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Notizie su Israele 480 - 8 febbraio 2010

1. Il sionismo non è conseguenza del nazismo
2. L'islam in sintesi
3. Una soluzione morta e sepolta
4. Ebrei in Italia
5. Etica ebraica
6. Panorama messianico da Gerusalemme
7. Riflessioni
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Sofonia 3:16-17. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: "Non temere, o Sion, le tue mani non s'infiacchiscano! L'Eterno, il tuo Dio, è in mezzo a te, come un Potente che salva; egli si rallegrerà con gran gioia per via di te, si acqueterà nell'amor suo, esulterà, per via di te, con gridi di gioia".
1. IL SIONISMO NON E' CONSEGUENZA DEL NAZISMO




Israele non è frutto della Shoà

di Moshe Arens

Cordialità tra al-Husseini e Himmler
Le Nazioni Unite hanno proclamato Giornata Internazionale della Memoria dell'Olocausto il giorno in cui il campo di sterminio di Auschwitz venne liberato. È dunque del tutto appropriato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sia stato invitato a parlare alle cerimonie per commemorare il 65esimo anniversario della liberazione di quel luogo di orrori da parte dell'Armata Rossa.
    Nella mente di alcuni, tuttavia, la creazione dello stato di Israele viene collegata alla Shoà, o addirittura viene vista come una conseguenza diretta della Shoà. Che è quanto ha lasciato intendere lo stesso presidente americano Barack Obama, probabilmente ignaro di storia del movimento sionista, nel suo discorso al Cairo dell'anno scorso.
    Ma la verità è quasi l'esatto contrario. Lo sterminio da parte dei tedeschi di sei milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale andò molto vicino a spegnere il sogno di costituire uno stato ebraico in Terra d'Israele/Palestina. Il naturale bacino di immigranti ebrei verso la Terra d'Israele/Palestina venne infatti decimato.
    Vladimir Jabotinsky, nella sua deposizione davanti alla Commissione Peel a Londra l'11 febbraio 1937 parlò del proposito del sionismo di istituire su entrambe le sponde del fiume Giordano uno stato ebraico in cui vi sarebbe stato spazio per "la popolazione araba e la sua progenie e per molti milioni di ebrei". A quel tempo la popolazione ebraica della Terra d'Israele/Palestina non contava più di 400mila persone (e quella araba circa 900mila). Ma quando la guerra terminò, milioni di ebrei erano stati sterminati ad Auschwitz, Treblinka, Majdanek, Sobibor e nei campi della morte in Russia. Ai leader sionisti apparve chiaro che non solo non v'erano più abbastanza ebrei per creare una solida maggioranza ebraica, condizione indispensabile per costituire uno stato ebraico, su entrambe le sponde del fiume Giordano; ma che l'immigrazione ebraica forse non sarebbe stata sufficiente nemmeno per stabilire una tale maggioranza nell'area a ovest del Giordano.
    Fu il mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini che afferrò meglio di tutti la piena potenzialità della distruzione dell'ebraismo europeo per porre fine alle aspirazioni sioniste, e pertanto si alleò con Hitler. Analogamente i leader arabi di Egitto e Iraq trovarono buone ragioni per sperare nella vittoria di Hitler. Invece, dopo la guerra, l'Yishuv (la comunità ebraica nella Terra d'Israele/Palestina pre-stato di Israele) insieme ai superstiti dell'ebraismo europeo che erano riusciti a sormontare il tentativo britannico di bloccare la strada per la Terra d'Israele/Palestina, trovarono abbastanza vitalità e forza da realizzare la creazione dello stato d'Israele su una parte del territorio che originariamente la Società delle Nazioni aveva affidato alla Gran Bretagna col mandato di favorirvi la nascita di una sede nazionale ebraica - uno stato ebraico - su entrambe le sponde del fiume Giordano.
    In Israele ogni anno commemoriamo la Shoà nel giorno in cui scoppiò la rivolta del Ghetto di Varsavia. È significativo il fatto che rendiamo omaggio agli ebrei sterminati in Europa nella ricorrenza del giorno in cui gli ebrei sopravvissuti nel Ghetto di Varsavia si sollevarono per combattere i tedeschi e i loro tirapiedi ucraini. Fu, quella, la prima insurrezione popolare contro l'occupante tedesco in Europa.
    I combattenti del Ghetto di Varsavia sapevano di non avere alcuna possibilità di sconfiggere le schiaccianti forze tedesche. E non ricevettero aiuto o incoraggiamento né da Washington, né da Londra, né da Mosca. Fu solo un anno più tardi, dopo che i tedeschi avevano raso al suolo il Ghetto e ucciso o deportato tutti gli abitanti che vi erano rimasti, che il mondo iniziò ad apprezzare il pieno significato della rivolta del Ghetto di Varsavia. Oggi essa viene vista come parte integrante della storia della seconda guerra mondiale. Rappresenta una duratura testimonianza di quel pugno di giovani coraggiosi che osarono sfidare l'occupante tedesco. Sebbene sconfitti nel ghetto, la loro vittoria morale resta scritta nelle pagine della storia.
    Il 18 aprile 1943, alla vigilia della sollevazione, Leon Rodal, il vice di Pawel Frenkel nella resistenza guidata dal Betar (l'organizzazione militare ebraica), disse a Ryszard Walewski, che si era unito con un gruppo di combattenti all'organizzazione di Frenkel: "Noi cadremo tutti qui. Alcuni in battaglia, armi in mano; altri come vittime vane … Forse un giorno, fra molti anni, quando verrà scritta la storia della lotta contro il l'occupante nazista, verremo ricordati e, chissà, diventeremo come la piccola Giudea che a suo tempo combatté il potente impero romano: un simbolo dello spirito dell'uomo che non può essere soffocato, e la cui essenza è la lotta per la libertà, per il diritto di vivere e il diritto di esistere".

