1. LA BABYSITTER CHE HA RISCHIATO LA VITA PER MOSHE
Una tata indiana è diventata l'ultima mamma eroica di Gerusalemme
di Giulio Meotti
|
Sandra Samuel con il piccolo Moshe |
Il suo nome finirà in una targa nel viale dei Giusti al memoriale Yad Vashem di Gerusalemme. Ogni albero porta il nome di un non ebreo che ha salvato vite ebraiche durante l'Olocausto. Sandra Samuel però non vuole essere chiamata "eroina". "Sono anche una madre: c'è qualcuno che in quel momento pensa di morire quando c'è un bambino così prezioso?". A rischio della propria vita, Sandra ha salvato Moshe Holtzberg dalla furia dei terroristi islamici che a Mumbai hanno trucidato gli israeliani che gestivano un centro lubavitch. I genitori di Moshe, Gavriel e Rivka Holtzberg, sono stati torturati e giustiziati. Lei era incinta. Ieri la notizia che Sandra sarà insignita del titolo di "Giusta fra le nazioni", prima indiana al fianco di nomi quali Oscar Schindler, il francescano Maximilian Kolbe e l'italiano Giorgio Perlasca.
Quando i terroristi sono entrati alla Nariman House di Mumbai, Sandra era nascosta in una stanza con un inserviente, vi passò tutta la sera, poi quelle grida, "Sandra, Sandra", era Moshe che la chiamava. Sandra ha seguito la voce, poteva mettersi in salvo, invece è rimasta. L'altro dipendente ha cercato di dissuaderla, ma Sandra è uscita dal nascondiglio, al piano di sopra ha trovato Moshe fra quattro cadaveri e in una pozza di sangue. Il bambino stringeva un peluche. I terroristi le hanno sparato dal tetto quando Sandra è corsa fuori con Moshe. "Non un colpo, o venti, ma centinaia di proiettili". Il giorno dopo Moshe ha compiuto due anni. E' il simbolo vivente dell'eccidio degli ebrei di Mumbai. Doveva morire per mano di gente che a Kabul ha riempito di tritolo carretti di dolci per bambini e in Iraq i bambini li ha legati nei sedili delle auto per superare i checkpoint e farsi saltare in aria con loro. Sandra non ha passaporto israeliano, le è stato procurato un visto tramite i buoni uffici del rabbino Yitzchak David Grossman, un prozio di Moshe, fondatore dell'orfanatrofio più grande di Israele, il Migdal Ohr.
"Sandra è luce nelle tenebre", dicono i fedeli lubavitcher in Israele. Lei ha raccontato alla Cnn quanto accadde al centro ebraico. Si pente per non aver fatto ancora di più per gli Holtzberg. "Ancora oggi penso che avrei dovuto mandare il bambino e fare qualcosa per il rabbino e sua moglie". Come recita la tradizione ebraica, "Al mondo esistono sempre trentasei giusti; loro non sanno di esserlo e nessuno sa chi sono; ma quando il male sembra prevalere, essi si oppongono. E questo è uno dei motivi per cui Dio non distrugge il mondo". Il suo albero a Gerusalemme affiancherà quello di Sempo Sugihara, il console giapponese in Lituania che stampò visti per salvare dai nazisti seimila ebrei e morirà in miseria; di Raul Wallemberg, lo svedese che salvò oltre tremila ebrei ungheresi e scomparve in un gulag russo; della contessa tedesca Maria Helena Francoise Isabel von Maltzan, che nascose, nutrì e curò oltre 60 ebrei in casa propria a Berlino.
Mentre le sale cinematografiche si stanno riempiendo di pellicole sui bambini ebrei nei campi di concentramento, non commuove l'opinione pubblica occidentale la sorte di questo piccolo ebreo vivo, Moshe Holtzberg, orfano la cui sola colpa è appartenere a un'antica dinastia vittima di persecuzioni. Israele onora intanto con la più grande delle onoreficenze una tata indiana che ha rischiato di essere falcidiata per salvare un bambino dalla sorte segnata. Sandra è una donna dall'aspetto fragile e minuto, ma il suo gesto è eterno come il carrubo, l'albero del viale dei Giusti.
(Il Foglio, 11 dicembre 2008)
2. A GAZA LA LAICITA' E' SCOMPARSA
Al Qaeda e Hamas a Gaza
Si è talvolta parlato dell'influenza di Al Qaeda su Hamas e di infiltrazioni di terroristi a Gaza provenienti dall'Egitto, ma che legame c'è tra le due organizzazioni? Jonathan Spyer ricercatore al Global Research in International Affairs Center (IDC) di Herzliya ha analizzato la situazione della Striscia.
"L'osservazione del processo mostra che tentativi di tratteggiare una chiara divisione tra Hamas inspirata ai 'nazionalisti' Fratelli musulmani e la tendenza salafita non può più essere sostenuta" Scrive lo studioso sul Jerusalem Post. "La crescita del salafismo (che è quella corrente fondamentalista che propone di tornare all'epoca di Maometto, alla purezza dell'Islam non contaminato con le tradizioni dei vari popoli N.d.T.) all'interno di Hamas è parte di un disegno più grande di incremento del fondamentalismo islamico a Gaza." Secondo lo studioso, non è un nuovo sviluppo: i leader di Hamas sono stati a lungo consapevoli della potenziale minaccia che questa visione rappresenta per la loro autorità. Nel dicembre del 2001, gli israeliani intercettarono un documento prodotto da alcuni detenuti che avvisava della diffusione dell'ideologia di al Qaeda tra i membri della loro organizzazione. In ogni caso i seguaci del salafismo sembrano ora aver preso un reale potere all'interno di Hamas.
"A metà del 2006, il comandante dell'Izzadin Kassam, - prosegue Spyer - Muhammad Deif dopo esser stato gravemente ferito da un missile israeliano lasciò la Striscia di Gaza per un lungo periodo di convalescenza. Fu sostituito da Ahmad al-Jaabari che portò avanti la sua attività in stretta collaborazione con due alleati: Ali Jundiyeh e Nizar Rayyan. Tutti e tre conosciuti come sostenitori del Salafismo.
