Questo è il patto che farò con la casa d'Israele,
dopo quei giorni, dice l'Eterno:
io metterò la mia legge nell'intimo loro,
la scriverò sul loro cuore,
e io sarò loro Dio,
ed essi saranno mio popolo.
Geremia 31:33-34

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Predicazioni
Dio con noi
    MATTEO 1
  1. Or la nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe; e prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.
  2. E Giuseppe, suo marito, essendo uomo giusto e non volendo esporla ad infamia, si propose di lasciarla occultamente.
  3. Ma mentre aveva queste cose nell'animo, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prender con te Maria tua moglie; perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo.
  4. Ed ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati.
  5. Or tutto ciò avvenne, affinché si adempiesse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
  6. Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che, interpretato, vuol dire: «Iddio con noi».
    SALMO 145

  1. Io ti esalterò, o mio Dio, mio Re, e benedirò il tuo nome in eterno.
  2. Ogni giorno ti benedirò e loderò il tuo nome per sempre.
  3. L'Eterno è grande e degno di somma lode, e la sua grandezza non si può investigare.
  4. Un'età dirà all'altra le lodi delle tue opere e farà conoscere le tue gesta.
  5. Io mediterò sul glorioso splendore della tua maestà
    GENESI 2
  1. L’Eterno Iddio formò l'uomo dalla polvere della terra,
  2. gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente
    ISAIA 53
  1. Egli è cresciuto davanti a lui come un germoglio, come una radice che esce da un arido suolo.
    GIOVANNI 20
  1. Allora Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi”.
  2. Detto questo, soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”.
    PROVERBI 8
  1. Quando egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un cerchio sulla superficie dell'abisso,
  2. quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell'abisso,
  3. quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il suo cenno, quando poneva i fondamenti della terra,
  4. io ero presso di lui come un artefice, ero sempre esuberante di gioia, mi rallegravo in ogni tempo nel suo cospetto;
  5. mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, e trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini.
    GENESI 2
  1. E udirono la voce dell'Eterno Iddio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l'uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell'Eterno Iddio fra gli alberi del giardino.
    GIOVANNI 3
  1. Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figlio affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
    1 CORINZI 15
  1. Così anche sta scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente»; l'ultimo Adamo è spirito vivificante”.
    GENESI 3
  1. E io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la sua progenie; questa ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno”.
    ISAIA 7
  1. Perciò il Signore stesso vi darà un segno: ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele.
    GIOVANNI 12
  1. “Se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo, ma, se muore, produce molto frutto" .
    ESODO 3
  1. E l'Eterno disse: “Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; perché conosco i suoi affanni; 
  2. e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani.
    ESODO 29
  1. Sarà un olocausto perenne offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io vi incontrerò per parlare con te.
  2. E là io mi troverò con i figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E dimorerò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per dimorare tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro
    GIOVANNI 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.

Marcello Cicchese
febbraio 2024

Una grande gioia

ATTI 2

  1. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone.
  2. Ed erano perseveranti nell'attendere all'insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere.
  3. E ogni anima era presa da timore; e molti prodigi e segni eran fatti dagli apostoli.
  4. E tutti quelli che credevano erano insieme, ed avevano ogni cosa in comune;
  5. e vendevano le possessioni ed i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
  6. E tutti i giorni, essendo di pari consentimento assidui al tempio, e rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con gioia e semplicità di cuore,
  7. lodando Iddio, e avendo il favore di tutto il popolo. E il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza.

ATTI 4

  1. E la moltitudine di coloro che avevano creduto, era d'un sol cuore e d'un'anima sola; né v'era chi dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro.
  2. E gli apostoli con gran potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signor Gesù; e gran grazia era sopra tutti loro.
  3. Poiché non v'era alcun bisognoso fra loro; perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute,
  4. e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi, era distribuito a ciascuno, secondo il bisogno.

LUCA 2

  1. Or in quella medesima contrada vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano di notte la guardia al loro gregge.
  2. E un angelo del Signore si presentò ad essi e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e temettero di gran timore.
  3. E l'angelo disse loro: Non temete, perché ecco, vi reco il buon annuncio di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
  4. Oggi, nella città di Davide, v'è nato un salvatore, che è Cristo, il Signore.

MATTEO 2

  1. Or essendo Gesù nato in Betlemme di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betlemme di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.

ATTI 8

  1. Coloro dunque che erano stati dispersi se ne andarono di luogo in luogo, annunziando la Parola. E Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo.
  2. E le folle di pari consentimento prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva.
  3. Poiché gli spiriti immondi uscivano da molti che li avevano, gridando con gran voce; e molti paralitici e molti zoppi erano guariti.
  4. E vi fu grande gioia in quella città.

ATTI 13

  1. Ma Paolo e Barnaba dissero loro francamente: Era necessario che a voi per i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci volgiamo ai Gentili.
  2. Perché così ci ha ordinato il Signore, dicendo: Io ti ho posto per esser luce dei Gentili, affinché tu sia strumento di salvezza fino alle estremità della terra.
  3. E i Gentili, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero.
  4. E la parola del Signore si spandeva per tutto il paese.
  5. Ma i Giudei istigarono le donne pie e ragguardevoli e i principali uomini della città, e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, e li scacciarono dai loro confini.
  6. Ma essi, scossa la polvere dei loro piedi contro loro, se ne vennero ad Iconio.
  7. E i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

ROMANI 15

  1. Or l'Iddio della pazienza e della consolazione vi dia d'avere fra voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù,
  2. affinché di un solo animo e di una stessa bocca glorifichiate Iddio, il Padre del nostro Signor Gesù Cristo.
  3. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, siccome anche Cristo ha accolto noi per la gloria di Dio;
  4. poiché io dico che Cristo è stato fatto ministro dei circoncisi, a dimostrazione della veracità di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri;
  5. mentre i Gentili hanno da glorificare Dio per la sua misericordia, secondo che è scritto: Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome.
  6. Ed è detto ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo.
  7. E altrove: Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino.
  8. E di nuovo Isaia dice: Vi sarà la radice di Iesse, e Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui spereranno i Gentili.
  9. Or l'Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nel vostro credere, onde abbondiate nella speranza, mediante la potenza dello Spirito Santo.


    Marcello Cicchese
    maggio 2016

L'interesse di Cristo
FILIPPESI, cap. 1

  1. Soltanto, comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga a vedervi sia che io resti lontano, senta dire di voi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, 
  2. per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio. 
  3. Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, 
  4. sostenendo voi pure la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e nella quale ora sentite dire che io mi trovo.

FILIPPESI, cap. 2

  1. Se dunque v'è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, 
  2. rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento
  3. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, 
  4. cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. 
  5. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 
  6. il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 
  7. ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 
  8. trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. 
  9. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, 
  10. affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, 
  11. e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
  12. Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quando ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; 
  13. infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. 
  14. Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute
  15. perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo, 
  16. tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato. 
  17. Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; 
  18. e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me.


Marcello Cicchese
novembre 2006

Salmo 92
Salmo 92
    Canto per il giorno del sabato.
  1. Buona cosa è celebrare l'Eterno,
    e salmeggiare al tuo nome, o Altissimo;
  2. proclamare la mattina la tua benignità,
    e la tua fedeltà ogni notte,
  3. sul decacordo e sul saltèro,
    con l'accordo solenne dell'arpa!
  4. Poiché, o Eterno, tu m'hai rallegrato col tuo operare;
    io celebro con giubilo le opere delle tue mani.
  5. Come son grandi le tue opere, o Eterno!
    I tuoi pensieri sono immensamente profondi.

  6. L'uomo insensato non conosce
    e il pazzo non intende questo:
  7. che gli empi germoglian come l'erba
    e gli operatori d'iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo.
  8. Ma tu, o Eterno, siedi per sempre in alto.
  9. Poiché, ecco, i tuoi nemici, o Eterno,
    ecco, i tuoi nemici periranno,
    tutti gli operatori d'iniquità saranno dispersi.

  10. Ma tu mi dai la forza del bufalo;
    io son unto d'olio fresco.
  11. L'occhio mio si compiace nel veder la sorte di quelli che m'insidiano,
    le mie orecchie nell'udire quel che avviene ai malvagi
    che si levano contro di me.
  12. Il giusto fiorirà come la palma,
    crescerà come il cedro sul Libano.
  13. Quelli che son piantati nella casa dell'Eterno
    fioriranno nei cortili del nostro Dio.
  14. Porteranno ancora del frutto nella vecchiaia;
    saranno pieni di vigore e verdeggianti,
  15. per annunziare che l'Eterno è giusto;
    egli è la mia ròcca, e non v'è ingiustizia in lui.

Marcello Cicchese
gennaio 2017

Saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
  1. Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti,
  2. prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all'intelligenza;
  3. sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
  4. se la cerchi come l'argento e ti dai a scavarla come un tesoro,
  5. allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.
  6. Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
  7. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
  8. allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli.
  9. Allora comprenderai la giustizia, l'equità, la rettitudine, tutte le vie del bene.
  10. Perché la saggezza ti entrerà nel cuore, la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
  11. la riflessione veglierà su di te, l'intelligenza ti proteggerà;
  12. essa ti scamperà così dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse,
  13. da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine per camminare nelle vie delle tenebre,
  14. che godono a fare il male e si compiacciono delle perversità del malvagio,
  15. i cui sentieri sono contorti e percorrono vie tortuose.
  16. Ti salverà dalla donna adultera, dalla infedele che usa parole seducenti,
  17. che ha abbandonato il compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio.
  18. Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti.
  19. Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna, nessuno riprende i sentieri della vita.
  20. Così camminerai per la via dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti.
  21. Gli uomini retti infatti abiteranno la terra, quelli che sono integri vi rimarranno;
  22. ma gli empi saranno sterminati dalla terra, gli sleali ne saranno estirpati.

Marcello Cicchese
aprile 2009

Sovranità e grazia di Dio
ROMANI 8
  1. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
GENESI 6
  1. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo.
  2. Il Signore si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo.
  3. E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».
  4. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
ESODO 3
  1. Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
  2. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei.
  3. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire.
  4. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
ESODO 6
  1. Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quello che farò al faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare: anzi, forzato da una mano potente, li scaccerà dal suo paese».
  2. Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore.
  3. Io apparvi ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, come il Dio onnipotente; ma non fui conosciuto da loro con il mio nome di Signore.
  4. Stabilii pure il mio patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, il paese nel quale soggiornavano come forestieri.
  5. Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto.
  6. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il Signore; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
DEUTERONOMIO 8
  1. Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandamenti che oggi vi do, affinché viviate, moltiplichiate ed entriate in possesso del paese che il Signore giurò di dare ai vostri padri.
  2. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant'anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti.
  3. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore.
  1. Nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e per provarti, per farti, alla fine, del bene.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Preghiera sacerdotale 1

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.

    ATTI 10

  1. Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: 
  2. vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio l'ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui. 
  3. E noi siamo testimoni di tutte le cose ch'egli ha fatte nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi l'hanno ucciso, appendendolo ad un legno. 
  4. Esso ha Dio risuscitato il terzo giorno, e ha fatto sì ch'egli si manifestasse 
  5. non a tutto il popolo, ma ai testimoni che erano prima stati scelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.


Marcello Cicchese
agosto 2017

Preghiera sacerdotale 2

    GIOVANNI 17

  1. Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l'ora è venuta; glorifica il tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, 
  2. poiché gli hai data potestà sopra ogni carne, affinché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dato. 
  3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. 
  4. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data a fare. 
  5. Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse. 
  6. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi, e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. 
  7. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che tu mi hai date, vengono da te; 
  8. poiché le parole che tu mi hai date, le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute, e hanno veramente conosciuto ch'io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. 
  9. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi; 
  10. e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie; ed io sono glorificato in loro. 
  11. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. 
  12. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. 
  13. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in se stessi la mia allegrezza. 
  14. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  15. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. 
  16. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 
  17. Santificali nella verità: la tua parola è verità.
  18. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. 
  19. E per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati in verità.
  20. Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: 
  21. che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.
  22. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; 
  23. io in loro, e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me.
  24. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data; poiché tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo.
  25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; 
  26. ed io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, ed io in loro.


Marcello Cicchese
ottobre 2017

Un sabato sacro
ESODO 31
  1. L'Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
  2. 'Quanto a te, parla ai figli d'Israele e di' loro: Badate bene d'osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono l'Eterno che vi santifica.
  3. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; chi lo profanerà dovrà essere messo a morte; chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo.
  4. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro all'Eterno; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà esser messo a morte.
  5. I figli d'Israele quindi osserveranno il sabato, celebrandolo di generazione in generazione come un patto perpetuo.
  6. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d'Israele; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare, e si riposò'.
  7. Quando l'Eterno ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra, scritte col dito di Dio.

Marcello Cicchese
maggio 2017

Benedizione a domicilio?
GENESI 12
  1. Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò;
  2. io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione.
  3. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».
  4. Abramo partì, come il Signore gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque anni quando partì da Caran.
  5. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan.
  6. Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
  7. Il Signore apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al Signore che gli era apparso.
  8. Di là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende, avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore.

MARCO 10
  1. Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»
  2. Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
  3. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"».
  4. Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù».
  5. Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
  6. Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
  7. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!»
  8. I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!
  9. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
  10. Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»
  11. Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».
  12. Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».
  13. Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo,
  14. il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.
  15. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

PROVERBI 10
  1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell'Eterno e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla.

Marcello Cicchese
giugno 2006


Salmo 56
Salmo 56
  1. Abbi pietà di me, o Dio, poiché gli uomini anelano a divorarmi; mi tormentano con una guerra di tutti i giorni;
  2. i miei nemici anelano del continuo a divorarmi, poiché sono molti quelli che m'assalgono con superbia.
  3. Nel giorno in cui temerò, io confiderò in te.
  4. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; in Dio confido, e non temerò; che mi può fare il mortale?
  5. Torcono del continuo le mie parole; tutti i lor pensieri son vòlti a farmi del male.
  6. Si radunano, stanno in agguato, spiano i miei passi, come gente che vuole la mia vita.
  7. Rendi loro secondo la loro iniquità! O Dio, abbatti i popoli nella tua ira!
  8. Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?
  9. Nel giorno che io griderò, i miei nemici indietreggeranno. Questo io so: che Dio è per me.
  10. Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua parola; con l'aiuto dell'Eterno celebrerò la sua parola.
  11. In Dio confido e non temerò; che mi può fare l'uomo?
  12. Tengo presenti i voti che t'ho fatti, o Dio; io t'offrirò sacrifizi di lode;
  13. poiché tu hai riscosso l'anima mia dalla morte, hai guardato i miei piedi da caduta, affinché io cammini, al cospetto di Dio, nella luce de' viventi.

Marcello Cicchese
agosto 2016

Una lampada al piede
Salmo 119
  1. La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero.
  2. Ho giurato, e lo manterrò, di osservare i tuoi giusti giudizi.
  3. Io sono molto afflitto; Signore, rinnova la mia vita secondo la tua parola.
  4. Signore, gradisci le offerte volontarie delle mie labbra e insegnami i tuoi giudizi.
  5. La mia vita è sempre in pericolo, ma io non dimentico la tua legge.
  6. Gli empi mi hanno teso dei lacci, ma io non mi sono allontanato dai tuoi precetti.
  7. Le tue testimonianze sono la mia eredità per sempre, esse sono la gioia del mio cuore.
  8. Ho messo il mio impegno a praticare i tuoi statuti, sempre, sino alla fine.

Marcello Cicchese
gennaio 2008

Il peggiore dei profeti
MATTEO

Capitolo 12
  1. Allora alcuni degli scribi e dei Farisei presero a dirgli: Maestro, noi vorremmo vederti operare un segno.
  2. Ma egli rispose loro: Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
  3. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così starà il Figliuol dell'uomo nel cuor della terra tre giorni e tre notti.
  4. I Niniviti risorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco qui vi è più che Giona!

GIONA

Capitolo 1
  1. La parola dell'Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini:
  2. 'Lèvati, va' a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto'.
  3. Ma Giona si levò per fuggirsene a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno; e scese a Giaffa, dove trovò una nave che andava a Tarsis; e, pagato il prezzo del suo passaggio, s'imbarcò per andare con quei della nave a Tarsis, lungi dal cospetto dell'Eterno.
  4. Ma l'Eterno scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una forte tempesta, sì che la nave minacciava di sfasciarsi.
  5. I marinai ebbero paura, e ognuno gridò al suo dio e gettarono a mare le mercanzie ch'erano a bordo, per alleggerire la nave; ma Giona era sceso nel fondo della nave, s'era coricato, e dormiva profondamente.
  6. Il capitano gli si avvicinò, e gli disse: 'Che fai tu qui a dormire? Lèvati, invoca il tuo dio! Forse Dio si darà pensiero di noi, e non periremo'.
  7. Poi dissero l'uno all'altro: 'Venite, tiriamo a sorte, per sapere a cagione di chi ci capita questa disgrazia'. Tirarono a sorte, e la sorte cadde su Giona.
  8. Allora essi gli dissero: 'Dicci dunque a cagione di chi ci capita questa disgrazia! Qual è la tua occupazione? donde vieni? qual è il tuo paese? e a che popolo appartieni?'
  9. Egli rispose loro: 'Sono Ebreo, e temo l'Eterno, l'Iddio del cielo, che ha fatto il mare e la terra ferma'.
  10. Allora quegli uomini furon presi da grande spavento, e gli dissero: 'Perché hai fatto questo?' Poiché quegli uomini sapevano ch'egli fuggiva lungi dal cospetto dell'Eterno, giacché egli avea dichiarato loro la cosa.
  11. E quelli gli dissero: 'Che ti dobbiam fare perché il mare si calmi per noi?' Poiché il mare si faceva sempre più tempestoso.
  12. Egli rispose loro: 'Pigliatemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa forte tempesta vi piomba addosso per cagion mia'.
  13. Nondimeno quegli uomini davan forte nei remi per ripigliar terra; ma non potevano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.
  14. Allora gridarono all'Eterno, e dissero: 'Deh, o Eterno, non lasciar che periamo per risparmiar la vita di quest'uomo, e non ci mettere addosso del sangue innocente; perché tu, o Eterno, hai fatto quel che ti è piaciuto'.
  15. Poi presero Giona e lo gettarono in mare; e la furia del mare si calmò.
  16. E quegli uomini furon presi da un gran timore dell'Eterno; offrirono un sacrifizio all'Eterno, e fecero dei voti.