(Ha'aretz, 3 febbraio 2010 - da israele.net)





2. L'ISLAM IN SINTESI




Una concisa, ma chiara e puntuale presentazione di alcuni aspetti significativi della dottrina islamica.

Nell'islam non c'è separazione tra religione e Stato. La suprema guida, sia politica che religiosa, è Allah. La sua legge: il Corano. Il mondo è diviso tra Dar al Islam e Dar al Harb (casa della guerra). L'una consiste di tutti i Paesi islamici e l'altra in tutto il resto del mondo. Idealmente la Dar al Islam è sentita come singola comunità. L'islam deve tollerare e proteggere gli infedeli che sono sotto il suo potere, a patto che facciano parte di una religione permessa (vedi cristanesimo ed ebraismo) e facciano atto di sottomissione. La logica dell'islam non riconosce nessuna permanente forma di potere o religione al di fuori dell'islam. Con il tempo, secondo logica islamica, tutta l'umanità accetterà o verrà sottomessa all'islam. Nel frattempo è dovere di ogni islamico fare ciò che gli è possibile per il raggiungimento di questo obiettivo. Jihad è il nome dato a questo sforzo. La guerra è contemplata come uno dei mezzi cui si può/deve fare ricorso per il raggiungimento dello scopo. Secondo la Sharia, la pace fra uno Stato islamico e uno non islamico è giuridicamente impossibile. La guerra non può essere terminata ma solo interrotta, se necessario, tramite una tregua (Medio Oriente insegna).
Questo spiega anche perché un dittatore come Saddam, che certo non era il prototipo di guida dell'islam, è comunque stato sostenuto dal mondo islamico in generale. Dopotutto era in guerra con la Dar el Harb. L'occidente (cristiano) è la casa della guerra per eccellenza, visto che prevede una missione di universalità, come l'islam e l'ebraismo. L'ebraismo non era una minaccia all'islam sino alla fondazione di Israele. I sottomessi al potere su una fetta di Dar el Islam? Non è ammesso. Una vera integrazione dell'islam con l'Occidente è molto difficile.

