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Notizie 1-15 settembre 2016


Lo Schindler cinese e la storia sulla fuga degli ebrei

La mostra al Memoriale. La seconda parte della mostra svela la vita a Shangai dei rifugiati ebrei. Lì avviarono prosperose attività commerciali.

di Gian Marco Walch

MILANO - Moltissimi, grazie al famoso film del 1993 di Steven Spielberg, conoscono la drammatica storia di Oskar Schindler, l'imprenditore tedesco che salvò dalla barbarie nazista più di mille ebrei, con il pretesto d'impiegarli nella sua fabbrica di "pentolame bellico" a Cracovia, in Polonia. Quasi nessuno, almeno in Italia, crediamo conosca invece Ho Feng Shan, negli anni della Shoah console generale della Cina a Vienna. Anche lui "Giusto tra le Nazioni", titolo che Israele conferisce a coloro che, spesso a rischio delle loro stesse vite, mostrano amicizia e solidarietà con il popolo ebraico. Servendosi della sua carica diplomatica, Ho Feng Shan, schieratosi con decisione contro l'antisemitismo, firmò numerosi visti di emigrazione agli ebrei fortunosamente approdati in Austria, offrendo loro una via di fuga verso l'Estremo Oriente. A raccontare quella pagina di storia è ora la mostra "Gli Ebrei a Shanghai", che si terrà da domenica al 15 dicembre al Memoriale della Shoah, allo Spazio Mostre Bernardo Caprotti. Testimonianze, documenti, fotografie, per la prima volta tradotti in italiano: un'esposizione organizzata dagli Istituti Confucio di Cattolica e Statale, in collaborazione con lo Shanghai Jewish Refugees Museum, la Fondazione Memoriale della Shoah e l'Istituto Italiano di Cultura della metropoli cinese.
  La mostra ricostruisce l'esodo di circa 18 mila ebrei europei alla metà degli anni Trenta, in seguito all'annessione dell'Austria alla Germania. Dal 1933 al 1940 gran parte dei fuggiaschi si spostarono in Italia, per imbarcarsi per la Cina da Genova e da Trieste. Il massiccio afflusso terminò nel 1941, dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Francia e alla Gran Bretagna, che chiuse le rotte verso l'Estremo Oriente, nonché al bombardamento giapponese di Pearl Harbour. La seconda parte della mostra presenta poi la vita a Shanghai dei rifugiati ebrei, che nel loro rifugio avviarono prospere attività commerciali sino a dar vita a una "Piccola Vienna". Per poco, sino all'invasione giapponese: gli ebrei furono rinchiusi in un nuovo ghetto, a Tilanqiao. "Gli Ebrei a Shanghai" s'inserisce nell'ambito dell'edizione 2016 della Giornata Europea della Cultura Ebraica in ltalia, il 18 settembre, che avrà per tema "Le lingue ebraiche". Domenica il Memoriale ha previsto un'apertura straordinaria e due visite guidate, alle 10.30 e alle 12. Memoriale della Shoah, Milano, largo Edmond J. Safra 1 (già via F. Aporti 3).

(Il Giorno - MIlano, 16 settembre 2016)

*


Memoriale della Shoah, la mostra sugli ebrei europei fuggiti in Cina

La mostra è stata presentata oggi al Memoriale della Shoah di Milano alla presenza anche delle autorità governative della Rpc e della Comunità Ebraica milanese

MILANO - Francesco Wu, presidente di Unione imprenditori Italia Cina, interviene sulla mostra dedicata alla fuga degli ebrei dall'Europa verso la Cina, organizzata dagli istituti Confucio dell'Università Cattolica e dalla Statale di Milano: "Quella della mostra su l'accoglimento in Cina di migliaia di ebrei europei in fuga dalla Shoah, tra la metà degli anni '30 e il 1940, è una grande iniziativa che non solo rende onore alla memoria, ma ci parla della solidarietà concreta, così attuale anche oggi". La mostra è stata presentata oggi al Memoriale della Shoah di Milano alla presenza anche delle autorità governative della Rpc e della Comunità Ebraica milanese.
   "Centrale in quella grande azione di salvezza e solidarietà fu Ho Feng Shan, allora console cinese a Vienna, un vero e proprio "Schindler cinese", che facendo passare dai porti italiani migliaia di Ebrei europei grazie al suo ruolo diplomatico, ne determinò la salvezza - continua Wu -. Ho Feng Shan è un "Giusto tra le Nazioni" e concordo con Gabriele Nissim nel prevedere la piantumazione di un albero con targa a suo memoria, ma ancor di più penso che la dedica a lui di una via della nostra città sarebbe un fatto valido e concreto con un doppio significato: ricordare un grande atto di contrasto alle barbarie naziste e, allo stesso tempo, riconoscere una realtà di integrazione, solidarietà, amicizia e sostegno che sono le linee guida dell'essere e dell'agire della comunità cino-milanese.
   Ed anche per ricordare il terribile capitolo della storia che fu il genocidio perpetrato dalle truppe d'occupazione giapponese in Cina, alleate dei nazisti che, non a caso, mandarono propri ufficiali per ottenere la "consegna" di quegli Ebrei che in Cina avevo trovato la salvezza". E conclude: "Nei prossimi giorni ci attiveremo, coinvolgendo tutta la cittadinanza milanese per cominciare l'iter necessario all'intitolazione della via a Ho Feng Shan, possibilmente nelle zone di storico insediamento della comunità cino-milanese".

(Il Giorno, 15 settembre 2016)


Radio Bari, quando il fascismo strizzava l'occhio agli arabi

Uno studio ricostruisce la storia dell'emittente (1934-1943) L'antisemitismo tra i mezzi per blandire i possibili alleati .

di Serena Di Nepi

Nella lunga storia delle loro interazioni, le due sponde del Mediterraneo hanno cercato, con stili, ragioni e strategie differenti, di raccontarsi oltre le fratture religiose e politiche che le dividevano. Il Mediterraneo, con le sue genti, i suoi traffici e le sue culture è oggi al centro di una stagione di studi straordinariamente proficua, che è tornata a esaminare le vie e gli strumenti della comunicazione al di là dei secoli di conflitti militari tra le potenze cristiane, nelle loro variegate alleanze, i regni musulmani del Nord Africa e l'Impero Ottomano.
Il disfacimento dell'Impero Ottomano e il colonialismo cambiarono, e molto, quella storia ma l'urgenza di capire e influenzare il mondo arabo non venne affatto meno. La rivoluzione geopolitica sancita dalla fine della Prima guerra mondiale e dal progressivo ridisegnarsi delle ambizioni e degli interessi del ventennio successivo resero, ancora una volta, il mondo arabo un protagonista di primissimo piano della politica internazionale europea. Compresa, ovviamente, quella dell'Italia fascista, che dell'espansione in Africa aveva fatto una missione prioritaria e che, per questo, si era trovata rapidamente a perseguire obiettivi in conflitto con quelli di altri Stati, a partire, ovviamente, da Londra e dal suo impero.
  La storia di come il regime fascista provò a coinvolgere gli arabi nelle proprie battaglie, tentando di spingerli verso Roma, e delle iniziative di politica culturale «orientalista» che segnarono quegli anni è ricostruita puntualmente per la prima volta da Arturo Marzano, in un bel libro appena uscito per Carocci (Onde fasciste. La propaganda araba di Radio Bari (1934-1943), pp. 446, € 39). Si tratta di una vicenda trascurata, che, grazie all'indagine rigorosa negli archivi di Italia, Francia, Marocco, Inghilterra e Usa, torna ora alla luce, nonostante, purtroppo, non siano rimaste registrazioni di quel decennio di trasmissioni.
  L'avventura di Radio Bari - «la prima radio europea a utilizzare una lingua non europea; la prima a fare trasmissioni in arabo rivolte alla sponda sud del Mediterraneo» - andò in scena tra il 1934 e il 1943 e rispose, seppure su un piano diverso, a quelle stesse istanze di apertura verso est che portarono all'istituzione della Fiera del Levante. La straordinaria rilevanza che Mussolini attribuì allo scenario mediterraneo, dove si giocava la possibilità di fare dell'Italia una pedina importante della politica internazionale, del resto, richiedeva che si instaurasse una qualche forma di comunicazione con gli abitanti dell'altra aerea, qualunque fosse la loro condizione.
  Da qui l'idea, all'epoca innovativa, di lanciare nell'etere una qualche forma di propaganda che quelle genti potessero capire. L'esigenza di parlare agli arabi, e l'intelligenza con cui si scelse di farlo nella loro lingua, finiva per costruire un pubblico di ascoltatori che includeva tanto chi si ritrovava a fare i conti con l'Italia come potenza coloniale tanto chi, invece, viveva quell'esperienza confrontandosi con i governi nemici del fascismo e magari guardava a Roma come a un possibile sostegno nella propria battaglia per la libertà.
  Dunque, le idiosincrasie della politica estera fascista, ben note agli studiosi, traspaiono con chiarezza anche dall'analisi della programmazione di questa emittente: da una parte, la produzione culturale, fatta di letteratura, teatro e discussioni permise l'incontro e l'ibridazione tra intellettuali arabi e italiani con una qualche formazione «arabistica»; dall'altra, i temi cari all'ideologia fascista, a partire, ovviamente da una spietata campagna antisemita, che puntava, con grandissima forza già prima del tornante del 1938, a identificare uno spazio comune con chi lottava contro la presenza britannica, con un occhio e un'attenzione speciali alla Palestina mandataria.
  Marzano fa grande attenzione a non cavalcare anacronistiche sovrapposizioni, che, anzi spazza via con forza in diversi passaggi e questo è un grande merito del volume. Per il lettore, d'altro canto, è senza dubbio interessante sottolineare quali siano i temi su cui l'equivoco facile tra presente e passato deve essere tenuto a mente. In primo luogo, l'antisemitismo, che, non a caso, divenne progressivamente «un collante per qualunque tipo di discorso» fino al punto che, dopo il 1941, il vocabolario antiebraico iniziò a accompagnare retoricamente ogni analisi politica di Radio Bari. L'uso di una «terminologia accesa» era funzionale a un attacco alla presenza ebraica in Palestina, che rientrava perfettamente nella «strategia anti britannica» che Roma perseguiva negli Anni Trenta. Il disegno di una figura femminile subalterna all'interno di una gerarchia fortemente patriarcale rappresentò un'ulteriore «zona di contatto» tra le due culture, andando a delineare l'immagine di sposa e madre che entrambe, in qualche modo, sostenevano, ciascuna a sua modo, in alternativa alle democrazie deboli e femminee. Il posto degli ebrei e il ruolo delle donne, temi su cui, ancora oggi si giocano partite importanti nelle nostre società.

(La Stampa, 15 settembre 2016)


Hapoel, nel deserto comanda la signora Barkat

La squadra di Beer-Sheva fu un regalo di suo marito, magnate delle tecnologie: con lei al comando, è il top di Israele. Suo cognato è il sindaco di Gerusalemme.

di Matteo Brega

 
Alona Barkat
Alona
I fans di Hapoel Beer Sheva
MILANO - Lunedì 23 maggio 2016 i bambini di Beer-Sheva sono andati a scuola vestiti di rosso, alcuni con la maglia ufficiale dell'Hapoel, accolti dalle maestre munite di sciarpe sotto le quali i piccoli hanno varcato la soglia dell'istituto. Un giorno di festa insomma. Due giorni prima, infatti, nella più grande città del deserto del Negev (200 mila abitanti circa) l'Hapoel aveva vinto il campionato israeliano per la terza volta nella sua storia, giusto 40 anni dopo l'ultimo trionfo. Le scene di pianto del sabato precedente si ritrovano sui canali dei social ancora adesso. È utile guardarli per capire cosa significa l'Hapoel per il popolo gamalim, i cammelli, i tifosi degli avversari dell'Inter. Si tratta di una delle aree meno abbienti d'Israele, dove è profondo il sentimento nazionalpopolare. Nei preliminari di Champions hanno fatto fuori l'Olympiacos e quasi il Celtic. Ma l'Europa League rimane un'apoteosi per una squadra che nel 2007 stagnava nella seconda serie israeliana. L'arrivo di Alona Barkat, oggi 46 anni, rappresenta la svolta. Il marito Eli le regala l'Hapoel. Sì, un cadeau di un bilionario israeliano, uomo d'affari nel campo dell'high-tech della biotecnologia medica e fratello del sindaco di Gerusalemme Nir. Economia, finanza e politica. Il tutto aiuta la zona di Beer-Sheva a innalzare il suo status di regione depressa di Israele nei confronti delle evolute Gerusalemme (dove esiste anche un «Inter Campus»), Tel Aviv e Haifa. Nel giro di un anno l'Hapoel risale nella «Ligat Al», si stabilizza, si qualifica due volte di fila per l'Europa League e perde una coppa nazionale in finale contro il Maccabi Tel Aviv.

 Il cambio di passo
Alona festeggia insieme ai fans
la vittoria dello scudetto
Quando nel 2015 affida la squadra all'emergente Barale Bakhar (37 anni il prossimo 21 settembre, dice di ammirare il calcio di Paulo Sousa, da calciatore è stato quasi un disertore dell'esercito israeliano perché andò all'estero senza terminare l'iter e venne richiamato per questo), c'è la svolta finale. Nel suo staff entra anche un mental coach, Eitan Azaria, che a dire dello stesso allenatore «mi ha aiutato a mantenere i nervi saldi». Lo stadio di casa è un progetto fresco (Turner Stadium), contiene fino a 16 mila persone ed è una cattedrale nel deserto perché tutto intorno c'è il deserto. Beer-Sheva è effettivamente nel mezzo del Negev. Nonostante questo è una città universitaria, fresca, in costante crescita e unita a Tel Aviv da treni frequenti. L'opera della famiglia Barkat ha un valore sociale visto che coinvolge oltre 600 giovani, tra cui anche le realtà considerate più emarginate come i beduini e gli etiopi. In campo stasera però si gioca. Bakhar potrebbe scegliere il 5-4-1 da trasferta che in casa diventa 4-3-3. Mancherà Barda, originario di Beer-Sheva, il simbolo: uno che «guarda sempre il lato meridionale della vita». Attesi al Meazza un migliaio di tifosi «rossi».

(La Gazzetta dello Sport, 15 settembre 2016)


"Il boss è donna all'Hapoel e va in curva coi fan"


EDIPI alla Giornata Europea della Cultura Ebraica

In occasione della "Giornata Europea della Cultura Ebraica" di domenica 18 settembre, presente in 36 nazioni, Evangelici d'Italia per Israele si mobiliterà nelle più importanti sedi di svolgimento per la manifestazione, consegnando agli organizzatori il libretto di Derek White "L'Ebraicità di Gesù".
Considerando che quest'anno il tema è "Lingue e dialetti ebraici" abbiamo pensato di allegare anche l'abstract del libro "Ebraismi nell'italiano" della dott.essa Nicla Pompea Costantino.
La dott.essa Costantino, responsabile EDIPI per la Puglia, riveste il ruolo di capodipartimento delle attività editoriali EDIPI, recentemente costituito in vista della pubblicazione dei libri sulla vita di Joseph Rabinowitz di K.Kajaer Hansen, di R. Genovese sulle "Feste Ebraiche" e appunto del suo sugli "Ebraismi in Italiano".
EDIPI sarà presente in maniera importante a Milano, scelta quest'anno come città capofila per l'Italia e a Venezia con un gruppo accompagnato dal presidente Ivan Basana in occasione anche del 500 annivesario della costituzione del primo ghetto al mondo.
Altre importanti iniziative si terranno a Torino, Verona, Padova, Udine, Roma, Firenze e Napoli.
Per il programma completo visitare il sito Giornata Europea della Cultura Ebraica.
Astract.

(EDIPI, 15 settembre 2016)


A Moncalvo domenica visite al cimitero ebraico

di Giuseppe Prosio

 
Il cimitero ebraico di Moncalvo

MONCALVO - La cittadina aleramica ed Asti sono i due Comuni in Provincia, tra i 74 italiani, che domenica 18, corrispondente all'anno ebraico 5577, celebreranno la «Giornata europea della Cultura ebraica». La ricorrenza è titolata «Lingue e dialetti ebraici».
   Con visite guidate, incontri, arte, concerti e spettacolo «L'Unione delle comunità ebraiche italiane» invita a scoprire il patrimonio storico e culturale ebraico. In Moncalvo sarà visitabile (10-12; 15-19) il cimitero israelitico di strada per Grazzano che è considerato, a parte lo stupendo giardino all'italiana in bosso, uno dei più raffinati esempi di architetettura cimiteriale «assimilata», alternativa alle cappelle funerarie non previste dalle usanze ebraiche.
   Nel 2011 il cimitero, di proprietà della Comunità israelita di Casale Monferrato, era stato restaurato con interventi su giardino, area tombale moderna e antica. Si erano pure iniziati lavori sulla vecchia casa de custode, trasformata in Museo, non ancora ultimato in attesa di nuovi fondi privati. Il progetto complessivo è firmato dall'architetto Andrea Milanese, di Alessandria.
   Gli ebrei moncalvesi raggiunsero la massima presenza nel 1836 ospitando nel ghetto di via IV marzo duecentoventitre persone. Cacciati dalla Francia, si insediarono dal 1394, contestualmente alle comunità ebraiche di Asti e Fossano. Da allora i tre centri mantennero viva la liturgia Appam, dal nome delle tre città. Oggi la comunità ebraica moncalvese è costituita dalla famiglia Norzi.

(La Stampa, 15 settembre 2016)


Napoli - Notte «kosher». Musica e gastronomia

A Palazzo Venezia in concerto il duo Sepharad: violino e violoncello e in via Cappella Vecchia letteratura, proiezioni e performance di danza.

di Benedetta Palmieri

Definito da regole assai complesse, non è frequente imbattersi in vero cibo kosher. Sarà quindi interessante poterne assaggiare qualche piatto questo sabato sera. L'appuntamento, organizzato da Palazzo Venezia (appuntamento alle 20.30, in via Benedetto Croce 19) e dedicato alla cultura ebraica, si articolerà infatti in due parti - una prima musicale, e una seconda culinaria.
   Ma partiamo da questa, che vedrà a fine serata la possibilità di assaggiare, tra le altre, ricette a base di mandorle (un riso e dei dolci), e alcuni panetti in varie forme e ispirati alla simbologia ebraica. Prima di questo però, come si diceva, ci sarà un momento musicale. A esibirsi in concerto sarà il duo Sepharad, composto dal violino di Angela Yael Amato e dal violoncello di Alessandro Yosef Parfitt, che proporrà un programma con incursioni nelle antiche tradizioni musicali. Sono previsti il Canone di Pachelbel - noto per essere un riuscitissimo esempio di crossover musicale - e brani di Johann Sebastian Bach, così come di tradizione sefardita: La rosa Enflorance, Bendigamos, El rey, Aido querida. Ancora, alcune melodie tipiche delle festività ebraiche, e di tradizione ashkenazita; danze folkloristiche "Dalla Russia ai Balcani".
   Ma la serata può considerarsi quasi una vigilia, poiché anticipa di poche ore le celebrazioni per la Giornata europea della cultura ebraica - prevista dunque per domenica, e anche a Napoli motore di una serie di iniziative che andranno avanti per l'intera settimana prossima.
   Per saperne di più, e conoscere date e dettagli degli incontri - che quest'anno si concentrano su Lingue e linguaggi del mondo ebraico. Tra letteratura, film, musica, religione, umorismo, danza, alimentazione - si può consultare il sito della Comunità ebraica napoletana (napoliebraica.it). Nel frattempo, chi si fosse incuriosito o appassionato alla cucinakosher, o avesse particolare predisposizione verso la musica, già domenica potrà saperne di più della prima e ascoltare ancora della seconda. Sono previsti infatti l'incontro Il linguaggio della cucina. Tradizione e alimentazione ebraica (alle 13, presso la sala Margit, nella sede della Comunità in via Cappella Vecchia 31), con la presenza di Ciro Moses D'Avìno: mentre la sera alle 20.30 (sala Margit e sala Recanati) ci sarà l'intervento musicale del Gruppo napoletano Passi randagi, sull linguaggio della danza etnica. Danze tradizionali ebraiche.

(Il Mattino, 15 settembre 2016)



Parashà della settimana: Ki Tetzei (Quando uscirai)

Deuteronomio 21.10--25.19

 - La parashà presenta un insieme di leggi relative alla vita sociale e familiare riguardanti la primogenitura, i risarcimenti per le violenze subite, gli arricchimenti illeciti, le conversioni, il divorzio, il levirato, i prestiti di denaro e infine il ricordo di Amalek.

La prigioniera di guerra
"Quando muoverai guerra contro il tuo nemico… e avrai catturato dei prigionieri, se vedrai tra di loro una donna di bell'aspetto e te ne innamorerai…" (Deuteronomio 21.10). Rashì spiega che la Torah permette questo matrimonio a causa della cattiva inclinazione (yezer ha rà) presente nell'uomo.
Questo passo della Scrittura vuole insegnarci un principio fondamentale. Delle volte è necessario vivere il proprio errore fino a toccare il fondo per rendersi conto della piaga che si nasconde dietro la seduzione.
Quando un soldato ebreo vede tra i prigionieri una donna di "bell'aspetto" egli viene colpito dalla bellezza di questa donna e pensa di poter vivere felice con lei. I sentimenti sono più forti della ragione. Ma con il tempo egli si accorge del suo sbaglio e la cosa più grave è che il frutto del loro amore si rivolta contro di lui.
E' la situazione attuale. Noi siamo in guerra contro i nostri nemici, ma qualcosa di loro ci attira e ci seduce. Siamo convinti di poter fare una pace con loro. Questo brano della Torah traduce alla perfezione la tragedia che stiamo vivendo. Il matrimonio di Oslo si è trasformato nel cimitero dell'Intifada palestinese, dove l'infatuazione politica dei "figli" fa pagare caro ai loro padri questo amore impossibile.

Il figlio ribelle
"Quando un individuo avrà un figlio traviato e ribelle… il padre e la madre lo porteranno al tribunale del luogo e diranno: Questo nostro figlio è traviato e ribelle… tutti gli uomini della città lo lapideranno ed egli morrà" (Deuteronomio 21.18).
Bisogna subito notare che esiste una disproporzione tra la colpa e la pena. In effetti la tradizione riferisce che nessun tribunale ebraico ha condannato un giovane alla pena prevista dalla Torah perché le condizioni richieste per emettere questa condanna sono tante ed è impossibile riunirle insieme.
Per primo i genitori devono dichiarare ai giudici che sono stati esemplari nell'educazione del loro figlio. Ma quale genitore in "coscienza" può affermare una cosa simile? Da questa legge si ricava allora un insegnamento importante che investe la responsabilità dei genitori nell'educazione del figlio. Gli errori vanno ricercati non tanto nella natura del giovine quanto nei suoi rapporti sbagliati con i genitori, che avendo offerto al loro figlio una strada senza uscita, monotona e sterile, sono parte in causa della sua ribellione.

Il nido d'uccello
"Qualora per caso ti capitasse davanti per strada il nido di un uccello su di un albero o in terra che contenga pulcini oppure uova... non prenderai la madre sopra i piccoli, ma dovrai mandarla via" (Deuteronomio 22.6).
L'incontro del nido deve essere casuale e il divieto di prendere la madre insieme ai piccoli è per insegnarci che la misericordia di D-o arriva fino al nido d'uccello.
Sorge una domanda: "Se la misericordia è il motivo principale di questo comando, non sarebbe stato più logico vietare di prendere sia i piccoli che le uova senza preoccuparsi di scacciare la madre?"
E' noto che l'uomo si nutre sia dal mondo vegetale che da quello animale, ma egli ha un potere limitato sulla natura. Pertanto questo comando vuole insegnare all'uomo che egli deve rispettare la maternità, funzione comune al genere umano e al mondo animale. Non è dunque la misericordia che è all'origine di questo divieto, ma il sentimento di "maternità" presente nell'animale anche se limitato nel tempo. Recanati fa notare che il senso nascosto del divieto si trova nella spiegazione di Rav Rahoumai.
Perché è scritto: "Manda via la madre e non il padre?" Perché la madre rappresenta la sorgente della vita e bisogna lasciarla andare con "onore".
E perché aggiunge il testo: "I piccoli prendili per te?" Perché i piccoli rappresentano i giorni della Creazione del mondo e solo in questo contesto l'uomo può avvicinarsi a D-o.

Il ricordo di Amalek
"Ricordati di quello che ti fece Amalek, quando eri in viaggio, allorché uscisti dall'Egitto... non dimenticarlo" (Deuteronomio 25.17).
Amalek attaccò Israele nel deserto del Sinai, quando il popolo affaticato era appena uscito dalla schiavitù del Faraone. La Torah non fornisce alcuna spiegazione di questo attacco improvviso e aggiunge "Il Signore si batterà contro Amalek in tutte le generazioni" (Esodo 17.8). Questo sta a significare che la guerra contro Amalek durerà fino alla Redenzione con la venuta del Messiah.
Chi era Amalek? Il padre degli amalekiti, una Nazione destinata ad essere una forma irriducibile del male, che non appartiene ai settanta popoli della terra e pertanto non può essere integrata nel processo della gheullà (Redenzione).
Esiste un legame tra la guerra contro Amalek e il dono della Torah. Questa difatti viene data solo dopo la sconfitta di Amalek che si oppone con odio all'esistenza del popolo ebraico. E' per questa ragione che egli attacca gli ebrei subito dopo l'uscita dall'Egitto, onde impedire a loro il cammino verso la terra d'Israele.
Perché questa satanica lotta? Perché Amalek rifiuta che il "Divino" possa incarnarsi in un popolo nella storia del mondo.
Lo spirito di Amalek purtroppo si ritrova anche all'interno del popolo ebraico, che preferisce stare nel deserto delle Nazioni piuttosto che vivere nella terra d'Israele.
Questa situazione è oggi di una bruciante attualità. Per vincere Amalek è necessario che il popolo ritrovi la sua vera identità nell'unità tra Stato e Torah nella sua Terra. F.C.

*

 - Abbiamo già detto più volte che la legge mosaica presentata nei primi cinque libri della Bibbia è la legislazione civile di una particolarissima nazione in un periodo della storia mai più ripetutosi nella stessa forma in seguito, e pertanto non si presta ad essere universalizzata o attualizzata nel suo insieme. Ma anche se quella particolare legislazione è localizzata in un tempo irripetibile, chi invece continua ad essere sempre lo stesso è il Legislatore. Cercare quindi di comprendere la "ratio legis" delle varie norme del sistema mosaico è tutt'altro che inutile, perché in questo modo ci si può avvicinare alla comprensione della volontà di Dio che sta dietro alle parole rivolte al suo popolo.
  Esaminiamo allora tutti i casi in cui in questa parashà viene ordinata una condanna a morte: 1) per un figlio ribelle; 2) per una donna arrivata non vergine alle nozze; 3) per un uomo e una donna maritata trovati a giacere insieme ; 4) per un uomo che violenta una donna fidanzata; 5) per un uomo che abbia fatto schiavo un altro uomo e l'abbia venduto ad altri.
  Come si vede, le nostre legislazioni occidentali potrebbero trovare ben pochi agganci con questo "primitivo" sistema giuridico. Quello che poi oggi appare non solo sproporzionato, ma addirittura iniquo, è la pena assegnata per questi reati: la morte. Uno dei fattori con cui in Occidente si misura la "civiltà" di una legislazione è proprio la presenza o no della pena di morte. Si suole anche dire che la minaccia di morte non costituisce un deterrente e quindi, oltre ad essere odiosa, è anche inutile.
  La Bibbia invece dice chiaramente a cosa serve questa pena. In tutti e cinque i casi indicati il fine della condanna è presentato con la stessa formula: "così toglierai il male di mezzo a te" (Deuteronomio 21:21, 22:21, 22:22, 22:24, 24:7).
  Due elementi devono essere distintamente sottolineati in questa dizione: "toglierai il male" e "di mezzo a te":
  Noi diciamo che bisogna distinguere tra peccato e peccatore, e facciamo bene, perché non siamo Dio. Qui invece il Signore, che è la più alta autorità, fa sapere al suo popolo che in certi casi il male aderisce così strettamente a chi l'ha compiuto che non è possibile togliere l'uno senza togliere l'altro.
  Che questa valutazione e questo ordine non siano immediatamente generalizzabili si vede dal secondo elemento della formula: "di mezzo a te". Questo "te" individua un soggetto chiaramente definito e non trasferibile a un qualsiasi altro popolo in qualsiasi altro momento della storia. Questo "te" è il popolo che Dio ha liberato dalla schiavitù d'Egitto "con mano potente e braccio disteso", e con il quale ha stretto un patto solenne: "Or dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti e una nazione santa" (Esodo 19:5-6). Soltanto alla luce di questo particolare rapporto tra Dio e il suo popolo si possono esaminare e discutere le singole norme che compaiono qui e in altri passi simili.
  E' istruttivo allora prendere in considerazione le motivazioni che accompagnano i vari ordini. Si ordina, per esempio, di non calpestare il diritto dello straniero, perché "ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto, e che di là ti ha redento l'Eterno, l'Iddio tuo; perciò io ti ordino di fare così" ((Deuteronomio 24:18). Il motivo dunque è tratto dalla storia del passato, che ovviamente non è simile a quella di nessun altro popolo.
  In un altro caso invece la motivazione guarda al futuro. Il Signore chiede di non imbrogliare sul peso: "Non avrai nella tua borsa due pesi, uno grande e uno piccolo. Non avrai in casa due misure, una grande e una piccola" , cosa evidentemente diffusa anche allora, "... ma terrai pesi esatti e giusti, terrai misure esatte e giuste". Segue poi la motivazione: "... affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che l'Eterno, l'Iddio tuo, ti dà" (Deuteronomio 25.15). Qui per terra s'intende la terra d'Israele, che in futuro Dio potrebbe costringere il popolo a lasciare se persevera nell'infedeltà, non la terra su cui abitano tutti i mortali e che ogni uomo deve abbandonare quando muore.
  Altre norme hanno come motivazione la purezza del suolo su cui Dio ha posto Israele: "... perciò il tuo accampamento dovrà essere santo, affinché egli non veda in mezzo a te nulla d'indecente e non si ritiri da te" (Deuteronomio 23:14). E per non rimanere nel vago la parola di Dio completa l'istruzione con regole precise: "Avrai pure un luogo fuori dell'accampamento e là fuori andrai per i tuoi bisogni; fra i tuoi utensili avrai una pala, con la quale, quando vorrai andare fuori per i tuoi bisogni, scaverai la terra e coprirai i tuoi escrementi" (Deuteronomio 23:13). Sono norme igieniche elementari, che ogni nazione potrebbe adottare, ma la differenza sta nella motivazione: qui non si tratta di impedire lo scoppio di un'epidemia tra la popolazione, ma di tener conto che "l'Eterno, il tuo Dio, cammina in mezzo al tuo accampamento" (Deuteronomio 23:14), e il Signore, passando in mezzo a tali brutture potrebbe averne un tale schifo da decidere di "ritirarsi da te". Cosa molto rischiosa, perché non è per fare una passeggiata che Dio "cammina in mezzo al tuo accampamento" , ma "per proteggerti e darti i tuoi nemici nelle mani" (Deuteronomio 23:14). Quindi, se davvero dovesse decidere di "ritirarsi da te", per te sarebbero guai seri.
  C'è infine una strana norma che certamente non si trova in nessuna legislazione moderna, ma che vale la pena di riportare perché è l'unico caso in cui la Torah ordina una mutilazione corporale. Si sa che in altre religioni le mutilazioni abbondano, ma nella Bibbia invece si trova solo questo caso. L'arto da tagliare è la mano e la situazione ipotizzata è questa: "Se degli uomini si mettono a litigare, e la moglie di uno si avvicina per liberare suo marito dalle mani di quello che lo percuote, e stende la mano e afferra i suoi genitali, tu le mozzerai la mano" (Deuteronomio 25:11). Qualcuno dirà che la pena è sproporzionata, altri invocheranno la legittima difesa, ma il testo conclude inesorabilmente: "l'occhio tuo non abbia pietà" (Deuteronomio 25:12). La Bibbia è questa. M.C.

  (Notizie su Israele, 15 settembre 2016)


L'Autorità nazionale palestinese gestirà servizi energia elettrica nei Territori

GERUSALEMME - E' stato firmato un accordo per porre fine alla crisi tra Israele e l'Autorità nazionale palestinese (Anp) sui debiti delle bollette elettriche dei palestinesi. L'intesa, raggiunta alla presenza del ministro delle Finanze israeliano, Moshe Kahlon, e del ministro degli Affari civili palestinesi, Hussein al Sheikh, mette fine a una crisi che dura da dieci anni. L'intesa "garantirà il pagamento del debito verso la società elettrica israeliana e regolerà il sistema energetico palestinese", si legge nella nota del Cogat, l'agenzia all'interno del ministero della Difesa israeliano che coordina le attività israeliane nei Territori palestinesi. Inoltre, il governo israeliano ha concesso per la prima volta piena autonomia all'Anp nella distribuzione di energia elettrica nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania. L'accordo prevede l'istituzione di una società per la distribuzione dell'energia elettrica palestinese, oltre a delineare un piano per il pagamento del debito di 2 miliardi di shekel (528,6 milioni di dollari) accumulato dai palestinesi nei confronti di l'Israel electric corporation

(Agenzia Nova, 14 settembre 2016)


Israele collabora con Facebook per eliminare l'odio online, e c'è già chi odia pure questo

di Redazione

L'incontro tra alcuni funzionari di Facebook e i rappresentanti del governo di Gerusalemme per limitare l'hate speech nei confronti della popolazione ebraica è stato criticato e in molti hanno gridato al complotto. "Ora lo stato israeliano sta per obbligare per legge i social a censurare i contenuti che gli ufficiali ritengono impropri", scrive Gleen Greenwald.
   Quando si parla di hate speech e di incitamento all'odio sul web, nessuno è più preparato di Israele. Sui social network ogni giorno si assiste alla nascita di decine di gruppi antisemiti, corroborati da articoli e link che rimandano alle più fantasiose teorie complottiste, a post pubblici che inneggiano agli attacchi dei palestinesi contro gli israeliani e spiegano la violenza con la quale vengono trattati sempre più spesso gli ebrei, e non solo virtualmente. E' anche per questo motivo che lunedì scorso alcuni funzionari di Facebook hanno incontrato in Israele dei rappresentanti del governo di Gerusalemme, dopo che il ministro dell'Interno Gilad Erdan e il ministro della Giustizia Ayelet Shaked avevano più volte chiesto alla società di Mark Zuckerberg di rimuovere contenuti offensivi o pericolosi dal social network.
   L'idea è quella di utilizzare il "modello Israele" anche nel riconoscimento di un certo tipo di hatespeech, e di bloccare dai social network qualsiasi forma di reclutamento e di estremismo. Il ministro Shaked ha detto lunedì che il governo di Israele negli ultimi quattro mesi ha chiesto a Facebook la rimozione di 158 contenuti ritenuti "pericolosi" perché incitano all'odio contro Israele. Altre 13 richieste sono state sottoposte a YouTube. L'azienda di Zuckerberg ha risposto positivamente nel 95 per cento dei casi, mentre il social network dei video nell'80 per cento. E se due delle più grandi aziende della Silicon Valley concordano quasi internamente nel trovare offensivi alcuni contenuti antisemiti, allora, forse, una qualche verità dovrà pure esserci.
   Naturalmente il dialogo tra Gerusalemme e i social network più influenti del mondo non è passato inosservato. Soprattutto nelle stanze dei complottisti di professione, della "trasparenza" anche oltre ogni ragionevole dubbio, anche a costo di sacrificare la verità. Gleen Greenwald, paladino dei leak di Edward Snowden, sul suo giornale online The Intercept ha subito gridato alla censura. Ha tirato fuori l'immagine iconica della bambina vietnamita che fugge dal napalm, censurata "per errore" qualche settimana fa - che nulla ha a che vedere con l'odio contro Israele, ma anzi con i nostri paraocchi occidentali - e ha criticato "le aziende tecnologiche private come Facebook, Twitter e Google che ora diventano arbitri di quello che possiamo vedere o no". Poi, Greenwald prosegue: "Ora Israele sta per obbligare per legge Facebook a censurare i contenuti che gli ufficiali di Israele ritengono impropri, che naturalmente riguardano arabi, musulmani e palestinesi che si oppongono all'occupazione israeliana". Insomma per Greenwald, e per tutti i paladini della giustizia online, la collaborazione tra Israele e Facebook sarebbe un vergognoso atto di censura. Lasciare libere e visionabili pagine che inneggiano alla distruzione di Israele e dei suoi alleati occidentali, che fomentano l'odio contro gli ebrei, sarebbe invece la libertà d'espressione.

(Il Foglio, 14 settembre 2016)


Odio parallelo

di Francesco Lucrezi, storico

C'è davvero qualcosa di impressionante nel vedere la straordinaria analogia tra il mutamento del volto dell'Europa, in senso antiebraico, negli anni che stiamo vivendo, e la metamorfosi che si verificò a partire dagli ultimi due decenni del XIX secolo. È ovviamente impossibile, per entrambi i periodi storici, indicare un preciso anno d'inizio di tale fenomeno, ma, se proprio lo si volesse fare, indicherei due date: il 1883 e il 2000. Dopo l'unificazione dell'Italia e della Germania, infatti, l'Europa sembrava essere entrata in un'età felice di pace, tolleranza, cooperazione, cultura: gli ex nemici dialogavano e collaboravano, c'era una dirompente crescita di arte, cultura e creatività, quasi ogni giorno si registrava qualche importante scoperta scientifica, Vienna, Parigi e Berlino erano città cosmopolite e brulicanti di vita, piene di teatri, di circoli e caffè letterari, di giornali. I valori della Rivoluzione Francese sembravano essere ormai patrimonio comune di tutti, laicità, modernità, uguaglianza e libero pensiero parevano conquiste irreversibili. A questa rinascita, gli ebrei europei, trasformati dall'emancipazione, diedero un formidabile contributo, e l'antico antisemitismo, pur non scomparso, pareva un relitto del passato, destinato a essere presto dimenticato, insieme a tutte le altre superstizioni del vecchio mondo. La cd. "belle époque" sembrava davvero di tutti, nessuno avrebbe dovuto essere escluso.
  Poi, improvvisamente, senza alcun comprensibile motivo, il vento cambiò, e, sotto i piedi degli ebrei d'Europa, la terra cominciò a tremare. Già nel 1845 era stato pubblicato in Francia il libello antisemita "Le Juifs, Rois de l'Èpoique", di Alphonse Toussenel, nel 1853 era venuto l'"Essai sur l'Inégalité des Races Humaines", di Arthur de Gobineau, e nel 1879 l'opuscolo "Sieg des Judentums über das Germanentum" (La vittoria del giudaismo sul germanesimo) di Wilhelm Marr (ove compare per la prima volta il fortunatissimo neologismo "Antisemitisnus"), ma nessuno di questi insulsi scritti malefici si può dire che avesse raggiunto, al tempo della prima pubblicazione, una significativa notorietà (salvo essere poi celebrati in seguito). Fu nel 1883 che la morte di Wagner, idolo delle folle, diede l'occasione per isteriche celebrazioni, in molte piazze della Mitteleuropa, del pangermanesimo "ariano", in nome dell'appello del musicista scomparso alla liberazione della Kultur dal "giogo del giudaismo". Lo stesso anno, il giovane Theodor Herzl fu costretto a rassegnare le dimissioni dall'associazione culturale Albia, di cui era stato tra i fondatori, che aveva entusiasticamente aderito alla crociata antisemita wagneriana. Un altro iscritto ebreo, Paul von Portheim, propose egli stesso che non venissero più accettati soci ebrei, ma ciò non gli evitò di essere anch'egli cacciato, dopo di che, il 13 luglio, si tolse la vita. Poco dopo, Karl Lueger, che Hitler avrebbe poi considerato suo maestro, raccolse, a Vienna, un enorme seguito con una sua martellante crociata a favore di un antigiudaismo militante, sistematico e capillare. Nel 1894 venne poi l'"affare Dreyfuss", e il cd. "problema ebraico", che nessuno capiva bene cosa fosse, divenne il principale argomento di discussione dei salotti europei. Anche molti ebrei si convinsero che il problema esisteva, ed erano loro a portarne la colpa. Ne fu persuaso, per esempio, Otto Weininger, che a soli diciannove anni, nel 1902 (lo stesso anno del terribile pogrom di Kishinev), nel saggio "Sesso e carattere", attaccò insieme la "tara genetica" del sesso femminile e della razza ebraica, riscuotendo un enorme successo, sull'onda del quale si tolse la vita, per essere poi pubblicamente elogiato da Hitler. E si potrebbe continuare, ma credo che basti così.
  C'è forse qualche studioso, di qualsiasi ambito, qualche scienziato, qualche storico, qualche psicologo in grado di offrire una possibile spiegazione, anche a livello meramente ipotetico, di questa metamorfosi? C'è qualcuno in grado di spiegare cosa indusse l'Europa a cambiare volto? No, nessuno può farlo, nessuna spiegazione può essere data se non partendo dalla presa d'atto che nelle vene dell'Europa già circolava un latente virus maligno, che avrebbe poi portato dove sappiamo. Un morbo che quasi nessuno ha mai voluto davvero diagnosticare, curare, estirpare.
  In anni a noi più vicini, è a partire dal 2000, col definitivo naufragio dell'illusione del cd. "processo di pace", che si è riacutizzata la malattia, e si è riavviata quella spirale malefica che è sotto gli occhi di tutti. Oggi molti credono di ravvisarne le cause, citando qualche presunta azione di qualche ebreo un po' cattivello. Perché la storia, anziché "magistra vitae", è soprattutto maestra di smemorataggine, ignoranza e stupidità.

(moked, 14 settembre 2016)


Aerei di Israele centrano postazioni dell'esercito vicino a Damasco

Rimane altissima la tensione tra Israele e Siria dopo il presunto abbattimento al confine - negato poi da Tel Aviv - di un caccia israeliano che aveva preso di mira una postazione militare nella zona di Al Quneitra.
Nelle ultime ore gli aerei israeliani hanno bombardato postazioni militari dell'esercito siriano nella provincia di Rif di Damasco, intorno alla capitale siriana, senza che siano state registrate vittime.
A riferirlo è l'Osservatorio siriano per i diritti umani; le postazioni attaccate sono quelle situato vicino alla cittadella di Yandal e sul monte Al Shij.
Radio Gerusalemme ha riferito di un comunicato emesso dall'esercito che precisa come Israele non tollererà alcuna infrazione della sua sovranità e ha lanciato avvertimenti nei confronti sia dei militari di Bashar al Assad sia dei gruppi ribelli sunniti che lo agiscono in prossimità del confine israeliano.

(L'Unione Sarda, 14 settembre 2016)


Silicon Wadi: Origini e successo dell'ecosistema israeliano

Yigal Erlich

Per approfondire le origini della Silicon Wadi, dobbiamo andare indietro nel tempo fino a circa 55 anni fa. All'inizio degli anni '60, le prime aziende tecnologiche israeliane cominciarono ad avere successo. Aziende come ECI Telecom (1961), Tadiran (1962), Elron Electronic Industries (1962). Insieme a loro si unì il fatto che Motorola, nel 1964, decise di istituire uno dei primi centri di Ricerca e Sviluppo nella zona.
  Dopo un breve periodo di stallo, che ha coinvolto circa una decade, si arrivò agli anni '80 quando numerose aziende iniziarono a specializzarsi nell'high-tech emergendo con successo, tra cui: Cimatron, Magic Software e NICE Systems.
  Gran parte del successo è legato al capitale umano (grazie agli sforzi del governo per la sua formazione e grazie anche alla forma mentis che deriva dal servizio di leva).
  Negli anni '90, dopo una massiccia ondata migratoria soprattutto russa, al capitale umano locale si aggiunse quello qualificato dell'URSS.
  Tuttavia, la Silicon Wadi di oggi sarebbe inconcepibile senza la figura di Yigal Erlich, fondatore di Yozma e padrino dell'industria high-tech in Israele.
  All'inizio del 1990, Erlich identificò un fallimento del mercato e un enorme bisogno per Israele di istituire per la prima volta un'industria locale di venture capital, che al tempo non esisteva, per finanziare la crescita esponenziale delle imprese ad alta tecnologia provenienti da Israele.
  Alla fine del 1992, Erlich convinse il governo israeliano a destinare 100 milioni di dollari per la sua visione del capitale di rischio. Successivamente, Erlich insieme agli altri membri del core team di Yozma, istituì dieci fondi di venture capital. Questi dieci fondi, tra cui Gemini, JPV, Nitzanim (Concord), Polaris, STAR e Walden Israel, sono ad oggi la spina dorsale del mercato dei capitali israeliano.
  Yigal Erlich è anche il fondatore della Israel Venture Association. Tra il 1984 e il 1992, servì come Chief Scientist presso l'Israel's Ministry of Industry and Trade, dirigendo un budget annuale di circa 200 milioni di dollari, contribuendo alla crescita di progetti di ricerca e sviluppo e creando consorzi di imprese con istituti di ricerca e università di tutto il mondo.
  Il resto è storia. Oggi Israele, conosciuta come la Startup Nation, a soli 60 anni e con una popolazione di 7,1 milioni di abitanti, è emersa come un modello di imprenditorialità che numerosi paesi stanno cercando di replicare.
  Israele può vantare la massima concentrazione a livello mondiale di innovazione e imprenditorialità, con un numero di startup, avanguardie della sperimentazione, superiore a quello di Cina, Gran Bretagna, Canada, Giappone e India, e con la più alta presenza di aziende nel NASDAQ, dopo gli Stati Uniti, come ampiamente spiegato nel libro di Dan Senor e Saul Singer chiamato Startup Nation (in italiano, Laboratorio Israele, Storia del miracolo economico israeliano).
  Questo background di successo ha attirato alcune delle più grandi aziende tecnologiche mondiali come Google, Microsoft, Intel, Siemens, HP e Huawei, le quali hanno contribuito alla trasformazione di Israele in uno dei settori in cui le startup generano maggior valore.

(SiliconWadi, 14 settembre 2016)


Israele-Italia: si rafforza la cooperazione tra i due paesi

La Commissione mista approva finanziamenti per sedici progetti

Si rafforza la cooperazione scientifica, tecnologica e industriale tra Italia e Israele. In questi giorni si è infatti riunita a Tel Aviv la 15/a Commissione mista - convocata annualmente in base all'Accordo di cooperazione bilaterale del 2002 - per valutare i progetti di finanziamento comune nei settori indicati da realizzare nei due paesi. Le due delegazioni - l'italiana, guidata da Fabrizio Nicoletti, Capo Unità Scientifica e Tecnologica del Maeci; l'israeliana, da Avi Hasson, Chief Scientist del Ministero dell'Economia - hanno dato il via libera a finanziamenti per 16 progetti congiunti di ricerca scientifica e innovazione tra aziende, università e centri di ricerca di entrambi i paesi.
La Commissione ha anche annunciato la creazione di due nuovi laboratori congiunti in Italia (in nanoelettronica e ottica) e l'assegnazione di premi a scienziati italiani e israeliani dedicati a Rita Levi Montalcini. La Commissione ha infine concordato l'avvio di un serrato calendario di conferenze bilaterali tra i due paesi. "L'Accordo bilaterale - ha detto l'ambasciatore italiano in Israele Francesco Maria Talò - è un utile strumento al servizio del sistema paese. Rappresenta un volano concreto offerto alle imprese e ai centri di ricerca italiani per sviluppare progetti innovativi, che hanno spesso trovato applicazione consentendo tra l'altro a molti giovani italiani di sviluppare importanti esperienze".

(ANSAmed, 14 settembre 2016)


Chi è Shimon Peres?

di Oscar Puntel

Shimon Peres è stato una figura storica di Israele. Ora le sue condizioni di salute sono gravi. È stato premier, presidente e nel 1994 aveva vinto il Nobel per la pace

 
L'ex presidente israeliano Shimon Peres è stato ricoverato in ospedale dopo essere stato colpito da un ictus. Le sue condizioni sono gravi, respira grazie all'ausilio di un respiratore, ma è cosciente. Ma chi è Shimon Peres? Ne ripercorriamo la storia, che corre parallela a quella dello Stato di Israele, di cui è stato Presidente dal 2007 al 2014.

 Fondazione di Israele
  Shimon Peres è nato il 2 agosto 1923 (anche se alcune fonti riportano la date del 16 agosto) a Wieniawa, paesino della Polonia, che ora si chiama Vishniev, e si trova in Bielorussia. La famiglia emigrò in quelle terre che poi sarebbero diventate lo Stato di Israele, nel 1934, 4 anni prima dell'invasione nazista della Polonia.
  È in età giovanile che entrerà in contatto con una delle personalità di spicco della futura politica israeliana: David Ben Gurion, fondatore di Isreale. Pupillo del primissimo presidente, Peres venne messo a capo di una sezione dell'Haganà, l'esercito degli ebrei che si stavano organizzando per la creazione del loro Stato - che poi venne proclamato nel maggio del 1948. Fu Ben Gurion a nominarlo, giovanissimo, responsabile di quel settore. Gli inizi furono quindi militari: ricordiamo che quel territorio fu da subito terra di scontro e di continue tensioni con i palestinesi.

 Shimon Peres, Nobel per la Pace
  C'è una data storica, più degli incarichi e dei ruoli ricoperti, che segna la sua notorietà politica. È il Nobel per la pace nel 1994, vinto con Yitzhak Rabin e il leader palestinese, Yasser Arafat. Rabin, primo ministro di Israele fra il 1992 e il 1995 si era distinto per una notevole apertura verso i palestinesi. Al governo segnò una evoluzione significativa nel processo di pace: gli Accordi di Oslo siglati dopo lunghe trattative videro protagonista anche Peres, in qualità di Ministro degli Esteri.
  Il terzetto ottenne il Nobel per la pace nel 1994, proprio per gli sforzi profusi nella ricerca di una soluzione che soddisfacesse israeliani e palestinesi. Ma nel 1995, Rabin venne ucciso proprio da un estremista contrario agli accordi. Il processo di pace si arenò nuovamente. Gli Accordi di Oslo prevedevano qualcosa di storico: vi era un formale riconoscimento dell'Olp, l'organizzazione dei palestinesi; quest'ultimi riconoscevano Israele e rinunciavano alla violenza. Per capirne l'importanza, basti pensare che ancora oggi si discute su questi aspetti di 'riconoscimento reciproco'.

 Incarichi di governo
  Tantissime le cariche ricoperte: Peres è stato a lungo esponente dei Labour, la sinistra riformista israeliana. Divenne primo ministro, la prima volta, dal 1984 al 1986. E poi, per un breve periodo, successe a Rabin, dopo l'attentato. Per tre mandati, è stato Ministro degli Esteri; ha ricoperto anche i dicasteri delle Finanze e della Difesa. Fra il 1970 e il 1974, premier Golda Meir, è stato ministro dei Trasporti.

 Con Ariel Sharon
  Altra svolta storica, con Ariel Sharon, leader del Likud (il partito del centro destra israeliano). Siamo all'indomani del piano del disimpegno, del 2005, cioè quando il premier Sharon decide di liberare la striscia di Gaza dalla presenza dei coloni israeliani e di lasciare il territorio ai palestinesi. Si tratta di una decisione molto contestata soprattutto dentro il Likud, per questioni di sicurezza nazionale: si teme infatti che quel territorio possa diventare terreno fertile per i terroristi, come di fatto poi accadrà. Sconquassi di politica interna portarono i principali due partiti di Israele, Likud e Labour a subire delle scissioni interne.
  Ariel Sharon lascia il Likud e fonda un partito di centro, Kadina, e al progetto aderiscono anche personalità del Labour party, fra cui Shimon Peres, dopo che quest'ultimo aveva perso le primarie per la leadership dentro il Labour. Insomma le due anime centiste dei due principali partiti si erano unite in un nuovo partito. Kadima, fra i cui esponenti, si ricorda anche la futura ministra degli esteri Tzipi Livni, durerà fino al 2015. Oggi praticamente non esiste più.

 Shimon Peres, presidente dello Stato di Israele
  Shimon Peres venne eletto nono presidente dello Stato di Israele a 83 anni, nel giugno del 2007. Era subentrato a Moshe Katsav, presidente su cui incombeva un'incriminazione per violenza sessuale. Peres, che proprio da Katsav era stato sconfitto nelle elezioni del 2000, aveva ricevuto 86 voti su 120 della Knesset, il parlamento israeliano. Su di lui erano confluiti i voti che erano andati al primo, inconcludente scrutinio a Reuven Rivlin, del partito conservatore Likud, che dal 24 luglio 2014 è il nuovo presidente di Israele. Con la fine del mandato, Peres si era ritirato dalla vita politica: un lunga carriera cominciata nel 1959.