Capitolo 4
  1. Ma Giona ne provò un gran dispiacere, e ne fu irritato; e pregò l'Eterno, dicendo:
  2. 'O Eterno, non è egli questo ch'io dicevo, mentr'ero ancora nel mio paese? Perciò m'affrettai a fuggirmene a Tarsis; perché sapevo che sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira, di gran benignità, e che ti penti del male minacciato.
  3. Or dunque, o Eterno, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me val meglio morire che vivere'.
  4. E l'Eterno gli disse: 'Fai tu bene a irritarti così?'
  5. Poi Giona uscì dalla città, e si mise a sedere a oriente della città; si fece quivi una capanna, e vi sedette sotto, all'ombra, stando a vedere quello che succederebbe alla città.
  6. E Dio, l'Eterno, per guarirlo della sua irritazione, fece crescere un ricino, che montò su di sopra a Giona per fargli ombra al capo; e Giona provò una grandissima gioia a motivo di quel ricino.
  7. Ma l'indomani, allo spuntar dell'alba, Iddio fece venire un verme, il quale attaccò il ricino, ed esso si seccò.
  8. E come il sole fu levato, Iddio fece soffiare un vento soffocante d'oriente, e il sole picchiò sul capo di Giona, sì ch'egli venne meno, e chiese di morire, dicendo: 'Meglio è per me morire che vivere'.
  9. E Dio disse a Giona: 'Fai tu bene a irritarti così a motivo del ricino?' Egli rispose: 'Sì, faccio bene a irritarmi fino alla morte'.
  10. E l'Eterno disse: 'Tu hai pietà del ricino per il quale non hai faticato, e che non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito:
  11. e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?'

Marcello Cicchese
febbraio 2015

Salmo 27
Salmo 27
  1. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò?
    Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?
  2. Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici, mi hanno assalito per divorarmi, essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
  3. Se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso.
  4. Una cosa ho chiesto al Signore, e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore, e meditare nel suo tempio.
  5. Poich'egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.
  6. E ora la mia testa s'innalza sui miei nemici che mi circondano. Offrirò nella sua dimora sacrifici con gioia; canterò e salmeggerò al Signore.

  7. O Signore, ascolta la mia voce quando t'invoco; abbi pietà di me, e rispondimi.
  8. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!»
    Io cerco il tuo volto, o Signore.
  9. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo;tu sei stato il mio aiuto; non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!
  10. Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà.
  11. O Signore, insegnami la tua via, guidami per un sentiero diritto, a causa dei miei nemici.
  12. Non darmi in balìa dei miei nemici; perché sono sorti contro di me falsi testimoni, gente che respira violenza.
  13. Ah, se non avessi avuto fede di veder la bontà del Signore sulla terra dei viventi!
  14. Spera nel Signore! Sii forte, il tuo cuore si rinfranchi; sì, spera nel Signore!

Marcello Cicchese
dicembre 2007

Il Re dei Giudei
Il Re dei Giudei

Dalla Sacra Scrittura

MATTEO 2
  1. Or essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco dei magi d'Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo:
  2. Dov'è il re de' Giudei che è nato? Poiché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo.
  3. Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
  4. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere.
  5. Ed essi gli dissero: In Betleem di Giudea; poiché così è scritto per mezzo del profeta:
  6. E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele.
  7. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparita;
  8. e mandandoli a Betleem, disse loro: Andate e domandate diligentemente del fanciullino; e quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo.
  9. Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov'era il fanciullino, vi si fermò sopra.
  10. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.
  11. Ed entrati nella casa, videro il fanciullino con Maria sua madre; e prostratisi, lo adorarono; ed aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
  12. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, per altra via tornarono al loro paese.
GIOVANNI 18
  1. Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
  2. Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
  3. Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
  4. Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A noi non è lecito far morire alcuno.
  5. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte doveva morire.
  6. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
  7. Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
  8. Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?
  9. Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui.
  10. Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce.
  11. Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non trovo alcuna colpa in lui.
  12. Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
  13. Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Marcello Cicchese
ottobre 2019

Come cerva che assetata
Marcello Cicchese
gennaio 2008

Vanità delle vanità
Vanità delle vanità, tutto è vanità

Dalla Sacra Scrittura

ECCLESIASTE 1
  1. Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
  2. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.
  3. Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?
  4. Una generazione se ne va, un'altra viene, e la terra sussiste per sempre.
  5. Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo.
  6. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri.
  7. Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre.
  8. Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere e l'orecchio non è mai stanco di udire.
  9. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
  10. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto.
  11. Non rimane memoria delle cose d'altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.
  12. Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme,
  13. e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino.
  14. Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento.
  15. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.
  16. Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza».
  17. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento.
  18. Infatti, dov'è molta saggezza c'è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

ECCLESIASTE 2
  1. Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità.
  2. Io ho detto del riso: «É una follia»; e della gioia: «A che giova?»
  1. Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento.

ECCLESIASTE 12
  1. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell'uomo.

1 PIETRO 1
  1. E se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l'opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno;
  2. sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
  3. ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia.
  4. Già designato prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi;
  5. per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria affinché la vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio.
  6. Avendo purificato le anime vostre con l'ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore,
  7. perché siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio.
  8. Infatti, «ogni carne è come l'erba, e ogni sua gloria come il fiore dell'erba. L'erba diventa secca e il fiore cade;
  9. ma la parola del Signore rimane in eterno». E questa è la parola della buona notizia che vi è stata annunziata.

1 CORINZI 15
  1. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: «La morte è stata sommersa nella vittoria».
  2. «O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?»
  3. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge;
  4. ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.
  5. Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Marcello Cicchese
8 ottobre 2006

La prova della fede
La prova della fede

Dalla Sacra Scrittura

GIACOMO 1
  1. Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
  2. Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate,
  3. sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
  4. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.
  5. Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data.
  6. Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita rassomiglia a un'onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là.
  7. Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore,
  8. perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.
  9. Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione;
  10. e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell'erba.
  11. Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l'erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.
  12. Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.
Marcello Cicchese
1 ottobre 2006

L’enigma Gesù
L’enigma Gesù

Dalla Sacra Scrittura

MARCO 15
  1. E venuta l'ora sesta, si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
  2. E all'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactanì? il che, interpretato, vuol dire: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
  3. E alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia!
  4. E uno di loro corse, e inzuppata d'aceto una spugna, e postala in cima ad una canna, gli diè da bere dicendo: Aspettate, vediamo se Elia viene a trarlo giù.
  5. E Gesù, gettato un gran grido, rendé lo spirito.
  1. Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato),
  2. venne Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch'egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù.
  3. Pilato si meravigliò ch'egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo;
  4. e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe.
  5. E questi, comprato un panno lino e tratto Gesù giù di croce, l'involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l'apertura del sepolcro.
ATTI 1
  1. Nel mio primo libro, o Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare,
  2. fino al giorno che fu assunto in cielo, dopo aver dato per lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che avea scelto.
  3. Ai quali anche, dopo ch'ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi veder da loro per quaranta giorni, e ragionando delle cose relative al regno di Dio.

  4. E trovandosi con essi, ordinò loro di non dipartirsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me.
  5. Poiché Giovanni Battista battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo tra non molti giorni.
  6. Quelli dunque che erano radunati, gli domandarono: Signore, è egli in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?
  7. Egli rispose loro: Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità.
  8. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

  9. E dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d'innanzi agli occhi loro.
  10. E come essi aveano gli occhi fissi in cielo, mentr'egli se ne andava, ecco che due uomini in vesti bianche si presentarono loro e dissero:
  11. Uomini Galilei, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l'avete veduto andare in cielo.

  12. Allora essi tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell'Uliveto, il quale è vicino a Gerusalemme, non distandone che un cammin di sabato.
  13. E come furono entrati, salirono nella sala di sopra ove solevano trattenersi Pietro e Giovanni e Giacomo e Andrea, Filippo e Toma, Bartolomeo e Matteo, Giacomo d'Alfeo, e Simone lo Zelota, e Giuda di Giacomo.
  14. Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui.
Marcello Cicchese
dicembre 2019

Salmi 124, 129
Salmo 124
  1. Se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    lo dica pure ora Israele,
  2. se non fosse stato l'Eterno
    che fu per noi,
    quando gli uomini si levarono
    contro noi,
  3. allora ci avrebbero inghiottiti tutti vivi, quando l'ira loro
    ardeva contro noi;
  4. allora le acque ci avrebbero sommerso, il torrente sarebbe passato sull'anima nostra;
  5. allora le acque orgogliose sarebbero passate sull'anima nostra.
  6. Benedetto sia l'Eterno
    che non ci ha dato in preda ai loro denti!
  7. L'anima nostra è scampata,
    come un uccello dal laccio degli uccellatori;
    il laccio è stato rotto, e noi siamo scampati.
  8. Il nostro aiuto è nel nome dell'Eterno,
    che ha fatto il cielo e la terra.

Salmo 129
  1. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza!
    Lo dica pure Israele:
  2. Molte volte m'hanno oppresso dalla mia giovinezza;
    eppure, non hanno potuto vincermi.
  3. Degli aratori hanno arato sul mio dorso,
    v'hanno tracciato i loro lunghi solchi.
  4. L'Eterno è giusto;
    egli ha tagliato le funi degli empi.
  5. Siano confusi e voltin le spalle
    tutti quelli che odiano Sion!
  6. Siano come l'erba dei tetti,
    che secca prima di crescere!
  7. Non se n'empie la mano il mietitore,
    né le braccia chi lega i covoni;
  8. e i passanti non dicono:
    La benedizione dell'Eterno sia sopra voi;
    noi vi benediciamo nel nome dell'Eterno!
Marcello Cicchese
31 maggio 2015

Dio con gli uomini
Dio abiterà con gli uomini

Dalla Sacra Scrittura

Apocalisse 21:1-3
  1. Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
  2. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
  3. E udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo (skene) di Dio con gli uomini! Egli abiterà (skenao) con loro, ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio."
Esodo 25
  1. E mi facciano un santuario perch'io abiti (shachan) in mezzo a loro.
  2. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo (mishchan) e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti.
Esodo 29
  1. Sarà un olocausto perpetuo offerto dai vostri discendenti, all'ingresso della tenda di convegno, davanti all'Eterno, dove io v'incontrerò per parlare qui con te.
  2. E là io mi troverò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria.
  3. E santificherò la tenda di convegno e l'altare; anche Aaronne e i suoi figliuoli santificherò, perché mi esercitino l'ufficio di sacerdoti.
  4. E abiterò (shachan) in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio.
  5. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare (shachan) tra loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro.
Giovanni 1
  1. E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato (skenao) per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto da presso al Padre.
Luca 17
  1. Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà:
  2. "Eccolo qui", o "eccolo là"; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi.
Giovanni 1
  1. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l'ha conosciuto.
  2. È venuto in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuto:
  3. ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome.
Matteo 18
  1. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.
1 Corinzi 3
  1. Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
  2. Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.
Giovanni 14
  1. Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
  2. Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che vado a prepararvi un luogo?
  3. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi".
Marcello Cicchese
novembre 2016

Io vi darò riposo
  «Io vi darò riposo»

  Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti
  che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo
  ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce
  e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
ottobre 2015

Tempi difficili
Negli ultimi giorni
verranno tempi difficili


Seconda lettera di Paolo a Timoteo

Capitolo 3
  1. Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senza affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerari, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. avendo le forme della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro sono quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, e agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.
  10. Quanto a te, tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  11. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  12. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  13. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  14. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  15. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  16. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  17. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.

Capitolo 4
  1. Io te ne scongiuro nel cospetto di Dio e di Cristo Gesù che ha da giudicare i vivi e i morti, e per la sua apparizione e per il suo regno:
  2. Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo.
  3. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito d'udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie
  4. e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
  5. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, soffri afflizioni, fa' l'opera d'evangelista, compi tutti i doveri del tuo ministero.
Marcello Cicchese
luglio 2015

Il libro di Giobbe
Giobbe: una questione di giustizia

La figura di Giobbe viene di solito messa in relazione con il problema della sofferenza. Dallo studio del libro su cui si basa la seguente predicazione emerge invece che l’angoscioso tormento in cui si dibatte Giobbe non è dovuto all’inesplicabilità del problema della sofferenza, ma al crollo di un pilastro che aveva sostenuto fino a quel momento la sua vita: la fede nella giustizia di Dio. Le “buone parole” con cui i suoi amici cercano di metterlo sulla buona strada lo spingono sempre di più sul ciglio di un baratro in cui corre il rischio di cadere e perdersi definitivamente: il pensiero di essere più giusto di Dio.

Marcello Cicchese
novembre 2018

Testo delle letture

1.6 Or accadde un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.
   7 E l'Eterno disse a Satana: 'Da dove vieni?' E Satana rispose all'Eterno: 'Dal percorrere la terra e dal passeggiar per essa'.
   8 E l'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'.
   9 E Satana rispose all'Eterno: 'È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio?
 10 Non l'hai tu circondato d'un riparo, lui, la sua casa, e tutto quello che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese.
 11 Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
 12 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene! tutto quello che possiede è in tuo potere; soltanto, non stender la mano sulla sua persona'. - E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno.


1.20 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse:
   21 'Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l'Eterno ha dato, l'Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell'Eterno'.
   22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.


2.E l'Eterno disse a Satana:
   3 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità benché tu m'abbia incitato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo'.
   4 E Satana rispose all'Eterno: 'Pelle per pelle! L'uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita;
   5 ma stendi un po' la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnega in faccia'.
   6 E l'Eterno disse a Satana: 'Ebbene esso è in tuo potere; soltanto, rispetta la sua vita'.
   7 E Satana si ritirò dalla presenza dell'Eterno e colpì Giobbe d'un'ulcera maligna dalla pianta de' piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un còccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere.
   8 E sua moglie gli disse: 'Ancora stai saldo nella tua integrità?
   9 Ma lascia stare Iddio, e muori!'
10 E Giobbe a lei: 'Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d'accettare il male?' - In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.


3.1 Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita.
   2 E prese a dire così:
   3 «Perisca il giorno ch'io nacqui e la notte che disse: 'È concepito un maschio!'
   4 Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall'alto, né splenda sovr'esso raggio di luce!
   5 Se lo riprendano le tenebre e l'ombra di morte, resti sovr'esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempiano di paura!


3.11 Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
   12 Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
   20 Perché dar la luce all'infelice e la vita a chi ha l'anima nell'amarezza,
   23 Perché dar vita a un uomo la cui via è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio?


9.20 Fossi pur giusto, la mia bocca stessa mi condannerebbe; fossi pure integro, essa mi farebbe dichiarar perverso.
   21 Integro! Sì, lo sono! di me non mi preme, io disprezzo la vita!
   22 Per me è tutt'uno! perciò dico: 'Egli distrugge ugualmente l'integro ed il malvagio.
   23 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, egli ride dello sgomento degli innocenti.
   24 La terra è data in balìa dei malvagi; egli vela gli occhi ai giudici di essa; se non è lui, chi è dunque'?


13.7 Volete dunque difendere Iddio parlando iniquamente?


19.5 Ma se proprio volete insuperbire contro di me e rimproverarmi la vergogna in cui mi trovo,
    6 allora sappiatelo: chi m'ha fatto torto e m'ha avvolto nelle sue reti è Dio.
    7 Ecco, io grido: 'Violenza!' e nessuno risponde; imploro aiuto, ma non c'è giustizia!


24.12 Sale dalle città il gemito dei morenti; l'anima de' feriti implora aiuto, e Dio non si cura di codeste infamie!

24.22 Iddio con la sua forza prolunga i giorni dei prepotenti, i quali risorgono, quand'ormai disperavano della vita.

24.25 Se così non è, chi mi smentirà, chi annienterà il mio dire?


27.5 Lungi da me l'idea di darvi ragione! Fino all'ultimo respiro non mi lascerò togliere la mia integrità.
    6 Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni.


31.35 Oh, avessi pure chi m'ascoltasse!... ecco qua la mia firma! l'Onnipotente mi risponda! Scriva l'avversario mio la sua querela,
    36 ed io la porterò attaccata alla mia spalla, me la cingerò come un diadema!
    37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, a lui mi avvicinerò come un principe!


1.6 Or avvenne un giorno, che i figli di Dio vennero a presentarsi davanti all'Eterno, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro.


16.19 Già fin d'ora, ecco, il mio Testimonio è in cielo, il mio Garante è nei luoghi altissimi.
    20 Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgon piangenti gli occhi miei;
    21 sostenga egli le ragioni dell'uomo presso Dio, le ragioni del figlio dell'uomo contro i suoi compagni!


19.25 Ma io so che il mio Vendicatore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere.
    26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Iddio.
    27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno gli occhi miei, non quelli d'un altro... il cuore, dalla brama, mi si strugge in seno!


9.32 Dio non è un uomo come me, perch'io gli risponda e che possiam comparire in giudizio assieme.
  33 Non c'è fra noi un arbitro, che posi la mano su tutti e due!


42.7 Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe, l'Eterno disse a Elifaz di Teman: 'L'ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità, come ha fatto il mio servo Giobbe.


32.1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe perché egli si credeva giusto.
     2 Allora l'ira di Elihu, figliuolo di Barakeel il Buzita, della tribù di Ram, s'accese:
     3 s'accese contro Giobbe, perché riteneva giusto se stesso anziché Dio; s'accese anche contro i tre amici di lui perché non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero Giobbe.


32.13 Non avete dunque ragione di dire: 'Abbiam trovato la sapienza! Dio soltanto lo farà cedere; non l'uomo!'
 14 Egli non ha diretto i suoi discorsi contro a me, ed io non gli risponderò colle vostre parole.


33.1 Ma pure, ascolta, o Giobbe, il mio dire, porgi orecchio a tutte le mie parole!
   2 Ecco, apro la bocca, la lingua parla sotto il mio palato.
   3 Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore; e le mie labbra diran sinceramente quello che so.
   4 Lo spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita.
   5 Se puoi, rispondimi; prepara le tue ragioni, fatti avanti!
   6 Ecco, io sono uguale a te davanti a Dio; anch'io, fui tratto dall'argilla.
   7 Spavento di me non potrà quindi sgomentarti, e il peso della mia autorità non ti potrà schiacciare.
   8 Davanti a me tu dunque hai detto (e ho bene udito il suono delle tue parole):
   9 'Io sono puro, senza peccato; sono innocente, non c'è iniquità in me;
 10 ma Dio trova contro me degli appigli ostili, mi tiene per suo nemico;
 11 mi mette i piedi nei ceppi, spia tutti i miei movimenti'.
 12 E io ti rispondo: In questo non hai ragione; giacché Dio è più grande dell'uomo.
 13 Perché contendi con lui? poich'egli non rende conto d'alcuno dei suoi atti.
 14 Iddio parla, bensì, una volta ed anche due, ma l'uomo non ci bada;
 15 parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro letti essi giacciono assopiti;
 16 allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti,
 17 per distoglier l'uomo dal suo modo d'agire e tener lungi da lui la superbia;
 18 per salvargli l'anima dalla fossa, la vita dal dardo mortale.
 19 L'uomo è anche ammonito sul suo letto, dal dolore, dall'agitazione incessante delle sue ossa;
 20 quand'egli ha in avversione il pane, e l'anima sua schifa i cibi più squisiti;
 21 la carne gli si consuma, e sparisce, mentre le ossa, prima invisibili, gli escon fuori,
 22 l'anima sua si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che danno la morte.
 23 Ma se, presso a lui, v'è un angelo, un interprete, uno solo fra i mille, che mostri all'uomo il suo dovere,
 24 Iddio ha pietà di lui e dice: 'Risparmialo, che non scenda nella fossa! Ho trovato il suo riscatto'.
 25 Allora la sua carne divien fresca più di quella d'un bimbo; egli torna ai giorni della sua giovinezza;
 26 implora Dio, e Dio gli è propizio; gli dà di contemplare il suo volto con giubilo, e lo considera di nuovo come giusto.
 27 Ed egli va cantando fra la gente e dice: 'Avevo peccato, pervertito la giustizia, e non sono stato punito come meritavo.
 28 Iddio ha riscattato l'anima mia, onde non scendesse nella fossa e la mia vita si schiude alla luce!'
 29 Ecco, tutto questo Iddio lo fa due, tre volte, all'uomo,
 30 per ritrarre l'anima di lui dalla fossa, perché su di lei splenda la luce della vita.
 31 Sta' attento, Giobbe, dammi ascolto; taci, ed io parlerò.
 32 Se hai qualcosa da dire, rispondi, parla, ché io vorrei poterti dar ragione. 33 Se no, tu dammi ascolto, taci, e t'insegnerò la saviezza».