(da una lettera al Corriere della Sera, 2 febbraio 2010)





3. UNA SOLUZIONE MORTA E SEPOLTA




Pipes: "Perché Bibi non crede nella carta dei due Stati"

«E' una soluzione superata, i palestinesi sono divisi»

di Maurizio Molinari

NEW YORK - La soluzione dei due Stati è morta e sepolta, bisogna immaginare soluzioni alternative». Così Daniel Pipes, direttore del «Middle East Forum» molto ferrato sul clima politico in Israele, descrive «che cosa c'è nella mente di Benjamin Netanyahu» in merito al negoziato con l'Autorità palestinese.

- Perché le trattative fra Israele e palestinesi non riprendono?
- In maggio il segretario di Stato Hillary Clinton propose come base per la trattativa il congelamento totale degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, trovando il totale consenso di Abu Mazen, ma poi in settembre Washington ha cambiato idea, accettando la proposta di Netanyahu di un congelamento limitato a 10 mesi mentre Abu Mazen l'ha rifiutata. Il rovesciamento di posizione degli Usa è all'origine del corto circuito fra Israele e Anp. Al momento Usa e Israele hanno la stessa posizione mentre l'Anp ne ha una differente.

- Quale idea ha Netanyahu di una composizione del conflitto?
- L'ultima proposta che ha fatto è stata quella di far permanere l'esercito israeliano in Cisgiordania dopo l'eventuale nascita dello Stato palestinese. E' da qui che bisogna partire per comprendere Netanyahu.

- Perché è così importante?
- Il motivo per cui Netanyahu vuole lasciare contingenti di truppe è evitare il ripetersi del precedente della Striscia di Gaza, dove il completo ritiro israeliano ha consentito ai gruppi terroristici di trasformare quel territorio in una base per lanciare attacchi contro Israele. C'è forte consenso fra gli israeliani su questa richiesta, nessuno vuole una nuova Gaza in Cisgiordania, ma i palestinesi non ne vogliono sapere e questo ha messo la pietra tombale su un negoziato neanche iniziato.

- Nelle ultime settimane Netanyahu è andato a piantare alberi in diversi insediamenti affermando che non saranno mai restituiti. Che cosa sta tentando di ottenere con tali iniziative?
- Punta a rassicurare la destra della sua coalizione di governo che si oppone radicalmente al piano di congelamento totale per dieci mesi. Netanyahu sa che il suo governo sopravvive grazie al sostegno del Likud e dei partiti di destra e vuole provare loro con i fatti che non intende restituire gli insediamenti che hanno una posizione strategica per la sicurezza nazionale, che sono poi i più popolosi.

- Insomma, la soluzione dei due Stati non appare vicina...
- Direi che è morta e sepolta. I palestinesi sono divisi fra Gaza nelle mani di Hamas e la West Bank gestita da un debole Abu Mazen e sono in disaccordo sulla scelta di negoziare perché Hamas persegue ancora l'opzione militare, mentre in Israele Netanyahu non ha mai fatto mistero di non considerare una priorità la nascita dello Stato di Palestina. Soprattutto dopo le conseguenze molto negative del ritiro da Gaza.

- Vi sono opzioni alternative per sancire una convivenza stabile fra israeliani e palestinesi?
- Di certo c'è solo che la soluzione dei due Stati non si regge in piedi. In assenza di ricette alternative, l'unica soluzione per guardare al futuro è nell'ispirarsi al passato, ovvero nell'ipotizzare un coinvolgimento dell'Egitto nella gestione di Gaza e della Giordania per la West Bank. Magari con il sostegno di altri Stati arabi, come l'Arabia Saudita o la Tunisia. Chi ha idee alternative è invitato a farsi avanti.

