artefacta Beni Culturali, info@artefacta.it,
347-4891662 oppure Israt 0141-354835 (www.israt.it)
CAIRO - Il presidente egiziano, Mohamed Morsi, "ha assicurato che rispettera' il Trattato di pace con Israele". E' quanto ha detto il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, spiegando di aver parlato al presidente egiziano degli incontri avuti a Gerusalemme con la leadership israeliana in cui e' stata affrontata la questione. Al Cairo Terzi ha avuto un colloquio a cinque con il presidente egiziano, Mohamed Morsi, a cui hanno partecipato anche i ministri degli Esteri di Grecia, Dimitrios Avramopoulos, Cipro, Erato Kozakuo-Marcoullis, e Malta, Tonio Borg.
«Un luogo di ricerca per i romani così sarà il mio museo ebraico»
Di Castro nuova direttrice dello spazio sotto la Sinagoga. Con duemila reperti insieme a quello di Venezia è il più importante d'Italia. La responsabile «Servirebbero fondi per ampliare le sale»
di Fabio Isman
Alessandra Di Castro
Alessandra Di Castro, studiosa d'arte e, come il fratello Alberto, erede a Piazza di Spagna di Franco, un grande antiquario romano scomparso mesi fa, rileva il testimone dalla sorella Daniela, andatasene anche lei da un paio di anni, che ha ordinato e resuscitato il museo ebraico sotto la Sinagoga, riaperto nel 2005. Lo dirigerà lei, dopo l'interim del responsabile del dipartimento cultura della Comunità, Claudio Procaccia: lo ha deciso ieri la giunta della stessa Comunità di Roma. Il museo, duemila reperti, è un autentico tesoro: vanta pezzi preziosissimi e con quello di Venezia, è il più importante in Italia, e non solo.
- Come mai questa scelta, perché proprio lei?
  «Serviva una persona con le qualità di Daniela: studiosa di beni culturali, conoscitrice delle lingue, contatti in giro per il mondo, che sapesse di cultura ebraica, anche con un piglio manageriale, inculcatole da nostro padre. Lei ha formato un'équipe eccezionale; in questi campi, qualcosa so e spero di non farla rimpiangere troppo».
- C'è già qualche progetto, qualche proponimento?
  «Servirebbero fondi per allargare gli spazi: è invidiabile la collocazione sotto il Tempio, ma sono troppo angusti. La stessa biglietteria è troppo sacrificata. Il museo ha ampi margini di miglioramento, nonostante la grande qualità».
- Ma lei avrà sufficiente tempo, e non vivrà conflitti con la sua «bottega»?
  «Il tempo si troverà; conflitti non ne immagino, anzi. La mia continua partecipazione alle fiere internazionali potrà essere semmai utile: occorrono certamente più scambi, e molte comunità ebraiche all'estero apprezzano il museo, che è tra i più ricchi e documentati. Molte tra queste comunità hanno perduto i loro oggetti, o comunque non ne possiedono quanti il museo romano, né del loro stesso valore».
- Numerosi i visitatori stranieri; ma per gli italiani e per i romani si può fare qualcosa di più?   «lo immagino il museo come un luogo anche di studio. Molti romani hanno in casa oggetti di cui, magari, non sanno più molto: vorrei che venissero al museo, per conoscerli più a fondo e meglio, per comprenderne le storie, approfondire il loro passato. In questa attività sarà fondamentale, come in tutte quelle del museo, l'apporto dell'architetto Guglielmo Ascarelli, assessore della Comunità romana preposto proprio al Museo. Poco da cambiare, invece, nell'allestimento, che mia sorella Daniela ha voluto, e Manuela Lucà Dazzi, oggi impegnata a Venezia con la Biennale, realizzato».
- Finora, non era molto noto il suo impegno nella comunità romana, o sbaglio?
  «Vero, non me ne interessavo troppo. Ma, tra le sue 15 mila persone, ho trovato un rilevante nucleo di giovani che sono assolutamente entusiasti; un clima davvero assai bello».
- Il museo conserva anche qualche oggetto di famiglia, non è vero?
  «Mio padre con le sue due sorelle gli aveva donato un braciere in bronzo con iscrizioni ebraiche, un oggetto tra quelli più belli che aveva rinvenuto durante la sua lunga carriera. Di qualche altro piccolo reperto che in vece può provenire da me, mi scusi ma non intendo invece parlare».
- Quanto ha pesato nella sua decisione che il museo fosse stato ordinato da sua sorella, c'è un po' di sentimento?   «A Daniela io ho voluto molto bene. Basta così, grazie».
Pagine Ebraiche fra la gente del Festival Letteratura a Mantova
Ladany e la sua corsa contro il male, dal Lager a Monaco '72
Il Festival Letteratura prende quota e mentre si accende il fuoco di fila delle centinaia di manifestazioni in programma il giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche, che la più prestigiosa manifestazione culturale di questa stagione ha deciso di distribuire in tutti i punti di raccolta e informazione, conquista a Mantova nuovi lettori.
Questa mattina il primo di una serie di grandi appuntamenti con la cultura e la creatività di ispirazione ebraica, l'incontro con il pensatore italiano Stefano Levi della Torre ha fatto il tutto esaurito in un cortile del palazzo di San Sebastiano gremito da un pubblico attento. Levi della Torre, presentato da Lea Melandri, ha parlato del suo ultimo lavoro (Laicità, grazie a Dio) in cui espone una concezione molto personale, ma comunque radicata nella matrice culturale ebraica, di uno dei grandi temi dei tempi nostri, il rapporto fra la politica, gli ideali, il potere e la religione. I lettori di Pagine Ebraiche hanno avuto modo, negli scorsi mesi, di seguire il confronto su questo stesso tema fra molte firme che hanno offerto visuali diverse (da rav Gianfranco Di Segni a Ugo Volli, da Sergio Della Pergola a rav Roberto Della Rocca e Anna Foa, da Davide Assael a Anna Segre).
Shaul Ladany
Questa sera l'attesissimo, commovente abbraccio fra il pubblico e Shaul Ladany, l'uomo che a passo di marcia ha proseguito la sua corsa per spezzare il male, dal Lager alla Guerra dei Sei giorni alla strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco '72.
Scenderà fra la gente per raccontare la sua storia (i biglietti sono già tutti esauriti) un marciatore che ogni anno, per il suo compleanno, percorre un chilometro per ogni anno vissuto. La marcia di Shaul Ladany è iniziata 76 anni fa: ha incontrato alla partenza la prigionia nel campo di Bergen-Belsen, è passata per la Guerra dei Sei Giorni in Israele, ha conosciuto uno dei suoi momenti di crisi nell'attacco terroristico di Settembre Nero agli atleti israeliani durante le Olimpiadi di Monaco, avvenuto esattamente quarant'anni fa. Una marcia ininterrotta, che per tenacia e costanza gli è valsa anche molti record e medaglie in campo sportivo. Insieme al giornalista Andrea Schiavon, autore di Cinque cerchi e una stella, e a Matteo Corradini, Ladany torna sui successi e sulle tragedie che hanno segnato la sua vita e insieme quella di Israele.
(Notiziario Ucei, 6 settembre 2012)
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Il racconto, affare da quarantenni
Englander e Keret a confronto. Poi Auslander
di Cristina Taglietti
MANTOVA Eravamo quattro ebrei quarantenni a Mantova. Eshkol Nevo, Shalom Auslander, Nathan Englander, Etgar Keret si sono dati appuntamento al Festivaletteratura per raccontare quattro diverse facce (con un terreno comune vasto) della narrativa ebraica contemporanea. Le loro date di nascita si srotolano in un pugno d'anni (il più «anziano» della compagnia è Keret, del 1967, Auslander e Englander sono del '70, Nevo del '71); due appartengono alla linea israeliana (Nevo è nato a Gerusalemme, Keret a Tel Aviv), gli altri due, newyorchesi, a quella della diaspora; in tutti l'identità ebraica e l'ironia yiddish si intrecciano con pesi e misure diverse dando luogo a una letteratura in cui, pur nelle rispettive peculiarità, è facile rintracciare radici comuni. Al Festivaletteratura, dove niente è lasciato al caso, hanno deciso di convocarli tutti assieme, ma di metterne a confronto soltanto due, un israeliano e un americano, Keret e Englander, che discuteranno tra loro di un ulteriore aspetto che li unisce: la predilezione per il racconto, genere nel quale Nevo e Auslander non si sono ancora cimentati. Per vederli insieme bisogna aspettare sabato (cortile dell'Archivio di Stato, ore 10.45), nell'ultimo dei tre eventi, coordinati da Stefano Salis, dedicati a un genere che ultimamente sembra vivere una rinascita. Quando si parla di racconti, inevitabilmente si parla di un maestro, Raymond Carver, a cui entrambi guardano pur discostandosene in modo sostanziale. Keret (di cui Feltrinelli ha appena pubblicato la raccolta All'improvviso bussano alla porta) ha dichiarato spesso di sentire più vicino il maestro americano che i fratelli maggiori israeliani (Oz e Grossman) anche se il suo modello è Kafka; Englander di carveriano ha molto poco nella scrittura, nonostante il titolo (quello sì carveriano) della sua ultima raccolta, Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank (Einaudi). Certo una delle cose più interessanti sarà la definizione della differenza tra i due generi che ieri ha animato il primo degli eventi dedicati al tema, quello tra Pablo D'Ors e Andrej Longo. «Scrivere un racconto è come affittare una stanza, scrivere un romanzo è come comprare una casa» ha detto il primo. «Nel racconto apri una finestra nella vita di un personaggio, poi la richiudi. Ma devi sapere dove aprirla» ha detto il secondo. Chissà se Englander e Keret continueranno nella metafora immobiliare.
Pasticciaccio sulla "piattaforma programmatica" del partito democratico che viene definita qui a Charlotte. Ieri abbiamo raccontato su Repubblica che dalla prima versione di quel documento era sparita la definizione di Gerusalemme come capitale d'Israele. I repubblicani se ne sono accorti e Romney ha denunciato l'ennesimo "tradimento" da parte di Obama dell'alleato storico. Il Wall Street Journal di Rupert Murdoch ha dato enorme rilievo alla polemica, sperando che serva a far perdere qualche voto nella comunità ebraica americana (cruciale in alcuni Stati in bilico come la Florida).
La definizione di Gerusalemme capitale d'Israele appariva invece nella piattaforma democratica del 2008.
Allo stesso modo, la Fox News (di Murdoch anche quella) ha denunciato il fatto che "da nessuna parte nella piattaforma dei democratici si parla di Dio" (anchorwoman Greta Van Susteren).
Oggi è intervenuto personalmente Obama per far correggere le due "sviste" (?). Per volere del presidente ora nella piattaforma democratica ci sono Dio, e Gerusalemme capitale.
Brutta figura: se quelle due assenze erano il frutto di altrettante scelte, andavano spiegate e difese. Questa retromarcia dà un senso di insicurezza. I repubblicani vengono premiati, adesso cercheranno altri casus belli su cui costringere Obama alla ritirata.
Nel 2008 il presidente conquistò il 78% della comunità in America. Oggi non cita neppure una volta Gerusalemme nel suo programma
di Fiamma Nirenstein
Obama non ha certo un punto forte nel Medio Oriente, i suoi strateghi non funzionano: lo ha provato perdendo tutti gli amici che aveva prima delle rivoluzioni senza riuscire a farsene altri.