(Donna Moderna, 14 settembre 2016)


Le Bibbie di Soncino in Oliveriana

 
Nell'ambito della Giornata europea della Cultura Ebraica il Rabbinato di Ancona e delle Marche e l'Arcidiocesi di Pesaro, in collaborazione con la Biblioteca Oliveriana, promuovono per giovedì 15 settembre 2016 alle 18,30 presso la sinagoga di Pesaro (via delle Scuole) un incontro con Vittorio Robiati Bendaud.
Verranno presentati due volumi, preziosamente rifiniti e ottimamente conservati, custoditi dalla Biblioteca Oliveriana: i libri biblici da Giosuè al secondo libro dei Re, stampati a Pesaro tra il 1510 e il 1511, e i libri dei Profeti, stampati sempre a Pesaro nel 1515 (anno precedente alla istituzione del ghetto di Venezia). Si tratta di volumi da studio, con doppio carattere: l'ebraico "maiuscolo" per il testo biblico; il carattere cd. "rashì", una sorta di corsivo, per il commento in loco dell'insigne commentatore Rav Davìd Kimchì (XII-XIII sec), conosciuto come RaDaQ. Le note manoscritte presenti, sia in ebraico sia in italiano, spiegano che i libri furono stampati in casa "Sunzino" a Pesaro, il famoso stampatore ashkenazita Soncino che soggiornò a Pesaro prima che la famiglia si spostasse a Salonicco, al Cairo e a Costantinopoli. Ci troviamo di fronte, pur non trattandosi di incunaboli, agli albori della stampa ebraica, non solo a Pesaro e in Italia, bensì nel mondo.
Ai saluti di David Meghnagi, assessore alla Cultura dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, e di Riccardo Paolo Uguccioni, presidente dell'Ente Olivieri, seguiranno l'introduzione di don Giorgio Giorgetti dell'Arcidiocesi di Pesaro e l'intervento del prof. Bendaud, che illustrerà il valore e il significato dei due volumi biblici conservati presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro.

(Vivere Pesaro, 14 settembre 2016)


Usa-Israele: 38 miliardi di dollari di aiuti militari

Un accordo da 38 miliardi di dollari siglato tra Israele e gli Stati uniti appena finalizzato dalle due parti.
L'amministrazione americana, alle battute finali dell'ultimo mandato di Barack Obama, garantisce così al proprio alleato storico in Medio Oriente un sostegno da circa 3,8 miliardi di dollari l'anno per i prossimi 10 anni, da spendere per la sicurezza militare del Paese, da anni primo beneficiario di aiuti statunitensi nel mondo. Un'impegno che supera quello precedente in vigore, che disponeva "solo" di 3 miliardi l'anno, e che sarebbe scaduto nel 2018.
   A pubblicare i termini del patto sono le pagine web di «The New York Times», in cui si sottolinea come questo imponente investimento americano nella difesa militare israeliana giunga nonostante i continui e recenti dissidi intercorsi tra il presidente Obama e il primo ministro Benjamin Netanyahu sia in tema di politica delle colonie che relativamente ai negoziati USA-Iran sul nucleare.
   Netanyahu, che per portarsi a casa questi 38 miliardi avrebbe fatto qualche concessione sulla sua politica, aveva chiesto che la disponibilità economica complessiva degli USA arrivasse a 45 miliardi, ma non è stato accontentato. In compenso Israele guadagna una speciale clausola che gli permetterà di utilizzare circa un quarto del denaro americano per comprare armi israeliane, puntando così a rafforzare l'industria bellica interna.
   E se, ovviamente, i soldi pubblici stanziati dall'America rientreranno in gran parte proprio nelle imprese americane del settore militare e dei sistemi di difesa antimissile, secondo alcuni analisti l'accordo potrebbe essere usato da Obama in un'estremo tentativo di far ripartire il processo di pace tra Israele e i palestinesi, facendo leva sul fatto di aver garantito così il massimo impegno per la sicurezza militare degli israeliani.

(Valori, 14 settembre 2016)


"In Medio Oriente lo zar ha campo libero ma è senza strategia"

Lex diplomatico israeliano Rabinovich: "Mosca reggerà finché qualcuno la sfida".

di Francesca Paci

Itamar Rabinovich

Sarà Putin a vincere il Medioriente? Il professr Itamar Rabinovich scuote scettico la testa nell'aula della New York University Florence Villa La Pietra, dove è ospite per una lezione sull'assassinio di Yitzhak Rabin «punto di svolta nella storia d'Israele e del Medioriente». Ne sono cambiate di cose da allora e Rabinovich, ex ambasciatore israeliano negli States, storico emerito del Medio Oriente in varie università nonché negoziatore con la Siria di Hafez Assad negli Anni 90, le ha annotate nei suoi libri, l'ultimo dei quali del 2011, «The View from Damascus».

- A che gioco sta giocando Mosca?
  «Il Medio Oriente è tradizionalmente un interesse russo sin dagli zar. Putin ne ha fatto il terreno in cui riscattare gli anni umilianti di Eltsin, è un'arena naturale per lui. A dargli il semaforo verde è stato l'annuncio della centralità dell'Asia e del Pacifico nella politica di Obama, c'era un vuoto da colmare e si è precipitato. Il resto è storia, la crisi siriana del 2011 prima e poi la decisione di Obama di non intervenire nel 2013 nonostante il regime avesse oltrepassato la "linea rossa" usando le armi chimiche. Putin ha avuto il campo libero, ma è tutta tattica, non ha nessuna strategia e nessuna risposta per il Medio Oriente perché non ha forza economica: incassa sul breve termine, il Medio Oriente è un investimento a basso prezzo che regge finché nessuno lo mette alla prova. E Obama non lo mette alla prova».

- Vuol dire che Putin bluffa?
  «Fa il suo gioco, usa l'incertezza altrui. Ora sembra intenzionato a far da mediatore tra israeliani e palestinesi. Non otterrà nulla, anche perché oggi su quel fronte non ci sono le condizioni, ma in via di principio, che lo facciano o meno, Netanyahu e Abu Mazen hanno accettato di vedersi a Mosca».

- Quanto gli interessa davvero la Siria?
  «In Siria oltre a Mosca c'è l'Iran, il cui maggiore investimento di politica estera è in Libano, Hezbollah, il braccio armato di Assad. Inutile sperare che Teheran baratti il suo sostegno ad Assad nel quadro dell'accordo con il nucleare perché Obama ha fatto molta attenzione a tenere i negoziati separati tra loro. Per l'Iran la Siria è assai più cruciale che per Mosca:
Putin ci conta, ma all'interno di un più ampio piano di riposizionamento regionale, come prova la spettacolarità dei lanci di missili russi dal Caspio».

- La Siria spera nella tregua umanitaria: cambierà qualcosa?
  «La crisi siriana ha un livello locale, uno regionale e uno internazionale: nessuno può vincere al momento e di certo non succederà nulla almeno fino a marzo, quando il nuovo presidente americano e la sua amministrazione si insedieranno. D'altra parte l'opposizione siriana è divisa e priva di leader credibili come alternativa ad Assad».

- Il mondo finirà per collaborare con Assad?
  «Non dovremmo ma forse lo faremo. Basta vedere come la posizione di chiusura totale verso Assad sostenuta finora da Ue, Usa e Turchia si vada indebolendo. È comprensibile, se fossi un Paese europeo con centinaia di foreign fighter in Siria avrei bisogno di intelligence sul posto, ossia degli 007 di Assad».

(La Stampa, 14 settembre 2016)


Milano centro della cultura ebraica, ma senza sindaco

Sindaco assente per impegni pregressi, comunità ebraica delusa

di Zita Dazzi

Milano capitale della cultura ebraica per un giorno. Ma senza il sindaco Beppe Sala. C'era un po' di malumore, ieri, fra i dirigenti della comunità ebraica cittadina, che quest'anno per la prima volta è capofila nazionale della miriade di iniziative previste in 14 regioni e 7 4 città italiane, per la Giornata mondiale della cultura ebraica. «Avevamo invitato anche il sindaco, visto che ci sarà il ministro alla Difesa Roberta Pinotti a parlare di pace. Sala ha accettato ma poi ha declinato, spiegando di avere un impegno pregresso inderogabile», mormorano delusi Milo Hasbani, presidente della comunità, Roberto Jarach, vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah, e Davide Romano, assessore alla Cultura della comunità. La presenza del nuovo sindaco di Milano era considerata importante anche perché questa manifestazione è tutta dedicata alla pace, attraverso il significato simbolico e il ruolo storico della "Parola". «In un periodo in cui l'Europa è attraversata e messa in pericolo dal terrorismo e dalla crisi, ci sembra importante rilanciare il ruolo della cultura come strumento di reciproca conoscenza perché alla base del fondamentalismo e dell'odio c'è proprio l'ignoranza e il pregiudizio dettato dalla chiusura», ha spiegato Romano. Il Comune - che ieri ha concesso la sala del Grechetto per la presentazione con l' assessore alla Cultura Filippo del Corno - sarà rappresentato domenica dalla vicesindaca Anna Scavuzzo nelle sedi che per l' occasione saranno aperte al pubblico: la sinagoga maggiore di via Guastalla 19, dove alle 10.30 il rabbino capo Alfonso Arbib inaugurerà la mostra sugli ebrei in Italia; il memoriale della Shoah di piazza Sraffa; il museo della Scienza e della tecnica (via San Vittore 21). Qui dalle 15 alle 20.30 interventi di studiosi e artisti, con la chiusura in grande di Haim Baharier.

(la Repubblica, 14 settembre 2016)


Siria: "abbiamo abbattuto due velivoli israeliani", Idf: "abbiamo schivato i loro missili".

di Franco Iacch

"L'esercito siriano ha abbattuto questa notte due velivoli israeliani". È questo l'annuncio diramato dalla tv di Stato siriana questa mattina, seccamente smentito dalle forze armate israeliane.
   Secondo la dichiarazione dell'esercito siriano, un caccia israeliano sarebbe stato abbattuto durante un raid nei pressi della città di Quneitra, vicino le alture del Golan. Un secondo velivolo proveniente da Israele, un drone, sarebbe stato abbattuto pochi minuti dopo vicino Damasco.
   Le nostre difese aeree - affermano dall'agenzia di stampa statale SANA, riportando la dichiarazione dell'esercito siriano - hanno colpito ed abbattuto un caccia israeliano nella provincia meridionale di Quneitra ed un drone nella provincia di Damasco.
   Israele conferma il raid di questa notte ed il lancio dei missili terra-aria, ma smentisce categoricamente le perdite. In nessun momento è stata compromessa la sicurezza dei nostri velivoli - si legge nella nota dell'IDF - due missili sono stati lanciati dalla Siria durante un raid contro le postazioni di artiglieria siriane. Tutti i nostri velivoli sono ritornati alla base.
   La scorsa settimana, un colpo di mortaio avrebbe colpito il lato israeliano del Golan, non causando danni o feriti. Pochi giorni prima, un colpo di mortaio esploso dalla Siria, ha colpito un'area aperta sul lato israeliano della zona smilitarizzata sul Golan, senza causare danni. In risposta, l'IDF ha colpito unità dell'artiglieria dell'esercito siriano sulle alture del Golan. Israele ritiene responsabile per qualsiasi attacco proveniente dalla Siria, indipendentemente dalla fonte, il governo di Bashar Assad.
   I due Paesi sono ufficialmente ancora in guerra: Damasco non ha mai firmato un trattato di pace con la capitale de facto Gerusalemme. Da rilevare che nelle ultime settimane truppe siriane e migliaia di guerriglieri del gruppo sciita libanese Hezbollah si starebbero ammassando vicino la zona Quneitra, che si trova tra la Siria e le Alture del Golan.
   Israele sarebbe ufficialmente neutrale nella guerra civile siriana, ma dal 2013 ha effettuato una dozzina di attacchi aerei in tutto il Paese colpendo anche strutture governative. I caccia israeliani hanno distrutto decine di convogli destinati alle truppe Hezbollah, presenti in Siria a sostegno delle forze lealiste del presidente Bashar al-Assad.
   Lo scorso dicembre Benjamin Netanyahu affermò che Israele non avrebbe mai permesso il transito di forniture militari dalla Siria al Libano. Non c'è differenza tra il fuoco intenzionale e quello involontario - ribadisce Eli Malka, capo del Consiglio regionale Golan - una bomba è una bomba. La responsabilità del Ministro della Difesa e dell'IDF è quella di trasmettere un messaggio chiaro a tutte le parti al di là del confine. A qualsiasi colpo esploso nel Golan, Israele risponderà con la massima potenza di fuoco a disposizione.

(Difesa Online, 13 settembre 2016)


Roma - Ghetto, via le auto da strade e piazze

Verso lo stop alla circolazione, il Municipio chiede la Ztpp, la Zona a traffico prevalentemente pedonale. Le nuove misure per aumentare la sicurezza, ma anche per recuperare la zona.

di Lilli Garrone

Roma - Ghetto ebraico
Ghetto sempre più pedonale. Mentre proseguono i lavori per l'installazione dei «pilomat» (le colonnine retrattili) all'angolo fra via del Tempio e lungotevere de' Cenci, il consiglio del Municipio del centro storico ha approvato una mozione per un «Piano di mobilità sperimentale» nel Portico d'Ottavia, tra via del Tempio e piazza 16 ottobre 1943, lungo l'asse che costeggia la Sinagoga. il documento chiede I'istituzione di una zona «Ztpp», ovvero a traffico prevalentemente pedonale: «Contestualmente è richiesto, prima dell'adozione di una disciplina di traffico definitiva volta alla realizzazione di un'isola ambientale comprendente le vie e le piazze circostanti ed eventuali nuove pedonalizzazione - così è scritto - l'avvio di relativi studi di fattibilità nonché il coinvolgimento più ampio degli uffici, dei residenti e commercianti che risiedono e lavorano nell'area».
   «Abbiamo fatto una scelta di metodo - afferma la presidente del I Municipio, Sabrina Alfonsi - chiedendo che l'intervento sperimentale di pedonalizzazione, collegato ai lavori in corso per l'installazione di pilomat voluto per incrementare il livello di sicurezza del quartiere ebraico, venisse inquadrato all'interno di una ipotesi più generale di "isola ambientale" riguardante anche le vie e piazze circostanti, il cui piano di fattibilità deve essere avviato previo confronto con i residenti e gli operatori commerciali. Mi riferisco in particolare - ha aggiunto - a piazza delle Cinque Scole, un luogo bellissimo attualmente assediato dalle auto e che merita senz'altro maggiore considerazione».
   Questa frase di Alfonsi dovrebbe placare - per quanto possibile -le contestazioni degli abitanti della Cinque Scole, furibondi perché attorno la bella fontana del Della Porta vi è un perenne parcheggio e le macchine entrano contromano dal lungotevere: «Bisogna fare un piano che prenda in considerazione tutto il quartiere- afferma Valeria Grilli, capo delegazione del Fai di Roma - sia il Portico, sia piazza delle Cinque Scole, sia via Arenula che gli accessi dal lungotevere. Sono anni che chiediamo una progettazione completa dell'area, non è mai stata fatta». Rincara Silvia Becchetti, del «Comitato residenti Cinque Scole e dintorni»: «La nostra lotta è iniziata con Veltroni e sono dieci anni che va avanti», dice. «Noi chiediamo di impedire la continua entrata illegale delle auto dal lungotevere, non ci siamo mai riusciti. Così la piazza, vincolata, è solo un parcheggio ed il manto stradale talmente dissestato che è perfino pericoloso camminare. Ma noi nel Ghetto siamo cittadini di seconda classe».
   E intanto i lavori per I'installazione dei «pilomat», del costo di 150 mila euro, finiranno tra circa un mese: oltre via del Tempio e via Catalana riguarderanno anche piazza Gerusalemme.

(Corriere della Sera - Roma, 13 settembre 2016)


Le botteghe storiche del centro di Ferrara usavano un linguaggio in codice?

Le parole ormai in disuso che un tempo intrecciavano ebraico al dialetto ferrarese

di Gianmarco Marzola

 
Ferrara

Lo zio sedeva davanti a me guardandomi sorpreso. Non avrebbe immaginato che quel gergo che utilizzava più di 50 anni fa con gli altri marzar, ragazzi di bottega, sarebbe stato comprensibile a suo nipote.
  Anche io non ci potevo credere, anche se sapevo che mio zio Giorgio era dotato di un distinto talento per le lingue - destreggiandosi in comacchiese come un madre lingua anche se nato a Ferrara centro. Eppure mio zio conosceva qualche parola dell'ebraico. Non lo poteva credere nemmeno lui.
  L'argomento venne fuori una sera in trattoria con il signor Gianni, un suo vecchio amico e collega, e lo zio Lucio, entrambi grandi conoscitori del settore tessile di Ferrara, soprattutto per quanto riguarda la zona del centro. I tre si erano messi a parlare dei vecchi tempi, di come lavorassero nelle botteghe della Ferrara del Secondo Dopoguerra e di quello strano linguaggio in uso all'epoca: parole in gergo ferrarese ma distorte in una lingua strana che parlavano appunto solo i marzar, i commercianti e bottegai. Era una lingua in codice che al tempo - parliamo dei primi anni '50 - solo persone dai trent'anni in su conoscevano, tutti lavoranti nel settore tessile, più che altro addetti alla vendita, nella Ferrara del centro.
  "Devi considerare che un tempo era tutto diverso - mi raccontano -. Non c'erano i supermercati dove la gente comprava di tutto, ma si veniva in piazza a comprare. I negozi erano totalmente diversi, nemmeno si chiamavano "negozi" ma "botteghe". A servire non c'era una sola persona come oggi. Ad esempio da Mazzilli, in via degli Adelardi, all'angolo con via Bersaglieri del Po, erano quasi trenta gli impiegati, c'era chi si occupava dei magazzini e chi del banco di vendita. E c'erano giorni, come il lunedì, in cui affluiva una gran quantità di gente dalle campagne che avevi il negozio pieno! E allora dovevi stare all'occhio, che magari qualcuno provava a rubare, o dovevi saper dire al tuo collega che il signore che stava servendo era uno con i soldi e che quindi il prezzo per lui doveva crescere e non calare. Nelle botteghe infatti non c'era il prezzo fisso. Allora adoperavi questa lingua, che solo i tuoi colleghi, capivano."
  Si usava in vari negozi del settore tessile. Si usava nelle zone del centro, in via Mazzini, in via Canonica (nel primo tratto di Bersaglieri del Po, adiacente al Listone) e anche in San Romano. Ma non tutti la conoscevano. Già negli anni '50 erano in pochi che la sapevano parlare. E non in tutti i negozi.
  "In quei tempi le botteghe di vestiti erano più che altro laboratori di sarti che si ingrandivano, e invece di servire i grandi mercanti come Vecchi, Fusi e Gibelli, cercavano di farsi una propria clientela mettendo dei manichini e un banco di vendita nella parte anteriore del laboratorio. Eppure questo idioma non lo conoscevano. I miei titolari, che lo conoscevano bene, avevano iniziato anche loro come commercianti, in un negozio di via Mazzini, Bottoni e Zagni. Visto che a Ferrara la maggior parte delle botteghe del settore tessile era di proprietà di alcune famiglie ebraiche, dicevamo tra di noi che erano termini ebraici ma nessuno sapeva di cosa si trattasse. Addirittura per dire "merda" si usava una parola che non credo proprio che gli ebrei potessero utilizzare in questo senso. Insomma merda si diceva Shoah. Per dire che qualcuno era andato in bagno si diceva: L'è andà in tal Moshao, l'è dré far na Shoah
  
Secondo me sono stupidaggini, non può essere ebraico!" mi spiegò lo zio Giorgio.
  E invece sì zio, è proprio ebraico. Solo che è cambiata la prima lettera. Merda si dice Tsoah, e moshao, mi ricorda proprio la parola moshav, insediamento, ma in ebraico come in italiano la parola viene dall'idea di sedersi, in ebraico yashav. Insomma può anche voler dire un posto dove ci si siede, come il gabinetto.
  Questo è forse l'esempio più strano tra le tante parole di cui sentii parlare quella sera. Di sicuro anche quello meno elegante. Ma - intendiamoci fin da subito - essendo questo un gergo segreto ed incomprensibile ai più, non era di certo usato per comunicazioni "eleganti". Era invece utile per comunicare informazioni più triviali, legate sia alla necessità del marzar, ovvero vendere la merce ad un prezzo "giusto", sia alla malizia del ferrarese che voleva sparlare liberamente anche davanti ad un fiume di clienti.
  "Quando veniva uno che ti faceva solo perdere tempo e alla fine - già si sapeva - non ti faceva vender niente, allora lo si chiamava Kisuf. Una parola dal significato incerto che ricorda Kishuf, in ebraico stregoneria."
  Invece se c'era una ragazza che si sapeva che era una poco di buono - notare già il maschilismo e la malizia - le si dava della puttana ma in modo che lei non capisse. Le si dava insomma della Zanah (Zonah in ebraico puttana).
  Se c'era uno che avevi paura che rubasse, gridavi al tuo collega: Nàina al zot, cal non ganavi!
  
Qui la spiegazione è più complicata. Innanzitutto la prima parte della frase, Naina al Zot, non è certo che sia ebraico, anche se suona molto come 'Ayn 'al zot, occhio a lei, o occhio a quella cosa, potrebbe anche essere ferrarese. Naina sembra voglia dire "guarda" anche nelle campagne, mentre Zot potrebbe essere la contrazione di Giovanotto ferrarizzato: Zuvanot, Zvanot, Zot. Ganavi è invece evidentemente la versione ferraresizzata di ganav, rubare.
  Più evidenti invece le origini delle parole che vengono direttamente dall'ebraico: Zaqen che voleva dire vecchio, Tov, per dire buono o bello, Dabra (Diber in ebraico) che vuol dire parlare. Ma anche per dire di si, lo si diceva come anche oggi in ebraico moderno, Ken! Lasa lì ad dabrar e lavora un poc!
  
dicevano magari a una collega che stava sempre li a parlare ma non serviva mai i clienti.
  Quando poi riuscivi a vendere lo Zaqen, le cose vecchie, ti prendevi la schànta (parola di origini a me ignote), che era un aumento di stipendio calcolato sul prezzo a cui avevi venduto lo Zaqen.
  C'era insomma un sistema per comunicare che faceva l'uso di termini e parole ebraiche tra i venditori del settore del tessile. Non era certo tutto ebraico: ad esempio a volte si usava, invece della versione "ebraica" di una parola, un anagramma della parola italiana o ferrarese. Per dire "donna" mio zio si ricorda due parole: Zorah (che suona molto come l'ebraico ma di significato incerto) oppure "nado" che è l'anagramma di "dona". Come tutti i gerghi, anche quest'idioma si reinventava continuamente.
  È importante però sapere che l'uso di questo idioma rompe la divisione confessionale ebreo/non-ebreo che uno si aspetterebbe. L'evidente origine ebraica di molti termini non dovrebbe meravigliare, visto che tradizionalmente a Ferrara dalla prima metà del XIV secolo il tessile e soprattutto la lavorazione della lana erano in mano alla comunità ebraica che fece fiorire al tempo l'economia del ducato Estense. Nella storia Una lapide in via Mazzini, Giorgio Bassani parlava in effetti di un dialetto ferrarese con termini ebraici che era in uso all'interno della comunità ebraica. Ormai nel Dopoguerra questo gergo era qualcosa che veniva parlato tra i bottegai del tessile indipendentemente dal loro credo. Era un idioma pratico, utilizzato per scopi reali e utili, non una lingua usata a marcare un tratto identitario specifico di una religione o di un'etnia. Anzi, al giorno d'oggi, nessuna delle persone che mi hanno raccontato di quest'idioma sembrerebbe avere origini ebraiche.

(Listone, 13 settembre 2016)


Israele, avanguardia della cannabis medica

di Valerio Morabito

 
Israele, un paese di pionieri anche per quanto riguarda la cannabis medica. Nella giornata di martedì 13 settembre si conclude a Tel Aviv l'International Medical Conference Cannabis, dove medici e studiosi israeliani stanno portando avanti nuovi studi clinici per provare ad ampliare l'uso della cannabis per curare altre malattie. La tolleranza nei confronti della marijuana non è una novità in Israele e l'aspetto che sembra lontano dalla politica italiana è che un tema così delicato non è oggetto di strumentalizzazioni politiche. Likud e Socialisti, infatti, sembrano essere d'accordo sul maggior utilizzo della cannabis a fini terapeutici. Proprio a giugno, per esempio, il governo, attraverso il ministro della Salute, Ya'akov Litzman, ha approvato una riforma per estendere e modernizzare l'utilizzo della cannabis in campo medico. Il testo approvato dalla Knesset permette di acquistare la cannabis nelle farmacie autorizzate, sono stati ridotti i limiti per i coltivatori di marijuana e sono aumentati il numero di medici che possono prescrivere la cannabis terapeutica.
   Infine è avvenuta una reale deburocratizzazione per accedere al farmaco, che potrà essere ottenuto dai pazienti grazie ad una semplice prescrizione medica e non attraverso i cavilli burocratici previsti dal Ministero della Salute.
   La parola d'ordine nel settore della marijuana medica è la ricerca. Nel Paese all'avanguardia dal punto di vista tecnologico e scientifico è quasi una logica conseguenza investire anche in questo ambito. Già, ma la marijuana in Israele non è qualcosa per i radical chic (o quantomeno non solo). I numeri delle persone che necessitano della marijuana a fini medici, infatti, dicono ben altro. Fino ad oggi sono circa 23 mila i cittadini israeliani che si curano attraverso la cannabis medica. Cifre destinate a crescere, soprattutto se la marijuana verrà estesa anche per curare altre malattie. La sperimentazione e le discussioni scientifiche, come dimostra la Conferenza di Tel Aviv, confermano che si sta procedendo in questa direzione. Al momento la cannabis è in fase di sperimentazione clinica e il suo utilizzo è stato approvato per contribuire a curare la colite, il morbo di Crohn, alcuni sintomi di pazienti con paralisi celebrali, epilessia nei bambini, sindrome di Tourette, morbo di Parkinson, alcuni sintomi dell'autismo e qualche effetto collaterale nelle cure per il cancro. Mentre altri studi futuri sostengono che la cannabis potrebbe essere utilizzata per il trattamento dell'artrite, disturbo da stress post traumatico e infiammazione degli occhi.

(Avanti!, 12 settembre 2016)


Sanità: Israele e Italia discuteranno di emergenze in un congresso internazionale a Saluzzo

Dal 18 al 21 settembre prossimo a Saluzzo si terrà il primo congresso internazionale Israele-Italia in tema di emergenze organizzato dalla struttura complessa regionale Maxiemergenze, in collaborazione con l'Associazione Medica Ebraica (AME) e l'Associazione Amici del Maghen David Adom Italia (AMDA-ITALIA).
Sono attesi l'assessore regionale alla Sanità e l'ambasciatore di Israele, il rabbino capo di Roma. Spiega Mario Raviolo, direttore della Maxiemergenza regionale: "Sarà un tre giorni saranno di confronto sugli aspetti organizzativi e sulle esperienze dei due Paesi per affrontare le diverse situazioni di emergenza interna ed internazionale."
Tra gli argomenti discussi: la storia del Magen David Adom, che è la società di Croce Rossa dello Stato di Israele, l'organizzazione dei servizi di emergenza in Israele, la loro risposta agli attacchi terroristici e suicidi, la risposta integrata dei servizi medici civili e militari in Israele, l'organizzazione e risposta dei Servizi di Emergenza in Piemonte, il ruolo dei "Moduli sanitari Europei" nel panorama internazionale.
Martedi 20 settembre è inoltre prevista un'esercitazione simulata di maxiemergenza.

(targatocn, 12 settembre 2016)


Israele, arrivano i robot-soldato

di Gianluca Perino

Possono portare fino a dieci chili di equipaggiamento, percorrere quasi quattro chilometri in un'ora, raccogliere oggetti con due potenti braccia e individuare il nemico, anche di notte, grazie a cinque telecamere. Sono i nuovi soldati di Israele, robot dal costo di migliaia di dollari ciascuno che nei prossimi mesi affiancheranno in gran numero i militari in carne ed ossa nelle operazioni sul territorio; serviranno anche ad esplorare, senza mettere a repentaglio vite umane, i tunnel che Hamas scava dalla striscia di Gaza per penetrare all'interno dello stato ebraico.
I soldati-robot sono alimentati da batterie al Lithium e hanno un'autonomia di circa due ore. E un team di specialisti è già al lavoro per addestrare le forze speciali all'utilizzo di questi piccoli gioielli della tecnologia militare realizzati dall'israeliana Roboteam, un'azienda creata dai veterani dell'Idf Yosi Wolf e Elad Levy.

 A guardia delle strade
  Le telecamere montate su questo mini cingolato offrono a chi lo manovra una visuale a 360 gradi, consentendo potenti zoom per individuare i nemici anche a grandi distanze. Ma Israele lo ritiene molto importante soprattutto per le operazioni all'interno dei centri abitati. Il robot, infatti, può girare immagini dietro gli angoli delle strade lasciando i soldati al sicuro, scattare fotografie per consentire analisi successive all'intelligence e raccogliere materiale sospetto in sicurezza. Sui numeri ancora non esistono cifre ufficiali, ma Tel Aviv avrebbe ordinato dozzine di questi robot con una spesa prevista di oltre venti milioni di dollari.

(Il Messaggero, 12 settembre 2016)


Stati Uniti-Israele, l'accordo per la difesa verrà firmato nei prossimi giorni

GERUSALEMME - La firma del nuovo accordo tra Israele e gli Stati Uniti nel campo della difesa avverrà nei prossimi giorni. Lo ha confermato Dan Shapiro, l'ambasciatore statunitense in Israele, durante una conferenza che si è svolta ieri, 11 settembre presso il Centro interdisciplinare di Herzliya. Shapiro ha ribadito che l'accordo provvederà alle esigenze difensive di Israele fino al 2029, e prevede la maggiore concessione di fondi per l'assistenza alla difesa mai stanziati dagli Stati Uniti nei confronti di qualunque paese straniero. Le dichiarazioni pubbliche di Shapiro sono state le prime pronunciate su tale argomento da un rappresentante di Washington nel corso delle ultime settimane. All'inizio del mese di agosto sembrava che tutti i dettagli dell'accordo fossero stati concordati e che la firma fosse questione di giorni. Tuttavia, da allora sono trascorse settimane, e l'accordo deve ancora essere firmato. Secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano "Times of Israel", il valore degli aiuti statunitensi ammonta a circa 3 miliardi di dollari per anno, mentre Gerusalemme ha chiesto che questa cifra venga aumentata fino a raggiungere i 3,7 miliardi di dollari. Le fonti citate dai media israeliani parlano, inoltre, di un valore extra di aiuti economici, pari a circa 300 milioni di dollari, destinati alla difesa missilistica. In totale, quindi, Israele chiede che i finanziamenti al settore Difesa ammontino complessivamente a 4 miliardi di dollari.
  Washington ha già contribuito allo sviluppo dei sistemi missilistici israeliani Iron Dome (intercettori di breve raggio), David's Sling (medio raggio) ed Arrow (lungo raggio). Secondo i precedenti rapporti, un punto oggetto di discordia sarebbe la richiesta statunitense di spendere una quota maggiore dei finanziamenti nella strumentazione militare prodotta dagli Usa. Attualmente, Israele può spendere il 26,3 per cento degli aiuti ricevuti dagli Usa per l'acquisto di strumenti costruiti dalle proprie aziende operanti nel settore della Difesa. Un alto funzionario israeliano ha spiegato il ritardo nella firma citando "problemi di natura tecnica" ancora irrisolti. Il quotidiano statunitense "Washington Post", però, attribuisce il ritardo ad una ragione differente: la Casa Bianca sarebbe riluttante a firmare l'accordo sino a quando non ne riconoscerà i meriti anche il senatore conservatore Lindsey O. Graham. Il nuovo accordo dovrebbe aumentare fino a raggiungere la somma di 3,3 miliardi di dollari degli aiuti annui concessi dagli Usa alla Difesa israeliana. Tanto Israele quanto gli Stati Uniti vorrebbero formalizzare l'accordo il prima possibile, e certamente prima della fine del secondo mandato del presidente statunitense Barack Obama. La Casa Bianca, però, ritiene di non avere a disposizione garanzie sufficienti che il Congresso non apporterà modifiche sostanziali all'accordo mediato dai due paesi. Graham, presidente della sottocommissione per le Appropriazioni del Senato, responsabile delle spese connesse all'esercizio della politica estera, ha già firmato un disegno di legge che aumenterebbe ulteriormente i fondi destinati alla difesa israeliana, portandoli a 3,4 miliardi di dollari annui.
  Lo scorso 4 agosto, fonti ufficiali del governo di Gerusalemme hanno fatto sapere che Israele e Stati Uniti hanno fatto progressi "significativi" nei negoziati per i fondi decennali che Washington destinerà al programma di difesa missilistica del paese mediorientale. Dopo tre giorni di colloqui a porte chiuse a Washington, "sono stati fatti dei progressi e le divergenze sono state colmate", ha dichiarato una fonte diplomatica israeliana. "Israele e Usa sperano di raggiungere presto ad un accordo", precisa la stessa fonte che conferma le notizie circolate dalla controparte statunitense. Anche funzionari statunitensi avrebbero espresso il loro ottimismo per il raggiungimento di un accordo. Secondo quanto riferisce il quotidiano "Haaretz", la maggior parte dei punti controversi riguarda aspetti tecnici. I colloqui tra i funzionari israeliani e statunitensi sono iniziati il primo agosto, a Washington. La delegazione inviata da Gerusalemme era composta da Yaacov Nagel, presidente del Consiglio nazionale della sicurezza, da generale Amikam Norkin, comandante della direzione per la pianificazione delle Forze di difesa (Idf) israeliane, da funzionari del Tesoro e da Ron Dermer, ambasciatore israeliano negli Usa. Il team statunitense incaricato di concludere i negoziati è composto, invece, da Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale, Yael Lampert, consigliere israeliano alla Casa Bianca, Dan Shapiro, ambasciatore Usa in Israele, e da altri funzionari del dipartimento di Stato, della Difesa e del Tesoro.
  I negoziati per la conclusione dell'accordo decennale di aiuti militari che Washington garantirà a Gerusalemme sono stati caratterizzati in passato da diverse tensioni, tra cui l'ammontare degli aiuti Usa e l'opposizione israeliana all'accordo sul nucleare iraniano raggiunto nel luglio del 2015. Secondo il governo di Gerusalemme, infatti, l'accordo raggiunto tra sei potenze mondiali con Teheran rappresenterebbe una minaccia esistenziale per Israele. L'ufficio del primo ministro ha detto alla fine di luglio scorso che Israele "attribuisce grande valore alla prevedibilità e all'affidabilità dell'assistenza militare che riceve dagli Stati Uniti ed al rispetto degli accordi bilaterali". Lo scorso 29 luglio, un gruppo bipartisan di senatori statunitensi che include il candidato alla vicepresidenza di Hillary Clinton, Tim Kaine, ha chiesto al Congresso di aggiungere 320 milioni di dollari per la difesa missilistica israeliana alla versione del disegno di legge in Senato sugli stanziamenti per la difesa. In una lettera ai presidenti delle commissioni Forze armate 36 senatori sono d'accordo ad aumentare la cooperazione con Israele. "In mezzo a crescenti minacce di razzi e missili in Medio Oriente, è prudente per gli Stati Uniti e Israele avanzare e accelerare la cooperazione bilaterale in materia di tecnologie di difesa missilistica", si legge nel testo. L'aumento proposto del National defense authorization act 2017 comprenderebbe tre programmi di difesa missilistica Stati Uniti-Israele e altri acquisti dei sistemi Iron Dome.
  Lo scorso 22 giugno, il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha dichiarato che le trattative tra Gerusalemme e Washington sui fondi statunitensi da destinare alla difesa israeliana potrebbero concludersi a novembre. "Abbiamo bisogno di un buon accordo entro un tempo ragionevole e non vedo alcuna contraddizione tra i due (governi). Credo che possiamo raggiungere un accordo entro novembre", ha detto Lieberman in riferimento ai negoziati in corso per la stesura di un nuovo memorandum d'intesa della durata di dieci anni per i fondi statunitensi destinati al programma di difesa missilistica israeliano. "C'è un accordo sulla maggior parte delle questioni. Le controparti stanno cercando di migliorare le proprie posizioni sui negoziati", ha dichiarato il ministro Lieberman. In precedenza, il consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, il generale Nagel, ha riferito che le divergenze tra Gerusalemme e Washington sono "ancora vaste" perché "gli Usa offrono meno di quello che vuole Israele". Nagel ha precisato che Israele ha chiesto agli Usa una cifra compresa tra i 40 e i 50 miliardi di dollari in dieci anni, mentre la controparte ne offre 34-37 miliardi di dollari. Infine, Il consigliere per la sicurezza nazionale ha sottolineato la volontà del premier Benjamin Netanyahu di concludere l'accordo entro la fine del mandato del presidente statunitense Barack Obama, ma "non a qualsiasi prezzo". Il 14 giugno la Casa Bianca ha annunciato la totale opposizione a una proposta del Congresso di aumentare di 455 milioni di dollari i fondi destinati dal bilancio di previsione della Difesa Usa per il 2017 al programma di difesa missilistica di Israele.
  Un comunicato pubblicato dall'Ufficio di gestione e bilancio della Casa Bianca ribadisce che l'amministrazione presidenziale è "contraria all'aggiunta di 455 milioni di dollari da destinare alle acquisizioni e ai programmi di cooperazione allo sviluppo per la difesa missilistica israeliana nel 2017". Lo scorso mese di maggio, la commissione per gli stanziamenti del Senato ha suggerito di allocare 600 milioni di dollari per l'anno fiscale 2017, che rappresenterebbe un incremento di 113 milioni rispetto ai fondi destinati lo scorso anno. Le indicazioni del Senato superano di 454 milioni di dollari la cifra prospettata dal presidente statunitense Barack Obama. Precedentemente anche l'American Israel public affairs committee (Aipac), un gruppo di pressione statunitense noto per il forte sostegno allo Stato di Israele, ha manifestato la sua "profonda disapprovazione" per l'opposizione della Casa Bianca all'aumento di 455 milioni di dollari di fondi per il programma di difesa missilistica israeliano. L'Aipac ha sottolineato "l'importanza dei finanziamenti statunitensi nel settore della Difesa", soprattutto alla luce delle tensioni regionali. "I programmi di cooperazione, che includono i progetti Iron Dome, Arrow e David's Sling, sono critici per la Difesa israeliana per contrastare una crescente varietà di minacce missilistiche e danno un importante contributo ai programmi di difesa missilistica statunitensi", si legge nel comunicato dell'Aipac.

(Agenzia Nova, 12 settembre 2016)


Corbyn e l'accusa di antisemitismo. Rifiuta l'invito ad andare in Israele

A un anno dalla sua elezione il gradimento del leader è al minimo. La denuncia dell'ex consigliere politico: «Lui e il suo entourage sono condizionati da un anti-imperialismo frenetico che ha come obiettivo lo Stato ebraico e l'America».

di Monica Ricci Sargentini

 
Jeremy Corbyn

A un anno dal suo insediamento alla guida del labour Jeremy Corbyn affronta nuove accuse di antisemitismo. Prima c'è stato il no all'invito dei laburisti israeliani per una visita al museo dell'Olocausto, poi sono arrivate le dichiarazioni dell'ex consigliere politico Joshua Simon: «Dopo aver lavorato sei mesi con Jeremy Corbyn mi è apparso chiaro quello che lui e il suo entourage pensano del popolo ebreo, condizionati da un frenetico anti-imperialismo che si concentra sugli Stati Uniti e Israele».

 Il saluto
  Simon, che è ebreo, ha accusato un uomo dello staff di Corbyn, Seumas Milne, di aver chiesto la rimozione di un saluto in ebraico per la Pasqua da un discorso del leader perché l'avrebbe fatto sembrare «sionista». E ha anche rivelato che ci fu grande resistenza alla sospensione dell'ex sindaco Ken Livingstone dopo le sue dichiarazioni su Hitler e l'appoggio agli ebrei.

 La smentita
  Dall'ufficio di Corbyn è arrivata una secca smentita: «È assolutamente falso, quell'augurio è comparso nella dichiarazione apparsa il 21 aprile su Notizie ebraiche» ha detto un portavoce.

 I precedenti
  Ma questo è soltanto l'ultimo di una serie di episodi incresciosi che minano la credibilità dei laburisti sulla questione ebraica. Lo scorso 24 loro il leader del Labour britannico, intervenuto alla presentazione di un rapporto interno sull'antisemitismo nel suo partito, aveva spiegato come «gli amici ebrei non possono essere ritenuti responsabili di ciò che fa Israele, o il governo Netanyahu, esattamente come gli amici musulmani non devono essere considerati responsabili di ciò che fa un qualche sedicente Stato Islamico o organizzazione». Alla domanda di un reporter se il suo fosse un paragone tra Israele e l'Isis, Corbyn aveva risposto: «Naturalmente no». Ma ormai la frittata era fatta, tanto che persino il moderato Isaac Herzog, capo della corrispondente formazione politica nello Stato ebraico, ha subito chiarito come si sentisse «oltraggiato» da una simile spiegazione «scioccante» che dimostra «come Corbyn sia guidato da odio per Israele».

 I sondaggi
  Il rapporto tra la sinistra e Israele nel Regno Unito è sempre stato ambiguo ma con l'avvento dell'era Corbyn, che ha definito più volte «amici» Hamas e Hezbollah, si è addirittura accentuato. Oggi il dialogo tra il leader laburista e gli ebrei britannici è ai minimi termini. Il rabbino capo Ephraim Mirvis ha parlato di «un serio problema di anti-semitismo» nel Labour e il presidente della Board of Deputies degli ebrei britannici, la più autorevole rappresentante della comunità, pensa che Corbyn sia riluttante ad affrontare il problema. Risultato: la popolarità del leader è ai minimi termini tra gli laburisti ebrei britannici, solo il 4% è con lui mentre il 92% è con il suo rivale Owen Smith, ma anche nel resto dell'elettorato l'immagine di Corbyn è appannata. Secondo i sondaggi il Labour è dietro ai Tory di 11 punti, è il peggior risultato dagli anni '50.

(Corriere della Sera, 12 settembre 2016)


Israele: Scienziati sviluppano sistema per trarre acqua potabile dall'aria

Gli scienziati dell'Istituto israeliano di tecnologia di Haifa (Technion) hanno proposto un sistema innovativo per la raccolta di acqua potabile dall'aria. Catturare l'umidità atmosferica non è una nuova invenzione in sé, perché già esistono generatori di acqua atmosferici per uso commerciale e domestico.
Ma il nuovo dispositivo israeliano richiede meno energia per la produzione di acqua ad alta qualità rispetto ai sistemi esistenti, secondo il rapporto Environmental Science & Technology contenuto nell'American Chemical Society.
L'atmosfera contiene vapore acqueo in quantità comparabili a tutte le acque superficiali e sotterranee sul pianeta. Ma le macchine attuali che raccolgono l'acqua dal serbatoio atmosferico hanno importanti limitazioni. Infatti usano dei sistemi di refrigerazione per raffreddare l'aria e condensare il vapore, un metodo che consuma molta energia.
Il nuovo sistema progettato dagli scienziati israeliani utilizza un essiccante per separare prima il vapore acqueo dall'aria e quindi raffreddare solo il vapore. I loro calcoli dimostrano che questo approccio comporterebbe un corposo risparmio energetico rispetto al sistema standard.
La dissalazione dell'acqua di mare per osmosi inversa è una fonte potenziale di acqua fresca, ma non è applicabile in paesi che non hanno accesso al mare. Inoltre, la desalinizzazione richiede grandi investimenti di capitale in tubazioni e infrastrutture di pompaggio oltre che per il funzionamento e la manutenzione.
Come sottolinea il rapporto:
Il prodotto di questo sottosistema è puro vapore acqueo, che viene poi condensato da un sistema di refrigerazione standard senza l'onere del raffreddamento dell'aria.
Un altro importante vantaggio, secondo il rapporto, è che l'acqua proveniente da questa nuova tecnologia israeliana sarà privo di batteri presenti nell'aria poiché "la bobina del condensatore non viene a contatto con l'aria dell'ambiente, ma solo con il vapore puro che è stato liberato dalla soluzione essiccante".

(SiliconWadi, 12 settembre 2016)


Netanyahu: "La pulizia etnica degli ebrei dalla Cisgiordania è contro la pace"

E' quello che pretendono i palestinesi, ma il mondo fa finta di non capire

In un video postato venerdì sulla sua pagina Facebook, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha replicato senza giri di parole agli attacchi di chi sostiene che la presenza di ebrei israeliani in Giudea e Samaria (Cisgiordania) ostacola la pace. Netanyahu ha detto che il principale ostacolo è, in realtà, la volontà della dirigenza palestinese di imporre in qualunque accordo di pace una vera e propria "pulizia etnica" degli ebrei da quei territori....

(israele.net, 12 settembre 2016)


Il gruppo di poker che ha salvato oltre 1300 ebrei durante la seconda guerra mondiale

di Marco Zanini

 
Oggi parliamo di una partita a poker tra amici che ha salvato la vita a milletrecento persone! Pochi giorni fa la rivista "Tablet" ha pubblicato un articolo parlando di un gruppo di amici pokeristi, tra cui Dwight Eisenhower, futuro presidente USA, che ha salvato più di milletrecento ebrei evacuandoli a Manila, durante la seconda guerra mondiale.
   Manila, capitale delle Filippine, era il fulcro delle operazioni della "campagna delle Filippine" complesso di operazioni militari che vide l'esercito americano in coalizione con quello filippino contrapposto a quello giapponese. Nei rari momenti liberi si giocava a poker tra amici a casa di quattro fratelli ebrei, che gestivano un business di sigari a Manila, il presidente delle Filippine ed un colonnello dell'esercito americano che rispondeva al nome di Dwight Eisenhower. Durante un board e l'altro, in partite che duravano fino all'alba, i giocatori misero a punto un piano di salvataggio che avrebbe evacuato oltre mille ebrei nelle Filippine. La storia inizia quando i quattro fratelli Frieder, Alex, Philip, Herbert e Morris produttori e commercianti in sigari decisero nel 1918 di spostare la loro fabbrica da New York a Manila, per ridurre i costi di produzione.
   Quando scoppia la seconda guerra mondiale, molti ebrei trovano rifugio nelle Filippine, aiutati da una politica di immigrazione particolarmente favorevole. I Frieders decidono allora di muoversi attivamente per salvare quanti più ebrei possibile.
   A quel tempo le Filippine erano ancora un possedimento coloniale degli Stati Uniti ed i quattro fratelli capiscono che per realizzare il loro progetto avevano necessariamente bisogno degli alleati americani, così di notte, quando le truppe riposavano, un gruppo di "pezzi grossi" si ritrovava a giocare a poker a casa dei Frieders elaborando piani tra una mano e l'altra. Oltre ai quattro fratelli ed al futuro presidente Eisenhower c'erano anche Manuel Quezon, presidente delle Filippine e Paul McNutt, che finita la guerra sarebbe diventato governatore dell'Indiana, allora consigliere diretto del Generale Mac Arthur, che coordinava le operazioni sull'isola. L'articolo integrale con tutti i riferimenti storici-politici lo potete leggere qui.
   Questo ovviamente non è un articolo sul poker, ma un articolo sulla storia che si è svolta anche davanti ad un tavolo di poker.

(Poker Italia, 12 settembre 2016)


Così l'anima delle parole ci svela la storia dell'uomo

E in Puglia la lingua dei Giudei era il «volgare» salentino

di Maria Pia Scaltrito

A volte non ci pensiamo più. Eppure le parole e le lingue attraversano la vita e i millenni come persone viventi. Nascondono un'anima e i suoi segreti. Si incontrano con altre lingue e se ne innamorano persino. Altre volte si avvinghiano e si addolciscono. Alcune lingue e lettere sono madri e così generano parole e mondi. Come nella lingua ebraica. Capace di muoversi dalle altitudini della lingua sacra, servita all'Eterno per costruire il mondo, alle parlate popolari della più varia umanità. Quelle che hanno animato piazze mercati e porti italiani, europei e mediterranei negli ultimi due millenni.
   Un proverbio in giudeo romanesco, una canzone in giudeo livornese, un motto ironico in giudeo fiorentino. Così, se attraversando le strade di un antico borgo toscano ci capita di sentire: «Il hamor ci casca una volta», niente stupore. Il hamor è l'asino, ma se persino lui cade una volta sola sulla pietra vuol dire che sbagliare due volte è far peggio del povero ciuco. O se un amico ci dicesse: «Laggiù mai mai fra le Nishkahot», (le nishkahot sono le cose che devono essere dimenticate), oppure «Scìadòc per via da'l tac» (silenzio, ci sono estranei!), siamone certi: la lingua è il giudeo italiano.
   «La lingua ebraica e i dialetti»: è il tema della Giornata europea della cultura ebraica 2016. L'appuntamento è per domenica 18 settembre in trentacinque Paesi europei e settantaquattro città italiane, con Milano capofila. In Puglia l'anteprima si apre a Taranto domani, martedì 13 settembre, seguita da Brindisi domenica 18. Nella cornice di concerti, musei, sinagoghe e giudecche potremmo andare alla scoperta dotta dei segreti delle ventidue lettere: quelle che il Sommo incise, intagliò, soppesò, permutò, combinò, invertì. E con esse formò gli spazi divini e l'anima di tutto il creato (quanto deve aver lavorato l'Eterno per farcelo bello). Oppure ci strapperà un sorriso udire: «avere la pìlela 'n corpo» (avere un pensiero gravoso nascosto in giudeo romanesco) ed anche che lo «demùd agùf» ( che gran mangione, con tono compiaciuto, in giudeo veneziano). Sono alcune espressioni che si ascoltano frequentando amici di familiare e antica cultura ebraica. O scorrendo le pagine di una sapidissima e ricca Grammatica storica delle parlate giudeo-italiane (Congedo 2012), composta da Marcello Aprile, dell'Università del Salento. La stessa Università di Lecce dove intorno a Fabrizio Lelli si sviluppano gli studi internazionali di letteratura ebraica. A cominciare dalla Puglia.
   Se invece avessimo tra le mani (più probabile sotto gli occhi) la più antica Mishnah al mondo integra, che si trova nella Biblioteca Palatina di Parma, siamo sicuri che scopriremmo almeno due interessanti questioni che ci riguardano. La prima, che è stata composta ad Otranto intorno agli anni '70 del 1000. La seconda, che contiene tra le glosse delle parole in giudeo salentino. O meglio in volgare salentino. La lingua che gli ebrei pugliesi parlavano ogni giorno. Parole scritte con lettere ebraiche, assai «gustose». E dunque potremmo leggervi, tra nomi più dotti, anche kananiklu (cannello), anastùle (lacci) e persino girase (ciliegie)! Ma si sa. A volte ce ne dimentichiamo. Le parole sono i volti i sorrisi le speranze i rifiuti. Sono l'anima di una cultura che spesso si è innamorata di altre culture. Altrettanto spesso se ne è distaccata, esiliata o sconfitta. Chi vuole incontrarla deve entrare dalle sue parole. Vive.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 12 settembre 2016)


La camminata "Attraverso la memoria"

Tanti in valle Gesso hanno ricordato la traversata degli ebrei in fuga da St. Martin Vésubie del settembre 1943

di Vanna Pescatori

 
Un momento della commemorazione di domenica 11 settembre

VALDIERI - «Abbiamo saputo della vostra commemorazione annuale ''Attraverso la memoria'' per ricordare l'esodo degli ebrei di St. Martin Vésubie nel settembre del '43. Siamo rimasti impressionati da questo modo di ricordare, perché è un bellissimo esempio di "sentire la storia'' e non solo di "conoscere la storia'' affinché non si ripetano i fatti che accaddero appena pochi decenni fa. Purtroppo non potremo partecipare alla camminata dell'11 settembre, ma vogliamo esprimervi in questo modo la nostra solidarietà e i inviarvi i nostri saluti antifascisti come Antifascisti di Amburgo, Germania». Queste parole lette su un foglio hanno accolto oggi (domenica 11 settembre), al Pian della Casa sopra le Terme di Valdieri, i partecipanti alla XVIII camminata «Attraverso la memoria», organizzata da Sandro Capellaro dell'associazione Giorgio Biandrata di Saluzzo.