Rayyan è considerato attualmente la chiave dei piani tattici delle Brigate. Si ritiene che egli abbia formulato i piani operativi di Hamas per il violento colpo che ha portato l'organizzazione al potere nel luglio del 2007 e che sia sempre lui ad aver formulato i piani di Hamas per combattere più a lungo l'esercito israeliano nelle sue incursioni-reazioni a Gaza. E' accusato di produrre armi per le Brigate e di essere il mandante di unità di suicidi. Rayyan mantiene anche strette relazioni con un religioso saudita salafita residente a Ramallah che è a sua volta un sostenitore di Al Qaeda.
Anche a livelli più bassi, la maggioranza dei comandanti delle cinque brigate Izzadin Kassam sono salafiti. Tra loro, Muhammad as-Sanwar, comandante della Brigata Khan Yunis è una figura particolarmente significativa. E' stato, infatti, il pianificatore dell'attacco Kerem Shalom nel 2006 durante il quale fu rapito Gilad Shalit.
Deif è ritornato nella Striscia attraverso i tunnel sotterranei che collegano il Sinai a Gaza nel novembre del 2007. E' conosciuto come un musulmano molto religioso ma la natura dei suoi contatti con i Salafiti non è chiara: all'inizio del 2008 si lamentava con degli amici che la sua stessa influenza nelle Brigate Izzadin Kassam era diminuita, visto che i "Salafiti hanno preso il totale controllo".
I sostenitori dei Salafiti all'interno dell'Izzadin Kassam sono organizzati e sono noti per aver preso contatti con la leadership di Al Qaeda. Dal 2006 un gruppo di 200 salafisti membri della brigata contrari ad un cessate il fuoco con Israele, hanno preso contatti con Al Qaeda. Ne è risultata una lettera aperta che questa organizzazione ha mandato a Hamas, che consigliava di combattere il cessate il fuoco. Le frizioni su questo argomento sono riemerse nel giugno del 2008: gli elementi salafiti all'interno delle Brigate Izzadin Kassam, chiarirono la loro opposizione ad un nuovo periodo di calma (tahadiyeh) con Israele. In quel periodo il loro sito pubblicò una lista di nove attacchi perpetrati tra il 2002 e il 2005 per i quali Hamas non aveva precedentemente rivendicato la responsabilità.
I Salafiti rimangono fermamente trincerati all'interno dell'Izzadin Kassam ad ogni livello. Pare, tuttavia, che ci sia una violenta battaglia interna con Deif che cerca di sostituire Ja'abari, o almeno di ridurre la sua influenza. Nel luglio del 2008, un gruppo di membri salafiti delle Brigate si staccarono per formare un gruppo nuovo, il "al-Jalijaleh" (il tuono).
Frizioni sono presenti anche tra le Brigate e altre bande armate controllate da Hamas, come la Forza esecutiva di Gaza. Formata dopo le elezioni del 2006, è responsabile di numerose attività politiche e paramilitari nella Striscia. Il 25 giugno 2008 la Forza Esecutiva tentò di arrestare alcuni membri dell'Izzadin Kassam sospettati di attività criminali. Ja'abari rifiutò di consegnarli e gli uomini restarono liberi.
Nonostante questi attriti, l'aumento dei sostenitori all'ideologia al-Qaidiana all'interno di Hamas non può essere vista come un vuoto. Piuttosto è un elemento di un più ampio processo di islamizzazione di molti aspetti della vita pubblica nella Striscia. Ciò può essere visto per esempio, in molte occasioni nelle quali donne vestite con abiti "non modesti" sono state fermate dai membri della Forza Esecutiva nelle settimane successive al colpo del luglio 2007. Questo ha portato alla quasi sparizione di donne che non indossano l'hijab dalle strade di Gaza. Ci sono voci anche secondo le quali è aumentata anche l'osservanza del Ramadan e la persecuzione di coppie non sposate viste insieme dai membri della Forza.
Tutti questi episodi sono segni che l'ascesa di Hamas, e all'interno di essa, degli elementi estremisti salafiti sono eventi di un'importanza maggiore del semplice significato politico immediato. Dopo il colpo del luglio 2007, Rayyan ha dichiarato che "la laicità a Gaza è finita senza lasciare traccia". La sequenza di eventi dimostra che questa dichiarazione non è del tutto falsa.
(AgoraVox Italia, 12 dicembre 2008)
3. INTERVISTA A NOAM SHALIT
«Non abbandonate Gilad»
di Michael Sfaradi
Nonostante il dramma che sta vivendo il signor Noam Shalit, il padre di Gilad Shalit il soldato israeliano prigioniero nelle mani di Hamas da 898 giorni, mi concede l'intervista con pochissime ore di preavviso. Si capisce subito che in questi due anni e mezzo si è abituato a rispondere alle domande dei media ponderando ogni parola. Un ruolo di cui avrebbe fatto a meno, ma che svolge con grande dignità.
- Signor Shalit, secondo lei il prossimo governo, che i sondaggi danno guidato da Netanyahu, sarà più attivo nel cercare la liberazione di Gilad?
- Io non mi interesso di questioni politiche, il prossimo governo che sia di sinistra, di centro o di destra, avrà il dovere di portare a buon fine questa storia e dovrà agire in maniera molto più incisiva rispetto a quello che ha fatto quello ancora in carica. Gilad è stato rapito all'inizio del mandato Olmert, e dopo due anni e mezzo lui e i suoi ministri, ora dimissionari, tornano a casa mentre mio figlio rimane prigioniero. Se pensiamo che Gilad non è trattenuto in Afganistan o in un posto molto lontano, ma nella striscia di Gaza a meno di 100 km di distanza da Tel Aviv è facile immaginare che qualche cosa a livello politico, nel caso di mio figlio, abbia lasciato ampiamente a desiderare.