L'atteggiamento ossequioso verso l'islam non ha elevato di un millimetro la considerazione verso gli Usa, rimasti il vecchio nemico imperialista. L'unico amico rimasto vicino agli Usa, non per interesse, ma per ispirazione democratica, l'unico piccolo Hans rimasto col dito nella minacciosa falla della diga mediorentale, Obama se lo sta giocando vertiginosamente. E così forse Obama addirittura rischia la rielezione sull'altare dell'invincibile antipatia verso Israele. Un sentimento incontenibile, che invano il presidente ha cercato di limitare alla critica politica. La critica è divenuta astio, ed ormai pericolosa anche per gli Stati Uniti, per il suo prestigio internazionale.
L'ultimo episodio dimostra che Obama, nonostante gli ebrei americani abbiano votato per lui per il 78 per cento, non capisce, non sa, anzi scansa il cuore ebraico: esso si chiama in primis «Gerusalemme»; gli ebrei, unica religione, pregano voltati da quella parte, la menzionano tutti i giorni nella preghiera; quando si sposano invece di giurare fedeltà all'amato la giurano a Gerusalemme. Ma la piattaforma del partito presentata martedì durante la convention fa capire che Obama immagina come assai realistica la divisione di Gerusalemme, dato che attualmente non riconosce Gerusalemme unita come capitale di Israele, un punto vitale per la vita e la cultura stessa del mondo ebraico, ma rimanda la sua definizione secondo i desiderata del mondo arabo. Obama sembra ignorare che una città divisa diventerebbe un campo di battaglia peggiore di Belfast, che la paura diventerebbe padrona di un città invece oggi bella, curata, turistica, ricca di strutture economiche e culturali, e che i luoghi santi, ora aperti a tutte le religioni, sarebbero regolati chissà come.
La piattaforma del partito democratico, che però menziona la fedeltà degli Usa alla sicurezza di Israele e la speranza di pace, non menziona neppure una volta Gerusalemme, e ha cancellato la formula del 2008 per cui i democratici si impegnava perchè «Gerusalemme sia e rimanga la capitale di Israele». Lasciando così aperta la porta alle continue rivendicazioni arabe e alla possibile divisione. Una differenza troppo grande con la piattaforma di Romney, che attacca infatti Obama. Essa dice: «Noi sosteniamo il diritto di Israele ad esistere come Stato Ebraico con confini sicuri e difendibili e auspichiamo due stati democratici... Israele con Gerusalemme come capitale e i palestinesi che vivano in pace e sicurezza». La piattaforma democratica del 2008 chiedeva anche l'«isolamento di Hamas finché l'organizzazione non rinunci al terrorismo e accetti gli impegni di pace»; insisteva che «ogni accordo per la questione dei profughi in un accordo finale faccia del futuro stato palestinese e non di Israele, la meta dei palestinesi» e notava che «non è realistico che il risultato di qualsiasi negoziato sia il ritorno totale alle linee armistiziali del 1949». Tutto questo è sparito. Punti vitali per Israele che non esistono più nella carta. Tutto questo avviene dopo che la discussione sull'Iran ha preso fuoco nei giorni scorsi: proprio nelle ore in cui l'Aiea, l'organizzazione per l'energia atomica, testimoniava l'impennarsi della produzione di uranio arricchito nella struttura iraniana di Fordo, il generale Martin Dempsey, capo di Stato Maggiore, dichiarava che gli Usa non sarebbero mai stati «complici» (ha usato proprio questa parola) di un attacco israeliano all'Iran.
Nel frattempo gli americani restringevano il numero dei loro soldati previsti per un'esercitazione comune con l'esercito israeliano, e anche dei tecnici in grado di manovrare il sistema antimissile Patriot e il radar piazzato nel Negev che annuncia a Israele se qualcosa si alza dal cielo in Iran. Come se non bastasse, uno scoop ha suggerito (difficile verificarlo) che gli americani tramite due nazioni europee avevano proposto all'Iran un patto: noi non aiutiamo gli israeliani, voi non colpite comunque le strutture americane in Medio Oriente. La reazione di Israele è quella espressa da Netanyahu nei giorni scorsi, dopo le dichiarazioni di Dempsey: «Vi occupate di più di bloccare Israele che di impedire l'atomica iraniana». Ieri Shimon Peres ha detto al nostro ministro degli Esteri Giulio Terzi, le cui dichiarazioni sull'Iran e il cui benvenuto di Israele fa dell'Italia un amico fra i primi della fila, che ormai siamo quasi fuori tempo massimo. Ovvero, anche se le sanzioni sono l'ipotesi più facile, l'attacco non è da escludere. In questo caso, Obama sarà molto arrabbiato con Israele. Come, non lo è già adesso? E per motivi poco americani?
Generali vende Migdal in saldo, sconto da 130 mln agli israeliani
Il Leone di Trieste ha rivisto i termini dell'operazione per la vendita del 69,13% della sua controllata isrlaeliana a Eliahu Insurance Company...
NUOVO PREZZO PER LA VENDITA DI MIGDAL - Il gruppo Generali ha modificato al ribasso il prezzo per la cessione della quota del 69,13% della sua controllata isrlaeliana Migdal a Eliahu Insurance Company. La vendita, che sarà conclusa entro il mese di ottobre, avverrà a un prezzo di 705 milioni di euro, contro gli di 835 milioni previsti dall'accordo precedente.
L'IMPATTO SUL SOLVENCY I - Lo ha annunciato lo stesso Leone, precisando che sulla base del nuovo prezzo - che rappresenta un premio implicito di circa il 23% rispetto al prezzo di mercato del 5 settembre 2012 sulla borsa di Tel Aviv - l'operazione avrà un impatto positivo di 2,2 punti percentuali sull'indice Solvency I del gruppo triestino. Con il vecchio accordo, Generali avrebbe avuto un capital gain di 103 milioni di euro e un miglioramento del suo solvency ratio di 2,4 punti percentuali.
I DETTAGLI DEL NUOVO ACCORDO - Nell'ambito del nuovo accordo è inoltre previsto il riconoscimento a favore di Generali di un importo di 125,25 milioni di euro come break-up fee che sarà trattenuto a titolo definitivo nel caso in cui l'operazione per qualsiasi motivo, non imputabile a Generali, non fosse perfezionata entro fine ottobre. L'operazione è subordinata all'approvazione delle competenti autorità israeliane. Il precedente accordo, comunicato il 7 marzo 2012, non è stato perfezionato a causa del mancato ottenimento da parte di Eliahu Insurance Company di tutte le autorizzazioni cui era subordinato, spiega Generali.
Netanyahu sospende una riunione di sicurezza per fuga di notizie
GERUSALEMME, 5 set. - Benjamin Netanyahu ha sospeso una riunione sulla sicurezza israeliana per una fuga di notizie. Il premier del Paese ebraico ha detto che una persona che ha preso parte alle riunione del gabinetto di sicurezza nazionale ha parlato con i giornali, facendo filtrare delle informazioni di cui si era discusso al meeting. La riunione, durata una giornata intera, doveva riprendere stamane ma Netanyahu ha mandato tutti a casa, dicendo che la sicurezza israeliana richiede la capacità di mantenere le riunioni riservate, e che chiunque abbia parlato con i media ha tradito "la più basilare fiducia".
Il quotidiano Yediot Ahronot, citando fonti anonime, aveva detto che le organizzazioni dell'intelligence israeliana hanno opinioni contrastanti sulla possibilità di danneggiare il programma nucleare israeliano con un'azione militare.
Per i democratici americani Gerusalemme non è la capitale dIsraele
CHARLOTTE (North Carolina) - E' destinata ad acuirsi la tensione tra israeliani e democratici americani: dalla piattaforma del partito, che apre stasera la convention a Charlotte in North Carolina, e' scomparso ogni riferimento a "Gerusalemme, capitale d'Israele", un principio dato per scontato sin dal 1992. Dai funzionari del partito di Barack Obama non e' giunta alcuna spiegazione. L'iniziativa o dimenticanza inevitabilmente avvicinera' l'elettorato ebraico - tipicamente democratico - al rivale repubblicano, Mitt Romney, completamente schierato, come ha chiarito a luglio proprio a Gerusalemme, sulle posizioni del governo di Benjamin Netanyahu.
MONACO DI BAVIERA, 5 settembre 2012 - Oggi alle 16 la commemorazione della tragedia nell'aeroporto di Fürstenfeldbruck dove il 5 settembre persero la vita 9 ostaggi israeliani, 5 terroristi palestinesi di Settembre Nero che si introdussero nel Villaggio olimpico e un poliziotto tedesco
Esattamente all'alba di 40 anni fa la storia olimpica cambiò di colpo e per sempre. Il 5 settembre 1972 poco dopo le 4 del mattino un commando di terroristi palestinesi di un'organizzazione chiamata Settembre Nero s'introdusse nel Villaggio olimpico di Monaco di Baviera prendendo in ostaggio 11 membri della delegazione israeliana nella palazzina 31 di Connollystrasse. Ai palestinesi bastò scavalcare una recinzione di appena due metri per introdursi nella zona dove vivevano gli atleti. Che per la rappresentativa con la Stella di David sulla bandiera aveva un significato particolare, erano i primi dopo l'Olocausto. Le misure di sicurezza attorno al Villaggio erano piuttosto blande e le cronache dell'epoca raccontano che gli stessi atleti potevano scavalcare le reti e uscire dalla zona recintata con facilità. Non si voleva dare a Giochi un'immagine militarizzata.
TRE SETTIMANE PRIMA Come ha scritto quest'anno il giornale tedesco Der Spiegel, l'azione palestinese chiamata Ikrit e Biram (dal nome di due villaggi arabo-cristiani espropriati nel 1948 e i cui terreni vennero assegnati a coloni israeliani) era stata annunciata circa tre settimane prima da un informatore palestinese a Beirut, il quale aveva spiegato come un'azione militare potesse portare all'attenzione del mondo - con la ribalta dell'Olimpiade - la questione palestinese. Le autorità tedesche sottovalutarono quell'informazione e non vennero prese contromisure. Quando il commando composto da otto terroristi entra nel Villaggio, Moshe Weinberg (allenatore della squadra di lotta) e Yossef Romano (pesista) cercano di opporre resistenza e vengono uccisi quasi subito.
COMMEMORAZIONE Inizia un'estenuante trattativa in cui i palestinesi comandati da Luttif Afif (detto Issa) chiedono la liberazione di oltre 234 detenuti in Israele, mentre al governo tedesco viene chiesta la liberazione di Andreas Baader e Ulrike Meinhof, i fondatori della Rote Armee Fraction (una sorta di Brigate Rosse tedesche). Alla fine i terroristi ottengono la promessa che un aereo li porterà in Egitto. Alle 10.10 di sera un elicottero militare atterra all'aeroporto Nato di Fürstenfeldbruck dove le forze speciali tedesche (GSG9) hanno pianificato l'attacco per cercare di liberare gli ostaggi. La trappola deve scattare quando due terroristi salgono sul Boeing 727 sul quale sono pronti sei poliziotti travestiti da piloti, mentre gli altri palestinesi dovrebbero essere uccisi da cecchini. Ma incredibilmente i poliziotti sull'aereo decidono di non procedere, tutto passa nelle mani dei tiratori scelti che non conoscono neppure il numero esatto degli uomini che compongono il commando: è una strage, 9 ostaggi israeliani, un poliziotto tedesco e 5 palestinesi muoiono. Oggi pomeriggio alle 16 in quello stesso aeroporto vicino Monaco si terrà una cerimonia per ricordare quell'attentato con molti dei sopravvissuti di quel terribile giorno. Come si ricorderà, a Londra il mese scorso, durante i Giochi della 30a Olimpiade, era nata una polemica se fosse il caso di fare osservare o meno un minuto di silenzio per ricordare quella strage: il Cio aveva deciso di non farlo innescando una serie di proteste non solo da parte israeliana. E così nella capitale britannica si sono tenute una serie di cerimonie a cui aveva partecipato (in maniera privata) anche il presidente del Cio, Rogge.