34.29 Quando Iddio dà requie chi lo condannerà? Chi potrà contemplarlo quando nasconde il suo volto a una nazione ovvero a un individuo,
 30 per impedire all'empio di regnare, per allontanar dal popolo le insidie?
 31 Quell'empio ha egli detto a Dio: 'Io porto la mia pena, non farò più il male,
 32 mostrami tu quel che non so vedere; se ho agito perversamente, non lo farò più'?
 33 Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo, che tu lo critichi? Ti dirà forse: 'Scegli tu, non io, quello che sai, dillo'?
 34 La gente assennata e ogni uomo savio che m'ascolta, mi diranno:
 35 'Giobbe parla senza giudizio, le sue parole sono senza intendimento'.
 36 Ebbene, sia Giobbe provato sino alla fine! poiché le sue risposte son quelle degli iniqui, 37 poiché aggiunge al peccato suo la ribellione, batte le mani in mezzo a noi, e moltiplica le sue parole contro Dio».


35.9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi;
 10 ma nessuno dice: 'Dov'è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia,
 11 che ci fa più intelligenti delle bestie de' campi e più savi degli uccelli del cielo?'
 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi.
 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l'Onnipotente non ne fa nessun conto.
 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare!
 15 Ma ora, perché la sua ira non punisce, perch'egli non prende rigorosa conoscenza delle trasgressioni,
 16 Giobbe apre vanamente le labbra e accumula parole senza conoscimento».


36.8 Se gli uomini son talora stretti da catene, se son presi nei legami dell'afflizione,
   9 Dio fa lor conoscere la lor condotta, le loro trasgressioni, giacché si sono insuperbiti;
 10 egli apre così i loro orecchi a' suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male.
 11 Se l'ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro nella gioia;
 12 ma, se non l'ascoltano, periscono trafitti da' suoi dardi, muoiono per mancanza d'intendimento.
 13 Gli empi di cuore s'abbandonano alla collera, non implorano Iddio quand'egli li incatena;
 14 così muoiono nel fiore degli anni, e la loro vita finisce come quella dei dissoluti;
 15 ma Dio libera l'afflitto mediante l'afflizione, e gli apre gli orecchi mediante la sventura.
 16 Te pure ti vuole trarre dalle fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia, e coprire la tua mensa tranquilla di cibi succulenti.
 17 Ma, se giudichi le vie di Dio come fanno gli empi, il giudizio e la sentenza di lui ti piomberanno addosso.
 18 Bada che la collera non ti trasporti alla bestemmia, e la grandezza del riscatto non t'induca a fuorviare!


37.1 A tale spettacolo il cuor mi trema e balza fuor del suo luogo.
   2 Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce dalla sua bocca!
   3 Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino ai lembi della terra.
   4 Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la sua voce maestosa; e quando s'ode la voce, il fulmine non è già più nella sua mano.
   5 Iddio tuona con la sua voce maravigliosamente; grandi cose egli fa che noi non intendiamo.


38.1 Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse:
   2 «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?»


42.1 Allora Giobbe rispose all'Eterno e disse:
   2 «Io riconosco che tu puoi tutto, e che nulla può impedirti d'eseguire un tuo disegno.
   3 Chi è colui che senza intendimento offusca il tuo disegno?... Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo; son cose per me troppo maravigliose ed io non le conosco.
   4 Deh, ascoltami, io parlerò; io ti farò delle domande e tu insegnami!
   5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto.
   6 Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere».


42.12 E l'Eterno benedì gli ultimi anni di Giobbe più de' primi.


42.16 Giobbe, dopo questo, visse centoquarant'anni, e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli, fino alla quarta generazione.
    17 Poi Giobbe morì vecchio e sazio di giorni.

Il lebbroso purificato
Il lebbroso purificato
  1. Ed avvenne che, trovandosi egli in una di quelle città, ecco un uomo pieno di lebbra, il quale, veduto Gesù e gettatosi con la faccia a terra, lo pregò dicendo: Signore, se tu vuoi, tu puoi purificarmi.
  2. Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii purificato. E in quell'istante la lebbra sparì da lui.
  3. E Gesù gli comandò di non dirlo a nessuno: Ma va', gli disse, mostrati al sacerdote ed offri per la tua purificazione quel che ha prescritto Mosè; e ciò serva loro di testimonianza.
  4. Però la fama di lui si spandeva sempre più; e molte turbe si adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità.
  5. Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.
Marcello Cicchese
novembre 2015

Io vi lascio pace
Io vi lascio pace

Giovanni 14:27
  Io vi lascio pace; vi do la mia pace.
  Io non vi do come il mondo dà.
  Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.

Giovanni 16:33
  Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me.
  Nel mondo avrete tribolazione;
  ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.

Matteo 11:28-30
  Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati,
  e io vi darò riposo.
  Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me,
  perch'io sono mansueto ed umile di cuore;
  e voi troverete riposo alle anime vostre;
  poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Marcello Cicchese
febbraio 2016

Salmo 62
Salmo 62
  1. Solo in Dio l'anima mia s'acqueta;
    da lui viene la mia salvezza.
  2. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza,
    il mio alto ricetto; io non sarò grandemente smosso.
  3. Fino a quando vi avventerete sopra un uomo
    e cercherete tutti insieme di abbatterlo
    come una parete che pende,
    come un muricciuolo che cede?
  4. Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza;
    prendono piacere nella menzogna;
    benedicono con la bocca,
    ma internamente maledicono. Sela.
  5. Anima mia, acquétati in Dio solo,
    poiché da lui viene la mia speranza.
  6. Egli solo è la mia ròcca e la mia salvezza;
    egli è il mio alto ricetto; io non sarò smosso.
  7. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    la mia forte ròcca e il mio rifugio sono in Dio.
  8. Confida in lui ogni tempo, o popolo;
    espandi il tuo cuore nel suo cospetto;
    Dio è il nostro rifugio. Sela.
  9. Gli uomini del volgo non sono che vanità,
    e i nobili non sono che menzogna;
    messi sulla bilancia vanno su,
    tutti assieme sono più leggeri della vanità.
  10. Non confidate nell'oppressione,
    e non mettete vane speranze nella rapina;
    se le ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.
  11. Dio ha parlato una volta,
    due volte ho udito questo:
    Che la potenza appartiene a Dio;
  12. e a te pure, o Signore, appartiene la misericordia;
    perché tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
Marcello Cicchese
agosto 2017

Salmo 22
Salmo 22
  1. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito?
  2. Dio mio, io grido di giorno, e tu non rispondi; di notte ancora, e non ho posa alcuna.
  3. Eppure tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d'Israele.
  4. I nostri padri confidarono in te; e tu li liberasti.
  5. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono confusi.
  6. Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e lo sprezzato dal popolo.
  7. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo:
  8. Ei si rimette nell'Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce!
  9. Sì, tu sei quello che m'hai tratto dal seno materno; m'hai fatto riposar fidente sulle mammelle di mia madre.
  10. A te fui affidato fin dalla mia nascita, tu sei il mio Dio fin dal seno di mia madre.
  11. Non t'allontanare da me, perché l'angoscia è vicina, e non v'è alcuno che m'aiuti.

  12. Grandi tori m'han circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
  13. apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente.
  14. Io son come acqua che si sparge, e tutte le mie ossa si sconnettono; il mio cuore è come la cera, si strugge in mezzo alle mie viscere.
  15. Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta, e la lingua mi s'attacca al palato; tu m'hai posto nella polvere della morte.
  16. Poiché cani m'han circondato; uno stuolo di malfattori m'ha attorniato; m'hanno forato le mani e i piedi.
  17. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m'osservano;
  18. spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste.
  19. Tu dunque, o Eterno, non allontanarti, tu che sei la mia forza, t'affretta a soccorrermi.
  20. Libera l'anima mia dalla spada, l'unica mia, dalla zampa del cane;
  21. salvami dalla gola del leone. Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.

  22. Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
  23. O voi che temete l'Eterno, lodatelo! Glorificatelo voi, tutta la progenie di Giacobbe, e voi tutta la progenie d'Israele, abbiate timor di lui!
  24. Poich'egli non ha sprezzata né disdegnata l'afflizione dell'afflitto, e non ha nascosta la sua faccia da lui; ma quand'ha gridato a lui, ei l'ha esaudito.
  25. Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
  26. Gli umili mangeranno e saranno saziati; quei che cercano l'Eterno lo loderanno; il loro cuore vivrà in perpetuo.
  27. Tutte le estremità della terra si ricorderan dell'Eterno e si convertiranno a lui; e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno nel tuo cospetto.
  28. Poiché all'Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni.
  29. Tutti gli opulenti della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendon nella polvere e non posson mantenersi in vita s'inginocchieranno dinanzi a lui.
  30. La posterità lo servirà; si parlerà del Signore alla ventura generazione.
  31. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia, e al popolo che nascerà diranno come egli ha operato.
Marcello Cicchese
settembre 2016

L'intoppo
L’intoppo che fa cadere nell’iniquità

Ezechiele 7:1-4
  1. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  2. 'E tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, l'Eterno, riguardo al paese d'Israele: La fine! la fine viene sulle quattro estremità del paese!
  3. Ora ti sovrasta la fine, e io manderò contro di te la mia ira, ti giudicherò secondo la tua condotta, e ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
  4. E l'occhio mio non ti risparmierà, io sarò senza pietà, ti farò ricadere addosso tutta la tua condotta e le tue abominazioni saranno in mezzo a te; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.

Ezechiele 8:1-13
  1. E il sesto anno, il quinto giorno del sesto mese, avvenne che, come io stavo seduto in casa mia e gli anziani di Giuda erano seduti in mia presenza, la mano del Signore, dell'Eterno, cadde quivi su me.
  2. Io guardai, ed ecco una figura d'uomo, che aveva l'aspetto del fuoco; dai fianchi in giù pareva di fuoco; e dai fianchi in su aveva un aspetto risplendente, come di terso rame.
  3. Egli stese una forma di mano, e mi prese per una ciocca de' miei capelli; e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e mi trasportò in visioni divine a Gerusalemme, all'ingresso della porta interna che guarda verso il settentrione, dov'era posto l'idolo della gelosia, che eccita a gelosia.
  4. Ed ecco che quivi era la gloria dell'Iddio d'Israele, come nella visione che avevo avuta nella valle.
  5. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, alza ora gli occhi verso il settentrione'. Ed io alzai gli occhi verso il settentrione, ed ecco che al settentrione della porta dell'altare, all'ingresso, stava quell'idolo della gelosia.
  6. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, vedi tu quello che costoro fanno? le grandi abominazioni che la casa d'Israele commette qui, perché io m'allontani dal mio santuario? Ma tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni'.
  7. Ed egli mi condusse all'ingresso del cortile. Io guardai, ed ecco un buco nel muro.
  8. Allora egli mi disse: 'Figlio d'uomo, adesso fora il muro'. E quand'io ebbi forato il muro, ecco una porta.
  9. Ed egli mi disse: 'Entra, e guarda le scellerate abominazioni che costoro commettono qui'.
  10. Io entrai, e guardai: ed ecco ogni sorta di figure di rettili e di bestie abominevoli, e tutti gl'idoli della casa d'Israele dipinti sul muro attorno;
  11. e settanta fra gli anziani della casa d'Israele, in mezzo ai quali era Jaazania, figlio di Shafan, stavano in piedi davanti a quelli, avendo ciascuno un turibolo in mano, dal quale saliva il profumo d'una nuvola d'incenso.
  12. Ed egli mi disse: 'Figlio d'uomo, hai tu visto quello che gli anziani della casa d'Israele fanno nelle tenebre, ciascuno nelle camere riservate alle sue immagini? poiché dicono: - L'Eterno non ci vede, l'Eterno ha abbandonato il paese'.
  13. Poi mi disse: 'Tu vedrai ancora altre più grandi abominazioni che costoro commettono'.

Ezechiele 14:1-11
  1. Or vennero a me alcuni degli anziani d'Israele, e si sedettero davanti a me.
  2. E la parola dell'Eterno mi fu rivolta in questi termini:
  3. 'Figlio d'uomo, questi uomini hanno innalzato i loro idoli nel loro cuore, e si sono messi davanti l'intoppo che li fa cadere nella loro iniquità; come potrei io esser consultato da costoro?
  4. Perciò parla e di' loro: Così dice il Signore, l'Eterno: Chiunque della casa d'Israele innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità, e poi viene al profeta, io, l'Eterno, gli risponderò come si merita per la moltitudine dei suoi idoli,
  5. affin di prendere per il loro cuore quelli della casa d'Israele che si sono alienati da me tutti quanti per i loro idoli.
  6. Perciò di' alla casa d'Israele: Così parla il Signore, l'Eterno: Tornate, ritraetevi dai vostri idoli, stornate le vostre facce da tutte le vostre abominazioni.
  7. Poiché, a chiunque della casa d'Israele o degli stranieri che soggiornano in Israele si separa da me, innalza i suoi idoli nel suo cuore e pone davanti a sé l'intoppo che lo fa cadere nella sua iniquità e poi viene al profeta per consultarmi per suo mezzo, risponderò io, l'Eterno, da me stesso.
  8. Io volgerò la mia faccia contro a quell'uomo, ne farò un segno e un proverbio, e lo sterminerò di mezzo al mio popolo; e voi conoscerete che io sono l'Eterno.
  9. E se il profeta si lascia sedurre e dice qualche parola, io, l'Eterno, sono quegli che avrò sedotto il profeta; e stenderò la mia mano contro di lui, e lo distruggerò di mezzo al mio popolo d'Israele.
  10. E ambedue porteranno la pena della loro iniquità: la pena del profeta sarà pari alla pena di colui che lo consulta,
  11. affinché quelli della casa d'Israele non vadano più errando lungi da me, e non si contaminino più con tutte le loro trasgressioni, e siano invece mio popolo, e io sia il loro Dio, dice il Signore, l'Eterno'.
Marcello Cicchese
ottobre 2016

Salmo 125
Salmo 125
    Canto dei pellegrinaggi.
  1. Quelli che confidano nell'Eterno
    sono come il monte di Sion, che non può essere smosso,
    ma dimora in perpetuo.
  2. Gerusalemme è circondata dai monti;
    e così l'Eterno circonda il suo popolo,
    da ora in perpetuo.
  3. Poiché lo scettro dell'empietà
    non rimarrà sulla eredità dei giusti,
    affinché i giusti non mettano mano all'iniquità.
  4. O Eterno, fa' del bene a quelli che sono buoni,
    e a quelli che sono retti nel loro cuore.
  5. Ma quanto a quelli che deviano per le loro vie tortuose,
    l'Eterno li farà andare con gli operatori d'iniquità.
    Pace sia sopra Israele.
Marcello Cicchese
luglio 2017

La pazienza dl Dio
La pazienza di Dio e la nostra speranza
Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con pazienza (Romani 8.25).

Marcello Cicchese
settembre 2017

Salmo 23
Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.
Marcello Cicchese
settembre 2017

Il corpo dell'umiliazione
Il corpo della nostra umiliazione
Siate miei imitatori, fratelli, e riguardate a coloro che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), da nemici della croce di Cristo; la fine dei quali è la perdizione, il cui dio è il ventre, e la cui gloria è in quel che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra. Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, in virtù della potenza per la quale egli può anche sottoporsi ogni cosa.
Filippesi 3:17-21
Marcello Cicchese
giugno 2016

Una mente rinnovata
Il rinnovamento della mente
Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio, il che è il vostro culto spirituale. e non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Marcello Cicchese
gennaio 2017

Salmo 90
Salmo 90
  1. Preghiera di Mosè, uomo di Dio.
    O Signore, tu sei stato per noi un rifugio
    di generazione in generazione.
  2. Prima che i monti fossero nati
    e che tu avessi formato la terra e il mondo,
    da eternità a eternità tu sei Dio.
  3. Tu fai tornare i mortali in polvere
    e dici: Ritornate, o figli degli uomini.
  4. Perché mille anni, agli occhi tuoi,
    sono come il giorno d'ieri quand'è passato,
    e come una veglia nella notte.
  5. Tu li porti via come una piena; sono come un sogno.
    Son come l'erba che verdeggia la mattina;
  6. la mattina essa fiorisce e verdeggia,
    la sera è segata e si secca.
  7. Poiché noi siamo consumati dalla tua ira,
    e siamo atterriti per il tuo sdegno.
  8. Tu metti le nostre iniquità davanti a te,
    e i nostri peccati occulti, alla luce della tua faccia.
  9. Tutti i nostri giorni spariscono per il tuo sdegno;
    noi finiamo gli anni nostri come un soffio.
  10. I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni;
    o, per i più forti, a ottant'anni;
    e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità;
    perché passa presto, e noi ce ne voliamo via.
  11. Chi conosce la forza della tua ira
    e il tuo sdegno secondo il timore che t'è dovuto?
  12. Insegnaci dunque a così contare i nostri giorni,
    che acquistiamo un cuore saggio.
  13. Ritorna, o Eterno; fino a quando?
    e muoviti a pietà dei tuoi servitori.
  14. Saziaci al mattino della tua benignità,
    e noi giubileremo, ci rallegreremo tutti i giorni nostri.
  15. Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti,
    e degli anni che abbiamo sentito il male.
  16. Apparisca l'opera tua a pro dei tuoi servitori,
    e la tua gloria sui loro figli.
  17. La grazia del Signore Dio nostro sia sopra noi,
    e rendi stabile l'opera delle nostre mani;
    sì, l'opera delle nostre mani rendila stabile.

Marcello Cicchese
31 dicembre 2017

Dal Salmo 119
Salmo 119
  1. L'anima mia è attaccata alla polvere;
    vivificami secondo la tua parola.
  2. Io ti ho narrato le mie vie e tu m'hai risposto;
    insegnami i tuoi statuti.
  3. Fammi intendere la via dei tuoi precetti,
    ed io mediterò le tue meraviglie.
  4. L'anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime;
    rialzami secondo la tua parola.
  5. Tieni lontana da me la via della menzogna,
    e, nella tua grazia, fammi intendere la tua legge,
  6. io ho scelto la via della fedeltà,
    mi son posto i tuoi giudizi dinanzi agli occhi.
  7. Io mi tengo attaccato alle tue testimonianze;
    o Eterno, non lasciare che io sia confuso.
  8. Io correrò per la via dei tuoi comandamenti,
    quando m'avrai allargato il cuore.

Marcello Cicchese
19 luglio 2018

Il giorno del riposo
Il giorno del riposo

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo giorno è giorno di riposo, sacro all'Eterno, che è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Esodo 20:8-11

Marcello Cicchese
dicembre 2014

Perché siete così ansiosi?
«Perché siete così ansiosi?»