- Il governo d'Israele ha rilasciato centinaia di prigionieri palestinesi e altri ancora stanno per essere liberati senza che questo porti ad una trattativa e nemmeno ad informazioni sullo stato di salute di suo figlio. Vorrei sapere cosa prova davanti a tutto ciò.
- Non ho problemi che prigionieri palestinesi vengano rilasciati, io spero che tutti i prigionieri palestinesi vengano rilasciati, soprattutto quelli che ora rifiutano il terrorismo e si sono convinti che la pace fra di noi non ha altra via che quella dei due Stati. Questi rilasci, comunque, debbono essere effettuati soltanto dopo che Gilad sarà tornato a casa. Gran parte delle famiglie di persone che sono state uccise durante attentati terroristici, gente che ha perso figli o genitori, hanno dato il loro assenso alla liberazione di terroristi che si sono macchiati di crimini sanguinari pur di riavere un soldato vivo. Abbiamo però avuto modo di constatare che ogni gesto di buona volontà fatto da parte del governo di Israele al fine di creare una atmosfera tale da poter portare a una prossima liberazione di mio figlio, non ha sortito alcun effetto. Chi pensava che questa politica portasse dei risultati positivi si deve ricredere perché, da parte di Hamas, c'è stato un irrigidimento con una conseguente presa di posizione al rialzo. Ogni passo fatto dal governo di Israele alla fine di giungere ad una soluzione non ha spostato di 1 centimetro le posizioni di Hamas.
- Il suo disappunto, dopo due anni e mezzo di attesa, verso chi principalmente è rivolto?
- Verso l'attuale governo e verso Olmert che non ha fatto assolutamente niente, nulla di serio e di importante al fine di riportare Gilad a casa. Le Nazioni Unite in questi giorni festeggiano i sessant'anni della dichiarazione dei diritti dell'uomo, mentre a mio figlio sono due anni e mezzo che, contro tutte le convenzioni di Ginevra, viene negata la visita della Croce Rossa Internazionale. Non c'è stato un dottore che lo abbia visitato, non sappiamo se sia ancora vivo e nel caso non abbiamo alcuna notizia sul suo attuale stato di salute. Il mondo parla dei diritti dell'uomo, mentre a mio figlio, attualmente, davanti al silenzio generale, questi stessi diritti, i più elementari, vengono negati.
- Ha qualcosa da recriminare verso l'esercito?
- No, l'esercito non fa trattative politiche ma obbedisce agli ordini della classe politica, pertanto la responsabilità di ciò che sta accadendo, ricade, come dicevo prima, solo ed unicamente sul governo e principalmente del Primo Ministro.
- Si sente in qualche modo abbandonato?
- Non dalla gente che continuamente, e in tanti modi diversi, ci fa sentire la sua partecipazione, ma questo non toglie che le autorità sono latitanti in tutti i sensi.
- I media di tutto il mondo hanno riportato la notizia che il presidente francese Sarkozy, tramite il presidente siriano Assad ha cercato di far pervenire una sua lettera a Gilad. Una risposta non c'è stata, ha notizie che possano confermare che lui l'abbia ricevuta?
- In realtà i siriani non hanno voluto consegnare la mia lettera, ma sappiamo che il governo del Qatar ha fatto pressione su Hamas ed è riuscito a fargliela pervenire. Sembra che solo dopo molte insistenze Hamas abbia dato il suo permesso. Soltanto quando mio figlio tornerà a casa potremo avere la certezza che l'abbia ricevuta, oppure se riuscirà a mandare una risposta.
- Secondo lei quali sono i motivi che giustificano le difficoltà che si affrontano in una trattativa con Hamas?
- Hamas, in realtà, non è un'unica organizzazione e chi la guida sono tre teste che a volte non ragionano allo stesso modo. Abbiamo Hamas militare, quella politica di Gaza e quella di Damasco.
- Lei ha contatti con Hamas?
- Sì, ho avuto modo di parlare con alcuni dei dirigenti ai quali ho più volte spiegato che per assurdo non sono loro che tengono mio figlio prigioniero, ma è mio figlio che in qualche modo tiene prigionieri loro. Dal giorno del rapimento l'esercito israeliano tiene la striscia di Gaza praticamente sotto assedio, e i pochi viveri e generi di prima necessità che passano ai valichi chiaramente non permettono alla popolazione civile di vivere una vita dignitosa. Ai capi non manca nulla, ma chi soffre per la loro politica scellerata è la popolazione civile. La liberazione di mio figlio e la cessazione del continuo bombardamento di Sderot porterebbe all'immediata apertura di tutti i valichi che collegano la striscia di Gaza con Israele con conseguente immediato innalzamento del livello di vita. Purtroppo però continuiamo a vivere questa ottusa situazione di stallo.
- Cosa si aspetta dall'Europa, in particolare dai governi europei?
- Quello che io mi aspetto dai governi europei è molto semplice: l'Europa è quella che paga la maggior parte degli aiuti umanitari con i quali la popolazione di Gaza sopravvive, per cui ha tutti i diritti di far sentire la sua voce. Deve far capire ai dirigenti di Hamas che trattenere per due anni e mezzo una persona senza garantirgli il benché minimo rispetto dei diritti umani è un comportamento inaccettabile che l'Europa non può tollerare ulteriormente, soprattutto considerando che Gilad, avendo anche il passaporto francese, è cittadino europeo.
(l'Opinione, 12 dicembre 2008)
4. HEZBOLLAH, HAMAS E I BASIJI IRANIANI
Nelle scuole del terrore giovani devoti
di Andrea B. Nardi
Mentre i bambini occidentali guardano i cartoon della Disney, Wilcoyote, e gatto Silvestro, i bambini di gran parte del mondo musulmano vengono educati all'odio, all'omicidio, al suicidio, alla guerra, al terrorismo. Come si arriva a tale indottrinamento? Coi programmi scolastici, con la Tv, e anche coi cartoni animati. Ormai pare definitivo l'odio verso l'Occidente e Israele che per mezzo secolo è stato sistematicamente insegnato dapprima all'odierna generazione di adulti, e adesso ai giovani musulmani, specialmente nelle scuole iraniane, palestinesi, e libanesi. Un vero processo d'educazione alla morte secondo scientifici know-how di stampo nazista (http://www.pmw.org.il/tv%20part1.html).