L'energia prodotta dagli oceani potrebbe raddoppiare usando nuovi metodi per prevedere la forza del moto ondoso
di Andrea Ballocchi
L'energia marina ha potenziali di crescita molto elevati. Da una scoperta fatta da un team di ricercatori universitari dell'inglese University of Exeter e della israeliana Tel Aviv University, l'energia prodotta dagli oceani potrebbe raddoppiare se si usassero nuovi metodi per prevedere la forza delle onde. Lo riporta il servizio comunitario di informazione Cordis, riprendendo la notizia dalla rivista Renewable Energy, dove sono stati presentati i risultati della ricerca congiunta.
Gli esiti dello studio sono particolarmente importanti in quanto confermano ulteriormente che quella marina è una fonte energetica davvero importante, se opportunamente sfruttata. Finora, infatti, la tecnologia adottata ha presentato alcune lacune, tra cui quella di non avere un'adeguata efficienza nel "catturare" l'energia del moto ondoso.
I ricercatori di Exeter e Tel Aviv si sono concentrati sui dispositivi specifici, denominati point absorber, in modo tale che possano prevedere con precisione la forza dell'onda successiva e di reagire, estraendo la massima quantità di energia. Tali dispositivi possiedono delle parti mobili in grado di seguire il moto ondoso e producono energia che immettono poi nella rete elettrica.
Secondo i ricercatori, i point absorber sono più efficienti per quanto riguarda la quantità di energia prodotta se la loro risposta corrisponde in modo adeguato alla forza delle onde. Il merito particolare dello studio è che, rispetto a quelli precedenti, ha mirato all'incremento dell'efficienza dei point absorber mediante le previsione e il controllo delle forze interne al dispositivo stesso causate dalle onde successive.
Non solo: con questi accorgimenti la possibilità che il dispositivo venga danneggiato è ridotta poiché esso risponde in modo adeguato alla forza dell'onda successiva e non serve spegnere il dispositivo durante condizioni meteo impervie, come finora è stato necessario fare.
Cooperazione tra l'Universita' di Tel Aviv e l'Universita' per Stranieri di Perugia
PERUGIA, 5 set - ''L'accordo che abbiamo siglato con la Tel Aviv University nell'ambito della cooperazione culturale italo-israeliana, prevende il nostro contributo scientifico e didattico nella formazione degli insegnanti e nella certificazione linguistica e glottodidattica''. Lo ha detto il rettore della Universita' per Stranieri di Perugia Stefania Giannini che fa parte di una delegazione in Israele.
''Toccante e' stata la visita allo Yad Vashem, con gli studenti delle scuole di 4 regioni italiane che erano gia' stati con il Ministro Profumo ad Auschwitz nel giorno della memoria - ha aggiunto; organizzero' una delegazione di studenti italiani e stranieri della nostra Universita' il 27 gennaio prossimo in quella terra per una doverosa condivisione della memoria dell'olocausto''.
TEL AVIV - Innocon, una delle società israeliane che partecipano alla gara d'appalto indetta dall'India per la nuova dotazione di sistemi Uav (aerei senza pilota a controllo remoto) che andrà ad equipaggiare tutte le sue forze armate, ha rivelato il suo gioiellino che compete per la gara, cui partecipano anche BlueBird e l'immancabile Elbit Systems.
Il piccolissimo aereo-drone, trasportabile a mano, si chiama Spider e pesa appena 2,5 kg senza i sistemi sensori e la batteria. L'autonomia di volo sarebbe di 30 minuti.
La gara d'appalto richiede un sistema di sorveglianza del campo di battaglia utilizzabile da personale ridottissimo e con un peso massimo di 15 kg.
Il contratto è per un centinaio di esemplari, ma è chiaro che questo costituisce il banco di prova per un acquisto futuro decisamente più corposo (sembrerebbe 600 esemplari).
Novità sono promesse anche dall'altro giocatore in questa partita, BlueBird/Dynamatic, e dal suo MicroB che in base a quanto riportato peserebbe appena un chilo.
Come accennato, e come spesso accade per i contratti indiani, la posta in gioco è piuttosto alta: 1,25 miliardi di dollari in pochi anni.
La prima parte tra parentesi quadre di questa rassegna non compare nel notiziario Ucei da cui il resto dellarticolo è tratto.
[Mi permettano i lettori di aprire questa odierna rassegna con l'esame di due articoli pubblicati sul quotidiano Rinascita, ex settimanale del PCI, con la firma di Roberto Cozzolino. Si tratta di articoli solo apparentemente privi di importanza, ma una attenta analisi è, a mio parere, necessaria per rendersi conto di dove si sta andando. Sotto il titolo: Teheran: un passo verso la libertà, il pittore Roberto Cozzolino espone nella capitale iraniana una ventina di quadri che, dice lui, non è riuscito, in precedenza, ad esporre né in Italia, né all'estero (nemmeno nei territori palestinesi). L'artista, apparentemente, conosce Israele ed i territori palestinesi solo da immagini trovate su internet, ma ciò è sufficiente per creare opere "riferite alla realtà"; il lettore di Rinascita comprenderà quindi che i palestinesi sono colpevoli di "dare alle fiamme semplici bandiere", e che è "un mito l'aver trasformato il deserto in giardino". Sull'Olocausto" si impedisce ogni ricerca storica" (ricordi il mio lettore che Cozzolino è a Teheran, ma questo non giustifica simile affermazione). E' criminale essere filosionisti, ed è demenziale equiparare antisionismo ed antisemitismo. Dopo aver scritto che Israele pratica la tortura sugli avversari politici, parla, senza ulteriori spiegazioni, di un rapporto 1:130 per spiegare da che parte sta il terrorismo (sicuramente occidentale ndr).Al Qaeda e Bin Laden sono "utilissimi per USA ed Israele", "l'entità sionista sta dietro la primavera araba che vuole ridurre gli stati arabi a minuscole enclavi", e la disgregazione di Siria, Irak e Turchia è "perseguita da Israele". Alla fine della lettura di Cozzolino il lettore dovrà riflettere su una certa sinistra di oggi, là dove scrive, proprio su Rinascita, di una contrapposizione oramai priva di significato tra destra e sinistra, e tra teocrazia ed ateismo.]
Roberta Zunini svela finalmente ai lettori del Fatto Quotidiano certe realtà sempre tenute nascoste da una certa sinistra (e non solo): a Gaza "ci sono tanti soldi, ma solo per pochissimi". Oggi lo si può affermare forse solo perché lo ha detto Abu Mazen, e così si può scrivere che ci sono 800 milionari e 1600 quasi milionari, e che Hamas, eletto democraticamente (ndr) "controlla tutto, anche l'ingresso degli antidepressivi". Ne parla anche Michele Giorgio sul manifesto, in un articolo nel quale deforma l'allarme denunciato dall'ONU per il pericolo che, a partire dal 2020, l'acqua a Gaza non sia più utilizzabile (ma scrive Giorgio che le acque nere finiscono in mare, mentre il vero pericolo, secondo quanto denunciato, è costituito dalle tante che finiscono nelle falde acquifere tramite fori praticati direttamente nelle case). Naturalmente la causa di tutto ciò è il blocco israeliano, e Giorgio omette di dire che i beni fondamentali (compresi gli antidepressivi di cui sopra) entrano dal confine con Israele. Viene da chiedersi come mai lo stesso Mi. Gio, sulle stesse pagine, dopo aver denunciato l'ennesimo rinvio del processo presso il tribunale di Gaza per la morte di Arrigoni, non si ponga i doverosi interrogativi sulle ragioni di tali rinvii.
Alcuni facinorosi ebrei hanno assalito di notte il convento di Latrun (che si trova sulla strada tra il mare e Gerusalemme), scrivendo frasi offensive contro i cristiani e incendiando il portale; Netanyahu ha subito condannato il grave episodio augurandosi che i colpevoli vengano identificati e puniti con rigore (Israele non ha certo bisogno che si verifichino simili episodi criminali, che sono forse la conseguenza dell'evacuazione forzata di Migron ndr). Ne scrivono oggi alcune brevi su vari quotidiani, oltre al Figaro.
Lorenzo Cremonesi sul Corriere continua a descrivere la terribile realtà che si vive nel nord della Siria (e nella vicina Turchia); su Repubblica l'altro inviato Pietro del Re aggiunge che Assad deve bombardare dall'alto, indiscriminatamente, perché non può usare la fanteria, perché le truppe non sono affidabili. Antonella Rampino su La Stampa aggiunge che sarebbe proprio la Turchia ad opporsi alla creazione della no fly zone per evitare che l''opposizione curda siriana si riunisca con quella che opera all'interno della Turchia.
Dagli USA Maurizio Molinari segue la campagna di Obama, e così si legge che, secondo il presidente, gli USA sostengono "con impegno incrollabile" la sicurezza di Israele, ma, mentre si rinuncia a qualsiasi riferimento a "Gerusalemme capitale", si sostiene che il governo procede verso "l'ulteriore eliminazione di armi nucleari" (ed intanto si omette di parlare della nuova potenza nucleare che sta per nascere ndr). In un articolo su Repubblica firmato da Angelo Aquaro si spiega quale sia il peso degli ebrei americani nel voto USA, e se anche l'appoggio ebraico al partito democratico dovesse calare dal 75% al 65%, i numeri conseguenti avrebbero un peso importante e forse determinante sui risultati finali.
Gian Micalessin sul Giornale svela che l'attrice israeliana Orly Weinerman ebbe una storia d'amore col figlio di Gheddafi Saif, oggi incarcerato in Libia, al punto che si parlò di matrimonio tra i due (sarebbe stata all'epoca una notizia davvero esplosiva ndr); Micalessin spiega anche alcuni intrighi che esistevano tra il rais libico e il primo ministro Blair.
Sempre di grande importanza gli eventi che si organizzano nel Ghetto di Roma; Avvenire e Corriere, tra gli altri, parlano del festival che si terrà tra l'8 ed il 12 settembre; dice Riccardo Pacifici: vogliamo sfatare il mito dell'ebreo che ama piangere sulle sue disgrazie passate, e dobbiamo cercare il modo perché il passato non si verifichi più.
Gian Marco Chiocci sul Giornale scrive sull'attentato di Bologna nel 1980; perché inizia scrivendo che gli ebrei sono al fianco degli ex neofascisti? Pacifici chiede correttamente, ed è ben diversa cosa, che si faccia finalmente luce senza guardare in faccia nessuno, e salta anche fuori una nota dell'epoca dell'antiterrorismo che metteva in guardia dai rischi di attentato per una ritorsione in preparazione dopo "la condanna dell'arabo Abu Saleh".
A Venezia, infine, Ken (il rosso) Loach, insignito del premio Bresson, non perde l'occasione per invitare a boicottare Israele (sì, Israele, non certo gli ebrei; figuriamoci!
