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Notizie su Israele 215 - 23 dicembre 2003

1. Chiun Sugihara, un giusto fra le nazioni
2. Un sopravvissuto all'Olocausto racconta
3. Vacanze di Hanukkah per bambini colpiti dal terrorismo
4. Bambini religiosi collezionano figurine di rabbini
5. Ultraortodossi e secolari: un'insolita collaborazione
6. Un predicatore cristiano difende Israele
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 62:1-3. Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l’aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante. Allora le nazioni vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del SIGNORE pronunzierà; sarai una splendida corona in mano al SIGNORE, un turbante regale nel palmo del tuo Dio.
1. CHIUNE SUGIHARA, UN GIUSTO FRA LE NAZIONI




Un console giapponese salvò migliaia di ebrei dalla deportazione
    

Chiune Sugihara
Durante la seconda guerra mondiale, la Germania aveva deciso lo sterminio di tutto il popolo ebraico. Nel settembre del 1939 invase la Polonia mettendo in atto i suoi propositi di annientamento. Alcuni Ebrei si rifugiarono allora in Lituania ben consapevoli però del fatto che anche quel paese sarebbe presto stato invaso dalla Germania. Per sfuggire ai Tedeschi non restava altro che attraversare l’Unione Sovietica. I Russi però lasciavano attraversare il loro territorio solo agli Ebrei in possesso di un visto che dimostrasse che sarebbero stati accolti da un altro Stato, ma nel 1940 i consolati della Lituania erano per lo più chiusi o insensibili alla causa degli Ebrei.
    Fu così allora che il 27 luglio 1940 centinaia di Ebrei si riunirono davanti al consolato del Giappone per chiedere aiuto al console, ossia il rilascio di visti per il Giappone che consentissero di attraversare la Russia e sfuggire ai Tedeschi. Era la loro ultima speranza.
    Il quarantenne console giapponese Chiune Sugihara ascoltò la loro richiesta e rispose: “Voglio aiutarvi, ma prima devo sentire Tokyo”. E spedì subito un telegramma. Il ministero degli affari esteri del Giappone rispose che era impossibile concedere il visto a gente in viaggio senza una meta precisa.
    Il console rinnovò la richiesta, sostenendo che durante i venti giorni necessari per attraversare l’Unione Sovietica e i trenta passati in Giappone, gli Ebrei sarebbero certamente riusciti a trovare un’altra destinazione. Il Giappone rifiutò ancora.
    Il console rinnovò la richiesta per la terza ricevendo l’ennesimo rifiuto.
    Chiune Sugihara capì allora che restava solo da scegliere tra obbedire ai superiori o ascoltare la propria coscienza che gli imponeva di aiutare quegli Ebrei, che senza il suo aiuto sarebbero stati condannati a morte. Disse alla moglie: “Sarà forse la fine della mia carriera, ma non ho altra scelta che disubbidire a Tokyo, altrimenti verrei meno al mio dovere verso Dio.
    Uscì allora dal consolato e rivolto alla folla disse: “Concederò il visto di transito a tutti coloro che me lo richiederanno”.
    Ci fu un’esplosione di gioia. La gente pregava, ringraziava Dio, piangeva.