Dal Vangelo di Matteo

CAPITOLO 6
  1. Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona.
  2. Perciò vi dico: Non siate con ansiosi per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
  3. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
  4. E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura anche un cubito?
  5. E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
  6. eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
  7. Or se Dio riveste in questa maniera l'erba de' campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
  8. Non siate dunque con ansiosi, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
  9. Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
  10. Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. 34 Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Marcello Cicchese
dicembre 2015



Hamas deve essere sconfitto, non legittimato

Un gruppo terroristico dedito alla distruzione di Israele non dovrebbe avere un ruolo in nessun governo palestinese - non nella cosiddetta “Cisgiordania” e certamente non nella Striscia di Gaza.

di Khaled Abu Toameh

GERUSALEMME - Ottobre 2023, l'Autorità Palestinese continua a considerare il movimento islamista sostenuto dall'Iran come un partner legittimo.
La scorsa settimana, i rappresentanti della fazione di Fatah al governo dell'Autorità Palestinese (guidata dal presidente Mahmoud Abbas) e di Hamas si sono incontrati per un colloquio nella capitale egiziana Il Cairo per discutere la creazione di un governo congiunto per la Striscia di Gaza. Una fonte egiziana ha confermato che i colloqui tra Fatah e Hamas mirano a istituire un comitato per l'amministrazione della Striscia di Gaza e a proseguire gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco.
Un'altra fonte della sicurezza egiziana ha affermato che i colloqui mirano a “unire i ranghi palestinesi e ad alleviare le sofferenze del popolo palestinese”. Secondo la fonte, i negoziatori di Fatah e Hamas si sono dimostrati “più flessibili e favorevoli alla creazione di un comitato per gestire gli affari della Striscia di Gaza”.
Tayseer Nasrallah, un alto funzionario di Fatah che ha preso parte ai colloqui con Hamas, ha dichiarato di essere “ottimista” sul fatto che essi porteranno alla formazione di un comitato per la ricostruzione della Striscia di Gaza. I colloqui, ha detto Nasrallah, avevano lo scopo di unificare “le visioni per la ricostruzione di Gaza” dopo la guerra scoppiata in seguito all'attacco del 7 ottobre che ha ucciso 1.200 israeliani e ne ha feriti migliaia. Durante l'attacco, molti israeliani sono stati decapitati, violentati, torturati e bruciati vivi. Inoltre, più di 240 persone sono state rapite nella Striscia di Gaza, dove 101 di loro - vivi e morti - sono ancora prigionieri.
Hamas, da parte sua, ha dichiarato: “Abbiamo tenuto un incontro con i nostri fratelli della fazione di Fatah e l'atmosfera dell'incontro è stata positiva e aperta”. Il gruppo terroristico ha aggiunto che le due parti “hanno discusso la formazione di un organismo per seguire gli affari e le necessità della Striscia di Gaza” e ha dichiarato che gli incontri con Fatah continueranno.
Il mese scorso, i rappresentanti di Fatah e Hamas hanno tenuto colloqui simili al Cairo per discutere i modi per porre fine alla rivalità tra i due partiti e formare un governo di unità palestinese. L'alto funzionario di Hamas Taher a-Nunu ha dichiarato che i colloqui erano finalizzati a “raggiungere l'unità nazionale palestinese e a rafforzare la sicurezza e il coordinamento politico tra le due parti”. Alcuni rappresentanti di Fatah, senza nome , hanno dichiarato che la loro fazione ha accettato la formazione di un comitato congiunto per gestire gli affari di Gaza.
Negoziando con Hamas sul futuro di Gaza, Abbas sta legittimando il gruppo terroristico sostenuto dall'Iran e sta inviando un messaggio ai palestinesi e al resto del mondo: non vede alcun problema nel cooperare con assassini e terroristi che hanno commesso i crimini più orribili contro gli ebrei dopo l'Olocausto. Come abbiamo visto di recente con il Partito Comunista Cinese (ad esempio qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui), con l'Iran e con l'Afghanistan, semplicemente non funziona negoziare con i terroristi e con i loro simili.
Abbas dovrebbe invece condannare Hamas e prendere le distanze dal gruppo terroristico, invece di mandare i suoi funzionari ad abbracciare e baciare i loro rappresentanti al Cairo. Dovrebbe ritenere Hamas pienamente responsabile della distruzione della Striscia di Gaza come risultato della guerra iniziata dal gruppo terroristico.
Abbas dovrebbe anche chiedere ad Hamas di cedere il controllo della Striscia di Gaza, invece di implorarlo di accettare la formazione di un comitato congiunto Fatah-Hamas per gestire gli affari dell'enclave costiera.
Ad Hamas non dovrebbe essere permesso di svolgere alcun ruolo a Gaza dopo la guerra. Ciò consentirebbe al gruppo terroristico di riarmarsi, riorganizzarsi e prepararsi per un altro attacco a Israele in stile 7 ottobre.
Da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza nel 2007, migliaia di palestinesi sono stati uccisi nelle guerre che ha scatenato con Israele. Con l'aiuto dell'Europa, del Qatar e dell'Iran, Hamas ha trasformato la Striscia di Gaza, dove vivono due milioni di palestinesi, in una delle più grandi basi del terrorismo islamico in Medio Oriente. Tutti e tre hanno investito centinaia di milioni di dollari nella costruzione di una vasta rete di tunnel e nella produzione e contrabbando di armi, compresi razzi e droni. L'ipotesi che Hamas rinunci volontariamente al controllo di Gaza a causa di un accordo con Abbas è semplicemente ridicola.
Gli sforzi di Abbas per raggiungere un accordo con Hamas non faranno altro che rafforzare e riattivare il gruppo terroristico, incoraggiandolo a continuare la sua jihad contro Israele. Questi sforzi inviano un messaggio ad Hamas che, nonostante i crimini commessi contro gli israeliani il 7 ottobre e la Nakba (catastrofe) che ha portato sui palestinesi di Gaza, può continuare a svolgere un ruolo chiave a Gaza dopo la guerra. Dal 2007, Hamas ha dimostrato di non preoccuparsi del benessere dei palestinesi che vivono sotto il suo governo. L'unica cosa che conta per Hamas è rimanere al potere e continuare la lotta contro Israele per soddisfare i suoi patroni in Iran.
L'amministrazione statunitense guidata da Biden non ha preso in considerazione gli sforzi di Abbas per legittimare Hamas. Gli Stati Uniti gli hanno offerto un'ancora di salvezza. Un gruppo terroristico dedito alla distruzione di Israele non dovrebbe avere alcun ruolo in nessun governo palestinese, né in Cisgiordania né tanto meno a Gaza. Un gruppo del genere dovrebbe essere completamente distrutto militarmente e politicamente e non dovrebbe essere invitato in nessun governo palestinese.
Dall'inizio della guerra, Israele ha distrutto la maggior parte delle capacità militari di Hamas e ucciso molti dei suoi leader, tra cui l'arci-terrorista Yahya Sinwar, la mente delle atrocità del 7 ottobre. Gli Stati Uniti e il resto del mondo dovrebbero incoraggiare Israele a continuare i suoi sforzi per sradicare Hamas. Dovrebbero anche chiedere ad Abbas e alla leadership dell'Autorità Palestinese di interrompere immediatamente tutti i contatti con il gruppo terroristico. Non c'è alternativa a una vittoria totale su Hamas e anche sugli altri terroristi proxy dell'Iran e, in ultima analisi, sul velenoso regime islamista iraniano.
Finché il regime iraniano resterà al potere e torturerà il suo stesso popolo e altri - fino all'Argentina - purtroppo non ci sarà pace. Questo è l'unico modo per assicurare un futuro veramente pacifico, non solo per gli israeliani, ma anche per i palestinesi e per il mondo libero.

(Israel Heute, 12 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israel Katz: “è il momento buono per colpire il nucleare iraniano”

Ora ci troviamo ... in una situazione in cui l’Iran è oggi più esposto che mai, praticamente e mentalmente al danno, e la consapevolezza non è meno importante qui,

di Darya Nasifi

Il Ministro della Difesa di Israele, Israel Katz, ha incontrato oggi per la prima volta il Forum dello Stato Maggiore Generale, presieduto dal Capo di Stato Maggiore, Generale Herzi Halevi.
Durante l’incontro, Katz ha affermato che “l’ordine di priorità che questo governo vede molto chiaramente è la questione dell’Iran: impedire all’Iran di avere armi nucleari. Ora ci troviamo, a causa dei duri colpi che abbiamo inflitto a Hezbollah e del colpo devastante che abbiamo inflitto all’Iran, in una situazione in cui l’Iran è oggi più esposto che mai, praticamente e mentalmente al danno, e la consapevolezza non è meno importante qui”.
Katz ha anche affermato: “Oggi c’è un ampio consenso sistemico a livello nazionale sul fatto che il programma nucleare iraniano dovrebbe essere contrastato, e c’è anche la consapevolezza che ciò è fattibile, non solo sotto l’aspetto della sicurezza, ma anche sotto l’aspetto politico. Oggi esiste la possibilità di contrastare e rimuovere la minaccia di annientamento sullo Stato di Israele”.
“Abbiamo un’opportunità e bisogna sfruttare la capacità assoluta per realizzarla, e credo e sono sicuro che saprete anche come farlo, in modo che potremo portarla a compimento. Inoltre, freneremo l’aggressione iraniana contro Israele direttamente e attraverso le sue organizzazioni terroristiche per procura, dobbiamo ridurre questa capacità.”
Katz ha fatto riferimento alla possibilità di una soluzione politica in Libano e ha affermato che “in Libano non ci sarà alcun cessate il fuoco e non ci sarà tregua. Continueremo a colpire Hezbollah con tutta la forza finché gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti. Israele non accetterà alcun accordo che non garantisca il diritto di Israele di imporre e prevenire il terrorismo da solo e di raggiungere gli obiettivi della guerra in Libano, il disarmo di Hezbollah, il suo ritiro oltre il fiume Litani e il ritorno sicuro dei residenti del nord alle loro case.”
Katz ha anche fatto riferimento agli sforzi per restituire i rapiti e ai combattimenti a Gaza e ha detto: “Per quanto riguarda Gaza, prima di tutto la questione dei rapiti, come ho detto anche come ministro degli Esteri quando ho assunto l’incarico, questo è l’obiettivo di valore più importante del sistema di sicurezza. Faremo di tutto per riportarli a casa e garantire la sconfitta di Hamas”.

(Rights Reporter, 12 novembre 2024)

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Belgio, ragazzo ebreo aggredito da musulmani in un quartiere ebraico

di Michelle Zarfati

Dopo l’attacco ai tifosi del Maccabi Tel Aviv ad Amsterdam in seguito alla partita contro l’Ajax, i sostenitori pro-palestinesi hanno condiviso, nel corso della giornata di ieri, il video di un’aggressione a un ragazzo ultra-ortodosso, avvenuto presumibilmente due settimane fa. Nel filmato il giovane 14enne viene attaccato da rivoltosi musulmani nel quartiere ebraico di Anversa. La famiglia del ragazzo non aveva inizialmente sporto denuncia alla polizia, in quanto attacchi del genere, secondo quanto rivelato dalla Comunità locale, accadono occasionalmente contro gli ebrei della città. Tuttavia, questa volta i video dell’aggressione sono stati pubblicati sui social dal gruppo di arabi. La pubblicazione dei filmati da parte degli aggressori ha spinto i familiari della vittima a sporgere denuncia alla polizia.
  Questi video sono stati pubblicati casualmente in concomitanza con gli annunci della polizia di Anversa, che aveva dichiarato che sei giovani musulmani stavano pianificando una serie di attacchi agli ebrei della città. Gli aggressori sono stati arrestati lunedì e rilasciati dopo alcune ore. I sei avevano pianificato di attaccare gli appartenenti alla Comunità Ebraica in segno di solidarietà con gli aggressori di Amsterdam.
  Il parlamentare Michael Freilich, anch’egli eletto di recente al Consiglio comunale di Anversa, ha rivelato ai media locali che chiederà un aumento delle forze di polizia. Secondo alcune fonti, Freilich avrebbe parlato già con il sindaco della città chiedendo rinforzi di soldati per proteggere i residenti ebrei. Il membro del parlamento ha confermato l’incremento di attacchi contro gli ebrei di recente. Nel frattempo, la polizia sta attuando grandi sforzi per affrontare il problema e oltre 100 poliziotti aggiuntivi sono stati predisposti nei quartieri ebraici.

(Shalom, 12 novembre 2024)

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Il pogrom di Amsterdam coordinato da un ex dipendente dell’UNRWA

Lo rivela una nuova indagine

Le violenze contro i tifosi israeliani ad Amsterdam la scorsa settimana sono state un attacco premeditato e coordinato, orchestrato da reti estremiste legate a un ex dipendente della controversa agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), ha dichiarato lunedì a The Algemeiner un gruppo che traccia la disinformazione online.
L’analisi dell’Istituto di ricerca sul contagio di rete (Network Contagion Research Institute) delle fonti aperte e dei social media ha inoltre “rivelato che le proteste intorno alla partita del Maccabi Tel Aviv ad Amsterdam non erano isolate, ma facevano parte di uno sforzo più ampio e coordinato”, ha dichiarato il cofondatore del gruppo, Joel Finkelstein.
Ayman Nejmeh, residente ad Amsterdam, che si è identificato sui social media come un ex dipendente dell’UNRWA, “è emerso come un organizzatore chiave, che ha coordinato le azioni di protesta contro obiettivi ebraici”, ha aggiunto Finkelstein.
Centinaia di tifosi del Maccabi Tel Aviv, in visita nella capitale olandese per una partita contro la squadra locale dell’Ajax, sono stati attaccati da folle arabe e musulmane giovedì sera, con diversi ricoveri in ospedale. Si è trattato del più grande incidente antisemita di massa nei Paesi Bassi dai tempi dell’Olocausto: gli aggressori hanno lanciato petardi e granate stordenti, invocando la “caccia all’ebreo” e costringendo gli israeliani a dire “Palestina libera” prima di picchiarli.
In precedenza, i tifosi del Maccabi Tel Aviv erano stati registrati mentre scandivano slogan anti-arabi e rimuovevano una bandiera palestinese, spingendo alcuni organi di informazione a inquadrare la violenza che ne è seguita come una risposta. Ma Israele aveva avvertito i servizi di sicurezza olandesi, prima della partita, che la violenza sarebbe stata probabile dopo che i gruppi islamici sembravano coordinare un attacco su più fronti sui social media.
Secondo Finkelstein, il numero di telefono del siriano Nejmeh era indicato come amministratore di un gruppo WhatsApp utilizzato dal gruppo della diaspora palestinese PGNL. Nejmeh è subentrato nel gruppo al cittadino palestinese-olandese Amin Abou Rashed, arrestato l’anno scorso con il sospetto di aver convogliato fondi al gruppo terroristico palestinese Hamas.
In passato il PGNL aveva ospitato in un evento online il defunto capo di Hamas Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran all’inizio dell’anno. Il gruppo, il cui nome in olandese sta per “Comunità palestinese nei Paesi Bassi”, è stato anche coinvolto nell’organizzazione di una protesta anti-Israele in piazza Dam domenica 10 novembre, sfidando il divieto temporaneo imposto dopo le violenze di giovedì sera e provocando decine di arresti.
Il coordinamento dietro questi eventi riflette una strategia ben affinata da parte dei gruppi radicali di utilizzare gli incontri pubblici per incitare e far crescere la violenza, ha detto Finkelstein, avvertendo che l’odio organizzato sta superando di gran lunga la capacità di risposta delle autorità.
Il “contagio del pogrom” che si sta diffondendo in Europa non è un caso: attori legati al terrorismo stanno deliberatamente usando le armi dei raduni e dei social media per accelerare la diffusione della violenza contro le comunità ebraiche”, ha dichiarato Finkelstein a The Algemeiner. “Questa infrastruttura dell’odio si sta evolvendo più velocemente delle difese democratiche e, se non controllata, queste minacce si moltiplicheranno attraverso i confini e le etnie”.
Il profilo Facebook di Nejmeh, che conteneva almeno un post che esaltava un agente di Hamas per l’ala militare Al Qassam del gruppo terroristico, è stato negli ultimi giorni ripulito da qualsiasi riferimento ai suoi legami con l’UNRWA.
“Se Nejmeh sta ripulendo i suoi social media da queste affiliazioni passate, questo solleva domande significative sul perché”, ha detto Finkelstein.
Il mese scorso, il parlamento israeliano ha approvato una legge che vieta all’UNRWA di operare in Israele e impedisce alle autorità israeliane di collaborare con l’organizzazione, citando i legami dell’agenzia ONU con Hamas e ciò che i critici hanno descritto come la sua “influenza velenosa” in Medio Oriente.
Marcus Sheff, capo di IMPACT-se, un istituto di ricerca che monitora l’UNRWA, ha affermato che i risultati sono un’ulteriore prova della corruzione dell’agenzia per i rifugiati.

(Bet Magazine Mosaico, 12 novembre 2024)

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"L’Occidente si difende sotto le mura di Israele"

Volli, il filosofo temuto dalle tv: “Oggi essere antisemiti è tornato di moda. Troppa solidarietà con Hamas, la magistratura agevola l’arrivo della base sociale del terrorismo”.

di Aldo Torchiaro

Filosofo e semiologo, Ugo Volli è il prosecutore ideale del lavoro di Umberto Eco, con cui ha iniziato a collaborare nel 1971 per la rivista Versus – Quaderni di studi semiotici. Oggi è tra i più prolifici filosofi del linguaggio con oltre trenta saggi pubblicati. Insegna all’Università di San Marino, tenendosi le mani libere anche nelle prese di posizione pubblica, mai banali. Per anni è stato presidente della sinagoga riformata Lev Chadash a Milano.
  Di recente ospite di “PiazzaPulita” su La7, mantiene la sua proverbiale calma serafica anche quando viene circondato dal fuoco incrociato delle grida. Ha tenuto in particolare a smentire la fake news dei 40mila morti a Gaza e a denunciare tra i primi quanti siano invece i palestinesi – omosessuali, tra i primi – ad essere stati torturati e uccisi da Hamas. Temi che però purtroppo alle televisioni interessano poco.

- Professore, sono tornati i pogrom. In Europa, in Olanda. Che tempi stiamo attraversando?
  «È un momento molto difficile. Capisco ora i racconti dei miei genitori e nonni: in particolare quel che non avevo mai compreso, cioè come il fascismo avesse potuto buttarli fuori da scuola, dal lavoro, dalle associazioni sportive e culturali cui erano iscritti, senza che nessuno intorno a loro protestasse. Oggi essere ebrei è di nuovo problematico».

- Il sette ottobre ha sfidato la civiltà occidentale. La colpisce che tanti fingano di non vedere, di non capire?
  «Peggio che non capire, molti solidarizzano. Il terrorismo islamico piace alla sinistra (non solo quella più estrema purtroppo) perché sfida la civiltà occidentale, si oppone al capitalismo, al liberalismo economico, alla democrazia politica, all’America: perché è ‘rivoluzionario’. All’inverso, come diceva Spadolini, «la civiltà occidentale si difende sotto le mura di Gerusalemme».