In Germania, Austria ed Ungheria episodi inquietanti che ricordano tragici spettri del passato
di Andrea Mollica
In Europa sono sempre più numerosi i casi di antisemitismo. Un fenomeno cresciuto in questi anni di crisi, che riecheggiano uno dei capitoli più tragici della storia del Vecchio Continente. Al momento però prevale l'indifferenza delle autorità rispetto a questi episodi, con l'eccezione significativa della Germania.
INSULTI AI RABBINI - Il più diffuso quotidiano elvetico, Tages Anzeiger, elenca alcuni casi di cronaca che mostrano caratteri antisemiti. Il primo è successo pochi giorni fa nel giorno della partita Rapid Vienna contro Paok Salonicco nella capitale austriaca. In uno dei luoghi più vissuti di Vienna un rabbino è stato insultato come "ebreo di merXXa" da un tifoso. Quando l'uomo si è girato ha visto che chi lo insultava stava facendo un saluto nazista, e gli ha urlato ancora: "Sparisci, ebreo di merXXa. Via gli ebrei, W Hitler!". Il fatto è stato osservato anche dalla polizia che stazionava in massa nel centro cittadino per prevenire scontri tra tifosi. Il rabbino però ha raccontato come gli agenti di polizia non
abbiano ascoltato la sua denuncia del fatto, liquidandolo con un ghigno di indifferenza. Mentre questo
Berlino mette la kippà
succedeva a Vienna, a Berlino, un'altra capitale del mondo germanofono, la scorsa domenica un rabbino è stato attaccato e ferito in modo piuttosto serio. La reazione della capitale tedesca è stata però ben diversa.
CONTRASTI - Berlino ha risposto con grande attenzione all'attacco antisemita. Il sindaco della città Wovereit ha indossato una kippà: in solidarietà, mentre è stato convocato un appuntamento pubblico per sensibilizzare sull'accaduto. A Vienna è invece prevalsa l'indifferenza, perché solo i Verdi come partito hanno chiesto un chiarimento sul fatto. I liberali austriaci, formazione dalle forti spinte xenofobe, si era dovuto giustificare in precedenza per una caricatura antisemita comparsa sul profilo Facebook del suo leader, Heinz-Christian Strache. Il caso però è stato relativamente contenuto, e l'eco mediatica piuttosto limitata, così come verificatosi con l'aggressione verbale al rabbino. La polizia viennese, dopo le sollecitazioni, ha comunque promesso che chiarirà il caso, anche sul comportamento dei poliziotti denunciato dall'esponente della comunità ebraica.
Quarant'anni fa l'assalto alle Olimpiadi. Il campione canturino di basket ricorda il blitz dei terroristi nella palazzina israeliana. «Eravamo in emergenza e sul tetto del nostro edificio si erano piazzati tiratori scelti»
di Marco Guggiari
Quarant'anni fa, la notte tra il 4 e il 5 settembre 1972, iniziava l'assalto dei terroristi palestinesi alla palazzina degli atleti israeliani che partecipavano alle Olimpiadi di Monaco, in Germania. Quel tragico evento fu vissuto da vicino da uno dei più grandi protagonisti di tutti i tempi dello sport comasco, il canturino Pierluigi Marzorati, convocato per la prima volta ai Giochi con la Nazionale di pallacanestro. L'edificio dov'era alloggiato si trovava proprio di fronte a quello preso di mira.
Ne parliamo nello studio professionale ubicato nel centro della città del mobile, dove Marzorati, che è anche presidente del Comitato regionale del Coni, oggi lavora come ingegnere progettista di impianti civili e sportivi.
«Non avevo ancora vent'anni - esordisce - infatti li avrei compiuti il 12 settembre (il giorno dopo la chiusura di quelle Olimpiadi, ndr). Tutto intorno a me era meraviglioso. Ero affascinato da ciò che mi accadeva. Eravamo in totale libertà, in spirito di fratellanza e amicizia, in un clima indescrivibile. C'erano 10mila atleti e la maggior parte di questi era soddisfatta per il traguardo tagliato: essere lì, anche senza poter sperare in una medaglia. Ci scambiavamo i distintivi. Il villaggio olimpico, immerso nel verde, era come un Eden. Mi sembrava di toccare il cielo con un dito, di essere in una sorta di paradiso terrestre».
Quella notte otto palestinesi scavalcarono la rete di recinzione del villaggio e alle 4.30 fecero irruzione nella palazzina numero 31. Uccisero subito un allenatore e un pesista israeliani che avevano opposto resistenza. Un lottatore e altri diciotto atleti riuscirono a fuggire. In mano al commando rimasero però nove ostaggi. I fedayn di Settembre Nero chiesero la liberazione di 234 loro compagni detenuti a Tel Aviv e di Andrea Baader e Ulrike Meinhof, i capi della Rote Armee Fraktion, organizzazione terroristica tedesca.
A un primo ultimatum ne seguirono altri, con la minaccia di uccidere un prigioniero per ogni ora di ritardo.
- Come vi accorgeste di ciò che stava accadendo?
«La mattina del 5 settembre venne il massaggiatore Crispi, che noi chiamavamo "Mister". Fu lui a dirci che era accaduta una cosa sconvolgente, che c'erano morti e ostaggi a pochi passi da noi. Ci invitò a lasciare rapidamente il villaggio perché eravamo in piena emergenza e sul tetto delle nostra palazzina si erano piazzati tiratori scelti. Noi vedevamo l'edificio occupato, ma non riuscivamo a scorgere altro. I sequestratori erano barricati all'interno con i loro ostaggi. Chiamammo casa per rassicurare le nostre famiglie».
- Come si svolse quella giornata drammatica e cruciale?
«Lasciammo il villaggio a bordo del pullman per andare ad allenarci e non potemmo più rientrare. Mangiammo in un ristorante in centro. Dopo il secondo allenamento pomeridiano ci dissero che le trattative tra forze dell'ordine tedesche e fedayn erano chiuse e che sequestratori e ostaggi erano diretti all'aeroporto. Così, di sera potemmo ritornare ai nostri alloggi».
Il peggio, però, doveva ancora venire. I terroristi avevano chiesto di lasciare la Germania alla volta del Cairo. Alle dieci di sera un pullman li condusse fino a due elicotteri che decollarono verso l'aeroporto di Furstenfeldbruck, a un'ottantina di chilometri da Monaco di Baviera. Sulla pista c'erano tiratori scelti tedeschi. In otto minuti avvenne il tragico epilogo: morirono cinque terroristi su otto, il pilota di uno degli elicotteri, un poliziotto tedesco e tutti i nove ostaggi israeliani. Tre fedayn furono arrestati. All'una e trenta di notte del 6 settembre tutto era finito.
- Come viveste quel finale?
«Ci ritrovammo sotto una cappa di disagio pesante. Era chiaro che eravamo nel mezzo di una tragedia, sebbene questa non ci avesse toccato direttamente. Ormai nulla aveva più senso. La grande, meravigliosa manifestazione alla quale eravamo arrivati aveva perso qualsiasi logica. In noi però c'era la consapevolezza che non andare avanti avrebbe significato dare ragione ai terroristi».
Ai funerali delle vittime di quella tragedia parteciparono 80mila persone. Le Olimpiadi si fermarono solo per quel giorno.
- Come proseguiste le gare?
«Il clima tra di noi e tutt'intorno era profondamente cambiato. Eravamo tutti presi da quella situazione. Io penso che forse poteva finire diversamente. Si sarebbero potute condurre trattative più lunghe. Invece si optò una soluzione sommaria, che produsse quel risultato. Prevalse il timore di un'impronta negativa sull'organizzazione dei Giochi».
Le Olimpiadi di Monaco si erano aperte il 26 agosto. Protagonista assoluto fu il nuotatore statunitense Mark Spitz, che vinse sette medaglie d'oro. L'Italia in vasca sognava con Novella Calligaris, una ragazzina non ancora 18enne che ci regalò le prime medaglie nel nuoto. E nell'atletica leggera, nei 200 metri piani, un giovane Pietro Mennea si aggiudicava il bronzo.
Pierluigi Marzorati giocò la finale di basket per il terzo e quarto posto. L'8 settembre la Nazionale azzurra fu sconfitta da Cuba per un solo punto (66-65). «Noi pensavamo di farcela - ricorda - Ce la giocavamo dopo aver perso con gli Usa in semifinale. Un'infrazione non rilevata ai danni di Serafini ci fece perdere il possesso di palla a pochi secondi dalla fine. Fu così che subimmo la sconfitta per un punto».
Quell'edizione delle Olimpiadi segnò anche la prima sconfitta dal 1936, data dell'introduzione del basket nei giochi a cinque cerchi, degli Stati Uniti, battuti in finalissima dall'Unione Sovietica (50-51). Anche in quel caso ci furono errori e gli americani considerarono sempre un furto quel risultato.
Marzorati ebbe modo di rifarsi, partecipando ad altre tre Olimpiadi: a Montreal, a Mosca, dove disputò la finalissima vinta dalla Jugoslavia e si aggiudicò la medaglia d'argento, e a Los Angeles. Dai primi canestri nella squadra dell'oratorio San Michele di Cantù al record, tuttora suo, di presenze in Nazionale (278), ne ha fatta di strada.
- Come furono le edizioni successive dei giochi?
«Risentirono dei fatti di Monaco. C'erano controlli più rigidi agli ingressi, più preparazione negli incaricati della sicurezza. Un clima diverso da quello della mia prima esperienza».
Israele volle vendicare i suoi morti e il suo servizio segreto, il Mossad, diede la caccia a tutti responsabili della strage. Steven Spielberg ne trasse il film "Munich" (2005).
Abu Mazen: nei tunnel Hamas ha trovato la 'gallina dalle uova d'oro'
di Aldo Baquis
Nella pur disastrata Striscia di Gaza c'é una "gallina dalle uova d'oro" che è stata capace in pochi anni di produrre "800 nuovi milionari". Non è una fiaba per bambini, ma la sofferta constatazione espressa dal presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) nelle ultime settimane a due giornali importanti: il britannico 'Economist' e l'egiziano 'Roz el-Yusef'. Il Presidente ha poi spiegato meglio il proprio pensiero. Dietro alla fabbrica della ricchezza per pochi eletti - ha sostenuto - ci sono Hamas e il suo sfruttamento sistematico dei tunnel di contrabbando scavati sotto la linea di demarcazione fra la Striscia e il Sinai egiziano. "Questi tunnel - secondo Abu Mazen - hanno creato numerosi milionari su entrambi i versanti del confine... oltre 800 a Gaza e altri 1.600 che si apprestano a diventare anch'essi milionari". "Il tutto - ha aggiunto - a spese degli interessi nazionali sia degli egiziani sia dei palestinesi".
Le sue affermazioni giungono mentre la Striscia di Gaza è turbata dal suicidio del ventenne disoccupato Mohamed Abu Nada, immolatosi col fuoco di fronte all'ospedale cittadino al-Shifa.
Il padre ha riferito che la famiglia viveva in condizioni di gravi indigenza, con un bilancio mensile inferiore all' equivalente di 180 euro.