Iniziamo dall'Iran, principale esportatore di terrorismo e di odio. I giovani Basiji sono un movimento di massa militarizzato creato da Khomeini nel 1979 e che oggi conta migliaia di bambini, adolescenti, donne, ragazzini: la loro missione è il sacrificio (http://www.youtube.com/watch?v=mkXdXqHqkds&feature=related). Mandati a marciare sui campi minati per sminarli coi propri corpi, venivano impiegati nella guerra contro l'Iraq nel seguente modo: bambini e minorenni quasi disarmati avanzavano verso il nemico perfettamente allineati lungo file continue. A mano a mano cadevano sotto il fuoco nemico o saltavano sulle mine, ma la cosa essenziale era che i Basiji continuassero ad avanzare, calpestando i brandelli mutilati e lacerati dei compagni caduti, procedendo inesorabilmente verso la propria morte, come un'incessante onda umana. Una volta aperto un varco verso le forze irachene, i comandanti dell'esercito iraniano inviavano le loro truppe più addestrate e preziose, quelle della Guardia rivoluzionaria.
In tempo di pace, i Basiji si occupano della "moralità" pubblica sotto il controllo dei Pasdaran, denunciando e colpendo ogni attività non conforme al regime. È di questi giorni la pubblicazione in Iran di un libro antisemita distribuito nelle scuole dagli stessi Basiji: intitolato Olocausto, è composto di immagini caricaturali crudelissime che presentano la Shoah come un'invenzione degli ebrei. Il volume è stato stampato in migliaia di copie dagli studenti Basiji. Ed ecco i cartoni animati per i bambini che vengono trasmessi in Iran:
http://www.memritv.org/clip/en/906.htm
http://www.memritv.org/clip/en/1715.htm
http://www.memritv.org/clip/en/0/0/0/0/0/0/1911.htm
http://www.memritv.org/clip/en/975.htm
Così racconta Magdi Allam: «Ricordo ancora la sentenza perentoria sul mio libro di storia araba alle medie: L'imperialismo internazionale ha conficcato il cancro dell'entità sionista nel cuore del mondo arabo per ostacolare la nascita della Nazione araba accomunata dall'unità del sangue, della lingua, della storia, della geografia, della religione e del destino. Sulla carta geografica a latere Israele non compariva affatto. La Palestina si estendeva dal Giordano al Mediterraneo. Quei testi scolastici sono rimasti sostanzialmente immutati nella gran parte dei Paesi arabi e musulmani. Ecco perché l'affermazione del presidente iraniano, Israele deve essere cancellato dalla carta geografica, non è uno show solitario bensì genuina espressione di un convincimento radicato e diffuso».
Esempio tipico e tragico di tale violenza si ha nelle scuole palestinesi. Già nel 2000, il premio Nobel per la pace (sic!) Yasser Arafat, in una riunione segreta tenutasi il 5 novembre con alcuni alti esponenti degli apparati della Sicurezza, annunciò l'assegnazione di un premio ai bambini dell'Intifada di Al-Aqsa per il successo conseguito con la loro partecipazione ai tumulti. Il premio consiste nell'addestramento dei bambini al tiro con le armi per superare la fase del lancio di pietre durante gli scontri. Diversi gruppi di bambini, a partire dai dieci anni, si allenano normalmente nei poligoni di tiro degli apparati della Sicurezza dell'Autorità palestinese. Data l'importanza della loro missione, l'addestramento deve avvenire a un livello più elevato rispetto a quello che i bambini della stessa età hanno ricevuto nei campi estivi durante le ultime vacanze scolastiche. La fase del tiro delle pietre e quella dell'utilizzo di armi sono il complemento dell'istruzione teorica che i bambini ricevono a scuola, a partire dalle prime classi fino alle superiori.
Il lavaggio del cervello ai bambini palestinesi viene ottimamente compiuto sia dalla Tv sia dai libri di testo scolastici. I libri scolastici incitano al jihad (la guerra santa) e al terrorismo, e menzionano i trattati di pace non come accordi che rappresentano una svolta nella storia palestinese, ma come successi che hanno permesso alle forze palestinesi di entrare nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Il nome Palestina campeggia su tutta la superficie dello stato di Israele. Le città israeliane vengono rappresentate come città palestinesi. L'industria e l'agricoltura israeliane vengono illustrate come successi palestinesi. I testi scolastici negano qualunque collegamento storico o attuale del popolo ebreo con la terra di Israele. I brani riportati nei libri di testo incoraggiano a tirare pietre contro soldati e cittadini israeliani. Nei libri di scuola e nelle trasmissioni della televisione palestinese Israele e gli ebrei vengono definiti scaltri, truffatori, traditori, sleali, animali selvatici, aggressori, ladri, banditi, nemici, conquistatori, rapinatori, nemici dei profeti e dei credenti.