- E i media non stanno esattamente aiutando…
  «Il sistema dei media ha abbandonato da tempo la missione di informare il proprio pubblico, di riferire i fatti, belli o brutti che siano. Cerca invece di educarlo alle “idee giuste” secondo un modello sovietico o fascista, che ormai è quasi totalitario anche in Europa e negli Usa. Questo totalitarismo pedagogico è in larghissima parte di sinistra, quindi purtroppo nemico di Israele. È difficilissimo spiegare sui giornali o in TV anche le cose più elementari, come il fatto che Israele agisce per autodifesa contro un nemico che non è “il popolo palestinese” ma i terroristi armati e diretti dall’Iran; che ha fatto sforzi mai compiuti da altri per salvaguardare la popolazione civile, che non vi è nessun genocidio a Gaza, che anche ammettendo le cifre montate della propaganda di Hamas, 40 mila morti in un anno sarebbero l’1% della popolazione, molto meno dei costi di guerre come il Vietnam o l’Ucraina».

- Lei da ebreo si sente sicuro?
  «Io sì, mi sento sicuro. Ho fiducia nelle forze dell’ordine. Francamente meno nella magistratura, che sta agevolando l’importazione in Italia di persone che finiranno con essere la base sociale del terrorismo, se non i suoi operativi. Sarei meno sicuro se dovessi ancora lavorare nella mia università, dove agli estremisti di sinistra dei centri sociali è concesso di impedire l’accesso, la parola e il pensiero di tutti coloro che non la pensano come loro».

- Israele nasce per difendere gli ebrei dalla persecuzione. Oggi crescono quelli che lo considerano un fastidio della storia. Il mondo ha esaurito lo shock per Auschwitz, ha dimenticato l’orrore nazista?
  «Israele nasce per realizzare il diritto del popolo ebraico a uno stato nazionale. Ha l’obbligo, come tutti gli stati, di difendere il suo popolo: è un fastidio solo per chi li vuole di nuovo sterminare. L’Europa non si è quasi accorta di Auschwitz prima del processo Eichmann, nel ‘61. Primo Levi, subito dopo la guerra si è visto rifiutare due volte “Se questo è un uomo” da Einaudi, perché “il tema non interessava”. Molti ex fascisti e razzisti sono diventati predicatori democratici. Giorgio Bocca ha firmato il “Manifesto della Razza”, prolifici e premiati ex fascisti come Scalfari e Calvino sono diventati maestri di democrazia, il presidente del “tribunale della razza”, Azzariti, ha finito la carriera come presidente della Corte Costituzionale».

- C’è chi distingue tra antisemitismo e antisionismo. Due facce, invece, della stessa medaglia?
  «L’antisionismo è l’antisemitismo di oggi. Dopo quello religioso, economico, razziale, da settant’anni si è diffuso un antisemitismo statale, l’antisionismo. Il sionismo è il patriottismo del popolo ebraico, un movimento analogo al Risorgimento italiano. Chi nega al popolo ebraico il diritto alla sua espressione nazionale, non lo fa perché non gli piace il movimento, ma perché non vuole che gli ebrei siano liberi e sicuri».

- Il sionismo di Teodor Herzl nacque come risposta al caso Dreyfus. Oggi quelle premesse – e quell’esigenza di autodifesa – sembrano rafforzate…
  «Dreyfus era un leale ufficiale francese, l’espressione di un patriottismo statale che c’è stato moltissimo anche in Italia, in Germania, in tutt’Europa. I nostri nonni e bisnonni si illudevano di poter essere cittadini come gli altri, solo con un’altra religione. Le leggi razziste e poi la Shoah li hanno duramente delusi. La mia generazione si è illusa che il problema fossero solo le dittature fasciste, dunque che fosse sparito. Il presente mostra che l’accettazione degli ebrei è di nuovo assai precaria, soprattutto a sinistra. La differenza oggi è che se qualcuno cercasse di nuovo di sterminarci, avremmo una difesa nello stato di Israele. È questa è la ragione vera per cui tanti lo odiano: non solo è l’ebreo degli stati, ma lo stato capace di difendere gli ebrei».

- Il movimento sionista socialista fu molto importante. Ben Gurion era uno dei suoi esponenti. E poi Golda Meir. Da dove nasce questo testacoda nella storia della politica, con la sinistra che si fregia di essere antisionista?
  «Il sionismo maggioritario era socialista. Dal ‘48 alla crisi economica degli anni ‘90 Israele è stato il solo stato democratico davvero socialista. I kibbutz, istituzioni collettiviste, erano la spina dorsale politica e sociale, non solo economica dello stato. Ma l’appoggio della sinistra cadde quando Stalin si accorse che Israele non era disposto a entrare nel suo blocco, voleva essere libero. Dal 1956 il PCUS cambiò cavallo e si mise ad appoggiare contro Israele i regimi arabi più infami e reazionari, dall’Egitto alla Siria. Tutta la sinistra si allineò e ha mantenuto questo orientamento. L’invenzione di un popolo “palestinese” (che non c’era, fino a quegli anni si definivano siriani meridionali o immigrati arabi o egiziani) avviene a Mosca negli anni ‘60. Per fare solo un esempio, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen si forma all’università per stranieri di Mosca e si laurea lì con una tesi negazionista della Shoah».

- Vede una soluzione possibile?
  «La premessa di ogni soluzione è che Israele vinca e che avvenga un cambiamento di regime in Iran, liberando le donne e i giovani dall’orrida dittatura clericale degli ayatollah. Così potranno svilupparsi di nuovo quegli accordi di Abramo che i terroristi hanno cercato di distruggere».

- E in Italia cosa si può fare?
  «Quanto all’Italia e all’Occidente, è necessaria una grande battaglia culturale non solo contro l’antisemitismo, ma contro il suo brodo di cultura woke, politicamente corretto, “intersezionale”. Per difendere Israele bisogna anche capire i meriti della cultura europea, della libertà, della democrazia, in genere dei valori della nostra tradizione. Credo che questa battaglia oggi sia aperta. Il paradosso è che non sono i cosiddetti “progressisti” o i “democratici” di tutte le nazionalità a difendere questi valori che hanno lasciato cadere, ma la destra».

(Il Riformista, 12 novembre 2024)
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La cosa peggiore di questo articolo è il titolo con cui si presenta Israele come una città sotto le cui mura”si difende l’Occidente”. Quale occidente? Anche Volli, che indubbiamente dice cose molto giuste, fa riferimento in ultimo a “una grande battaglia culturale”. Ma contro chi? Sotto quale bandiera? Quella dell’Occidente? Ma il brodo di cultura woke e “intersezionale” che ha spinto il diritto all’omosessualità dichiarata e sbandierata fino agli estremi confini della scelta arbitraria e stagionale del sesso, che difende il diritto all’aborto fino ai limiti ormai prossimi dell’infanticidio, che discute seriamente della possibilità di gestire uteri in affitto e parla di libertà di suicidio assistito, non è forse brodo occidentale? Brodo andato a male, dirà qualcuno, ma pur tuttavia brodo di autentica fattura occidentale. E’ questo che Israele dovrebbe difendere a nome della società occidentale?  E’ sotto questa bandiera che dovrebbe combattere? Fa parte della tradizione biblica e storica di Israele? Ha qualcosa a che vedere non solo con il Tanach, patrimonio biblico degli ebrei, ma anche con la tradizione ebraica giunta a noi fino all’altro ieri? Non fa piacere, ma forse il sionismo rigidamente e coerentemente laico è davvero finito. M.C.

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Varese, 1979: l'inizio di una triste storia

Lettera a "Il Foglio"

Pochi lo ricordano ma è stata proprio la stessa squadra del Maccabi di Tel Aviv a subire per prima slogan inneggianti al genocidio a Varese nel lontano 1979 durante la partita di basket con la squadra locale Emerson Varese. I tifosi varesini avevano esposto uno striscione con scritto "Hitler lo ha insegnato, uccidere l'ebreo non è reato" e scandito slogan come "Ebrei saponette saponette". Quelli individuati erano stati condannati in base alla legge n. 962 del 1967 contro il genocidio e la sua apologia per la prima volta applicata in Italia. Il Presidente della Corte d'assise che aveva emesso la sentenza era Francesco Saverio Borrelli, allora giudice prima di diventare il procuratore capo di Mani pulite.
Ora, dopo i fatti di Amsterdam, le gesta dei tifosi varesini, nazistoidi che avevano allora l'esclusiva dell'odio contro gli ebrei, sembrano solo squallido teppismo da stadio. E la diga a difesa delle vittime dell'Olocausto è ormai crollata. In Olanda intorno allo stadio non c'erano solo striscioni ma ronde armate. In tutta Europa e anche in Italia aspettiamoci il peggio.
Guido Salvini 
ex magistrato

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Perché parliamo oggi di pogrom

di Ugo Volli

• CHE COS’È UN POGROM?
  L’orribile strage del 7 ottobre 2023 nei villaggi israeliani al confine di Gaza è stato definito un pogrom. Anche la caccia all’ebreo che si è svolta giovedì sera ad Amsterdam era un pogrom. E così tanti episodi del passato più o meno recente, dalla “Notte dei Cristalli” del 1938 al “Farhud”, il massacro degli ebrei di Baghdad del 1° giugno 1941, organizzata da quello stesso Al Husseini, muftì di Gerusalemme, che aveva diretto e promosso i pogrom di Hebron, Zfat, Gerusalemme nei vent’anni precedenti. Vi furono molti episodi analoghi: nel 1948 in Egitto, Siria, Libano, Yemen Libia e poi di nuovo in Libia nel 1967. Ma cos’è esattamente un pogrom?

• “DISTRUZIONE”
  Iniziamo dal significato della parola. Come “antisemitismo”, anche “pogrom” è un vocabolo recente, nato circa 150 anni fa, ma che descrive fenomeni analoghi anche molto precedenti. Il termine ha avuto origine dal nome russo погром (pogrom) che deriva dal verbo громи́ть (gromit), che significa “distruggere, provocare il caos, demolire violentemente” e si è diffuso dopo il 1881 in tutto il mondo, passando per la parola yiddish פאָגראָם. Dunque pogrom significa “distruzione”, “catastrofe”: un significato che corrisponde all’ebraico “Shoah” che oggi usiamo solo per il genocidio nazista.

• I POGROM DELL’EST EUROPA
  Le stragi di Odessa durante la settimana pasquale del 1871 furono le prime persecuzioni ad essere ampiamente definite “pogrom”; gli eventi del 1881-82 introdussero il termine nell’uso comune in tutto il mondo. Si tratta dei massacri che seguirono l’assassinio dello zar Alessandro II nel 1881. Sebbene l’assassino non fosse ebreo, la propaganda zarista incolpò gli ebrei, inducendo attacchi in più di duecento città con centinaia di vittime. Questi torbidi si ripeterono con frequenza variabile negli anni successivi. Il culmine fu il pogrom di Kishinev in Moldavia (allora parte della Russia) nell’aprile 1903. Per due giorni migliaia di teppisti, ispirati dai leader locali che agivano con il supporto governativo, uccisero, saccheggiarono e distrussero senza alcuna resistenza della polizia o dei soldati. Quando finalmente arrivarono le truppe furono e la folla si disperse, oltre quarantacinque ebrei erano stati uccisi, quasi seicento erano stati feriti e 1.500 case ebraiche erano state saccheggiate. I responsabili e gli istigatori non furono puniti. Dopo la prima guerra mondiale, fra il 1918 e il 1921, vi fu un’ondata terribile di pogrom nel territorio dell’attuale Ucraina: vi furono centinaia di stragi di ebrei, compiute soprattutto dalle truppe “bianche” controrivoluzionarie e dai nazionalisti ucraini; ma anche i polacchi e l’Armata Rossa commisero crimini analoghi. I morti alla fine si contarono in centinaia di migliaia. E vi furono alcuni terribili pogrom in Polonia dopo la Shoah ai danni degli ebrei che cercavano di tornare a casa. I più noti avvennero nelle città di Jedwabne e Kielce.

• NELLA STORIA
  In sostanza un pogrom è un’ondata di violenza omicida, di saccheggi, di stupri, di omicidi e ferimenti compiuta ai danni di una minoranza da folle apparentemente spontanee e non inquadrate militarmente, anche se la loro azione è spesso il frutto di un incitamento organizzato o quantomeno è tollerato da parte delle autorità. Furono pogrom dunque anche quelli voluti da Maometto a Medina fra il 625 e il 628, quello ancora musulmano di Granada nel 1066, le persecuzioni della prima crociata nel 1097, la rivolta di Chmel’nyc’kyj in Polonia e Ucraina nel 1648 (forse il più terribile di tutti, con 100 mila uccisi) e tantissimi altri episodi della storia ebraica. Probabilmente gli assalti e i saccheggi “spontanei” delle popolazioni e soprattutto quelli promossi da autorità intermedie (vescovi, nobili locali, predicatori religiosi) produssero più vittime e danni delle persecuzioni ufficiali dei papi e dei sovrani, presso cui talvolta le comunità ebraiche cercavano rifugio. Questa terribile continuità delle stragi “popolari” di ebrei è un tratto caratteristico della storia ebraica. Per questa ragione è inappropriato estendere il termine, come talvolta si usa fare, ad agitazioni analoghe che di tanto in tanto hanno colpito anche altre popolazioni, soprattutto in regioni contese fra diversi stati.

(Shalom, 11 novembre 2024)

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Sono un’orgogliosa ebrea e sionista - Perché sono odiata?

Una volta pensavo che l'Olocausto sarebbe dovuto bastare al mondo per giustificare il diritto all'esistenza di Israele. Ora penso che il mondo non sia mai stato particolarmente interessato.

di Oriel Moran

GERUSALEMME - Ho trascorso la mia infanzia in Texas. Ho sempre saputo che l'essere ebreo comportava dei pericoli. Lo riconoscevo nei racconti biblici, come quando il Faraone fece gettare nel Nilo tutti i neonati maschi ebrei o quando la regina Ester chiese di annullare il decreto di annientamento di tutti gli ebrei. Questi eventi non sono stati episodi isolati, ma si sono susseguiti all'infinito e non sono terminati il 7 ottobre 2023.
Cosa ho fatto per essere odiata così tanto?

• EMIGRATA IN ISRAELE

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Oriel Moran

Come ragazza ebrea dagli occhi azzurri in mezzo a cristiani texani favorevoli a Israele, non riuscivo a capire perché qualcuno potesse avere un motivo per non andare d'accordo con la mia famiglia. Quando arrivammo in Israele, il risveglio fu brusco e deludente. I tempi erano piuttosto tesi durante la Seconda Intifada. Ricordo che in autobus mi mancava il fiato, perché mi aspettavo che salisse un attentatore suicida. E ricordo che mi sentivo triste per il muro di protezione, anche se era necessario per proteggerci dagli attacchi. Tuttavia, non riuscivo a capire perché l'odio dei palestinesi fosse tanto profondo da volermi morta. Ma come ebrea si impara presto a mantenere un profilo basso quando è necessario.
Quando viaggiavo all'estero, riuscivo a passare gli aeroporti con il mio passaporto americano senza problemi. Ma il passaporto israeliano desta sospetti. Se dico da qualche parte che vengo da Israele, mi aspetto sempre una reazione poco amichevole. Molti israeliani che viaggiano all'estero dicono di venire da Malta. Evitano di parlare in ebraico. Gli uomini nascondono la kippah sotto un copricapo.

• ANTISEMITISMO
  È codardia? Forse è soltanto prudenza. Dato l'aumento dell'antisemitismo,  c’è una buona probabilità che gli israeliani non tornino a casa indenni.
L'Università di Tel Aviv riferisce che a New York, la città con la più grande popolazione ebraica al mondo, la polizia ha registrato 325 crimini di odio anti-ebraico nel 2023. 261 nel 2022, rispetto ai 165-86 di Los Angeles e ai 50-39 di Chicago. L'ADL ha registrato 7.523 incidenti nel 2023 rispetto ai 3.697 del 2022 (e, secondo una definizione più ampia, 8.873); il numero di aggressioni è aumentato da 111 nel 2022 a 161 nel 2023 e il numero di episodi di vandalismo è passato da 1.288 a 2.106.
L'antisemitismo non è limitato a singoli luoghi, come la Columbus University di New York o le manifestazioni anti-Israele sul London Bridge. L'odio per gli ebrei, mascherato da “antisionismo”, si è diffuso ovunque.

• “IN ALTO LE MANI SE SEI SIONISTA!”.
  Una scena particolarmente inquietante si è verificata di recente nella metropolitana di New York. Gli antisemiti, con il volto e la testa avvolti in sciarpe palestinesi bianche e nere, sono saliti a bordo di un vagone della metropolitana mentre il “leader” gridava:
“Alza la mano se sei sionista!”, al che gli altri manifestanti hanno ripetuto: ‘Alza la mano se sei sionista!’. Poi: “Questa è la tua occasione per uscire!” e l'eco: “Questa è la tua occasione per uscire!”. - “Ok, niente sionisti qui”. I passeggeri sono rimasti in silenzio, paralizzati dalla paura della folla mascherata. Chissà quanti ebrei o “sionisti” erano bloccati in quella metropolitana - dopo tutto, ci sono 1,6 milioni di ebrei a New York.
Quando ho visto questo video, sono rimasta profondamente turbata e francamente spaventata. Cosa farei se mi trovassi di fronte a una situazione del genere? Mi allontanerei per evitare il caos? Resterei in silenzio? Aprirei la bocca? Confessare le mie convinzioni sioniste difficilmente avrebbe giovato a me o alla mia famiglia se fossi stata picchiata fino a perdere i sensi o riportata indietro in un sacco per cadaveri.
Gli ebrei hanno affrontato lo stesso dilemma durante l'Olocausto, prima di essere saccheggiati, perseguitati e infine portati con la forza nei campi di sterminio. Chi avrebbe protetto un ebreo negli anni '30?

• VIVERE IN SICUREZZA
  In Israele gli ebrei possono vivere in sicurezza senza nascondere la loro etnia e, se sono minacciati, c'è un protettore che viene in loro aiuto. Ma (quasi) ovunque nel mondo non c'è garanzia che le autorità proteggano un ebreo. Ironia della sorte, sebbene Israele viva fianco a fianco con i suoi nemici e ne sia circondato, c'è un solo luogo sicuro per gli ebrei nel mondo: Israele.
Altri dati, elaborati dall'Università di Tel Aviv: in Francia, il numero di incidenti è passato da 436 nel 2022 a 1.676 nel 2023 (il numero di attacchi fisici è salito da 43 a 85); nel Regno Unito da 1.662 a 4.103 (attacchi fisici da 136 a 266); in Argentina da 427 a 598; in Germania da 2.639 a 3.614; in Brasile da 432 a 1.774; in Sudafrica da 68 a 207; in Messico da 21 a 78; nei Paesi Bassi da 69 a 154; in Italia da 241 a 454; in Austria da 719 a 1.147. In Australia, nei mesi di ottobre e novembre 2023 sono stati registrati 622 incidenti antisemiti, rispetto ai 79 dello stesso periodo del 2022.