 Colle Ciriegia
  Molte persone hanno raggiunto il Colle Ciriegia per ricordare la traversata degli ebrei in fuga da St. Martin Vésubie avvenuta tra l'8 e il 13 settembre '43. Tra i discorsi, due particolarmente emozionanti: li hanno tenuti Arielle e Adina Bier, giunte da Berlino dove risiedono. Sono le nipoti di Gitta Horowitz che con la sorella Chaya compì, bambina, la traversata e trovò rifugio insieme alla madre in Valle Gesso, grazie a don Brondello che per questo ricevette il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni. Le due nipoti di Gitta erano accompagnate dal padre Michael.
  Molte le presenze anche dal versante francese, fra cui il presidente dello Yad Vashem di Nizza, Daniel Mercier, che con alcuni studenti e insegnanti ha letto i nomi di tutti i bambini che non riuscirono a sfuggire all'odio nazifascista e furono deportati dal campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo. Per l'Istituto storico della Resistenza ha tenuto una riflessione Gigi Garelli, ricordando l'attualità di questa commemorazione che conduce dal passato al presente.
  Sandro Capellaro ha ricordato, infine, la figura di Charles Roman, morto il 20 maggio a New York. «Charles - ha detto - è il bimbo che compare nella fotografia riprodotta sempre sulla prima pagina del nostro volantino e immagine simbolo di "Attraverso la Memoria". Fu scattata dalla madre e Charles è il bambino caricato sulle spalle dell'adulto nella difficile impresa di scavalcare le Alpi».

(La Stampa - Cuneo, 11 settembre 2016)


Raggi sfiora l'incidente con la comunità ebraica

Dopo una serie di "sgarbi", un emissario del Campidoglio ha mediato. Ed è sfida a due per l'assessorato al Bilancio: Galloni o Canzio

di Ilario Lombardo

ROMA - Domenica pomeriggio, dal Campidoglio inviano un delegato a parlare con la comunità ebraica. Neanche il tempo di prendere le misure delle critiche piovute su Virginia Raggi dal segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino e dal Vaticano, via Osservatore Romano, che c'è un altro incidente istituzionale da scongiurare. In realtà le critiche dalla Santa Sede sono state poi ammorbidite dal sostituto della segreteria di Stato Angelo Becciu («diamole il tempo di lavorare») e da monsignor Vincenzo Paglia, presidente dell'Accademia pontificia («nessuna frizione») anche per evitare accuse di ingerenza.
   Al ghetto ebraico, nel centro della Capitale, invece da giorni si parla apertamente dello «sgarbo» del Comune. In realtà, sono una sequela di episodi, e non tanto l'assenza di Raggi al Festival della cultura ebraica, sabato sera, lo stesso giorno del forfait in Vaticano. La sindaca si è voluta ritagliare un weekend in famiglia, per rifiatare lontana dalle telecamere, e al suo posto è andato il presidente dell'assemblea capitolina Marcello De Vito. Passi per questa visita mancata: quello che davvero non è andato giù alla comunità ebraica è che Raggi non abbia trovato il tempo di portare il saluto di Roma, il 6 settembre, al feretro di Enrica Zarfati, l'ultima delle ebree romane sopravvissute all'orrore di Auschwitz-Birkenau. Non c'era lei, ma, fatto ancor più grave, non c'era nessuno del Comune. Una mancanza che è diventata macroscopica agli occhi della comunità del Tempio Maggiore di Lungotevere Cenci perché è venuta subito dopo la gaffe della foto sbagliata di Settimio Piattelli, nel tweet di omaggio di Roma Capitale a uno degli ultimi testimoni dell'Olocausto, scomparso lo scorso 27 agosto a 95anni.
   In questi giorni convulsi di guerriglia politica nel M5S sono passati in secondo piano alcuni messaggi a distanza tra gli ebrei romani e il Campidoglio. Di mezzo ci sono promesse e progetti comuni da confermare come le gite delle scuole ad Auschwitz. La comunità vuole incassare certezze, come ha spiegato il presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia dopo l'intervista al quotidiano israeliano Yedioth Ahronot in cui Raggi confermava la realizzazione del Museo a Roma. Gli annunci non bastano: «Alcune settimane fa abbiamo chiesto alla sindaca un incontro - ha ricordato Venezia - e siamo in attesa che ci riceva, anche in considerazione di appuntamenti importanti che sono ormai alle porte come il prossimo 16 ottobre, giorno in cui celebriamo il ricordo del tragico rastrellamento del ghetto di Roma».
   Da quanto si apprende in Campidoglio, a breve sarà fissata una data nella fitta agenda della sindaca ancora alle prese con il dossier nomine. Confermato che domani conosceremo il nuovo assessore al Bilancio, pare che la partita si giocherà tra Mario Canzio, Ragioniere generale dello Stato fino al 2013, e Nino Galloni, economista con posizioni critiche sull'euro molto apprezzato dai 5 Stelle a cui due mesi fa lui stesso inviò la propria disponibilità ma condizionata «a un progetto senza compromessi». Tramontata la suggestione di chiamare Antonio Di Pietro - l'ha definita «una panzana» - c'è un'altra casella importante da riempire. Ed è quella del capo di gabinetto. Circola il nome di Antonio Meola, oggi segretario generale della Città metropolitana di Napoli, ruolo che fino al 2014 ha ricoperto al Comune di Firenze, a stretto contatto con l'arcinemico dei 5 Stelle Matteo Renzi.

(La Stampa, 12 settembre 2016)


Amatrice, iniziative concrete per aiutare chi è in difficoltà

Terremoto - La solidarietà ebraica

 
"Un primo gesto di solidarietà". Così l'assessore al personale dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Franca Formiggini Anav, riassume il senso della missione dei rappresentanti dell'ebraismo italiano e della Comunità romana nei luoghi del terremoto. E in particolare a Scai, frazione del Comune di Amatrice, dove una delegazione ha portato nella giornata di venerdì solidarietà concreta alle popolazioni colpite dal sisma.
La delegazione, composta anche dalla presidente della Comunità capitolina Ruth Dureghello e dal segretario Emanuele Di Porto, ha donato ai terremotati un televisore 55 pollici, montato nella tenda adibita a mensa del campo base. E si è inoltre lungamente confrontata con i rappresentanti delle istituzioni, degli uomini della ong israeliana IsraAid (presenti sul territorio da molti giorni) e con quelli della Protezione Civile per individuare nuove iniziative di supporto. Anche nel solco del progetto lanciato nelle scorse ore, proprio assieme ad IsraAid, che porterà alla formazione di piccoli nuclei di volontariato (gruppi di cinque persone per volta) in grado di fornire assistenza.
"Vedere case distrutte e famiglie che piangono i propri cari è difficile da accettare - ha affermato Dureghello - ma noi abbiamo imparato dalla nostra storia cosa voglia dire ripartire dalle macerie, è difficile, ma possibile. Per questo vogliamo dare il nostro aiuto affinché queste persone possano tornare a vivere sicure e con il sorriso come meritano".
"Con il capo campo della Protezione Civile - spiega Formiggini Anav - abbiamo cercato di individuare le esigenze primarie. Sono così emerse diverse necessità, tra cui quelle di lampade alogene di ricambio per l'illuminazione notturna del campo; di frigoriferi per la conservazione di frutta e verdura; di una casetta di legno per creazione di uno spazio bimbi protetto e riscaldato; di un paio di computer per gli adolescenti; di container per le famiglie che effettivamente trascorreranno l'inverno nel campo".
Per poter partecipare e ricevere informazioni sull'iniziativa lanciata con IsraAid è possibile inviare una mail a segreteria@ucei.it (oggetto: Terremoto con UCEI e IsrAID), inserendo nel testo le proprie generalità e una breve nota biografica se si ritiene di avere competenze utili a riguardo.
Per le donazioni è possibile versare un'offerta su un conto corrente speciale, intestato all'UCEI
IBAN - IT42B0200805205000103538743
CAUSALE: offerta per emergenza terremoto 240816

(moked, 11 settembre 2016)


Destinazione Shanghai: il viaggio degli ebrei verso l'Oriente in 60 foto

Una mostra con foto e documenti inediti racconta la fuga di 18 mila ebrei d'Europa: apre il 18 settembre al Memoriale della Shoah

di Paola D'Amico

1943 - Il Ghetto di Shanghai

Quando le ambasciate chiusero le loro porte dappertutto e i Paesi amici — inclusi gli Stati Uniti — le frontiere, rimase un unico luogo dove potersi rifugiare e senza bisogno di un visto: Shanghai. Nel 1933, all'indomani dell'avvento del nazismo, e durante la seconda guerra mondiale, si calcola siano arrivati in Cina 18 mila ebrei dalla Germania e dai Paesi occupati dai nazisti e dai loro alleati in Europa centrale.
   Dal 18 settembre, in coincidenza con la XVII Giornata Europea della Cultura Ebraica di cui quest'anno Milano è la città capofila in Italia, apre al Memoriale della Shoah la mostra «Gli ebrei a Shanghai» che presenta documenti e testimonianze inedite. «Si tratta di un episodio quasi sconosciuto nel nostro Paese —spiega Elisa Giunipiero, coordinatore dell'allestimento della mostra con l'Istituto Confucio e le Università Cattolica e Statale —, che getta luce sull'universalità della solidarietà: quella della Shoah è una storia certamente europea che però non ha lasciato indifferenti molti cinesi di allora ma ha creato legami, intrecci e scambi». La mostra fotografica — sessanta immagini in bianco e nero raggruppate in quindici grandi pannelli tematici oltre ad una decina di teche con documenti originali — racconta i viaggi dei rifugiati, le tappe del loro insediamento nella nuova terra, l'organizzazione dell'istruzione, infine la creazione del ghetto.
   A Shanghai era già presente una comunità ebraica. I primi ebrei che vi giunsero furono i sefarditi originari di Baghdad. E nel 1920, nel distretto di Hongkou, era già stata costruita una sinagoga che poteva ospitare 700 fedeli. Durante la guerra, le vie di fuga verso l'Oriente non furono sempre le stesse. Gli esuli partivano su navi da crociera dai porti di Genova e Trieste, o attraversando i paesi balcanici lungo il Danubio. E ancora, dal giugno del '40, quando la rotta che collegava Shanghai all'Italia via mare fu bloccata, arrivarono via terra attraversando la Siberia e passando dalla Cina nord orientale. Finché anche la Russia non entrò nel conflitto. E non ci fu più una via di fuga. Molti provenivano alla Polonia e dalla Repubblica Lituana, compresi quattrocento insegnanti e studenti della Mir Yeshivah polacca, la scuola religiosa. Il massiccio afflusso terminò con il bombardamento giapponese di Pearl Harbour, nel dicembre 1941. E quando i Giapponesi alleati dei nazisti invasero la Cina, gli abitanti di Shanghai e i rifugiati ebrei «diedero una dimostrazione di solidarietà che lega l'intera umanità». Solo nel luglio 1942, quando il comandante della Gestapo in Giappone si recò a Shanghai e propose la «soluzione finale» alle autorità nipponiche, gli ebrei furono confinati nel distretto di Hongkou trasformato in ghetto. Roberto Jarach, vicepresidente della Fondazione per il Memoriale della Shoah aggiunge: «Abbiamo accolto la proposta dell'Istituto Confucio, ritenendo che nell'ambito del tema della giornata della cultura ebraica, il cui tema è "Lingue e dialetti ebraici", fosse un altro esempio di come la lingua non sia un ostacolo. Il popolo ebraico ha sempre dimostrato di adattarsi in qualsiasi realtà».

(Corriere della Sera - Milano, 11 settembre 2016)


"Per la Sharia in Svizzera non c'è posto"

Il presidente del PPD Gerhard Pfister è contrario al riconoscimento dei musulmani come Chiesa statale, lo statuto di cui le comunità religiose storiche godono in alcuni Cantoni.

BERNA - Il presidente del PPD Gerhard Pfister è contrario al riconoscimento dei musulmani come Chiesa statale, lo statuto di cui le comunità religiose storiche godono in alcuni Cantoni. "In molte manifestazioni dell'Islam si manifesta un rapporto altamente problematico con lo Stato di diritto", argomenta il consigliere nazionale di Zugo in un'intervista pubblicata oggi dalla Zentralschweiz am Sonntag.
Prima di poter discutere di un riconoscimento pubblico, i rapporti tra Islam e Stato vanno chiariti, dice Pfister, aggiungendo che un "diritto parallelo, chiesto oggi da alcuni musulmani, in Svizzera non può diventare realtà. Per la Sharia in Svizzera non c'è posto". Il presidente del PPD auspica pure vigilanza sul finanziamento delle moschee.
"Dobbiamo anche evitare che movimenti politici stranieri generino discordia in Svizzera". A questo scopo Pfister vedrebbe di buon occhio la limitazione del diritto di manifestare per partiti esteri.
È ad esempio preoccupante che la Turchia possa esercitare una forte presenza politica in Germania, aggiunge il presidente dei democristiani svizzeri facendo riferimento alla recente dimostrazione di sostenitori del presidente Recep Tayyip Erdogan a Colonia.
Negli ultimi tempi anche il presidente del PS e consigliere agli Stati Christian Levrat si è espresso sul tema chiedendo che i Cantoni riflettano sulle modalità di riconoscimento dell'Islam. Per il friburghese gli enti pubblici eviterebbero così "di lasciare la formazione e il finanziamento di imam a cerchie straniere e forse fondamentaliste".
In Svizzera la regolamentazione dei rapporti tra le comunità religiose o le Chiese e lo Stato è di competenza dei Cantoni. Ogni Cantone ha definito i rapporti tra comunità religiose e Stato nella Costituzione o in apposite leggi in base alla sua specifica storia. Si va dalla separazione assoluta tra Stato e Chiesa (Ginevra e Neuchâtel fino al riconoscimento di una Chiesa statale (ad esempio a Zurigo).
Nell'ambito delle revisioni costituzionali avviate in diversi Cantoni, il rapporto tra comunità religiose e Stato è attualmente sottoposto a verifica. La questione nuova che emerge sempre più spesso è quella dello statuto sociale delle comunità religiose - prevalentemente non cristiane, come ad esempio i musulmani - che si sono recentemente insediate nella Confederazione.

(Corriere del Ticino, 11 settembre 2016)


Cosa vedere in Israele: documenti d'ingresso, mete e città da non perdere

Su cosa vedere in Israele si potrebbero scrivere molti libri, che non basterebbero per descrivere nemmeno l'1/4 di tutte le bellezze di questo antico Stato.

 
Che vi siano tanti dubbi su cosa vedere in Israele e molti turisti che si recano nella Terra Promessa soffrano di un vero e proprio imbarazzo della scelta è noto da troppo tempo. L'antica terra israelita, al centro d'attenzione a causa di sempre frequenti scontri armati con gli abitanti della vicina Palestina, ospita molti luoghi d'importanza mondiale in cui ogni anno si recano migliaia di pellegrini e semplici curiosi di scoprire l'antico fascino delle terre israeliane. Tuttavia, ancor prima di gettarsi alla scoperta di cosa vedere in Israele, bisogna conoscere le modalità valide per il rilascio del visto turistico. Fortunatamente, il Governo dell'Israele è molto ben predisposto nei confronti dei turisti europei. I viaggiatori provenienti dall'Italia, per questo, non hanno bisogno del visto turistico.
   Basta avere con sé il passaporto del cittadino italiano valido per almeno 6 mesi dal momento dell'arrivo nell'aeroporto. Il permesso di entrata nello Stato israeliano verrà rilasciato dagli ufficiali di frontiera, previo il pagamento di una piccola tassa. E una volta in Israele, ci si può dedicare completamente alle varie attrattive culturali e turistiche che questo antico Stato è in grado di offrire ai viaggiatori. Si consiglia d'iniziare la scoperta dalla città di Gerusalemme, un centro urbano divenuto simbolo del Cristianesimo in Europa. Oltre ai molti musei locali, alcuni dei quali d'importanza internazionale, una buona idea potrebbe essere di andare a fare visita al quartiere arabo di questa città. Preferibilmente di prima mattina, quando le strade del quartiere sono ancora semi-vuote.
   Al primo mattino i raggi solari cadono in questo quartiere in un modo del tutto particolare, dando l'apparenza di trasformare tutto ciò che toccano in oro puro. E non molto lontano dal centro del quartiere si trova la famosa moschea, la cui spianata è divenuta celebre. Si potrebbe anche entrare nella moschea per vederne i decori interni. Sempre nel quartiere arabo di Gerusalemme, vi è anche un altro luogo assolutamente da visitare. Si tratta dell'ostello austriaco del pellegrino, situato proprio nel cuore del quartiere arabo e in piena via crucis. Il luogo si chiama The Hospice of the Holy Family e in via originaria era nato come un rifugio per i pellegrini austriaci nel primo decennio del '900. Oggigiorno, invece, è un vero e proprio ostello aperto a tutti. Perché non entrare dentro per vedere come lo hanno allestito?
   Inoltre, sempre nell'ostello del pellegrino austriaco ci si può fermare per assaggiare il caffè viennese in pieno cuore d'Israele. Anche questa è un'esperienza che si consiglia di provare per capire quanto sia grande il mondo. E se ci si stancasse di camminare per i quartieri di Gerusalemme alla scoperta dei suoi musei e di attrazioni uniche, si potrebbe prendere in considerazione l'idea di recarsi all'interno della Torre di Davide. All'interno di questo immenso edificio si può apprendere la storia dello Stato d'Israele dall'alba dei tempi e fino ai giorni nostri. Certamente, è un'esperienza che costa un po', ma è senz'altro qualcosa che ogni turista in Terra d'Israele dovrebbe provare. Del resto, lo spettacolo di luci allestito è davvero grandioso. Al calare della sera, invece, Gerusalemme si trasforma e diventa una città completamente diversa da quella odierna.
   Le strade locali sembrano divenire più affascinanti e misteriose, se illuminate soltanto dalla luce dei lampioni. E le mura delle case israeliane assumono un tutt'altro fascino. Così, passeggiare per i quartieri di Gerusalemme al calare del sole può considerarsi come una vera e propria esperienza mistica che non bisogna dimenticarsi di svolgere. Altresì, a Gerusalemme è anche possibile incontrare la movida notturna dei ragazzi locali. Essi formano una perfetta unione con gli antichi edifici israeliani. Il giorno dopo ci si può recare al mercato di Mahane Yehuda. Si tratta di uno dei posti più antichi di Gerusalemme. Qui si possono vedere le antiche tradizioni ebree, comprare degli oggetti in Israele a prezzi molto equilibrati, oppure farsi rapire dai mille profumi e dai colori dei cibi tradizionali degli abitanti d'Israele.
   Da non trascurare assolutamente il lato gastronomico, perché oltre a sapere cosa vedere in Israele, bisogna imparare a conoscere cosa mangiarci. Vi sono vari piatti molto particolari e assaggiarli può essere un'esperienza davvero speciale. Quindi ci si può spostare verso Tel Aviv. Questa città è molto moderna e ha un carattere prettamente diverso da Gerusalemme. Si dice, che Tel Aviv abbia due anime: una fatta di case piccole e vecchie, e l'altra composta da enormi grattacieli che si ergono sulla natura circostante. Dentro la città vi sono varie attrazioni molto particolari. Vicino a Tel Aviv sorge un'altra delle città che bisogna visitare una volta in Israele, ovvero Jaffa. Qui c'è una vita notturna davvero particolare, che non si deve trascurare se si cerca del movimento. La visita in Israele si può concludere con la fortezza di Masada, un'antica costruzione sulle sponde del mar Rosso.

(Si Viaggia, 11 settembre 2016)


Antisemitismo e sport: attenzione a Inter-Hapoel del prossimo 15 settembre

Antisemitismo e sport: L'antisemitismo è una piaga che ormai ha infettato anche il mondo dello sport. Dopo il triste spettacolo del 5 settembre scorso, quando alcuni tifosi della nazionale azzurra hanno fatto il saluto nazista durante l'esecuzione dell'inno nazionale israeliano, prima della partita Israele-Italia per le qualificazioni ai mondiali di calcio 2018, è importante restare vigili in previsione della partita casalinga dell'Inter in Europa League, che giocherà con la squadra israeliana dell'Hapoel Beer Sheva a San Siro, il prossimo 15 settembre. Sono state annunciate attraverso volantini manifestazioni di intolleranza nei confronti dei ragazzi israeliani, che invece vanno sostenuti, perché sono ambasciatori dei valori dello sport: valori di pace, uguaglianza e tolleranza. Che provenga da una direzione o dall'altra, l'antisemitismo deve essere sempre stigmatizzato dalla parte sana della società civile.

(IMG Press, 11 settembre 2016)


Israele dedica l'oscar della scienza a Rita Levi Montalcini

di Eleonora Gitto

Il governo di Israele ha deciso di dedicare l'oscar della scienza alla grande Rita Levi Montalcini.

Il premio Nobel per la medicina 1986, Rita Levi Montalcini, è la figura scelta dal governo di Tel Aviv per istituire un premio internazionale della scienza.
Alla nipote della scienziata italiana, Piera Montalcini, è arrivata una missiva in cui, tra l'altro, si legge che l'oscar israeliano della scienza sarà assegnato "a uno studioso israeliano di alto profilo nell'ambito delle attività istituzionali finalizzate alla cooperazione scientifica e tecnologica tra Italia e lo Stato di Israele".
Il Premio Oscar della scienza di Israele avrà cadenza annuale.
Dal 10 al 14 settembre si tiene a Roma la nona edizione del Festival internazionale della letteratura e della cultura ebraica.
Ed è in questi ambienti che si vocifera che la prima edizione dell'oscar israeliano della scienza si terrà a Tel Aviv agli inizi del prossimo mese di novembre.
La personalità cui sarà conferito l'ambito riconoscimento sarà scelta tra gli scienziati che, come scrivono dal Ministero degli Affari esteri israeliani, si sono contraddistinti nella ricerca scientifica sul modello della studiosa italiana premiata col Nobel '86.
Titolo ufficiale del riconoscimento israeliano, dunque, "Premio Rita Levi Montalcini". Ovviamente il premio non sarà una statuetta, a una medaglia artistica recante in un lato il titolo del premio e il volto stilizzato della scienziata, e nell'altro lato il nome dello studioso premiato con la motivazione.
Piera Levi-Montalcini ha commentato: "Una notizia bellissima ed emozionante, di grande prestigio che onora mia zia e la comunità scientifica italiana e che cade significativamente nel trentesimo anniversario dell'assegnazione del Premio Nobel a mia zia, una ricorrenza che, per di più, sarà contrassegnata da una mostra storico-fotografica sulla mia famiglia che sarà inserita tra gli eventi organizzati per il Festival internazionale della cultura ebraica 2016".

(Italia Globale, 11 settembre 2016)


E' Yair Lapid l'anti Netanyahu

Con voto oggi partito centrista avrebbe più seggi del Likud

L'anti Netanyahu potrebbe essere Yair Lapid, leader centrista all'opposizione, ex giornalista, ministro nel precedente governo del premier, ora dato per vincente in due recenti sondaggi elettorali. Se oggi si tenessero le elezioni - ha rivelato una ricerca diffusa su Canale 1 - Lapid e il suo partito ('C'è Futuro') otterrebbero 27 seggi in Parlamento contro i 23 del Likud di Netanyahu che ne ha avuti 30 nel passato voto. Una vittoria in parte a spese dei laburisti di Isaac Herzog che, secondo il sondaggio, passerebbero da 24 a 11. La scorsa settimana, un'altra ricerca ha indicato che il partito di Lapid è ora, per la prima volta, la maggiore formazione politica in Israele: in nuove elezioni riceverebbe 24 seggi mentre il Likud, perdendo un quarto dei suoi votanti, scenderebbe a 22. Anche in questo caso il sondaggio indica i laburisti al palo con 13 seggi. In entrambi i casi i voti persi del Likud passerebbero agli altri partiti di destra. Se così fosse per Lapid sarebbe complicato diventare premier.

(ANSAmed, 11 settembre 2016)


Ecco tutti gli islamici nemici dell'Italia

Dossier
Jihadisti, religiosi, fanatici, lupi solitari e foreign fighters. Le indagini (e le storie) sui 115 stranieri pericolosi cacciati dal Paese
Espulsi da Alfano
A 15 anni dall'11 settembre, le nuove minacce. Alcuni sono arrivati via mare, tanti avevano il permesso di soggiorno

Condannati per terrorismo, predicatori, ìndottrinatorì, aspiranti foreign fighters e imam. C'è di tutto nella lista dei 115 fanatici dell'Islam espulsi dal 1 gennaio 2015 ad oggi dal ministro dell'Interno, Angelino Alfano. È l'Islam radicale italiano, quello che ha aderito all'Isis e prima ancora ad Al Qaeda, che ha voluto mettere le sue radici in Italia nel tentativo di portare avanti il jihad. Un panorama in cui spiccano due soggetti in particolare, arrivati con gli sbarchi dello scorso luglio e collegati, secondo gli investigatori, alla milizia jihadista Jabhat Al Nusra. Si tratta di Hassan Bln Ahmed Bln Belgasern e Osama Ben Amor. Entrambi di nazionalità tunisina partiti dalle coste libiche a bordo di una barca con 140 persone. Una volta arrivati al porto di Pozzallo, in Sicilia, sono stati intercettati e controllati. L'esito delle verifiche ha confermato che in mezzo ai profughi si nascondono potenziali terroristiche sfruttano le rotte dei migran-
ti per arrivare in Europa. Ma non solo. Le posizioni dei due tunisini hanno evidenziato che la tratta di esseri umani è gestita, in qualche modo, dagli jihadistì, Anche sulla base delle testimonianze raccolte dagli investigatori, infatti, è stato possibile accertare che i due erano legati ad un elemento di spicco della milizia che avrebbe gestito lo sbarco dei migranti. Nell'elenco, poi, tanti sono titolari di permessi di soggiorno per motivi di lavoro o studio, sono compresi i nomi di numerosi detenuti di fede musulmana, che proprio in carcere hanno manifestato la loro adesione all'ideologia dell'Isis. In alcuni casi si tratta di radicalizzati che hanno provveduto ad indottrinare altri soggetti e compagni di prigionia. Nella lista non potevano mancare gli imam che predicano la dottrina più radicale, e che proprio nelle numerose moschee sparse sul territorio nazionale hanno pronunciato sennoni di fuoco contro l'Occidente. Fra. Mus.

Redjep Ljimani, macedone (San Zenone degli Ermellini - Treviso). Segnalato per la sua adesione a posizioni estremiste ed antisemite.
Abdessamad Chaouaa, cittadino belga di origine ma - rocchina. E sospettato di essere un foreign fighter.
Younes Boucenane, algerino (Bologna). Era accreditato quale imame in stretti rapporti con altri elementi ultraradicali.
Karim Sassi, sedicente cittadino libico (Viterbo). Segnalato quale soggetto radicalizzatosi a seguito diindot - trinamento compiuto da un altro ex detenuto tunisino.
Nabil Ougui, marocchino (Civitavecchia - Roma). In carcere ha pronunciato frasi inneggianti ad Allah lasciandosi andare anche a pesanti esternazioni contro la Francia.
Mourad ben Gouta, tunisino (Padova). Trovato in possesso di un coltello e di uno smartphone con immagini di uomini armati e la frase in arabo «la molotov non va bene perché solo Dio può punire col fuoco».
Bledar Ibrahimi, albanese (Pozzo d'Adda- Milano). Era vicino all'ideologia jihadista nonché intenzionato ad unirsi alle milizie dell'Isis.
Mohamed Hachemi Triki, tunisino (Latina). Aveva distribuito, vicino ad una moschea di Latina, materiale movimento Hizb-i-Tahrir. Aveva anche documenti riferibili all'Isis.
Ibrahim el Mansoury, marocchino (Chieti).Avevamanifestato pubblicamente simpatie per l'ideologia jihadista e per l'Isis, approvando le azioni dell'Isis ed esprimendo l'intenzione di recarsi in Siria.
Ahmed Akhdim, marocchino (Oristano).All'interno del carcere di Sassari si era imposto come predicatore. Nel carcere di Oristano, aveva anche inneggiato all'Isis.
Mustapha Mars Ghziel, marocchino (Potenza). Fermato per un controllo si è rivolto ai militari affermando di «appartenere all'Isis» e minacciando di «tagliare la testa agli italiani».
Hossem Rahim, tunisino (Perugia). Segnalato dall'intelligence quale sostenitore dell'Isis.
Mohamed Kabous, marocchino (Ragusa). Durante una perquisizione in carcere è stato rinvenuto il giuramento solenne al jihaddeimusulmani.
Abdelkarim Abdelwahed, tunisino (Trapani). Segnalato dall'intelligence per aver manifestato segnali di radicalizzazione e simpatie per lo Stato Islamico, nonché l'intenzione di unirsi alle sue milizie.
Khalid Meissour, marocchino (Lucca). E' stato segnalato dall'intelligence come estremista e pronto a raggiungere iterritori di conflitto.
YassineBouzaiene, tunisino (Piacenza). In carcere aveva esultato alla notizia degli attentati compiuti a Bruxelles nel marzo 2016.
Nadhir Benzekkour, algerino (Siena). Segnalato dal Dap tra i soggetti a rischio di radicalizzazione nonché per proselitismo all'interno della struttura carceraria di Siena.
Abdelghani Lahyati, marocchino (Piacenza). In carcere di Piacenza era stato notato per aver inneggiato alle azioni terroristiche dell'Isis minacciando di voler far esplodere un aereo.
Soufiane Mouzahir, marocchino (Torino). In carcere aveva esulttao dopo gli attentati dell'Isis.
Mhamed Cherouaki, marocchino(Parma). Segnalato perchè in carcere aveva esultato alla notizia dei recenti attentati compiuti a Bruxelles.
Mohamed Jarmoune, alias Mohamed Al-Amazighi, marocchino (Brescia). Arrestato per addestramento ad attività con finalità di terrorismo internazionale.
Zhour Loumiy e Brahim Khachia, coniugi marocchini (Brunello - Varese). Arrestati per partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale.
Said el Mansour, marocchino (Pisa). La polizia penitenziaria lo ha segnalato come soggetto potenzialmente a rischio di radicalizzazione.
Shahad el Kunani e Karim el Kunani, fratello e sorella iraniani condannati per il reato di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione.
Youssef el Ghazali, marocchino (Verona). In carcere aveva inneggiato all'Isis e manifestato un forte sentimento di odio verso gli occidentali.
Allai Nahal, marocchino (Mantova). In carcere aveva proferito parole di vendetta nei confronti del popolo italiano e in particolare delle forze di polizia, «inneggiando all' 11 settembre».
Naim Saghari, tunisino (Brescia). Esaltazione dello Stato Islamico e propensione al martirio talidafarintravedere la possibilità della sua prossima partenza per la Siria.
Hasan Mahamud, bengalese (Grado-Gorizia). Segnalato in ambito internazionale quale utente facebook abitante a Bologna con simpatie per l'Isis.
Abdellah Baabi marocchino. In carcere, nel novembre 2015, guardando un servizio in televisione sugli attentati di Parigi, manifestò compiacimento per le stragi compiute dai terroristi.
Yaser Abdulkarim Souad Fadel, siriano, residente nel Regno Unito. Arrestato all'aeroporto di Orio al Serio poiché trovato in possesso di un passaporto bulgaro intestato ad altra persona. Sul cellulare aveva le foto di un uomo armato (il fratello deceduto in Siria) nonché alcuni passaporti siriani riferibili a soggetti diversi.
IssamRhayour, marocchino (Cremona). In carcere era inserito nella lista dei soggetti «attenzionati» dal Dap.
Salah Briji, cittadino marocchino (Cles-Trento). Aveva fatto irruzione nella chiesa di Cles (TN), inveendo contro i fedeli e urlando espressioni di avversione alla religione cattolica.
Mohammed Madad, marocchino (Noventa Vicentina - Vicenza). Imam della moschea di Noventa Vicentina, era emerso all'attenzione per il suo orientamento salafita.
Najib Kachmat, marocchino. Indagato per aver scaraventato a terra danneggiandolo, lo scorso 12 luglio, un crocefisso di legno all'interno della chiesa di San Geremia, nel centro storico di Venezia.
Radoine Raggani, cittadino francese residente Francia. Monitorato oltralpe in quanto «individuo che presenta turbe psichiatriche, aderente alla tesi dell'islamismo radicale».
Aftab Farooq, pakistano (Vaprio D'Adda - Milano). Aveva aderito all'ideologia estremista inserendosi in un circuito relazionale di utenti web dediti all'apologia dell'Isis.
Rachid Nkhili, marocchino (Fidenza - Parma). Segnalato dall'intelligence perchè aveva postato sul suo profilo facebook immagini di orientamento salafita e contenuti che ne hanno evidenziato l'attrazione nei confronti dello Stato islamico.
Hassan Bin Ahmed Belgan Belgasem, tunisino. Sbarcato a Pozzallo il 21 luglio scorso. È stato accertato il suo collegamento con un elemento di spicco dell amilizia jihadista Jabhat Al Nusra.
Osama Ben Amor, tunisino. Sbarcato a Pozzallo il 21 luglio scorso. anche per lui è stata accertato il suo collega - mento con un elemento di spicco della milizia jihadista Jabhat Al Nusra.
Saimir Hidriaut Sajmir, albanese (Ferrara). Tra i suoi contatti telefonici sono emersi collegamenti con alcuni foreign fighters.
Hachemi Ben Hassen Hosni, tunisino, imam della moschea di Andria (Bari). Arrestato nel giugno 2013 per il reato di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale. Condannato nel 2015 alla pena di 5 anni e mesi 2 di reclusione.
Romdhane Ben Chedli Khaireddine, tunisino (Bari). Condannato nel 2015 per associazione con finalità di terrorismo anche internazionale, inneggiava al jihad.
Bilel Chihaoui, tunisino (Pisa). Segnalato per il forte orientamento ideologico verso l'estremismo islamico jihadista, aveva legami con due noti foreign fighters deceduti in Siria.
Chaouki Jaidi, tunisino (Novara). Imam. Svolgeva attività di proselitismo religioso in chiave ultraradicale.
Abderrahim El Khaoua, marocchino (Novara). Imam. In collegamento con altri radicalisti islamici, nei suoi sermoni ha sempre propagandato contenuti marcatamente salafiti improntati alla completa chiusura nei confronti della cultura occidentale.
Hmidane Fagrouch, marocchino (Treviso). Imam, si è rifiutato di prestare giuramento per il conferimento della cittadinanza italiana.
Mohamed Hamdi, tunisino (Roma). Voleva andare in Siria per unirsi alla jihad.
Ahmed Rashad Ahmed Moussa, egiziano (Milano). Sui social network aveva manifestato il desiderio di unirsi allo Stato islamico. In contatto con jihadisti nel Sinai.
Brahim Ben Salah, tunisino (Novara). Estremista in contatto con ambienti dell'Islam radicale, anche in patria.
Khalil Guentouri, marocchino (Milano). Era in contatto con altri estremisti, tra cui alcuni già espulsi, divulgava sul web materiale propagandistico dell'Isis.
Muhammad Usman Khan, pakistano (Bolzano). Divulgava sul web la propaganda jihadista.
Resim Kastrati, kosovaro (Cremona). Voleva andare in Siria. Sul web ha esultato dopo l'attentato al giornale francese Charlie Hebdo.
Faqir Ghani, pakistano (Macerata). Rigido osservante della dottrina wahabita, condivideva sul web contenuti radicali.
Youssef Amin, marocchino (Torino). A settembre 2014 aveva manifestato l'intento di «sgozzare americani e inglesi».
Hichem Bouafia, tunisino (Roma). Voleva andare in Siria ed era in contatto con il gruppo terroristico Ansar Al Sharia.
Mohamed Saleh Abdalla Abdelfattah, egiziano (Milano). Segnalato come appartenente ad un ristretto sodalizio di noti estremisti islamici. Voleva andare in Siria. Segnalato anche per l 'inammissibilità in area Schengen.
Oussama Khachia, marocchino (Varese). Dal 2008 era monitorato per i suoi collegamenti ad ambienti estremisti. Aveva aderito all'ideologia jihadista dello Stato islamico.
Sahbi Chriaa, francese di origine tunisina (Genova). Pluripregiudicato e islamista radicale. In Francia aveva scontato 9 anni di carcere per omicidio.
Mustapha Saboouhi, marocchino (Comiso). Sui social network inneggiava alla jihad. Voleva partire per la Siria.
Khalid Nasrollah, marocchino (Reggio Calabria). Sul web condivideva materiale sull'uso e maneggio delle armi. Durante un fermo di polizia ha manifestando disprezzo verso le istituzioni italiane e approvazione per l' operato dell'Isis.
Yassine Frendi, franco-algerino (Napoli). Monitorato per aver esternato l'adesione all'ideologia jihadista. Rimpatriato più volte.
Ajeti Muhabi, kosovaro (Grosseto). Aveva espresso compiacimento per l'operato e l'ideologia dell'Isis. Su Pace book aveva postato ma - teriale inneggiante al jihad e proclami di Abu Bakr Al Baghdadi.
LekbirelBasraoui, marocchino (Bolzano). Segnalato per l'attività di proselitismo svolta in carcere.
Khalil Jarraya, tunisino (Ravenna). Condannato per associazione con finalità di terrorismo internazionale. Dal 2003 era inserito nella lista Onu dei soggetti collegati ad Al Qaeda.
Adel Dali, tunisino (Venezia). In carcere gli è stato sequestrato materiale di propaganda dello Stato islamico.
Ahmed Riaz, alias Humayum, pakistano (Brescia). Monitorato per i suoi legami con altri connazionali sospettati di appartenere ad un'organizzazione riconducibile alla rete pakistana di Lashkar e Tayyba.
Imed BenAmmar, tunisino (Como). Dal 2013 monitorato in carcere perchè a rischio di radicalizzazione religiosa.
Kais Bibar alias Bibari Kais, tunisino (Venezia). Segnalato in carcere perchè a rischio di radicalizzazione religiosa.
Abdelaziz Taieb, tunisino (Belluno). In carcere aveva evidenziato un atteggiamento estremista.
Abdelmounaim Haida, marocchino (Capannori). Imam della moschea di Capannori e titolare di carta di soggiorno a tempo indeterminato. In alcune recenti lezioni, aveva palesato chiari sentimenti di odio verso i kuffar (miscredenti) manifestando la sua adesione a posizioni jihadiste. E' stato rimpatriato il 27 marzo 2015.
Mohammed Rmaili, marocchino (Cavallermaggiore, Cuneo). Spiccata propensione verso posizioni estremiste, voleva raggiungere lo Stato islamico. Dopo gli attentati di Parigi del 2015, ha espresso soddisfazione per le azioni terroristiche.
Ahmed Soua, tunisino (Vercelli). In carcere era emerso il suo atteggiamento estremista ed antioccidentale.
Khalid Smina, marocchino (Imola). DAl 2007 era noto per la sua appartenenza alla rete di Khalil J arraya.
Ghazì Jouini, tunisino (Verona). Molto attivo sul web aveva palesato il suo sostegno allo Stato islamico.
Mohamed Jouni, tunisino (Verona). Condivideva con il fratello Ghazi il circuito relazionale nonché la radicale interpretazione della religione islamica ..
Yar Iqbal, pakistano (Prato). Frequentatore della moschea di Prato, si era distinto per una visione fortemente conservatrice dell'islam, manifestata anche attraverso azione di persuasione/indottrinamento di suoi connazionali.
Hamza El Adlani, marocchino (Alessandria). In carcere ha mostrato una rigorosa adesione alla religione islamica, soprattutto in occasione dell'attentato avvenuto in Francia a gennaio 2015.
Kamel Ben Mould Hamraoui, tunisino. Detenuto in regime carcerario di massima sicurezza poiché coinvolto in indagini per la sua appartenenza ad ambienti del radicalismo islamico.
Saber Mansouri, tunisino (Perugia). Si era reso protagonista di un rapido e preoccupante percorso di radicalizzazione.
Arslan Osmanoski, macedone (Pordenone). Su posizioni radicali ha frequentato il centro islamico di Pordenone presenziando agli incontri con l'estremista bosniaco Bilal Bosnic.
TarakBenBrahim, tunisino (Ragusa). A gennaio 2015 è stato indagato per associazione con finalità di terrorismo.
Abdellah Abid, marocchino (Modena). Detenuto a rischio di radicalizzazione religiosa, per aver esultato in occasione degli attentati di Parigi del gennaio 2015.
Alban Elezi, albanese (Brescia). Indagato per tentativo di arruolamento per finalità di terrorismo.
Brahim Aboufares, marocchino (Savona). Indagato per arruolamento di persone per il compimento di atti con finalità di terroristiche e pubblica istigazione a commettere atti di terrorismo.
Noureddine el Maaroufi, marocchino (Reggio Emilia). Aveva espresso l'intenzione di rapire uno dei suoi figli per portarlo con lui in Siria dove sarebbe andato a combattere.
Mourad Chihaoui, tunisino (Piacenza). In carcere aveva affisso sulle pareti della cella scritti in arabo inneggianti alla figura di Osama Bin Laden ed ai mujahedin.
Adrian Kollcaku, albanese (Città di Castello - Perugia). Si era distinto all'interno della comunità islamica locale per la visione radicale della religione musulmana.
Jasmin Kollcaku, albanese (Città di Castello - Perugia). Insieme al marito Adrian, è risultata impegnata nella diffusione del messaggio estremista ai fini di proselitismo.
Mevait Kokora, kosovaro (Casole d'Elsa - Siena e Udine). Indagato perchè sospettato di far parte di un gruppo di soggetti, tutti di origine balcanica, e di orientamento radicale.
Diana Ramona Medan, romena (Renon - Bolzano). Attiva online nella pubblicazione di materiale di propaganda jihadista e nella diffusione di contenuti pro Stato Islamico, aveva espresso il desiderio di combattere a fianco dei mujaheddin.
Jamai Edezzaz alias Jamai Ahmed, marocchino (Livorno). In carcere aveva dichiarato di appartenere all'Isis.
Inayat Shah, pakistano (Sassari). Indagato per il reato di associazione con finalità di terrorismo e favoreggiamento dell'immigrazione irregolare.
Sofiane Mezerreg, algerino (Vicenza). Imam della moschea a Schio, predicava l'adesione ad un islam scevro da contaminazioni occidentali.
Mehdi Ben Nasr, tunisino (Reggio Emilia).Condannato per il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale in relazione al suo coinvolgimento in una rete di integralisti islamici, riferibile all'organizzazione Hizb ut Tahrir, che reclutava combattenti da inviare in Iraq.
Usman Ghani, pakistano (Civitanova Marche Macerata). Indagato per il reato di associazione con finalità di terrorismo e favoreggiamento dell'immigrazione irregolare.
Nasreddine Ben Khelifa, tunisino (Ivrea). In carcere aveva manifestato sentimenti antioccidentali. Nella sua cella, inoltre, sono state rinvenute scritte inneggianti all'Isis.
Valmir Bytyqy, kosovaro (Milano). Segnalato dall'intelligence per la sua vicinanza all'ideologia jihadista.
Soufiane Kachani, marocchino (Prato). Aveva manifestato disprezzo per l' occidente, raggiungendo un profondo livello di radicalizzazione jihadista.
Abdelali Bouirki, marocchino (Bologna). Portava avanti l'indottrinamento online mediante la distribuzione di materiale relativo a prediche e proclami ideologici di orientamento jihadista.
Said Razek, marocchino (Bologna). Era il destinatario dell'azione di indottrinamento svolta da Bouirki.
Abdelkrim Kaimoussi, marocchino (Bologna). Indottrinato da Abdelali Bouirki, è stato trovato in possesso dello stesso materiale.
Mourad El Hachlafi, marocchino nato a Parigi (Bologna). Legato aAbdelali Bouirki condivideva la visione estremista dell'islam.
Kamel Ben Hamida, tunisino (Vimercate).Aveva aderito all'ideologia dello Stato islamico. Era disposto al martirio.
Adii Lamyassar, marocchino (Sassuolo). Indagato per il reato di associazione non finalità di terrorismo.
Amine Ghayour, marocchino. Coinvolto nell'operazione che ha smantellato un gruppo di estremisti localizzato in Lombardia e sospettati di aver costituito un'associazione confinalitàdi terrorismo internazionale.
Chawki Sassi, tunisino (Catania). Segnalato per i suoi commenti di approvazione dopo agli attentati di Parigi durante un'intervista andata in onda durante la puntata del programma «L'aria che tira».
Ismail Imishti, kosovaro (Brescia). Segnalato da fonti di intelligence come finanziatore/sostenitore di mujahidin da inviare in teatri di conflitto.
Zija Bakija, macedone (Grosseto). Segnalato perchè in procinto di compiere un'azione ostile sul territorio nazionale.
Ghaith Abdessalem, tunisino (Lecco). È fratello del foreign fighter Ghassan. È stato accertato che aveva aderito all'ideologia jihadista, manifestando il desiderio di unirsi all'Isis.
Abdelali Tahir, marocchino (Bologna). Segnalato dall'intelligence per il suo impegno sui social network nella propaganda a favore dello Stato Islamico e per i suoi commenti positivi all'indomani dell'attentato di Sousse del 26 giugno 2015.
Adii Bamaarouf, marocchino (Monselice - Pordenone). Segnalato perchè aveva minacciato di mettere in atto imprecisate azioni terroristiche e manifestato l'intenzione di andare in Siria.
Mahmoud Hosny Mohamed Abou Seda, egiziano (Rimini). Mentre si trovava in carcere, ad alta voce, ha detto: «Li dobbiamo far fuori tutti, prima i francesi, poi anche gli italiani», mimando il gesto della pistola.


(Il Tempo, 11 settembre 2016)


Le algerine del goalball disertano il match contro Israele alle paralimpiadi

"Abbiamo perso l'aereo"

"E' un interessante resoconto quello che ci hanno consegnato", ha detto ironico il portavoce del Comitato paralimpico Craig Spence, sottolineando che la squadra avrebbe potuto fare in tempo anche in barca. Aperta ufficialmente un'inchiesta Tweet Rio2016, doping: la Federazione canoa stoppa 5 atleti russi. C'è anche il campione Dyachenko Doping, Cio: altri 45 positivi a Olimpiadi Pechino e Londra Doping, Tas respinge ricorso: per la squadra russa di atletica niente Giochi di Rio Wada: doping di Stato in Russia dal 2010 al 2015 Coinvolti tutti gli sport 11 settembre 2016 Il Comitato internazionale paralimpico (Cip) ha aperto un'indagine sul mancato arrivo a Rio de Janeiro della squadra algerina femminile di goalball (gioco di palla per ciechi) in tempo per una partita con Israele. Le atlete e i due tecnici hanno detto di aver perso l'aereo, ma ci sono sospetti che la squadra Algeria abbia voluto boicottare la partita contro Israele, a causa delle tensioni di lunga data tra i due paesi. I componenti della squadra dovevano volare in Brasile dal loro ritiro in Polonia lunedì ma hanno riferito di aver perso l'autobus che doveva portarli a perdere il volo. Poi non sono riusciti a riprenotare in tempo un nuovo volo a causa del giorno festivo in Algeria. "E' un interessante resoconto quello che ci hanno consegnato", ha detto ironico il portavoce del Comitato paralimpico Craig Spence, sottolineando che la squadra avrebbe potuto fare in tempo anche in barca.

(RaiNews, 11 settembre 2016)


Lottare per la libertà: il grande compito che ci ha lasciato la Fallaci

La nostra editorialista, amica della scrittrice, la ricorda tra passioni politiche e vita privata.

di Fiamma Nirenstein

 
E'ormai diventato quasi un luogo comune ripetere che l'Oriana aveva ragione. Ci si stupisce, con tante polemiche, tanto scandalo, tanta persecuzione. Forse adesso il coro di stupefatto rimpianto e ammirazione generale diventa un impedimento a identificarla pienamente come una scrittrice e una mente poliedrica e profonda.
   Tutte le guerre di Oriana erano guerre sante e ben condotte, non solo quella all'Islam e al terrorismo. Piccola, con quei vestiti da signora fiorentina, la gonna scozzese e il twin set, e pronta nell'armadio, fino all'ultimo, la tuta Kaki per partire «embedded» su un carro armato- Non c'era angolo dell'universo politico in cui Oriana non agitasse la sua fiaccola scintillante, trascinando l'interlocutore in un labirinto di idee in cui lei si offriva generosamente come guida, capo supremo, sacerdote. Oriana faceva venire il cardiopalma, ti eccitava, ti sgridava, ti lodava: a me lo fece venire letteralmente, una notte prima di una mia visita finii al pronto soccorso cardiaco a New York. Dopo l'11 di settembre ero diventata uno dei suoi interlocutori su Bin Laden e in genere sull'Islam, spesso mi chiamava in Israele alle due di notte con una domanda improvvisa.
   La vita pratica, specie durante la malattia che durò 15 anni, le era di impaccio al volo ideologico continuo che lei puntigliosamente nutriva di cultura, citazioni, nomi e date. Era consapevole di essere graziosa, sempre con la virgola nera sui begli occhi. Un giorno andò perduto il caviale beluga: «L'avevo comprato per te, dov'è? Dove l'ho messo eppure deve essere in frigorifero». No, in frigorifero l'Oriana non l'aveva messo. L'aveva cacciato nel cassetto delle posate il giorno avanti ... e così, addio, era andato a male, e mi preparò due ottime uova al tegamino. Lei rise e si arrabbiò. Si arrabbiava sempre di più per i tradimenti, le minacce, la sofferenza del cancro che ormai, e se ne pentì, non curava quasi più perché correva verso l'appuntamento impostole dalla storia: essere la profetessa dell'invasione islamica e la fustigatrice della neghittosità occidentale.
   I tre piani della casa browstone al 222 della 6lesima erano per quanto possibile la succursale (e viceversa) della magione vicino a Greve in Chianti dove si rifugiava anche a costo di quel maledetto viaggio aereo, così lungo senza sigarette. Anche la sigaretta era per lei un apologo di libertà, nessuno doveva romperle le scatole mai, in niente, anche se e quando le faceva male.
   Così va letta Oriana, come una leader e anche un'enciclopedia nella sempiterna guerra per la libertà, come donna e come cittadino; anche tutta la sua ultima guerra contro l'Islam militante che ci vuole soggiogare, contro Eurabia, contro la vigliaccheria del politically correct che si rifiuta di coniugare la parola Islam con «violenza» e tantomeno con «terrorismo» è tutta contro i lacci del totalitarismo che opprime le donne e la libertà di pensiero e di religione.
   Libertà è la parola chiave. Senza questo valore così specifico, così occidentale la vita non vale la pena di essere vissuta. Il nemico non è solo l'Islam che vuole sottometterci, ma quello che è nazifascista come diceva lei. Aveva fatto la resistenza da staffetta, quasi bambina, portando armi e messaggi, aveva visto morire i suoi amici ed era rimasta partigiana e patriota. E benché vivesse ogni nemico come nazifascista la sua vis rivoluzionaria, lei la viveva in maniera del tutto irrituale, dato che davvero non era di sinistra, e tanto meno comunista. Anzi, i comunisti la rivoltavano, da Pol Pot ai russi totalitari: li minacciava di «prenderli a calci nel culo», come diceva con vezzo toscano.
   Oriana sfoggiava una incantevole scrittura fiorentina (teneva tre dizionari sul tavolo, curava spasmodicamente la punteggiatura) e esibiva la sua attitudine da dura, sembrava una John Wayne alla fiorentina, da «antica signora» e da guerriera.
   Firenze e America: erano i suoi due poli geografico-ideologici: «... fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento. Fiorentina è la mia cultura e la mia educazione. All'estero quando mi chiedono a quale Paese appartengo rispondo: Firenze. Non Italia». E per quella Firenze si precipitò come un San Giorgio contro il drago, per difendere Santa Maria del Fiore, il campanile di Giotto, la torre del Mannelli dove aveva combattuto i tedeschi col padre e dove voleva «morire in piedi come Emily Bronte». È a Firenze in realtà che comincia la sua lotta contro l'invasione islamica, a seguito dell'occupazione da parte di immigrati somali dello spazio sacro fra il Duomo e il Battistero, fra il Campanile di Giotto e la Porta del Paradiso del Ghiberti. Oriana lotta con le unghie e con i denti contro il sacrilegio e contro i vigliacchi pusillanimi e stupidi che non lo impediscono: «L'arcivescovo che non si pronuncia, i turisti che si sorprendono, i cittadini che si offendono». Quello che la Fallaci otterrà dalla difesa della sua città sarà il rifiuto di attribuirle il riconoscimento del Fiorino. Una vergogna. Qui comincia la strada di Oriana che trova tutto il suo significato nella Rabbia e l'Orgoglio e La Forza della ragione, la sua impavida resistenza al politically correct che diventa poi minaccia di morte. Dalla nuova ferita a ciò che ama, cioè agli Stati Uniti con le Twin Towers, Oriana trae la determinazione ad andare a fondo anche nell'approfondimento del tema Islam. È stato colpito il suo amore, perché I'America è libertà: «Se non si fosse scomodata a fare la guerra a Hitler e a Mussolini oggi parlerei tedesco ... se non avesse tenuto testa all'Urss oggi parlerei russo ... È un paese da invidiare perché nasce dall'idea della Libertà sposata a quella dell'Uguaglianza. Non ne parlavano nemmeno i rivoluzionari della Rivoluzione Francese, dato che sarebbe cominciata ne1789, ossia tredici anni dopo la Rivoluzione americana, che scoppiò nel 1776».
   Oriana pensava che Firenze fosse la città più bella del mondo, che gli Usa fossero la nazione più entusiasmante, che il suo mestiere fosse il più significativo, il suo amore per Panagulis il più alto e poi disperato dopo la morte, le sue battaglie quelle senza le quali un uomo non è un uomo. Si chiama identità, un dono sublime, e anche lotta senza quartiere per difenderla quando sia minacciata, significa sapere, un po' sfacciatamente, cosa si è e per che cosa si vive e quanto costa. Ha descritto tutto questo per filo e per segno, e ha denunciato il terribile sforzo di andare valorosamente fino in fondo studiando e riportando quel che vedeva anche mentre stava morendo. Da giornalista, da scrittrice. Da Oriana, l'unica.