    E così la mattina del primo agosto, Sugihara iniziò a concedere i visti. Per compilare ogni visto ci voleva un quarto d’ora e Sugihara dovette saltare i pasti per redigere quanti più documenti poteva. Lavorò giorno e notte. Presto i moduli ufficiali si esaurirono e dovette scrivere tutto a mano.
    Passate tre settimane, Tokyo mandò una raffica di telegrammi per ordinare al console di smettere di concedere i visti perché l’arrivo in massa degli Ebrei polacchi nei porti giapponesi creava il caos.
    Ma Sugihara non diede loro retta, continuò a scrivere i visti perché i rifugiati arrivavano a frotte. Finché, alla fine di agosto, non lo trasferirono a Berlino.
    Prima di lasciare la città, l’eroico console continuò a compilare i visti in albergo e fino all’ultimo, anche alla stazione e anche in treno si mise a firmare dei fogli in bianco sperando che potessero servire per fare dei visti. Mentre il treno si metteva in moto stava ancora passando dal finestrino gli ultimi documenti. Gli Ebrei gli gridarono: “Non la dimenticheremo mai, Chiune Sugihara”!
    Gli Ebrei, grazie ai preziosi visti, iniziarono il lungo viaggio attraverso l’Unione Sovietica passando per la Siberia da dove si imbarcarono per il Giappone, dove furono bene accolti. Alla scadenza dei visti ottennero l’autorizzazione di andare a Shanghai dove restarono fino alla fine della guerra.
    In seguito alcuni di loro si stabilirono in Giappone ma la maggior parte emigrò negli Stati Uniti, in America Latina o in Palestina, il futuro Stato di Israele. Si è calcolato che Chiune Sugihara abbia compilato almeno seimila visti.
    Durante la guerra fu nominato console in Germania, in Cecoslovacchia e poi in Romania. Fu arrestato nel 1945 dai Sovietici e internato con la famiglia in un campo di prigionia per venti mesi. Poi ritornò in Giappone. Il ministero degli affari esteri che non aveva dimenticato “la storia dei visti”, pretese e ottenne le sue dimissioni. Per mantenere la famiglia, Sugihara si mise a vendere lampadine e poi divenne direttore di un’azienda di import – export a Mosca dove visse lontano dalla famiglia.
    Gli Ebrei salvati da Sugihara non si dimenticarono di lui. Cercarono di mettersi in contatto con lui scrivendo al Ministero degli affari esteri ma alle loro lettere nessuno rispose.
    Finalmente un Ebreo riuscì a trovare l’indirizzo del figlio dell’ex –console e lo chiamò: “Sono anni che cerco suo padre, non posso dimenticare che gli devo la vita”!
    Il figlio gli spiegò che il padre lavorava a Mosca e l’Ebreo allora gli disse: “Gli dica che lo Stato di Israele gli vuole rendere omaggio”.
    E fu così che Sugihara venne accolto da eroe a Tel Aviv. Quelli che lui aveva aiutato un tempo, organizzarono in suo onore dei ricevimenti. Nel 1984 Israele gli diede il titolo di “Giusto tra le Nazioni” e gli fu dedicato un parco che porta il suo nome.
    Chiune Sugihara si spense in Giappone nel 1986. Moltissimi Ebrei religiosi parteciparono al suo funerale.
    Nel 1991 il governo giapponese si scusò con la famiglia del console per averlo scacciato dal ministero.
    Se si tiene conto dei figli e dei nipoti di coloro che lui ha salvato, sono decine di migliaia gli Ebrei che devono la vita al coraggio di Chiune Sugihara.
    