«Sono venuto da te, con la spada in mano
li getteremo in mare
il tuo giorno è arrivato, conquistatore, e così regoleremo i conti. Non ci sono limiti al nostro rancore, con pallottole e pietre» (Poesia recitata da un bambino in un campo estivo, trasmessa alla televisione palestinese il 2 luglio). «Ogni bambino porta nel cuore la Palestina e in mano una pietra, un fucile e un ramo d'ulivo
» (Televisione palestinese, 14 maggio). «Ricordate che l'inevitabile risultato finale sarà la vittoria dei musulmani sugli ebrei» (La nostra lingua araba per il Quinto anno, pag. 67). «Chi è il ladro che ha diviso il nostro paese?» (La nostra lingua araba per il Sesto anno, pag. 15). «Fornite un esempio delle malvagità compiute dagli ebrei prendendo ispirazione dai fatti accaduti oggi» (Educazione islamica per il Settimo anno, pag. 19). Gli ebrei sostengono che questo è uno dei luoghi di loro proprietà e lo chiamano "il muro del pianto", ma non è così» (Racconti e testi letterari per l'Ottavo anno, pag. 103). «È giunta l'ora di sguainare la spada. Gli assassini sono in azione a Gerusalemme» (Al-Mutalaa' Wa Al-Nasus Al-Adabiyah' per l'Ottavo anno, pag. 120).
|
|
«Gli esempi più palesi di dottrine razziste e discriminazione
razziale in tutto il mondo sono il nazismo e il sionismo» (La storia moderna degli arabi e del mondo, pag. 123). Una canzone di lode dedicata a chi tira le pietre (Al-Mutalaa' Wa Al-Nasus Al-Adabiyah' per il nono anno, pagg. 146-148). «Scrivete sul
quaderno: "Un episodio che illustra il fanatismo degli ebrei in Palestina contro i musulmani o i cristiani"» (Educazione islamica per il Nono anno, pag. 182). «Bisognerebbe combattere Israele con l'aumento demografico che, agli occhi di Israele, rappresenta un pericolo per la sua esistenza. Nei prossimi vent'anni bisognerebbe pertanto aumentare il tasso di natalità tra i palestinesi» (Società palestinese per l'Undicesimo anno, pag. 29). «Trasforma al plurale: un martire è onorato da Allah; due martiri
da Allah» (Esercizi di grammatica del libro di testo di scuola elementare palestinese).
La beffa di tutto ciò è che sono proprio l'Europa e l'Occidente a finanziare i piani scolastici palestinesi: la Gran Bretagna ha donato 13 milioni di sterline, mentre l'Italia ha contribuito con 2,5 milioni di dollari. Il Giappone, i paesi dell'Europa occidentale, l'Unione Europea, la Banca mondiale e l'Unesco quando capiranno che stanno sovvenzionando scuole e libri di testo che incitano i bambini alla violenza? Perfino alcuni genitori palestinesi si sono adesso ribellati - vanamente - ad Hamas a causa dei campi estivi usati per addestrare i bambini all'uso di armi da guerra e di altri equipaggiamenti militari.
Un'indagine del Jerusalem Post nell'aprile dell'anno scorso afferma: «Varie famiglie accusano Hamas d'istigare i loro figli all'odio contro Israele e contro Fatah. Alcune famiglie hanno deciso di ritirare i propri figli dai campi estivi dopo aver scoperto quali erano i reali scopi dei campi ricreativi. La maggior parte dei bambini e ragazzi ospitati attualmente nei campi estivi gestiti da Hamas nella striscia di Gaza ha un'età che varia dagli otto ai 17 anni. A quanto risulta, nel recente passato anche Fatah ha fatto uso di campi estivi per insegnare agli scolari l'uso di armi e per istigarli contro Israele e Stati Uniti. L'agenzia di stampa Palestine Press, affiliata a Fatah, riferisce che i campi di Hamas sono stati creati in zone chiuse, in varie località della striscia di Gaza, in modo tale che le famiglie non possano controllare cosa avvenga al loro interno. L'agenzia cita testimoni oculari secondo i quali ai bambini è insegnato come usare armi automatiche e maneggiare granate.
"L'addestramento militare - afferma un testimone - viene effettuato nelle prime ore del mattino. Ai bambini viene insegnato l'uso di mitra d'assalto Kalashnikov e altre armi. I supervisori di Hamas tengono anche a bambini e ragazzi delle lezioni durante le quali accusano Fatah di collaborazionismo con Israele e tradimento dei palestinesi. Citando frasi dal Corano, incitano gli allievi a uccidere i traditori". I giovani ospiti dei campi vengono reclutati attraverso annunci nelle moschee che promettono soltanto d'insegnare loro i principi religiosi dell'islam. In un comunicato su questo tema diffuso martedì, Fatah accusa Hamas di "sequestrare" i bambini e di sottoporli al "lavaggio del cervello". "Hamas contribuisce a creare una cultura di odio e di vendetta - si legge nel comunicato - Stanno uccidendo l'innocenza dei bambini forzandoli a sottoporsi ad addestramento militare e insegnando loro ad odiare. Vogliono usare quei bambini per combattere in futuro la loro stessa gente"».
Le cose non stanno in modo differente nel Libano. Una ricerca del settimanale egiziano Roz Al-Yusuf ha svelato la pratica di Hezbollah di reclutare migliaia di ragazzini fra i 10 e i 15 anni d'età perché servano nelle sue milizie armate, specificatamente addestrati a diventare martiri dal movimento giovanile Mahdi Scouts, affiliato a Hezbollah. Nell'articolo si legge che «Prima del recente conflitto con Israele, questi bambini comparivano solo nelle celebrazioni della Giornata annuale su Gerusalemme e venivano indicati come le Unità 14 Dicembre. Oggi invece sono chiamati istishhadiyun (martiri). Addestrati a combattere sin dalla più tenera età, spesso hanno a mala pena dieci anni, vestiti con uniformi mimetiche, coi visi coperti di pitture mimetiche, e vengono fatti giurare solennemente di combattere la jihad. I bambini sono selezionati dagli uffici di reclutamento Hezbollah sulla base di un unico criterio: la loro disponibilità a trasformarsi in martiri. Dalla fine del 2004 sono 1491 gli scout sottoposti al programma di addestramento, e sono 449 i gruppi scout entrati a far parte del movimento per un totale di 41.960 membri».