(Giornale Controcultura, 11 settembre 2016)


Libri ebraici in monastero

Il primo lotto di opere restaurate porta la firma delle monache benedettine del monastero di Rosano. Un luogo molto amato e frequentato dal cardinale Ratzinger.

di Adam Smulevich

Le acque tumultuose dell'Arno colpirono con la loro violenza un po' ovunque: il centro storico devastato in ogni sua strada e in ogni sua piazza, l'immenso patrimonio artistico e museale mai così vulnerabile, decine di vite innocenti spezzate. Ma anche una prova collettiva di solidarietà e di rinascita che, sotto la guida del sindaco Piero Bargellini, capace di unire tutti oltre ogni appartenenza e differenza, avrebbe emozionato il mondo intero.
   Una lezione quanto mai viva in una realtà, Firenze, che si dimostra ancora una volta laboratorio di un dialogo vivo. Un dialogo in cui l'esperienza dell'incontro riesce spesso a traghettare verso uno stadio successivo, trasformandosi in slancio e concretezza progettuale.
   Ne è una conferma lo sforzo propedeutico a una delle iniziative più attese nel vasto calendario di eventi legati al cinquantenario dell'alluvione che vedrà, ancora una volta, il capoluogo toscano al centro della scena: il ritorno in città della grande biblioteca ebraica danneggiata dall'Arno nel novembre del 1966, protagonista all'interno di una mostra che sarà ospitata nei locali della Biblioteca nazionale centrale dal prossimo 27 ottobre («E le acque si calmarono», il titolo, con citazione della Genesi).
   Un'iniziativa con un doppio messaggio simbolico: innanzitutto il fatto che Firenze riaccolga, alcuni decenni dopo, testimonianze documentali che erano state smistate in alcuni archivi esterni - come quello del Centro bibliografico dell'Unione delle comunità ebraiche italiane a Roma - ma anche il fatto che realtà molto diverse tra loro cooperino per un fine comune. Tra cui una comunità religiosa, costituita da un gruppo di monache benedettine, che sta contribuendo all'impresa con passione e professionalità.
   Il primo lotto di opere restaurate su impulso della Fondazione beni culturali ebraici in Italia, che ha ideato e organizzato la mostra su iniziativa del suo vicepresidente Renzo Funaro, in piena sintonia con il presidente Dario Disegni, porta infatti la firma delle suore del monastero di Santa Maria a Rosano, struttura benedettina del comune di Rignano sull'Arno nota per essere stata, fino alla sua elezione al soglio pontificio, luogo privilegiato di residenza del cardinale Joseph Ratzinger. Il porporato, che vi soggiornò molteplici volte, conquistato dalla serenità e dalla bellezza del luogo, vi arrivava di solito il sabato, si tratteneva la notte nella foresteria e il giorno successivo celebrava la messa.
   Oltre a questa, il convento ha un'altra caratteristica degna di nota: quella di mantenere in funzione un laboratorio di restauro di pergamene e libri antichi di primo ordine. E grazie a questo, infatti, se le monache di Rosano sono oggi al centro di un complesso lavoro di squadra che, partendo dal mondo ebraico fiorentino, ha allargato sempre più il raggio d'azione nella società. «Ci siamo rivolti al convento di Rosano sapendo di andare sul sicuro. Una scelta mirata che vuol anche rappresentare un contributo piccolo ma comunque tangibile nel rafforzamento del dialogo interreligioso e della reciproca conoscenza. Nella consapevolezza che quello toscano è da sempre un territorio ricettivo per sfide di questo tipo» ha spiegato l'architetto Renzo Funaro, vicepresidente della Fondazione, al portale dell'ebraismo italiano (www.moked.it).
   Tra le mani delle monache rignanesi sono così passate eleganti cinquecentine e testi redatti dalle confraternite ebraiche, che iniziarono a operare a Firenze dal Seicento.
   Ben visibile tra gli altri il timbro della confraternita Ohavè Torah ("Amatori della Torah"), i cui membri si impegnarono a fondo nello studio e nella diffusione dei testi sacri. In un volume trattato a Rosano, spiega il rabbino Amedeo Spagnoletto, che ha curato la catalogazione assieme agli studiosi Milka Ventura e Amedeo Dattilo, appare ad esempio una lunga nota manoscritta che contiene la regolamentazione dello studio dei testi ritualistici in seno a un gruppo di quindici confratelli (tutti menzionati in calce).
   Qualche numero sulla devastazione che colpì la comunità ebraica: furono danneggiati dall'alluvione novantadue rotoli della Torah in pergamena conservati all'interno della sinagoga, gran parte dei quindicimila volumi della biblioteca, gran parte dei duecento manoscritti antichi e incunaboli collocati in librerie nei locali del piano terreno rialzato del palazzo comunitario, diversi arredi sacri in tessuto pregiato e diversi oggetti di culto (in massima parte in argento). Da leggere al riguardo la memoria di Giuseppe Viterbo, storico parnas (sovrintendente) della sinagoga da poco scomparso: «Nel primo pomeriggio del giorno successivo all'alluvione - scrive Viterbo - decisi di affrontare le strade ricoperte di fango e mi recai in via Farini per vedere cosa fosse successo. Al cancello incontrai il rabbino Fernando Belgrado che, stanco e stravolto, stava uscendo dopo una mattinata di estenuante lavoro. Nonostante la stanchezza volle tornare indietro per farmi con- statare in che stato era ridotto il "nostro Tempio e il suo contenuto".
   Ho ancora negli occhi l'impressione che provai nel vedere la maggior parte delle panche rovesciate, spostate e ricoperte di fanghiglia dopo avere galleggiato nell'acqua che in quella zona della città aveva raggiunto il massimo livello».
   A essere ricordato con emozione anche l'arrivo, pochi giorni dopo, del rabbino capo di Roma Elio Toaff. A causa delle pessime condizioni in cui versavano molti rotoli, il rabbino volle che i più malmessi tra questi fossero trasportati nella capitale per essere distesi ad asciugare all'interno del Tempio Maggiore e là sottoposti a intense cure da parte di un gruppo di esperti. Riportati in seguito a Firenze, i rotoli furono accolti dalla comunità con una solenne cerimonia. Sfortunatamente, spiega Viterbo, nonostante l'intervento degli specialisti, non tutti furono recuperati. Qyelli inutilizzabili vennero così («con immenso dolore», annota il parnas) seppelliti nella porzione del cimitero comunale riservata alla comunità.
   Indimenticabile anche la figura di uno dei primi soccorritori giunti in città, il romano Luciano Camerino, sopravvissuto poco più che ventenne all'orrore di Auschwitz-Birkenau. La vista di quella devastazione gli fu fatale. «Tornato dai lager nazisti - ha ricordato in un recente intervento su www.moked.it Sara Valentina Di Palma - Luciano si era preso la rivincita sulla morte sposandosi e mettendo al mondo tre figlie. A Roma gestiva una rosticceria casher, ed era molto generoso: attivo nel Maccabi, la società sportiva della comunità ebraica, aveva a cuore non solo lo sport ma soprattutto i ragazzi, la loro partecipazione, il loro entusiasmo. Forse proprio per questo fu tra i primi ad accorrere a Firenze per aiutare. Ma quando vide il Tempio profanato dall'acqua, Luciano ebbe un attacco di cuore che non superò».
   La mostra parte da questa eredità morale per aprirsi a una narrazione ampia della secolare presenza, tra alterne vicende, di un nucleo ebraico in città. «Nel complesso esporremo oltre un centinaio di volumi, ciascuno con una sua storia e un suo perché, insieme a un vasto numero di opere d'arte selezionate dalla professoressa Dora Liscia Bemporad. Antiche suggestioni e messaggi profondi che - sottolinea Funaro - parlano anche al nostro presente».
   L'allestimento alla Biblioteca nazionale sarà suddiviso in cinque distinte sezioni tematiche: Bibbia, letteratura ebraica, ritualistica, liturgia, filosofia e mistica. Una scelta che vuol rappresentare «senza alcuna pretesa di completezza", spiega il rav Spagnoletto nel catalogo - in cui appare tra gli altri un contributo del rabbino capo Joseph Levi - un vivere e un sapere «che non è mai venuto meno a Firenze dal medioevo ai giorni nostri». Anche nei momenti di maggior tensione e difficoltà tra istituzioni (ecclesiastiche e non) e minoranza ebraica.
   Al patrimonio alluvionato sono stati aggregati alcuni scritti particolarmente significativi, come un antico manoscritto datato del Talmud babilonese, copiato in Italia nel XII secolo e restaurato per l'occasione. In esposizione anche un rotolo pergamenaceo che contiene la descrizione e i disegni dei luoghi sacri della Terra d'Israele databile, sulla base di indagini recenti, intorno alla fine del medioevo.

(L'Osservatore Romano, 11 settembre 2016)


Nuovo allarme in Francia: auto con bombole di gas vicino al centro ebraico di Marsiglia

Ancora paura in Francia: un'auto con a bordo due bombole di gas è stata ritrovata vicino al centro ebraico Bar Yohaye, nel quarto arrondissement. La zona è stata recintata e gli artificieri sono all'opera da questa mattina.
   Il ritrovamento arriva poco meno di una settimana dalla scoperta, a Parigi, di un veicolo con a bordo bombole di gas vicino alla cattedrale di Notre Dame. Una delle sospettate terroriste comparirà proprio oggi davanti ai giudici.
   «Sono 293 le persone arrestate in Francia dall'inizio dell'anno in ambienti terroristici», ha detto intanto oggi il ministro dell'interno di Parigi Bernard Cazeneuve, secondo quanto riporta le Parisien, aggiungendo: «tante filiere smantelliamo, tanti attentati evitiamo».
   L'operazione che ha portato agli arresti tra martedì e giovedì delle jihadiste che stavano progettando nuovi attentati è riuscita perché, ha precisato il ministro, «i servizi di informazione e la polizia per tutte la giornata si sono scambiati informazioni» in quella che ha definito «una corsa Contro il tempo».

(Il Messaggero, 10 settembre 2016)


Israele, attacco terroristico Isis entro sei mesi

Patto tra i terroristi di Wilayat Sinai ed al-Baghdadi per attaccare Israele a sud nella Striscia di Gaza. I terroristi sarebbero entrati in possesso di una fornitura di missili russi anticarro Kornet.

di Franco Iacch

L'esercito israeliano si sta preparando ad un imminente attacco terroristico, predisponendo una forza di intervento rapida per contrastare la minaccia lungo il confine meridionale con l'Egitto.
   Secondo i servizi segreti israeliani, il gruppo terroristico noto come Wilayat Sinai, starebbe accumulando un arsenale nel deserto del Sinai, in Egitto, a 50 miglia dal confine. I terroristi sarebbero entrati in possesso di un vecchio carro armato egiziano M60 e di una fornitura di missili russi anticarro Kornet.
   L'esercito teme che il gruppo Wilayat Sinai, branca dello Stato islamico nella penisola del Sinai, possa lanciare un'offensiva di terra a sud nella Striscia di Gaza, dal punto di ingresso nei pressi della comunità israeliana di Kerem Shalom, valico di passaggio sui confini tra la Striscia di Gaza, Israele e Egitto. Sarebbe il medesimo punto da cui è stato lanciato l'ultimo attacco jihadista nel 2012. L'esercito israeliano prevede di subire un qualche tipo di attacco entro sei mesi. Lo scenario peggiore sarebbe un raid transfrontaliero per catturare gli israeliani e riportarli oltre il confine. Tale operazione costringerebbe Israele a lanciare missioni di ritorsione o di salvataggio nel Sinai, con o senza il permesso dell'Egitto.
   Il gruppo Wilayat Sinai, precedentemente noto come Ansar Bayt al-Maqdis, si ispirava al salafismo radicale.
   Ha giurato fedeltà allo Stato islamico il 4 novembre del 2014 dopo aver abbandonato l'ideologia di al-Qaeda. Rimane attivo nel Sinai orientale. Israele ed Egitto collaborano strettamente sulle operazioni anti-terrorismo nel Sinai. Wilayat Sinai ha rivendicato l'attentato sul volo di linea Metrojet 9268 in servizio lungo la tratta Sharm el-Sheikh e San Pietroburgo-Pulkovo, in Russia. Il 31 ottobre scorso, l'Airbus A321 è precipitato sulla Penisola del Sinai con 217 passeggeri e 7 membri dell'equipaggio. Secondo la ricostruzione dell'FSB, nel velivolo sarebbe avvenuta un'esplosione causata da un ordigno rudimentale della potenza equivalente di un chilogrammo di tritolo. Lo Stato islamico non ha effettuato alcun attacco organizzato contro Israele. Sebbene sia plausibile ipotizzare che alcuni terroristi palestinesi siano stati ispirati dal gruppo jihadista, non c'è stato alcun tipo di attentato equivalente in Israele come quelli avvenuti in Europa.

(il Giornale, 10 settembre 2016)


"Io, sopravvissuto alle Brigate rosse e ai terroristi di Al Fatah"

"Trent'anni dopo ricordo ogni momento del sequestro". Virginio Carati, milanese, 72 anni, fu ferito nel settembre 1986 a Karachi. Il dirottamento finì nel sangue.

di Luca Salvi

MILANO - "Terrore a Oriente" e «Massacro sul jumbo» titolò Il Giorno. Forse non tutti lo ricordano, ma 30 anni fa 21 italiani, quasi tutti milanesi e varesini, furono tenuti in ostaggio da terroristi palestinesi di Al Fatah per 16 ore su un Boeing 747 della Pan Am sulla linea Mumbai-Francoforte. Un tentativo di dirottamento sulla pista dell'aeroporto di Karachi, nord Pakistan, che finì nel sangue. Le 20 vittime (su 345 passeggeri) furono indiane, pachistane, americane. Ma Virginio Carati, ingegnere allora 42enne, oggi titolare di una ditta di zona Certosa che costruisce resistenze elettriche, fu ferito al piede. "E ricordo ogni momento di quella notte".

- Riavvolgiamo il nastro.
  "Rientravo da una vacanza nel Ladakh, nord dell'India, con la mia compagna di allora, inglese. Scalo per il rifornimento a Karachi, salirono in quattro con le divise della polizia pachistana, armati. Pensavamo a un controllo. Ma ci fecero subito spostare sul fondo, puntandoci mitra e pistole addosso. I piloti abbandonarono la cabina dai finestrini. Una direttiva di Reagan, in caso di atti di terrorismo".

- Panico?
  Non tanto. Ho sempre avuto sangue freddo. Nel 1975 ero stato sequestrato dalle Brigate rosse. Lavoravo alla Fondazione Idi, Istituto dirigenti italiani, fecero irruzione, ci chiusero e incatenarono in bagno per rovistare in archivio".

- Cosa voleva Al Fatah?
  "Dirottare il Boeing su Cipro. Non parlavano inglese, per andare in bagno alzavi la mano. Poi a un certo punto si spensero la luce e l'aria condizionata. Fu il caos".

- Cosa successe?
  "I terroristi pensarono a un assalto delle teste di cuoio. Cominciarono a sparare all'impazzata, lanciarono una bomba a mano che rimbalzò sulla cappelliera e ci venne addosso. Io fui ferito al piede. Ci furono morti. La hostess aprì le porte d'emergenza. Mi catapultai sullo scivolo trascinando la mia ragazza, colpita all'anca e alla gamba. Centinaia di metri sulla pista col piede rotto. Non c'erano ambulanze. Ci caricarono su un'Ape fino all'ospedale civile di Karachi. Fui dato per disperso dai giornali, mi trovarono gli americani e mi trasferirono all'ospedale militare di Ramstein, in Germania. La mia compagna fu operata. Male. Perse la testa del femore. Ha scritto un libro: "Dancing in the sea'', ballando nel mare. Il titolo l'ho suggerito io. Deve camminare con le stampelle e solo nel mare riesce a muoversi libera".

- Faceste causa?
  "Alla Pan Am. Patteggiai per 69 milioni di lire, girati a lei".

- Vola ancora?
  "Certo. Mi piace girare il mondo. Anzi, ho preso il brevetto di pilota. Sono socio di Aeroclub, giro il mondo quando posso. E poi volevo farmi un'idea di cos'era successo e, confrontandomi con un ufficiale in pensione e con tecnici dell'Alitalia, ho capito la causa: la luce si spense per un guasto alla turbina di alimentazione. La Pan Am era in amministrazione controllata e non aveva fatto manutenzione su quell'aereo. Due anni dopo ci fu l'attentato di Lockerbie. E andò verso il fallimento. L'unica conseguenza negativa è che da allora mi spaventa la ressa, l'affollamento, il timore di non avere vie di fuga. E oggi ce n'è di gente fuori di testa".

- Che idea si è fatto sul dirottamento a 30 anni di distanza?
  "I dirottatori furono presi, condannati a morte in Pachistan, rilasciati. Ho cercato i documenti del processo ma sono finiti sotto segreto di Stato".

(Il Giorno, 10 settembre 2016)


Gli ebrei morti e quelli vivi

Un grande storico dell'Olocausto smonta gli alibi dell'antisionismo.

 
Yehuda Bauer

Durante una conferenza a Londra, il più grande storico dell'Olocausto, il novantenne Yehuda Bauer, ha messo la parola fine alle discussioni sulla natura del "Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni", il movimento che da anni colpisce le ragioni e gli interessi di Israele. "Il Bds non vuole una migliore Israele, non vuole nessuna Israele", ha detto Bauer in una intervista condotta dalla deputata laburista Tulip Siddiq. "Ora, naturalmente, amano gli ebrei. Soprattutto gli ebrei morti. Quelli che sono morti durante l'Olocausto sono meravigliosi, sono fantastici. Gli ebrei vivi sono un'altra cosa". Bauer ha anche inequivocabilmente equiparato antisionismo e antisemitismo, descrivendo il primo come uno slogan vuoto. "Vogliono distruggere lo stato ebraico; lo vogliono distruggere perché è uno stato ebraico. Ciò significa che sei un antisemita". Ostracismo nei confronti degli accademici israeliani nelle università europee, bullismo verso gli studenti israeliani nei campus americani, fondi pensione scandinavi che si ritirano dal mercato israeliano, catene commerciali tedesche che smettono di vendere prodotti israeliani, chiese protestanti che rinverdiscono l'accusa di deicidio, municipi spagnoli che interrompono le forniture di prodotti dello stato ebraico, musicisti (l'ultimo è Brian Eno) che dichiarano di non volere niente a che fare con tutto ciò che è israeliano: è il volto dell'odio di cui parla Bauer. Se ne è appena avuto un esempio alla Syracuse University, dove è stata annullata una conferenza di un regista israeliano, Shimon Dotan. Complice la nostra vigilanza morale che veglia sugli ebrei morti ed espone i vivi alla violenza genocida.

(Il Foglio, 10 settembre 2016)


"I boicottatori non vogliono un Israele migliore, vogliono che non via sia nessun Israele"

Bauer, massimo storico della Shoà, intervistato a Londra dalla parlamentare laburista musulmana Tulip Siddiq, del Gruppo parlamentare contro l'antisemitismo.

Il prof. Yehuda Bauer, insigne storico dell'Università di Gerusalemme, uno dei massimi esperti al mondo in fatto di Shoà, ha stroncato senza mezzi termini il movimento BDS (per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele) durante un evento, martedì scorso, presso il rinomato JW3, il Centro culturale e artico della comunità ebraica di Londra.
"Il movimento BDS non vuole un Israele migliore: vuole che non vi sia nessun Israele", ha detto Bauer in un'intervista condotta dalla deputata laburista Tulip Siddiq, citata dal Jewish Chronicle. "Oggi naturalmente adorano gli ebrei - ha continuato Bauer - soprattutto gli ebrei morti, quelli che sono stati uccisi nella Shoà: sono meravigliosi, sono fantastici. Gli ebrei vivi, invece, sono tutt'altra cosa"....

(israele.net, 10 settembre 2016)


Roma - Israelitico, in diciassette rischiano il processo

di Michela Allegri

 L'inchiesta
  Una truffa milionaria porta a un passo dal banco degli imputati dirigenti e manager dell'Ospedale Israelitico, finiti in carcere il 21 ottobre 2015 con l'accusa di aver orchestrato mega raggiro ai danni del Sistema Sanitario Nazionale e della Regione. I pm Maria Cristina Palaia e Corrado Fasanelli hanno appena firmato un avviso di conclusione delle indagini a carico di 17 persone, tra cui l'ex direttore generale del nosocomio ed ex numero uno dell'Inps, Antonio Mastrapasqua. Si tratta di un atto che, solitamente, precede una richiesta di rinvio a giudizio. Gli indagati avrebbero sistematicamente "taroccato" le cartelle cliniche dei pazienti, in modo da intascare rimborsi non dovuti. Oltre a Mastrapasqua e a una sfilza di cam ici bianchi, rischiano il giudizio anche l'ex direttore sanitario Giovanni Luigi Spinelli, il primario del reparto Ortopedia, il responsabile del servizio Urologia, e il dirigente dell'ufficio controllo appropriatezza cartelle cliniche.

 La truffa
  Dalle indagini svolte dai carabinieri del Nas, diretti da Dario Praturlon, è emerso che sarebbero state alterate migliaia di cartelle, datate 2012 e 2013. I documenti riportano infatti interventi mai eseguiti. Mastrapasqua è anche accusato di aver attestato il falso per ottenere la conferma dell'accreditamento con la Regione ed evitare sanzioni. Come si legge nell'ordinanza di custodia cautelare, il manager «in qualità di direttore generale e amm inistrativo è accusato di aver alterato lo stato dei luoghi, la destinazione degli ambienti e le attività sanitarie, per indurre in errore il personale ispettivo circa la rispondenza del presidio ospedaliero alle prescrizioni impartite nell'ambito della procedura di conferma dell'autorizzazione». Sapendo in anticipo la data delle ispezioni della Asl, gli indagati avrebbero infatti mascherato lo svolgimento di attività irregolari o non autorizzate nelle sedi di via Fulda e via Veronesi. A inchiodarli, per l'accusa, una delle frasi intercettate durante poco prima dell'arrivo dei controllori: «Farro un po' de Cinecittà... ci tocca sbaraccare tutto», dicono i manager. Che tradotto significherebbe: «Dobbiamo mettere a norma i padiglioni abusivi». Nelle sedi dell'Israelitico, infatti, per gli inquirenti ci sarebbero stati molti reparti privi di autorizzazione.

(Il Messaggero, 10 settembre 2016)


Gli ebrei ultra-ortodossi alla scoperta della tecnologia

Aperti corsi di informatica e inglese per giovani haredim. Il Rabbino Friedman: «Il mio bisnonno pose il divieto. La mia missione è riparare all'errore». Alla faccia della tradizione.

Secondo l'articolo di David Baker, per la Bbc, un sempre più crescente numero di giovani ebrei ultra-ortodossi sta rompendo con la tradizione, imparando l'inglese, seguendo corsi di informatica e di matematica e affacciandosi al mondo di internet.

 Merito di Friedman
 
Moshe Friedman, il rabbino imprenditore

 
Gli haredim violano la tradizione e studiano informatica

  Alla testa di questa rivoluzione c'è il rabbino-imprenditore Moshe Friedman che con la sua Kamatech promuove l'incontro tra i giovani haredim e le loro start-up, con potenziali investitori laici.
  Il contesto di partenza in cui l'impresa di Friedman prende le mosse non è semplice: la comunità di haredim è principalmente basata sulla tradizione, che vieta qualsiasi tipo di attività che possa distogliere dal raggiungimento della comprensione del messaggio divino.
  In base alle sacre scritture, la famiglia - ovvero il modello fondamentale della comunità - deve essere numerosa, e mentre l'uomo impiega il proprio tempo negli studi della Bibbia e del Talmud (un insieme di elaborati e scritti di commento ai sacri testi), la donna esce di casa per andare al lavoro.

 Un solo stipendio non basta
  Tuttavia, a seguito dell'aumento dei costi per il mantenimento della famiglia, un solo stipendio non è più sufficiente.
  Per questo motivo anche i padri di famiglia si mettono in cerca di un impiego.
  Impresa non facile, data la mancanza di competenze di natura scientifica e linguistica.
  Ma è proprio qui che iniziative come quelle di Friedman entrano in gioco: promuovendo corsi per haredim viene data una possibilità di colmare le proprie lacune.

 Tutta colpa del bisnonno
  Il fatto curioso è che è stato proprio il bisnonno di Moshe - allora capo rabbino di Gerusalemme - a porre il divieto agli ebrei ultra-ortodossi: «Lui pensò che la religione e la tradizione dovessero essere protette dalle influenze esterne. È stato 100 anni fa e lui ci è riuscito. Oggi, per colpa del mio bisnonno, ci sono in Israele un milione di persone tra gli ultra-ortodossi (circa il 12% del totale), che non hanno conoscenze scientifiche, che non parlano inglese. Io vedo la mia come una sorta di missione per riparare ciò che il mio bisnonno ha fatto».
  Non tutti la vedono allo stesso modo del rabbino-imprenditore, come per esempio il capo dei Guardiani della Santità e dell'Educazione nella Corte rabbinica di Bnei Brak, Mordecai Blau: «Internet è una catastrofe. Ci sono famiglie che sono fallite a causa del web, perché una comunità che è stata educata a mantenere una vita appartata ha scoperto la Rete. È liberale ed è un pericolo».

 Amish contro il progresso
  Queste dichiarazioni ricordano molto le motivazioni alla base del rifiuto del progresso di alcune comunità religiose occidentali, tra cui per esempio gli Amish.
  Questi ultimi nel loro quotidiano, così come nei loro poderi, si impegnano a custodire una vita intatta e lontana dalle tecnologie, visto che quegli strumenti di tentazione potrebbero allontanarli dal proprio modello di integrità religiosa.
  Ecco quindi che strumenti come internet e la televisione sono esclusi dalla quotidianità dei membri della comunità.

 Disponibili al dialogo
  Tuttavia occorre fare un approfondimento: come spiega John Fisher, amish di 69 anni, alla giornalista di Duerighe.it, Valentina Cordero, l'adesione a determinate regole è fondamentale per ogni individuo, ma si fa sempre una valutazione caso per caso.
  A differenza di quello che si crede, gli amish non sono chiusi, o schivi, bensì aperti al dialogo e disponibili al confronto, specie in particolari circostanze.
  Per esempio alla domanda sulla accettazione o meno delle macchine fotografiche dei visitatori, Fisher ha spiegato: «Non scattiamo mai fotografie tra di noi, nemmeno durante i matrimoni, ma capiamo anche che alcune persone, come il sottoscritto, se sono tutti i giorni a contatto con i turisti devono accettare di farsi fotografare».

 Questione di ''adeguamento''
  In questo senso le motivazioni del rabbino Friedman sono sullo stesso piano dell'approccio degli amish: la violazione del divieto è motivata dalle circostanze di sopravvivenza delle famiglie, dal contesto in cui si muovono, con il suo benessere, l'alto tenore di vita e costi sempre più alti.
  Ma mentre gli haredim scelgono di adeguarsi ai requisiti aziendali della modernità, pur preservando la propria integrità religiosa, gli amish preferiscono uno stile di vita libero dal progresso.

(Lettera43, 9 settembre 2016)


Aia - Deputato olandese di origine turca rifiuta di stringere la mano al Premier israeliano

Succede anche questo nel paese dei tulipani che come l'Italia hanno aperto le porte del parlamento a persone provenienti da paesi arabi.
Il deputato olandese di origine turca Tunahan Kuzu , contravvenendo alle più elementari regole del protocollo, si è rifiutato di stringere la mano al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante una visita alla commissione esteri del parlamento olandese.
Il Premier israeliano gli tende la mano ma Kuzu la rifiuta sorridendo mentre con la mano destra indica la bandierina che raffigura il logo arabo-palestinese che si era appuntato sul bavero della giacca.
Un sorriso beffardo che indica il senso del rispetto istituzionale che questo turco olandese ha, non tanto per Netanyahu, quanto per lo stato che gli ha permesso di arrivare fino al parlamento.
Una brutta pagina per l'Olanda tanto di spingere Michael van der Galien, direttore del sito conservatore De Dagelijkse Standaard a definire l'incidente "molto imbarazzante", sottolineando che Kuzu non ha avuto problemi a stringere la mano e difendere il presidente turco Recep Tayyip Erdogan nonostante la repressione da questi operata contro giornalisti, accademici, avvocati, giudici, militari, poliziotti, scrittori e altri.
Kuzu, è bene ricordarlo, è stato espulso dal partito laburista olandese nel 2014 per una questione riguardante la vigilanza sulle organizzazioni turche islamiche in Olanda e ha fondato una propria fazione che conta due parlamentari.
Insomma, l'estremismo arabo all'interno del parlamento olandese.
Sul volo di rientro in Israele, Netanyahu, che al momento del fatto è passato oltre Kuzu con una scrollata di spalle, ha commentato: "Oggi abbiamo avuto di nuovo un chiaro esempio di chi vuole la pace e chi non vuole la pace. Personalmente continuerò a rappresentare la posizione di Israele con orgoglio in tutto il mondo, e a rafforzare la nostra posizione internazionale".
Come dargli torto ?

(Osservatorio Sicilia, 9 settembre 2016)


Riflettori sul festival internazionale della cultura ebraica

La kermesse arrivata alla sua nona edizione. Tra le mostre quella dedicata a Rita Levi Montalcini.

di Paola Pariset

Nona edizione per il Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica, ambientato da sabato 10 al 14 settembre in vari siti del Quartiere Ebraico di Roma. Enorme ne è l'offerta culturale e scientifica: l'iniziativa parte dalla Comunità Ebraica di Roma, dall'Ambasciata d'Israele in Italia, dalle Comunità Ebraiche d'Italia ed altri enti: ed è curata da Ariela Piattelli, Marco Panella, Raffaella Spizzichino e Shulin Vogelmann. Insomma il vecchio Ghetto demolito di Roma rivivrà i momenti migliori della sua storia, attraverso la presenza di artisti, filosofi, scrittori, scienziati, musicisti.
   Occasione ne sono il centenario della Teoria della Relatività dell'astrofisico Albert Einstein- le onde gravitazionali da lui intuite sono state da poco individuate e misurate da istituti scientifici italiani e americani - ed il trentennale del conferimento a Rita Levi Montalcini del Premio Nobel per la Medicina: basterebbe ciò ad evidenziare il contributo altissimo del mondo ebraico alla scienza umana. Parteciperanno al Festival l'Istituto Weizmann e l'Università Technion di Haifa, oltre al CNR italiano: l'inaugurazione dell'evento avverrà con la «Notte della Cabbalà» (10 settembre), in cui dalle 20,45 la scienza e la mistica ebraica tenteranno una risposta alle più profonde domande dell'uomo sul mondo.
   Servirà a ciò anche la mostra «RitaLevi Montalcini. Immagini private» presentata al Palazzo della Cultura dalla nipote Piera: e dopo il dibattito di Gilad Perez e Maurizio Molinari sulla modernità di Einstein, alle 22,30 per «La Cabbalà: il cibo come energia» interverrà Yarona Pinchas, che illustrerà la tematica iniziando dalle fonti della Cabbalà.
   Nei Giardini del Tempio alle 23, Ketty di Porto e Alessandro Vantini presenteranno la pièce teatrale «Oh Dio mio!» sulla malattia di Dio fra gli uomini, portata avanti con sapida ironia, e da ultimo il Gabriel Coen Quartet e l'ospite Michael Rosen sonorizzeranno il film muto di Paul Wegener «Der Golem» (1920).
   Ma altrettanto dense saranno le altre serate: l'11 alle ore 12 «La scienza in cucina» tratterà del cibo tradizionale e di quello per gli astronauti nello spazio (con Laura Ravaioli e David Avino), che partirà proprio dal carciofo, basilare sulla tavola ebraica: ed alle 22,30 «Opera prima» rassegna proposta dalla SIAE per la promozione dei nuovi talenti, offrirà«Pranzo di Ferragosto» di Gianni Di Gregorio. Il 12 alle 19,30 la mostra «Vito Volterra». «Il coraggio della Scienza» inaugurata dal Presidente del CNR Massimo Inguscio, farà luce sul coraggio di dire «no» al Fascismo da parte del grande matematico ebreo, nel 1931.
   Il rabbino Riccardo di Segni con Lorenzo D'Avak discetteranno poi alle 21 di «Etica e Bioetica».
   Il 13, alle 20,30 protagonista sarà «Il Talmud: la scienza tra le righe», tradotto da poco: e per Opera Prima, «Mi ritroverai dentro di te» del regista Eitan Pitigliani. Il 14 in chiusura, al Palazzo della Cultura alle 21,30 la proiezione dello straordinario docu-film «Presenting Princess Shaw» di Ido Haar, che lo ha scritto e diretto per porre in luce le grandi finalità, e i pericoli delle nuove tecnologie Il Festival vedrà la partecipazione di Mauro Moretti della Leonardo-Finmeccanica, per sostenere la finalità non solo economica delle risultanze della scienza, ma etica ed umana, indi la presenza di ARSIAL, agenzia per lo sviluppo e innovazione dell'agricoltura, che porrà a confronto la produzione tradizionale - cara alla cultura ebraica e alla cucina giudaico-romanesca e kosher - e quella tecnologica destinata alle missioni spaziali. Fra le personalità che interverranno, anche Rafi Nave, Simonetta Della Seta, Edoardo Boncinelli, Alberto Caviglia, Jami Attenberg.

(Il Tempo, 9 settembre 2016)


Gaza: al via i lavori di Israele per la barriera sotterranea

Israele ha dato il via ai lavori di una nuova barriera sotterranea lungo i suoi confini con la Striscia di Gaza. Lo scopo della mossa è quella - hanno spiegato fonti della difesa citati dai media - di bloccare i tunnel di Hamas e gli attacchi ai civili israeliani. Il ministero della difesa ha approvato il piano a luglio scorso che ha un costo di 530 milioni di dollari.
La barriera sotterranea si estenderà in profondità nel sottosuolo ed avrà, sia sopra sia sotto terra, numerosi depositi. L'obiettivo è quello di proteggere tutte le comunità israeliane vicine al confine. Secondo i media si possono già notare i primi scavi lungo la zona di Shaar HaNegev in quella più prossima alla Striscia. Il sito di Ynet riferisce un commento di un alto esponente di Hamas, citato in forma anonima, secondo cui Israele "capirà che si sta scavando trappole mortali per se stessa".

(ANSAmed, 9 settembre 2016)


Putin media fra Anp e Israele col sostegno di turchi e sauditi

di Lucia Sgueglia

Vladimir Putin estende il raggio d'azione in Medio Oriente al conflitto israelo-palestinese. Il presidente palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Benjamin Netanyahu potrebbero presto convergere sul Cremlino, assegnando alla Russia un ruolo di primo piano nel tentativo di rilanciare un negoziato in stallo dall'indomani del fallimento del Segretario di Stato Usa, John Kerry, nell'aprile di due anni fa. La Russia è «disponibile» a ospitare il vertice, indicando un «consenso di massima» dei due. Dietro lo spiraglio negoziale c'è il crescente ruolo strategico di Mosca nella regione, grazie ai rapporti maturati con Arabia Saudita, Turchia ed Israele ovvero tutti Stati alleati degli Usa ma reduci da forti tensioni con l'amministrazione Obama. Ma ad ostacolare l'iniziativa russa è arrivata la rivelazione di una tv israeliana sul fatto che Mahmoud Abbas sarebbe stato in passato un agente del Kgb. La fonte è l'archivio Mitrokhin cui attinse anche l'Italia, portato in Occidente nel 1992 dall'ex 007 sovietico coi nomi di centinaia di spie russe. La data è il 1983, quando il leader di Ramallah viveva a Damasco. «Calunnie assurde», ha smentito l'Autorità nazionale palestinese. Ma il legame tra Abbas e l'Urss, come tra l'Olp di Arafat e il Politburo, è noto da tempo. Abbas si è laureato in storia all'Università Lumumba per l'Amicizia dei Popoli di Mosca, come avvenuto nel caso di altri leader «rivoluzionari» dagli anni 60 agli 80, inclusi funzionari di Bashar Assad.

(La Stampa, 9 settembre 2016)


Terremoto - Comunità ebraica ad Amatrice, insieme per ricostruire

ROMA. - La Comunità ebraica a fianco dei terremotati del 24 agosto. Si e' recata difatti oggi in visita nel campo di accoglienza di Scai, frazione di Amatrice, una delegazione della Comunità Ebraica di Roma guidata dalla Presidente Ruth Dureghello. Con lei anche Franca Formiggini in rappresentanza dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane.
L'incontro e' servito a portare solidarieta' e vicinanza da parte degli ebrei romani alle famiglie colpite dal sisma dopo che nelle scorse settimane Comunita' Ebraica di Roma e Ucei hanno dato vita a numerose iniziative di solidarieta' tra cui la raccolta del sangue, un fondo per l'emergenza e la disponibilita' dell'Ospedale Israelitico di Roma di accogliere i feriti. "Vedere case distrutte e famiglie che piangono i propri cari e' difficile da accettare - dice Ruth Dureghello, presidente della Comunita' Ebraica di Roma - ma noi abbiamo imparato dalla nostra storia cosa voglia dire ripartire dalle macerie, e' difficile, ma possibile. Per questo vogliamo dare il nostro aiuto affinche' queste persone possano tornare a vivere sicure e con il sorriso come meritano".

(AGI, 9 settembre 2016)


Dalla Russia con stupore: Abu Mazen spiava per il Kgb

Spunta il presidente palestinese in una lista di agenti datata 1983. Fatah smentisce, ma l'Olp è nata in Urss.

di Fiamma Nlrensteln

Carriera segreta
Prima di essere reclutato aveva studiato a Mosca. La sua sede era Damasco.
Legami rossi
Arafat stesso era parte della strategia sovietica anti israeliana e anti Usa.

 
Non è un buon periodo per Abu Mazen, al secolo Mahmoud Abbas, presidente dell'Autonomia Palestinese dal 2005. La sua stella è già offuscata dalle analisi che lo danno possibile perdente alle elezioni locali palestinesi del prossimo 8 ottobre; ed ecco che il primo canale della TV israeliana per opera di un giornalista famoso, Oren Nahari ha rivelato: il nome di Abbas appare nella lista degli agenti del Kgb del 1983. Lo hanno scoperto ricercatori israeliani Isabella Ginor e Gideon Remez dell'Istituto Truman della Hebrew University di Gerusalemme. Si tratta di un ritrovamento compiuto compulsando la lista dell'archivista Vasili Mitrokhin, che trascrisse a mano dagli archivi portando scompiglio in tutto il mondo. Naturalmente le smentite si sono succedute a miriadi (Nabil Sha'at, Jibril Rajoub, Sa'eb Erakat, tutti i leader di Fatah ... ), con relative accuse di manipolazione politica da parte di Israele. Anzi, Muhammed al Madani del Comitato Centrale di Fatah ha anche detto che «l'Olp ha rapporti politici con la Russia, che cominciarono quando Arafat incontro il presidente Russo nel '64».
   Altroché se ne ha. Secondo il celebre ex capo dei servizi segreti rumeni Mihai Pacepa che defezionò dopo una carriera di trame con tutti gli alleati dell'Urss, l'Olp fu proprio il frutto della strategia sovietica: essa puntava sulle organizzazioni di «liberazione» in funzione antiamericana e antisraeliana. Doveva cambiare tutto il Medio Oriente, e ci riuscì. Arafat stesso era parte di questo disegno: la sua creatura, l'Olp era come l'Esercito di Liberazione Boliviano (di Che Guevara, nel 1964), l'esercito di liberazione della Colombia (1965, Fidel Castro), l'esercito segreto per la liberazione dell'Armenia. Il Plo nacque nel 64. Abu Mazen negli anni prima del reclutamento avvenuto nel 1983 era uno studente all'università Lumumba di Mosca, proveniente da Damasco dove era parte del movimento politico «antimperialista, antisionista, anticapitalista» dell'Olp. Erano, a Mosca, gli anni di Brezhnev e poi di Andropov, siamo al tramonto dello splendore sovietico, ma Abu Mazen, che non viene denominato «informatore» ma «agente» con sede a Damasco dimostra certamente un suo particolare zelo anti israeliano nella tesi di laurea, in cui sostiene che gli ebrei uccisi nella Shoah non sono più di un milione e che fra i nazisti e i sionisti c'era una patto di collaborazione. Non sembra strano che un militante fondatore del Plo potesse diventare l'agente da Damasco, la capitale del Paese più legato all'Urss mentre l'Egitto di Sadat le sfuggiva di mano e la Giordania era filo occidentale.
   Cosa fece come agente è difficile dire, ma certo le imprese di quegli anni sono quelle dell'affermazione del Plo come motore antisraeliano e antiamericano nel mondo arabo, del consolidarsi della violenza musulmana terrorista e dell'accumulo di grandi fondi.
   Canale uno fa anche sapere che nel 1983 l'ambasciatore sovietico a Damasco era Mikhail Bogdanov, attualmente inviato speciale di Putin in Medio Oriente, mentre Putin era tenente colonnello nel Kgb. Sembrerebbe che questi rapporti, se l'ipotesi Kgb è autentica, potrebbero favorire la richiesta di Putin per un summit a Mosca fra Abu Mazen, in nome degli antichi ricordi, e Netanyahu. Abu Mazen era già in tensione per le prossime elezioni, che potrebbero, anche se locali, condurre alla vittoria di Hamas e alla definitiva irrilevanza del Presidente per una soluzione di pace.
   Questo ruolo è tramontato perché Abu Mazen, per contenere la concorrenza del partito nemico, gli ha fatto concorrenza nel sostegno del terrore, esaltando gli «shahid», intitolando loro strade, piazze, eventi pubblici, mantenendone i sopravvissuti in carcere e le famiglie dei «martiri». Inoltre, i palestinesi in genere non ne possono più, e lo si vede in continui scontri fisici con le sue milizie, del suo lunghissimo regime di corruzione e milizie. Anche Israele lo ritiene, Kgb o no, un leader consumato.

(il Giornale, 9 settembre 2016)


Basket - «Hapoel? Cercavo una panchina molto speciale»

Pianigiani riparte da Israele: «Qui c'è un palazzo da Nba e una visione sul futuro».

Simone Pianigiani

Simone Pianigiani riparte dalla Terra Santa. Una nuova sfida, intrigante, con l'Hapoel Gerusalemme. Per tornare di prepotenza nel basket che conta.

- Pianigiani, come è nato il contatto con l'Hapoel?
  «Con una chiamata diretta, e la cosa mi ha fatto piacere. Poi ci siamo incontrati a stagione israeliana finita, con l'idea di prendere un allenatore europeo che portasse avanti un progetto. C'è stato un feeling immediato che si è concretizzato in tempi relativamente brevi. Hanno un palazzo Nba, c'è entusiasmo, un brand che sta crescendo con questo nuovo proprietario negli ultimi tre anni, una visione sul futuro che prevede di diventare riconoscibili a livello continentale».

- Quali sono gli obiettivi?
  «L'Hapoel è una realtà che vuole come prima cosa implementare l'organizzazione piuttosto che aumentare il budget e questo lo ritengo importante. Io non avevo necessità o voglia di saltare sulla prima panchina che mi veniva offerta ma ne cercavo una che per sensazioni, ambiente, mi regalasse emozioni che per chi fa questo lavoro sono fondamentali. Guardavo solamente all'estero e questa opportunità mi è sembrata molto stimolante».

- Come nasce la squadra?
  «Abbiamo dovuto tener presente la regola dei due israeliani in campo in campionato. Quindi siamo partiti dall'ossatura locale con Eliyahu e Halperin, che hanno esperienza internazionale e giovani interessanti come Timor e Menco che erano con lo stage della Nazionale, con prospettive di crescita. In base a questo è stata fatta la scelta dei 5 stranieri per il campionato, che abbiamo voluto portare a 6 potendoli poi schierare tutti in Eurocup. L'idea è di avere giocatori duttili, che possano occupare ruoli diversi,con un mix d'esperienza del business europeo e anche motivazioni forti».

- Come quelle di Dyson ad esempio.
  «Esatto. Dopo lo scudetto a Sassari vuole fortemente diventare un giocatore di livello europeo. O anche Jerrells di rifare parte di un progetto di prima fascia dopo l'infortunio. O Kinsey che comunque arriva da una squadra d'Eurolega (Stella Rossa Belgrado, ndr.). Quindi un mix di esterni, non di "playmakeraggio" puro ma che possano integrarsi tra loro. Jerrells è più perimetrale, Dyson più verticale».

- Il resto del roster?
  «Abbiamo messo un'ala pivot tiratore puro come Peterson che allarga il campo ma compensa anche un pari ruolo atipico come Eliyahu. Nei centri un giovane promettente come Shawn Jones, molto allenabile con margini di crescita. Poi c'è stata l'opportunità di Stoudemire che compensa la gioventù e l'essere un rookie per l'Europa con il talento e il pedigree ma anche le motivazioni. Non è un giocatore venuto a svernare. Per lui Gerusalemme rappresenta tanto, ha l'entusiasmo di cimentarsi in un basket nuovo, portando un contributo importante. Vedere che dopo il secondo allenamento quotidiano chiedere di fare una seduta di tiro ti fa capire che per fare cose importanti, a qualsiasi livello,.devi aver dentro qualcosa di speciale. Sono io che devo frenarlo, ha comunque 35 anni, con alle spalle operazioni alle ginocchia. Una persona davvero speciale».

- Dove potete arrivare?
  «Siamo una squadra intrigante, non abbiamo il budget del Maccabi, o del Lokomotiv in Eurocup. Abbiamo tante opzioni, gente che si allena e siamo motivati. Personalmente dopo tanti anni che non facevo la preseason dall'inizio, mi fa piacere vedere il gruppo che lavora con entusiasmo e voglia di stare assieme».

- Come ha vissuto l'anno sabbatico?
  «Bene. Ho fatto altre cose, da organizzare eventi sportivi a tenere discorsi alle aziende che sono serviti anche a me per confrontarmi con ambienti diversi sulle realtà strutturali, le procedure di interconnessione tra i vari reparti. Principi che valgono nel mondo del lavoro ma ormai anche dello sport. Mi ha fatto bene. Non avrei avuto problemi ad aspettare ancora se non ci fosse stata un'offerta che m'intrigava. Ci sono state-tante squadre per fortuna che si sono fatte vive, la possibilità di scegliere ha fatto sì che sia molto contento di essere dove sono».

- Quella israeliana è l'unica federazione che non ha minacciato di escludere dal suo campionato chi fa L'Eurocup. Come vede la guerra Eurolega-Fiba?
  «Il club è stato convintissimo della scelta fatta, era pronto anche a rinunciare al campionato pur di fare l'Eurocup. Sulla querelle mi auguro che il prima possibile ci sia chiarezza e che i club abbiano la libertà di scegliere».

- Come vede la Serie A da fuori?
  «Come è da un po' di anni, tante squadre rinnovate, difficili da valutare ora. Con questa situazione delle coppe ci sono stati cambiamenti forzati sulla lunghezza del roster e su tante cose. Milano sulla carta ha ulteriormente allargato il divario. Dopo un primo anno nel quale ha rivoluzionato, è andata avanti mettendo i pezzi che cercava per perfezionare un gruppo che ha dimostrato di essere solido. Ha fatto una squadra in funzione anche della nuova Eurolega, con tante partite d'alto livello. Dietro c'è un gruppo di squadre solide, tra cui Avellino e Sassari che ho visto al torneo in Sardegna già molto rodate. La Sidigas mi sembra coperta in ogni ruolo. Ci sono Venezia e Reggio Emilia, che ha mantenuto l'ossatura italiana, un discorso tecnico importantissimo che l'ha tenuta ad alto livello negli ultimi due anni. E poi come al solito qualche sorpresa».

- Capitolo Nazionale?
  «Come dicono gli allenatori bravi che parlano per citazioni, mi appello al quinto emendamento. Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».

(La Gazzetta dello Sport, 9 settembre 2016)


Quando lo sport si fa vergogna

di Deborah Fait

Una bella partita quella Israele - Italia allo stadio Hofer di Haifa, tutto esaurito, pubblico entusiasta ed educato, tantissimi bambini anche piccolissimi... cosa strana da vedere perchè in Italia non è molto sicuro portare neonati negli stadi di calcio. Le due squadre sono state accolte da un boato di applausi, poi gli inni nazionali. Nel momento in cui sono partite le prime note della Hatikvà un gruppetto di italiani non ha trovato di meglio che alzare il braccio e fare il saluto fascista sputando sui tifosi israeliani rimasti calmi e impassibili evitando così la rissa. Lo avevo letto ieri su Facebook ma non volevo davvero crederci poi ascoltando il TG di La7 ho avuto la conferma da Enrico Mentana: "non ci crederete, ha detto con un espressione di schifo sul volto, ma in Israele alcuni tifosi italiani hanno fatto il saluto romano durante gli inni nazionali..."
   Che dire? Sì, lo so che negli stadi europei accade di peggio, pestaggi, bombe, coltelli ecc., ieri durante una partita il Chelsie ha letteralmente coperto lo stadio con bandiere palestiniste nonostante il veto di usare il calcio per manifestazioni politiche. Però alzarsi in piedi e fare il saluto fascista in Israele e sputare sul pubblico israeliano, soprattutto su chi portava la kippà, è stata la cosa più vergognosa, vigliacca e schifosa che potessero fare. Fortunatamente gli stewart dello stadio li hanno accompagnati fuori... bene così si son persi anche la partita... la polizia li ha fermati e rimandati in Italia col foglio di via. Alla fine della partita, prima di sapere quanto era accaduto, mi sentivo molto orgogliosa per come i miei israeliani avevano accolto i miei italiani in uno stadio stupendo e con grande spirito di amicizia (gli israeliani amano tutto dell'Italia).
   Gli organizzatori hanno voluto fare un minuto di silenzio in onore delle vittime del terremoto, il pubblico portava un enorme striscione per Amatrice, non abbiamo potuto sentire il breve discorso a causa degli applausi ma è stato un bel momento colmo di emozioni che sono arrivate al massimo nel momento degli inni con Gigi Buffon che cantava Fratelli d'Italia stonando come una campana insieme a tutto il pubblico che ne conosceva le parole (anche molti israeliani di origine italiana) e poi tutti a cantare l'Inno della Speranza israeliano, Hatikvà. E' stato in quel momento che una manciata di tre o quattro dementi ha alzato il braccio e si è messo a sputare. Mi vergogno per loro che saranno probabilmente soddisfatti della figuraccia fatta, spero vengano espulsi da tutti i campi da calcio.
   Riporto le parole scritte sulla mia pagina Facebook da un amico per dimostrare lo spirito sportivo di chi è venuto in Israele per assistere a una bella partita con il cuore pulito e lo spirito di amicizia come tutti gli altri 29.000 tifosi.... meno tre o quattro.
    "Ero ad Haifa a vedere la partita. Trattato benissimo, nonostante la mia bandiera della Sardegna e il cappellino dell'Italia. Questo che hanno fatto è assurdo e non li ho personalmente visti. Avevo preso i biglietti da solo e senza gruppi organizzati. Quindi ho avuto la fortuna di non avere niente a che fare con questi dementi. Ho cantato l'inno di Mameli e Hatikva anche se non sono israeliano né di religione ebraica e senza appartenere a gruppi organizzati etc etc. Mi sono goduto lo spettacolo di un bellissimo stadio e tanta gente che amava e acclamava Buffon (dichiaratamente vicino a posizioni di destra fascista) il quale rispondeva con saluti ogni volta che si levava il suo nome. Tantissimi, la maggior parte, i bambini con maglie della mia Juve (ma anche qualche maglietta ahimè della Roma e dell'Inter. Ebrei italiani (israeliani a tutti gli effetti da anni) con la maglietta dell'Italia e con l'accento romano ah ah ah ah ah! Fantastico l'ebraico con accento romano, unico. Insomma io sono stato bene e trattato bene e mi rammarico per questi PERDENTI nella vita. Shalom shalom".
Ecco lo spirito giusto sconosciuto purtroppo a coloro che questo amico definisce giustamente perdenti nella vita.
   Concludo con una bella notizia appena apparsa sul sito web del Jerusalem Post. La Repubblica Ceca ha fatto marcia indietro e Gerusalemme resterà sui libri di testo come capitale di Israele. Come si può notare protestare civilmente serve sempre quando si ha a che fare con persone per bene come i cechi. Il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha applaudito la decisione ringraziando il Governo ceco per non aver ceduto alle prepotenze palestiniste... a qualcuno del BDS sarà venuto un leggero travaso di bile!