• HAMAS contro ESTHER
  Come persona di fede, ritengo che la mia identità di “Regno” sia più importante della mia nazionalità o identità culturale. E non equiparo la domanda se sono sionista con quella se credo in Yeshua. Ma forse dovrebbe essere la seconda domanda quella più importante.
Prima dell'attuale guerra, quando sentivo la parola “sionista” ero infastidita, anche se non sapevo perché. Forse la associavo a fanatici e radicali, o forse avevo un pregiudizio inconscio; e questo  dimostra quanto facilmente gli ebrei non istruiti (come la sottoscritta) possano cadere in ideologie autodistruttive. Tuttavia, se mi chiedessero se ritengo che noi ebrei abbiamo diritto alla nostra patria, risponderei che su quel monte sarei stata disposto a morire.
Oggi “sionista” è un insulto, alla pari di “nazista”, “comunista” o “terrorista”. Gli ignoranti si appropriano dei termini e ne modificano le definizioni per protestare in nome della “giustizia”. E non ci è voluto molto per galvanizzare milioni di persone in un movimento basato sull'odio e sullo sterminio degli ebrei. Questo è il potere dell'antisemitismo: un Haman amareggiato che convince Assuero e intere nazioni che tutti gli ebrei sono malvagi e devono essere uccisi.
Mentre la mano di ferro della morte si stringe attorno al collo del popolo ebraico, cerco di ricordare come Mardocheo ammonì Ester con parole a cui gli ebrei si sono aggrappati nei momenti di pericolo da allora:
“Se ora taci, la liberazione e la salvezza per gli ebrei verranno da un'altra parte, ma tu e la casa di tuo padre perirete. E chi sa se non sei arrivata alla regalità proprio per un momento come questo?” (Ester 4:14)
Sono ebrea e orgogliosamente sionista. Israele è la mia patria, e tale rimane.

(Israel Heute, 11 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it) 

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Difendere Israele sui media, tra like e complessità

di Nathan Greppi

In un’epoca in cui i mezzi di comunicazione mutano e si evolvono costantemente, molte persone fanno fatica a stare al passo e a tenersi aggiornate. In un periodo come quello attuale, in cui oltre alla guerra vera e propria Israele deve subire anche una guerra mediatica, restare indietro significa lasciare che i nemici dello Stato Ebraico impongano la loro narrazione.
  Per capire quali sono le tattiche per poter contrastare la disinformazione che circola nei media e sui social, giovedì 7 novembre si è tenuto presso la Sala Segre della Scuola Ebraica di Via Sally Mayer un incontro curato dai responsabili del sito Progetto Dreyfus assieme all’Adei Wizo e alla Comunità Ebraica di Milano, dal titolo Tra like e complessità. Istruzioni per la difesa di Israele sui media.

• RAV ALFONSO ARBIB: IL PACIFISMO HA SOSTITUITO L’ETICA DELLA GUERRA
  Nell’introdurre la serata, il Rabbino Capo di Milano Rav Alfonso Arbib ha sottolineato che, sebbene non esista una formula magica per risolvere i problemi che stiamo affrontando, “esistono alcune cose a cui non possiamo rinunciare. Per prima cosa, non possiamo rinunciare a ragionare”, ha spiegato, rimarcando il fatto che gran parte dell’odio a cui assistiamo è il frutto di pregiudizi, non di ragionamenti, “ed è difficile affrontare l’odio, perché siamo davanti ad un sentimento”. Ma è comunque indispensabile farlo, per convincere non tanto chi ci odia, quanto quella maggioranza di persone che non ha un’opinione consolidata sull’argomento.
  Un altro aspetto assai trattato nel dibattito pubblico è il concetto di “crimini di guerra”. A tal proposito, Rav Arbib ha rimarcato il fatto che “la definizione di ‘crimini di guerra’ non è così scontata”. Paradossalmente, la nostra è la prima epoca in cui nessuno si occupa più di “etica della guerra”, perché oggi “il discorso che si fa è un discorso pacifista, che ti dice che la guerra è essa stessa un crimine. I discorsi che si facevano nei secoli passati dicevano ‘le guerre ci sono, bisogna stabilire cosa è permesso e cosa è vietato in una guerra’”.

• ROBERTA VITAL: L’ODIO NEI CONFRONTI D’ISRAELE HA RADICI PROFONDE
  Dopo i saluti istituzionali di Ilan Boni, Vicepresidente della Comunità Ebraica di Milano, il quale ha sottolineato come occorra interfacciarsi con quelle persone che credono in buona fede alla disinformazione su Israele ma alle quali si possono spiegare le nostre ragioni, la prima relatrice a parlare è stata Roberta Vital, Vicepresidente dell’Adei Wizo di Milano.
  La Vital ha ricordato che la guerra diplomatica che si è abbattuta su Israele dopo il 7 ottobre “affonda radici lontane. Possiamo individuare nel 1975 l’inizio della delegittimazione dello Stato d’Israele in quanto Stato Ebraico: quell’anno ci fu la famosa risoluzione dell’ONU, votata in blocco dai paesi arabi e sovietici, in cui si equiparò il sionismo al razzismo. Una risoluzione che rimase in essere per un po’ di anni, poi fu abolita ma trovò la sua massima espressione durante la Conferenza di Durban, nel 2001. Una conferenza che, sotto l’egida dell’ONU, avrebbe dovuto trattare temi importanti come la lotta al razzismo e la difesa dei diritti umani, ma che invece si trasformò in un’arena di antisionismo”.

• ALEX ZARFATI: COME DIFENDERE ISRAELE ATTRAVERSO LA COMUNICAZIONE
  Per combattere la disinformazione online, fare rete tra più persone anziché lavorare da soli è fondamentale. A tal proposito Alex Zarfati, responsabile di Progetto Dreyfus e consigliere UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), ha spiegato quali sono, secondo lui, i capisaldi “per organizzare una qualsiasi difesa nei confronti d’Israele”.
  Innanzitutto, ha messo in risalto il fattore generazionale: dai più anziani non ci si aspetta che sappiano utilizzare al meglio i nuovi social, ma allo stesso tempo i giovani hanno una memoria storica limitata: “Sono nati che Israele era già forte, non riescono neanche a concepire un Israele debole. Chi è più grande, invece, lo sa che Israele è stata sotto scacco diverse volte nella sua storia”. Pertanto, Zarfati ha suggerito che i più anziani non dovrebbero esporsi in prima linea su social che non sanno maneggiare bene, correndo il rischio di esporre anche i loro cari, ma dovrebbero fornire ai loro nipoti contenuti e testimonianze che questi saprebbero riportare nel giusto formato per i loro contenuti.
  Ha spiegato che nella Scuola Ebraica di Roma, “noi abbiamo ragazzini che sono vittime da stress post-traumatico come quelli che vanno in guerra”. Questo perché i video dei massacri del 7 ottobre, “che hanno viaggiato sui telefonini, hanno avuto degli effetti devastanti, e non ce ne rendiamo nemmeno conto. E gli adulti non sanno come gestire quel tipo di informazione”. In genere, i genitori tolgono il telefono ai figli o si deresponsabilizzano lasciando loro fare quello che vogliono. “Invece, una educazione corretta all’uso del telefono è fondamentale”.
  Zarfati ha inoltre messo in evidenza la questione della “psychological warfare”, un metodo non convenzionale di fare la guerra, per le quale “le menti degli occidentali sono territorio di conquista da parte di una certa parte del mondo”. Il modo in cui vengono realizzati determinati video e contenuti online è mirato al preciso scopo di dipingere Israele come la causa di tutti i mali del mondo.

• STEFANO FIANO: INTERNET HA CAMBIATO IL NOSTRO CERVELLO
  Oggi, la diffusione dell’informazione non avviene più attraverso gli stessi canali di una volta: la crescente preponderanza del web e degli influencer ha fatto sì che, per fare un confronto, un personaggio fortemente antisionista come Alessandro Di Battista può contare oltre 1,6 milioni di follower, mentre programmi televisivi come Piazzapulita possono contare in media 900.000 spettatori.
  Stefano Fiano, esperto di strategie di comunicazione, ha spiegato che la connessione perenne in particolare dei ragazzi ha “cambiato il modo di pensare, ma non solo: abbiamo cambiato il nostro cervello, perché siamo connessi, qualcosa che vent’anni fa non c’era”. E secondo lui, “oggi siamo andati un passo ancora più avanti: l’intelligenza artificiale si forma su quello che c’è già in rete. Questo vuol dire che tra un po’ non andrò più nemmeno su Google, ma crederò a quello che ha detto l’intelligenza artificiale, cioè la media di tutti noi. Nel nostro caso, la media di quello che pensano su Israele nel mondo, quando ci sono due terzi del mondo che a prescindere non pensa bene d’Israele”.
  Un ulteriore problema è che i giornalisti stanno imparando a scrivere con l’IA, anche se “teoricamente il giornalista dovrebbe essere quello che intermedia e si informa. Ma se la sua fonte sarà l’intelligenza artificiale o, peggio, la percezione che la società ha di quell’argomento, invece di fare informazione va verso la massa per prendere i like”. Ha inoltre spiegato che, anche se la maggior parte degli anziani in sala non possedeva TikTok, in realtà già adesso essi ne sono influenzati senza saperlo: questo perché, per frenare l’emorragia di lettori, i giornali tendono sempre di più ad imitare lo stile semplice e sensazionalistico dei contenuti di questa piattaforma.

(Bet Magazine Mosaico, 11 novembre 2024)

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Come hanno reagito i palestinesi alla vittoria di Trump

La vittoria di Trump alle elezioni presidenziali americane è stata accolta con reazioni relativamente moderate da parte degli alti funzionari palestinesi e dei media palestinesi.
In una dichiarazione pubblicata dal presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, si è congratulato con Donald Trump per la sua vittoria e gli ha augurato successo, ha aggiunto che “attende con impazienza la cooperazione con il presidente Trump per promuovere la pace e la sicurezza nella regione” e ha concluso dicendo: “Rimarremo fermi nel nostro impegno per la pace e siamo fiduciosi che tale impegno persisterà anche sotto la vostra guida, e che sosterrete le legittime aspirazioni del popolo palestinese”.
Secondo uno studio del Memri Institute for Middle East Media Research, Ahmed Majdalani, membro del comitato esecutivo dell’OLP, ha dichiarato: “Rispettiamo la volontà dei popoli nella scelta dei loro presidenti e non abbiamo problemi con nessun presidente al mondo, purché vi sia rispetto per la volontà del popolo palestinese di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, di stabilire il proprio Stato indipendente e di rimuovere l’occupazione dalla sua terra”. Majdalani ha invitato l’amministrazione Trump a “trattare seriamente la questione palestinese in quanto” – aggiunge – “la precedente amministrazione americana è passata da un pregiudizio a favore di Israele al sostegno e alla collaborazione con l’occupazione nella sua aggressione contro il nostro popolo nella guerra di annientamento”.
Sabri Seidam, vicesegretario del Comitato Centrale di Fatah, ha chiarito le aspettative della leadership palestinese rispetto al secondo mandato di Trump. Ha dichiarato al quotidiano “Al-Quds” che “noi tutti speriamo di vedere un Trump diverso da quello che conoscevamo, che sarà. in grado di affrontare i cambiamenti nella realtà palestinese e regionale”.
Seidam ha espresso la speranza che Trump non si concentrerà solo sulla normalizzazione tra Israele e i paesi arabi ignorando i palestinesi, ma affronterà le radici del conflitto. Inoltre ha invitato Trump a “fermare la guerra contro la Palestina”, come aveva promesso ai suoi elettori arabi, e a compiere gesti di buona volontà nei confronti dei palestinesi per “ristabilire l’equilibrio nelle relazioni e fare chiarezza. che gli Stati Uniti rispettino i loro obblighi internazionali”.
Secondo l’analisi di Memri, alcuni media palestinesi hanno espresso indifferenza per la vittoria di Trump e hanno trasmesso il messaggio che la politica americana nei confronti della “Palestina” non cambierà probabilmente sotto la sua guida.

(Rights Reporter, 11 novembre 2024)

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A Milano in Piazza San Babila manifestazione contro le violenze antisemite di Amsterdam

“Avete ragione”, ha detto il rabbino capo Alfonso Arbib rivolgendosi agli studenti universitari della Statale che erano appena intervenuti in solidarietà in piazza San Babila, dove almeno 300 persone, secondo gli organizzatori, hanno partecipato alla manifestazione – blindata da un impressionante numero di poliziotti – in risposta alle violenze antisemite di Amsterdam avvenute tre giorni prima in seguito alla partita tra Ajax e Maccabi Tel Aviv.
“Avete ragione, antisemiti e antisionisti sono una minoranza rumorosa. Avete ragione, ma io chiedo alla maggioranza silenziosa di iniziare a farsi sentire”.
“Gli scontri”, ha sottolineato Alessandro Litta Modignani, segretario dell’Associazione milanese Pro Israele, “non sono avvenuti ‘tra ultras del calcio’, questo è un tentativo di certa stampa e di alcuni esponenti politici di sminuire quanto successo”. Lungo i canali della città olandese è andata in scena una vera caccia all’ebreo, il riferimento al titolo del recente volume scritto da Pierluigi Battista, e distribuito nella nostra scuola, non è casuale.
Come affrontare e prevenire questa violenza ed evitare che si manifesti anche nel nostro Paese? “Non servono leggi speciali, basta applicare le leggi esistenti”, ha detto Franco Modigliani dell’associazione Sette Ottobre e animatore dell’evento.
Molti rappresentanti delle diverse aree politiche hanno preso la parola. Lia Quartapelle, parlamentare del Partito Democratico ed esponente della Sinistra Per Israele, ha parlato della necessità di essere uniti contro l’odio antisemita. Le ha risposto Daniele Nahum, consigliere comunale e fuoriuscito proprio dal PD, che ha parlato della tolleranza che alcuni partiti hanno verso propri esponenti che partecipano alle manifestazioni milanesi Pro Pal del sabato, dove si è inneggiato alla violenza contro gli ebrei e si è applaudito ai fatti di Amsterdam.
Dal palco hanno parlato anche la senatrice Gelmini già in Azione e ora in area centrodestra, Alessandro Colucci di Noi con l’Italia e Gianmaria Radice di Italia viva. Per Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica e animatore dell’associazione Ponte Atlantico, dopo aver pensato negli anni passati di poter esportare la democrazia in Medio Oriente, ci ritroviamo col rischio di importare il fondamentalismo islamico e dovremmo allora riunirci sotto lo slogan “Free Europe from Hamas”. A margine della manifestazione, lo storico David Bidussa commentava che la violenza si subisce, ancor prima dei calci e dei pugni, già quando devi per paura cambiare il tuo stile di vita e limitarti. “Anche negli anni Trenta c’era chi diceva che gli ebrei stessero esagerando con la paura”, ammoniva dal microfono rav Arbib.
“Noi vogliamo solo continuare a vivere”, ha detto il professor Ugo Volli ed Eyal Mizrachi, dell’Associazione Amici di Israele, ha dunque intonato Am Israel Hai.

(Bet Magazine Mosaico, 10 novembre 2024)

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Bibi sceglie Leiter per l'ambasciata Usa

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In una fase cruciale di grandi cambiamenti negli Stati Uniti, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato chi ricoprirà il delicato ruolo di ambasciatore d’Israele negli Usa. Sarà Yechiel Leiter, 65 anni, in passato vice direttore generale del ministero dell’Istruzione, capo staff dell’allora ministro delle Finanze Netanyahu e presidente ad interim dell’Autorità dei porti. Nato negli Stati Uniti, Leiter a novembre ha perso il figlio, il maggiore Moshe Leiter, 39 anni, ucciso in un combattimento nel nord di Gaza.
  «Yechiel Leiter è un diplomatico di grande talento, un oratore eloquente e ha una profonda conoscenza della cultura e della politica americana», ha dichiarato Netanyahu. «Sono convinto che rappresenterà Israele nel miglior modo possibile e gli auguro di avere successo nel suo ruolo».
  Padre di otto figli, Leiter vive oggi nell’insediamento israeliano di Alon Shvut, in Cisgiordania. È nato a Scranton, in Pennsylvania, in una famiglia sionista religiosa. Ha raccontato di essere stato influenzato dal libro La rivolta di Menachem Begin nella sua scelta di compiere nel 1978 l’aliyah (l’immigrazione in Israele). In Israele studiato in una scuola religiosa di Kiryat Arba ed è stato ordinato rabbino. Nel 1986 ha fondato la Fondazione Hebron e tra il 1989 e il 1992 è stato presidente del comitato per gli insediamenti ebraici a Hebron. È stato inoltre nel 2001 tra i fondato dell’organizzazione One Jerusalem, riporta ynet, contraria agli accordi di Oslo. Nel 2004 è stato nominato capo dello staff di Netanyahu, allora ministro delle Finanze, incarico che ha ricoperto fino al 2005.
  Attualmente è docente di filosofia presso l’Ono Academic College, ricercatore presso lo Shalem Center e consulente strategico di diverse organizzazioni, tra cui l’Ancient Shiloh.
  La nomina di Leiter, commenta ynet, «può essere considerata una benedizione per Netanyahu, perché è l’uomo giusto al momento giusto: ha ampie conoscenze nel Partito Repubblicano e riceverà un orecchio attento alla Casa Bianca». L’incarico di ambasciatore negli Stati Uniti al momento è affidato a Mike Herzog, fratello del presidente d’Israele Isaac. Il passaggio di testimone con Leiter, scrive Maariv, avverrà poco prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca.

(moked, 8 novembre 2024)

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10 NOVEMBRE - ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI LUTERO

Ricorre oggi il 541° anniversario della nascita di Martin Lutero. Riportiamo due citazioni delle sue parole, fatte in contesti e tempi diversi.
    «Oh volesse Iddio che le mie interpretazioni e quelle di tutti i maestri andassero perdute, purché ogni cristiano conservi sempre dinanzi agli occhi la sola Scrittura e la divina Parola! Tu vedi dal mio parlare come la Parola divina sia immensamente diversa da ogni parola umana e come nessun uomo, nonostante tutte le sue parole, sia in grado di raggiungere o dichiarare un solo detto divino. A chi riuscisse di penetrarvi senza interpretazione umana, il mio commento o quello di chiunque altro sarebbero inutili, anzi d'ostacolo. Perciò, leggete, leggete la Sacra Scrittura, cristiani cari, e considerate sia la mia che qualsiasi altra interpretazione come un 'impalcatura di legname dell'edificio stesso, affinché noi possiamo comprendere e gustare la pura e semplice Parola divina e ad essa attenerci».
    «Perciò sappi, caro cristiano, e non avere dubbi a riguardo, che, subito dopo il diavolo, tu non hai nemico più acre, più velenoso, più acceso, di un vero ebreo, il quale voglia seriamente essere un ebreo. Tra loro ci possono forse essere anche quelli che credono in ciò in cui crede una mucca, o un’oca, tuttavia la stirpe e la circoncisione gravano su tutti loro. Perciò nelle storie si dà spesso a loro la colpa, di aver avvelenato i pozzi, di aver rapito e seviziato bambini […]. Essi negano decisamente. Però – che sia vero o no – io so bene che, se potessero realmente farlo, di nascosto o apertamente, a loro non ne mancherebbe la completa, piena e pronta volontà».
Come si vede, l'accostamento è davvero sgradevole. Non per tutti, certamente: non lo sarà per un incallito antisemita cristiano che vede confermata la sua ripulsa "teologica" degli ebrei; non lo sarà forse neppure per un convinto ebreo che vedrà confermata in quelle parole la sua diffidenza verso tutto ciò che si presenta come cristiano. Per un convinto cristiano non cattolico, che proprio per la sua fede evangelica avverte una spinta d'amore verso gli ebrei come popolo eletto da cui proviene Gesù, l'accostamento di queste due parole provoca una tensione dolorosa, perché approva fermamente la prima dichiarazione e rigetta totalmente la seconda. Chi scrive dichiara con chiarezza che considera la prima ispirata da Dio e la seconda ispirata dal Diavolo; considera Lutero un potente strumento di Dio che proprio per la sua importanza è stato attaccato dal Nemico in un punto importante della fede che era rimasto spiritualmente scoperto. Per avvertire i fratelli in Cristo del rischio che si corre a trattare con leggerezza un tema scottante come Israele, quindici anni fa abbiamo pubblicato nel sito una documentazione sul collegamento Lutero-Hitler che adesso ripresentiamo in un nuovo formato.