(da "Jewish Life", mensile di comunicazione ebraica)




2. UN SOPRAVVISSUTO ALL'OLOCAUSTO RACCONTA




Il miracolo di Hanukkah del 1939 a Kaunas

di Solly Ganor

La decisione del console giapponese Chiune Sugihara di concedere visti agli ebrei rifugiatisi in Lituania per consentire loro di espatriare e sfuggire così alle camere a gas dei tedeschi, sembra essere stata influenzata da un fatto che avvenne in una festa di Hanukkah del 1939 a Kaunas. Il personaggio principale di questa storia, ricordata come "il miracolo di Hanukkah", ha come protagonista Solly Ganor, allora ragazzo undicenne, che oggi è uno degli ultimi sopravvissuti all'Olocausto [ Notizie su Israele 167]. Il testo che segue contiene il suo racconto di quel memorabile avvenimento.


Tornando a casa in Lituania.

Il miracolo di Hanukkah del 1939 ebbe luogo a casa nostra, a Kaunas in Lituania. Avevo undici anni a quel tempo e per me quella era una normale vacanza Hanukkah, con un sacco di regali, le candele accese e i canti di Hanukkah. Qui c’è quanto è accaduto, così come l’ho registrato nel mio manoscritto originale.
    Subito dopo l’invasione nazista della Polonia, diecimila profughi fuggirono dalle persecuzioni naziste verso le regioni confinanti la Lituania. A quel tempo la Lituania era ancora un paese democratico e indipendente, e le comunità ebraiche lituane aprirono le loro case e i loro cuori ai profughi. I profughi ebrei che avevano sperimentato gli orrori nazisti di prima mano sapevano con certezza che la Lituania non sarebbe stata risparmiata, e assediarono tutte le ambasciate straniere, nel disperato tentativo di ottenere il visto per espatriare dal paese. Ma il mondo voltò le spalle agli ebrei e molto pochi visti furono rilasciati. Successivamente, quasi per miracolo, la persona più inaspettata venne in soccorso ai profughi Ebrei: il console giapponese Chiune Sugihara, rappresentante di un paese che si era alleato con i nazisti, il quale cominciò a rilasciare i visti per i profughi. Ne rilasciò a migliaia. Il miracolo cominciò a prendere forma a casa nostra a Kaunas, Lituania, una sera di Hanukkah del 1939.

Centinaia di ebrei davanti al cancello del consolato giapponese a Kaunas, nel luglio del 1940, sperando di ricevere il visto di transito che avrebbe permesso loro di sfuggire alle camere a gas e rifugiarsi in qualche paese dell'Estremo Oriente o in America o in Palestina

Fu lì che il console giapponese prese la decisione di salvare migliaia di ebrei dalle camere a gas di Auschwitz, come fu riferito più tardi da sua moglie Yokiko Sugihara nel suo libro “Visti per la vita”. Alla nostra festa di Hanukkah il console incontrò il profugo ebreo polacco, Abe Rosental, e la sua giovane figlia Lea che lo informò sugli orrori commessi dai nazisti contro la popolazione ebrea.
    Avevo undici anni allora, e quello che vidi mi rimarrà impresso nella mente e nel cuore per tutta la mia vita.


Un viaggio nel passato.

    Fu sessantatré anni più tardi, il 20 Settembre 2003, soltanto pochi mesi fa, che ritornai nella mia città natale di Kaunas, la casa dove vivevano i Sugihara. Simone Davidovicius, il direttore del Museo, che sapeva della mia intima relazione con la famiglia Sugihara, mandò una macchina a prenderci.
    Mentre ci stavamo avvicinando alle “Montagne Verdi”, una regione di Kaunas, dove in passato si trovava il consolato, cominciai a riconoscere la zona. Le case, gli alberi, le strade, non era cambiato molto qui.
    Era ancora la parte più bella della città. Poi la macchina girò verso la strada che porta al consolato ed io cominciai a contare le case. Era la decima o la dodicesima casa sulla destra? Era esattamente come me la ricordavo? Alla fine eravamo lì, davanti a lei, la familiare casa che mi ricordavo così bene. Con il cuore che mi batteva e le lacrime agli occhi stavo sulla soglia della casa e mi sentivo come se i sessant'anni non fossero mai passati. Ero di nuovo un ragazzo di undici anni. Vedevo il sorriso di Chiune Sugihara mentre mi allungava una busta con i francobolli giapponesi per la mia collezione. Vedevo Yokiko portare un vassoio con biscotti e tè giapponese; e vedevo il loro figlio di cinque anni, Hiroki, che veniva chiamato “Puppe”, che guidava il suo triciclo. Ma vedevo anche centinaia di ebrei che stavano pazientemente in piedi davanti al cancello, aspettando di ricevere un visto giapponese salvavita da Chiune Sugihara. Rimasero lì per giorni, fino a che tutti ricevettero un visto, ed ogni visto salvò una famiglia ebrea dalle camere a gas di Auschwitz. Oggi sappiamo che ne scrisse migliaia. Ne ho visto le registrazioni all’ufficio estero giapponese a Tokio, a conferma del fatto.
    Quello che segue è costituito da estratti del mio manoscritto originale, in cui spiego come avvennero esattamente le cose.


Chiune Sugihara, il giusto fra le Nazioni.