Fonti di Gaza spiegano che la 'bonanza' lungo la linea di demarcazione fra Gaza ed Egitto è iniziata nel 2005, con il ritiro israeliano dalla pista militare di frontiera, il cosiddetto 'Asse Filadelfi'. Le terre immediatamente vicine al confine non appartenevano a nessuno: bastava piantare una tenda, portare un generatore e iniziare a scavare un tunnel profondo fra 25 e 40 metri per cominciare ad entrare nel business del contrabbando. Il blocco israeliano seguito al colpo di mano di Hamas (2007) avrebbe dato ulteriore impulso all'industria. In pochi anni si sarebbe passati da 200 a 1200 tunnel. Hamas, aggiungono le fonti, non ha compreso subito il potenziale economico dell'ingresso clandestino a Gaza non solo di armi, ma anche di materiali di costruzioni, bevande, cibi, sigarette, medicinali. In seguito però ha imposto un controllo molto stretto. "Quei tunnel sono sfruttati da Hamas, che ne ricava finanziamenti massicci su cui si basa il suo governo a Gaza", ha affermato Abu Mazen. E da qui hanno mosso i primi passi, a suo parere, anche "i nuovi 800 milionari". Per mettere fine a questo fenomeno che reputa negativo, Abu Mazen consiglia adesso all'Egitto di ripristinare il transito delle merci alla luce del sole attraverso il valico di Rafah, fra il Sinai e Gaza, sulla base delle intese internazionali originali: vale a dire, restituendo all'Anp il controllo del confine. La probabilità che Hamas accetti la proposta in questi termini appare però al momento molto remota.
Minacce di attentati per il Festival del vino vicino a una moschea
In Egitto una sinagoga tenuta chiusa 'per motivi sicurezza'
TEL AVIV, 4 set - Un gruppo massimalista palestinese attivo a Gaza - i Comitati di resistenza popolare (Crp) - minaccia di lanciare attentati in Israele se nei prossimi giorni il 'Festival annuale del vino' di Beer Sheva (Neghev) si terra' in una piazza attigua alla Grande moschea cittadina, in disuso da decenni.
''Apriremo le porte dell'inferno se quella profanazione avra' luogo'', avvertono i Crp. Proteste per l'iniziativa del municipio di Beer Sheva sono giunte peraltro anche dalla popolazione islamica del Neghev, per la quale la vecchia Moschea - trasformata in un Museo - rappresenta ancora un punto di riferimento della propria memoria storica.
Intanto la comunita' degli ebrei egiziani immigrati in Israele riferisce che ''per ragioni di sicurezza'' quest'anno non sara' possibile alla comunita' ebraica di Alessandria (Egitto) di celebrare le ricorrenze del Capodanno ebraico e del Kippur nella sinagoga cittadina, Eliahu Hanavi. Si tratta di un edificio sontuoso, che il secolo scorso serviva una comunita' di diverse decine di migliaia di ebrei.
Adesso ad Alessandria sono rimasti solo una ventina di ebrei (per lo piu' donne) e - secondo la stampa locale - le autorita' egiziane non si sentono in grado di proteggere quei visitatori israeliani che a meta' settembre progettavano di celebrare appunto ad Alessandria il Capodanno ebraico.
Fotovoltaico: Ralco Energy è partner autorizzato di Canadian Solar in Israele
MILANO, 3 settembre 2012 - Canadian Solar (NASDAQ: CSIQ), uno dei principali produttori al mondo di moduli solari, annuncia una partnership nel mercato israeliano con il maggiore distributore di soluzioni fotovoltaiche Ralco Energy.
Dopo che i primi processi standard di vendita e marketing sono stati completati, Ralco Energy è entrato a far parte dell'Authorized Reseller Program per commercializzare in Israele i moduli fotovoltaici top di gamma di Canadian Solar.
Fondata in Ontario nel 2001, Canadian Solar è tra i primi 5 produttori al mondo di moduli fotovoltaici. Quotata in borsa sul listino NASDAQ (CSIQ) dal 2006, l'azienda canadese ha oltre 10.000 dipendenti in 11 Paesi mentre i suoi clienti sono dislocati in oltre 50 Paesi e ha già installato più di 3,5 GW di sistemi solari.
I moduli a elevata qualità e ad alte prestazioni di Canadian Solar vengono impiegati in una varietà di zone climatiche e in diverse configurazioni, da installazioni su tetti commerciali e residenziali a sistemi utility. I suoi moduli hanno raggiunto i primi posti della classifica PV USA (PTC), un indicatore riconosciuto a livello mondiale che rileva le prestazioni e la potenza dei sistemi solari in condizioni reali.
"In Ralco Energy prestiamo molta attenzione ai prodotti solari che inseriamo nel nostro portfolio e siamo molto soddisfatti di avere Canadian Solar come partner strategico in Israele, certi che i suoi moduli accresceranno il valore della nostra gamma di prodotti. Grazie all'Authorized Reseller Program ora abbiamo accesso diretto ai training tecnici, al supporto per le vendite e per il marketing e al gruppo dedicato al servizio clienti dell'azienda. Siamo rimasti colpiti dall'elevata qualità e dalle straordinarie performance dei moduli fotovoltaici di Canadian Solar e dalla reputazione che gode presso le principali banche. Questi elementi ci permettono di offrire ai nostri clienti un ottimo rapporto costi-benefici per i loro investimenti insieme all'affidabilità dei componenti", dichiara Ofir Ruziak, COO di Ralco Energy.
"Questa nuova partnership rappresenta un passo importante per l'estensione del nostro business anche in Israele e siamo convinti che con questa cooperazione creeremo nuove opportunità di investimento sia per Ralco Energy sia per Canadian Solar. La comprovata esperienza e il riconoscimento dei nostri partner nei loro rispettivi mercati è un aspetto determinante per Canadian Solar. In questo senso ci stiamo impegnando per costruire un rapporto basato sul vantaggio reciproco con importanti aziende come Ralco Energy", afferma Ivan Rubio, Direttore generale EMEA presso Canadian Solar.
Il ministro Profumo domani in Israele al Laboratorio Congiunto di Neuroscienze
ROMA, 3 set - Il ministro Francesco Profumo sara' domani al Laboratorio Congiunto italo-israeliano di Neuroscienze dell'Universita' di Tel Aviv. L'appuntamento fa parte dal programma di incontri della visita ufficiale del ministro in Israele cominciata oggi, nell'ambito della quale Profumo vedra' anche il ministro dell'Istruzione israeliano Gideon Saar. Il ministro e' accompagnato da una delegazione di rappresentanti del mondo dell'accademia e di alcuni dei principali Enti di ricerca italiani, tra cui il presidente dell'INFN Fernando Ferroni, il presidente dell'ASI Enrico Saggese e il vice presidente del CNR Maria Cristina Messa. Lo comunica una nota del Miur.
Nel Laboratorio Congiunto italo - israeliano di Neuroscienze, istituito nel 2010 grazie ad un finanziamento del Ministero degli Affari Esteri, lavorano insieme ricercatori dell'Universita' di Tel Aviv e dell'Istituto dei Sistemi Complessi del CNR diretto dal Prof. L. Pietronero.
Obiettivo del Laboratorio e' quello di sviluppare nuovi ibridi neuro-elettronici per giungere a possibili riparazioni dei circuiti neuronali. A tale scopo le competenze del gruppo italiano (costituito dai Dott. A. Politi, T. Kreuz, S.
Luccioli e A. Torcini) su reti complesse e trattamento non lineare dei dati si sono perfettamente integrate con quelle del gruppo israeliano (costituito dal Dott. P. Bonifazi e dai Proff. A. Barzilai ed E. Ben-Jacob) per lo sviluppo di ''chip-neurali'' e di culture neuronali. I nuovi ''neuro-glia chips'' saranno usati per testare nuovi metodi di riparazioni di reti neurali quali unita' base per protesi impiantabili di nuova generazione sia per riparazioni di eventuali danni cerebrali sia per utilizzi in robotica.
MODENA - Umorismo significa essenzialmente ridere con qualcuno e non contro qualcuno. Questo in sintesi, il tratto fondamentale che contraddistingue l'umorismo ebraico. Tema cui è stata dedicata ieri la XIII Giornata della cultura ebraica.
E proprio il geniale editore, letterato, intellettuale e fine umorista modenese Angelo Fortunato Formiggini è stato il fil rouge della manifestazione, grazie alla documentata mostra allestita in piazza Mazzini a cura di Stefano Bulgarelli, illustrata dal prezioso catalogo sottotitolato dal motto editoriale di Formiggini "Risus quoque vitast" che campeggia su tutti i libri della collana "Classici del ridere".
Nell'ebraismo il riso sembra essere un elemento sempre ricorrente. Basta pensare ai fratelli Marx, a Woody Allen, Jerry Lewis e Mel Brooks. Non a caso la prima celebre risata della letteratura sacra, citata anche dal rabbino modenese Beniamino Goldstein, nella conferenza tenuta nel pomeriggio in Sinagoga, alla presenza di un foltissimo pubblico, è presente nella Genesi, primo dei cinque libri della Torah. Sara, infatti, novantenne moglie del patriarca Abramo, ride divertita quando Dio le annuncia che avrà un figlio, Isacco, che appunto, in ebraico, significa figlio del riso. E poi, durante la conferenza, citazioni dottissime sull'umorismo ebraico tratte dal Talmud, il libro dei Re, i Salmi. Una vera e propria "lectio magistralis" che avrebbe fatto ottima figura al Festival della filosofia.
Ieri, inoltre, davanti ad un numeroso pubblico, è stato presentato il libro, scritto dalla studiosa Marta Affricano "Tra Naviglio e Panaro: la presenza ebraica nel territorio a nord di Modena" edito da Guiglia editore, alla presenza del presidente della Circoscrizione 2, Antonio Carpentieri che ha finanziato la preziosa ricerca mirabilmente illustrata dall'autrice, a lungo applaudita dai presenti.
Nella giornata della cultura ebraica anche visite guidate alla sinagoga di piazza Mazzini, conferenze e animazioni con Olek Mincer e "Onyvà teatro" , oltre a proiezioni di film e occasioni conviviali.
Israele comincia ad averne abbastanza degli haredim, gli ebrei ultra ortodossi
Li si riconosce subito perché si abbigliano tutti nello stesso modo. Vogliono l'apartheid fra uomini e donne e altre imposizioni integraliste. Ritenuti inizialmente un fenomeno di folclore, grazie al 10% dei seggi in Parlamento, sono condizionanti per la formazione dei governi e hanno già ottenuto notevolissimi privilegi: un sistema scolastico separato, l'esenzione dalle tasse, dal servizio di leva e dal lavoro, nonché sussidi statali.
di Nuccio Franco
A Mea Shearim
TEL AVIV - Il timore che spinte teocratiche possano influenzare l'evoluzione dei rapporti sociali è avvertito in tutto il Medioriente, Israele compreso.
Infatti, anche lo Stato Ebraico, l'unica democrazia nell'area, e la sua politica rischiano di essere condizionati profondamente da alcuni settori ultraortodossi, in particolare dai cosiddetti haredim.
Da molti considerati un elemento di folklore, in realtà ricoprono oggi una posizione di privilegio in seno allo Stato. Vivono nella più zelante osservanza delle scritture e l'abbigliamento ricorda quello dei loro antenati. I cappelli a falda larga, le lunghe barbe e i peyot (i riccioli) che fuoriescono dai copricapo sono i segni distintivi. Mea Sharim, vecchio quartiere di Gerusalemme, un luogo quasi senza tempo, il loro quartier generale.