(Inviato dall'autrice, 8 settembre 2016)


Cyber security, Israele "blindata" dalle minacce e tra i cinque paesi al top

Fonti ufficiali del paese al VELINO: Relazione triangolare unica tra Idf, mondo accademico e settore privato. Diverse collaborazioni internazionali, a settembre a Roma si tiene Cybertech Europe.

di Francesco Bussoletti e Alessandro Sperandio

 
ROMA, 8 feb, 16:49 - Negli ultimi anni Israele ha subito milioni di cyber attacchi (2 milioni in un solo giorno nel 2014 durante l'offensiva nella Striscia di Gaza) sempre più complessi ed evoluti, ma nessuno di questi ha avuto impatti sulle infrastrutture critiche della nazione o ha causato danni rilevanti. Perché? Ne ha parlato il VELINO con alcune fonti ufficiali dello Stato ebraico, che hanno delineato qual è il sistema (framework) nazionale posto in essere per affrontare le minacce informatiche. "L'Ecosistema del comparto cyber è una relazione triangolare unica tra le forze militari (le Idf), il mondo accademico e l'industria. Il tutto, chiaramente, con il sostegno e il supporto del governo - hanno spiegato le fonti -. Oltre 300 nostre aziende si occupano della materia, tanto che nel 2015 l'export di settore è stato pari a 3,5 miliardi di dollari, e detengono il 5 per cento del mercato a livello mondiale.
  L'anno scorso hanno anche effettuato acquisizioni di altre realtà per un importo totale di 1,3 miliardi e hanno effettuato investimenti per 500 milioni. Infine, ci sono oltre 25 industrie internazionali con laboratori di ricerca e sviluppo (R&D). Il 25 per cento delle start-up israeliane che si occupano di sicurezza informatica - ha ammesso la fonte - sono state create da veterani delle unità tecniche e tecnologiche dell'esercito; il 22 per cento da hacker e il 18 per cento da imprenditori del settore della Information Security. In generale - hanno proseguito le fonti - la nostra industria cyber è nata e si è sviluppata a seguito del fatto che le IDF e le agenzie d'intelligente israeliane hanno previsto i potenziali rischi derivati dall'ambito informatico e si sono mossi di conseguenza. Le forze armate, infatti, hanno istituito una serie di unità (che poi sono confluite in un unico comando) e dato il via a programmi di addestramento mirati, focalizzati su due branche principali: difesa e attacco. Per massimizzare l'efficacia della formazione, viene effettuata una rigida selezione dei candidati, tanto che è stata costituita una specie di 'forza speciale' con la missione di scovare i migliori talenti che diventeranno esperti di cyber security. Inoltre, è stato studiato una programma di apprendimento ad hoc, di breve periodo, il quale però fornisce una formazione completa e di elevatissimo livello ai militari, che poi affineranno quanto appreso presso le loro unità".

-  - Peraltro c'è un flusso costante di candidati, grazie al fatto che "una volta concluso il corso - hanno ricordato da Israele -, il militare durante il periodo di ferma prefissata avrà a disposizione il top delle tecnologie e potrà imparare le migliori tecniche operative, diventando un esperto dei più nuovi vettori di attacco e di difesa, prima che questi vengano diffusi sul mercato. Di conseguenza, una volta concluso il periodo sotto le armi, ad aspettarlo troverà un settore privato molto ricettivo nei suoi confronti". A livello "politico" Israele si è mossa già dal 2002 e poi nel 2010 il primo ministro Benjamin Netanyahu annunciò la nascita di una "national cyber iniziative" e la costituzione di una task force ad hoc, il cui compito sarebbe stato formulare piani nazionali per far sì che Israele diventasse una delle cinque nazioni leader nel campo della cyber security.
  La raccomandazione principale fatta al gruppo fu quella di istituire un ufficio nazionale cyber per promuovere tutte le attività legate al settore, coordinare le agenzie e gli uffici responsabili a vario titolo della materia e fare "advicing" al governo sulle azioni e sulle politiche legate al mondo cyber da un punto di vista ampio, considerando sia gli aspetti militari sia quelli civili. Nel 2012, inoltre, con un decreto dell'esecutivo, è stato istituito formalmente l'"Israeli National Cyber Bureau", dipendente direttamente dal premier e nel 2014 Netanyahu ha reso noto che era stata pianificata la costituzione di un'Autorità nazionale per la sicurezza informatica. Infine, la Banca Centrale d'Israele è stato il primo istituto finanziario a livello globale a intraprendere un programma di cyber difesa complesso e all'avanguardia.

-  -Non mancano nemmeno numerose collaborazioni a livello internazionale, Stati Uniti e Italia compresi, per accrescere la conoscenza del settore e mettere insieme le forze allo scopo di sconfiggere le cyber minacce. Nel primo caso è stata recentemente raggiunta un'alleanza sulla cyber defense, grazie alla firma di una dichiarazione congiunta in cui si stabilisce una connettività operativa in tempo reale attraverso i rispettivi Computer Emergency Response Teams (Certs). L'intesa è stata firmata durante l'annuale Cyber Week all'Università di Tel Aviv (dal 19 al 24 giugno 2016) dal vice segretario del dipartimento per la Sicurezza interna (Dhs) Usa, Alejandro Mayorkas, e da Eviatar Matania, a capo del Direttorato cyber nazionale israeliano (Ncd). I responsabili delle operazioni di cyber difesa bilaterali saranno rispettivamente Suzanne Spaulding, sottosegretario del Dhs per la protezione nazionale e i programmi, e Buki Carmeli, direttore della Cyber authority nazionale israeliana.
    "La dichiarazione esprime la criticità di unire le forze tra i paesi a beneficio di trattare efficacemente con minacce comuni nel settore informatico - rilevava una nota dell'ufficio di Netanyahu, che sovrintende alle attività estere della Ncd, ripresa da DefenseNews -. In particolare, esprime l'obbligo dei governi di Israele e degli Stati Uniti di ampliare e approfondire la cooperazione bilaterale nel settore della difesa cibernetica".

-  -Secondo il documento, Israele sarà uno dei primi paesi a livello mondiale a entrare a far parte dell'Automated Indicator Sharing program di Washington, un sistema gestito dal Dhs che permette la condivisione di indicatori di cyber minacce per operazioni legate alla difesa cibernetica preventive e correttive. Inoltre, i due paesi si sono impegnati a coordinare i rispettivi piani e processi per permettere la "cooperazione in tempo reale, legata alle informazioni di valore per le operazioni difensive". La National Cyber Security Authority israeliana ha cominciato a operare ad aprile, solo pochi mesi dopo che Carmeli è stato nominato a capo dell'organizzazione responsabile per le operazioni di cyber difesa dei Cert. A settembre il Computer Emergency Response Team sarà attivato a Beersheba, città del sud di Israele definita la "cyber capitale" dello Stato ebraico e "un hub globale per le cyber innovazioni". La struttura diverrà pienamente operativa entro dicembre.
  Nel secondo, è stata scelta Roma per ospitare la Cybertech Europe, che si terrà il 29 settembre in quello che si preannuncia come il più importante evento del settore della difesa elettronica nell'Ue. Nella presentazione dell'iniziativa si legge che la "recente rivoluzione cyber ha profondamente cambiato il mondo in cui viviamo. Nel corso del tempo, il mondo intorno a noi - dall'ambiente fisico alle infrastrutture critiche che forniscono le basi per la vita nelle nostre città e paesi - è diventato sempre più dipendente da sistemi di informazione e comunicazione per le attività di tutti i giorni. Insieme alle opportunità che questa dipendenza offre, dà luogo a sofisticati nemici e minacce che sono più complessi rispetto al passato" e "che vengono perfezionate e raffinate metodicamente. Di fronte a questi nemici e minacce, gli individui, le organizzazioni e gli Stati sono tenuti a produrre soluzioni uniche innovative, in grado di migliorare la resistenza e la resilienza dei sistemi sensibili su cui si basano su ogni giorno. A questo scopo, è essenziale mantenere, il costante contatto diretto con il gli ultimi sviluppi e cambiamenti del mercato informatico".
  Cybertech Europe si inserisce proprio in questo contesto. nell'occasione, i governi e le principali aziende italiane, europee e israeliane si incontreranno per discutere e analizzare le ultime innovazioni, tecnologie e soluzioni cyber. la conferenza, peraltro, fa parte di Cybertech: dal 2014 è uno dei principali circuiti di eventi legati al settore in tutto il mondo. Da Tel Aviv a Singapore, a Toronto. Tanto che la conferenza in Israele (26-27 gennaio 2016) è stata il più grande summit a livello mondiale, legato alle soluzioni cyber al di fuori degli Stati Uniti. I partecipanti sono stati oltre diecimila da più di 50 nazioni, Italia compresa; presenti anche centinaia di aziende e startup da tutto il mondo. Per quanto riguarda i nomi dei partecipanti alla tappa romana dell'iniziativa, questi saranno annunciati prossimamente.

(il Velino, 8 settembre 2016)


Pellegrinaggio alla Mecca, tensioni tra Riad e Teheran

Quasi 1,5 milioni di fedeli per l'haji

ROMA - Quasi un milione e mezzo di fedeli musulmani sono arrivati alla Mecca per l'haji, l'annuale pellegrinaggio funestato nel 2015 da una calca che ha ucciso circa 2.300 persone. Il giorno prima dell'inizio del rito religioso, migliaia di fedeli affollano già la Grande Moschea, effettuando i canonici sette giri intorno alla Kaaba, l'edificio a forma di cubo verso il quale i musulmani di tutto il mondo si rivolgono per effettuare le loro preghiere ogni giorno. E mentre la temperatura raggiunge i 45 gradi centigradi, i rubinetti dell'acqua della fonte Zamzam, miracolosa secondo la tradizione musulmana, permettono ai pellegrini di dissetarsi.
Il pellegrinaggio alla Mecca è uno dei cinque pilastri dell'Islam: un obbligo che deve essere assolto da ogni credente adulto almeno una volta nella vita, se ha i mezzi. Quest'anno, per la prima volta in 30 anni, l'Iran ha vietato ai suoi cittadini di andare in haji, sfidando la gestione saudita dell'organizzazione del pellegrinaggio dopo la calca del 2015 costata la vita a 464 iraniani.

(askanews, 8 settembre 2016)


Grissin Bon Reggio Emilia - Hapoel Gerusalemme: per chi tiferanno gli ebrei reggiani?

di Andrea Malavolti

Per qualsiasi ebreo della diaspora, compresi quelli reggiani, una sfida con una squadra israeliana con è mai una partita qualsiasi.
   Domani venerdì 9 alle 18.30 nell'ambito del trofeo internazionale di basket "Città di Jesolo" la Grissin Bon Reggio Emilia (vicecampione d'Italia nei due ultimi campionati di serie A, ndr) affronterà l'Hapoel Gerusalemme. Noi ci siamo chiesti per chi faranno il tifo gli ebrei reggiani che,come tutti gli ebrei diasporici, hanno comunque un rapporto speciale con il piccolo stato ebraico anche per la Legge israeliana del Ritorno, che permette sempre e in qualsiasi momento ad ogni ebreo della diaspora di "tornare" in Israele e di ottenere la cittadinanza israeliana. In pratica per ogni israelita, compresi quelli che vivono e lavorano a Reggio Emilia e provincia, una sfida tra la Pallacanestro Reggiana e un team di Gerusalemme avrà sempre un sapore diverso rispetto a una "qualsiasi" Reggio Emilia-Pistoia, Noi abbiamo interpellato sull'argomento alcuni ebrei - o persone che hanno comunque origini ebraiche- di Reggio e provincia.
   Il messo comunale correggese Paolo Corradini (nipote dell'israelita Claudia Teresa Defora Finzi) non ha dubbi "Per un ebreo Israele è sempre Israele. In una sfida tra una squadra reggiana e una israeliana io tiferò sempre per quella israeliana. Per cui la mia risposta è: Hapoel Gerusalemme". Alberta Sacerdoti, ex insegnante di lingua e letteratura francese di origine padovana ma reggiana d'adozione, tiferà Gerusalemme "per un motivo affettivo".Andrea Ravenna di professione impiegato,ferrarese d'origine ma correggese d'adozione, allenatore di basket e grande tifoso della Pallacanestro Reggia è categorico. "Sì è vero che per ogni ebreo italiano una sfida con una squadra israeliana non è mai una partita qualsiasi ma che c'entra? La mia famiglia ebraica è italiana dal '500. Quindi io tiferò senza ombra di dubbio per la Pallacanestro Reggiana. Sulla stessa lunghezza d'onda è:Guido Finzi, pensionato di padre ebreo: "Io sono nato, cresciuto e sempre vissuto in Italia, e per la precisione proprio a Correggio. Tra Italia e Israele tiferò sempre Italia. Quindi forza Grissin Bon".

(Super News, 8 settembre 2016)



Ascoltatelo!

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce. E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: «Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo»!

dal Vangelo di Matteo, cap. 17

 


Sospese le elezioni di ottobre in Cisgiordania

Decisione a sorpresa della Corte di giustizia palestinese. L'8 ottobre si sarebbe dovuto votare anche a Gaza.

Le elezioni amministrative nei Territori palestinesi, previste per l'8 ottobre, sono state rimandate a data da destinarsi. È quanto ha stabilito la Corte suprema palestinese, che ha fissato per il prossimo 21 dicembre una nuova udienza in cui sarà annunciato l'esito dell'esame dei ricorsi pervenuti dalle fazioni che avrebbero dovuto partecipare al voto. Questo dopo che un gruppo di avvocati palestinesi ha presentato un'istanza poiché la città di Gerusalemme è stata esclusa dalle elezioni.
   La decisione della Corte suprema giunge nel momento in cui il Tribunale di prima istanza di Khan Younes ha deciso di annullare le liste elettorali del movimento di Fatah in diverse località della Cisgiordania e quella presentata per al-Shawka, nel distretto di Rafah, a sud della Striscia di Gaza. Dal canto suo, Fatah ha respinto la sentenza del Tribunale e il suo portavoce, Fayez Abu Ayta, ha dichiarato che «il partito sta subendo una carneficina nei tribunali di Hamas». Il movimento islamico ha affermato che «il rifiuto di Fatah non ha alcun valore giuridico» e che «le sentenze dei tribunali sono vincolanti per tutti», facendo appello allo stesso tempo a «mantenere le scadenze stabilite per il processo elettorale».
   Si tratta delle prime elezioni nei territori dal 2006 anche se si tratta di elezioni locali. I palestinesi, infatti, avrebbero dovuto scegliere i rappresentanti di comuni e consigli di villaggio che avrebbero dovuto gestire servizi locali come viabilità, acquedotti, rete elettrica. Ma nonostante la caratterizzazione locale il clima pre elettorale si è subito surriscaldato con accuse di tradimenti, complotti. Un clima difficile per chi pensava potessero essere la svolta per una riconciliazione tra Hamas e Fatah. Invece la lotta per succedere al presidente palestinese Mahmud Abbas sta impedendo una riconciliazione.
   E oltre alle divisioni tra vecchia e nuova guardia ci sono le ci sono le divisioni delle famiglie, dei clan dove tutti cercano di ottenere il più possibile dalla tornata elettorale, al momento sospesa ma comunque all'ordine del giorno. Una situazione guardata con molto interesse anche all'esterno, dai paesi del Golfo, Emirati Arabi in prima fila, ma anche Egitto e Giordania. Con un convitato di pietra: i profughi palestinesi di Siria e Libano. Per loro difficilmente ci saranno elezioni, anche senza bisogno di sospenderle.

(La Stampa, 8 settembre 2016)


L'ultimo viaggio di ebrei e oppositori. Voci e note risuonano al Binario 21

Nell'anniversario dell'8 settembre

 
MILANO - L'armistizio firmato l'8 settembre di 73 anni fa segnò il destino - nel bene e nel male - di milioni di persone. Tra queste vi furono migliaia di ebrei, rastrellaci dai nazifascisti nelle regioni del Nord e deportati nei campi di sterminio. Ben pochi fecero ritorno. Nella serata di oggi (e domenica 11) il Memoriale della Shoah di Milano mette in scena lo spettacolo "I Luoghi della Memoria", una rappresentazione che racconta il destino di chi partì dai sotterranei della Stazione Centrale. Il dramma, che il Memoriale ha già ospitato con grande successo lo scorso anno, nasce da un'idea della giornalista de Il Giorno Stefania Consenti (a partire dal libro "Luoghi della Memoria a Milano", della stessa autrice) ed è stato messo in scena da Castagna Ravelli, con la regia di Paolo Castagna. Si tratta di un percorso che accompagna il pubblico nei sotterranei della Stazione Centrale, prima tappa di un tragico viaggio che coinvolse centinaia di persone stipate a forza sui vagoni merci e avviate a un destino di morte nei campi di concentramento e sterminio. Il percorso si apre con un prologo, curato dalla Fondazione Memoriale della Shoah. Gli spettatori avranno poi l'occasione di ascoltare testimonianze di sopravvissuti all'Olocausto e alla deportazione politica e operaia, recitate da attori del Piccolo Teatro e accompagnate da musiche eseguite da artisti del Conservatorio; saranno poi guidaci all'interno di uno dei vagoni conservati, luogo di reclusione dei prigionieri; infine ascolteranno Franca Nuti leggere alcune pagine sull'orrore dei campi di concentramento, e in particolare brani del libro simbolo della Shoah: "Se questo è un uomo" di Primo Levi.
  La serata di oggi vedrà la presenza di uno strumento musicale speciale: è il violino della Shoah, appartenuto a una giovane donna torinese, Eva Maria, sfollata a Tradate e qui catturata per essere deportata su un convoglio partito dal Binario 21 il 16 dicembre 1943. Eva Maria morì nel campo di Birkenau. Il violino fu fortunosamente recuperato dal fratello della donna, Enzo, sopravvissuto alla deportazione a Monowicz. Riportato in Italia e restaurato, lo strumento oggi appartiene alla famiglia Carutti e si trova esposto al Museo Civico Ala Ponzone di Cremona all'interno della Collezione "Le Stanze per la Musica". La comunità ebraica italiana fu duramente colpita negli anni del Fascismo e del Nazismo, a partire dalle leggi razziali fasciste del 1938, passando ~r la retata organizzata dalle SS a Roma il 16 ottobre del 1943 ( degli oltre mille esponenti della comunità ebraica catturati solo 16 sopravvissero e era questi una sola donna), fino a quel che accadde nel biennio 1943-45. Centinaia di oppositori politici e la voratori furono arrestati nelle fabbriche di Milano e di Sesto e deportaci dopo lo sciopero del marzo 1944.

(Il Giorno, 8 settembre 2016)


Tra sacro e profano

Si apre sabato il Festival di letteratura e cultura ebraica dedicato quest'anno alla scienza con l'omaggio a Einstein e Montalcini.

di Lauretta Colonnelli

Il centenario dalla pubblicazione della teoria della relatività di Albert Einstein, la straordinaria concomitanza che ha visto le onde gravitazionali da lui teorizzate misurate quest'anno per la prima volta grazie al lavoro congiunto di importanti istituzioni scientifiche di tutto il mondo, la ricorrenza dei trent'anni dal conferimento del Premio Nobel per la medicina a Rita Levi Montalcini: sono i tre eventi che hanno deciso il tema del Festival internazionale di letteratura e cultura ebraica, giunto alla sua nona edizione.
   In programma da sabato al 14 settembre nell'antico Ghetto di Roma, il Festival ha scelto quest'anno di esplorare il percorso sottile che lega scienza, coscienza e conoscenza. Si indaga sugli argomenti del sacro e del profano, sulla sostanza della ragione e sul modo di comprenderla, magari cercando una lettura umanistica della scienza e della sua capacità di provocare e accelerare il cambiamento. E a guidare il pubblico nell'indagine saranno le testimonianze di filosofi, scienziati e scrittori, convocati da due tra i più importanti istituti di ricerca del mondo: il Weizmann e l'Università Technion di Haifa, affiancati dal Cnr, il centro nazionale italiano delle ricerche, che hanno collaborato con il Festival nella messa a punto del programma.
   Si comincia con la mostra in omaggio a Rita Levi Montalcini, raccontata attraverso le foto di famiglia e le lettere che alla famiglia, a cui era legatissima, la scienziata scriveva nei lunghi periodi di soggiorno all'estero. Queste lettere accompagneranno l'apertura di ogni sessione del Festival, interpretate da Ketty Di Porto, che sarà impegnata anche nella performance teatrale «Oh Dio Mio!» in coppia con Alessandro Vantini. Il testo, scritto dalla drammaturga israeliana Anat Gov e pervaso di sagace umorismo nella migliore tradizione yiddish, diventa, battuta dopo battuta, una vera e propria argomentazione teologica. Protagonista dello spettacolo è la psicologa Ella che riceve il misterioso signor D, bisognoso di consulto urgente. Dopo pochi minuti scoprirà che il paziente è Dio in persona, alla ricerca di una cura per una depressione che dura, più o meno, da duemila anni. Non è un caso facile da trattare, tanto più che questo Dio non ha neppure una madre su cui scaricare tutte le colpe.
   Un'altra mostra è dedicata a Vito Volterra, il grande matematico che fu presidente dell'Accademia dei Lincei dal 1923 al 1926, precursore della biologia matematica e scienziato di levatura internazionale. Poi firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, e si rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al regime imposto ai professori universitari, decadendo così da tutti gli incarichi pubblici. Non mancano le performance musicali, come la sonorizzazione dal vivo del film «Der Golem», di Paul Wegener (1920 ), eseguita dal Gabriele Coen Quartet con Michael Roseo. Appuntamento finale con la proiezione del docu-film «Presenting Princess Shaw», scritto e diretto da Ido Haar, che ripercorre la storia della cantautrice Samantha Montgomery. Ci sarà infine la sezione Opera prima, in collaborazione con la Siae, per dare visibilità a tre registi esordienti.
   Come ogni anno, il Festival sfiora la Giornata europea della cultura ebraica, che cade domenica 18 settembre. Ma la manifestazione si apre sabato 17 con la conversazione tra lo scrittore Giulio Busi, esperto di mistica ebraica, e il rabbino capo Riccardo Di Segni, sul linguaggio scientifico e quello poetico nel Talmud e nella Cabbalà. Al Museo ebraico, inaugurazione della mostra temporanea «Libro aperto. Quattro opere di Paola Levi Montalcini». E poi visite guidate a sinagoghe, musei e quartieri ebraici, spettacoli, mostre, concerti, degustazioni kasher.

(Corriere della Sera - Roma, 8 settembre 2016)



Parashà della settimana: Shoftim (Giudici)

Deuteronomio 16.18-21.9

 - Shoftim
"Porrai dei giudici e dei funzionari in tutte le tue città che il Signore tuo D-o ti concede"
(Deuteronomio 16.18).
Shoftim vuol dire "giudici" che hanno il dovere di istituire dei Tribunali tra le tribù di Israele per l'amministrazione della giustizia e garantire che questa venga eseguita.
"La giustizia, la vera giustizia seguirai per vivere ed ereditare il paese" (Deuteronomio 16.20).
I nostri maestri (cazal) affermano: "Colui che nomina un tribunale indegno è simile a colui che pianta un idolo vicino al Santuario". Un esempio di come veniva amministrata la giustizia in Israele è riportato nella stessa Torah.
"Quando un uomo o una donna, trasgredendo al Patto del Signore vada ad adorare altri dei…." (Deuteronomio 17.2).
Viene cioè compiuta un'azione non comandata ed espressamente vietata alla presenza di due testimoni, la persona che ha trasgredito, nonostante fosse stata avvisata, è passibile di pena.
I testimoni accusatori, in caso di accertata colpevolezza dell'imputato, saranno loro stessi ad eseguire materialmente la sentenza emessa dal tribunale con il lancio della prima pietra.
E' molto più facile accusare qualcuno e lasciare ad altri (al boia) l'esecuzione della sentenza. La Torah difatti, scoraggia i "falsi testimoni" che potrebbero intralciare o alterare il corso della giustizia.
Manca nel tribunale ebraico la figura del pubblico accusatore e quella degli avvocati. In realtà il pubblico accusatore è rappresentato dai testimoni, mentre il Tribunale, attraverso i suoi giudici, è l'avvocato difensore dell'imputato. Difatti in Israele un tribunale che in cento anni abbia emesso una condanna capitale, viene considerato un tribunale "assassino".

La scelta del re
Il re d'Israele occuperà un posto di primaria importanza in mezzo al popolo ebraico e non al di sopra.
"In mezzo ai tuoi fratelli sceglierai un re che regnerà su di te" (Deuteronomio 17.15).
Il re non può prendere alcuna iniziativa contraria alla Costituzione ebraica che è basata sulla Torah sia essa scritta che orale. Il potere militare del re è limitato. "Non dovrà aumentare il numero dei suoi cavalli" come pure la sua vita non deve essere sregolata. "Non dovrà aumentare neppure il numero delle sue donne in modo da non pervertire il suo cuore".
"Dovrà scrivere per suo uso una copia di questa legge" (Deuteronomio 17.18) in presenza dei sacerdoti e dei capi del popolo come un giuramento da mantenere per il resto della sua vita. Il re infine non può essere incoronato fin tanto che il paese non è stato del tutto conquistato, contrariamente ai costumi delle Nazioni , che eleggono i loro sovrani per la conquista di altri territori.

Sacerdoti e Profeti
"I sacerdoti della tribù di Levi non avranno parte né possesso in Israele" (Deuteronomio 18.1).
La giustizia è compito dei giudici, la politica riguarda il re, il servizio al Signore spetta ai sacerdoti. La Torah priva i sacerdoti di qualsiasi proprietà. Il loro sostentamento materiale verrà dal popolo in modo che costoro possono dedicarsi al loro servizio.
La maggior parte dell'attività dei sacerdoti consiste nell'insegnamento della Torah e soltanto per un breve periodo dell'anno si occupano dei sacrifici del Tempio.
La funzione del profeta è del tutto differente. Egli non presterà servizio al Tempio ma dipenderà solo dalla parola di D-o, che comunicherà al popolo nei momenti di necessità. "E' a lui che dovrete prestare ascolto "(Deuteronomio 18.15).
Questa parashà riprende il tema della profezia puntualizzando il fatto che il profeta va ascoltato se egli riporta la parola di D-o, ma se parla per presunzione non lo si deve temere, perché quel profeta morirà.

La guerra
"Quando uscirai in guerra contro un tuo nemico e vedrai cavalli, carri e un'armata più numerosa di te, non dovrai temerli" (Deuteronomio 20.1).
La Torah continua: "Ascolta Israele oggi vi accingete a far guerra contro i vostri nemici" (Deuteronomio 20.3).
Questa ripetizione "contro il tuo nemico" secondo l'interpretazione di Rashì significa che i nemici non sono vostri fratelli e non bisogna aver pietà di loro.
Il sentimento della pietà è una qualità del popolo ebraico, spesso causa di tragedie che gli ebrei hanno pagato caro. I nostri maestri (cazal) hanno insegnato: "Chi ha pietà dei suoi nemici finirà per essere crudele con gli amici".
La pietà anche se è una qualità del popolo ebraico non deve essere "idolatrata" da questo, altrimenti si trasforma in un difetto, che porta alla perdita del buon senso e della realtà.
L'uomo invece ha l'obbligo di difendersi perché il Signore Iddi-o aiuta colui che si aiuta. Fin dall'alba della storia ebraica difatti vi sono stati soldati coraggiosi. Il primo tra di loro è stato Abramo che non esitò ad attaccare i re di Sodoma per liberare suo nipote Lot dalla prigione. La guerra contro Amaleq è una guerra di mitzvà cioè una guerra comandata dalla Torah, per sradicare il male dalla terra. F.C.

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 - "Costituirai dei giudici e dei magistrati nelle tue porte per ogni tua tribù, in tutte le città che l'Eterno, il tuo Dio, ti dà; ed essi giudicheranno il popolo con giuste sentenze" (Deuteronomio16:18).
  Queste parole confermano che la legge mosaica è una legislazione civile data da Dio ad una precisa nazione, in un preciso momento storico, con un preciso obiettivo immediato: la conquista di una ben definita terra scelta da Dio per il suo popolo. Proprio per questo la legislazione contiene, oltre a norme giuridiche per i tribunali, anche norme di carattere militare per la condotta in guerra: "Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace" (Deuteronomio 20:10), il che per la popolazione della città significava aprire le porte e diventare "tributaria e soggetta" di Israele. In caso contrario, il preciso precetto da assolvere era questo: "passerai tutti i maschi a fil di spada" (Deuteronomio 20:13). La strage riguardava i soli maschi se la città era molto lontana, ma per le città vicine il precetto era più severo e impegnativo: "non conserverai in vita nulla che respiri; ma li voterai a completo sterminio: gli Ittiti, gli Amorei, i Cananei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei, come l'Eterno, il tuo Dio, ti ha comandato" (Deuteronomio 20:17).
  Una legislazione come questa, presa nel suo insieme, non si presta dunque ad essere universalizzata, né nello spazio, né nel tempo, né moralmente, né spiritualmente. Ed è anche fuorviante spezzettarla in un infinito numero di parti, piluccando qua e là alla ricerca di qualche frammento da attualizzare. Certo, in questo modo si possono ottenere buoni spunti di riflessione morale, che però nella maggior parte dei casi non hanno riferimenti con la realtà ivi presentata e in altri casi deviano decisamente verso fantasiose distorsioni del testo.
  L'unicità assoluta di questi racconti, come quelli di tutta la Bibbia, sta nel loro aspetto storico. Non esiste nulla di paragonabile alla storia del popolo d'Israele, perché è soltanto in essa che si possono riconoscere i fatti con cui Dio ha lasciato traccia di Sè nella storia degli uomini.
  Guardando dunque ai fatti, qui vediamo Mosè che si prepara a congedarsi dal popolo facendo un annuncio importante: "L'Eterno, il tuo Dio, susciterà per te un profeta come me, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli; a lui darete ascolto" (Deuteronomio 18:15). Queste parole annunciano profeticamente un fatto politico di grande importanza: Dio interverrà nella storia di Israele inviando un profeta paragonabile a Mosè, e fin da questo momento chiede al popolo di ascoltarlo, così come doveva essere ascoltato Mosè. In queste parole si può riconoscere l'annuncio di una figura che nel Pentateuco ha soltanto pochi accenni, ma che si rivelerà più chiara in seguito: la figura del Messia.
  Che questo profeta sia proprio il Messia è stato oggetto di discussione in ambito ebraico, e forse lo è ancora, ma in ogni caso non può essere escluso. E' certo che i discepoli di Gesù dopo la sua risurrezione riconobbero proprio in Lui il profeta di cui Mosè aveva parlato. L'apostolo Pietro, nel suo primo discorso pubblico a Gerusalemme, rivolge al popolo queste parole: "Mosè, infatti, disse: «Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà ... Voi siete i figli dei profeti e del patto che Dio fece con i vostri padri, dicendo ad Abraamo: 'Nella tua discendenza tutte le nazioni della terra saranno benedette'. A voi per primi Dio, avendo suscitato il suo Servo, lo ha mandato per benedirvi, convertendo ciascuno di voi dalle sue malvagità»" (Atti 3:22,25-26).
  
Nell'Antico Testamento non si trova nessun profeta paragonabile a Mosè, e anche la Torah lo conferma: "Non è mai più sorto in Israele un profeta simile a Mosè, col quale l'Eterno abbia trattato faccia a faccia" (Deuteronomio 34:10).
  I profeti venuti dopo di lui hanno denunciato l'infedeltà del popolo e annunciato una futura opera di redenzione di Dio; Mosè invece ha annunciato al popolo una liberazione che sarebbe avvenuta subito: "L'Eterno disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; conosco i suoi affanni. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele»" (Esodo 3:7-8).
  Anche la nascita di Gesù è stata accompagnata da un glorioso messaggio angelico che non minacciava giudizi, ma annunciava una "grande gioia": "E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore. L'angelo disse loro: «Non temete, perché io vi porto il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà: Oggi, nella città di Davide, vi è nato un Salvatore, che è il Cristo, il Signore»" (Luca 2:9-11).
  E così avvenne, perché "tutto il popolo" fece l'esperienza di una grande gioia collettiva il giorno in cui tremila persone furono battezzate nel nome di Gesù dopo la predicazione dell'apostolo Pietro: "E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo" (Atti 2:46-47).
  Gesù cominciò il suo ministero profetico con un annuncio di consolazione: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino" (Marco 1:15). Dopo aver operato diverse guarigioni miracolose come segno della sua messianità, Gesù "salì sul monte", come Mosè salì sul monte Sinai, e "postosi a sedere" ammaestrò il popolo con il famoso sermone contenuto nei capitoli 5,6,7 del Vangelo di Matteo. Di questo tormentatissimo discorso si possono dire le stesse cose che si sono dette della legge mosaica: non è né una via di salvezza personale, né un codice di comportamento morale; ed è vano spezzettarlo in una miriade di singoli precetti da selezionare a proprio piacere. Il Sermone sul Monte è un discorso alla nazione fatto da un personaggio noto e discusso di Israele, che in un preciso momento della sua azione pubblica presenta al popolo il suo programma con l'autorità di un leader. Dunque quel discorso è storia. Storia che si può comprendere soltanto alla luce di tutto il passato che la precede e di tutto il futuro che annuncia. Ed è una storia particolarissima, unica, perché unica è la storia del popolo d'Israele in cui è immersa, e unico è il Motore che la muove: lo stesso Dio che ha salvato Mosè dalle acque e liberato il popolo dalla schiavitù d'Egitto. "E quando Gesù ebbe finito questi discorsi, la folla stupiva del suo insegnamento, perché egli li ammaestrava come uno che ha autorità e non come i loro scribi" (Matteo 7:28-29). M.C.

  (Notizie su Israele, 8 settembre 2016)


Abu Mazen era un agente al servizio del KGB sovietico

Il suo nome compare nell'archivio Mitrokhin, in una lista del 1983 di agenti (non semplici "informatori") resa pubblica di recente.

L'attuale presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) era una spia sovietica, a Damasco, negli anni '80. Ne ha dato notizia mercoledì sera la tv israeliana Canale 1 citando informazioni "molto attendibili" tratte dall'archivio trafugato dall'URSS dal disertore del KGB Vasily Mitrokhin.
Secondo il direttore Esteri di Canale 1 Oren Nahari, fra i documenti del celebre archivio Mitrokhin analizzati dai ricercatori israeliani Isabella Ginor e Gideon Remez, del Truman Institute dell'Università di Gerusalemme, è emersa una lista del 1983 di agenti (e non semplici informatori) del KGB nella quale compare il nome di Abu Mazen. Abu Mazen operava con il nome in codice di Krotov (derivazione da krot, talpa) facendo probabilmente capo a Mikhail Bogdanov, allora ambasciatore sovietico a Damasco. Oggi Bogdanov è l'inviato in Medio Oriente del presidente russo Vladimir Putin, ex ufficiale del KGB. Mitrokhin (deceduto nel 2004) era un importante archivista del KGB (i servizi segreti sovietici) che nel 1992 disertò nel Regno Unito con un'imponente quantità di documenti copiati e note scritte a mano che era riuscito a trafugare a Londra fra il 1972 e il 1984. I suoi documenti su varie operazioni del KGB sono stati resi pubblici di recente, mentre gli appunti scritti a mano restano segretati dall'MI5 (il controspionaggio britannico). Nahari, di Canale 1, ha spiegato che la parte dell'archivio Mitrokhin che contiene il nome di Abu Mazen è stata resa pubblica alcuni mesi fa....

(israele.net, 8 settembre 2016)


A Gaza, due studenti realizzano la prima auto solare palestinese

 
 
 
Anche Gaza ha la sua prima auto alimentata ad energia solare e completamente autosufficiente. Si tratta della prima auto solare palestinese e a progettare il veicolo sono stati due studenti di ingegneria della Al-Azhar University di Gaza, Jamal Al Miqat e Khalid Al Bardawil, che hanno messo a punto il prototipo affidandosi solo alle proprie risorse.
   I due giovani studenti hanno ben chiaro in mente il potenziale delle energie rinnovabili ed hanno intenzione di promuoverlo in tutta la Striscia di Gaza. Per il loro progetto di laurea hanno scelto la realizzare un prototipo di "Solar Car" che ben riflette la situazione che attraversa il Paese a causa del conflitto bellico con Israele e della limitata disponibilità di risorse energetiche.
   Si tratta della prima vettura fotovoltaica realizzata in territorio palestinese, dove l'elettricità è spesso mancante e i carburanti sono sempre meno accessibili alla popolazione. Secondo gli ultimi accordi di pace, i rifornimenti di carburante nella Striscia di Gaza vengono coordinati da Israele. "Un motivo in più per cercare soluzioni alternative per la mobilità dei cittadini". I due giovani infatti, hanno dovuto ricorrere a progetti e fondi propri, costruire il motore praticamente da zero data anche la limitata disponibilità di materiali specifici.
   Gli studenti stanno studiando attualmente anche la possibilità di convertire una macchina elettrica in una macchina da corsa ad energia solare, sperando che il progetto possa contribuire ad alleviare la crisi critica. "Per questo abbiamo deciso di modificare un motore vecchio stile", hanno spiegato.

(Ambiente Quotidiano, 8 settembre 2016)


Saluto romano in Israele, Tavecchio sollecita l'indagine

La Federcalcio ringrazia le autorità ebraiche: massima collaborazione. Da Casarano precisano: «Nostro Io striscione, ma nessuno di noi compare in quella fotografia».

ROMA - Un brutto episodio, un neo su una serata speciale che non va giù al presidente della Figc, Carlo Tavecchio, dopo una trasferta in Israele piena di soddisfazioni nell'esordio dell'Italia nelle qualificazioni ai Mondiali 2018. Il n.l del calcio italiano è rimasto colpito dalle immagini dei saluti romani esibiti sugli spalti dello stadio di Haifa da alcuni tifosi nel settore ospiti durante gli inni pre-partita, subito denunciati da~. portale dell'ebraismo italiano, ed in una telefonata con l'ambasciatore d'Italia, Francesco Maria Talò, ha espresso la sua forte condanna e l'auspicio che i responsabili siano individuati.
   Il presidente federale ha anche ringraziato le autorità locali e la federazione israeliana per l'accoglienza e per il minuto di raccoglimento in memoria delle vittime del terremoto. Ha poi ribadito come i tifosi israeliani e italiani abbiano vissuto con «entusiasmo, partecipazione e rispetto».
   Prendono intanto le distanze da quanto avvenuto i componenti di «Casarano Tricolore 1994», gruppo di tifosi azzurri del centro salentino, finiti nel mirino per il loro striscione che nella foto diffusa da Moked compare sotto le persone che facevano il saluto fascista. «Noi siamo estranei, è stata danneggiata la nostra immagine, quella foto trae in inganno», afferma un leader del gruppo, Antonio Scarangella, che in Israele non c'era. «Ad Haifa - spiega - era presente un solo tifoso casaranese tra gli oltre mille italiani e al momento degli inni era lontano dallo striscione».

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 8 settembre 2016)


Festa del Libro Ebraico a Ferrara: a Riccardo Calimani il Premio Pardes per la saggistica.

Laureato in Ingegneria elettrotecnica all'Università di Padova e in Filosofia della Scienza all'Università di Venezia, Riccardo Calimani è figura di primo piano nel mondo culturale ebraico internazionale.
A lui presidente del Museo dell'Ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara, è stato assegnato il Premio Pardes per la saggistica 2016, istituito dalla Fondazione Meis, anche su iniziativa dello stesso Calimani, studioso del mondo ebraico italiano, cui ha dedicato alcuni saggi fondamentali, come la : Storia del ghetto di Venezia ripubblicato da Mondadori quest'anno in un'edizione riveduta, aggiornata e ampliata. Fra i suoi libri più gustosi, e il saggio autobiografico "Non è facile essere ebreo" che ha come sottotitolo L'ebraismo spiegato ai non ebrei, edito da Mondadori, nel 2004.

(Telestense, 7 settembre 2016)


Torino, gli applausi a Batsheva mettono a tacere i provocatori

La scelta intelligente e coraggiosa della Direzione Artistica del Festival Torino Danza, inauguratosi ieri sera a Torino con lo spettacolo TRE della Batsheva Dance Company e la coreografia dell'eccellente Ohad Naharin, è stata una scelta assolutamente vincente.
Folla enorme, successo non certo programmabile, lunghe code (tra uno schieramento non indifferente di poliziotti) di spettatori all'ingresso e alle biglietterie del Teatro Regio e tutto esaurito in sala, con una lunga lista d'attesa di tanti interessati a godersi la danza della celeberrima Compagnia israeliana di danza contemporanea, fondata nel 1964 da Marta Graham e dalla baronessa Batsheva De Rothschild.
Questo, a dispetto dei, pochi, contestatori del Boycott Israel (e come scritto negli striscioni fuori dal Teatro, del Boycott Batsheva) che hanno tentato di inscenare una protesta anche in sala, pochi attimi prima dell'inizio dello spettacolo, ma sono stati subito allontanati dal servizio d'ordine appena tre o quattro di loro hanno tirato fuori una bandiera arrotolata della Palestina e hanno iniziato a gridare contro il "balletto sionista".
A quel punto la meravigliosa danza ha potuto avere inizio....

(moked, 7 settembre 2016)


Il ministro della Difesa Avigdor Lieberman a Londra questa settimana

GERUSALEMME - Il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, è a Londra questa settimana per incontrare l'omologo britannico Michael Fallon e il ministro del Medio Oriente Tobias Ellwood. I negoziatori israeliani e statunitensi non sono ancora giunti a un accordo in merito alla quantità di aiuti militari che gli Stati Uniti forniranno a Tel Aviv nel corso dei prossimi dieci anni. Attualmente, Washington trasferisce a Israele circa 3,1 di miliardi di dollari all'anno per le esigenze legate alla difesa. Lieberman inoltre, discuterà della cooperazione nel settore della difesa con la Gran Bretagna, giorni dopo che i nuovi dati hanno rivelato che il Regno Unito è ormai il secondo più grande esportatore di armi al mondo, e che due terzi delle sue esportazioni militari, dal 2010 ad oggi, sono state destinate a paesi del Medio Oriente. Il dato include 22 milioni di sterline di know-how tecnico e militari e la vendita a Israele delle strumentazioni nei primi tre mesi di quest'anno, ma la cifra reale, secondo fonti di settore, è probabilmente molto più alta.

(Agenzia Nova, 7 settembre 2016)


Israele: Somiglianze tra leucemia e HIV suggeriscono una cura

Somiglianze tra leucemia e HIV recentemente scoperte in un laboratorio israeliano, potrebbero fornire indizi importanti per trovare una soluzione atta a distruggere il virus dell'immunodeficienza prima che si trasformi in AIDS.
Nei laboratori di microbiologia e immunologia del Prof. Ran Taube presso l'Università Ben Gurion i ricercatori hanno lavorato a lungo su un aspetto che fino all'era moderna non era stato ancora analizzato: una correlazione tra leucemia e HIV.
Lo studio è stato finanziato in parte dalla Leukemia Research Foundation, in collaborazione con il l'ematologo Dott. Uri Rubio del Soroka University Medical Center di Beersheva.
La leucemia mieloide acuta, ostacola lo sviluppo delle cellule del sangue.
Nella leucemia vi è un danno ai meccanismi di riproduzione che normalmente controllano l'espressione dei geni responsabili per la produzione di cellule staminali nel midollo osseo. Il Dott. Taube ha spiegato che un qualcosa di simile accade con il virus HIV quando si entra in uno stato cronico.
Con questo studio si cercano modi innovativi per "svegliare" l'HIV dal suo stato silente, mentre allo stesso tempo si prevede l'applicazione di farmaci anti-retrovirali per sradicare completamente il virus.
Anche se l'AIDS può essere scongiurato efficacemente mantenendo i livelli di HIV basso con gli antiretrovirali, questi farmaci hanno un valore limitato, perché non prevengono l'infezione da HIV e possono lasciare un piccolo numero di particelle virali inattive nel corpo che possono, in qualsiasi momento, moltiplicarsi ed infettare nuove cellule.

(SiliconWadi, 7 settembre 2016)


Nessuno neanche al funerale di Enrica Zarfati

Nuova gaffe. L'amministrazione romana assente alle esequie dell'ultima ebrea romana soprawissuta ad Auschwitz.

Nuova gaffe istituzionale per Virginia Raggi. Il sindaco, dopo aver «bucato» nell'ordine i funerali della ragazza uccisa dalla meningite a Vienna di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia, delle vittime del terremoto ad Amatrice e la cerimonia di canonizzazione di Santa Madre Teresa di Calcutta, diserta anche le esequie di Enrica Zarfati, classe 1921, l'ultima delle ebree romane deportate ad Auschwitz e sopravvissute ai campi di sterminio.
   Al Tempio, per l'ultimo sobrio saluto a Enrica Zarfati, c'erano tutte le istituzioni locali. Il presidente Nicola Zingaretti e il vice Massimiliano Smeriglio per la Regione Lazio. Il minisindaco Sabrina Alfonsi per il Municipio; l'ex presidente dell'VII - dove la Zarfati risiedeva - Andrea Catarci. Nessun esponente però del Campidoglio. Non c'era Vìrginia Raggi, impegnata con la crisi politica che sta squassando il Movimento 5 Stelle. Assente anche altri esponenti dell'amministrazione di Roma Capitale.
   Non vedendo nessuno del Comune, il responsabile del cerimoniale della Regione avrebbe addirittura chiamato l'omologo ufficio comunale per sapere se e quando qualcuno dell'amministrazione Raggi si sarebbe fatto vivo. Dal cerimoniale del Campidoglio, tuttavia, avrebbero risposto di non aver ricevuto alcuna indicazione dal sindaco, dalla sua segreteria o dal gabinetto per organizzare una presenza alle esequie di Enrica Zarfati. Morale, la Raggi e il suo staff si sono dimenticati anche del funerale dell'ultima ebrea romana sopravvissuta ad Auschwitz. Così, a esequie finite, la Raggi ha dovuto rimediare all'ennesima gaffe con un comunicato stampa di maniera.

(Il Tempo, 7 settembre 2016)


Il piano di Putin e al-Sisi per fermare l'islam violento

La conferenza degli imam riunita a Grozny scomunica il wahabismo, la versione del culto musulmano comune a lsis e Sauditi. Riad si infuria.

di Carlo Panella

Il wahabismo, religione ufficiale dell'Arabia Saudita non fa parte dell'islam. Lo hanno stabilito il Grande Imam di al-Azhar e altre massime autorità religiose sunnite. Una condanna che peserà anche nell'islam italiano, che vede Ucoii e Caim largamente influenzate, e ora apertamente finanziate, dal wahabismo un tempo saudita e ora qatariota. Questa clamorosa condanna è stata decisa in un convegno che si è tenuto a Grozny, capitale cecena. A stabilirla sono stati alcuni tra i più autorevoli leaders religiosi dell'islam sunnita: il grande imam di al-Azhar, Ahmed al Tayeb; il gran Mufti d'Egitto, Cheikh Chawki Allam; il consigliere del presidente egiziano al-Sissi, Cheikh Oussama al-Zahri; il gran Mufti di Damasco AbdelFattah al-Bezm; il predicatore yemenita Ali alJ afri e 200 altri. Nel documento finale il wahabismo viene escluso dalle «genti del sunnismo». Non in forma esplicita, ma semplicemente non viene citato tra le diverse correnti sunnite.
  Nel documento si spiega che esclusione del wahabismo dall'islam è dovuto alla necessità di «un cambiamento radicale per poter ristabilire il vero senso del sunnismo, sapendo che questo concetto ha subito una pericolosa deformazione in seguito agli sforzi degli estremisti di svuotare il suo senso per impossessarsene e ridurlo alla loro percezione». Di fatto, questa presa di posizione espelle l'Arabia Saudita, molti emirati del Golfo (incluso il Qatar) e milioni di wahabiti nel mondo, dalla umma musulmana. Il tutto, si badi bene, con lo scopo «di definire l'identità delle genti del sunnismo e della comunità sunnita, davanti alla crescita del terrorismo takfirista-wahhabita che pretende di rappresentare l'ìslam e che soprattutto si vuole affermare come il rappresentante legittimo del sunnismo».
  Dunque, a Grozny si è ora stabilito che vi è un legame netto, preciso, tra il wahabismo e il terrorismo islamico. Un'affermazione clamorosa, quanto assolutamente vera: tutte le organizzazioni jihadiste e terroriste sunnite (non quindi la sciita Hezbollah) sono nate dalI'alveo del wahabismo. In quasi tutti i casi passando per una fase di militanza dentro la Fratellanza Musulmana, che non è formalmente wahabita, ma che dal wahabismo è da sempre pesantemente influenzata.
  Grozny, sede della conferenza, e la presenza delle più alte personalità dell'islam egiziano, evidenziano il padrinato politico di due inediti alleati anche in campo teologico: Vladimir Putin e Fattah al-Sissi, da mesi in forte avvicinamento. Russia ed Egitto decidono, con questa mossa, di assumere la leadership di un contrasto al wahabismo - e quindi ad Arabia Saudita e Qatar - che affianchi al campo politico-militare quello religioso. Un progetto tanto ambizioso, che nella stessa conferenza di Grozny è stato deciso di dare vita in Russia a una grande emittente televisiva araba in concorrenza aperta ad al Jazeera.
  Rabbiosa, ovvio, la reazione saudita che prefigura l'inizio di una «guerra di religione» sul piano teologico che sconvolgerà il campo sunnita, con conseguenze inimmaginabili perché è evidentemente esplosivo il legame diretto - assolutamente reale ed effettivo, lo ribadiamo - che lega il wahabismo e il jihadismo terrorista. Conseguenze che si faranno sentire, come si è detto, anche in Italia. Sia l'Ucoii, infatti, che il Caim di Davide Piccardo, che pure non possono esser definiti wahabiti, hanno sempre avuto un forte punto di riferimento nel wahabismo saudita. L'Ucoii soprattutto, ha appena ricevuto un pubblico e scabroso - alla luce di Grozny - finanziamento di 25 milioni da una charity wahabita del Qatar. Ciò nonostante e incredibilmente, Ucoii e Caim sono considerate affidabili interlocutori dal Viminale. E non solo.

(Libero, 7 settembre 2016)


La nuova rivista dello Stato islamico si chiama "Roma"

La pubblicazione di Roma si va ad aggiungere a tutta un'altra serie di segnali minacciosi contro l'Italia che ronzano con maggiore frequenza dalle produzioni del califfato.

di Daniele Raineri

 
La nuova rivista dello stato islamico, "Rumiyah"

Lunedì sera lo Stato islamico ha messo su Internet il primo numero della sua nuova rivista, "Rumiyah", che in arabo è una forma desueta della parola Roma. La rivista è stata pubblicata da al Hayat, che è la casa produttrice del gruppo che si occupa delle traduzioni della propaganda in più lingue per raggiungere una audience più vasta. La rivista esce in sette lingue, tra cui inglese, russo, arabo, francese e uiguro (la lingua più diffusa tra i musulmani cinesi),in versioni che sono leggermente diverse a seconda della lingua. Rumiyah ci riguarda, perché rinnova ancora una volta un cocnetto cara alla propaganda baghdadista: la caduta di Roma è un obbiettivo a lungo termine del gruppo. La pubblicazione di Roma si va ad aggiungere a tutta un'altra serie di segnali minacciosi contro l'Italia che ronzano con maggiore frequenza dalle produzioni dello Stato islamico: l'inserimento di video di politici italiani come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi e il minsitro degli Esteri Paolo Gentiloni; le citazioni di Roma sempre più insistenti; le immagini di monumenti italiani come il Colosseo e la Torre di Pisa nei manifesti e nei video. Non è affatto da escludere che lo Stato islamico abbia in preparazione un attacco contro Roma e che il nome della nuova rivista sia stato scelto per suonare come una profezia riguardo un fatto che deve ancora accadere - il gruppo islamista indulge molto in questo genere di schemi grandiosi.
   Lo Stato islamico ha altre riviste in lingue diverse dall'arabo, la più famosa è Dabiq, in inglese. Dabiq è un piccolo villaggio siriano a dieci chilometri dal confine con la Turchia che secondo la profezia sarà la scena della battaglia dell'Apocalisse tra l'esercito dell'Islam e quello del demonio. Lo Stato islamico ama adattare quella profezia alla situaizone di adesso, autonominandosi come esercito dell'islam e mettendo le forze nemiche nel ruolo di armata diabolica. Oggi però Dabiq rischia di uscire presto fuori dal controllo dello Stato islamico, a causa dell'operazione "Scudo dell'Eufrate" comicniata il 23 agosto dall'esercito turco e da alcuni gruppi armati dell'operazione siriana. "Roma", in questo senso, permette allo Stato islamico di essere meno legato a una profezia a scadenza ravvicinata. Del resto anche nel 2006 uno dei capi storici del gruppo, l'egiziano Abu Hamza al Muhajir, credeva che la fine del mondo fosse vicina e ordinò ai suoi uomini di disperdersi in tutto l'Iraq, in attesa degli eventi -- salvo poi ricredersi e rimangiarsi gli ordini. In fondo alla rivista un hadith, un detto attribuito al profeta Maometto, ricorda che prima cadrà Costantinopoli e poi cadrà Roma - e questo allunga ancora di più i tempi. Dabiq era aperta sempre da una citazione di Abu Mussab al Zarqawi (ucciso nel giugno 2006) sulla battaglia apocalittica che si preparava nel villaggio siriano. Rumiyah invece è aperta da una citazione di Abu Hamza al Muhajir: "O monoteisti, gioite, perché grazie a Dio non riposerete dalle fatiche del jihad che sotto le fronde di olivo di Roma".