«Avevo undici anni quando incontrai Chiune Sugihara, il console giapponese di Kaunas. Era il dicembre 1939 e stavamo celebrando Hanukkah, la festa delle luci. Per noi bambini era una festa particolarmente preferita, perché a Hanukkah tutti i membri della famiglia ci davano soldi. Qualche volta ricevevamo persino dei soldi da amici. Ma quell’anno decisi di dare tutti i soldi che avevo raccolto al fondo per i profughi ebrei. In realtà, nessuno mi chiese di fare questo, ma quando le signore della commissione per i profughi vennero a casa nostra, in un impulso improvviso diedi loro i dieci Lit che avevo raccolto. Dieci Lit erano una grossa somma di denaro persino per gli adulti, e immediatamente me ne pentii, perché avevo un sacco di progetti con quella somma di denaro, ma ormai quello che era fatto era fatto. Le signore furono molto colpite dal mio gesto e mi assicurarono che i soldi sarebbero stati usati per comprare i visti per i profughi che volevano lasciare la Lituania.
    Quella settimana al cinema Metropolitan davano un film di Stanlio e Olio. Morivo dalla voglia di vedere il nuovo film, ma non mi erano rimasti più soldi in tasca: li avevo dati tutti ai profughi. A mia madre dispiaceva vedermi in quelle condizioni e mi voleva prestare i soldi, ma mio padre s'impose. "Devi rimanere fermo su certi principi. E’ stato un atto di grande nobiltà da parte tua dare i soldi per i profughi, ma adesso non devi venire a piangere da noi per un rimborso". Mio padre mi disse tutto quello con un certo tono di voce che conoscevo fin troppo bene. E la cosa che mi rendeva più furioso era il fatto che aveva ragione. La mia ultima speranza era la zia Agnuska. Lei avrebbe avuto pietà di me. Sapeva che andavo pazzo per Stanlio e Olio.
    Avevo preso un appuntamento con Vova ed Izia, i gemelli Glass, conosciuti come i Glazukes. Dovevamo incontrarci allo sportello dei biglietti per lo spettacolo del pomeriggio. Prima che partissi, mia madre si assicurò che fossi ben vestito e avessi il cappello e i guanti. “Fa' in modo di essere di ritorno prima di sera", mi disse. La neve scrocchiava sotto le mie scarpe, scintillando bianca sotto il sole pomeridiano. Era freddo, ma non mi dava fastidio. Stavo andando al cinema, e tutto il resto non m'interessava. C’era una guerra in corso là fuori, in un posto lontano da noi, e i tedeschi avevano preso la Polonia, ma se non fosse stato per i profughi ebrei che arrivavano a fiumi in Lituania, non ce ne saremmo accorti.
    Sulla strada per arrivare al negozio di zia Agnuska vidi delle Menorah con le candele alle finestre delle case ebraiche, e qua e là alberi di Natale decorati nelle case dei cristiani. Da una certa distanza potei vedere le finestre del negozio di mia zia vivacemente illuminate da lampadine colorate. Aveva una vasta clientela cristiana, mia zia, formata dalle famiglie più ricche di Kaunas, perché faceva venire articoli alimentari da tutto il mondo. Chi voleva caviale belga, champagne francese, o un po’ di elaborata cioccolata svizzera, poteva trovarlo da lei in negozio. Lei riforniva anche le ambasciate straniere che richiedevano particolari prodotti alimentari, che si potevano trovare soltanto nel suo negozio.
    C’era un aggeggio attaccato alla sua porta che suonava una melodia natalizia non appena si apriva. Era un dono di suoi amici inventori. Quando entrai lei stava servendo un uomo elegantemente vestito con strani occhi obliqui. Agnuska gli stava parlando in russo. “Ah il mio caro nipote è venuto per i suoi soldi di Hanukkah, scommetto”, mi disse sorridendomi. O non si ricordava che mi aveva già fatto un prestito, oppure voleva risparmiarmi l’umiliazione di chiederle un'altra elargizione. Doveva essere stata informata della mia generosità dalle signore del comitato, e anche quello poteva essere il motivo. In ogni caso, non le avrei dato nessuno argomento.
    “Vieni a conoscere sua Eccellenza, il console del Giappone, il signor Sugihara”, disse quando mi vide sgranare gli occhi davanti a quell'uomo. Camminai lentamente e stesi la mano. “Piacere di conoscerla, Signore”, dissi educatamente. Solennemente mi strinse la mano e mi sorrise. C’era humor e gentilezza in quegli occhi strani. Provai un’immediata simpatia per quell’uomo. Mi ricordai di quello che mio nonno una volta mi aveva detto: “Ricorda, gli occhi sono lo specchio dell’anima di una persona. Se li osservi abbastanza da vicino, puoi vedere quello che c’è dietro.” Ho conservato questo detto