Essi non riconoscono lo Stato d'Israele, in quanto la tradizione vuole che lo fonderà il Messia al suo ritorno. Inoltre, non parlano la lingua ebraica, ritenuta sacra e da utilizzare solo per la preghiera, e si esprimono in yiddish. Quale sia il loro futuro nella società israeliana non è dato saperlo con certezza; certo è che l'alto tasso di natalità, l'influenza politica ed il radicalismo che li connota, inducono a ritenere verosimile un ruolo sempre più invasivo.
A sostegno di questo scenario, giova ricordare che essi rappresentano circa il 15% della popolazione e che il 25% degli alunni della prima elementare sono haredim. Già questo basterebbe a dare una risposta all'interrogativo, ma c'è di più. Nelle ultime elezioni politiche hanno ottenuto un (indiretto) consenso elettorale pari all'8,5% che, in termini di rappresentanza alla Knesset, equivale a 12 seggi su 120.
Ciò significa che il crescente peso politico e l'instabilità da essi creata all'interno dello Stato, induce qualsiasi esecutivo a ricercarne il consenso, con conseguenti, innegabili rendite di posizione. Basti pensare che ad essi negli anni, sono stati concessi notevoli privilegi: un sistema scolastico separato, l'esenzione dalle tasse,dal servizio di leva e dal lavoro, sussidi statali. Per non parlare poi di tutta una serie di questioni relative allo status personale in particolar modo per quanto concerne il diritto di famiglia. Quanto basta a dimostrare la loro influenza de facto.
Ultimamente, però, il vento sembra essere cambiato. La contrapposizione tra laici e religiosi si è inasprita a causa di episodi spiacevoli che hanno contribuito ad estremizzare la dialettica politica, creando non pochi problemi di ordine pubblico. Primi fra tutti l'imposizione alle donne di utilizzare marciapiedi separati, l'aggressione a una ragazzina di soli otto anni accusata di avere un abbigliamento non consono e gli insulti alle donne per non aver rispettato la separazione dei posti sull'autobus. Addirittura, nel giorno dello Shabbat, hanno tentato di proibire agli invalidi di circolare in carrozzella in quanto giudicata alla stregua di un mezzo di trasporto come l'automobile. Roba da apartheid eppure le donne, come lo Stato, sono la loro maggior fonte di sostentamento.
Immediate le reazioni dei politici di ogni schieramento di fronte a fatti che mettono in discussione non solo la laicità e la libertà ma, probabilmente, la stessa essenza democratica dello stato ebraico. «Israele è una democrazia occidentale e liberale e non tollereremo altri episodi del genere" ha tuonato Benjamin Netanyahu mentre Yael Dayan, ribadisce che"se la legge non è uguale per tutti non c'è democrazia e questo è un gran pericolo».
Prese di posizione importanti ma che, tuttavia, potrebbero rivelarsi effimere soprattutto in considerazione che, da sempre, il sionismo e fin dai tempi di Ben Gurion, spesso e volentieri ha dovuto ricercare l'appoggio di tali settori sociali, anche a costo di sacrificare punti focali di una conceziona laica dello stato.
La Germania commemora oggi il ricordo del Massacro di Monaco '72
Documenti israeliani hanno riacceso la polemica sul fiasco tedesco per l'uccisione di 11 atleti israeliani da un commando palestinese
BERLINO, 3 set. - La Germania commemora oggi il 40esimo anniversario del massacro delle Olimpiadi di Monaco del 1972, quando 11 atleti israeliani vennero uccisi dal commando palestinese noto con il nome di "Settembre nero".
Alle 16 si terrà una cerimonia in omaggio alle vittime sul luogo del tragico epilogo del sequestro, l'ex base militare di Fuerstenfeldbruck, 25 chilometri a ovest di Monaco di Baviera. Otre alla presenza di 500 rappresentanti del mondo della politica e dello sport, tra cui il ministro degli Interni tedesco Hans-Peter Friedrich. Il consolato israeliano di Monaco di Baviera ha annunciato l'arrivo di sette sopravvissuti e di una decina di parenti delle vittime. Le autorità della Baviera hanno ordinato bandiere a mezz'asta sugli edifici pubblici e l'esposizione per la prima volta delle fotografie delle vittime sulla torre di controllo dell'ex base di Fuerstenfeldbruck. La cerimonia culminerà con una messa ecumenica alla presenza di un rabbino.
Nè la Germania, nè lo Stato hanno dimenticato il "Massacro di Monaco": il 5 settembre 1972, all'alba, otto membri del commando 'Settembre nero' penetrarono nell'appartamento occupato dalla delegazione israeliana al villaggio olimpico. Uccisero due atleti israeliani e ne presero in ostaggio altri nove, sperando di scambiarli con 232 prigionieri palestinesi. L'operazione di salvataggio, organizzata dai servizi di sicurezza tedeschi nella base militare si rivelò un disastro, con la morte degli altri nove ostaggi, di un agente di polizia tedesco e di cinque degli otto sequestratori.
A pochi giorni dal 40esimo anniversario, Israele ha diffuso 45 documenti ufficiali sulla vicenda, compreso materiale classificato, rilanciando la polemica con la Germania sul fiasco dell'operazione dei servizi di sicurezza. Tra i documenti figura il resoconto dell'ex capo dell'intelligence israeliana, Zvi Zamir, che, una volta rientrato da Monaco, riferì che la polizia tedesca "non ha fatto il minimo sforzo di salvare vite umane". Zamir denunciò anche che i tiratori scelti tedeschi avevano solo pistole e che i mezzi corazzati erano arrivati tardi. "Non avevano un piano alternativo, nè alcun mezzo per improvvisare un'alternativa", disse. Tuttavia, i documenti denunciano anche gli errori commessi dalle forze di sicurezza israeliane.
In Germania, la polemica sull'operazione tedesca era già stata rilanciata lo scorso luglio dal settimanale Der Spiegel, accusando il governo tedesco e gli organizzatori delle Olimpiadi di aver insabbiato il fallimento dell'operazione. Mesi prima del sequestro, il ministro dell'Interno tedesco e la polizia della Baveria avevano infatti avvisato le autorità federali di possibili "azioni terroristiche" ai Giochi, aveva sottolineato il settimane, ma l'allarme non aveva portato a un rafforzamento delle misure di sicurezza al villaggio olimpico.
Accuse respinte dal capo della polizia di Monaco, secondo cui una forte presenza di polizia avrebbe fatto rivivere lo spettro dei Giochi olimpici di Berlino del 1936, organizzati dal regime nazista, ma anche dal Presidente del comitato olimpico tedesco, secondo cui non erano state rafforzate le misure di sicurezza al villaggio olimpico per non trasformarlo in un "campo di concentramento".
C'erano due buone ragioni per chiedere a Israele di rimandare l'attacco alle strutture nucleari iraniane: la prima, la possibilità che il programma degli ayatollah fosse indietro, lontano dall'obiettivo della bomba. La seconda, che gli Usa avrebbero agito al momento opportuno per bloccarlo. Tutti e due questi argomenti sono caduti nel giro di poche ore.
PRIMA VICENDA: l'Aiea, l'agenzia nucleare dell'Onu, ha certificato col suo rapporto che il numero di centrifughe è raddoppiato rispetto all'inizio dei colloqui con Teheran. A Fordo ci sono ora 2140 centrifughe per l'arricchimento, e il processo che produce la purezza che serve per la bomba è veloce: ormai mancano solo 50 chilogrammi, il peso di un ragazzo. Si realizza in settimane. L'Aiea dice anche che ci sono decisi segni che l'Iran sia costruendo il missile necessario per la bomba.
SECONDA VICENDA: il Capo di Stato Maggiore generale Martin Dempsey, o che glielo abbia suggerito Obama o che gli sia uscito dal cuore, ha dichiarato che gli Stati Uniti «non saranno complici » di un attacco alle strutture nucleari iraniane. Non si capisce se intenda dire che gli Usa condannerebbero Israele, siamo arrivati alla follia? Comunque nel frattempo la vicina esercitazione antimissile congiunta Usa-Israele (contro l'eventuale pioggia di missili su Israele, e l'Iran ha sempre promesso una risposta balistica devastante con i suoi shihab e con i 40mila missili degli hezbollah) ha subito una riduzione del numero dei soldati americani da 5000 a 1500 circa, le due navi Aegis Ballistic Intercepting Missile mandate nel Mediterraneo sono diventate una, e i sistemi Patriot sono stati spediti senza i soldati che li manovrano. Il messaggio potrebbe essere: noi siamo ancora alleati, ok, ma con l'impiccio iraniano non c'entriamo.
Che dovrebbe fare Israele se non sentirsi sola, e di conseguenza agire al di fuori di ogni contesto internazionale? La Germania intanto vende sottomarini all'Egitto dei Fratelli Musulmani, l'Iran raggiante ha stretto un bell'accordo con la Corea del Nord, suo antico fornitore di tecnologia atomica e missilistica. Chissà cosa dice il coreano del sud Ban Ki Moon, che si è mostrato così volenteroso a Teheran alla conferenza dei non allineati.
Infine: come mai i rapporti dell'Aiea tutti li citavano quando El Baradei diceva che l'Iran si era calmato, e ora che provano che siamo arrivati alla bomba non se ne occupa nessuno?
Fill the Void', scritto e diretto da Rama Burshtein, unico film israeliano in concorso alla Mostra di Venezia, è uno di quei lavori da non sottovalutare. Quasi un film da camera molto low-cost - è stato girato quasi interamente in interni - ci porta dentro un mondo a molti sconosciuto. Ovvero dentro una famiglia ebrea ortodossa di Tel Aviv dove anche l'amore ha il sapore di quelli che racconta la Bibbia. Tutto si svolge in una comunità di Haredim (coloro che tremano davanti alla parola di Dio) che, vestiti come impone la loro religione, studiano i sacri testi all'interno di una vita in cui tutto è scandito da rassicuranti norme. Questa la storia del film. Shira (Hadas Yaron) è una bella ragazza di 18 anni. La più giovane figlia della famiglia Mendelman. Ora la ragazza si sta per sposare con un giovane della sua stessa età (come vuole il costume). E' un sogno che si avvera e diventa realtà anche perché il ragazzo le piace e Shira si sente pronta ed eccitata per questo grande passo. Ma nella famiglia Mendelman accade una disgrazia del tutto inattesa. Esther (Renana Raz), la sorella ventottenne di Shira, muore dopo aver partorito il piccolo Mordechai. Questo dramma provoca un vero shock all'interno della famiglia che cambierà, alla fine, anche lo stesso destino di Shira. La madre della ragazza pensa bene, anche per non perdere il nipotino, che Shira potrebbe prendere il posto della sorella maggiore e sposare il vedovo Yochay (Yiftach Klein) che è però molto più grande del promesso sposo della giovane. Shira non accetta subito questa imposizione della famiglia, che intanto ha consultato il rabbino e ne ha ottenuto l'assenso. In realtà la ragazza comincia a provare un certo interesse per Yochai, ma poi, con una certa civetteria, lo respinge ben due volte prima di accettare di sposarlo. In Fill The Void, che sarà distribuito in Italia da Lucky Red, la storia di questo amore che ha difficoltà a nascere ha la bellezza di ciò che accade all'interno di una comunità in cui i rapporti tra uomo e donna sono ancora fatti di pudichi incontri e sguardi. Insomma, per Shira Yochai, un amore antico in cui i tempi del corteggiamento hanno una loro forte identità e forza. Singolare la storia della regista Rama Burshtein, nata a New York nel 1967. Si laurea prima alla Sam Spiegel Film and Television School di Gerusalemme nel 1994 e, solo successivamente, si avvicina alle tematiche religiose, tanto da utilizzare il mezzo cinematografico come strumento di espressione per la comunità ortodossa, per la quale ha scritto, diretto e prodotto numerosi film realizzati all'interno di università quali la Maale Film School, Yad Benjamin Film School for Woman e la Ulpena Arts School di Gerusalemme. "Mi sono lanciata in questa avventura per un profondo dolore che portavo dentro - ha spiegato -. Sentivo che la comunità ultra-ortodossa non aveva alcuna voce nell'ambito del dialogo culturale. Si potrebbe dire che siamo muti. La nostra voce sul piano politico è forte, perfino roboante, ma sul piano artistico e culturale resta debole e soffocata".