(Il Foglio, 7 settembre 2016)


La vergogna di Haifa, saluto romano e sputi dagli ultrà italiani

Dopo i fischi alla Marsigliese a Bari, l'incidente in Israele La Figc apre un'indagine, timori per sanzioni della Fifa .

HAIFA - Il braccio teso a fare il saluto romano, in Israele e contro Israele, durante l'esecuzione dell'inno di Mameli. E due italiani allontanati dallo stadio di Haifa, ufficialmente per "intemperanze", poi identificati e rilasciati: avevano sputato su altri tifosi.
   La vittoria ottenuta dalla Nazionale di Ventura lunedì sera. nel primo impegno delle qualificazioni mondiali, si carica di un'ombra pesante, il ritorno del tifo di matrice neofascista al seguito degli azzurri, e arriva quattro giorni dopo un altro caso imbarazzante: i fischi di Bari alla Marsigliese prima di Italia-Francia. soffocati soltanto dall'applauso con cui Buffon ha fatto cambiare idea allo stadio San Nicola.
   C'era il tutto esaurito allo stadio Sammy Ofer, oltre 29mila spettatori: la Federcalcio ha venduto nel suo settore circa 500 tagliandi, un record per gli ultimi anni, molti acquistati da cittadini italiani residenti in Israele.
   Gli episodi, isolati quanto gravi, sono stati denunciati dal portale dell'ebraismo italiano, Moked, oltre che da alcuni siti israeliani. Ci sono foto e video, in cui si vedono distintamente tre tifosi che durante l'inno di Mameli fanno il saluto fascista. Si preannuncia un dossier che la federcalcio israeliana invierà alla Figc. Fra le due diplomazie calcistiche corrono ottimi rapporti, fino a ieri la Federcalcio non aveva ricevuto nessuna comunicazione ufficiale ma ha comunque deciso di aprire un'indagine conoscitiva al proprio interno per risalire all'identità dei tifosi e capire su quale circuito abbiano acquistato i biglietti. Gli autori del saluto romano verranno inseriti nella black list e non potranno più acquistare biglietti. Ma il vero timore, in casa Italia. è che la Fifa possa aprire un fascicolo: dal 2013 il bureau del calcio mondiale ha inasprito le sanzioni contro il razzismo, ampliando l'area della responsabilità oggettiva di club e federazioni. E nel 2015 la Croazia. recidiva. è stata penalizzata di un punto dall'Uefa per una svastica disegnata sull'erba di Spalato prima della partita con l'Italia. Da Zurigo non sono arrivate ancora segnalazioni. Tra le due federazioni corrono ottimi rapporti e fino a ieri non risultava alcuna protesta ufficiale.
   La Nazionale convive con i suoi ultrà ormai da sedici anni: dopo l'Europeo del 2000sono nati gli Ultras Italia, un gruppo che ha riunito i tifosi di estrema destra di molte curve del Nord Est e che poi ha saputo radicarsi al Sud, fra le province di Napoli, Salerno, Bari e Lecce, con l'obiettivo di seguire la squadra azzurra come un club.
   Nel 2008 gli scontri a Sofia prima di Bulgaria-ltalia: incidenti in centro con gli ultrà del Cska, la sfilata verso lo stadio inneggiando - duce duce -, le denunce per vilipendio della bandiera bulgara. bruciata, gli scontri all'interno dell'impianto. L'episodio spinse l'allora n. 1 della Figc, Giancarlo Abete, a vietare le trasferte al seguito della Nazionale. Nel 2010 a Klagenfurt, contro la Romania, la clamorosa protesta contro Balotelli, al grido di «non ci sono neri italiani».

(la Repubblica, 7 settembre 2016)


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Israele-Italia: fischi, sputi e saluti romani. Protesta la comunità ebraica

Il portale dell'ebraismo italiano Moked e il sito ebraico Ynet raccontano delle intemperanze di alcuni tifosi italiani di stampo antisemita: il saluto fascista sulle note dell'inno di Israele e vari episodi d'intolleranza. Un dossier sarà inviato alle Federcalcio italiana e israeliana.

MILANO - Durante la partita Israele Italia di ieri al Sammy Ofer di Haifa alcuni tifosi italiani hanno fatto "sfoggio di saluti romani" durante l'esecuzione degli inni nazionali e subito dopo "essere stati individuati, sono stati fermati e allontanati" dagli steward dello stadio. Lo scrive Moked, il portale dell'ebraismo italiano che mostra anche una foto del fatto.

 Il consolato
  Secondo il consolato italiano in Israele - che cita fonti della sicurezza e della polizia israeliana - ad essere allontanati sono stati due tifosi italiani, ma non per i saluti romani durante gli inni, bensì "per intemperanze" nel corso della partita. Secondo lo stesso consolato non ci sono stati arresti da parte della polizia.

 La ricostruzione di Ynet
  Il fatto è riportato non solo da Moked, ma anche dal sito Ynet (in lingua ebraica) che riporta la vicenda con il titolo "Fischi all'inno, sputi e saluti romani". Ynet sottolinea che "la Federcalcio israeliana trasferirà le foto alla gemella italiana in modo da individuare e raggiungere i tifosi che hanno offuscato con il loro comportamento il resto dei sostenitori italiani, la squadra italiana e l'Italia stessa". Lo stesso sito riferisce poi che durante l'inno nazionale israeliano è stato fatto il saluto romano e che alcuni tifosi della squadra azzurra "hanno sputato" a ebrei religiosi che assistevano alla partita. Ma - avvisa Ynet - la curva dove erano i tifosi italiani era stata "riempita di fan arabi" che ostentavano magliette azzurre e bandiere italiane.

(La Gazzetta dello Sport, 6 settembre 2016)


Stampa israeliana: "L'Italia resta l'Italia"

'Sconfitta prevista, ma note positive: barlumi di speranza'

"Ci sono stati momenti belli e una rete stupefacente di Ben Haim ma, in fin dei conti, noi siamo Israele e loro l'Italia". La stampa israeliana fotografa così la sconfitta subita dalla Nazionale di casa, ad Haifa, contro gli azzurri: i toni sono improntati al realismo, ma i media sottolineano anche che la selezione di Elisha Levy ha saputo mostrare aspetti positivi che lasciano ben sperare per il futuro. "La campagna dei Mondiali si è così aperta col risultato previsto, ma anche con raggi di luce", sottolinea Yediot Ahronot. Di parere analogo Israel ha-Yom, che titola a tutta pagina: "Barlumi di speranza". Secondo il giornale, la Nazionale israeliana ha dato tutto sommato una buona prova di sé. Più severo il commento di Haaretz, secondo cui malgrado il coraggio di Levy di mandare i giocatori all'attacco dell'Italia, "dalla Nazionale è giunta un'altra delusione".

(ANSA, 6 settembre 2016)


Israele - Scoperta un'area potenzialmente ricca di gas

Il ministero dell'Energia israeliano ha annunciato che le multinazionali energetiche hanno partecipato a una conferenza sugli studi preliminari del settore energetico a Londra, nel tentativo di stimare l'entità delle riserve di gas naturale circa 50 chilometri al largo di Netanya. Lo riferisce il quotidiano "Haaretz". La formazione geologica, denominata Giona - il profeta inghiottito dalla balena Leviathan, che è anche il nome del più grande giacimento di gas d'Israele - presenta caratteristiche geologiche simili a quelle del giacimento di gas Zohr, scoperto dalla società energetica italiana Eni in acque egiziane più di un anno fa. Una delegazione del ministero dell'Energia d'Israele, guidata dal ministro, Yuval Steinitz, sta studiando l'interesse delle compagnie estere prima della gara prevista per le nuove licenze di esplorazione in programma per metà novembre. L'appalto, il primo che Israele ha portato avanti in quattro anni e mezzo, arriva dopo un lungo periodo di turbolenze per la regolamentazione del settore energetico, culminate con l'approvazione dell'accordo quadro all'inizio di quest'anno. Tra i partecipanti più importanti alla riunione di Londra figurano le aziende italiane Edison ed Eni, che hanno espresso in passato interesse per il mercato israeliano. La delegazione volerà nelle prossime settimane in Texas.

(Agenzia Nova, 6 settembre 2016)


Enrica Zarfati (1921-2016)

È scomparsa alla soglia dei 95 anni Enrica Zarfati, l'ultima ebrea romana sopravvissuta ad Auschwitz ancora in vita. Arrestata nel maggio del 1944, era stata trasferita prima nel campo di Fossoli e quindi nel lager nazista. "Abitante storica del quartiere Garbatella, aveva raccontato la Shoah, mantenendo viva la memoria di quell'orrore, testimone coraggiosa e lottatrice determinata contro ogni forma di negazionismo" la ricorda in una nota la Comunità ebraica della Capitale. Numerose le testimonianze di vicinanza e di cordoglio.
"Se ne va Enrica Zarfati ultima ebrea romana deportata. La nostra Comunità la piange commossa" scrive in un tweet la presidente della Comunità romana Ruth Dureghello. "Ci uniamo al dolore della sua famiglia, dei suoi cari, dei tanti che da lei hanno appreso una lezione di impegno e di coraggio. Sia il suo ricordo di benedizione" dice la presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. Sottolinea Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah: "Il modo migliore per onorare Enrica Zarfati è continuare nell'opera che lei e gli altri sopravvissuti hanno incominciato. Continueremo a dare voce a chi come lei ha subito la follia nazista nei campi di sterminio". Assicura il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti: "Continueremo a batterci a partire dalle scuole, tra i giovani, perché pagine così dolorose, come quelle della Shoah, non vengano mai più scritte ma continuino ad essere raccontate".

(moked, 6 settembre 2016)


Gli "altri" palestinesi

di Khaled Abu Toameh (*)

La comunità internazionale sembra aver dimenticato che i palestinesi possono trovarsi ben al di là della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Questi "altri" palestinesi vivono in Paesi arabi come la Siria, la Giordania e il Libano e i loro innumerevoli e gravi torti subiti non interessano affatto alla comunità internazionale. Solo i palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza attirano l'attenzione internazionale. Per quale motivo? Perché sono proprio questi individui che la comunità internazionale usa come armi contro Israele.
  Quasi 3.500 palestinesi sono stati uccisi in Siria dal 2011. Ma poiché essi sono stati uccisi dagli arabi e non dagli israeliani, questo non fa notizia per i media mainstream e non interessa ai forum che si occupano della difesa dei "diritti umani". Questi dati sono stati diffusi la settimana scorsa dall'Action Group For Palestinians of Syria (Agps), fondato a Londra nel 2012 con l'obiettivo di documentare la sofferenza dei palestinesi in Siria e redigere le liste delle vittime, dei prigionieri e delle persone scomparse per inserirle nei database dei forum per i diritti umani.
  Eppure, i forum che si occupano della difesa dei "diritti umani" non rivolgono particolare attenzione a tali risultati. Sono troppo impegnati a occuparsi di Israele. Concentrando esclusivamente la loro attenzione sui palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, questi forum cercano continuamente di trovare il modo di ritenere Israele responsabile delle violazioni, ignorando i crimini perpetrati dagli arabi contro i loro fratelli palestinesi. Questa ossessione per Israele, che talvolta rasenta il ridicolo, reca un gran danno alle vittime palestinesi dei crimini arabi. Secondo i dati forniti dall'Agps, sono 85 i palestinesi che sono stati uccisi in Siria nel corso del 2011, primo anno della guerra civile. L'anno successivo, il numero è salito a 776. Nel 2013, è stato registrato il più alto numero di vittime palestinesi: 1.015. Nel 2014, i palestinesi uccisi in Siria sono stati 724 e l'anno seguente 502. Dall'inizio di quest'anno (fino a luglio), circa 200 palestinesi hanno perso la vita in Siria. Ma come sono stati uccisi? Il gruppo afferma che sono morti sotto i bombardamenti, in scontri armati, sotto tortura in prigione e a causa dell'assedio condotto contro i loro campi profughi in Siria.
  Eppure, l'Autorità palestinese (Ap) a Ramallah non sembra preoccuparsi della gravità della situazione in cui si trova la sua popolazione in Siria. Tutto ciò che importa all'Ap è accusare Israele di ogni cosa di cui essa è direttamente responsabile. Per Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità palestinese, e i suoi alti
La leadership dell'Autorità: Palestinese stia cercando di migliorare le relazioni con il regime di Assad in Siria, quel regime che uccide, imprigiona e tortura ogni giorno decine e decine di palestinesi.
funzionari in Cisgiordania, i palestinesi che si trovano in Siria non contano. A tal proposito, è sbalorditivo il fatto che la leadership dell'Ap stia cercando di migliorare le relazioni con il regime di Assad in Siria, quel regime che uccide, imprigiona e tortura ogni giorno decine e decine di palestinesi. La recente inaugurazione di una nuova ambasciata dell'Autorità palestinese a Damasco ha irritato molti palestinesi in Siria. "I dirigenti dell'Ap hanno venduto i palestinesi in Siria e si sono riconciliati con il regime siriano", ha rilevato un palestinese della Siria. Un altro palestinese ha commentato: "Ora sappiamo perché alcune delegazioni dell'Olp si sono recate in Siria di recente. Hanno cercato di riallacciare i rapporti con il regime, non per garantire la sicurezza dei nostri campi profughi né per chiedere il rilascio dei palestinesi detenuti nelle prigioni (siriane, ndr)". Altri hanno accusato la leadership dell'Ap di "sacrificare il sangue dei palestinesi". L'apertura di una nuova ambasciata a Damasco sarebbe stata, secondo loro, una ricompensa offerta all'Autorità palestinese per essersi disinteressata delle sorti dei palestinesi della Siria. I palestinesi si lamentano del fatto che i diplomatici e altri rappresentanti dell'Ap, a Damasco, abbiano ignorato tutti gli appelli di aiuto lanciati in passato. I media internazionali non fanno altro che pubblicare articoli sulla "crisi idrica" nelle città e nei villaggi palestinesi, soprattutto in Cisgiordania. Questo è un tema che viene riproposto quasi ogni estate, quando qualche giornalista straniero è in cerca di notizie negative su Israele. E non c'è nulla di più piacevole che ritenere Israele responsabile della "crisi idrica" in Cisgiordania.
  Ma quanti giornalisti occidentali si sono preoccupati di informarsi sulla carenza d'acqua che affligge i palestinesi del campo profughi di Yarmouk, in Siria? Qualcuno sa che questo campo è rimasto senza acqua corrente per più di 720 giorni ed è senza elettricità da tre anni? Yarmouk, che si trova a soli otto chilometri dal centro di Damasco, è il più grande campo profughi palestinese della Siria. O piuttosto lo era. Nel giugno 2002, 112mila palestinesi vivevano a Yarmouk. Alla fine del 2014, la popolazione erano meno di 20mila. Secondo fonti mediche, molti dei residenti del campo sono affetti da una serie di malattie. Queste cifre sono allarmanti, ma non per la leadership dell'Autorità palestinese, i media mainstream e le organizzazioni per i "diritti umani" dei Paesi occidentali. Nessun campanello d'allarme è suonato riguardo agli oltre 12mila palestinesi che languiscono nelle prigioni siriane, tra cui 765 bambini e 543 donne. Secondo fonti palestinesi, circa 503 palestinesi sono morti sotto tortura negli ultimi anni. Fonti affermano che alcune prigioniere sono state stuprate dagli interroganti e dalle guardie. Huda, una ragazza di 19 anni di Yarmouk, ha raccontato di essere rimasta incinta dopo aver subito ripetuti stupri di gruppo per 15 giorni, nel carcere siriano dove era stata rinchiusa. "A volte mi violentavano più di 10 volte al giorno", ha raccontato Huda, aggiungendo che a causa di questo ha avuto forti emorragie e ha subito perdite di
La leadership dell'Ap non perde mai occasione di chiedere il rilascio di palestinesi incarcerati da Israele, ma di fronte alle migliaia di person- e torturate in Siria, i dirigenti dell'Autorità palestinese, a Ramal- lah, sono incredibilmente silenziosi.
coscienza. Ha anche raccontato in un'intervista di un'ora come sia stata rinchiusa in una cella per tre settimane dove c'erano i corpi di altri prigionieri torturati a morte.
Storie come questa vengono raramente riportate dai quotidiani occidentali. Né se ne parla alle conferenze delle varie organizzazioni internazionali che si occupano della tutela dei diritti umani e nemmeno alle Nazioni Unite. Gli unici palestinesi di cui il mondo parla sono quelli che si trovano nelle prigioni israeliane. La leadership dell'Ap non perde mai occasione di chiedere il rilascio di quei palestinesi incarcerati da Israele, la maggior parte dei quali è sospettata o riconosciuta colpevole di terrorismo. Ma di fronte alle migliaia di persone torturate in Siria, i dirigenti dell'Autorità palestinese, a Ramallah, sono incredibilmente silenziosi. Per essere precisi, è opportuno ricordare che le fazioni palestinesi di Fatah e Hamas hanno contattato talvolta le autorità siriane riguardo ai prigionieri, ma per chiedere il rilascio di alcuni dei loro membri.
  Giunge notizia dalla Siria che tre campi profughi palestinesi sono ancora assediati dall'esercito siriano e dai suoi gruppi fantoccio palestinesi. Yarmouk, ad esempio, è sotto assedio da più di 970 giorni, mentre il campo profughi di Al-Sabinah da più di 820 giorni. Handarat sta affrontando la stessa sorte da più di 1.000 giorni. La maggior parte degli abitanti di questi campi è stata costretta a lasciare le proprie case. A Yarmouk, 186 palestinesi sono morti di fame o per mancanza di cure mediche. Più del 70 per cento del campo di Daraa è stato completamente distrutto a causa dei ripetuti bombardamenti da parte dell'esercito siriano e di altre milizie. I palestinesi della Siria sarebbero stati più fortunati se avessero vissuto in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza perché la comunità internazionale e i media di certo li avrebbero notati. Quando i giornalisti occidentali si soffermano troppo sui palestinesi trattenuti ai posti di blocco israeliani, ma ignorano le bombe sganciate dai militari siriani sulle zone abitate, potremmo cominciare a chiederci cosa stiano davvero facendo.

(*) Gatestone Institute

(L'Opinione, 6 settembre 2016 - trad. Angelita La Spada)


Il boss è donna all'Hapoel e va in curva coi fan

Il club campione a Gerusalemme, prossimo rivale dell'Inter in Europa, è guidato da Alona Barkat. Che in trasferta si siede fra i suoi tifosi.

di Edmar Bergonzini

Alona Barkat
Sposto il cavallo in «D6», e intanto il mio capitale si è decuplicato. Per i maestri di scacchi giocare su più tavoli è normale. Stimola la mente, accresce la concentrazione. Muoversi in contemporanea su campi diversi però non è facile per nessuno. Ci riesce, con ottimi risultati, Alona Barkat, unica donna proprietaria di una società di calcio pro in Israele. Il suo Hapoel Beer Sheva ha vinto l'ultimo campionato, sfiorando la qualificazione alla Champions col Celtic (risultato complessivo dei preliminari 4-5). Retrocesso in Europa League, esordirà con l'Inter giovedì 15. La speranza è stupire e insegnare, perché per lei il calcio è una missione sociale: «Non c'è più posto per razzismo o intolleranza - ha detto-. Con noi giocano ebrei, arabi e cristiani. Ingaggiamo gli atleti in base al merito, non per il credo. E' un segnale forte alla società».

 La storia
  Beer Sheva è una città particolare. Ha la più alta percentuale di Grandi Maestri Internazionali di scacchi al mondo (8 su 183 mila abitanti). Anche il calcio è importante. Col club in serie B però la passione si era raffreddata. Nel 2007 ecco Alona Barkat, moglie di Eli, noto imprenditore israeliano. Per prelevare il club sborsò appena 1,4 milioni di euro. In molti pensavano che per lei l'Hapoel fosse un giocattolo, un passatempo: «Inizialmente venivo guardata in modo strano, come capita alle direttrici di banca. Alla fine però veniamo tutti giudicati in base al successo». Lei lo ha ottenuto subito: promozione nel 2008-09, ora l'Hapoel è campione d'Israele per la prima volta dal 1976. Non è l'unica donna proprietaria di un club (ci sono pure la Louis-Dreyfus a Marsiglia e Katharina Liebherr, n.l del Southampton), ma è quella che vive il ruolo in maniera più attiva. Oltre ai pregiudizi ha dovuto combattere anche con la violenza dei propri tifosi, che 6 anni fa hanno messo in fuga il tecnico Guy Azouri, costringendolo alle dimissioni. Ha minacciato di vendere il club, ha minacciato di mollare. Ma non lo ha fatto. Non si rinuncia a una missione sociale: «Il calcio è il modo migliore per promuovere valori educativi e indicare la strada del cambiamento alla comunità».

 Valore decuplicato
  Quando l'Hapoel è in trasferta lei va nel settore ospiti, trasmettendo ai suoi tifosi la vicinanza del club: «Molti di loro hanno il mio numero di telefono. Mi piace sapere cosa pensano. Ascolto idee e critiche». Sue tutte le decisioni manageriali: «I professionisti fanno il loro lavoro ma l'ultima parola spetta a me». E i risultati si vedono: l'Hapoel vale già oltre 10 volte più di quanto lo ha pagato nel 2007. Inoltre ha sconfitto il maschilismo di chi la guardava con scetticismo. Forse qualche simpaticone che le chiede informazioni sul fuorigioco c'è ancora, lei sorride, fa le sue mosse, e tiene tutti sotto scacco. Come si fa a Beer Sheva.

(La Gazzetta dello Sport, 6 settembre 2016)


Per la prima volta dalla Shoà, a Berlino si chiede di boicottare gli ebrei

L'ascesa indisturbata dei nazisti "per bene".

di Giulio Meotti

ROMA - Da anni, ormai, il sospetto nei confronti di Israele e degli ebrei si è diffuso nella società tedesca. Ne sono un esempio la Deutsche Bank, la più grande banca tedesca, che ha incluso la Poalim Bank israeliana in una lista di compagnie riguardo le quali gli investimenti sollevano "questioni etiche", inserendo la democrazia israeliana al fianco di stati canaglia. 0 il celebre grande magazzino di lusso berlinese conosciuto come KaDeWe, il più grande d'Europa, finito al centro delle polemiche per aver sospeso la vendita di vino israeliano. La figuraccia li aveva poi spinti a ripristinare le vendite. Ma non era mai successo prima, dai tempi dell'Olocausto, che una organizzazione della società civile tedesca invocasse ufficialmente il boicottaggio del popolo di Israele. Il sindacato degli insegnanti della città di Oldenburg (Bassa Sassonia, 164 mila abitanti) ha pubblicato un documento che chiede il boicottaggio completo dello stato ebraico, scatenando critiche da parte di insegnanti tedeschi e attivisti pro-Israele, così come del Centro Simon Wiesenthal. A firmare il documento l'attivista anti-israeliano e insegnante Christoph Glanz, che ha delineato gli obiettivi del movimento Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS) nel suo articolo di due pagine sulla rivista della "Gew", il sindacato degli insegnanti. E' la prima volta che una pubblicazione tedesca ufficiale abbraccia il boicottaggio di Israele, rompendo così un tabù storico (il boicottaggio degli ebrei fu avanzato dai nazisti ben prima dell'Olocausto, anche nelle scuole e nelle università). Alex Feuerherdt, giornalista ed esperto di antisemitismo tedesco contemporanea, ha detto al Jerusalem Post che "il fatto che Glanz si sia permesso di diffondere ostilità verso Israele in un giornale di un sindacato è uno scandalo".
   In numerose email alla presidenza della Gew, membri del sindacato hanno protestato per il documento antiebraico. Raimund Hethey, affiliato al sindacato, ha scritto per protesta che a Glanz "è consentito promuovere, senza obiezioni, una campagna antisemita". Rolf Jordan, un altro membro della Gew e anche lui insegnante, ha scritto che "questa campagna cerca di distruggere gli scambi accademici, gli eventi culturali e le relazioni economiche. Non mi sarei aspettato che il mio sindacato si sarebbe permesso di essere trascinato in questa palude". Heinz Bührmann, il presidente del sindacato, nella sua risposta a seguito delle polemiche non ha condannato esplicitamente il boicottaggio di Israele. Elvira Grözinger, membro della branca tedesca dell'associazione Scholars for Peace in the Middle East, ha detto che Glanz "segue il modello di quei tedeschi che preferiscono vedere gli ebrei come responsabili, relativizzando così le atrocità tedesche".
   In attesa dell'ascesa al potere di quei "neonazisti" dell'Alternative für Deutschland, dipinti come tali sulla stampa ieri dopo le elezioni regionali in Germania, i nazisti "per bene", quelli della società civile cosiddetta, si portano avanti con il lavoro. Indisturbati.

(Il Foglio, 6 settembre 2016)


Il viaggio dei rabbini in Calabria alla ricerca dei cedri più puri

L'agrume usato in tutto il mondo per il "Sukkot" arriva da Cosenza

di Laura Anello

 
Cedro di Santa Maria del Cedro
SANTA MARIA DEL CEDRO - «Sono unici, davvero borbotta in inglese il rabbino di New York seduto qui dalle otto del mattino. Barba, kippah sulla testa, lenti tonde e leggere che incorniciano sguardi da raggio laser. Testa che si scuote incontentabile. Sembra il set di un film di Woody Allen e invece è la litania che va avanti da ore nelle campagne di Santa Maria del Cedro, provincia di Cosenza. L'unico angolo d'Europa dove viene coltivato l'agrume di qualità liscio diamante. Diamante perché brilla al sole, proprio come gli ebrei vogliono per Sukkot, la festa della capanne che per gli osservanti è uno dei punti cardinali della vita religiosa. Quest'anno si svolgerà dal 16 al 23 ottobre, in ricordo delle capanne che gli ebrei si costruirono durante la traversata nel deserto dopo l'esodo dall'Egitto verso la Terra Promessa. Ed è proprio da queste poche centinaia di ettari in Calabria che arrivano i cinquemila quintali di cedri purissimi «baston» - cioè non innestati - per tutto il pianeta. Lillo Cava, il presidente del Consorzio europeo del Cedro mediterraneo, fatica e suda a portare casse di frutti davanti agli occhi dei due ospiti. Sul tavolo una decina di esemplari in corso di esame, al fianco una montagna di agrumi scartati, su una sedia quelli già scelti, avvolti uno per uno e custoditi in singoli incavi foderati di gommapiuma. Come gioielli. Ogni frutto viene venduto dagli agricoltori a prezzi superiori al mercato,. Queste terre a luglio e agosto pullulano di rabbini che arrivano dalle capitali dell'Europa occidentale, ma anche da Mosca e da New York. «Sacri cultori di cedri», come si chiamano. «Questo no, questo no, quest'altro neanche». Le mani toccano, verificano, misurano perché cercano qualcosa di molto preciso. Soltanto i frutti pesanti circa ottanta grammi, completamente lisci, né troppo tondi né troppo a punta, senza bitorzoli, senza rughe e senza macchie, possono essere usati per celebrare la festa di Sukkot, componendo il tradizionale "Lulav" che si adopera durante le preghiere.
  Moshe Lazar, rabbino a Budapest, figlio rabbino a Mosca, barba bianca, viene qui da oltre quarant'anni. «Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso - racconta - i contadini vendevano i cedri a un solo negoziante qui in Calabria. E lui li rivendeva ai fratelli Kré, commercianti di Genova, che li esportavano poi in tutto il mondo. Finché a un grossista che stava a Lugano è venuta voglia di venire fin qui a vedere. E quando è arrivato ha scoperto che i cedri erano stati innestati con l'arancio amaro e ha lanciato l'allarme a tutti. Da allora veniamo personalmente». Il motivo è che per la legge ebraica l'innesto è proibito. E allora eccoli qui, a guardare con i propri occhi, al fine di appurare il rispetto di regole antichissime. Ma perché qui e solo qui? «Cerchiamo quello che la Bibbia chiama "il frutto dell'albero più bello". In mancanza di riferimenti precisi a quale sia questo albero, ci affidiamo alla tradizione, e da trecento anni il cedro di più forte tradizione è quello liscio della Calabria. Vanno bene anche i cedri di Israele, mentre quelli del Marocco e di Corfù sono più contestati». A capire per primo di avere in mano un prodotto unico è stato Francesco Maria Fazio, 66 anni, sindaco di Santa Maria del Cedro dal 2004 al 2009. Nobili origini calabresi, nato e cresciuto a Milano, oncologo e docente universitario in una prima vita, adesso imprenditore del turismo con il resort La Bruca, vittima di quella 'ndrangheta che tre anni fa gli incendiò l'albergo e la casa per punirlo di non avere ceduto l'azienda ai boss. «Il cedro - dice - è uno straordinario retaggio biblico. Ebrei sono quelli che adesso vengono a comprare i nostri cedri ed ebrei erano coloro che in epoca ellenica e poi romana li piantarono qui, duemila anni fa. Insomma,la storia ritorna, facendo emergere le profonde radici ebraiche nell'Italia del Sud».

(La Stampa, 6 settembre 2016)


Almeno Berlino ha iniziato ad aprire gli occhi

Un documento del governo tedesco prende atto per la prima volta del banale trucco con cui l'Autorità Palestinese continua a finanziare i terroristi con i soldi europei.

Il governo tedesco ha ammesso per la prima volta che l'Autorità Palestinese dà verosimilmente sostegno finanziario ai terroristi e ai loro famigliari, e si è impegnato ad approfondire la questione.
A seguito di ripetute interrogazioni da parte di un deputato dell'opposizione, la scorsa settimana il Ministero degli esteri di Berlino ha riconosciuto che i fondi per i cosiddetti "martiri" e per i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane per reati di terrorismo non provengono solo dall'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), ma in parte anche dal bilancio dell'Autorità Palestinese....

(israele.net, 6 settembre 2016)


I francobolli degli ebrei in fuga

Inchiesta nella filatelia: francobolli "beni rifugio" dopo le leggi razziali.

di Giuseppe Marcenaro

Si dovevano essere accorti delle leggi razziali dalla scomparsa delle rarità filateliche. Una tragedia "filtrata" da occhiuta e scandalizzata mentalità collezionistica. Ovviamente con allusiva malizia al "bene rifugio". A un "bene" facilmente occultabile come un francobollo.
   Era passato poco più di un mese dal drammatico 11 novembre 1938, il giorno in cui i giornali erano usciti con la notizia ufficiale: "Le leggi per la difesa della razza approvate dal Consiglio dei Ministri".
Il successivo 14 dicembre Il Secolo XIX pubblicava "una piccola inchiesta svolta negli ambienti filatelici genovesi considerati - con quelli di Milano e di Torino - i più importanti in Italia". Inchiesta che aveva portato il cronista a fare una curiosa scoperta: "Da non molto tempo a questa parte stanno scomparendo in modo metodico e progressivo dal nostro patrimonio filatelico in possesso di privati collezionisti e di commercianti i "pezzi" più rari e quindi di maggior pregio che per quante ricerche vengano fatte dagli amatori non è più possibile trovare in alcuna collezione e tanto meno rintracciabile nell'ambito nazionale". E chi aveva fatto sparire quei "tesori", facendone ovviamente incetta? Una constatazione o una denuncia contro chi stava depauperando il "nostro patrimonio filatelico"?
   Era la ricerca del bene rifugio e soprattutto della sua "trasportabilità". In fuga verso qualche angolo in cui riuscire a sopravvivere senza essere perseguitati.
   Il cronista spiega che in giro per il mondo esistono delle "borse del francobollo" dove vengono decretati i prezzi dei rari "è facile perciò concludere che il possesso di un certo numero di "pezzi" rari può rappresentare in qualsiasi parte d'Europa e del mondo l'equivalente di una bella somma, facilmente realizzabile presso qualsiasi specialista del ramo". Insomma una specie di occulto contrabbando di valuta. Una maniera per esportare capitali all'estero. E chi sarebbero stati, sempre secondo il cronista, gli abili "passatori" di quei così preziosi quadratini di carta?
   Vien detto chiaramente. Gli ebrei in fuga dai paesi dove leggi inique impedivano loro ogni forma di elementare esistenza. Nei momenti tragici gli uomini aguzzano l'ingegno per aggirare i più efferati controlli. È l'istinto della sopravvivenza, indipendentemente dalla razza, dall'etnia, dalla nazionalità. Eppure ... L'innata vocazione alla salvaguardia della propria vita da parte dei perseguiti era vista allora, diciamo da molti, tale a una occulta furbizia. "Una volta acquistati questi valori in formato ridotto non è difficile per loro praticare l'esportazione sia frammisti alle carte personali d'ognuno, sia appositamente applicati su buste comuni in modo di farli apparire come corrispondenza ordinaria, cosa che questa non può suscitare sospetti nemmeno nel più scrupoloso doganiere". E si dispiaceva il cronista del fatto che una quantità di nostri capolavori collezionistici stessero prendendo il volo, soprattutto verso la Svizzera, a Zurigo dove esisteva uno dei più importanti centri del commercio filatelico del mondo. E al diavolo i francobolli. Qualche vita l'avranno pure salvata. In un universo che stava crollando. Dove ogni cosa, anche la più preziosa, compresa la vita, sembrava aver perduto valore. E dove in una silente quanto drammatica complicità qualcuno si preoccupava di strani patrimoni come una raccolta di francobolli, mentre c'erano dei luoghi di tragico collezionismo che si chiamavano Dachau, Buchenwald, Mauthausen ...

(Il Secolo XIX, 6 settembre 2016)


Applicare la sharia in Germania: a processo un predicatore salafita tedesco

Sven Lau si è convertito all'islam e ora si chiama Abu Adam: è accusato di aver mandato combattenti in Siria.

 
Sven Laud ora diventato Abu Adam

E' Iniziato presso la Corte d'appello di Duesseldorf il processo contro il predicatore salafita Sven Lau, accusato dalla procura federale generale di sostegno a un'organizzazione terroristica straniera.
Il 35enne tedesco convertito all'islam e che ora si fa chiamare Abu Adam sarebbe stato l'interlocutore di un gruppo islamista attivo in Siria per il quale avrebbe procurato combattenti volontari, soldi e attrezzature.
Lau, che ha respinto le accuse, rischia fino a 15 anni di carcere. Il suo nome è fra quelli più noti nella scena salafita tedesca. Nel 2014 partecipò assieme ad altri salafiti alla marcia dell'autonominatosi gruppo "polizia della sharia" a Wuppertal, quando 11 giovani salafiti sfilarono per le vie della città con giubbotti antinfortunistiche su cui era scritto "Sharia Police", atteggiandosi a guardiani dei costumi e invitando i cittadini a conformarsi ai dettami dell'islam.

(globalist, 6 settembre 2016)


Arrivata a Gaza una seconda nave di aiuti turca

Partita venerdì con a bordo 2.500 tonnellate di cibo e vestiti.

ISTANBUL - Dopo la 'Lady Leila', arrivata a pochi giorni dall'accordo di normalizzazione tra Israele e Turchia di fine giugno, una seconda nave turca con aiuti umanitari per la popolazione di Gaza, la 'Eclips', è giunta oggi nel porto israeliano di Ashdod da dove il suo carico sarà trasportato nella Striscia. Lo riferisce l'agenzia statale di Ankara, Anadolu. La nave è partita venerdì dal porto mediterraneo turco di Mersin con un carico di 2.500 tonnellate di cibo, medicinali e materiale scolastico, oltre a mille biciclette per bambini, che dovrebbe giungere a Gaza entro il fine settimana, in tempo per la festività islamica del Sacrificio.

(ANSA, 5 settembre 2016)


Ismail Haniyeh alla guida di Hamas al posto di Khaled Meshaal

RAMALLAH - Il movimento islamista palestinese Hamas sarebbe orientato verso l'elezione del leader Ismail Haniyeh a capo dell'ufficio politico del movimento al posto di Khaled Meshaal alle prossime consultazioni previste per la fine di quest'anno. Lo hanno rivelato fonti palestinesi al quotidiano arabo "Asharq al Awsat", aggiungendo che la scelta sarà fatta nel corso delle elezioni che si terranno alla fine di quest'anno. Secondo le fonti, Haniyeh starebbe cercando di trasferirsi con i membri della sua famiglia nella capitale del Qatar, Doha, per prepararsi alle prossime responsabilità politiche del movimento, dopo aver servito come vicecapo dell'ufficio politico a seguito delle elezioni tenutesi in segreto nel 2012 in Egitto. "Vi è un accordo all'interno dell'ufficio politico sul ritiro delle candidature di altri leader come Moussa Abu Marzouk, mantenendo solo il nome di Ismail Haniyeh per aprire la strada alla sua elezione", ha spiegato una fonte informata di Hamas, aggiungendo che "questo patto riuscirà solo se Haniyeh sarà in grado di lasciare presto la Striscia di Gaza". Per candidarsi alla guida del movimento, infatti, bisogna trovarsi fuori dalla Striscia di Gaza per assumere il potere. Le fonti riferiscono che Haniyeh dovrebbe lasciare Gaza il prossimo sabato o domenica, per recarsi in Arabia Saudita per effettuare il pellegrinaggio rituale, il Hajj. Passando per l'Egitto, Haniyeh dovrebbe raggiungere il regno saudita e da lì, infine, raggiungere il Qatar.

(Agenzia Nova, 5 settembre 2016)


Israele: no a lavori pubblici di sabato. Netanyahu perde quota

Sondaggi negativi per il premier dopo una giornata di caos

TEL AVIV - Benyamin Netanyahu ha bruscamente perso quota oggi nei sondaggi di opinione in seguito ad una crisi innescata venerdi' dal suo divieto alla compagnia pubblica delle ferrovie di procedere a lavori di manutenzione di sabato, in ossequio al volere dei partiti confessionali della sua coalizione di governo. Il repentino blocco dei lavori - che erano gia' iniziati, su istruzione del ministro dei trasporti Israel Katz (Likud) - ha comportato ieri la totale paralisi nella linea Tel Aviv-Haifa e forti disagi per 150 mila viaggiatori.
I sondaggi odierni mostrano una netta insoddisfazione degli israeliani verso il primo ministro. Il 49 per cento - scrive Yediot Ahronot - lo ritengono responsabile della crisi, mentre il 14 p.c. addossano la colpa al ministro Katz. Secondo Maariv, il 61 per cento concordano col ministro dei trasporti che e' lecito condurre lavori durante il riposo sabbatico, se le circostanze lo richiedono. Due terzi degli intervistati sono infine persuasi che la crisi sia stata generata non tanto dai lavori di sabato quanto da rivalita' politiche nel Likud.

(ANSAmed, 5 settembre 2016)


Israele osa: «Noi secondi o terzi»

Il ct Levy: «Di voi sappiamo tutto» zahavi (chegioca in Cina): «Terremo d'occhio Pellè».

Il Sammy Ofer Stadium di Haifa
HAIFA - Non un poliziotto visibile né blindati all'aeroporto Ben Gurion, dove l'unica "tassa" è un'ora e mezza di coda per superare il controllo passaporti; poi, nei 100 chilometri da Tel Aviv verso Haifa, solo il traffico "normale" della domenica, primo giorno di lavoro della settimana israeliana; siamo sotto il cielo più controllato del mondo eppure la sensazione di tanta normalità è sorprendente. Come entrare, senza alcun filtraggio, nel Sammy Ofer Stadium, davvero un impianto che merita la sinuosa copertura dorata che ha, a due passi dal mare. Qui dentro stasera farà caldo sul serio, non solo per il tifo dei 30mila che lo gremiranno sognando la califomia di un successo storico: intorno al terreno di gioco 24 mega ventilatori provare ad alleviare il caldo umido che toglie il fiato. Per gli azzurri solo una breve passeggiata, fatto che non è piaciuto ai media di casa, già con le antenne ritte dopo il giudizio barese di Ventura: «Israele non è la Francia ... ».

 All'attacco
  Non che Elisha Levy o il capitano-stella della squadra, il "cinese" ex Palermo, Eran Zahavi, digrignino i denti. «Nessuna mancanza di riguardo verso di noi» taglia corto il ct, che entra nel match: «li rispettiamo ma è sicuro che cercheremo di batterli, sappiamo tutto di loro, dal 3-5-2, alle palle da fermo ai 10 anni di imbattibilità ... ». Più d'un dubbio di formazione: Dasa-Ben Biton, Atzili-Hemed ma soprattutto Golasa, uomo chiave non al meglio, e Kahat. Levy cercherà di arrivare dove nessun suo predecessore è riuscito dal 1970 a oggi. Guttman, l'ex ct, aveva un anno fa sfiorato la storica qualificazione a un Europeo. Il suo successore sogna la Russia: «Non so dove arriveremo, secondi, terzi ... ma saremo competitivi. Mi aspetto grande sostegno dalla gente, spero che non ci fischino se perdiamo...».

 Svolta offensiva
  «Un pari sarebbe un buon risultato ma non ci basta .. ». E' Eran Zahavi ad alzare l'asticella. Lui, già scommessa di Zamparini, ora il capitano, il più ricco giocatore d'Israele, con i suoi 12 milioni e mezzo di contratto col Guangzhou, non si nasconde: «Ho grandi ricordi dell'Italia, dei suoi grandi giocatori, sono tornato in Israele migliorato». Il suo modello passa da… Pellè: «Ci siamo affrontati in Cina, è bravo, segna, è aiutato dalla squadra e lui aiuta i compagni, lo terremo d'occhio. Ma questa è la strada per arrivare in Russia: uniti e all'attacco; rispetto al passato, quando eravamo troppo difensivi, io ho più fiducia».

(Corriere dello Sport, 5 settembre 2016)


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Zahavi, l'uomo da sette milioni. Israele ha il suo poster

Capitano della nazionale, strapagato dai cinesi e simbolo Nominato ambasciatore nonostante un rosso memorabile.

di Giulia Zonca

 
Eran Zahavi

I gol di Zahavi
L'uomo da 7 milioni di euro una volta vendeva paste fuori da uno stadio e oggi è la faccia dello sport israeliano.
Eran Zahavi è diventato capitano della nazionale ed è stato nominato ambasciatore di pace dall'ex presidente Shimon Peres, giusto una settimana fa. Merito di un contratto firmato quest'estate con il Guangzhou, in Cina, dove di solito puntano giocatori cresciuti con il calcio che conta e stavolta hanno cercato lui, uno fuori dalla mappa.

 Passaggio al Palermo
  I numeri sono da record come lo stipendio, ma è soprattutto il soprannome che rende Zahavi speciale e lo trasforma in poster. Lo chiamano «Who else?», come la pubblicità del caffè e con lo stesso intento perché chi altri può fare miracoli in una nazionale senza troppe stelle? Chi può segnare nei derby decisivi, chi può spingere il Maccabi Tel Aviv fino al girone di Champions, chi può attirare i cinesi dalla poco frequentata classifica israeliana? Lui, Zahavi che ha una collezione di momenti straordinari e una partita in sospeso che non riesce ad archiviare. E che oggi, da ambasciatore, deve superare.
Per ora ci mette la buona volontà e guida Israele in un gruppo definito «impossibile contro Italia e Spagna», eppure «chiave perché dobbiamo fare come l'Albania, esportare talenti e crescere. Il solo modo per riuscirci è farci vedere».
Zahavi ha 29 anni e si gode la maturità calcistica. A Palermo ha esordito con un gol contro il Cagliari nel 2011, prima partita in Italia e in rete dopo un minuto, il soprannome funzionava alla perfezione, la testa no. Troppo lontano da casa, certo, oggi i soldi lo hanno aiutato con un trasferimento radicale addirittura in un altro continente, ma sono passati cinque anni e un numero di gol che lo ha cambiato.

 Un derby da archiviare
  Quando arriva in Serie A è l'eroe dell'Hapoel, il campione capace di firmare la sfida più tesa (contro il Beitar Gerusalemme) di un campionato deciso all'ultimo giorno. E deciso da lui. Parte da idolo, premiato per la fatica fatta per arrivare fino a lì. Ha iniziato con un prestito al Ramat Hasharon, nel 2008, e con il doppio lavoro. Allenamenti al mattino, ambulante al pomeriggio. Far quadrare i conti non è semplice ma far tornare i sogni gli riesce benissimo.
Invece di godersi il momento d'oro se ne va, si infortuna e per riprendersi torna a casa. O quasi. Quando rientra è il Maccabi Te! Aviv che lo strapaga e c'è Jordi Cruyff in panchina che vuole proprio lui.
Ovviamente il giorno chiave diventa il derby contro gli ex, ma Maccabi-Hapoel non finisce mai. La gara viene sospesa per l'invasione di un esagitato che si scaglia contro Zahavi e gli fa perdere la testa. L'ultrà scalcia e il giocatore risponde fino a che l'arbitro non lo espelle. Proteste, petizioni, Zahavi pretende che il club si rifiuti di tornare in campo per opporsi a quel rosso. Mediazioni, scuse, interviste: la squalifica rimane, però il sostegno la alleggerisce.
Zahavi va avanti fino al record di gol dell'ultimo campionato, 35 gol e passaggio in Cina con riconoscimenti istituzionali. Il soprannome regge ancora, ma il gesto che accompagna i gol dovrà cambiare: i colpi di pistola non si addicono al ruolo di ambasciatore per la pace.

(La Stampa, 5 settembre 2016)

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Non solo Zahavi, la bella storia di Hemed e Kayal

di Davide Martini

Beram Kayal (a sin.) e Tomar Hemed

Iraele si presenta al via del girone C di qualificazione a Russia 2018 con una missione: non tanto sperare di qualificarsi per la fase finale del Mondiale, dove manca dal 1970, bensì quella di ricostruire e ringiovanire il gruppo in vista di Euro 2020, l'edizione itinerante della rassegna continentale che festeggerà i 60 anni, alla quale Israele sogna di partecipare dopo il flop nel percorso di qualificazione all'ultimo Europeo, dove neppure l'allargamento a 24 partecipanti a consentito a Zahavi e compagni di ottenere un posto al sole.
   Il quarto posto alle spalle di Spagna, Italia e Albania (si spera non in quest'ordine…) sembra l'obiettivo massimo cui può aspirare il neo ct Elisha Levy, chiamato a sostituire Eli Guttman e ad avviare un nuovo ciclo basato sui migliori elementi dell'Under 21 oltre che sul blocco storico delle big del campionato, Maccabi Haifa, Maccabi Tel Aviv e Hapoel Haifa, con un occhio di riguardo alla novità Hapoel Be'er Sheva, che affronterà l'Inter in Europa League.
   Ad Haifa il clima si annuncia infuocato sul piano meteorologico, mentre su quello ambientale, paradossalmente, potrebbero esserci più problemi per Israele che per l'Italia, che sarà appoggiata da molti tifosi dei club delle big della Serie A, e che potrebbe approfittare dell'insofferenza del pubblico locale qualora le cose non si mettessero bene per Israele, che scenderà in campo con un 11 inedito e piuttosto giovane, sempre guidato però dalla stella di Eran Zahavi.
   L'ex palermitano è il più forte calciatore israeliano degli ultimi 30 anni insieme a Yossi Benayoun, capaci di far rivivere i fasti di Haim Revivo e di Eli Ohana che fece piangere l'Atalanta in Coppa delle Coppe con il Malines nel 1988.
   Alla vigilia Zahavi ha ricordato con piacere il biennio trascorso a Palermo, nel quale in realtà ha avuto poco spazio, segnando un solo gol, ma trampolino di lancio per tornare da protagonista in patria con il Maccabi Tel Aviv, lasciato poche settimane fa per trasferirsi in Cina al Guangzhou R&F, la seconda squadra della città dopo il blasonato Evergrande.
   Ma la storia più bella della nazionale israeliana riguarda l'amcizia tra Tomar Hemed e Beram Kayal, compagni non solo con la maglia della rappresentativa, ma anche nel club, il Brighton & Hove Albion, rivelazione dell'ultima Championship e candidata anche quest'anno allo storico salto in Premier.
   I due sono ormai colonne della Nazionale, Hemed, miglior marcatore in attività di Israele con 12 gol dietro Benayoun, agirà come punta unica del 4-5-1, magari scambiandosi con Zahavi che partirà dalla fascia, mentre Kayal farà legna a centrocampo, come il proprio idolo Gennaro Gattuso.
   I due sono amici inseparabili nonostante la significativa differenza che li separa: Hemed è ebreo e Kayal arabo-israeliano. Inutile soffermarsi su quanto ciò sia importante in una terra da anni tormentata, eppure ecco un bell'esempio di come lo sport possa unire. I due peraltro, uniti anche dalla fede musulmana, che Kayal ha mantenuto senza problemi anche durante l'esperienza in Scozia al Celtic, la squadra cattolica di Glasgow, lasciata nel gennaio 2015 per trasferirsi al Brighton, dove è stato raggiunto al termine della stagione da Hemed, a propria volta reduce da buoni campionati in Spagna con Maiorca e Almeria.
   Peraltro Hemed e Kayal, insieme a Parigi nella tragica notte dell'assalto al Bataclan, sono accomunati anche da dolci ricordi con l'Italia: qui si misero in luce nel Torneo di Viareggio del 2007 con il Maccabi Haifa, eliminato dopo la prima fase, ma dopo aver battuto la Fiorentina e pareggiato contro il Napoli, mentre Kayal non è fan solo di Gattuso, ma pure di Andrea Pirlo, al punto da aver scelto di battezzare proprio figlio in omaggio all'ex campione di Milan e Napoli. Peccato che il nome scelto non sia stato Andrea, ma direttamente Pirlo…

(90 min., 5 settembre 2016)


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Mondiali 2018, verso Israele-Italia. Lior, da Firenze alla nazionale, "Zahavi la nostra speranza"

Forza Israele!

 
Forza Italia!

"Un nuovo allenatore, un nuovo staff, tanti nuovi giocatori. Per Israele sarà dura, ma cercheremo comunque di vender cara la pelle"
Alla vigilia dell'atteso incontro di qualificazione ai Mondiali del 2018 tra Israele e Italia, in programma domani ad Haifa, una vecchia conoscenza del nostro calcio racconta al portale dell'ebraismo italiano, e molto da vicino, l'attesa e le aspettative della nazionale guidata da Elisha Levy.
Perché quelli che per gli Azzurri di Ventura sono undici avversari quasi sconosciuti, per Lior Many sono lavoro quotidiano.
Lanciato nei suoi anni fiorentini da Cesare Prandelli, che lo volle nello staff medico della società nel pieno dei suoi studi universitari, Lior è oggi un apprezzato dietista e nutrizionista. Un punto di riferimento non solo della nazionale ma anche del Maccabi Tel Aviv (sia pallacanestro che pallone).
"L'Italia è decisamente superiore, pur non essendo più lo squadrone di un tempo. Ma vedo tra i 'nostri' molta concentrazione, molta intensità e molto entusiasmo. Siamo all'inizio di un girone difficile, davvero complicato. C'è la voglia di iniziare con il piede giusto. E per iniziare bene - sottolinea Lior - la giusta alimentazione è fondamentale".
Tra i possibili protagonisti Lior segnala Eran Zahavi, il miglior calciatore israeliano della sua generazione. A Palermo fece benino, al Maccabi Tel Aviv si è fatto largo con caterve di goal (anche in Europa). Adesso è in Cina, compagno di squadra di Pellè. "Eran è sicuramente l'uomo più atteso, anche per sfatare quello che è sempre stato un po' un suo tabù: la nazionale. Quale miglior occasione - riflette Lior - di un incontro così prestigioso, contro la squadra del campionato che l'ha fatto conoscere al pubblico europeo?".
Tre i giorni trascorsi a Tel Aviv in compagnia della nazionale, che ha salutato con un caloroso "in bocca al lupo". Mister Levy ha chiesto spiegazioni su quel misterioso commiato. "Preferisco 'buona fortuna'" gli ha poi detto in perfetto italiano.