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di mio nonno, come molti altri suoi detti incomprensibili. Ma quando guardai quell’uomo, improvvisamente capii quello che voleva dire. C’era qualcosa in quegli occhi che mi faceva intuire l’uomo che c'era dietro. Percepii un’aura di bontà e gentilezza intorno a lui, non riuscivo a spiegare.
    Zia Agnuska, che notò il mio strano comportamento, rise. “Vuoi andare al cinema e hai bisogno dei Lit, vero? “Scossi la testa velocemente, sempre guardando il signor Sugihara. Mentre Agnuska si dirigeva verso il registratore di cassa, lui tirò fuori dalla sua tasca una scintillante Lit. e me la porse. “Poiché adesso è Hanukkah, considerami tuo zio", mi disse, e mi diede la moneta. Esitai un momento, poi presi la moneta e dissi qualcosa di totalmente inaspettato: “Dal momento che lei è mio zio, dovrebbe venire sabato alla nostra festa di Hanukkah. Ci sarà tutta la famiglia." Rimasi stupito della mia audacia e non avevo idea di che cosa mi avesse spinto a dire una tale cosa. Agnuska, che stava ritornando con i soldi, ascoltò la nostra conversazione e mi guardò con incredulità.
    "Ora che ci penso, non sono mai stato a una festa di Hanukkah. Ci verrei volentieri. Ma non pensi che dovresti chiedere prima ai tuoi genitori?" disse con un sorriso. Agnuska ci guardò. "Sono sicura che sua Eccellenza sarà occupata.“ Disse un po’ imbarazzata, ma poi aggiunse subito: “Ma se è libera e vuole venire, è cordialmente invitata,“ disse un po’ confusa. “Allora d'accordo. Ci vedremo sabato,“disse stringendomi la mano.
    Si stava facendo tardi, e se volevo andare al cinema dovevo correre. Prima di partire sentii Agnuska che faceva i preparativi per l'incontro di sabato.
    Quando tornai a casa dal cinema, zia Agnuska era lì. Mi guardavano tutti in modo strano e zia Agnuska mi sorrise. Capii che doveva averli informati del mio strano comportamento con il console Giapponese e del fatto che l'avevo invitato alla festa di Hanukkah. Mi sentivo in colpa, e non sapevo che cosa dire ai miei genitori. Vedendo il mio dispiacere, mio padre alzò la mano e disse: “Aspetta, prima di parlare lascia che ti dica che quello che hai fatto è buono. Se pensi di invitare uno straniero alla festa, credo che questo vada più che bene. Non devi mai sentirti in colpa per aver offerto ospitalità a degli stranieri.”
    Quella sera la candela accesa era la sesta, e molti membri della famiglia arrivarono prima, perché avevano sentito delle voci circa un ospite misterioso che sarebbe arrivato quella sera. Proprio alle sei Agnuska arrivò con il signor Sugihara e sua moglie Yokiko. Indossava un abito nero molto elegante, mentre il signor Sugihara indossava un formale abito a strisce. Non dimenticherò mai quella sera di Hanukkah. Mi rimarrà impressa nella mente finchè vivrò.
    Poiché c’erano distinti ospiti, cantammo le canzoni di Hanukkah con un fervore speciale e le candele di Hanukkah avevano una luce particolare. C'era un'atmosfera di familiarità e calore.
    Cinquantacinque anni più tardi, quando ci incontrammo in Giappone, la signora Yokiko Sugihara mi disse che non si erano mai dimenticati della festa di Hanukkah a Kaunas. Nel suo libro “Visti Per la Vita”, la signora Sugihara. scrisse:
     “La decisione di Chiune Sugihara di concedere i visti può essere stata influenzata da un bambino di undici anni di nome Solly Ganor, che invitò il signor Sugihara a festeggiare la sua prima Hanukkah nel 1939 con la sua famiglia. Questo è stato il primo contatto di Sugihara. con un ebreo a Kaunas.”
    Anche se ero del tutto inconsapevole, la minima parte che posso aver avuto nell'influenzare Chiune Sugihara, voglio considerarla come il più grande risultato della mia vita.
  Yokiko Sugihara
    Ripensai a quello che la signora Sugihara aveva scritto su di me nel suo libro quando ci incontrammo di nuovo al Tawn Hall di New York, nel dicembre 1998. Una grandissima tempesta invernale aveva colpito la città e la pioggia veniva giù a catinelle. Quel giorno, la signora Yokiko Sugihara fu invitata ad andare ad una riunione organizzata dallo storico Eric Saul e Lani Silver per incontrare “i sopravvissuti Sugihara”. Temevamo che a causa del mal tempo soltanto poche persone sarebbero venute. Con nostra grande sorpresa e gioia, il Tawn Hall era gremito. Più di mille persone avevano affrontato la tempesta per venire a rendere omaggio a Yokiko Sugihara. che aveva svolto un ruolo importantissimo nella decisione di firmare i visti. Fu una serata molto commovente, e piangemmo tutti per quasi tutto il tempo. Ma la scena che mi rimase più impressa nella memoria fu quella del ragazzo tredicenne che si avvicinò a Yokiko, che stava seduta sul palcoscenico, e le diede un forte abbraccio. Con le lacrime agli occhi disse:
    “Signora Sugihara, grazie a lei e a suo marito, ci sono quarantamila di noi che oggi sono vivi, e noi vogliamo ringraziarla per questo. Grazie signora, grazie dal più profondo dei nostri cuori”.
    La folla accolse con ovazione le sue parole. Yokiko Sugihara si alzò e con le lacrime agli occhi baciò il ragazzo su entrambe le guance.
    Per i miei familiari che avevano partecipato alla festa di Hanukkah a casa nostra nel 1939, non ci fu il miracolo: la maggior parte di loro morì nell’Olocausto. Ma per i quarantamila “Sopravvissuti Sugihara”, la festa di Hanukkah fu davvero un miracolo. Fu a quella festa che Chiune Sugihara può aver preso la decisione di aiutare a salvare quegli ebrei.»