- Sul fronte del negoziato Israele-Siria ci sono più spiragli?
- Nel 1998-1999 Netanyahu era pronto all'accordo di pace con Hafez Assad. Fu solo l'opposizione di Ariel Sharon a fermarlo. Dunque è lecito supporre che quel compromesso di pace con la Siria potrebbe essere ritentato adesso. C'è però l'incognita di Bashar, figlio di Hafez, che oggi guida la Siria con meno autorità e più incertezze del padre.

(La Stampa, 1 febbraio 2010)





4. EBREI IN ITALIA




Nasceva in Puglia il grano degli Ebrei

di Cesare Colafemmina

Gli ebrei in Puglia hanno esercitato i più vari mestieri nel corso della loro storia. Quelli che erano dediti al commercio, commerciavano di tutto, assecondando bisogni e gusti. Tra i bisogni primeggiavano gli alimenti, e tra questi quelli che già la Bibbia (Salmo 104,14-15) elencava tra i più importanti che Dio aveva donato all'uomo: il pane che sostiene il vigore dell'uomo, il vino che allieta il suo cuore, l'olio che fa brillare il suo volto. Una delle prime attestazioni di giudei presenti nel commercio del grano porta a Spinazzola - al confine tra la Puglia e la Basilicata - i cui latifondi già in epoca romana erano costellati di ville imperiali e di fattorie dedite alla coltivazione dei cereali e alla pastorizia. Qui un «Cambeus iudeus» è annoverato tra gli operatori nelle compravendite di grano e di orzo effettuate il 22 marzo 1275 per ordine del re.
    Ma il centro più importante utilizzato dagli ebrei per l'esportazione del grano del Tavoliere era Manfredonia, la città sorta sull'omonimo golfo nella seconda metà del XIII secolo. Nel 1487 fu data licenza al giudei Masello e ai soci Dionisio de Florio e compagni, tutti discendenti degli ebrei diventati cristiani nel 1294, di esportare per altri porti del regno cento carri di grano. Nello stesso anno il giudeo Lazzaro di Bari caricava su navi grano da portare a Venezia e a Trani, qui a nome del correligionario Lazzaro Paduano. Molto del grano di Manfredonia era esportato nella città di Ragusa, oggi Dubrovnik.
    Nel 1510 un mastro Mele di Manfredonia aveva caricato su una imbarcazione di Tommaso di Ragusa Vecchia un carico di quattordici carri e ventiquattro tomoli di grano da portare nella città dalmata, ma l'imbarcazione naufragò nel porto di Manfredonia e tutto il carico andò perduto. Mastro Mele poté