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Hitler e Lutero, un accostamento sgradevole

a cura di Marcello Cicchese

GERMANIA 1933 - Hitler è al potere da qualche mese, ma il suo governo deve ancora ottenere stabilità all'interno e riconoscimento internazionale. Lo storico Joachim Fest, nel suo libro "Hitler. Una biografia", presenta un quadro dei rapporti della Germania con le altre nazioni in quel momento.
    «Hitler optò dapprima per una politica di gesti concilianti, e fece di tutto per sottolineare la continuità con la moderata politica di revisione della repubblica di Weimar. [...] Per almeno sei anni, affermò in presenza di uno dei suoi intimi, con le potenze europee doveva mantenere una sorta di "buon vicinato", soggiungendo che le grida guerresche dei circoli nazionalistici erano quindi fuori posto. Culmine della sua politica di sincere offerte di intesa fu il grande "Friedensrede", il "discorso della pace" del 17 maggio 1933, ancorché Hitler non rinunciasse certo all'occasione di protestare contro l'illimitato mantenimento di una discriminazione tra vinti e vincitori, minacciando perfino di ritirarsi dalla conferenza per il disarmo e addirittura dalla Lega delle Nazioni, qualora alla Germania si continuasse a negare la effettiva parità di diritti. [...]
         Il 14 ottobre, poco dopo che il ministro degli esteri britannico, Sir John Simon, gli aveva reso note le nuove posizioni degli alleati, ed era ormai evidente la loro decisione di imporre alla Germania, ove fosse necessario, il quadriennio di prova al tavolo stesso delle trattative, Hitler rese noto il proprio proposito di abbandonare la Conferenza per il disarmo, in pari tempo annunciando il ritiro della Germania dalla Lega delle Nazioni. [...]
        Significativamente, Hitler collegò subito l'uscita dalla Lega delle Nazioni con una nuova iniziativa, mediante la quale si spinse ben oltre i moventi iniziali: sottopose la propria decisione al primo plebiscito plenario, inscenato tra grandi rumori propagandistici, facendone dipendere anche la rielezione del Reichstag, costituito il 5 marzo e che in parte era ancora anacronisticamente determinato dalla struttura partitica dell'epoca di Weimar.
        Hitler in persona inaugurò la campagna il 24 ottobre, con un grande discorso al Palazzo dello Sport di Berlino; le votazioni erano fissate per il 12 novembre, giorno successivo al quindicesimo anniversario dell'armistizio del 1918. [...]
        Anche questa volta, come l'anno prima, venne scatenata una furiosa "guerra dei manifesti" sotto la parola d'ordine "vogliamo onore e uguali diritti!" A Berlino, a Monaco, a Francoforte, furono fatti sfilare, sulle loro carrozzelle, mutilati di guerra recanti cartelli che dicevano: "I caduti della Germania vogliono il tuo voto!" Ampia diffusione in Germania trovavano anche, significativamente, frasi pronunciate dal ministro della difesa britannico Lloyd George: «Il diritto è dalla parte della Germania» e «per quanto tempo l'Inghilterra tollererebbe una simile umiliazione?».
        Il 95% dei votanti approvarono la decisione del governo, e, pur ammettendo che il risultato fosse manipolato e ottenuto mediante il ricorso a misure terroristiche, non si può negare che desse voce in maniera abbastanza esatta allo stato d'animo del pubblico. Nelle concomitanti elezioni per il Reichstag, dei quarantacinque milioni di cittadini aventi diritto di voto, trentanove milioni lo diedero alla lista unica nazionalsocialista.»1
In data 29 ottobre 1933, cioè dopo l'uscita della Germania dalla Lega delle Nazioni e prima dell'annunciato plebiscito, compare un commento a questi avvenimenti su "Zeitspiegel" (Specchio dei tempi), allegato di un settimanale evangelico dal titolo "Heilig dem Herrn" (Santo al Signore). Il responsabile dell'allegato, Wilhelm Goebel, è un anziano cristiano evangelico (63 anni), con buone conoscenze di storia e letteratura e ben informato sui fatti politici in corso. E' uno dei tanti evangelici di quel tempo che, pur avendo buone conoscenze bibliche, non soltanto non intuì che nella persona e nel movimento di Hitler ci poteva essere qualcosa che non andava, ma anzi rimase catturato e addirittura affascinato dalla figura del Führer, individuando in lui un autentico salvatore della Germania donato dalla misericordia di Dio al popolo tedesco. E, cosa degna di riflessione, il fascino per Hitler e la repulsione per gli ebrei sono elementi che nei suoi pensieri si sostengono e si confermano a vicenda. Riportiamo qualche estratto dai suoi commenti.
    «L'uscita dalla Conferenza del disarmo e dalla Società delle Nazioni non è stata fatta in modo affrettato, avventato e arrogante, ma soltanto dopo aver usato tutta la pazienza necessaria. Hitler e i suoi consiglieri sono certamente ben consapevoli delle conseguenze che ci possono essere anche nel caso peggiore.
        Di quello che adesso è avvenuto dobbiamo ringraziare soprattutto gli ebrei e gli amici degli ebrei. Io intendo gli ebrei che dalla loro cattiva coscienza sono fuggiti per paura all'estero quando la Germania si è risvegliata. Adesso siedono all'estero, pieni di veleno e di bile e aizzano con la satanica abilità e mancanza di scrupoli che appartiene alla parte degenerata di questo popolo. Naturalmente dispongono anche di ricchi mezzi finanziari e di ottime relazioni. I loro compagni di popolo e di sentimenti occupano all'estero le posizioni più influenti. Una cosa ci deve essere ben chiara: che questi ebrei vogliono aizzare il mondo in una guerra di sterminio contro la Germania. Per gli ebrei la vittoria del nazionalsocialismo in Germania è un terribile colpo che deve essere neutralizzato. Nel suo discorso Hitler ha detto giustamente:

      "Decine di migliaia di americani, inglesi e francesi sono stati in questi mesi in Germania e hanno potuto constatare con i loro occhi che non esiste paese al mondo in cui c'è più calma e ordine che nell'odierna Germania, che in nessun paese al mondo la persona e la proprietà vengono più rispettate che in Germania, e inoltre che forse in nessun altro paese al mondo viene condotta una lotta più accanita contro quegli elementi criminali che credono di poter lasciare libero sfogo ai loro più bassi istinti a danno dei loro simili. Sono queste persone, e i loro aiutanti e amici degli aiutanti comunisti, che oggi come emigranti (profughi) fanno di tutto per aizzare uno contro l'altro gli onesti e rispettabili popoli. Il popolo tedesco non ha alcun motivo di invidiare il resto del mondo per questo guadagno. Noi siamo convinti che pochi anni basteranno per aprire bene gli occhi agli onesti membri degli altri popoli sul vero valore di quegli onorati elementi che sotto la bandiera dei profughi politici hanno ripulito le zone della loro più o meno grande mancanza di scrupoli economica."

         Nel frattempo ho ascoltato già due volte il grande discorso di Hitler. Una volta dalla sua bocca, una volta dal disco e se potessi ascoltarlo una terza volta, non sarebbe certo tempo perso. Questo discorso rimarrà di imperitura importanza storica, comunque andranno a finire le cose. Questo discorso al mondo stabilisce fondamenti del tutto nuovi per i rapporti dei popoli fra di loro. Non sarà più l'intrigante e totalmente falsa diplomazia, i cui fili sono sempre tirati da persone cattive, false ed egoiste, a decidere su guerra e pace, ma sarà il proprio popolo e i popoli della terra che dovranno essere appellati. E questo oggi è possibile attraverso il miracolo tecnico della radio. Il nostro Führer e Cancelliere del popolo ha fatto quello che poteva e continuerà a fare quello che può. Il discorso mi ha toccato fin nel mio più intimo, anche se non conteneva niente che non sapessi già e che non mi fossi già detto più volte. E come a me, questo sarà accaduto a molti, molti altri. Ma il modo in cui è stato espresso ha toccato l'anima tedesca nel più profondo. Quando Hitler ha finito, abbiamo fatto quello che certamente anche molti altri hanno fatto nella stessa ora: abbiamo pregato e lodato Dio. Quale meravigliosa forza di schiettezza, di verità, di assennatezza, di riconoscimento e giustizia nei confronti di altri popoli, di disponibilità alla pace e nello stesso tempo di irremovibile volontà di non lasciarsi sospingere mai e da nessuno oltre il limite sopportabile per l'onore e il bene del popolo tedesco! [risalto nell'originale]
         In cuor mio l'ho lodato ancora una volta, ma adesso voglio farlo anche qui, pubblicamente, davanti alle decine di migliaia che leggono questo articolo:
         A favore di quest'uomo [ Hitler ] inviatoci da Dio io mi pongo in modo fermo e irremovibile. A lui va la mia incondizionata fiducia e niente mi potrà confondere, nessuna paurosa, meschina o perfino maligna critica, ma anche nessuna umana imperfezione, nessun errore o avventatezza, sì neppure evidenti peccati come si trovano nel grande movimento nazionalsocialista. Fino a quando Hitler camminerà sulla via su cui finora ha camminato, io camminerò con lui con la più profonda e intima convinzione, e parteggerò per lui ovunque e come io potrò. E facendo questo sono convinto di compiere un servizio secondo la volontà di Dio e nel senso migliore per il bene del mio popolo e della mia patria. Ma so anche che su questa via Dio sarà con lui, anche se la via dovesse passare attraverso gravi difficoltà [risalto nell'originale] .
        Questo è il mio voto [Gelöbnis], e non m'importa se alcuni diranno che è "cieca soggezione".»
Segue un invito accorato a votare Hitler nel prossimo plebiscito del 12 novembre e a sostenerlo in preghiera:
        «Ma ora invito tutti i miei lettori e lettrici a fare la stessa cosa. Basta adesso con tutte le perplessità! Basta con tutte le paure! Basta con tutto questo meschino rimaner attaccati a piccolezze e a singoli fatti accaduti! Basta con questo star a sentire critici e disfattisti che affossano la fiducia di cui adesso il Cancelliere del popolo ha più che mai bisogno e che procurano sconforto al cuore del popolo! [risalto nell'originale]
        E se non fosse presente un istinto più elevato, almeno l'istinto di conservazione dovrebbe indurre ciascuno a mettersi dietro a Hitler in modo fermo e deciso. La Germania adesso in effetti è legata a lui nella buona e nella cattiva sorte. Ricordo la frase del Kaiser Guglielmo II: «Adolf Hitler è l'unico uomo che può salvare la Germania.» E hanno anche riferito che quel monarca così duramente provato prega ogni giorno per colui che adesso istituzionalmente occupa il suo posto. E questo non significa una svalutazione del grande, venerando Hindenburg. Anche il Kaiser appartiene dunque alle "SA oranti", e io invito coloro che appartengono alla schiera dei nostri lettori a fare altrettanto: insistete nella preghiera! [risalto nell'originale]. Adesso si deve formare una catena di preghiera per il Cancelliere. Che immane peso di responsabilità grava su di lui, che alla fin dei conti è soltanto un uomo! Di quale incalcolabile portata è ogni sua parola, ogni sua decisione! Pregate anche per i suoi collaboratori e consiglieri. Un loro intervento sbagliato, una precipitazione, un ritardo occasionale, un'errata valutazione della situazione può provocare un danno che forse neanche Hitler potrebbe rimediare. Pregate anche per la sua guardia del corpo! Avete pensato a quanti piani di omicidio contro di lui saranno già stati preparati? Quel tipo di persone che hanno incendiato il Reichstag non indietreggia certo davanti a simili progetti diabolici. Anche la migliore protezione non può bastare se Dio non tiene la mano sulla sua vita. E ancora una volta invito a fare qualcosa di totalmente naturale!
         Il 12 novembre ciascuno deve sostenere Hitler davanti al mondo con il suo voto SI! Ciascuno deve anche fare pressioni affinché tutte le persone a lui accessibili facciano la stessa cosa. Perché se c'è una cosa che può fare ancora fare impressione sui popoli intorno a noi è la ferma compattezza del popolo tedesco [risalto nell'originale].»2
Il 10 novembre 1933, giorno in cui la Germania celebrava il 450esimo anniversario dalla nascita di Martin Lutero, il direttore di Zeitspiegel ascolta un discorso propagandistico fatto da Hitler alle maestranze tedesche e in un successivo numero del suo settimanale ne riporta l'impressione ricevuta:
        Tutti i membri di famiglia e i collaboratori che non avevano la possibilità di ascoltare a casa il discorso ci siamo seduti intorno alla scatola delle meraviglie marrone [la radio]. Ancora una volta, che discorso è stato! Quel fervido lottare con l'impiego di tutta la forza dell'anima per la conquista dell'anima dei lavoratori e di tutto il popolo! Tutti li vuole conquistare, il Führer, per la Germania, per la grande comunità di popolo tedesca. Così si dovrebbe lottare dai pulpiti, dalle cattedre e nella cura pastorale per la conquista delle anime per il Regno celeste! E' stata una lotta per la verità, per il diritto, per la libertà e per l'onore. Ciascuno, anche se udiva soltanto la voce dell'oratore, si rendeva conto di quanto [l'oratore] prendesse la cosa sul serio. Veramente, è stato un lottare dell'anima per una grande cosa che Dio ha messo su di lei e in lei. Quest'uomo non può agire diversamente. Andrebbe a fondo, non solo internamente ma anche esternamente, se non facesse quello che gli è stato comandato. Un tale uomo si trova sotto una sacra interna costrizione contro la quale non è possibile alcuna ribellione (Geremia 20:8-9, 1 Corinzi 9:16). Questo è stato ciò che ha spinto Gesù quando ha gridato a Zaccheo: «Oggi devo entrare in casa tua», Gesù, che qui poteva dire: «O Dio, compio volentieri la tua volontà». Questo sacro imperativo dell'ubbidienza l'ha portato nel Getsemani in un'ora tremenda. Così fu costretto Paolo, così fu costretto Lutero, di cui oggi, mentre scrivo queste righe, si celebra il 450esimo anniversario dalla nascita. Anche se potrei essere frainteso, dico questo: il discorso di Hitler è stato per me un discorso di Lutero, anche se il nome di questo grande non è stato nominato e neppure poteva esserlo in questa occasione. Non ci posso fare niente: se ascolto Hitler o leggo qualcosa di lui, senza volerlo si presenta davanti a me Lutero, e se leggo qualcosa di Lutero, automaticamente devo pensare a Hitler. Sono così diversi, questi due grandi tedeschi, così diversi nel loro essere, nei loro compiti, e tuttavia così uguali, così simili. Tutto ciò che è veramente grande è sempre simile a se stesso, anche se a una superficiale osservazione può apparire molto diverso. Lo stesso ardore dell'anima. In entrambi brucia come un fuoco che non si può spegnere, che li consuma e che tuttavia li rende così forti e così felici anche in mezzo a pene e dolori.»3
Riportiamo un piccolo saggio di questo "memorabile" discorso:
    «La lotta tra i popoli e l'odio fra di loro sono alimentati da precise parti interessate. E' una piccola, sradicata clique internazionale che aizza l'uno contro l'altro i popoli e non vuole che arrivino alla pace. Sono gente che sono a casa dappertutto e in nessun luogo, che non hanno un suolo su cui sono cresciuti ma oggi vivono a Berlino, domani a Bruxelles e il giorno dopo a Parigi, e dappertutto si sentono a casa [una voce dal fondo grida: Jude!]. Loro sono i soli a cui internazionalmente ci si può rivolgere, perché in ogni posto possono fare i loro affari, ma il popolo non può seguirli.» audio


L'"anima tedesca" fu conquistata e nel plebiscito del 12 novembre il governo nazista ottenne il 95% dei voti.

Due uomini come Lutero e Hitler sono stati avvicinati. Riportiamo allora qualche stralcio dei loro scritti da cui si potrà riconoscere come "in entrambi brucia come un fuoco che non si può spegnere, che li consuma e che tuttavia li rende così forti e così felici."