Secondo il servizio del settimanale egiziano, Na'im Qasim, braccio destro del segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, in un'intervista a Radio Canada ha dichiarato: «Una nazione con bambini martiri sarà vittoriosa, indipendentemente da quante difficoltà incontrerà sul suo cammino. Israele non può conquistarci né violare i nostri territori perché noi abbiamo figli martiri che purificheranno la terra dalla sozzura sionista. Ciò sarà fatto grazie al sangue dei martiri, finché alla fine conseguiremo i nostri obiettivi». Per l'Iran e i suoi vassalli (Hamas e Hezbollah) la ricerca di kamikaze effettuata massicciamente negli anni scorsi non è ancora sufficiente rispetto alle proprie mire islamo-naziste, così la guerra imperialista contro l'Occidente e Israele prosegue anche rubando l'infanzia ai propri figli.
(l'Occidentale, 13 dicembre 2008)
5. LO SVILUPPO DELL'ANTISEMITISMO NEI PAESI ARABI
I peggiori antisemiti? Gli islamici
di Andrea Tornielli
Dalla farneticante propaganda di Ahmadinejad agli attentati in India e alla pubblicistica aggressiva. Uno studio del gesuita Giovanni Sale spiega cause e modalità di un fenomeno in rapida espansione.
|
I Mahdi Scouts di Hezbollah |
Lo riscontriamo purtroppo ormai da anni nelle farneticanti affermazioni del presidente iraniano Ahmadinejad, che vorrebbe cancellare il «tumore canceroso» dello Stato di Israele dalla cartina geografica e organizza convegni che negano l'Olocausto. Lo abbiamo constatato ancora una volta in occasione dei recenti tragici attentati di Mumbai, in India, quando i militanti jihadisti di origine pachistana autori delle stragi hanno preso di mira la Nariman House, importante centro ebraico della città: «Volevamo colpire gli israeliti - ha affermato uno dei terroristi arrestati - per vendicare le atrocità commesse contro i palestinesi». Negli ultimi decenni si assiste a una lenta ma inesorabile «islamizzazione» dell'antisemitismo. Fenomeno, quest'ultimo, che andava scomparendo, almeno negli ambienti della cultura ufficiale, in quell'Europa che pure nei secoli passati l'aveva prodotto e divulgato, ma che è tornato a rifiorire in molti Paesi islamici, ripetendo gli stessi stereotipi del passato, inizialmente copiati e tradotti da testi occidentali in modo meccanico e quindi interiorizzati.
È un tema sul quale ancora poco si riflette nel nostro Paese, quello affrontato dal gesuita Giovanni Sale, docente di storia alla Pontificia università Gregoriana e scrittore dell'autorevole rivista La Civiltà Cattolica, che ha condotto una ricerca sull'antisemitismo nei Paesi islamici e ne anticipa le conclusioni al Giornale. Un confronto tra la letteratura arabo-musulmana sugli ebrei prodotta in questi ultimi decenni e ciò che è stato precedentemente scritto sulla stessa materia ci aiuta a capire meglio i cambiamenti avvenuti nel mondo arabo a questo proposito. «Innanzitutto - spiega padre Sale - balza agli occhi il carattere ossessivo di certi temi presenti in questo tipo di pubblicistica: mentre in precedenza gli ebrei erano visti come un problema secondario o irrilevante, oggi essi sono considerati come la principale minaccia che incombe sul mondo islamico».
Ha fatto notare lo storico Bernard Lewis: «L'ebreo non è più l'insignificante e inefficiente intrigante dello stereotipo tradizionale; ora è diventato un simbolo del male universale, impegnato in complotti diabolici contro l'intera umanità». E questi stereotipi non sono soltanto presenti nel dibattito politico e ideologico, ma permeano ormai tutta la vita culturale, religiosa e artistica di molti Paesi islamici. Inoltre, non sono più confinati in pubblicazioni secondarie e marginali a uso di pochi adepti, ma appaiono, osserva lo storico gesuita «sempre di più sui giornali di grande divulgazione, sui programmi televisivi e radiofonici controllati dalle autorità governative, e perfino nei libri di testo scolastici».
Una proliferazione di letteratura antisemita così massiccia e violenta, è la conclusione di padre Sale, si è avuta soltanto al tempo del processo contro Dreyfus in Francia all'inizio del Novecento, e durante la dittatura nazista in Germania. Alcuni Paesi arabi, ai quali si è recentemente unito l'Iran, sono infatti divenuti i centri principali dell'antisemitismo internazionale: da qui la letteratura e la propaganda antiebraica sono diffuse in tutto il mondo musulmano, conquistando un pubblico nuovo e finora mai raggiunto, quello cioè dell'Africa, dell'Asia sudorientale e di altri Paesi del terzo Mondo. Questa produzione letteraria, a differenza di quanto accadeva in un recente passato, non fa nessuna distinzione tra israeliani, sionisti ed ebrei. Tutti, per il solo fatto di essere «ebrei» o di origine ebraica, sono uniti nella stessa condanna. «La prima cosa da chiarire - ha scritto un intellettuale arabo - è che tra ebreo e israeliano non si deve fare alcuna distinzione, negata del resto anche da loro. L'ebreo rimane ebreo anche per millenni nel calpestare tutti i valori morali, nel divorare il vivente e berne il sangue per amore di poche monete. Mettiamo dunque da parte queste distinzioni e parliamo soltanto degli ebrei».
Padre Sale ha ricostruito il processo storico che ha portato all'islamizzazione dell'antisemitismo, iniziata nel secolo XIX. «All'inizio - spiega il gesuita - essa ha toccato soltanto alcuni ambienti, in particolare le minoranze arabe cristiane che avevano frequenti contatti di carattere culturale o commerciale con i Paesi occidentali. Le minoranze cristiane d'Oriente in quel tempo consideravano gli ebrei i loro principali concorrenti in ambito economico e finanziario. È in questo clima di risentimento e di lotta intestina che presero forma in ambiente arabo-cristiano le vecchie accuse di omicidio rituale rivolte agli ebrei, arricchite di nuovi aneddoti e presunte crudeltà».