Su un sito israeliano compare un video del nuovo iPhone 5
Nella ridda di voci sul nuovo iPhone di Apple, il cosiddetto iPhone 5, il sito israeliano Gsm Israel prova a sparare un presunto scoop galattico. Scoop per altro - potenzialmente - alla portata di tutti: a quanto raccontano i colleghi israeliani c'era qualcuno (un amministratore delegato di una società che produce cover e accessori) che girava con l'iPhone 5 in tasca all'Ifa di Berlino, maxi-fiera tecnologica in corso in Germania. Eccolo qui:
Lo smartphone, se di vero smartphone si tratta, non si differenzia molto, anzi quasi per nulla, dai mock-up (modellini) costruiti assemblando i componenti via via anticipati da vari siti e dai rendering 3D (ricostruzioni al computer). Si confermano tutte le caratteristiche già spifferate dai "rumors" del web: schermo più grande da 4 pollici, nuovo dock per collegare l'alimentatore e gli accessori, attacco per le cuffie (jack) spostato sul lato inferiore, nuovo retro non in più in vetro ma in metallo (tipo) alluminio. Lo smartphone non si vede acceso ed è quindi impossibile valutare se si tratti di un reale iPhone e non di un altro mock-up.
UPDATE: analizzando con un po' di ingrandimento i dettagli del prodotto maneggiato dagli israeliani aumentano i dubbi, anzi è probabile parlare di un altro fake, per quanto ben realizzato Mentre si avvicina l'uscita del nuovo iPhone, fake o meno circolanti in rete, è certo che la tradizionale segretezza di Apple in questa occasione è stata messa alla prova. Più duramente che in passato, quando pure si registrarono casi clamorosi come l'affaire Gizmodo dell'iPhone 4, con il celebre sito di tecnologia che venne in possesso di un melafonino smarrito da un dipendente di Cupertino. E dire che Tim Cook aveva chiesto un rafforzamento delle procedure di segretezza.
A meno che non si tratti di una grande, colossale finzione orchestrata da Apple per nascondere il vero aspetto del prossimo iPhone e spiazzare tutti. Ipotesi a oggi del tutto inverosimile visto che tutto fa pensare che l'aspetto dell'iPhone 5 sia davvero quello che si vede nel video israeliano, falso o vero che sia.
La ridda dei rumors sarà spazzata via a breve, forse già il 12 settembre da tutti anticipato come data della presentazione del nuovo iPhone. Su cui di certo non c'è in verità nulla. Neppure il nome. Forse non iPhone 5 ma semplicemente iPhone, come nel caso dell'ultimo iPad, il terzo.
Anche a Reggio Emilia la 'Giornata della cultura ebraica'
La Sinagoga di Reggio Emilia
Anche a Reggio iniziative per conoscere e valorizzare storia e tradizione seguendo il filo conduttore dell'edizione di quest'anno: l'umorismo. Visite guidate al Ghetto e al cimitero ebraico. Nel pomeriggio, in Sinagoga, spettacolo del gruppo Onyvà Teatro.
Quella del 2012 è una 'Giornata europea della cultura ebraica' caratterizzata da un tema divertente e intrigante: l'umorismo ebraico. Un vero e proprio fenomeno culturale più che un semplice aspetto della tradizione ebraica. Il saper ridere anche di se stessi e della propria condizione è una peculiarità che si è sviluppata nel mondo ebraico nel corso dei secoli, a diverse latitudini e con caratteristiche diverse di luogo in luogo. 'L'umorismo - secondo Renzo Gattegna, presidente delle comunità ebraiche italiane - si può considerare uno stratagemma che ha aiutato gli ebrei, spesso privati dei diritti fondamentali, a sopravvivere psicologicamente, a rimanere mentalmente integri di fronte alle difficoltà'.
La comunità ebraica di Modena e Reggio propone oggi un programma ricco di iniziative. Dalle 9.30, Alessandra Fontanesi di Istoreco proporrà visite guidate nelle strade del Ghetto. Alle 10.30, nella Sinagoga di via dell'Aquila conferenza del Rabbino capo Beniamino Goldestein sull'umorismo ebraico. Alle 10 e alle 11 lo storico Antonio Zambonelli condurrà alla scoperta dell'antico cimitero ebraico che si trova accanto al ponte di San Claudio.
Altri appuntamenti nel pomeriggio: alle 16 degustazione dei dolci tipici della festa del Purìm, alle 16.30 e alle 17.30 visite guidate in Sinagoga. E sempre nel Tempio, alle 18, spettacolo teatrale della compagnia Onyvà Teatro.
La giornata è occasione per raccogliere fondi da destinare alla ricostruzione della biblioteca 'Elvira Castelfranchi' della scuola di Finale Emilia, distrutta dal terremoto.
Netanyahu: "L'Iran non dovrà mai dotarsi di armi atomiche"
GERUSALEMME - Sottoposto a pressioni internazionali affinche' Israele si astenga, almeno in questa fase, da alcuna mossa offensiva verso i progetti nucleari di Teheran, il premier Benyamin Netanyahu ha comunque ribadito che "l'Iran non dovra' mai dotarsi di armi atomiche".
"Dobbiamo dire la verita'- ha aggiunto, aprendo la seduta settimanale del consiglio dei ministri a Gerusalemme - la comunita' internazionale non ha messo l'Iran di fronte adazione per fermare i suoi progetti nucleari. Finche' questa 'linea rossa' e questa determinazione non saranno evidenti, l'Iran non si fermera' "."La settimana passata - ha agg una chiara 'linea rossa'. L'Iran non vede davanti a se' una sufficiente determiniunto Netanyahu - 120 Paesi si sono riuniti a Teheran per la conferenza dei Paesi non allineati e i loro dirigenti hanno sentito calunnie antisemite da parte del leader dell'Iran nei confronti di Israele. Nessuno si e' alzato, nessuno ha abbandonato l'aula".
"Tutto cio' e' tanto piu' grave - sottolineato il premier israeliano - se visto alla luce del recente rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica che conferma - ha insistito Netanyahu - quanto io vado dicendo da tempo: che le sanzioni internazionali rappresentano effettivamene un fardello per l'Iran, ma non rallentano affatto la sua marcia per la realizzazione dei progetti nucleari".
"Gli iraniani - ha concluso il premier israeliano - sfruttano i contatti diplomatici per guadagnare tempo e portare avanti i propri progetti atomici".
Perché mai i genitori di Rachel Corrie, cittadina americana uccisa per un tragico errore da un bulldozer israeliano mentre si interponeva alla distruzione della casa di un terrorista palestinese, si sono scelti un avvocato che parla come un nazista e dice di volere schiacciare la testa al «mostro Israele»? Come risponderemmo un adolescente che frequenta il liceo ci ponesse una semplice domanda come questa? Forse chiamando in causa la vendetta e i detti come quello secondo cui "il nemico del mio nemico è mio amico?". O forse sospettando che, essendoci scappato un giovane morto, una vita preziosa come quella della odiatrice di Israele Rachel Corrie, per una causa così stupida come quella di solidarizzare con il terrorismo islamico, Israele sia il minimo comune denominatore di odio anti-semita e anti-occidentale su cui certe persone si mettono d'accordo, consolandosi persino del dolore che dà il lutto di perdere una giovane e bella figlia?
Certo bisognerebbe chiederlo a loro, anche se una corte israeliana, una di quelle che più volte ha costretto lo stato e il governo di Gerusalemme a tornare indietro su espropri di terre di palestinesi per costruire la famosa barriera difensiva anti-shahid, ha stabilito che quella morte fu un tragico incidente e che nessuno voleva uccidere Rachel quel maledetto 16 marzo 2003 a Rafah. Le immagini su YouTube che rimangono di quella ragazza ce la mostrano mentre insegna, come se ce ne fosse stato bisogno, ai piccoli bambini palestinesi a bruciare e bandiere israeliane.
La corte di Tel Aviv ha stabilito che «la colpa non poteva essere attribuita ai militari israeliani». Perchè «Rachel Corrie era entrata consapevolmente in una zona militare off-limits e si era posizionata di proposito in un angolo cieco da dove non poteva essere vista dal manovratore del bulldozer. Rimase uccisa non dal bulldozer stesso, ma dallo smottamento di un ammasso di detriti». Fino a poco prima i soldati, con candelotti lacrimogeni e altri mezzi anti-sommossa, avevano ripetutamente cercato di far allontanare dalla zona delle operazioni lei e altri attivisti anti-israeliani, «ma la Corrie era sfuggita ai soldati nascondendosi dietro al cumulo di detriti».
Invece l'avvocato della sua famiglia, il palestinese Hussein Abu Hussein, aveva dichiarato alla stampa che «...questo è un giorno nero per gli attivisti dei diritti umani e per le persone che credono nei valori della dignità. Siamo convinti che questa è una decisione sbagliata per tutti noi, innanzitutto per i civili e gli attivisti per la pace».
Fin qui niente di strano. Cosa aspettarsi da una parte civile se non tentare di fare condannare l'imputato, cioè l'esercito israeliano? Però lo stesso legale non aveva usato un tono così anodino e professionale solo un paio di mesi fa quando venne intervistato dall'attore arabo-israeliano Mohammad Bakri nel suo programma settimanale sulla Tv palestinese. «La Germania nazista - esordì l'avvocato della famiglia Corrie - fu per un breve periodo uno stato basato sul diritto e trovò copertura nella legge. Lo stato di Israele invece venne fondato sin dall'inizio sulla rapina e sul furto della patria di una nazione. In realtà, la definizione legale vera e corretta di quello che è successo ai palestinesi è furto di patria». E ancora: «Soffriamo una grande ingiustizia dal mostro gigante. Questo mostro ci attacca quotidianamente e morde la nostra carne nel Negev, in Galilea, nella regione del Triangolo, a Gerusalemme e nei territori occupati di Cisgiordania e Gaza. Ogni giorno morde il nostro corpo». A quel punto l'attore Mohammad Bakri, lo ha ulteriormente incoraggiato a spararla grossa proferendo queste parole: «Voglio calpestare la testa di questo mostro». E l'avvocato Hussein Abu Hussein non si è fatto pregare: «Noi tutti vogliamo calpestare la sua testa, ma parlare non basta. Ognuno ha il proprio ruolo». Già. Il suo ruolo, però, dovrebbe essere quello di fare gli interessi della famiglia di Rachel Corrie. Cui andrebbe chiesto se chiede giustizia o in alternativa le andrebbe bene anche la semplice distruzione dello stato degli ebrei.