(Naomi Ragen 16.12.2003)




3. VACANZE DI HANUKKAH PER BAMBINI COLPITI DAL TERRORISMO




Circa 400 bambini israeliani che hanno perduto genitori o fratelli in attentati terroristici saranno ospiti questa settimana in un campo di vacanze a Eilat (sul Mar Rosso) in occasione delle feste ebraiche di Hanukkah. L'iniziativa e' sponsorizzata dalla Koby Mandell Foundation, l'ente intitolato alla memoria di Koby Mandell, un bambino di 13 anni che venne brutalmente assassinato insieme al suo compagno di giochi Yosef Ishran in una grotta alle porte di Tekoa (Cisgiordania).
    Gli ospiti del campo, ragazzi tra i 9 e i 17 anni, religiosi e non religiosi, comprendono anche membri di famiglie arabe israeliane della comunita' drusa dal nord del paese. Durante il soggiorno al campo di vacanze, che prevede escursioni e varie attivita' ricreative e sportive, i ragazzi saranno anche invitati a dare espressione ai propri sentimenti e alle proprie paure, sotto la guida di personale educativo e terapeutico specializzato, in stretto contatto con gli specialisti dell'Israel Family Therapy Advancement Fund e dell'Israel Center for the Treatment of Psychotrauma.
    Nel frattempo il capo di stato maggiore israeliano Moshe Ya'alon ha riferito lunedi' alla stampa che le forze di sicurezza hanno sventato la scorsa settimana un ennesimo tentativo di attentato suicida a Ramat Gan (Israele). Ya'alon ha detto che vari terroristi, compreso il potenziale suicida, sono stati arrestati nei giorni scorsi grazie a una "intensa azione di inseguimento" da parte israeliana. La maggior parte dei recenti tentativi di attentato, sventati per il 90%, provenivano dalla citta' palestinese di Nablus, dove si sono concentrati gli sforzi preventivi delle Forze di Difesa israeliane.