Attraverso le comunità arabe cristiane, secondo padre Sale, la propaganda antisemita di stampo occidentale è dunque penetrata nel mondo musulmano. La prima pubblicazione di questo genere appare a Beirut nel 1869: si tratta di un testo popolare che pretende di essere la confessione di un rabbino moldavo convertito al cristianesimo e «rivela» con uno stile colorito gli errori e gli orrori della religione ebraica. Un secondo libello viene pubblicato al Cairo nel 1893 ed è una libera traduzione di un prolisso libro francese pubblicato nel 1889. Per anni questo tipo di antisemitismo, osserva il gesuita, «rimase un fenomeno marginale, che interessava soltanto la popolazione cristiana dei Paesi d'Oriente e solo marginalmente toccava la popolazione musulmana».
Col passare del tempo, però, si è finito per non badare più alla distinzione tra ebrei e sionisti, tra stranieri e compatrioti. E da fenomeno elitario, l'antisemitismo è divenuto di massa. L'attacco contro gli ebrei viene portato avanti da più parti in modo indiscriminato, con scritti antisemiti prodotti e importati dall'Europa; primi fra tutti il De Talmudjude, del canonico Rohling, e i Protocolli degli anziani di Sion, scritti nella Russia zarista da falsari antisemiti. Testi che in Europa erano ormai del tutto screditati. Le traduzioni in arabo dei Protocolli sono a tutt'oggi più di venticinque e innumerevoli le riedizioni. E la lettura di questo testo, osserva lo storico gesuita, «è consigliata non solo dai militanti integralisti, ma anche da importanti capi di Stato e monarchi arabi».
Lo sviluppo dell'antisemitismo nei Paesi arabi coincide con la crescita degli insediamenti sionisti in Palestina (cioè con il crescente timore dei nativi che il Paese potesse perdere il proprio carattere arabo e islamico) e registra un notevole aumento con la costituzione dello Stato ebraico, raggiungendo il suo apice come fenomeno di massa, e in qualche modo il suo punto di non ritorno, con le guerre arabo-israeliane, in particolare con la «guerra dei sei giorni» del 1967. In diversi Paesi islamici sono infatti venute meno esperienze positive di convivenza tra maggioranza musulmana e minoranza ebraica, e oggi i Paesi arabi in cui non vivono più cittadini ebrei stanno bene attenti a non ammetterne alcuno, neanche come turista. «L'ebreo - conclude Sale - non essendo più una presenza familiare e vicina, come era stato per secoli in una cultura improntata alla coabitazione, può ormai essere dipinto con le tinte più fosche, come una satanica incarnazione del male».
(il Giornale, 15 dicembre 2008)
6. GLI EBREI DI GIUDEA-SAMARIA
Gli israeliani piu' felici sono i "coloni"
di Aldo Baquis
TEL AVIV - Ormai è matematico: per trovare israeliani felici in questi giorni occorre recarsi nelle colonie ebraiche della Cisgiordania. Oltre novanta persone su cento si dicono "molto soddisfatte della vita" e confermano di godere "ottima salute". La ostilità della popolazione palestinese e il rischio di attentati sulle arterie che percorrono non turbano i 'settlers' il cui numero continua a crescere con impeto. Nella West Bank sono quasi 300 mila: se ad essi si aggiungono gli abitanti israeliani di Gerusalemme est si arriva al mezzo milione. Una massa critica che - questa è almeno la loro sensazione - dovrebbe costituire una polizza di sicurezza da eventuali progetti di sgombero da parte di un futuro governo israeliano. I dati aggiornati sulla vita in Cisgiordania sono il risultato di una ricerca condotta dal professor Dan Soen e dal dottor Vered Neeman-Haviv del Centro accademico della Giudea-Samaria di Ariel (Cisgiordania). Da questo studio è emerso che la popolazione ebraica della Cisgiordania è raddoppiata in dodici anni, fra il 1995 (130 mila unità) e il 2007 (270 mila). Nello stesso periodo la popolazione totale israeliana è cresciuta del 29 per cento, ossia di un terzo rispetto ai coloni che dunque "hanno una marcia in più ". Si tratta - notano i ricercatori - di una popolazione giovane e dinamica. In Cisgiordania gli anziani ebrei (oltre i 65 anni) sono appena il 2,9 per cento, mentre la media nazionale israeliana è del 10 per cento. E' cambiata anche la composizione di questi 'settlers', con un importante aumento della popolazione ultraortodossa le cui famiglie sono notoriamente molto numerose. In Cisgiordania gli ultraortodossi sono ormai il 30,7 per cento, mentre la media nazionale israeliana è del 7,5. La qualità di vita negli insediamenti della Cisgiordania è molto soddisfacente: i ricercatori hanno trovato che la disoccupazione è relativamente bassa, che le entrate medie familiari sono superiori del 10 per cento alla media nazionale, che la sperequazione sociale è più contenuta e che agli esami di maturità i giovani coloni fanno meglio dei loro compagni nel resto di Israele. In questo quadro idilliaco c'é un solo 'neo': una percentuale relativamente elevata nei piccoli crimini. Il contenuto di questa ricerca giunge a bilanciare una immagine molto negativa dei coloni che si era creata nei mass media israeliani ed internazionali dopo le violenze perpetrate da centinaia di ultras la settimana scorsa contro la popolazione palestinese di Hebron, in Cisgiordania. Il premier Ehud Olmert aveva definito allora il loro comportamento "un vero pogrom". Dalla ricerca di Soen e Neeman-Haviv emerge invece che nel complesso i coloni cisgiordani rappresentano uno strato sociale caratterizzato da numerosi lati positivi.
(ANSA, 15 dicembre 2008)
7. LE LEGGI RAZZIALI E LA CHIESA CATTOLICA
"Rievochiamo oggi una pagina vergognosa della storia italiana. Le leggi antiebraiche e razziste approvate nel 1938 e che hanno rappresentato uno dei momenti più bui nelle vicende del nostro popolo".