Berlino indossa la Kippah dopo aggressione a rabino
Per le strade di Berlino con la kippah
Un rabbino di 57 anni picchiato perche' ebreo da una banda di balordi, davanti agli occhi di sua figlia. Berlino non ci sta, e indossa la Kippah (il copricapo ebraico) per reagire all'aggressione subita martedi' scorso, nel quartiere di Schoeneberg, da Daniel Alter, 57 anni, primo rabbino ordinato in Germania dopo l'Olocausto.
Il simbolo del rispetto e dell'umilta' di fronte a Dio viene adottato da politici e personaggi noti, in un'iniziativa lanciata dal tabloid cittadino 'BZ'. Anche il sindaco Klaus Wowereit si e' fatto fotografare con il copricapo degli ebrei osservanti: ''Io invito i berlinesi a partecipare alla prima 'Lunga notte delle religioni' stasera a Berlino - ha detto dalle pagine del tabloid -. Sarebbe un segnale per il rabbino, cosi' come io oggi porto la Kippah''. Dalle 18 i templi della capitale saranno aperti al pubblico fino alle 23, per favorire il dialogo fra le religioni. E sono circa 50 quelle professate nella capitale (75 le organizzazioni coinvolte nell'iniziative). Chi ha aderito alla manifestazione di solidarieta' di BZ appare oggi sulle prime pagine del giornale con la Kippah ed esprime indignazione per questo episodio di violenza antisemita: ci sono attori, deputati, artisti e cittadini comuni. L'aggressione risale a martedi' scorso, quando il religioso, che si trovava insieme alla figlia di 7 anni, e' stato accerchiato per strada da 4 giovani, probabilmente di origine araba. ''Sei ebreo?'', gli hanno chiesto. Quindi lo hanno circondato e hanno iniziato a malmenarlo e insultarlo, minacciando di morte la bambina, appena prelevata dal padre da una lezione di pianoforte. ''E' spaventosa la sfrontatezza con cui mi hanno insultato e colpito davanti agli occhi di mia figlia'', ha raccontato il rabbino il giorno dopo. La moglie ha dichiarato di avere paura adesso: ''Sanno dove abitiamo''. La violenza cieca di quattro energumeni, sui quali indaga la polizia, ha scioccato l'opinione pubblica tedesca. E oggi viene stigmatizzata - dalle pagine del Tagesspiegel - dal presidente del Consiglio Centrale degli ebrei della Germania, Dieter Graumann. ''Noi ebrei non ci nascondiamo, non abbiamo paura - ammonisce -. Non ci lasciamo intimidire. Chi aspetta questo, aspettera' per l'eternita'''. ''Io non permettero' che l'ebraismo possa essere vissuto solo nel retrobottega - ha proseguito il leader della comunita' -. Al contrario, costruiremo un futuro positivo e pieno di passione per la comunita' ebraica in questo paese''. Graumann critica anche i toni del recente dibattito sulla circoncisione, talvolta ''poco rispettosi''. In Germania ha sollevato molte polemiche (e una durissima condanna dalla comunita' ebraica) la sentenza di un giudice che ha condannato un medico per aver circonciso un bambino musulmano (andato poi incontro a problemi). La circoncisione e' stata equiparata a un ''reato'', in quanto violerebbe l'integrita' del minore. E adesso il Bundestag sta correndo ai ripari.
Il lager di Buchenwald tra i siti Unesco? In Germania è polemica
di Antonio Rispoli
BUCHENWALD - Si sta sviluppando un grosso dibattito in Germania sulla richiesta delle autorità della Turingia (la regione in cui si trova) all'Unesco di inserire tra i siti tutelati dall'organizzazione legata all'Onu l'ex campo di concentramento di Buchenwald.
Appare evidente che la richiesta delle autorità è legata al valore storico del sito (per quanto non si tratti certamente di una storia edificante, quella dei campi di concentramento creati dal nazismo), tuttavia sono molti i giornali che si sono scagliati contro le autorità per la decisione, reputata sbagliata. Infatti, si reputa che il lager - oggi trasformato in un museo visitabile - non abbia quelle caratteristiche richieste dall'Unesco per inserire il posto nei siti sottoposti a tutela.
Purtroppo, nonostante siano passati quasi 70 anni, la Germania ancora si muove sul sottile crinale creato da una parte dalla voglia di cancellare questa parentesi buia della propria storia; e dall'altra i sensi di colpa per la tragedia accaduta.
Budapest blocca i fondi per il risarcimento alle vittime della Shoah
Il governo di Orban non si fida dell'agenzia internazionale no-profit che gestisce i soldi pubblici. Scoppia la polemica.
di Stefano Giantin
Ebrei a Budapest
BUDAPEST - Una nuova tempesta internazionale, con nubi gonfie di polemiche e velate accuse di antisemitismo, si è addensata sopra i cieli di Budapest. Causa della perturbazione, una mossa del governo di Viktor Orban. Mossa che potrebbe portarlo in rotta di collisione con le organizzazioni ebraiche.
Tutto nasce da un comunicato, pubblicato lunedì sul sito del governo ungherese e firmato dal ministero della Pubblica Amministrazione e della Giustizia. L'annuncio: «Lo Stato reclama i fondi per i risarcimenti illegittimamente usati dalla Claims Conference». Spiegazione. Si tratta di 21 milioni di dollari che l'Ungheria ha stanziato nel 2007 a favore degli ebrei ungheresi sopravvissuti alla Shoah, da ripartire in patria attraverso un fondo nazionale (Mazsok) e via Claims Conference tra gli scampati residenti all'estero. Claims Conference (Cjmcag) che è un'influente e storica organizzazione no-profit. Attraverso la «restituzione delle proprietà ebraiche confiscate» durante l'Olocausto e l'erogazione di «denaro alle vittime ebree delle persecuzioni», cerca di garantire «giustizia» ai superstiti allo sterminio, spiega il suo sito web. Somme provenienti anche dall'Ungheria. Che ora Budapest rivuole, almeno in parte. Perché? La Cjmcag non avrebbe «finora fornito un regolare rapporto sull'uso dei fondi per gli indennizzi che lo Stato ungherese ha destinato ai superstiti all'Olocausto», spiega la nota. E ancora: «In base alle relazioni trasmesse finora» dall'istituzione Usa, «è impossibile identificare le persone» che ne sono state le beneficiarie, «le ragioni della loro ammissibilità» e «l'autenticità dei dati».
L'unica cosa certa, accusa Budapest, è che la «distribuzione è avvenuta su basi lontane dai principi di uguaglianza», una «discriminazione» che va a «detrimento dei sopravvissuti che vivono in Ungheria». Ma ora arriverà il "redde rationem". Il governo magiaro ha assicurato che inizierà le procedure per riavere indietro «con gli interessi» i fondi non debitamente giustificati, 8,4 milioni di dollari. E che ha congelato l'invio alla Cjmcag della tranche 2011. Accuse respinte al mittente dalla Claims Conference. Si tratta solo di «tattiche disoneste» e «spregevoli» che priveranno le vittime ungheresi della Shoah dell'«assistenza di cui hanno disperatamente bisogno», ha spiegato all'agenzia di stampa JTA il numero due dell'organizzazione, Gregory Schneider. È la prima volta, ha rincarato, «che uno Stato rinuncia a pagare». Infine, l'assicurazione di aver inviato a Budapest «un rapporto di 400 pagine», indicante i nomi dei beneficiari e una dettagliata nota spese. Parole che hanno provocato ieri la collera, che non appare ingiustificata, di Budapest. Il governo magiaro «respinge le accuse» della Claims Conference e «chiede all'organizzazione di evitare dichiarazioni fuorvianti» che hanno generato «paura fra i sopravvissuti all'Olocausto». L'unico «ostacolo», ha ribadito Budapest, è la «mancanza di un rapporto sui fondi» e la «carenza di trasparenza». Erogare altro denaro alla Cjmcag, conclude il governo, «sarebbe illegale». Ed è nell'interesse dell'Ungheria, malgrado la disputa, che «i sopravvissuti ricevano nel più breve tempo possibile i fondi che spettano loro». Parole che fanno capire che la vicenda non è chiusa. Che quella sugli anziani emigranti magiari scampati alla Shoah è una battaglia che è solo all'inizio.
Netanyahu: "L'Iran non dovrà mai dotarsi di armi atomiche"
GERUSALEMME - Sottoposto a pressioni internazionali affinche' Israele si astenga, almeno in questa fase, da alcuna mossa offensiva verso i progetti nucleari di Teheran, il premier Benyamin Netanyahu ha comunque ribadito che "l'Iran non dovra' mai dotarsi di armi atomiche".
"Dobbiamo dire la verita'- ha aggiunto, aprendo la seduta settimanale del consiglio dei ministri a Gerusalemme - la comunita' internazionale non ha messo l'Iran di fronte adazione per fermare i suoi progetti nucleari. Finche' questa 'linea rossa' e questa determinazione non saranno evidenti, l'Iran non si fermera' "."La settimana passata - ha agg una chiara 'linea rossa'. L'Iran non vede davanti a se' una sufficiente determiniunto Netanyahu - 120 Paesi si sono riuniti a Teheran per la conferenza dei Paesi non allineati e i loro dirigenti hanno sentito calunnie antisemite da parte del leader dell'Iran nei confronti di Israele. Nessuno si e' alzato, nessuno ha abbandonato l'aula".
"Tutto cio' e' tanto piu' grave - sottolineato il premier israeliano - se visto alla luce del recente rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica che conferma - ha insistito Netanyahu - quanto io vado dicendo da tempo: che le sanzioni internazionali rappresentano effettivamene un fardello per l'Iran, ma non rallentano affatto la sua marcia per la realizzazione dei progetti nucleari".
"Gli iraniani - ha concluso il premier israeliano - sfruttano i contatti diplomatici per guadagnare tempo e portare avanti i propri progetti atomici".
Scoperto in Israele un frantoio artigianale di 1300 anni
La scoperta durante gli scavi in un quartiere di Tel Aviv. Un reperto di eccezionale valore perchè la costruzione non è di roccia viva ma in blocchi murari
Il frantoio recentemente scoperto
L'Israel Antiquities Authority (IAA) ha portato alla luce un frantoio artigianale di epoca bizantino-musulmana, ovvero esistente tra il VI e l'VIII secolo dC.
Il sito è stato scoperto durante gli scavi nel quartiere di Tel Aviv di Hod Hasharon.
Gli escavatori scoperto un piano per pressare le olive, trincee, cisterne dove scolava e veniva conservato l'olio d'oliva, oltre a un raffinato sistema di tubazioni.
Sono inoltre stati rinvenuti pesi di pietra utilizzati utilizzati probabilmente per la pressatura dei sacchi di olive
Amit Re'em, archeologo dell'IAA, considera la scoperta eccezionale perchè questo frantoio è stato costruito con vecchie pietre sepolte e murate per terra e non, come abitualmente avveniva, scavate nella roccia viva. ha detto che la fabbrica di olio d'oliva è stato ricavato da vecchie pietre da costruzione che sono stati sepolti nella terra.
Durar Masarwa, il capo della squadra di scavo ha detto: "abbiamo scoperto la superficie su cui è stato estratto l'olio d'oliva, nonché una rete di tubi, canali e fori di drenaggio l'olio liquido"
Secondo la dimensione suggerisce che è stato concepito per la produzione commerciale, e non uso personale.
Il quartiere di Hod Hasharon sta prendendo in considerazione la possibilità di istituire un parco archeologico al fine di preservare questa scoperta rara per i posteri.