(Jerusalem Post, 22.12.03 - israele.net)




4. BAMBINI RELIGIOSI COLLEZIONANO FIGURINE DI RABBINI




BNEI BRAK - I bambini della ultraortodossa città di Bnei Brak, a nordest di Tel Aviv, hanno trovato un nuovo passatempo. Come i loro compagni secolari, riempiono album di figurine, però non con giocatori di calcio o animali selvatici.
    Secondo quanto riferisce il quotidiano "Ma´ariv", a Bnei Brak sulle figurine si possono vedere le immagini di importanti Rabbini. Al contrario del loro amici non-religiosi, i bambini non devono spendere molti soldi per queste figurine. Un pacchetto di quattro figurine costa circa 20 cent.
    Il "mercato" comincia alle cinque del pomeriggio, quando i bambini hanno finito il loro studio della Torah. Corrono ai chioschi, comprano dei pacchetti e contrattano sul prezzo. Le figurine con Rabbini famosi sono particolarmente ricercate.
    Promotore di questa iniziativa è il ventiquattrenne Avraham Kosovski, di Bnei Brak. "Nell'ambiente ultraortodosso molti giovani sono attratti dallo sport in generale, e in particolare dal Maccabi Tel Aviv", ha detto. "Molti scolari avevano quindi cominciato a raccogliere figurine secolari. Con il consenso dei Rabbini abbiamo deciso di'canalizzare' questo hobby su santi obiettivi".
    Non tutti i Rabbini sono d'accordo con questo tipo di collezione. Il motivo del rifiuto non sta tanto nel comandamento biblico: "Non farti immagine alcuna". Temono soprattutto che i bambini possano rubare soldi ai loro genitori per poter fare le loro collezioni.
    
(Israelnetz Nachrichten, 17.12.2003)




5. ULTRAORTODOSSI E SECOLARI: UN'INSOLITA COLLABORAZIONE




di Elisabeth Hausen

In Israele non si possono trovare due partiti più opposti tra di loro dell'ultraortodosso partito Shas e del radical-secolare Shinui. Lo Shas è diretto da un Consiglio di Rabbini che segue le direttive dell'ex Gran Rabbino sefardita di Israele, Ovadia Joseph. Il partito si occupa soprattutto di educazione e di questioni sociali. Lo Shinui invece si oppone decisamente all'influsso dei partiti religiosi sulla politica israeliana. Rivendica giustizia in campo militare esigendo il servizio militare anche per gli ultraortodossi.
    Adesso però i due accaniti avversari vogliono far partire insieme un nuovo progetto in Haifa: una sinagoga per ebrei di diverse tradizioni. In pratica, si tratta degli aschkenaziti e dei sefarditi, riferisce il quotidiano "Ma´ariv". In Israele c'è un Gran Rabbino per ciascuno dei due rami.[...]
    Le diversità fra le due tradizioni provengono da differenti interpretazioni del Talmud babilone o da particolari usanze. Riguardano l'ordine degli oggetti nella sinagoga, i riti nei giorni di festa e la pronuncia dell'ebraico nella lettura della Torah. Per esempio, nella festa di Pessach ci sono diverse definizioni per indicare ciò che è "lievitato" e quindi non può essere mangiato.
    La vita quotidiana fondamentalmente non è influenzata da queste differenze. Ci sono molti matrimoni misti tra aschkenaziti e sefarditi. Diverse sinagoghe sono frequentate da entrambi i gruppi. Però di solito i luoghi di preghiera sono distinti.
    Lo slogan dell'inconsueta iniziativa in Haifa è: "Un popolo, una preghiera". Il responsabile è il sindaco di Haifa, Zvi Dahari, rappresentante dello Shinui. Con lui lavora il presidente locale dello Shas, Rav Avi Weizmann.
    "La pubblica unione di forze e mezzi negli ambienti aschkenaziti e sefarditi consentirà di costruire sinagoghe in molti quartieri misti in cui non ce ne sono", commenta Weizmann. "Se vengono costruite sinagoghe, i fedeli verranno a pregare insieme, e questo sarà accettato dall'opinione pubblica."
    Il sogno di Dahari è che si stabilisca una maggiore unità tra le due tradizioni: "In futuro arriveremo ad eleggere di comune accordo un unico Gran Rabbino, evitando un'inutile separazione tra aschkenaziti e sefarditi."
    Il presidente dello Shas, Eli Yishai, è entusiasta di questi progetti per Haifa: "Sono contento che almeno in Haifa gli uomini dello Shinui abbiano cominciato a cambiare direzione. Mi fa piacere che i rappresentanti dello Shinui si uniscano agli uomini dello Shas nel proposito di erigere una sinagoga per il bene degli abitanti." E ha espresso la sua soddisfazione per la costruzione di ogni sinagoga, in qualsiasi stile. "Soltanto la preghiera potrà salvarci dalle difficili situazioni in cui ci troviamo", ha detto Yishai.
    