Sono parole del presidente della Camera Gianfranco Fini al convegno "Settant'anni dalle leggi antiebraiche e razziste, per non dimenticare", in corso a Roma, nella sala della Regina a Montecitorio. E ha aggiunto:
"Ma l'ideologia fascista non spiega da sola l'infamia. C'è da chiedersi perché la società italiana si sia adeguata, nel suo insieme, alla legislazione antiebraica e perché, salvo talune luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza. Nemmeno da parte della Chiesa cattolica."
Quest'ultima affermazione ha provocato la reazione di diversi uomini politici italiani, anche di opposti schieramenti.
Il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi (Pdl): "Qualunque storico, anche lontano dalla Chiesa cattolica e indifferente alla sua dottrina, puo' illustrare centinaia di documenti che dimostrano l'agire corretto per la tutela dei diritti dell'uomo, cosi' come l'impegno mai venuto meno e finalizzato alla difesa della persona umana e, in particolare, a quella del popolo ebraico". Per Lupi "La Chiesa ha sempre con forza contrastato le leggi razziali, cercando di aiutare gli ebrei perseguitati anche a rischio della vita di numerosi sacerdoti, suore e laici. Questi sono i fatti, lo testimoniano le pagine dalla storia.
Il deputato del Pd, Enrico Farinone: "Sul fatto che leggi razziali fossero un'infamia siamo d'accordo. Sul fatto che nemmeno la Chiesa sia opposta no.
Riproponiamo allora un estratto dal libro I Papi contro gli Ebrei, di David I. Kertzer:
|
Pio XI |
"Con tutta l'attenzione dedicata a quello che Pio XII disse o non disse sulla campagna condotta dai nazisti contro gli ebrei - sulla quale la sua influenza era come minimo limitata - è impressionante constatare quanta poca attenzione sia stata invece dedicata a ciò che Pio XI avesse da dire sulle leggi razziali promulgate in Italia nel 1938. Queste leggi erano state concepite, approvate e annunciate nella stessa Roma, dove la sua influenza a meno di un decennio dal riconoscimento da parte del governo italiano della Chiesa romana cattolica come religione ufficiale di stato era sicuramente grande. Dal settembre al novembre 1938 il governo italiano aveva dichiarato indesiderabili gli ebrei, aveva cacciato dalle scuole i bambini ebrei e aveva costretto un gran numero di adulti ebrei a lasciare i loro posti di lavoro. Aveva chiesto ai cattolici di evitare gli ebrei e di trattarli come una fonte d'inquinamento.
Chiunque sia giunto a questo punto del libro non dovrebbe considerare sorprendente che in risposta a questi provvedimenti contro gli ebrei né il papa né la gerarchia vaticana avessero pronunciato una sola parola di protesta. La spiegazione di questo fatto è semplice: le leggi di Mussolini incorporavano provvedimenti e teorie da tempo sostenuti a spada tratta dalla stessa Chiesa.
C'era tuttavia un aspetto delle leggi razziali che suscitò la protesta del papa e, anzi, lo irritò visibilmente. Le nuove leggi consideravano ancora ebrei gli ebrei che si erano convertiti al cattolicesimo e di conseguenza vietavano il matrimonio tra cattolici nati nella fede ebraica e cattolici d'origine. Questi matrimoni erano considerati concubinato.
Contrariamente al silenzio che aveva accompagnato tutti gli articoli di legge destinati agli ebrei, Pio XI obiettò energicamente contro questa clausola. Il 10 ottobre 1938 il rappresentante del governo italiano presso la Santa Sede mandò a Mussolini un rapporto sulle reazioni del Vaticano al secondo gruppo di leggi razziali, i cui testi venivano redatti a quell'epoca. «Le recenti deliberazioni del Gran Consiglio in tema di difesa della razza», scriveva, «non hanno trovato in complesso in Vaticano sfavorevoli accoglienze.» Continuava riferendo che l'unica preoccupazione che i funzionari del Vaticano avevano espresso riguardava il fatto che le nuove leggi concernessero anche il matrimonio, che - secondo il Concordato - avrebbe dovuto essere regolato dalla Chiesa e non dallo stato. L'inviato del governo italiano concludeva: «Da Monsignor Montini, Sostituto per gli Affari Ordinari alla Segreteria di stato, ho avuto conferma di tali impressioni [ ... ] le maggiori per non dire uniche preoccupazioni della Santa Sede [per le nuove leggi razziali] si riferiscono al caso di matrimoni con ebrei convertiti».
Il papa era talmente contrario a questa clausola che, quando i suoi tentativi di espungere gli articoli sul matrimonio incontrarono opposizione, prese l'insolita iniziativa di scrivere direttamente a Vittorio Emanuele III. La lettera del papa, in cui richiamava l'attenzione del re sulla legge «per la salvaguardia della razza italiana», non menzionava affatto i provvedimenti antiebraici che ne erano il nucleo centrale e tanto meno protestava contro di essi. Chiedeva solo che si facesse qualcosa per le clausole riguardanti il matrimonio di cattolici che erano nati ebrei.
Nei mesi in cui i nuovi provvedimenti sarebbero entrati in vigore questo stesso atteggiamento fu trasmesso più in generale anche ai fedeli cattolici. A metà novembre «L'Osservatore Romano» pubblicò un articolo sulle leggi razziali dedicato interamente all'obiezione della Chiesa nei confronti delle clausole che impedivano il matrimonio tra cattolici ed ebrei convertiti. Il messaggio era chiaro: la Chiesa non aveva alcuna obiezione riguardo ai bambini ebrei cacciati di scuola, agli scienziati ebrei allontanati dalle istituzioni scientifiche e al licenziamento degli ebrei dalla pubblica amministrazione e dall'insegnamento.
Ved. Notizie su Israele 307
8. RIFLESSIONI
Sono avidi gli ebrei? Più avidi degli altri?
MUSICA E IMMAGINI
Erev
INDIRIZZI INTERNET
Israel 21C
Israel Service
Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse
liberamente, citando la fonte.
|