(moked, 4 settembre 2016)


"Milano, città capofila: un'occasione per noi per raccontare chi siamo e i nostri valori"

La Giornata Europea della Cultura ebraica serve a costruire relazioni con la società civile, con le istituzioni, a far conoscere i valori dell'ebraismo e l'importanza della minoranza ebraica all'interno della realtà italiana. E su questi concetti che si sono mossi Davide Romano e Gadi Schoenheit, rispettivamente assessore e vice?assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano, per realizzare il programma della Giornata nel capoluogo lombardo, quest'anno città capofila della rassegna organizzata per il 18 settembre. "Abbiamo voluto essere noi la città capofila - spiega Romano - perché quest'anno cade il 150enario della nostra Comunità e per cui abbiamo pensato fosse importante dare risalto a questo anniversario". Un'iniziativa quindi dal valore internazionale ma che sottolinea anche un momento particolare della storia della Keillah meneghina. "Con la Giornata - sottolinea Schoenheit - continuiamo il programma avviato a inizio anno e poi proposto con forza durante il festival Jewish in the city (realizzato in città a fine maggio) diretto a coinvolgere attraverso la cultura diversi spaccati della nostra società". Milano ha poi scelto di declinare il tema della giornata in modo diverso, parlando del "Potere della parola". "A riguardo mi sembra significativo e simbolico il fatto che il ministro della Difesa Roberta Pinotti, ospite al Tempio di via Guastalla, venga a parlare di shalom, pace. Un modo per dare un messaggio positivo e dimostra come la cultura sia uno strumento importante per costruire appunto la pace", sottolinea Schoenheit. Quest'ultimo, così come Romano, ricorda l'importanza poi dello stretto rapporto costruito con le istituzioni cittadine e con la regione, in particolare nel caso della Giornata con la disponibilità tangibile dimostrata dall'assessore alla Cultura del Comune Filippo Del Corno. L'impegno di Palazzo Marino, sottolineano Romano e Schoenheit, ha portato ad esempio alla concessione dello spazio del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia "Leonardo da Vinci", dove si svolge parte del programma.
   In un momento come questo, rileva Romano, "il potere della parola ha poi una rilevanza ulteriore, visto come viene distorta dai radicalisti e per questo bisogna impegnarsi perché questa non venga utilizzata come arma distruttiva ma come strumento di conoscenza reciproca". "Crediamo infatti che il tema della lingue ebraiche e della potenza e della forza della parola, sia stato spesso sottovalutato. - spiega Romano - Con essa, in famiglia e tra amici, possiamo litigare o fare la pace. Sempre attraverso essa, per esempio dallo psicologo, possiamo guarire. Quando poi i politici ne fanno pessimo uso - la storia insegna - possono addirittura scatenare odio e guerre. Proprio per questo crediamo che la parola - e quella ebraica in particolare - abbia un potenziale inesplorato di pace. In questa giornata vogliamo proprio illuminare e valorizzare tutto questo".
   "Chi ha fede - prosegue Romano - sa bene come le parole che l'Eterno pronunciò per creare l'universo furono pronunciate proprio in ebraico. E nella nostra tradizione le lettere ebraiche sono infatti depositarie della potenza divina. Ma anche i non credenti possono riconoscere l'importanza che hanno avuto nelle coscienze di tutti, quelle sole Dieci Parole (erroneamente tradotte come Dieci Comandamenti). Combattendo l'ignoranza e portando alla luce la ricchezza contenuta nella lingua e nelle scritture ebraiche, vorremmo portare a scoprire quanto una lingua e le sue parole possano fare la differenza tra il buio della ragione e la luce della conoscenza".

(moked, 5 settembre 2016)


Crolla un parcheggio in costruzione a Tel Aviv: si cercano dispersi sotto le macerie

Sul posto squadre di soccorso dei vigili del fuoco e dei volontari, insieme a soldati dell'esercito.

 
Quasi trenta persone sono rimaste ferite in un crollo avvenuto nel cantiere di un parcheggio in costruzione a Tel Aviv, mentre una ventina risultano ancora disperse e potrebbero essere rimaste intrappolate sotto le macerie, nel quartiere di Ramat Hahayal. A causare il crollo forse il cedimento di una gru nel cantiere. Sul posto sono al lavoro numerose squadre di soccorso, insieme a un centinaio di soldati dell'esercito per aiutare nelle operazioni, come scrive YnetNews. "Ci sono persone sepolte sotto la sabbia", ha confermato un portavoce dei vigili del fuoco. Con due di loro i soccorsi sarebbero riusciti a stabilire un contatto via cellulare, riferiscono fonti locali. I feriti sono stati trasportati negli ospedali della zona, uno risulta in condizioni gravi. "Diversi piani dell'edificio sono crollati e c'è il rischio di altri crolli nello stabile e nell'area circostante", fanno sapere a YnetNews fonti di polizia.

(Today, 5 settembre 2016)


Le teorie antisemite che ispirano Hamer

L'ex medico tedesco ha scritto che gli ebrei utilizzano il crimine della chemioterapia.

di Fabrizio Dragosei

I pazienti oncologici che anche dopo la recentissima morte delle due italiane decideranno di affidarsi alle cure alternative di Ryke Geerd Hamer, e non alle terapie prescritte dalla medicina tradizionale, devono sapere tutto su questo ex medico tedesco. Hamer, radiato dall'ordine, imprigionato in Germania e in altri Paesi per le sue azioni, sostiene, come abbiamo letto in questi giorni, che la chemioterapia non curi affatto i tumori e che in realtà non di cancro si tratti, bensì di affezioni psicologiche da affrontare in altro modo, con la sua «Nuova medicina tedesca». Teorie balzane che hanno però trovato innumerevoli seguaci in diversi Paesi, soprattutto Norvegia, Canada e, purtroppo, Italia.
   Ma Hamer dice anche altro. In una serie di lettere scritte tra il 1986 e il 2003, ha sostenuto che la chemioterapia è uno strumento inventato dagli ebrei per uccidere i non ebrei. «Le logge massoniche e Israele ... devono assumersi la responsabilità e la colpa collettiva del più orribile delitto di tutta la storia dell'umanità». L'ex medico afferma che da anni gli ebrei usano per i loro simili la sua medicina alternativa e riservano agli altri la perniciosa chemioterapia: «Così gli ebrei hanno potuto sopravvivere al 98%». Invece «il 98% dei malati non ebrei, cioè due miliardi di persone ... risultano essere stati "macellati" nel modo più atroce: "olocausto secondo l'uso ebraico"».
   Nel 2009 Hamer è andato oltre: gli aghi delle siringhe usati con la chemioterapia servono in realtà per impiantare nei pazienti microchip che in un secondo tempo vengono attivati tramite satelliti: «E possibile uccidere la gente in modo del tutto discreto, come se fossero morti naturali. .. si possono anche simulare epidemie».
   Il tutto andrebbe liquidato come semplice farneticazione: la solita teoria del complotto mondiale giudaico, tanto cara ad Adolf Hitler. Ma ad Hamer e ai suoi complici, purtroppo, si affidano persone con problemi veri di salute. E non solo malati terminali senza più speranza, come succede con altri presunti guaritori. La diciottenne padovana morta nei giorni scorsi poteva benissimo guarire con cure adeguate.
   Prima di scatenare la guerra mondiale, Hitler accusava gli ebrei di voler «provocare una guerra internazionale per sterminare le razze europee». Non è tanto diversa la teoria di Hamer, il quale, almeno fino ad oggi, non ha però rilanciato le minacce contenute nella seconda parte del discorso del Führer: «Il risultato non sarà questo, bensì lo sterminio degli ebrei in Europa».

(Corriere della Sera, 5 settembre 2016)


Israele: 'crisi treni', centomila a piedi

Scontro Netanyahu-ministro trasporti su lavori durante shabbat

TEL AVIV - Più di centomila persone appiedate, 150 treni soppressi sulla linea Tel Aviv-Haifa: è il risultato della crisi politica in atto tra il premier Benyamin Netanyahu e il suo ministro ai trasporti Israel Katz dopo lo scontro tra i due (entrambi del Likud) sui lavori ferroviari durante lo shabbat, il riposo sabbatico. Una polemica - con il ministro favorevole ai lavori e il premier, insieme ai partiti religiosi, contrario - che ha creato una vera e propria falla nel governo tanto che Netanyahu oggi durante la riunione di governo a Gerusalemme, rivolto a Katz, ha minacciato: "Non permetterò a nessuno di lanciare golpe contro di me".
La querelle ha avuto inizio venerdì scorso quando Netanyahu - che lo scorso week end aveva invece acconsentito ai lavori di ammodernamento della ferrovia durante lo shabbat nonostante le furiose rimostranze dei partiti religiosi - questa volta ha accusato Katz di aver creato con le sue direttive inutili frizioni con i partner ortodossi della maggioranza e ha bloccato i lavori.

(ANSA, 4 settembre 2016)


Carri armati israeliani bombardano obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza

GERUSALEMME - Carri armati israeliani hanno preso di mira la scorsa notte obiettivi legati al movimento islamista palestinese Hamas nella Striscia di Gaza in risposta a un precedente scontro a fuoco tra le parti. Lo riporta l'emittente satellitare "al Arabiya" citando fonti di sicurezza palestinesi. Gli obiettivi bombardati si trovano in particolare nella zona settentrionale della Striscia, nell'area di Beit Lahia. L'attacco israeliano non avrebbe tuttavia provocato feriti. In precedenza, le forze armate israeliane avevano fatto sapere di essere state attaccate da fuoco palestinese lungo il confine. Lo scorso mese, Israele aveva condotto decine di attacchi aerei su Gaza in risposta all'ennesimo lancio di razzi da parte di Hamas contro il territorio israeliano.

(Agenzia Nova, 4 settembre 2016)


Dove la religione non fa differenza. Ebrei e arabi a scuola di calcio

Israele, tra i bambini c'è chi abbatte i muri. più difficile tra i grandi L'esperienza del Roma club Gerusalemme: "E la lingua del pallone. I genitori vedono che i loro bambini si divertono: non conta se il compagno è ebreo o arabo.

 
Primo comandamento: «Ci sono solo squadre miste, con ebrei, arabi, drusi, cristiani, di qualsiasi nazionalità». Secondo: «Niente parolacce, perché la violenza verbale porta a quella fisica». C'è davvero una Terra Promessa, per i bambini che vogliono cominciare a giocare a pallone, e l'hanno aperta gli italiani del Roma Club Gerusalemme, come racconta Samuele Giannetti, segretario e vice-presidente. «Abbiamo iniziato sette anni fa, con sette bambini e un allenatore arabo, del Nord di Israele. Quest'anno dovremmo arrivare a 150 iscritti, tra i 5 e i 15 anni, con le prime due squadre di bambine». Le vie del pallone (e dell'integrazione) sono infinite. Se la maggior parte dei club dilettanti in Israele hanno tutti giocatori arabo-israeliani o tutti ebrei, al Roma Club ci sono squadre miste, come fosse la ragione aziendale.

 Una scommessa vinta
  L'ultima sfida è quella delle squadrette femminili: «Fino ai 10-11 anni è meno problematico avvicinare al calcio le bambine arabo-israeliane - racconta ancora Giannetti - ma quando crescono, sì. Dipende anche dalla famiglia». Non si perse d'animo all'inizio, figurarsi ora: «Non mi piacciono le cose facili». I più piccoli cominciano con il calcio a 5, poi calciotto, e finalmente a 11. La municipalità di Gerusalemme organizza un campionato, «noi due tornei, grazie alla Kinder+Sport». Però, «c'è anche un codice di comportamento: se non vai bene a scuola, noi non ti portiamo in giro a giocare». Il primo allenatore parlava arabo, ebraico e italiano, «faceva allenamenti in tre lingue», sorride Giannetti, ora ci sono quattro tecnici israeliani e due arabi. «E bambini israeliani, arabi, etiopi, drusi, somali: chi parla ebraico, chi arabo, qualche parola di inglese. Ma soprattutto si comunica con la lingua del pallone». Qui la retorica s'è fatta pratica. Meglio degli adulti, se alcune squadre e tifoserie, sono ancora spaccate: come il Beitar Gerusalemme, «di estrema destra», e l'Hapoel Te! Aviv, «di sinistra». Quando il Beitar acquistò il primo giocatore non ebreo della sua storia, Kadiev, ceceno di religione musulmana, gli ultrà issarono uno striscione: «Non ci rappresenti». Non è un bel clima. «Il problema sono gli adulti», commenta Giannetti, perché va così anche attorno alle partitelle dei bimbi. «Anche se episodi di violenza non ce ne sono mai stati. E noi, con tutti i genitori, facciamo degli incontri, proprio per questo».

 Hemed e Beran, gli esempi
  L'esperienza del Roma Club Gerusalemme pare una contaminazione, in una città dove le altre realtà amatoriali sono divise: «Due-tre squadre di ragazzi arabi, altre tutte di israeliani, pochissime miste. Forse non c'è la volontà: ma a livello nazionale è diverso». Non senza problemi: «Ogni tanto, a Gerusalemme ci sono state ritorsioni da parte dei tifosi». In nazionale c'è un bello spot, con i due che fanno coppia anche nel Brighton, nella Championship inglese: Keyan Beran, arabo-israeliano, e Tomer Hemed, ebreo. Un anno di differenza, ma per il resto il destino ne ha annodato il cammino: nati nello stesso giorno, 2 maggio, nei dintorni di Haifa, sono cresciuti nel settore giovanile del locale Maccabi, prima dell'avventura in Europa. Gli idoli di casa, se domani sera l'Italia li sfiderà dentro al nuovo Sammy Ofer Stadium di Haifa, Nord di Israele. Keyan Beran, che ha chiamato il figlio Pirlo dopo un Celtic-Milan in cui sfidò il regista, legge lo stesso passo del Corano prima di ogni partita. Tomer Hemed va in sinagoga ogni venerdì sera. L'uno di fronte all'altro, in un manifesto inglese, sono diventati simbolo di integrazione. La stessa cui lavora Giannetti, che porterà una ventina di bambini, misti ovviamente, a vedere la sfida dell'Italia: «I genitori vengono al campo e vedono che il loro bambino si diverte, e non importa se il compagno è ebreo, arabo, bianco o nero». M. Ner.

(La Stampa, 4 settembre 2016)


Israele-Italia, come finirà la sfida di Haifa?

Appuntamento ad Haifa lunedì sera per la prima partita di qualificazione ai Mondiali di Russia.

Israele e Italia di fronte per la prima partita del girone di qualificazione a Russia 2018. La partita si giocherà ad Haifa alle 20.45, e alla stessa ora si affronteranno anche le altre squadre del gruppo G, Albania-Macedonia e Spagna-Lichtenstein.

(La Gazzetta dello Sport, 4 settembre 2016)


Italia, in Israele per la storia: dieci anni senza sconfitte nelle qualificazioni

Qualora dovesse uscire indenne contro l'Israele, l'Italia raggiungerebbe un traguardo prestigioso: 10 anni senza sconfitte tra qualificazioni mondiali ed europee.

E' arrivato il tempo di fare sul serio per la nuova Italia di Ventura, sconfitta dalla Francia nell'amichevole di Bari che ha comunque dato qualche buona indicazione al neotecnico: azzurri di scena domani in Israele nel primo match delle qualificazioni per il Mondiale del 2018 che si svolgerà in Russia.
Sarà un match importante per Buffon e compagni, non soltanto perché è il primo ufficiale di questo nuovo corso: c'è un record prestigioso da conquistare per scrivere un'altra pagina di storia della Nazionale.
Se infatti gli azzurri non dovessero perdere contro Israele, raggiungerebbero il traguardo dei 10 anni senza sconfitte tra qualificazioni europee e, appunto, mondiali: finora lo score parla di 37 vittorie e 13 pareggi, ben 50 partite senza macchie.
L'ultimo dispiacere risale addirittura al 6 settembre 2006: allora l'avversario fu ancora la Francia, soltanto due mesi prima sconfitta in finale nel Mondiale tedesco. Sulla panchina siedeva Donadoni, che dovette accettare l'1-3 dello Stade de France: alla fine però la qualificazione ad Euro 2008 arrivò senza problemi.

(goal.com, 4 settembre 2016)


Svelati reperti dell'era di re Davide

Per la prima volta in mostra a Gerusalemme

 
Un frammento con un testo scritto tremila anni fa in caratteri proto-canaanei; un'anfora della stessa epoca con il nome di un personaggio menzionato dalla Bibbia; ed un piccolo modello in pietra - unico finora nel suo genere - di un santuario che ricorda quelli dell'ebraismo primordiale saranno esposti dalla prossima settimana nel Museo delle Terre della Bibbia di Gerusalemme. Provengono dai resti della cittadella fortificata di Khirbet Qeiyafa (costruita da re Davide fra Gerusalemme e la costa mediterranea) dove il professor Yosef Garfinkel dell'Università di Gerusalemme ha condotto sei stagioni di scavi a partire dal 2007. I reperti non rappresentano dunque una novità per il mondo accademico, ma vengono esposti adesso al pubblico per la prima volta.

(ANSA, 3 settembre 2016)


Quel giornale israeliano tanto amato dai nemici di Israele

"Quando i neo-nazisti mi inoltrano editoriali di Ha'aretz, è ora di prendersi una pausa. Posso leggere cose anti-israeliane e antisemite di questo genere su altri siti senza bisogno di questo sito israeliano".

Ha'aretz (letteralmente: la Terra o il Paese), il più antico quotidiano d'Israele in lingua ebraica, venne fondato nel 1918 da un gruppo di imprenditori di sinistra. Nel 1937 Salman Schocken acquistò il giornale e ne affidò la direzione al figlio Ghersom fino alla sua morte, nel 1990.
Sebbene la sua diffusione non sia mai stata molto alta se paragonata ai tabloid Maariv e Yedioth Ahronoth, per molti anni Ha'aretz è stato considerato il più influente giornale intellettuale d'Israele annoverando fra i suoi lettori l'élite politica ed economica del paese. Veniva considerato un giornale liberal anche se la sua sezione economica aveva un taglio conservatore, e poteva vantare un numero considerevole di editoriali e reportage....

(israele.net, 3 settembre 2016)


Ferrara - Libro ebraico, due giorni di festa

Oggi e domani incontri, visite guidate, mostre e musica per scoprire la storia dell'ebraismo. A convegno i direttori dei principali musei dedicati in Europa Al via oggi con il concerto del trombettista Avishai Cohen in quartetto.

di Piero Di Domenico

 
Avishai Cohen

La settima Festa del Libro ebraico di Ferrara oggi e domani si presenta rinnovata rispetto al passato.
A cominciare dalle date, posticipate rispetto al consueto periodo primaverile. Uno spostamento legato alla nuova governance del Meis, il Museo nazionale dell'Ebraismo e della Shoah, rinnovata a dicembre dal ministro Dario Franceschini. Con un nuovo statuto, la direzione affidata per quattro anni a Simonetta Della Seta e il nuovo presidente Dario Disegni.
   «La scelta di spostare la Festa a settembre - ricorda il vicesindaco di Ferrara, Massimo Maisto - tiene conto di tanti elementi, con la possibilità di visitare il cantiere dove sono in corso i lavori per quello che sarà un punto di riferimento non solo per Ferrara e per l'Italia, ma di livello europeo». Infatti il cantiere del Meis sta procedendo nell'ex carcere di Via Piangipane, con i lavori di restauro che dovrebbero terminare nel settembre del prossimo anno. La location della due giorni, quindi, sarà la cornice rinascimentale del giardino e delle sale di Palazzo Roverella, in corso Giovecca 47.
   Libri, musica, autori, visite di un'ora e mezza nel cuore della Ferrara ebraica e soprattutto incontri intorno all'ebraismo e agli ebrei d'Italia. Al centro la tavola rotonda di domani pomeriggio, nel ridotto del Teatro Comunale, riservata agli addetti ai lavori. Parteciperanno i direttori dei più importanti musei di storia ebraica d'Europa e d'Israele, per una riflessione sul ruolo di queste realtà. Ospiti di prestigio, da Paul Salmona del Museo d'arte e di storia dell'ebraismo di Parigi a Emile Schrjver del Museo ebraico di Amsterdam, da Dariusz Stola del Museo di storia degli Ebrei Polacchi di Varsavia a Orit Shaham Gover del Museo delle diaspore di Tel Aviv. E poi dibattiti, concerti, convegni, mostre, proiezioni cinematografiche, una vasta libreria tematica e visite guidate, anche notturne. Come quella prevista questa sera alle ore 21.45, al cantiere del Meis. «Non c'è niente di più ebraico e di più ferrarese - sottolinea Simonetta Della Seta - di trasformare uno spazio chiuso in uno aperto».
   A inaugurare la festa, alle 21.30, le note del trombettista Avishai Cohen che con il suo quartetto, completato da Yonathan Avishai, Barak Mori e Ziv Ravitz, suonerà nel giardino di Palazzo Roverella. Cohen, nato nel 1970 a Gerusalemme, si è formato musicalmente tra Saint Louis e New York grazie anche ai fondamentali incontri con Jaco Pastorius e Chick Corea.
   Alla stessa ora, con ingresso gratuito, negli attuali spazi temporanei del museo di via Piangipane 81, si aprirà la mostra «Torah fonte di vita», che vede l'esposizione di parte della collezione del Museo della Comunità ebraica di Ferrara. Anche l' «Omaggio a Giorgio Bassani» farà tappa in contemporanea, con la propria biblioteca itinerante di letteratura, al bookshop del Meis, dove tornerà ancora domani a mezzogiorno. Domani invece la giornata si aprirà alle 9.30 con il dialogo sugli «Stampatori ebrei a Ferrara» tra il rabbino capo di Ferrara, Luciano Caro, e il direttore della testata Pagine ebraiche, Guido Vitale. E dopo aver gustato i sapori ebraici presso il punto di ristoro kasher allestito nel giardino, ci sarà spazio per il Premio Pardes di cultura ebraica, istituito dalla Fondazione Meis per valorizzare la cultura e la tradizione ebraiche in Italia e in Europa.
   A partire dalle 15 il riconoscimento verrà assegnato allo scrittore e storico Riccardo Calimani per la saggistica, a Ernesto Ferrero, già direttore del Salone del libro di Torino e presidente del Centro internazionale di studi Primo Levi, per la carriera e infine all'avvocato Emilio Jona, studioso di canzone sociale e di storia orale, per la letteratura. Quest'anno la Festa, secondo il presidente della comunità ebraica di Ferrara Andrea Pesaro, si presenta come sospesa tra il passato e il futuro, tra «il ricordo dell'importanza della nostra comunità nel ferrarese e la speranza di ricostruire la nostra presenza proprio grazie al Meis».

(Corriere di Bologna, 3 settembre 2016)


"Ebrei contro Israele"

Con questo titolo è uscito due anni fa un libro di Giulio Meotti. Riportiamo qui la prefazione di Ugo Volli.

Perché vi sono degli ebrei che odiano Israele? Perché ebrei che odiano gli ebrei? Molti di quelli che odiano Israele dicono di non essere razzisti e quindi di non poter odiare gli ebrei, per ragioni di principio, anzi si offendono quando glielo dici. Ma di fatto Israele è lo Stato degli ebrei: rinasce sui luoghi storici dove per milletrecento anni si è sviluppata la civiltà ebraica, dove si è scritta la Bibbia, dove sono vissuti i Profeti e i Re di Israele; raggruppa ormai la metà della popolazione ebraica nel mondo e per gli altri rappresenta la sicurezza e il sogno di sempre. Difficile dunque odiare Israele senza coinvolgere gli ebrei che ne decidono democraticamente la politica e vi si identificano. Perché dunque quest'odio che da Israele si estende agli ebrei o, più probabilmente, dagli ebrei si focalizza su Israele?
   È ben vero che in Italia vi sono stati dei giornalisti che hanno scelto per la loro rubrica di opinioni il titolo L'Antitaliano (quel Giorgio Bocca che da giovane fu fra i due o trecento eletti del regime fascista a firmare il Manifesto della Razza) e che vi sono stati intellettuali americani sempre entusiasti di denunciare "l'imperialismo USA" (per esempio quei Chomsky e Falk che hanno un posto d'onore anche fra gli ebrei antisemiti analizzati in questo libro); e così anche per altri Paesi. Ma non si è trattato né per quantità né per qualità di fenomeni paragonabili all'odio di sé" di intellettuali e giornalisti e di certi gruppi di politici e perfino di rabbini ebrei o al sistematico tentativo di danneggiare il proprio Paese che caratterizza l'azione
La domanda è perché, qual è la ragione di questo odio? Gli interes- sati, che di solito negano di essere antisemiti, rispondono affermando di essere solamente critici nei confronti di Israele, delle sue politiche e magari solo del suo governo (ma lo fanno con tutti i governi).
di molte ONG israeliane e dei personaggi ebrei di quelli descritti da questo libro.
La domanda è perché, qual è la ragione di questo triste privilegio. Il popolo ebraico è quello, fra coloro che sono sopravvissuti alla storia, che ha subito di gran lunga più persecuzioni. Israele è, fra gli Stati esistenti, uno di quelli la cui istituzione è stata più giustificata giuridicamente e che ha trattato meglio le proprie minoranze. Perché tanto odio non solo da fuori ma anche dal proprio interno?
Gli interessati, che di solito negano di essere antisemiti affermando di essere solamente critici nei confronti di Israele, delle sue politiche e magari solo del suo governo (ma lo fanno con tutti i governi, si dice che l'ultimo governo appoggiato da Haaretz sia stato quello del Mandato britannico ... ), sostengono in genere di agire per giustizia o per fedeltà all'autentica tradizione ebraica. Israele sarebbe nato da un "peccato originale": per i religiosi più estremi, la ribellione contro l'esilio inteso come punizione divina per i peccati del popolo ebraico; per i laici, la violenza inferta dalla "colonizzazione" ebraica in Palestina, in particolare la "pulizia etnica" che sarebbe stata fatta durante la guerra del 1948. L'argomento teologico è ininfluente qui e comunque è fortemente minoritario anche negli stessi ambienti religiosi: lo sostengono esplicitamente solo alcuni ultraestremisti come la setta dei Naturei Karta (quelli che girano con la kefià e la bandierina palestinese a mo' di distintivo), mentre gli altri ultraortodossi sembrano protestare soprattutto contro la laicità dello Stato di Israele e cercare allo stesso tempo di strappare privilegi economici e normativi.
   La pretesa di condannare un "peccato originale" o successive "oppressioni coloniali" da parte degli antisionisti di sinistra sta ancor meno in piedi. Israele è nato in seguito a una doppia decisione internazionale (quella della Società delle Nazioni nel 1922 e quella dell'ONU nel 1947), cioè con una legittimazione che non ha avuto quasi nessun altro Stato del mondo. Ha stabilito i limiti della propria amministrazione sulle linee di armistizio determinate dalla sua vittoriosa autodifesa nelle guerre che gli Stati vicini gli hanno mosso e si è dimostrato disposto a negoziarli in cambio della pace ogni volta che è stato possibile. Non ha effettuato pulizie etniche, come si vede dal fatto che il 20% dei suoi cittadini sono arabi e un milione e mezzo di arabi vive nei territori sotto il suo controllo al di là della Linea Verde dell'armistizio del 1949, indisturbati se non si dedicano al terrorismo. Certo, vi sono state vittime civili e profughi, inevitabili in tutte le guerre, ma questi "danni collaterali" di conflitti sempre subiti e mai cercati da Israele sono inevitabili nel fuoco della guerra e infinitamente minori ai disastri nati dalle guerre mondiali in Europa o dalla separazione fra India e Pakistan, per non parlare della ex-Jugoslavia o del
Perché allora tanto odio? Una spiegazione è quella che tenta Kenneth Levin nel suo libro The Oslo Syndrome: fra i bambini maltrattati e fra le vittime di rapimenti spesso si nota una dipendenza psicologica dai propri torturatori. È la "Sindrome di Stoccolma".
Ruanda. Anche se una propaganda infinitamente ripetuta, in parte gestita dai Paesi arabi e condivisa anche dagli ebrei antisemiti, ha convinto molti del contrario, la politica di autodifesa dello Stato di Israele sotto l'attacco di guerre e terrorismo può essere considerata un modello di gestione umanitaria del conflitto.
Perché allora tanto odio? Non bisogna stancarsi di ripetere questa domanda. Una spiegazione è quella in termini di psicologia politica che tenta Kenneth Levin nel suo libro The Oslo Syndrome: fra i bambini maltrattati e fra le vittime di rapimenti spesso si nota una dipendenza psicologica dai propri torturatori, una dipendenza che a volte diventa adesione. È la "Sindrome di Stoccolma" (chiamata così da un episodio emblematico di questo tipo accaduto fra gli ostaggi di una rapina a una banca nella capitale svedese). Sottoposti alla pressione soverchiante del disprezzo antisemita da parte della società circostante da cui vorrebbero essere riconosciuti e accettati, vi sono ebrei che ne accettano, anzi ne esagerano, l'odio. È il caso esemplificato in maniera estrema dall'ebreo austriaco Otto Weininger, morto suicida a ventitré anni nel 1903 dopo aver pubblicato un libro molto influente, Geschlecht und Charakter ("Sesso e Carattere"), in cui la Cristianità è descritta come "la più alta espressione del più grande destino", mentre l'Ebraismo "la più vile codardia".
   Un'altra spiegazione, che in fondo completa la prima, è la metafora del coccodrillo: attaccato dal grande rettile un naufrago privo di scrupoli può illudersi di salvarsi saziando la sua fame coi propri compagni di sventura, indicandoglieli, spingendoli giù dalla fragile zattera dove convivono, alleandosi in sostanza con lui. È un'illusione: la fame dei coccodrilli, almeno di quelli antisemiti, non ha fondo. Ma la tentazione è forte. Come è forte l'altra tentazione e illusione connessa, quella di pensare di essere superiori e diversi dalle prime vittime dell'odio antisemita e quindi di avere ragione ad alimentare il mostro antisemita coi propri fratelli. La pensavano così cent'anni fa i tedeschi assimilati nei confronti degli immigrati dall'Europa Orientale, da dove peraltro erano venuti anche i loro nonni o bisnonni. La stessa reazione hanno oggi gli ebrei progressisti e internazionali di Tel Aviv nei confronti dei coloni, che devono fronteggiare l'ostilità araba esattamente come a suo tempo avevano fatto i nonni e i bisnonni dei virtuosi pacifisti; l'hanno quei compunti ebrei "democratici" americani o italiani di cui si parla in questo libro (per fortuna una minoranza) verso gli israeliani tutti, che non sono capaci secondo loro di fare la pace e di smettere così di metterli in i
Lo schema che emerge nelle loro parole piene di spocchia è sempre quello di una parte giusta e civile che cerca di distinguersi da una parentela incivile e barbara e ingiusta. Nel loro petto freme la saggezza, la virtù, l'idealismo; sono ottimi ebrei che rispettano la tradizione.
mbarazzo nei loro salotti e nelle sezioni di partito.
Lo schema che emerge nelle loro parole piene di spocchia è sempre quello di una parte giusta e civile che cerca di distinguersi da una parentela incivile e barbara e ingiusta; la prima peraltro è quella che sta al sicuro e per il momento non corre rischi e pertanto si unisce al coro di coloro che accusano l'altra parte, anzi punta ad esserne l'avanguardia, in modo che nessuno possa accusarli di esserne complici. Nel loro petto freme la saggezza, la virtù, l'idealismo; sono insieme ottimi ebrei che rispettano la tradizione (come la deformano loro) e cittadini esemplari dell'Europa o degli Stati Uniti o talvolta perfino di Israele. Vorrebbero tanto rieducare i reprobi, ma non ci riescono per l'ostinatezza e la cecità di costoro (vizi che l'antisemitismo ha sempre attribuito agli ebrei), dunque loro malgrado si trovano a richiedere per questi criminali una giusta punizione, a dover appoggiare i loro nemici, di cui solo la loro crudeltà (altro vizio ebraico) non vede le ragioni, ad approvare il boicottaggio, lo stesso che il Nazifascismo aveva imposto ai loro parenti.
   Tanto più il coccodrillo si agita e spalanca la bocca, quanto più gli ebrei antisemiti si danno da fare per distinguersi e condannare chi si trova sulla stessa zattera, cercando di spingerlo giù, dando ragione agli attacchi del rettile. Hanno torto, non sono migliori ma peggiori di quelli che condannano, assai più ciechi e ostinati degli altri, soprattutto molto più egoisti e meschini. Non saranno probabilmente mangiati loro dal coccodrillo, ma solo perché gli altri, i cattivi, hanno imparato a difendersi e senza volerlo si trovano a difendere anche loro. Ma vale la pena di farne il nome, di indicarli non al coccodrillo ma almeno all'opinione pubblica, perché essa sappia come si muovono e cosa dicono. Aprire anche in Italia questo discorso è il grande merito di questo libro.
Giulio Meotti, Ebrei contro Israele

(Notizie su Israele, 3 settembre 2016)


Natalia Gómez: l'arte in stato d'allerta dal Messico a Gerusalemme

di Giacomo D'Alelio

Natalia Gómez

Da una frontiera all'altra dell'immaginario collettivo, macchiato dal timore di una sicurezza precaria. In tempi in cui la parola quotidianità si sta corrompendo a causa di quella ben più codarda - per le cause che la determinano - che è terrore, c'è chi decide di attraversare il mondo, per andare dal Nuovo Mondo a quello molto più vecchio ed usurato dell'Antico Testamento.
Natalia Gómez è di Aguascalientes, capitale dello stato omonimo, uno dei 31 che fanno parte della Repubblica del México. È nata nel 1990, ed è danzatrice, coreografa, attrice, cantante, fotografa. Ha deciso di tornare a Gerusalemme (dove aveva già vissuto quattro anni), per portare avanti i suoi progetti di danza, di arte. A costruire, insomma.
Grazie ai suoi genitori è cresciuta in una casa piena di amore per l'arte, Natalia Gómez. Ha compiuto i primi passi nella danza grazie al flamenco e a una grande maestra, Zambra Contreras, famosa ballerina di flamenco in México: la chiamava 'chispa', scintilla. Altri due grandi maestri, a Querétaro: Alonso Barrera (regista del mai troppo elogiato "El Año de Ricardo") e Agustín Meza, che l'hanno aiutata nella sua formazione, nella vita e nell'arte.
Tra il 2015 e il 2016 "Los Años Azules", film (in fase di post-produzione) che l'ha vista come interprete, girato a Guadalajara per la regia di Sofía Gómez; e la registrazione del brano musicale "Like the sun with the yellow feathers", che spera sia il suo primo singolo…
Da Israele veniva, la Gómez: ci era arrivata nel 2011, dopo essere stata ad Amsterdam, per un "corso intensivo di coreografia alla School of New Dance Development; e anche se per poco tempo, per me è stato uno spartiacque creativo" come ci conferma, raggiunta in viaggio verso Gerusalemme.

- Nel 2011 vinci una borsa di studio e arrivi a Gerusalemme per iniziare i tuoi studi di Teatro Visuale nella School of Visual Theatre (SVT).
Dopo Amsterdam volevo passare un lungo periodo fuori dal Messico. Ho trovato per caso su internet la SVT: ho scoperto solo dopo che si trovava a Gerusalemme, e questo ha aumentato la mia curiosità. Pensavo sarebbe stato meglio andare in un posto dove potessi vivere una cultura totalmente differente, sconosciuta, e imparare qualcosa che non fosse solo arte. Credo sia stato il posto giusto: una scuola dalle porte aperte per la creazione libera; ho potuto conoscere molta gente e realizzare parecchie cose, dentro e fuori di essa.

- Nel 2013 ricevi un'altra borsa di studio, per Eccellenza Accademica, dal Ministero della Cultura di Gerusalemme e prosegui fino lì fino al 2015 con molti progetti. Poi il breve ritorno in Messico e ora di nuovo Gerusalemme.
Non so ancora con certezza cosa farò. Ho colleghi con cui sono in contatto e vogliamo creare qualcosa insieme: questo è già un punto di partenza per me.

- Vieni da un Paese che, agli occhi di molti, è assai pericoloso… Com'è stato vivere a Gerusalemme, altro campo di battaglia quotidiana?
Non ti posso negare che molte volte sono arrivata a sentire paura, che poi si trasformava in rabbia, impotenza. La cosa interessante è che anche chi vive a Gerusalemme è colpito dalle varie notizie che arrivano dal Messico. Da qui ho capito che la paura, la violenza e la lotta sono cose che condividiamo.
E poi, il semplice fatto di sopravvivere lì per quattro anni, credo sia stato più che sufficiente per conoscere un luogo. Tutto - dall'andare al mercato fino al perdersi in un quartiere e ritrovarsi all'improvviso in un posto dove non avresti dovuto stare, lavorare e soprattutto imparare l'ebreo e un poco, ma molto poco, di arabo - mi ha permesso di ampliare le mie opinioni su quel luogo o, per meglio dire, cancellare i miei preconcetti. La situazione che si vive a Gerusalemme ha molti punti di vista, e quando si giudica da lontano, senza conoscere direttamente la verità delle cose, è molto facile avere un punto di vista non corretto.

- L'arte ti ha aiutato a conoscere meglio quei luoghi?
È stato uno strumento importantissimo per capire come loro vivano, giorno dopo giorno, questo stato d'emergenza. Non avrei potuto capirlo meglio leggendo i periodici, né parlando con la gente. Certo, lo è stato per me che vedo l'arte come un linguaggio "ulteriore", uno strumento di comunicazione che può permettere di toccare aspetti più profondi della percezione umana del mondo.
In generale, ho notato che l'arte contemporanea in Israele utilizza molto il cinismo e meno la "autocommiserazione", che è quasi esplosa in Messico (molto alla "Frida Khalo Style").
Forse il cinismo li aiuta ad esprimere e far risaltare meglio la costante contraddizione in cui si vive. Per questo l'arte è necessaria. Altrimenti, chi ce lo potrebbe dire meglio?

- I recenti atti di violenza a Oaxaca (Messico), lo stato d'allerta a Gerusalemme, il terrorismo in Europa, la repressione post-golpe in Turchia… Come si potrebbe sperare in un cambiamento, avvicinarsi a una condizione di pace?
Credo nella libertà di espressione, nel rispetto e nella comunità, e so di trovarmi ancora in cammino verso questa direzione, per capire cosa e come si debba fare per generare un cambiamento. A volte penso che potrà avvenire solo quando non presteremo tanta attenzione a tutti questi eventi. Quando inizieremo a lavorare per la pace e la libertà prima di tutto dentro noi stessi. Una volta che capiremo cosa questo significhi, potremo parlare agli altri di pace e libertà.

- Chi è un eroe in questi confusi tempi moderni?
  
Io non ho eroi. Non credo negli eroi. Credo nella forza e nell'intelligenza, così come nella magia e nella bellezza.

(Krapp's Last Post , 3 settembre 2016)


Hamas arresta un giornalista a Gaza

Nel suo ultimo articolo Mohammed Othman critico sugli ospedali nella Strscia

Le forze di sicurezza di Hamas hanno arrestato la notte scorsa nella sua casa a Gaza il giornalista palestinese Mohammed Othman trasferendolo in una località non nota. Lo riferiscono i media palestinesi e lo hanno confermato fonti locali. Secondo la ricostruzione fornita dalla la moglie di Othman, Huda, le forze di sicurezza di Hamas hanno preso d'assalto la casa e arrestato il giornalista dopo aver mostrato un mandato ma senza dare spiegazioni sulle accuse. Huda Othman ha anche fatto sapere che le forze di sicurezza hanno sequestrato il computer del giornalista, il suo e i cellulari di entrambi. L'ultimo articolo di Othman - hanno spiegato i media - è stato sugli "sbagli e le infrazioni" negli ospedali della Striscia. Subito dopo l'articolo - hanno proseguito - il ministro della sanità di Hamas ha proibito al personale ospedaliero di parlare con i giornalisti.

(ANSAmed, 2 settembre 2016)


Cape Canaveral - Un incidente minaccia l'industria spaziale di Israele

CAPE CANAVERAL - Mette a rischio lo sviluppo dell'industria aerospaziale israeliana l'incidente di Cape Canaveral in cui è andato distrutto il satellite Amos-6 da 200 milioni di dollari, finanziato anche da Facebook perchè avrebbe dovuto fornire connessioni Internet all'Africa sub-sahariana. "Nel migliore dei casi, se SpaceCom si riprende da questo colpo e può finanziare un nuovo satellite, dovremo attendere due anni e mezzo", ha spiegato il presidente dell'agenzia spaziale israeliana, Isaac Ben Yisrael. "Nel peggiore, potrebbe essere il colpo di grazia a SpaceCom, che doveva essere venduta a un gruppo cinese con l'operazione che ora è in forse così come il futuro delle comunicazioni satellitari in Israele". Era di pochi giorni fa, infatti, l'annuncio che provider satellitare israeliano SpaceCom stava per essere acquisito dal gruppo cinese Beijing Xinwei Technology per 285 milioni di dollari (250 milioni di euro).
   Nell'esplosione di Cape Canaveral, in Florida, è andato distrutto il lanciatore Falcon della Space X, a tre giorni dal lancio con cui doveva mettere in orbita Amos-6. Il satellite israeliano faceva parte del progetto Internet.org di Mark Zuckerberg per rendere accessibile Internet nei Paesi in via di sviluppo.
   L'esplosione è avvenuta sulla rampa di lancio 40 di Cape Canaveral, di proprietà dell'Air Force americana, nel corso di una prova a terra della durata di 7 minuti per verificare le condizioni del vettore in vista del lancio. L'incidente sarebbe avvenuto durante il conto alla rovescia per l'accensione dei nove motori Merlin 1D del Falcon, un test che la Space X di Elon Musk conduce di routine prima di ogni lancio. Il propellente era stato caricato, ma non era stata ancora raggiunta la pressione voluta, e la struttura di sostegno del Falcon 9 aveva cominciato ad aprirsi, come accade poco prima di un lancio.

(AGI, 2 settembre 2016)


Ministro israeliano: Mosca potrebbe garantire una mediazione nel dialogo con i palestinesi

Il Ministro per gli Affari di Gerusalemme, Zeev Elkin

MOSCA - Lo Stato di Israele non è contro il dialogo con i palestinesi, ma non sarà pronto a negoziare finché l'Autorità nazionale palestinese avanza precondizioni, in questa situazione Mosca potrebbe garantire una mediazione. Lo ha dichiarato il ministro per gli Affari di Gerusalemme, Zeev Elkin, in un'intervista rilasciata oggi al quotidiano russo "Izvestija". "Per quanto ne so - ha sottolineato Elkin - a questo punto ancora non esiste un accordo dei palestinesi per negoziati diretti. Mahmoud Abbas insiste sul fatto che prima di parlare con i palestinesi, Israele deve soddisfare condizioni preliminari. Non siamo d'accordo. Israele ritiene che il desiderio di negoziare debba essere reciproco ed esclude qualsiasi pre-condizione". Rispondendo alla domanda su un possibile ruolo della Russia nel rilancio del processo di pace israelo-palestinese e come possibile nazione ospitante del dialogo, Elkin ha osservato: "E 'chiaro che Mosca potrebbe diventare una delle piattaforme, un mediatore nei negoziati diretti. Ma vi è la necessità di una posizione chiarire e di una prontezza della leadership palestinese di volere un contatto". Israele e Autorità nazionale palestinese non hanno più negoziati diretti dal 2010 dall'incontro avvenuto a Sharm el Sheik, in Egitto. Alla base del congelamento vi è la richiesta da parte dell'Anp di una serie di pre-condizioni al dialogo: il blocco di nuovi insediamenti in Cisgiordania da parte di Israele, l'adozione di un impegno israeliano a stabilire uno stato palestinese e il rilascio di detenuti in base ad accordi precedenti.
  In questi mesi la Russia ha acquisito una nuova importanza nell'ambito delle relazioni con Israele, divenendo un possibile mediatore tra le due parti in alternativa a Stati Uniti e paesi dell'Unione Europea. La prossima settimana il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, sarà in visita in Israele prima di un possibile incontro tra il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Secondo la stampa israeliana, lo scopo della visita è promuovere un possibile incontro tra i due leader. L'agenzia di stampa turca "Anadolu" ha riportato lo scorso 31 agosto le dichiarazioni di un funzionario palestinese per il quale Abbas sarebbe disponibile ad un incontro con Netanyahu. "Negli ultimi mesi ci sono stati vigorosi tentativi da parte della Russia per mediare un incontro israelo-palestinese", ha detto il funzionario ad "Anadolu". Il presidente russo Vladimir Putin ha avuto recentemente una conversazione telefonica con il premier israeliano. "I due leader si sono scambiati le reciproche opinioni sul tema della risoluzione del conflitto mediorientale e su alcuni aspetti di attualità sulla situazione generale nella regione. Entrambi hanno convenuto di proseguire i contatti russo-israeliani a diversi livelli", si legge in una nota del Cremlino. Secondo quanto affermato dal presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi, citato dal quotidiano "El Watan", la Russia sarebbe pronta ad ospitare a Mosca i colloqui diretti tra Netanyahu e Abbas.
  Netanyahu si è recato diverse volte nell'ultimo anno a Mosca, l'ultima lo scorso 7 giugno, quando ha avuto con Putin un colloquio definito dal capo dello stato russo "aperto e costruttivo". Putin, in quell'occasione, aveva sottolineato che negli ultimi 25 anni le relazioni tra i due paesi si sono sviluppate in modo dinamico e produttivo, formando una "solida base di fiducia e comprensione" su cui poggerà la futura cooperazione. Tra i temi affrontati la cooperazione nel settore economico, agricolo, energetico, la lotta al terrorismo e l'instabilità regionale, in particolare il conflitto israelo-palestinese e la guerra in Siria. Il viaggio a Mosca di Netanyahu è avvenuto in occasione del 25mo anniversario della ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Sebbene i rapporti Russia e Israele non siano sempre stati sereni, Putin aveva voluto ricordare che l'ex Unione Sovietica è stato il primo paese a riconoscere lo Stato ebraico.

(Agenzia Nova, 2 settembre 2016)


I nuovi anticorpi artificiali made in Israel contro l'influenza

I nuovi anticorpi artificiali made in Israel contro l'influenza. Yotam Bar-On, ricercatore israeliano, nel 2014 è riuscito a sviluppare degli anticorpi che stimolano la resistenza del sistema immunitario contro l'influenza invernale.
L'influenza, spesso non ci si fa caso, è un grave problema per la salute globale. Ogni anno le epidemie stagionali causano quasi 5 milioni di gravi infezioni e circa 500 mila decessi.
I risultati dello studio del Dott. Yotam Bar-On potrebbe aprire la strada a più efficaci trattamenti farmacologici per la lotta contro l'influenza.
I nuovi anticorpi che abbiamo sviluppato permettono al nostro sistema immunitario di rispondere all'influenza.
Per condurre la ricerca, il medico ha osservato il ciclo di vita del virus e la sua interazione con il sistema immunitario del paziente. Il corpo ha le proprie risorse naturali per combattere le infezioni. Le cellule chiamate "natural killer" eliminano le cellule infettate con l'aiuto dei principali recettori chiamati NKp46.
Fino ad oggi, i ricercatori hanno dovuto affrontare un grave problema: l'influenza interrompe questo processo naturale dalle sue proteine chiamate neuraminidasi. Questi ultimi attaccano i "natural killer", impedendo la distruzione delle cellule infette.
Yotam Bar-On è stato in grado di sviluppare anticorpi che si legano alle proteine "cattive" per neutralizzare la loro azione. Le cellule "natural killer" saranno quindi libere di debellare l'infezione.

(SiliconWadi, 2 settembre 2016)


Visita alla Sinagoga di Nizza e concerto giudeo-provenzale con l'Associazione Italia Israele

L'iniziativa è organizzata in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio.

di Silva Bos

 
La Sinagoga di Nizza

VENTIMIGLIA - In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, per domenica 18 settembre è stata organizzata una visita alla grande Sinagoga di Nizza. L'iniziativa si terrà a partire dalle ore 16 fino alle ore 17. Seguirà, alle ore 20, un particolare concerto di musica giudeo - provenzale eseguito da "Ensemble Nekouda".
"Si partirà da Ventimiglia con appuntamento alle ore 14.30 davanti al Comune - spiega Mariateresa Anfossi, presidente dell'Associazione Culturale Italia Israele che organizza l'evento - per cui si ci può organizzare fra le varie macchine. In Sinagoga avremo a nostra disposizione una guida Italiana". Dopo la visita il gruppo si muoverà per un giro nella zona ebraica, con ritorno in Sinagoga per gustare il concerto musicale e, a conclusione, una cena tutti insieme.
Per info e prenotazioni (entro il 10 settembre): Mariateresa Anfossi, telefono 3491128240.

(Riviera24, 2 settembre 2016)


Perché Enel apre un hub per l'innovazione a Tel Aviv

Enel ha aperto un hub per l'innovazione a Tel Aviv in Israele. Ecco perchè la società ha deciso di puntare sul secondo Paese più innovativo al mondo

di Valentina Ferrero

TEL AVIV - Far prosperare le startup in un'ottica di open innovation, in un terreno fertile come quello di Tel Aviv. E' questo l'obiettivo di ENEL che poche settimane fa ha aperto il suo polo per l'innovazione in Israele, peraltro, prima azienda italiana a lanciare un hub innovativo di queste dimensioni nel Paese.

 Enel apre un hub per l'innovazione a Tel Aviv
  La struttura è stata aperta in collaborazione con SOSA & The Junction, una delle community per l'innovazione di maggior successo in Israele, con l'obiettivo di creare uno sportello unico in grado di offrire soluzioni alle startup israeliane disposte a sviluppare e realizzare prodotti e servizi all'avanguardia con ricadute economiche e sociali. L'obiettivo di Enel, di fatto, è quello di scovare ogni anno fino a 20 startup israeliane ad alto potenziale offrendo loro un programma di supporto dedicato.

 Un contesto interessante
  Ma perché una società come ENEL ha deciso di puntare proprio sul territorio israeliano? «Ci troviamo in un contesto molto interessante nel settore energetico - ha dichiarato l'Amministratore delegato di Enel, Francesco Starace - Società come Enel, che fanno dell'innovazione tecnologica un pilastro della propria strategia industriale, hanno di fronte grandi opportunità. Il nostro Innovation Hub di Tel Aviv rappresenta una tappa importante in questo nuovo contesto. Adottiamo la filosofia dell'innovazione aperta collaborando con le migliori startup in tutto il mondo e mettendo a disposizione la nostra expertise tecnologico-ingegneristica per favorire nuovi usi dell'energia, nuovi modi di gestirla e renderla accessibile a sempre più persone. Israele è uno dei paesi più innovativi al mondo che ogni anno vede la nascita di centinaia di startup. Sono certo che la nostra presenza in questo paese ci permetterà una accelerazione nella innovazione in campo energetico».

 Come si struttura il percorso
  In Israele il Gruppo adotterà il modello operativo che ha testato in altre aree per esempio l'America Latina, un modello che sta già dando risultati e che ha permesso a ENEL di identificare 30 startup i cui progetti strategici sono attualmente in esecuzione. Più nel dettaglio le startup saranno selezionate da un comitato consultivo composto da rappresentanti senior di ENEL che ne valuteranno la conformità strategica agli obiettivi del Gruppo e il potenziale business. Ogni start-up che lavorerà nel perimetro ENEL avrà a fianco una figura di collegamento interno che faciliterà l'interazione con le global business lines e le unità di mercato del Gruppo. Inoltre le startup selezionate potranno beneficiare di una serie di risorse come: tutoraggi forniti da senior di ENEL e SOSA & The Junction, un ambiente ad alta tecnologia e confortevole dove lavorare, banchi di prova per migliorare le loro soluzioni, possibilità di eseguire progetti pilota nei paesi in cui ENEL è presente e accesso ai canali di vendita del Gruppo che raggiungono ogni giorno milioni di clienti. Le startup che lavoreranno con ENEL avranno la possibilità di ricevere ulteriori finanziamenti da parte del ministero dell'Economia israeliano che, secondo un accordo in essere con Enel, fornirà assistenza per un importo pari al sostegno messo a disposizione da Enel.

 Perché Tel Aviv?
  Israele vanta attualmente il più alto numero di aziende high tech per abitante: quasi cinquemila per otto milioni di persone. Una ogni milleseicento. Meglio ripeterlo: 1 impresa IT ogni 1.600 abitanti. Come può un paese di appena 8 milioni di abitati, circondato da nemici, essere il secondo polo mondiale della tecnologia? Il sistema israeliano, vuoi per ragioni storiche, culturali, militari, ha un mercato interno molto limitato. Ragione che spinge le startup nascenti a pensare già in grande, puntando lo sguardo oltre i confini, cosa che agli startupper italiani spesso manca, focalizzati, almeno in prima battuta, al mercato nazionale. Inoltre mentre nella Silicon Valley è strettissimo il connubio tra università e impresa, in Israele è il Governo ad aver creato un ecosistema legale e fiscale ideale per far sviluppare le idee più innovative e le imprese più dinamiche. E' il Governo quindi che fa crescere l'economia e attira capitali, oltre alle multinazionali che investono sul territorio. Una manna per le startup che si trovano all'interno di un sistema di open innovation tra i più proficui del mondo. Ecco perché il ricco ecosistema dell'innovazione israeliano ha attirato oltre il 25% delle multinazionali globali che hanno insediato qui i loro R&D lab.