recuperare per benevolenza dell'autorità centrale solo il denaro della «tratta», ossia della tassa che aveva pagato per l'esportazione del grano. Lazzaro Paduano, ebreo tranese, operava anche nel mercato granario della vicina Barletta, come attesta una documento rogato a Monopoli 10 gennaio 1508. Si tratta di un contratto di prestito stipulato tra alcuni cittadini di Putignano a nome dell' università, e il mercante giudeo Angelo Benvenisti. La somma era notevole, trenta once di carlini di argento, da restituire entro il prossimo Natale, quale prezzo della vendita effettuata da Angelo all'università di Putignano di sette carri e mezzo di grano «speccheratum», cioè ancora in spighe, che erano stati consegnati in Barletta dal mercante Lazzaro Paduano.
    Da notare che il giuramento con cui le parti usavano sigillare un contratto dinanzi al notaio era espresso con naturalezza da ciascuno secondo la propria fede. Si veda il contratto rogato a Barletta il 7 marzo 1524. In esso «Magister Angelus Levi ebreus», abitante a Barletta, sua moglie Iusta de Moyse e suo figlio David si obbligarono a versare entro il prossimo mese di aprile a Iacobo Suppa la somma di 124 ducati e 4 tari dovuti per l'acquisto di 6 carri di frumento e 8 carri di orzo. A maggiore cautela del venditore, gli acquirenti posero come loro fideiussore un cristiano, il nobile Oduardo Bonello di Barletta. Ciascuno giurò secondo la propria fede, i debitori sulla legge di Mosè toccando con le mani la penna e il fideiussore toccando i Santi Vangeli.
    Scendendo verso sud, è la città di Matera - allora parte della Puglia - a offrire testimonianze che sembrano coinvolgere nel commercio del grano l'intera piccola comunità giudaica della città. Nel 1495, quando Carlo VIII di Francia venne a conquistare il Regno di Napoli, un nobile filofrancese, Troiano Pappacoda, ed un soldato francese s'impadronirono di 25 carri di grano appartenenti a giudei e ad alcuni cristiani, e ciò solleticò i soldati francesi e gli stessi commissari del nuovo sovrano a saccheggiare ed espellere tutti i giudei della città. Ma le autorità locali si affrettarono a denunciare al nuovo re sia il furto, sia la prava intenzione, affermando che se questa si fosse realizzata, sarebbe tornata a grave danno e pregiudizio dell'intera cittadinanza. Carlo VIII accolse la denuncia e in data 28 marzo 1495 comandò al suo luogotenente di far restituire il grano, o il suo giusto prezzo, e di garantire agli ebrei che abitavano nella città e nel suo distretto sicurezza nei confronti di chiunque avesse osato molestarli. Non così felicemente si concluse un analogo episodio nella città di Gravina. La vittima più illustre dei disordini scoppiati nel 1495 fu Maometto di mastro Bonifacio, nipote di messer David Calonimos, medico personale di Ferrante I d'Aragona. La sua abitazione fu assalita e svuotata di quanto c'era di valore: quattro carri di grano, sei casse d'indumenti e biancheria, denaro, argenti.
    Tornati gli Aragonesi, egli chiese che gli fossero restituite le sue robe, ma gli fu risposto che esse non esistevano più perché le autorità, per evitare che la popolazione venisse al sangue per spartirsele, le avevano donate alla cattedrale per la riparazione dei danni provocati nel 1456 da un terremoto. Il commercio del grano richiamò in modo particolare l'attenzione degli Abravanel, la nobile famiglia di origine spagnola a cui apparteneva Leone Ebreo, l'autore dei Dialoghi d'amore. Essi operavano sul mercato di Bari e in Capitanata.
    Nel 1538 Samuele Abravanel, insieme con i soci Moyse Alfa di Sansevero e Maumecto di Lucera, acquistò nella fiera di San Giovanni Rotondo circa cinquanta carri di grano secondo il metodo della «voce» vigente nella fiera stessa; metodo che di norma comportava una vantaggiosa riduzione dei prezzi. Tuttavia in questo caso alcuni massari di Foggia protestarono presso l'Udienza di Capitanata contro la voce stabilita per il grano e per l'orzo, e ottennero che il governatore della provincia, con sentenza emessa il 5 novembre dello stesso anno, provvedesse a modificarla e ne fissasse una nuova. I tre mercanti giudei si sentirono lesi da tale sentenza e presentarono un memoriale al viceré, in cui dichiararono che nei giorni della fiera il grano era stato valutato otto ducati il carro, e molti massari avevano già consegnato il grano secondo tale prezzo; la posteriore maggiorazione del prezzo fatta contro la consuetudine, avrebbe apportato gravi danni agli esponenti. Essi chiesero quindi l'annullamento di tale sentenza da parte del Sacro regio consiglio di Santa Chiara, «tribunale supremo di appello», sia perché la sentenza era iniqua e ingiusta, sia perché era stata emessa senza che gli stessi supplicanti fossero stati chiamati o intesi. Essi persero però il ricorso. Gli Abravanel persistettero nella pratica del commercio del grano in quella parte estrema della Puglia, anche oltre il termine ultimo del 31 ottobre 1541 fissato dall'imperatore Carlo V per l'esilio dei giudei dal Viceregno, e ciò in forza di un particolarissimo privilegio accordato alla famiglia.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 2 febbraio 2010)