(Israelnetz Nachrichten)




6. UN PREDICATORE CRISTIANO DIFENDE ISRAELE




Il predicatore americano Pat Robertson, i cui discorsi sono diffusi in tutto il mondo, ha partecipato giovedì [18 dicembre] al Congresso di Herzliya. Si tratta di un evangelista molto conosciuto, le cui trasmissioni sono seguite da milioni di persone e ritramesse da duecento catene di televisioni in sessanta Stati del mondo. In passato aveva posto la sua candidatura contro quella di Georg Bush padre alla testa del partito repubblicano.
    Robertson sostiene che non bisogna creare uno Stato palestinese. Ha anche proposto che i palestinesi diventino cittadini della Giordania. Si oppone fermamente allo smantellamento delle località ebraiche, che ammira, e afferma che il presidente Bush è circondato da cattivi consiglieri del Dipartimento di Stato.
    Intervistato dal sito Ynet, ha dichiarato di aver sorvolato in elicottero la Giudea-Samaria in compagnia del ministro Uzi Landau e di aver visitato la città di Ariel, dove ha incontrato delle vittime del terrorismo. Ha detto che la barriera di separazione è indispensabile per la sicurezza d'Israele, e che in nessun caso si deve permettere la creazione di uno Stato palestinese.
    Evocando la Road Map, ha detto che questo progetto finirà in un fiasco. Ha aggiunto che in nessun caso si devono evacuare "quelle meravigliose località soprannominate insediamenti". Ha ricordato, tra l'altro, che la Road Map è opera soprattutto dei francesi, "che non sono mai stati grandi difensori di Israele".
    Robertson ha ricordato inoltre che Yasser Arafat non è palestinese, ma è nato in Egitto. Ha sottolineato che è cresciuto in Arabia Saudita e ha passato gran parte della sua vita in Egitto. Ha precisato che Arafat e i suoi uomini hanno imposto una dittatura sugli arabi che vivono nel paese e desiderano la pace.
    Robertson ha dichiarato: "Sono una persona credente e sono convinto che Dio arresterà la Road Map".
    Ha ripetuto che George Bush è stato mal consigliato e che è tuttora circondato, nel Dipartimento di Stato, da persone che si preoccupano più di soddisfare gli arabi che di difendere gli interessi d'Israele.
    Parlando del conflitto tra Israele e i palestinesi, Robertson ha sottolineato che il problema non è né territoriale, né finanzirio, ma che si tratta d'una questione teologica. E ha concluso: "E' per questo che ogni tentativo di fare la pace con persone animate da una fede fanatica è destinata all'insuccesso".

(Arouts 7, 20.12.2003)




MUSICA E IMMAGINI




Rock of Ages




INDIRIZZI INTERNET




JewishNetit.org

Bridges For Peace




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