(Diario del Web, 2 settembre 2016)


Israele - Inizia la scuola ed è scontro sulle classi con migranti africani a Tel Aviv

di Giorgio Sigona

1o settembre 2016 - Studenti e insegnanti protestano davanti al liceo Shevah Mofet di Tel Aviv
Tra zaini, libri, banchi e polemiche, con le famiglie pronte alla protesta e i vertici istituzionali impegnati in un braccio di ferro che si preannuncia lungo. Sono oltre due milioni i ragazzi israeliani che sono tornati regolarmente in classe, tra i banchi, per la ripresa dell'anno scolastico. Ma l'avvio è stato segnato da un polemica politica piuttosto accesa tra il premier Benyamin Netanyahu e il sindaco di Tel Aviv sugli alunni figli di immigrati africani.
Netanyahu si è detto contrario a trasformare un istituto di Tel Aviv in una scuola per i figli di migranti africani come sostenuto invece dal sindaco della città, Ron Huldai. Nello scambio di dichiarazioni il sindaco ha accusato il premier di parlare «come un commentatore politico su internet invece di occuparsi dei problemi dei migranti». L'ufficio del primo ministro - appoggiato dai genitori dei figli contrari alla trasformazione della scuola - ha replicato al sindaco Huldai che «dovrebbe vergognarsi». Netanyahu - accompagnato dal ministro dell'educazione Naftali Bennett - ha scelto di inaugurare l'anno scolastico nella città araba di Tamra, nel nord di Israele dove ha spronato ad «una coesistenza ed accresciuta integrazione per le comunità arabe di Israele».

(Il Secolo d'Italia, 2 settembre 2016)


Il vicepresidente di Hamas smentisce l'apertura di una sede in Algeria

ALGERI - Il vicepresidente dell'ufficio politico della fazione islamista palestinese Hamas, Mousa Abu Marzuk, ha affermato che "il sostegno economico dell'Algeria ai palestinesi non è mai venuto meno nonostante la crisi economica attraversata" dal paese nordafricano. Parlando ieri nel corso di una conferenza tenuta nella capitale algerina, ospite di un partito locale, l'esponente di Hamas ha eluso la domanda sulla possibilità che il suo partito apra ad Algeri la sede del proprio ufficio politico, dopo aver lasciato Damasco, affermando che "ogni casa in Algeria è aperta per Hamas". I media algerini sostengono che la visita di Abu Marzuk e di altri dirigenti del movimento palestinese in Algeria sia legata alla possibilità di portare il proprio ufficio politico nel paese dopo la sua chiusura avvenuta cinque anni fa a Damasco a causa della guerra in corso in Siria.

(Agenzia Nova, 2 settembre 2016)


Il re Davide? troppo romanzesco per non essere esistito

Ex reporter, premio Pulitzer, Geraldine Brooks dedica il suo nuovo libro alla grande figura biblica: «Un leader così contraddittorio nessuna mente avrebbe potuto inventarlo».

di Lara Crinò

 
Pensi alla forza del David di Michelangelo e poi al corpo quasi efebico, allo sguardo sfuggente del David di Donatello. Le contraddizioni del re Davide sono inscritte in queste due opere mirabili del vostro Rinascimento: l'umile pastore, il grande poeta dei Salmi, I'arpista che loda il suo Dio con la musica e vuole ìl Tempio di Gerusalemme. Ma anche lo stratega, l'uomo di Stato, il sovrano assoluto che si lascia inebriare dal sangue e dalla lussuria. È il primo personaggio della letteratura con una biografia così dettagliata, il racconto della Torah. E se è vero che non ci sono altre fonti su di lui, tranne una sola iscrizione, credo sia realmente esistito: a chi verrebbe in mente di inventare di sana pianta un capostipite simile?».
   Così, dal salotto della sua casa sull'isola americana di Martha's Vineyard, con tono sicuro e parole scelte con cura, l'australiana Geraldine Brooks introduce il protagonista di L'armonia segreta (Neri Pozza, pp. 320, euro 18, in uscita il 15 settembre), il nuovo romanzo che presenta a PordenoneLegge il 18 settembre.
   Ex reporter di razza, premio Pulitzer nel 2006, tra le star mondiali della letteratura storica, Brooks ha un talento speciale per i silenzi e i vuoti del passato. «Perché valga la pena di raccontare una storia deve essere impossibile per noi contemporanei conoscere in dettaglio ciò che è accaduto. Se sappiamo troppo non c'è spazio affinché l'immaginazione faccia il proprio lavoro». Per ricostruire la vita nel X secolo prima di Cristo, il tempo in cui si presume sia vissuto Davide, ha letto resoconti archeologici e viaggiato in Israele: «Ho visitato i siti di Gerusalemme che datano all'epoca che mi interessava, ho interrogato uno stratega militare appassionato di battaglie bibliche. E poi, semplicemente, ho camminato con i miei figli lungo gli uadiàn in cui pascolano le greggi, evocando il giovane pastore di tre millenni fa che divenne re». Si è messa a scrivere guidata da un'intuizione: «Poiché fino ai quarant'anni non volevo essere un'autrice di fiction, non ho seguito corsi ldi scrittura creativa o cose simili. Il mio è un approccio instintivo: mi affido al narratore che ho scelto affinché mi informi. Il mondo in cui pensa e in cui parla mi fanno scoprire cosa succederà». E la voce narrante che ha scelto per L'armonia segreta è affascinante e inaspettata. A ripercorrere insieme a noi la vita di Davide, dalla giovinezza alla vecchiaia, è il profeta Natan, cresciuto alla corte di quel re che ha ucciso suo padre quando entrambi erano poco più che ragazzi. «In realtà Natan compare poche volte nel racconto biblico, quindi ho ricreato la sua vita per la finzione romanzesca. Ma è colui che non ha paura di dire ciò che il sovrano non vuole sentire ed è il mentore della successione di Salomone. Una figura scomoda, come sono spesso i profeti della Bibbia. La coscienza del potere, qualcosa di cui i nostri politici avrebbero estremamente bisogno». La lingua sembra immergersi nel tempo epico che l'autrice sceglie di raccontare, come in una riscrittura omerica.
   Qui il gigante Golia è solo un uomo, un guerriero temibile beffato dal!'astuzia di un esile ragazzino. Brooks, convertita all'ebraismo da quando, oltre trent'anni fa, decise di sposare il collega Tony Horwitz, conosce abbastanza l'ebraico antico, «meravigliosamente poetico e scarno». da cesellare uno stile con l'eco dell'originale.
   E il suo Davide, istintivo e passionale, cosi stregato da Betsabea da mandarne a morte il marito, ma innamorato in fondo solo del compagno d'armi Gionata è appunto un coacervo di contraddizioni, non certo una figura agiografica. «La grandezza della Bibbia ebraica è questa secondo me. Qualche religioso conservatore potrà contestarmi ma ciò che narro è già lì, nel testo. La Torah, pur nella sua sacralità, non vuole nascondere i difetti degli uomini ma dar conto di ciò che siamo». Che ciò che le interessa sia indagare la natura umana, in qualche modo la scrittrice l'ha intuito fin dall'infanzia, nei sobborghi residenziali di Sidney in cui è cresciuta. Fin da quando, come scrive nel memoir Foreign Correspondence, per sfuggire alla noia della scuola di suore si creò un'intera rete di amici di penna sparsi per il mondo. Dopo un'esperienza al The Sydney Morning Herald dall'Australia è volata in America per fare la reporter del Wall Street Journal, per il quale ha viaggiato a lungo come inviata tra crisi e conflitti, dall'Iran alla Nigeria. Si è fermata solo verso i quarant'anni, per fare un figlio. «Dopo che nacque non me la sentivo di farmi rispedire in qualche posto pericoloso.
   Così pensai a un romanzo» spiega con un certo understatement ricordando i suoi esordi. Il romanzo era Annus Mirabilis, ambientato in un villaggio inglese falcidiato dalla peste del 1666: «Mi piaceva l'idea di una comunità costretta a una sorta di reclusione, e la sfida di far parlare gente che di certo non sapeva scrivere e non aveva lasciato tracce: minatori, donne, bambini». Seguirono L'idealista (premio Pulitzer). una sorta di riscrittura di Piccole Donne dal punto di vista del personaggio del padre impegnato nella Guerra Civile, I custodi del libro, che ricostruisce la storia della Haggadah di Sarajevo dalla Spagna moresca alla guerra dei Balcani e lo splendido L'isola dei due mondi sull'amicizia, in epoca coloniale, tra la figlia di il pastore puritano di Martha's Vineyard e un ragazzo indiano cosi intelligente da essere invitato ad Harvard. Fino a quest'ultimo L'armonia segreta. Ora lavora a una storia di nuovo ambientata durante la Guerra Civile. Sul presente, ammette, non le interessa scrivere fiction: «Il presente è qui, e abbiamo tutti gli strumenti per raccontare la verità senza inventare. Nel caso della comporaneità, è il mio spirito di reporter che ancora prevale».
   A qualcuno dei suoi ammiratori dispiace che abbia messo da parte il giornalismo. C'è chi cita ancora il suo Padrone del desiderio. L'universo nascosto delle donne musulmane, il reportage che oltre vent'anni fa dedicò alla condizione femminile nell'Islam, «se penso a quello che scrissi allora, alla situazione in molti paesi del Medio Oriente, purtroppo non è cambiato molto. Anzi in alcuni casi la situazione è nettamente peggiorata e ovviamente si è complicato e deteriorato il nostro rapporto con il mondo musulmano. Ma vorrei anche sottolineare che Europa e Stati Uniti non hanno la stessa relazione con la propria minoranza di religione islamica. Negli Usa la situazione della banlieue francese o di certe zone dell'Inghiterra, in cui si sono creati dei veri ghetti, non è avvenuta. Mi pare che le donne islamiche qui siano più capaci di farsi valere. E per indirizzare le politiche pubbliche, l'unica cosa è starle a sentire».
   Captare le parole di chi sta ai margini, dar loro una dignità, farle risplendere. Che siano le voci dell'oggi o quelle sepolte dalle sabbie del tempo, per Geraldine è solo un altro modo di ascoltare.

(la Repubblica - il venerdì, 2 settembre 2016)


I top gun israeliani si addestrano con il «nemico»

di Michele Giorgio

GERUSALEMME - I sostenitori di Barack Obama hanno recitato troppo in fretta il de profundis al progetto del «Grande Medio Oriente» tanto caro alla coppia George W. Bush/Condoleeza Rice e ai neocons statunitensi. Perché quel nuovo ordine mediorientale che doveva emergere da guerre e caos in Nordafrica e Asia centrale in qualche modo sta prendendo forma grazie proprio all'amministrazione in carica. Le esercitazioni "Red Flag" che alla fine di agosto hanno visto i top gun israeliani volare nei cieli del Nevada assieme ai colleghi pakistani e degli Emirati arabi - quindi di due Paesi con i quali lo Stato ebraico non ha relazioni ufficiali - segnano una nuova fase nella marcia di avvicinamento tra Tel Aviv e i Paesi a maggioranza sunnita in atto da tempo e che è vista con grande favore da Washington.
   L'esempio più evidente è la collaborazione dietro le quinte tra Arabia saudita e Israele, in chiave anti-Iran. E se Riyadh flirta con Israele, allora possono farlo anche il Pakistan alleato di ferro dei regnanti sauditi e gli Emirati governati da altri monarchi desiderosi di ridisegnare un nuovo Medio Oriente, lontano dal vecchio schema imposto dal conflitto arabo-israeliano e dalla questione palestinese.
   Per le forze aeree statunitensi le esercitazioni "Red Flag" sono un programma di addestramento di eccezionale valore perché permettono a piloti di diverse nazionalità di provare insieme missioni di guerra e di difesa del territorio come se fossero parte di una stessa coalizione di Paesi alleati. Per una decina di giorni aerei da combattimento degli Stati presenti, hanno preso parte a combattimenti simulati e raid contro obiettivi molto lontani con rifornimenti in volo.
   Voci dicono che gli israeliani (e americani) si sono addestrati a come aggirare il sistema di difesa antiaerea S-300 che i russi hanno fornito all'Iran che lo ha prontamente posto a protezione della centrale nucleare di Fordo. Il comandante Usa Mattson non si è sbilanciato sulle finalità dell'addestramento. Ha però raccontato alla stampa dell'impegno dei pakistani che, ha detto, vedono nella Red Flag «una opportunità non solo di migliorarsi all'interno delle forze armate nazionali ma di integrarsi meglio con gli altri [piloti di vari Paesi]».
   Gli israeliani preferiscono parlare solo degli aspetti tecnici delle esercitazioni e dell'esperienza fatta nell'affrontare, con rifornimenti in volo, il viaggio di ritorno a casa in alcuni momenti con cattive condizioni meteo. A proposito della presenza nel Nevada dei piloti del Pakistan e degli Emirati, gli israeliani si limitano a dire che «gli inviti sono stati fatti dal Paese ospitante», gli Stati Uniti. Eppure il governo Netanyahu sa quanto siano importanti queste manovre militari per consolidare i contatti sotto i tavoli con Paesi formalmente ancora "ostili". Senza dimenticare che il Pakistan come Israele (e India e Sud Sudan), non ha ancora firmato il Trattato di non proliferazione nucleare e possiede un nutrito arsenale atomico.
   In passato ci sono state voci di contatti segreti tra funzionari israeliani e pakistani e un documento diffuso da Wikileaks ha rivelato che un alto ufficiale dell'esercito pakistano avrebbe avuto contatti con il Mossad israeliano.

(il manifesto, 2 settembre 2016)


Soncino (Cremona), la Giornata Europea della Cultura Ebraica

Soncino è una delle 74 località italiane che celebrano la Giornata

 
Il 18 settembre 2016 si svolge anche a Soncino la XVII Giornata Europea della Cultura Ebraica, dal tema Lingue e dialetti ebraici. Anche quest'anno il Museo della Stampa-Casa stampatori Soncino aderisce, proponendo il programma sotto indicato.
   Alle ore 10:00 nella sala Consiliare del Comune di Piazza Garibaldi, 1 si darà inizio alle celebrazioni, con il saluto delle autorità presenti. Seguiranno gli interventi di dott. Aldo Villagrossi Crotti, che introdurrà il tema della giornata, con I dialetti ebraico-lombardi e l'Yiddish a Soncino nel Quattrocento; l'arch. Francesco Pagliari illustrerà il M.O.eSe. Sistema museale locale, mentre mons. Tarcisio Tironi illustrerà il progetto triennale Nati liberi e uguali.
   Seguirà, alle 11:30 circa, presso le sale del Museo della Stampa, l'inaugurazione della mostra Fogli celesti, di Tobia Ravà, a cura di Maria Luisa Trevisan e Margherita Fontanesi.
   Si segnalano inoltre: alle 15:30, presso il Museo di Arte e Cultura Sacra, Romano di Lombardia, il laboratorio didattico per famiglie 10 anni al MACS!; e infine, domenica 25 settembre, presso il Museo della Civiltà Contadina di Offanengo, l'attività didattica legata allo studio sui fornaciai di Offanengo Lavorare l'argilla.
   La Giornata Europea della Cultura Ebraica si svolgerà in 74 località italiane: la manifestazione invita a scoprire storia, luoghi e tradizioni degli ebrei attraverso centinaia di eventi tra visite guidate a sinagoghe, musei e quartieri ebraici, spettacoli, mostre, concerti, degustazioni kasher e altri appuntamenti culturali.
   L'evento, giunto alla diciassettesima edizione, è coordinato e promosso nel nostro Paese dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, parte di un network internazionale al quale aderiscono quest'anno 35 Paesi europei. Oltre all'ebraico, la lingua della Torah, il riferimento del titolo è allo Yiddish degli ebrei dell'est Europa, al Judeo-Espanol parlato dalle comunità ebraiche del bacino mediterraneo, ma anche ai diversi dialetti italiani, come il giudaico-romanesco, il bagitto livornese, il giudaico-veneziano e il giudaico-torinese.
   L'argomento sarà declinato in molti modi, dal teatro ai concerti, dai laboratori alle conferenze, con iniziative aperte e gratuite per tutta la cittadinanza e diffuse in 14 Regioni. A Milano, prescelta quale capofila della manifestazione in Italia, si darà il via simbolico agli eventi nel nostro Paese, nell'anno in cui la comunità ebraica milanese, parte viva e integrante del tessuto sociale e culturale della città, festeggia i 150 anni dalla nascita.
   La minoranza ebraica è presente in Italia da oltre due millenni, con testimonianze di vita e cultura diffuse sul territorio, dalle grandi città ai piccoli centri, da nord a sud alle isole. Siti e percorsi tra i più belli d'Europa, che rendono l'edizione italiana, con circa 50 mila presenze ogni anno, una delle più seguite, realizzando da sola più di un quarto dei visitatori complessivi dell'intero continente.

(WelfareNetwork, 1 settembre 2016)


i funerali di Alberta Levi Temin, testimone delle persecuzioni naziste

di Roberto Fuccillo

Celebrati al cimitero ebraico i funerali di Alberta Levi Temin, morta a Napoli a 96 anni. Figlia di Carlo Levi, scampata al rastrellamento nazista di Roma nel 1943, la Temin era diventata con gli anni fra le principali testimoni delle persecuzioni e della Shoa. Arrivata a Napoli nel dopoguerra, si era impegnata con l'Associazione Amicizia Ebraico Cristiana, avviata dal cardinale Ursi, a diffondere la parola d'ordine del dialogo inter-confessionale e per la pace. Non a caso alle esequie erano presenti, oltre a amici e parenti, anche delegati della Caritas, dei focolarini, della comunità di Sant'Egidio, ma è arrivato anche il cordoglio dell'Imam di Napoli, Massimo Cozzolino, e di quello di San Marcellino, Nasser Hidouri. "Perdiamo una testimone diretta della tragedia dell'olocausto - commenta la sua amica Diana Pezza Borrelli - Ha dato la sua vita per far sì che tutto quel che successe in quegli anni non fosse dimenticato, portandone il ricordo nelle scuole". Sugli stessi registri l'assessore Nino Daniele, che ha portato il saluto del Comune: "Una grave perdita per la vostra comunità e per la cittadinanza di quella Napoli che amava moltissimo".

(la Repubblica - Napoli, 1 settembre 2016)


Il conflitto arabo-israeliano e i luoghi comuni da ribaltare

di Davd Meghnagi

Viviamo tempi difficili, pieni d'incagnite e grandi sfide. Nel 2017 ci saranno tre importanti ricorrenze che saranno ampiamente utilizzate dalla narrazione terzomondista per portare avanti/alimentare una narrazione falsa, fatta di luoghi comuni di arbitrarie ricostruzioni della storia più recente e passata del Vicino Oriente e del conflitto arabo israeliano. L'offensiva è in atto. Sulle orme dell'Assise internazionale delle Nazioni Unite sul razzismo a Durban, che si trasformò in un'orgia dell'antisemitismo, alcune ong sono all'opera per utilizzare allo scopo l'anniversario del centenario della Dichiarazione Balfour.
   In questa perversa logica, ciò che è accaduto dopo nel Vicino Oriente, sarebbe il risultato di un "complotto" ai danni dei popoli arabi e dell'umma islamica, che dopo avere subito il colonialismo, pagherebbe per colpe non sue le atrocità del nazismo. Una costruzione falsa che secondo un dispositivo storicamente collaudato trasforma Israele nel capro espiatorio di ogni male nella regione e che ha tra i suoi riferimenti ossessivi la messa in discussione della legittimità morale e giuridica della sua esistenza.
   Non è qui in discussione il diritto a dissentire da questa o quella scelta del governo israeliano. Il diritto alla critica e al dissenso è il sale della democrazia e la stampa israeliana se ne avvale in modi che farebbero invidia alle più consolidate democrazie occidentale. E' qui in discussione la negazione dei valori morali e giuridici che circonda molti dei luoghi comuni del dibattito sul conflitto arabo israeliano e che portano a giudicare con standard diversi i pericoli rappresentati dal terrorismo islamista, secondo i luoghi colpiti. Per non parlare della falsificazione dei fatti, e dei processi di demonizzazione, che fanno da sfondo a un nuovo antisemitismo.
   Per smontare molti dei luoghi comuni che avvelenano il dibattito sulle origini del conflitto arabo israeliano, basterebbe ricordare che se il mondo arabo avesse accettato la dichiarazione di spartizione delle Nazioni Unite (di cui ricorre tra poco il settantesimo anniversario) e non avesse scatenato, per impedirne l'attuazione, una sanguinosa guerra di distruzione, occupando (Egitto) e annettendo (regno di Giordania) i territori su cui doveva nascere lo Stato palestinese, forse la storia del Vicino Oriente avrebbe preso una piega diversa. Forse si festeggerebbe oggi e negli stessi giorni, la nascita di due Stati.
   Nel corso della guerra di aggressione, scatenata dagli eserciti arabi all'indomani della nascita di Israele, lo Stato ebraico perse l'uno per cento della sua popolazione. Una cifra pari al numero di ebrei assassinati quotidianamente dai nazisti. In termini percentuali, è un numero pari ai caduti italiani della prima guerra mondiale. Pochi anni prima c'era stata l'ecatombe dell'ebraismo europeo. Se gli eserciti dell'Asse non fossero stati fermati a El Alamein, l'ebraismo del mondo arabo sarebbe stato interamente sterminato, e il sogno dell'Yshuv spazzato.
   Pur avendo vinto la guerra, l'Italia sprofondò nel fascismo, mentre Israele costruì e sviluppò, in una situazione di guerra, e di pericolo permanente, una democrazia parlamentare, passando in appena dieci anni da una popolazione di seicentomila abitanti a un milione e ottocentomila. Come se all'indomani della Seconda guerra mondiale, l'Italia avesse accolto in dieci anni cento milioni e gli Stati Uniti, che avevano chiuso le porte prima che la guerra scoppiasse, avessero accolto quattrocento milioni di profughi.
   La società israeliana ha accolto i suoi esuli con una tensione morale incomparabilmente alta. L'arrivo degli immigrati fu considerato un valore in sé oltre che una necessità per non soccombere alla sfida demografica. Pur con le difficoltà dei primi anni, la vita nelle baracche e un senso d'insoddisfazione e di alienazione venuto a galla nei decenni successivi, gli ebrei di origine afroasiatica furono considerati ed erano parte di un processo di rinascita nazionale e di riscatto dopo secoli di umiliazioni. Diversa è la situazione alla quale andarono purtroppo incontro i palestinesi. Per scelta degli Stati arabi, la loro condizione di profughi divenne ontologica. Anche se il mondo arabo era immenso e lo spostamento era stato di qualche chilometro, l'idea di una loro integrazione nei paesi arabi circostanti o lontani fu violentemente osteggiata.
   La creazione di una patria ebraica nel cuore della nazione araba e dell'umma islamica era una violazione degli ordinamenti divini e terreni. Chi avesse tentato un accordo, era un traditore da eliminare. Aver considerato l'esistenza di Israele un'onta che poteva essere lavata solo tornando allo status quo ante, è stata la grande colpa morale e politica del nazionalismo arabo, il segno di un'immaturità politica, l'origine di un fallimento più generale.

(Pagine ebraiche, settembre 2016)


Da Eilat a Haifa, si torna a scuola

 
1 settembre 2016 - Il Ministro dell’Educazione Naftali Bennett con suo figlio il primo giorno di scuola

Sono oltre 2 milioni i ragazzi israeliani che questa mattina, zaino in spalla, sono tornati a scuola per iniziare il nuovo anno. 159mila i bambini che hanno iniziato nelle scorse ore la prima elementare mentre 123mila sono gli studenti che quest'anno dovranno affrontare l'ultimo anno scolastico.
   Un giorno di festa che apre un nuovo ciclo, ha affermato il ministro dell'Istruzione Naftali Bennet, del partito HaBayt HaYehudi, sostenendo che mai come quest'anno il "programma didattico israeliano è stato pianificato e personalizzato" per le esigenze degli studenti. Bennet ha poi parlato del limite introdotto rispetto al numero di ragazzi nelle classi: "Dalla fondazione dello Stato, lo standard era di avere 40 studenti per classe. Ora abbiamo posto un limite di 34, 32 nelle realtà considerate più deboli", ha affermato il ministro, in visita insieme al Premier Benjamin Netanyahu presso la scuola elementare di Tamra, città araba nel nord del paese. "Voglio che impariate, che impariate a scrivere, a leggere l'ebraico, l'arabo e l'inglese - le parole di Netanyahu ai 200 bambini della scuola - Dovete imparare la matematica, la scienza, la storia, del popolo ebraico e delle vostre comunità. Voglio che impariate la verità e la verità dice che siamo destinati a vivere insieme". Il Premier ha continuato il suo discorso ai più piccoli, parlando dell'auspicio di vederli diventare "medici, scienziati, scrittori, ciò che desiderate. Voglio - ha aggiunto - che diventiate cittadini leali, integrati nello Stato d'Israele. Questo è il vostro Paese".
   "A partire dall'anno scorso, - ha invece spiegato Bennet parlando del curriculum didattico - abbiamo fatto una brusca virata per cercare di rendere il sistema di istruzione più personalizzato tramite misure classi più piccole, sostegno agli insegnanti, rivoluzionando l'insegnamento in matematica, e la creazione di programmi nazionali per l'insegnamento della lingua inglese. Abbiamo fatto tutto questo in collaborazione con la Commissione Biton per collegare i diversi settori del Paese, e in concomitanza con l'Anno di Gerusalemme, che inizierà a breve".

(moked, 1 settembre 2016)


I lumi di Chanukka da Casale a Mantova. Una collezione fra storia, arte e design"

Selezione di 36 Chanukkiot provenienti dalla collezione della comunità ebraica casalese

MANTOVA — Alle 17 di domenica a Mantova, a palazzo Ducale, negli spazi quasi inediti e molto suggestivi del Refettorio di Corte Vecchia (Santa Croce) si inaugura la mostra ''I lumi di Chanukka da Casale a Mantova, una collezione fra storia, arte e design", selezione di 36 Chanukkiot provenienti dalla collezione della Fondazione Arte Storia e Cultura Ebraica di Casale Monferrato.
Tra i presenti il sindaco di Casale Titti Palazzetti con l'assessor Daria Carmi, il presidente della Fondazione notaio Gabey e il vice presidente della Comunità ebraica Elio Carmi.
La collezione delle Chanukkiot di Casale Monferrato nasce 20 anni fa.
La mostra segna un importante appuntamento all'insegna di ponti ideali: quello fra Mantova e Casale Monferrato ma anche quello fra Palazzo Ducale e la Fondazione Arte Storia e Cultura Ebraica del Piemonte Orientale.
La mostra che celebra questo gemellaggio è curata da Daria Carmi, Peter Assmann (direttore di palazo Ducale, ndr) e Renata Casari.
Il tutto nasce dopo il grande successo della recente mostra 'I Lumi di Chanukkah -oggetti rituali del mondo ebraico', presso il Castello del Monferrato
Ora una selezione di opere giunge a Palazzo Ducale di Mantova per un nuovo importante appuntamento all'insegna appunto dei ponti ideali, identitari e storici. Una mostra che inaugura il 4 e che sarà fruibile al pubblico fino al 28 settembre 2016 presso il Refettorio di Corte Vecchia.
A unire le due città infatti il passato grandioso del Ducato di Mantova e del Monferrato. Il Castello di Casale Monferrato fu dimora dei Paleologi e in seguito fortezza Gonzaghesca, qui si celebrarono nel 1517 le nozze - mai consumate -. fra Maria Paleologi e Ferdinando di Gonzaga, che si sposò in seconde nozze con Margherita Paleologi a Mantova nel 1531. Da qui, simbolicamente, parte la collezione Lumi di Chanukkah, e viaggia fino a Palazzo Ducale di Mantova, città nella città, cuore pulsante per ben 4 secoli del ricco regno gonzaghesco.
Ad accumulare Casale Monferrato e Mantova infatti anche molti elementi generati dalla politica colta, aperta e tollerante dei Gonzaga che hanno visto nel mondo ebraico una risorsa e non un pericolo. Da queste premesse lungimiranti nasce la mostra che raccoglie una selezione di 34 opere di artisti e designer internazionali che hanno lavorato sul tema ebraico della festa di Chanukkah, o Festa della Luce, interpretandolo e declinandolo in stili, linguaggi e visioni differenti.

(Il Monferrato, 1 settembre 2016)


Israele: Metodo rivoluzionario per diagnosticare il cancro al colon

Una azienda israeliana ha sviluppato una minuscola capsula, chiamata Check-Cap, che si può inghiottire e che, mentre viaggia all'interno del colon, riesce a rilevare i polipi.
Queste le parole di Guy Neev, Direttore Genrale di Check-Cap:
Una delle ragioni per cui così tante persone muoiono di cancro al colon è perché anche se risulta essere relativamente "facile" da curare, i pazienti spesso evitano la procedura invasiva della colonscopia.
 
La capsula viaggia all'interno del corpo per un paio di giorni ed è progettata per rilevare polipi con la stessa precisione di una colonscopia standard.
Check-Cap è una azienda con sede nella città di Isfiya sul Monte Carmel, fondata nel 2005 dal Dott. Yoav Kinchy, specialista in fisica e leader in progetti tecnici.
Kinchy ha riunito un team di 30 esperti in campi diversi come elettronica, fisica, matematica, meccanica, ingegneria, chimica, fisiologia e medicina ma soprattutto molti di essi sono laureati del Technion di Haifa.
La sfida era quella di produrre un qualcosa che fosse meno invasivo rispetto ai metodi attuali.
Mentre la colonscopia attuale si basa sull'utilizzo di telecamere che richiedono la pulizia dell'intestino, la capsula Check-Cap è il primo dispositivo progettato per operare nel colon praticamente senza preparazione intestinale. Questo è possibile perché utilizza ragi X che possono vedere attraverso il contenuto del colon.
Il paziente non ha nemmeno bisogno di essere in ospedale o di andare dal medico curante durante la procedura.

(SiliconWadi, 1 settembre 2016)


Pace con Lutero, non con Israele

I luterani infatti hanno deciso di boicottare Gerusalemme. Il Papa incontrerà il 31 ottobre la Lutheran World Federation in quel di Lund, in Svezia.

di Antonino D'Anna

La pace vaticana con gli eredi di Martin Lutero val bene qualche mal di pancia d'Israele?
   Papa Francesco incontrerà la Lutheran World Federation, la comunione che rappresenta la maggioranza mondiale dei luterani, in quel di Lund (Svezia) il 31 ottobre per commemorare il 500o anniversario della Riforma, che cade nel 2017.
   Ma, certo, questo potrebbe recargli imbarazzo: due chiese aderenti alla Lwf, l'Evangelical Lutheran Church in America (Elea) e la Chiesa svedese, fino al 2000 confessione di Stato, hanno deciso di adottare tattiche di Bds (Boycott, divestment and sanctions, boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) nei confronti di Israele.
   Per essere più precisi, la scelta dell'Elca, simboleggiata da due risoluzioni adottate all'inizio di agosto (fonte: jpost.com) è stata di adottare il Bds contro le aziende che ottengano dei profitti dall'abuso dei diritti umani perpetrato contro i palestinesi; mentre la Chiesa svedese sin dal 2012 ha deciso, non avendo riscontrato progressi nella situazione del Medio Oriente, di supportare la nascita dello Stato palestinese.
   Anzi: quattro anni (fonte: ngomonitor.org) fa ha richiesto al governo di Stoccolma di sponsorizzare l'ingresso della Palestina come Stato membro delle Nazioni Unite e invita-re l'Unione europea al varo di norme che limitino le opportunità per supportare (finanziariamente o in altro modo) gli insediamenti illegali, oltre a lottare in Europa contro il miglioramento o l'attivazione di accordi tra Ue e Tel Aviv che non abbiano alcuna norma in merito al rispetto del diritto internazionale.
   Nella risoluzione del 2012 è stata rivolta al governo svedese la richiesta di emanare «senza indugio» norme sulle indicazioni d'origine di prodotti da insediamenti israeliani, in accordo con le norme europee.
   Se queste sono le posizioni degli svedesi, i luterani americani dell'Elca hanno approvato, come dicevamo, due risoluzioni: la prima ha costituito un monitoraggio degli investimenti: i fedeli riceveranno raccomandazioni da parte Elea su dove investire il loro denaro con riguardo a Israele e palestinesi.
   La seconda ha chiesto un taglio dell'aiuto yankee a Israele, a meno che gli israeliani non accettino una serie di condizioni, con richiesta a Washington affinché riconosca immediatamente lo «Stato palestinese» (testuale).
   Una mossa che ha acceso il dibattito tra le organizzazioni filoisraeliane: l'Anti Defamation League, per bocca del rabbino David Sandmel che è il direttore degli affari interreligiosi, ha detto di non essere troppo preoccupato dalle risoluzioni Elea, ma se il monitoraggio degli investimenti porterà ad un boicottaggio dipenderà da come esso sarà portato avanti, cosa che ancora non è stata spiegata. Altre realtà, invece, parlano di boicottaggio tout court.
   Anche la Santa Sede è a favore della soluzione a due Stati ed una pacifica convivenza tra Israele e Palestina.
   Ma Roma non chiede alcun boicottaggio e, soprattutto, ha avviato relazioni diplomatiche con Tel Aviv soltanto nel 1993 ed i problemi sul tavolo ci sono ancora: dal 1999 una Commissione bilaterale lavora tra Vaticano e Israele sullo status della Chiesa cattolica in Terrasanta. Si discute, tra l'altro, sul tema della sovranità su 21 luoghi presenti sul territorio israeliani; ci sono poi problemi in merito la tassazione e l'espropriazione dei beni della Chiesa.
   Come se non bastasse, un punto di frizione è da molto tempo la questione del processo di beatificazione di Papa Pio XII, che regnò dal 1939 al 1958.
   Anche se Francesco, per adesso, attende un miracolo perché il processo possa andare avanti. E, forte dei suoi buoni rapporti con gli ebrei, gioca la carta dell'incontro con i luterani. Malgrado alcune loro realtà non siano tenere col mondo ebraico.
   
(Italia Oggi, 1 settembre 2016)


Luterani e Papa s’incontrano contro Israele: non è strano. Va avanti il processo di cattolicizzazione del protestantesimo storico luterano e l’antisemitismo giuridico (antisionismo) è un buon terreno d’incontro per una riappacificazione contro gli ebrei (“israeliani”, correggerà qualcuno, ma è la stessa cosa). M.C.


Israele: le procedure di emissione visti con la Cina saranno semplificate dal mese di novembre

GERUSALEMME - Un accordo decennale tra Israele e Cina per facilitare gli spostamenti d'affari e turistici tra i due paesi dovrebbe entrare in vigore l'11 novembre del 2016: lo ha confermato un funzionario del ministero degli Esteri di Tel Aviv, a seguito delle critiche mosse da Pechino per i presunti ritardi causati dalle autorità israeliane. I funzionari cinesi hanno riferito alla "Jerusalem Post" che la burocrazia israeliana ha posto un freno di fatto all'accordo, firmato a marzo a Gerusalemme dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal vicepremier cinese Liu Yandong. Un portavoce del ministero degli Esteri israeliano ha però sottolineato che mentre in Cina i trattati internazionali vengono ratificati prima della firma, in Israele avviene il contrario: i trattati vengono prima firmati e poi presentati alla Knesset (parlamento israeliano) per la ratifica. "A ogni modo i due paesi avevano deciso fin dall'inizio che l'attuazione avrebbe avuto luogo 90 giorni dopo la ratifica per consentire alle autorità di entrambi i paesi di prepararsi per il nuovo accordo", ha spiegato il funzionario. Ad oggi, la Cina ha in vigore accordi di questo genere con soli altri due paesi: Stati Uniti e Canada.

(Agenzia Nova, 1 settembre 2016)


Erdogan in Siria non ascolta Obama

Crisi nei rapporti tra turchi e americani. No secco di Ankara alla richiesta Usa di una tregua con le milizie curde.

di Fiamma Nirenstein

Prima gli americani hanno chiesto una tregua fra turchi e curdi, poi hanno detto che erano molto soddisfatti che la tregua stesse prendendo piede, poi i turchi hanno fatto sapere, incuranti ormai del disappunto della Casa Bianca, che non c'è nessun cessate il fuoco, e che «la Turchia è uno Stato sovrano e legittimo .. e suggerire che si metta al livello di un'organizzazione terrorista .. questo si che è inaccettabile». Una risposta al medesimo aggettivo, «inaccettabile», usato prima dagli Usa per descrivere l'atteggiamento turco.
   La verità è che adesso che i carrarmati turchi si aggirano fra le rovine fumanti della Siria, le cose sono destinate a complicarsi e che, semmai Erdogan risponde a una superpotenza, questa è la Russia, e non l'America. Le sue bombe pare abbiano già ucciso almeno 73 civili curdi. Non sembra davvero un contributo alla guerra contro l'Isis, è un altro capitolo della guerra turco-curda che così sposta i migliori combattenti anti Isis, i curdi, sul fronte turco. Il presidente turco ha questa caratteristica: quando si muove, lo fa scambiando la prepotenza per leadership, Attila con Napoleone, i fatti suoi con quelli dell'universo mondo. Martedì gli Stati Uniti avevano alzato la voce. Erdogan oltretutto è troppo esplicito nell'esibire il suo «amico ritrovato», Putin, con cui si è riconciliato platealmente 1'8 agosto a Mosca. Così dopo che la guerra si è fatta palesemente anticurda, Brett McGurk, inviato speciale di Barack Obama per la lotta all'Isis, ha dichiarato «fonte di grande preoccupazione» gli scontri a sud di Iarabulus, nel nord della Siria, tra forze turche, gruppi armati dell'opposizione siriana e unità affiliate alle forze di Difesa della Siria di cui fanno parte i curdi dell'Ypg. Vogliamo chiarire, ha twittato McGurk, che per noi questi scontri in zone dove non c'è una presenza Isis sono inaccettabili. E continuava: «Gli Usa invitano a concentrarsi sull'Isis che resta una minaccia comune letale». Ankara ha già risposto che «gli Usa dovrebbero mantenere la parola e costringere i curdi siriani del Pyd a ritirarsi a est dell'Eufrate».
 Le sue motivazioni geografiche sono evidenti e sensate, ma quelle politiche creano contraddizioni doppie: Erdogan per combattere l'Isis combatte il loro peggior nemico, i curdi, perché essi sono anche il suo peggior nemico. Ma così facendo rischia di danneggiare il protetto di Putin:
   Assad, che tutti vorrebbero veder fuori dai piedi fuorché la Russia e l'Iran. Inoltre, per gli Usa vedere il vecchio amico membro della Nato cadere nelle braccia di Putin è una delusione. E questo, dopo avere ingoiato a più riprese l'aiuto fornito da Erdogan all'Isis funzionando da ponte verso il confine siriano per foreign fighters e armi.
   Poi Erdogan ha compiuto il testa coda: riconciliazione con Israele, visita a Putin, guerra all'Isis, rapporti con l'Iran e forse persino con Assad. È così che mercoledì mattina le forze speciali del generale Aksakalli sono entrate a piè pari nella guerra. Il portavoce stesso di Erdogan, Ibrahim Kalin ha descritto l'obiettivo come duplice: ripulire da tutti gli elementi terroristici, cioè Stato Islamico e, secondo Ankara, i curdi. Erdogan pensa ai suoi scopi fra cui, primario, sconfiggere i curdi. La paura che la stima internazionale nella guerra anti Isis li faciliti nel crearsi il loro Stato è uno dei suoi peggiori incubi. Il Pyd ha da poco impegnato con successo le sue forze, il Ypg, in una battaglia essenziale nei pressi di Raqqa, prendendo Manbij. Adesso l'Ypg, con le Forze Democratiche Siriane, agisce insieme alle Forze speciali.

(il Giornale, 1 settembre 2016)



Parashà della settimana: Re'eh (Vedi!)

Deuteronomio 11:26-16:17

 - "Vedi I-o pongo oggi davanti a Voi la benedizione e la maledizione..." (Deuteronomio 11.26).
Re'eh è stato tradotto con il verbo "vedi" ma sarebbe più corretto intendere questa nel senso di "stai attento".
"Vedi" sta dunque a significare che le parole della Torah sono come gli occhi dell'uomo capaci di vedere la storia, di comprenderla e di correggerla (tikkun olam) per fare la volontà di D-o.

Prescrizione sul consumo di carne.
"Mangerai carne secondo le possibilità che il Signore ti avrà concesso ... solo il sangue non mangerete" (Deuteronomio 12.15).
Il consumo della carne può dare adito a degli eccessi da parte dell'uomo se questo consumo non viene fatto per necessità ma per guadagni illeciti non rispettando la vita degli animali.
Per questa ragione la Torah vuole che la bestia destinata al consumo venga consacrata prima come sacrificio. Il nutrimento dell'uomo in questo caso viene dalla mano del sacerdote e non dal negozio del macellaio, rispettando la sacralità della vita anche dell'animale.
Il consumo di carne dunque è permesso a condizione che si rispettino alcune regole indicate nella Torah, come la macellazione "rituale" e il divieto di cibarsi del suo sangue, che "dovrete versare a terra come l'acqua".
"Non mangerai alcuna cosa abominevole" (Deuteronomio 14.3) continua la nostra parashà in riferimento agli animali vietati come il maiale, il coniglio ecc... riportando una lista di animali permessi e di quelli non permessi, lista che si chiude con la nota espressione "Non cucinerai il capretto nel latte di sua madre" (Deuteronomio 14.21).
La tradizione orale ha interpretato questo versetto vietando il miscuglio di carne con latte nell'alimentazione quotidiana. In più siccome questo nella Torah viene ripetuto i nostri maestri (z.l.) hanno esteso il divieto anche al commercio di prodotti dove carne e latte siano stati mescolati.

Il falso profeta
"Quando sorgesse in mezzo a voi un profeta o un sognatore, che mostrasse un segno o un prodigio..." (Deuteronomio 13.2).
Bisogna domandarsi: "Come mai il problema del falso profeta precede le regole alimentari?" Perché è stato constatato nella storia ebraica, che un attacco alla dottrina della Torah inizia spesso dalle leggi alimentari.
A riguardo vorrei aggiungere un'esperienza personale. Durante una conversazione con una signora non-ebrea, costei mi fa notare che esiste la fame nel mondo mentre voi ebrei vi permettete di mangiare "casher".
Quale legame logico possa esistere tra la fame e l'alimentazione casher, rimane incomprensibile. Resta però il fatto che questi pregiudizi sull'alimentazione ebraica sono spesso le prime critiche rivolte alle regole della Torah, per demolirla.
Ora detto questo, viene un'altra domanda: "Come distinguere il falso profeta dal vero?" Nel testo biblico è scritto: "Il segno di cui egli ti ha parlato si è verificato e se per questo ti dicesse. Seguiamo altri dei... allora non ascoltare le sue parole" (Deuteronomio 13.3).
E' in tale circostanza che si deve distinguere il profeta fedele alla legge dal profeta che si appresta a tradirla. Alcuni commentatori hanno voluto vedere in questo brano, un'allusione a Gesù nella Torah, per i miracoli a lui attribuiti dai Vangeli e per il successivo abbandono della legge mosaica da parte cristiana.
Ma attenzione! Gesù era un ebreo che aveva il rispetto e l'osservanza della legge, quindi non poteva tradirla. "Nemmeno uno iota della legge va cambiato!" dove la consonante "iota" è la lettera più piccola dell'alfabeto ebraico.
Pertanto il messaggio di Gesù si può considerare un messaggio ebraico e gli ebrei non hanno difficoltà ad accettarlo, essendo anche il loro messaggio.

Le decime
La decima ebraica si articola in tre diversi momenti.
1-La prima decima è quella destinata ai leviti
2-La seconda decima è quella che va consumata a Gerusalemme durante i tre pellegrinaggi (Pesah-Shavuot-Succot)
3-La decima destinata ai poveri.
La "decima" per i Leviti è relativa ai prodotti della Terra. Oggi questo precetto viene osservato in Israele nei diversi punti di vendita. Si può leggere nei negozi il cartello con la scritta "eter mehirà" cioè permesso di vendita dei prodotti agricoli, da cui è stata prelevata la decima.
La seconda decima riguarda la popolazione, che deve consumare questa decima, ricavata dalle sue proprietà, a Gerusalemme durante le festività ebraiche. Oggi è rimasta solo una tradizione non essendovi il Tempio.
La decima per i poveri viene fatta osservare dall'autorità rabbinica secondo un computo di anni, legati all'anno sabatico e stabiliti dalla tradizione.
"Quando in mezzo a te si trovi un povero... non dovrai indurire il tuo cuore né chiudere la tua mano" (Deuteronomio 15.7).
La decima al povero è una regola che riguarda sia l'individuo che la collettività. Ambedue devono collaborare per realizzare il precetto di aiutare i bisognosi.

L'anno sabatico
E' l'anno della Schemità cioè il riposo della Terra d'Israele, che riposerà un anno intero in onore del Signore. In questa circostanza viene concessa anche la remissione dei debiti.
"Al termine di ogni settennio concederai la remissione... Ogni creditore non costringerà al pagamento né il suo prossimo né il suo fratello" (Deuteronomio 15.2).
La remissione dei "debiti" è un sistema per facilitare i rapporti umani ed è oggi regolato da un tribunale rabbinico.
Un debitore deve fare tutto il possibile per estinguere il suo debito alla data stabilita del settennio. Ma se nel frattempo sono sopraggiunte circostanze estranee alla sua volontà, come ad esempio una malattia da impedire la solvenza del debito, questo deve essere annullato.
E' solo in questi casi che la legge ordina la remissione dei debiti. F.C.

*

 - "Osserverete per metterlo in pratica tutto ciò che vi comando: non vi aggiungerai nulla e nulla vi toglierai" (Deuteronomio 12:32 o 13:1).
Alcune versioni mettono questo versetto alla fine del capitolo 12, altre all'inizio del 13: segno che il suo contenuto può collegarsi sia con ciò che immediatamente precede, sia con ciò che segue. E prima e dopo ci sono severi ammonimenti a non cadere nell'idolatria dei popoli pagani. Questo allora potrebbe significare che il fatto stesso di aggiungere o togliere qualcosa a ciò che Dio ha ordinato espone al serio rischio di diventare adoratori di dèi stranieri. Non si tratta soltanto di non aggiungere o togliere lettere dell'alfabeto al testo puntigliosamente tramandato, ma di non aggiungervi significati di propria fantasia e di non togliervi significati che invece emergono in modo diretto e chiaro da ciò che è scritto.
  Esaminiamo allora i tre fatti descritti nel capitolo 13 contenenti un invito all'idolatria.
FATTO RELIGIOSO - Un falso profeta compie un segno prodigioso, lo attribuisce alla potenza di un dio straniero e invita il popolo a seguire quel dio invece dell'Eterno.
PENA - Sarà messo a morte.
OBIETTIVO - Togliere il male di mezzo al popolo.
FATTO FAMILIARE - Qualcuno cerca di convincere in segreto un familiare o un amico a seguire privatamente un dio straniero, forse per motivi di convenienza.
PENA - Sarà lapidato e il familiare che l'ha denunciato sarà il primo a lanciare il sasso.
OBIETTIVO - Intimidire il popolo e impedire che un fatto simile si ripeta.
FATTO POLITICO - Alcuni uomini sobillano un'intera città inducendola a servire dèi stranieri, tentando quindi una sorta di secessione spirituale.
PENA - Abitanti e bestiame saranno passati a fil di spada; la città sarà data interamente alle fiamme; diventerà un mucchio di rovine; non sarà più riedificata e non ci sarà bottino per nessuno.
OBIETTIVO - Placare l'ira dell'Eterno.
Questi sono ordini precisi, chiari e motivati, contenuti nella Torah come il ben noto ordine "Non cuocerai il capretto nel latte di sua madre", che però è molto meno chiaro e di motivazione molto oscura. E non sta neppure scritto che chi lo trasgredisce dev'essere messo a morte. Perché si dà tanta importanza a ciò che è oscuro e immotivato e si tiene in scarsa considerazione ciò che è chiaro e ben motivato?
  Anche per chi legge la Bibbia con occhi cristiani questi passi sono difficili da digerire. Particolarmente "scandaloso" appare l'invito a uccidere di propria mano, senza pietà, chi ti vuole spingere lontano dall'Eterno, fosse anche tuo fratello, tuo figlio, tua figlia, tua moglie "che riposa sul tuo seno" o "l'amico che ti è come un altro te stesso". Il rischio di contrapporre il Dio dolce e buono del Nuovo Testamento a quello arcigno e duro dell'Antico Testamento esiste, e ogni tanto qualcuno ci ricade. Eppure, anche Gesù sa usare toni duri: "Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, e la moglie, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo" (Luca 14:26). Alcuni vorrebbero difendere Gesù precisando che in greco il verbo "odiare" può significare "amare meno", ma sono addolcimenti che non corrispondono allo stile biblico, e in modo particolare allo stile di Gesù: basti pensare al Sermone sul Monte. Forse Gesù nelle sue parole aveva in mente proprio il passo di Deuteronomio 13 e l'ha adattato a se stesso: scegliere di seguire Lui significa respingere "con odio" chiunque voglia impedirlo, fosse anche padre, madre, moglie, fratello o sorella.
  Chi si scandalizza di questi passi biblici è sotto una delle più funeste tentazioni che ci possano essere: quella di voler essere più buoni di Dio. E' la tentazione satanica per eccellenza. Così è cominciata la storia nel giardino di Eden: il serpente si è presentato all'uomo come più buono di Dio, in un'atmosfera dolce, rilassata, seducente: niente ordini perentori, niente minacce, linguaggio positivo, prospettive affascinanti. Gli occhi della donna cominciarono ad aprirsi e il frutto proibito le apparve in una luce nuova: bello come mai l'aveva visto prima.
  Ed è proprio un simile seducente paesaggio quello che dipingono oggi i promotori della pace universale. Il mondo è pieno di ideali d'amore presentati agli uomini in varie forme e con svariati itinerari. E anche tra i cristiani non mancano mai quelli che dicono ai loro fratelli: "Andiamo, serviamo altri dèi" (Deuteronomio 13:6). Naturalmente non li chiamano così, hanno altri nomi, come pace, giustizia, libertà. Ma sono idoli.
  Oggi va per la maggiore l'idolo "pace", da onorare e servire attraverso lo strumento sorridente del "dialogo"; cinquant'anni fa invece andava di moda l'idolo "giustizia", da onorare e servire attraverso lo strumento catartico della "rivoluzione". Era un idolo abbastanza diffuso anche in certi ambienti dell'evangelismo storico di sinistra (quelli che oggi sono filopalestinesi). Il loro reboante slogan suonava così: "Ci diciamo marxisti e ci confessiamo cristiani". Fin da allora mi capitò di entrare in polemica con i paladini di questa funesta deviazione dal Vangelo; ci fu uno scambio di lettere sul loro giornale e proprio in questi giorni mi è ricapitata fra le mani l'ultima lettera che scrissi in risposta alle loro repliche. Porta la data del 16 marzo 1967. Nell'ultima parte scrivevo:
  «In conclusione, se ho capito bene, l'evangelico impegnato a sinistra è quel samaritano che incontrando un uomo ferito sulla strada di Gerico, non perde il suo tempo a soccorrerlo, perché si è proposto fini ben più elevati e grandiosi: curare non gli effetti, ma le cause. E dove sono le cause? Negli squilibri sociali. Se l'uomo è stato assalito dai ladroni, tanto peggio per lui: significa che aveva dei soldi, mentre i ladroni non ne avevano: "il sangue delle rivoluzioni è tragica necessità." Il samaritano impegnato, più che a soccorrere l'uomo ferito, pensa ad "intervenire per colpire alla base legami sociali perniciosi per stabilirne dei nuovi e degni di rimanere." Forse altri uomini dovranno morire prima che siano tolte le "cause" che spingevano i ladroni a rubare. Il samaritano impegnato ha come compito principale di "fare piazza pulita degli antagonismi di classe", e si sente obbligato dalla sua stessa fede "a rifiutare la guerra al Vietnam e il modo in cui essa è prodotta dagli americani." Il samaritano impegnato agisce positivamente "varando imprese sociali, azioni politiche di vasto raggio capaci di intervenire e mutare la vita sociale alle sue radici". Parole, parole, parole.
Azzardo un'amara quanto facile profezia: voi evangelici impegnati a sinistra non concluderete niente. Non stabilirete nessun nuovo legame sociale, non toglierete nessun antagonismo di classe, non sposterete di un millimetro la guerra nel Vietnam. E non vi potrete giustificare adducendo le vostre buone intenzioni e la vostra buona volontà: questi sono argomenti da pietisti: il samaritano impegnato guarda ai fatti. E l'unico fatto concreto sarà che quell'uomo incontrato sulla via di Gerico sarà morto.»


La facile profezia si è puntualmente avverata e l'idolo si è infranto a terra. Lo stesso accadrà a tutti gli idoli costruiti dagli uomini, quale che sia il bel nome che portano. M.C.

  (Notizie su Israele, 1 settembre 2016)


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