5. ETICA EBRAICA




Torah oggi - La responsabilità verso l'offerente

di Rav Scialom Bahbout

I disastri che hanno colpito di recente l'umanità (come il terremoto di Haiti) hanno spinto e spingono lo Stato d'Israele e gli ebrei a impegnarsi in azioni, che potremmo definire di kiddùsh hashèm (consacrazione del Nome). E' opportuno chiedersi quali siano i principi cui ci si deve ispirare in tutti i casi in cui un privato dà un contributo o un'offerta a una istituzione pubblica.
La mitzvà ama il prossimo tuo come te stesso va intesa nel senso che ognuno deve comportarsi verso il prossimo, anche non ebreo, nello stesso modo in cui il prossimo farebbe nei suoi confronti, e questo, quanto meno, mishùm darkhè shalòm, cioè per la convivenza pacifica tra vicini. Quindi, in linea di principio, la zedakà - la giusta azione di solidarietà - deve essere manifestata nei confronti di ogni bisognoso; quando la situazione impone delle scelte, si deve dare la precedenza alle persone a noi più vicine (i parenti - a cominciare da quelli più prossimi, gli abitanti della propria città, ecc). Accanto alla zedakà, che è un atto dovuto, c'è il hèsed (atto gratuito di amore), che è un'azione volontaria molto meritevole.
Una istituzione non può cambiare la destinazione di un'offerta o di un atto di zedakà fatta da un privato (ebreo o meno): infatti, secondo la halakhà, a meno che non ci sia una diversa dichiarazione esplicita (ad esempio per i terremotati), chi fa un'offerta ha intenzione di destinarla alla propria città o comunità. Quindi, chi utilizza una zedakà o un'offerta per uno scopo o per una città diverse da quelle cui erano state destinate compie un atto illecito, una sorta di furto.
Anche le offerte fatte da non ebrei per una comunità o per un progetto ebraico godono di un trattamento simile, sia per il principio della reciprocità, sia perché il furto è proibito secondo Le Sette Leggi di Noè valide per tutta l'umanità. Anzi, in quest'ultimo caso, un ebreo che utilizza un'offerta per uno scopo diverso da quello presumibilmente stabilito dall'offerente non ebreo, può commettere una trasgressione ancora più grave, assimilabile al khillùl hashèm (profanazione del Nome).
Come ebrei e come cittadini abbiamo il dovere di combattere gli abusi in questo campo.

(Notiziario Ucei, 2 febbraio 2010)





6. PANORAMA MESSIANICO DA GERUSALEMME




«Operazione Grazia» o l'evacuazione di ebrei messianici da Eretz Israel nel 1948

«Io libererò dall'esilio il mio popolo, Israele; essi ricostruiranno le città desolate e le abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne mangeranno i frutti. Io li pianterò nella loro terra e non saranno mai più sradicati dalla terra che io ho dato loro», dice il SIGNORE, il tuo Dio" (Amos 9:14-15); «E metterò in voi il mio spirito» (Ezechiele 37:14).

di Gershon Nerel

Nell'estate del 2009 la World Union of Jewish Studies (Unione Mondiale di studi ebraici) con sede in Gerusalemme ha pubblicato, con il titolo Iggud, una nuova, ampia opera (due volumi) contenente articoli in inglese e in ebraico sullo sviluppo storico e sociale del popolo ebraico. Il mio contributo a questo libro ha trattato il tema «Operazione Grazia o l'evacuazione di ebrei messianici da Eretz Israel nel 1948.
    Con il nome in codice «Operazione Grazia» diverse istituzioni britanniche indicavano una serie di azioni segrete che alla fine portarono, nella primavera del 1948, all'evacuazione dalla terra d'Israele della maggior parte dei credenti ebrei in Yeshua. In quel periodo era ormai chiaro che il mandato britannico sulla Palestina/Eretz Israel, dopo circa trent'anni di esistenza, era ormai alla fine e sarebbe nato lo Stato ebraico. In quel momento vivevano nel paese circa 150 ebrei messianici che confessavano le radici ebraiche della loro fede in Yeshua ed erano conosciuti con il nome di «cristiani giudaici». A differenza dei credenti del ventunesimo secolo, prima della fondazione dello Stato d'Israele la grande maggioranza degli ebrei messianici apparteneva a chiese protestanti stabilite, comunità e società missionarie provenienti soprattutto da Gran Bretagna, America, Finlandia, Svizzera e Svezia. A differenza di allora, oggi gli ebrei messianici fondano comunità indipendenti e perfino istituzioni di pubblica utilità.
    Negli anni dal 1946 al 1948 tra le società missionarie e le comunità cristiane si diffusero voci che nel nuovo Stato ebraico sarebbe presto sorta una grande persecuzione dei credenti di origine ebraica. Si credeva che la situazione di quel tempo fosse paragonabile alla persecuzione dei discepoli ebrei di Yeshua avvenuta nel paese al tempo del secondo Tempio. In realtà invece, a parte poche eccezioni, alla fine del Mandato britannico nemmeno un ebreo messianico fu perseguitato sistematicamente o addirittura ucciso per la sua fede in Yeshua.
    Per quello che se ne sa oggi, prima della fondazione dello Stato furono evacuati dal paese 94 ebrei cristiani. La maggior parte fu portata a Liverpool con la nave «Georgic». Rimasero in Inghilterra e non fecero più ritorno in Israele. Oltre ai fatti e ai numeri che riguardano l'«Operazione Grazia», bisognerebbe considerare anche la simbolica di questa impresa e il significato che le fu attribuito sia in Gran Bretagna che in Israele. In fin dei conti, la ricerca d'identità delle comunità messianiche nel paese è stata influenzata per decine di anni da simili tentativi di interpretazione.
Abram Poljak
    Dopo che la maggioranza dei cristiani ebrei fu evacuata in Inghilterra, nel paese restò soltanto un piccolo residuo di un paio di dozzine di persone. Questi credenti ebrei erano fermamente convinti che il sionismo fosse uno strumento nel piano di Dio per portare al ristabilimento spirituale di Israele. Decisero di rimanere in Israele, di impegnarsi con gli altri ebrei nella fondazione dello Stato ebraico e di integrarsi in esso totalmente e pienamente. A questa cerchia di persone appartengono Abram Poljak, Pauline Rose, Solomon Ostrovsky, Moshe Imanuel Ben-Meir e Haim Joseph Haimoff (Bar David). Erano convinti che con il ritorno a Sion degli ebrei si compissero molte profezie della Bibbia sugli ultimi tempi - anche la visione del profeta Ezechiele sulle ossa di morti nella «Valle» stava diventando realtà storica davanti a loro in Eretz Israel (Ezechiele 37:1-14).
    L'«Operazione Grazia», che qualche volta è stata chiamata anche «portar fuori (i clandestini)», «strappare via» o «fuga» ha costituito in Eretz Israel una svolta nella storia dei moderni credenti ebrei in Yeshua. Il piccolo residuo rimasto nel paese ha conosciuto un rinforzamento numerico con gli ebrei messianici orientati sionisticamente che immigrarono in Israele. Insieme entrambi i gruppi costituirono nuove comunità indipendenti, Oggi questo movimento si trova perfino nel famoso dizionario ebraico di Avraham Even-Shoshan alla voce «messianico»/«ebrei messianici». Nell'operazione di evacuazione i critici vedono un'espressione di poca fede. Ma il Signore ha mantenuto in piedi la presenza ebreo-messianica nello Stato d'Israele e ha fatto rivivere la testimonianza della fede in Yeshua.

(Nachrichten aus Israel, dicembre 2009 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





7. RIFLESSIONI




L'elezione di Israele: qual è la tua posizione?




MUSICA E IMMAGINI




Ruach Adonai Alai




INDIRIZZI INTERNET




Shalom

Witness to the Nations




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