QUELLO CHE HA DETTO ADOLF HITLER
    «Il fatto che egli [l'ebreo] ogni tanto abbandoni il suo territorio non dipende dalla sua volontà, ma è la conseguenza di sfratti che di tempo in tempo lo cacciano via per avere abusato degli ospiti. E quel suo dilagare è un tipico fenomeno parassitario; egli cerca sempre nuove possibilità di nutrimento per la sua razza.
    Ciò naturalmente non ha niente a che vedere col nomadismo, dato che l'ebreo non pensa affatto di abbandonare il territorio che ha occupato, ma rimane dove si è stanziato, e così saldamente che non lo si può più cacciar via se non per mezzo della violenza. Il suo diffondersi in nuovi Paesi avviene soltanto se e in quanto vi possa trovare migliori condizioni per l'esistenza, senza le quali egli, come il nomade, non muterebbe la sua attuale residenza. Egli è e rimane il tipico parassita, uno scroccone, che si spande alla maniera di bacilli dannosi, purché trovi un terreno favorevole. E anche gli effetti del suo sopraggiungere somigliano a quelli degli scrocconi: dove penetra, dopo un tempo più o meno breve, l'indigeno muore ...
        In questo modo l'ebreo visse negli Stati altrui e vi formò il suo proprio, mascherato per lungo tempo col nome di "comunità religiosa", fino a quando le circostanze esteriori non gli consigliarono di svelare la sua vera natura. Non appena si credette tanto forte da non avere più bisogno di tale velo, egli lo lasciò cadere e si manifestò proprio quello che gli altri non avevano voluto o potuto vedere: l'ebreo.
    Nell'esistenza dell'ebreo quale parassita del corpo di altri popoli, si fonda una caratteristica che indusse Schopenhauer a pronunciare la sua famosa frase: l'ebreo è un gran maestro di menzogne. È il suo genere di esistenza che spinge l'ebreo alla menzogna; e proprio a una menzogna eterna, come gli abitanti del nord sono obbligati a indossare sempre un vestito pesante. La sua esistenza in mezzo agli altri popoli può durare a lungo soltanto se gli riesce di far nascere l'opinione che non si tratti già di un popolo speciale, ma di una collettività religiosa - questa è la prima grande bugia.
        Infatti, per poter continuare la sua vita di parassita dei popoli, gli tocca rinnegare la sua profonda natura. Quanto più intelligente è il singolo ebreo, tanto più facile gli riuscirà tale imbroglio. [...]
        Il popolo ebreo fu sempre dotato di caratteristiche razziali e mai di una confessione religiosa; ma le necessità vitali l'obbligarono presto a cercare un mezzo che potesse distogliere l'attenzione da lui e dai suoi aderenti. Il mezzo più adatto e inoffensivo apparve subito l'introduzione del concetto di "comunità religiosa". Ma anche qui tutto è preso a prestito, o meglio rubato - infatti dalla sua natura fondamentale l'ebreo non poteva trarre istituzioni religiose, ché gli manca completamente ogni forma di idealismo, e perciò ogni fede nell'aldilà. E dal punto di vista ariano, noi non riusciamo a raffigurarci una religione che sia priva di qualsiasi fede in una immortalità dopo la morte. Neanche il Talmud è un libro che prepari all'aldilà, ma soltanto a una pratica e redditizia vita quaggiù.
        La dottrina religiosa ebraica è in primo luogo un metodo per mantenere puro il sangue del giudaismo, e un codice che regola i rapporti degli ebrei fra di loro e ancor più col resto del mondo, cioè coi non ebrei. Ma anche qui non si tratta affatto di problemi etici, bensì solo di precisi problemi economici. Sul valore morale dell'insegnamento religioso ebraico, ci sono molti studi penetranti (non certo da parte ebraica, ché le interpretazioni degli ebrei sono naturalmente rivolte a uno scopo preciso), i quali ci fanno apparire un simile tipo di religione assolutamente assurdo, secondo i nostri concetti ariani. Ma la miglior dimostrazione di ciò è il prodotto di tale educazione semita, cioè l'ebreo stesso. La sua vita è talmente lontana dal nostro mondo, e il suo spirito dal cristianesimo, come lo era duemila anni fa nei confronti del fondatore della nuova dottrina. Anche costui non nascose la sua opinione al popolo ebraico, e afferrò perfino la frusta per cacciare dal tempio del Signore questi negatori dell'umanità, i quali già allora vedevano nella religione un mezzo per fare ottimi commerci. Perciò Cristo venne inchiodato alla croce, mentre il nostro cristianesimo politico si abbassa oggi a elemosinare i voti dagli ebrei, e cerca di accordarsi coi partiti ebraici per sconclusionate avventure politiche, magari contro il proprio popolo.»4
    Il 30 gennaio 1939, in un discorso tenuto al Reichstag in occasione del sesto anniversario della sua ascesa al potere, Hitler manifestò la sua coerente determinazione nei confronti degli ebrei con una "profezia" che in seguito ripeterà più volte:
    «In vita mia molto spesso sono stato profeta, e il più delle volte mi hanno riso in faccia. Quando lottavo per ascendere al potere, e predicevo che prima o poi avrei afferrato le redini dello stato e dell'intero popolo tedesco e quindi, tra le altre cose, avrei anche risolto il problema giudaico, erano proprio gli ebrei i primi a ridere delle mie parole. Ho motivo di credere che nel frattempo questa vuota risata del giudaismo tedesco gli sia morta in gola. Oggi voglio essere profeta ancora una volta: se il capitale giudaico internazionale dentro e fuori l'Europa riuscirà nuovamente a precipitare le nazioni in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e dunque la vittoria del giudeo, ma l'annientamento (Vernichtung) della razza ebraica in Europa!» audio



QUELLO CHE HA DETTO MARTIN LUTERO
    «A Gerusalemme, sotto Davide e Salomone, essi [gli ebrei] non avrebbero potuto godere di giorni tanto felici nelle loro proprietà, come ora nelle nostre, che ogni giorno derubano e rapinano; e tuttavia si lamentano che noi li teniamo prigionieri! Ebbene sì: li abbiamo presi e li teniamo prigionieri, come io tengo prigioniero il mio calcolo, le mie ulcere, e tutte le altre malattie e malanni, dei quali devo prendermi cura, come un povero servo, con denaro e beni e con tutto ciò che posseggo. Oh, vorrei tanto che quelli fossero a Gerusalemme, con gli ebrei, e con chiunque altro volessero!
    E visto che ora è certo che noi non li teniamo prigionieri, come mai, allora, questi nobili, grandi santi, ci sono tanto ostili? [...]
        E invece, malgrado i loro assassini, maledizioni, ingiurie, menzogne, infamie, li lasciamo vivere liberi presso di noi; proteggiamo e difendiamo le loro sinagoghe, le loro case, le loro persone e i loro beni, e cosi li rendiamo pigri e sicuri, e li aiutiamo a succhiarci, tranquilli, il nostro denaro e i nostri beni, mentre - per di più - ci maledicono e ci sputano addosso, e chissà che alla fine non potranno sopraffarci, e per questo grande peccato ammazzarci tutti, prendersi tutti i nostri averi, come ogni giorno si augurano nelle loro preghiere e sperano. Dimmi tu, ora, se non hanno tutte le ragioni per essere ostili a noi, dannati goijm [non ebrei, ndr], per maledirci e cercare la nostra ultima, radicale ed eterna rovina!
        Da tutto questo noi cristiani vediamo (perché gli ebrei non possono vedere) quale terribile ira di Dio si sia abbattuta su questo popolo e continui ad abbattersi su di esso senza sosta; quale fuoco e quale vampa bruci lì, e cosa ottengano quelli nel maledire Cristo e i suoi cristiani e nell'essere loro nemici. [...]
        Cosa vogliamo fare ora noi cristiani con questo abietto, dannato popolo degli ebrei? Dal momento che essi vivono presso di noi, e conosciamo queste loro menzogne, ingiurie e maledizioni, noi non possiamo più tollerarli, per non essere partecipi di tutte le loro menzogne, maledizioni e ingiurie.5

    Io voglio dare il mio sincero consiglio.
        In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto. [...]
        Secondo: bisogna allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari, perché sappiano che non sono signori del nostro Paese, come invece si vantano di essere, ma sono in esilio e prigionieri, come essi dicono incessantemente davanti a Dio strillando e lamentandosi di noi. [...]
        Terzo: bisogna portare via a loro tutti i libri di preghiere e i testi talmudici, nei quali vengono insegnate siffatte idolatrie, menzogne, maledizioni e bestemmie. [...]
        Quarto: bisogna proibire ai loro rabbini - pena la morte - di continuare a insegnare, perché essi hanno perduto il diritto di esercitare questo ufficio. [...]
        Quinto: bisogna abolire completamente per gli ebrei il salvacondotto per le strade, perché essi non hanno niente da fare in campagna, visto che non sono né signori, né funzionari, né mercanti, o simili. [...]
        Sesto: bisogna proibire loro l'usura, confiscare tutto ciò che possiedono in contante e i gioielli d'argento e d'oro, e tenerlo da parte in custodia. E il motivo è questo: tutto quello che hanno (come sopra si è detto), lo hanno rubato e rapinato a noi attraverso l'usura, perché, diversamente, non hanno altri mezzi di sostentamento. [...]
        Settimo: a ebrei ed ebree giovani e forti, si diano in mano trebbia, ascia, zappa, vanga, conocchia, fuso, in modo che guadagnino il loro pane col sudore della fronte, come fu imposto ai figli di Adamo, al terzo capitolo della Genesi. Poiché non è giusto che essi vogliano far lavorare noi, maledetti goijm nel sudore della nostra fronte, e che essi, la santa gente, vogliano consumare pigre giornate dietro la stufa, a ingrassare e scorreggiare, vantandosi in questo modo blasfemo di essere signori dei cristiani, grazie al nostro sudore. A loro bisognerebbe invece scacciare l'osso marcio da furfanti dalla schiena!6
    [...]
        Insomma, cari principi e signori, che avete ebrei sotto di voi, se il mio consiglio non vi aggrada, allora trovatene uno migliore, cosicché voi e noi tutti, possiamo essere liberati dall'insopportabile, diabolico peso degli ebrei e non ci rendìamo colpevoIi davanti a Dio di essere complici di tutte le menzogne, bestemmie, calunnie, maledizioni, che i furiosi ebrei scagliano tanto liberamente e gratuitamente contro la persona del nostro Signore Gesù Cristo, della Sua cara madre, di tutti i cristiani, delle autorità e di noi stessi. Fate sì che non abbiano alcuna protezione né difesa, alcun salvacondotto, né vita comune con noi, e che il denaro e i beni, vostri e dei vostri sudditi, ottenuti attraverso l'usura, non servano loro a questo e non siano loro di alcuna utilità. Noi abbiamo comunque già abbastanza peccati su di noi, ancora dai tempi del Papato, e ogni giorno ne aggiungiamo molti altri per la nostra ingratitudine e il nostro disprezzo della Sua parola e di tutta la Sua grazia, e dunque non è necessario che prendiamo su di noi anche di questi estranei e turpi vizi degli ebrei e che, per di più, diamo loro denaro e averi. Dobbiamo considerare che noi ora combattiamo ogni giorno contro i turchi, e per questo abbiamo bisogno di alleggerire i nostri peccati e condurre una vita migliore. lo voglio avere la coscienza pulita e libera dalla colpa, dal momento che vi ho sinceramente ammoniti e messi in guardia. [...]
        E voi, miei cari signori e amici, che siete pastori e predicatori: io voglio avervi qui ricordato, del tutto sinceramente, il vostro compito cosicché anche voi mettiate in guardia - come sapete fare bene - i vostri parrocchiani dalla loro eterna rovina: che cioè si guardino dagli ebrei, e li evitino quando possono. [...]
        Si lasci che l'autorità agisca nei loro confronti, come ho appena indicato. Ma che l'autorità lo faccia o no, quanto meno ciascuno si comporti secondo coscienza, e si faccia una tale idea o immagine di un ebreo.»7
Il libello di Lutero contro gli ebrei, Degli ebrei e delle loro menzogne, da cui sono tratte queste citazioni, naturalmente è ben noto agli storici, ma non al grande pubblico. Qualche cristiano poco informato, una volta venuto a conoscenza di simili scritti potrebbe rimanere scandalizzato e chiedersi come mai non siano stati sufficientemente divulgati e adeguatamente discussi dagli storici protestanti. La domanda è pertinente e la risposta potrebbe essere molto semplice: perché l'antisemitismo palese e sanguigno di Lutero è sostanzialmente condiviso, anche se in forma dissimulata e teologicamente fredda, da molti cristiani, teologi e non. Anche il direttore di Zeitspiegel, persona di una certa cultura, conosceva e aveva letto il libello di Lutero, ma non ne era rimasto scandalizzato. Anzi, gli sembrò di riconoscere nelle parole veementi e appassionate del suo ammirato Führer la sanguigna focosità del Riformatore.
    Qualche anno fa è stata tradotta in italiano una poderosa opera di un profondo studioso della Riforma protestante8. Nell'ultima pagina di copertina si dice tra l'altro:
    «Lutero non ha inteso insegnare dottrine nuove ma - come Giosuè - ha guidato il popolo di Dio alla scoperta del nuovo mondo della teologia biblica, dopo averlo liberato dalla schiavitù della scolastica. E' un teologo troppo grande per poter essere rinchiuso nei limiti confessionali; in realtà egli appartiene a tutta l'ecumene cristiana: egli addita Cristo e l'Evangelo.»
Nel libro dunque Lutero viene presentato come qualcuno che "addita Cristo e l'Evangelo", e poiché nella Bibbia sta scritto che l'Evangelo è "potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco" (Romani 1.16), da un libro di oltre 400 pagine sulla figura di questo personaggio ci si sarebbe aspettati che l'autore avvertisse l'obbligo di affrontare con impegno lo scandalo della presentazione di un Evangelo che invece di provocare "gelosia" (Romani 11.14) negli ebrei al fine di attirarli alla salvezza, provoca in loro un senso di disgusto che li respinge. L'autore invece sbriga la cosa con una mezza paginetta che può essere riportata per intero:
    «In questo stesso periodo si evidenzia anche un'altra ombra nel pensiero di Lutero: le sue polemiche contro gli ebrei. Lutero viveva in una società fortemente antisemita, periodicamente agitata da ondate d'odio antiebraico e da spettacolari cacciate di ebrei con distruzioni di sinagoghe ecc.; egli non riuscì mai a liberarsi completamente dai pregiudizi antiebraici correnti al suo tempo. Aveva sperato che, all'ascolto del vero Evangelo, si sarebbero convertiti; fu quindi molto deluso dalla loro «durezza di cuore». Gli venne riferito che, in certe zone, particolarmente in Moravia, gli ebrei stavano tramando per attirare i cristiani dall'Evangelo al giudaismo, e che avrebbero pronunciato sanguinosi insulti e bestemmie contro Cristo. Quest'ultima accusa sconvolse profondamente Lutero: il mondo intero avrebbe potuto dire tutto quel che voleva contro di lui senza riuscire a provocare una sua reazione, ma attaccare la sua teologia, criticare l'Evangelo o denigrare il suo Signore e Maestro Gesù Cristo, significava provocar tutte le invettive della sua fierissima penna. Si lasciò così trascinare a fare alcune osservazioni spiacevoli sugli ebrei, che egli vedeva sempre implicati nell'usura, e dichiarò esplicitamente che, se non avessero compiuto un onesto e duro lavoro quotidiano come qualsiasi altro tedesco, sarebbero stati cacciati dal paese.
    È vero che l'attacco di Lutero fu essenzialmente teologico - per lui l'«ebreo» era innanzitutto un concetto teologico (il difensore ad oltranza della «Legge») più che razziale - ma su questo punto non è certo esente da critiche pienamente giustificate. Nel suo libro sugli ebrei e le loro menzogne si impegnò in particolare a dimostrare la follia della superbia razziale e religiosa ebraica e l'assurdità della loro attesa messianica.»9
Tutto qui. L'antisemitismo di Lutero sarebbe dunque poco più che un antiestetico neo, una nota leggermente stonata in una sublime sinfonia. Ma forse per l'autore non si tratta neppure di antisemitismo, perché per Lutero l'ebreo era innanzitutto un "concetto teologico". Un concetto teologico? Riportiamo allora un'altra frase del libello luterano:
    «… questa melma torbida, questa rancida feccia, questa schiuma secca, questo fondo ammuffito, questa limacciosa palude dell'ebraismo, dovrebbe meritare, in virtù della sua penitenza e della sua giustizia, il regno del mondo intero, cioè il Messia e il compimento delle profezie, ora che non hanno niente delle suddette cose, e non sono altro che la putrida, maleodorante, abietta feccia della stirpe dei loro padri?»10
Non sembra dunque che l'unico aspetto degli ebrei colpito sia quello teologico.
    La teologia comunque c'entra, perché Lutero nel suo discorso fa intervenire anche il Diavolo:
    «Perciò sappi, caro cristiano, e non avere dubbi a riguardo, che, subito dopo il diavolo, tu non hai nemico più acre, più velenoso, più acceso, di un vero ebreo, il quale voglia seriamente essere un ebreo. Tra loro ci possono forse essere anche quelli che credono in ciò in cui crede una mucca, o un'oca, tuttavia la stirpe e la circoncisione gravano su tutti loro. Perciò nelle storie si dà spesso a loro la colpa, di aver avvelenato i pozzi, di aver rapito e seviziato bambini […]. Essi negano decisamente. Però - che sia vero o no - io so bene che, se potessero realmente farlo, di nascosto o apertamente, a loro non ne mancherebbe la completa, piena e pronta volontà"»11
Con questa frase Lutero si assume la tremenda responsabilità di avallare con la sua autorità le più maligne dicerie popolari sulle presunte atrocità commesse dai giudei, e lo fa nel modo più ambiguo e nocivo che ci possa essere: non si interessa della veridicità delle voci che riportano quelle efferatezze, ma afferma apoditticamente che se gli ebrei potessero, certamente le commetterebbero. Un atteggiamento simile tenne secoli dopo anche Adolf Hitler, che davanti al falso storico "I Protocolli dei Savi anziani di Sion", secondo cui gli ebrei complottano per arrivare a dominare il mondo, sostenne appunto che non era importante accertare se i fatti riportati fossero veri, perché certamente erano verosimili, cioè era certo il fatto che gli ebrei avevano quelle intenzioni e tramavano per metterle in pratica.
    «Tutta l'esistenza di questo popolo poggia su una continua menzogna, come appare nei famosi Protocolli dei Savi anziani di Sion. Essi si fondano su una falsificazione, lamenta piagnucolando la "Frankfurter Allgemeine", e in questo sta la miglior prova che sono veri. Ciò che molti ebrei vorrebbero inconsciamente fare, qui è consapevolmente dichiarato. Ed è quello che conta. Non importa invece sapere da quale cranio giudaico siano uscite tali rivelazioni; è essenziale però il fatto che essi rivelino con orrenda sicurezza la natura e l'attività del popolo ebraico, e li espongano nei loro rapporti interni e nei loro scopi finali.»12
A ragione quindi Hitler avrebbe potuto dire che lui aveva imparato da Lutero, l'ammirato eroe religioso della nazione germanica che aveva saputo mettere in guardia i suoi connazionali dagli ebrei con parole come queste:
    «Certo, se potessero fare a noi ciò che noi possiamo fare a loro, non rimarremmo in vita neanche un'ora. Infatti, pur non potendolo fare apertamente, essi rimangono nei loro cuori i nostri quotidiani assassini e sanguinari nemici. Lo provano le loro preghiere e maledizioni e le tante storie di bambini uccisi da loro, e di malefatte di ogni genere da loro commesse e le tante storie di bambini uccisi, per le quali spesso furono bruciati e cacciati. Perciò io sono fermamente convinto che in segreto essi dicano e facciano cose ben peggiori di quelle che le storie e altri scritti attribuiscono loro, e che però facciano affidamento sul loro diniego e sul loro denaro. [...] Solo le maledizioni possono convincerli, cosicché bisogna credere a tutte le cose cattive che si scrivono sugli ebrei: essi fanno sicuramente di più e di peggio di quanto noi non sappiamo e non veniamo a sapere!»13
Qualunque malvagità si dica sugli ebrei deve dunque essere creduta, perché in ogni caso loro sono certamente peggiori di quel che si dice. Questo è l'insegnamento luterano, il quale trova il suo culmine in queste parole:
    «Noi non accoltelliamo i loro bambini, non avveleniamo le loro acque, non siamo assetati del loro sangue, perché dunque, ci attiriamo una tanto atroce ira, invidia e odio, da parte di questi grandi e santi figli di Dio? Non c'è altra spiegazione, se non ciò che abbiamo detto prima citando Mosè: cioè che Dio li ha colpiti con la follia, la cecità, il delirio del cuore. E così anche noi siamo colpevoli: per non aver vendicato il sangue innocente del nostro Signore e dei cristiani, che essi hanno versato per trecento anni dopo la distruzione di Gerusalemme, e il sangue dei bambini versato fino a ora (come appare ancora dai loro occhi e dalla loro pelle). Siamo colpevoli di non averli uccisi.»14
Ci penserà Hitler, quattrocento anni dopo, a tentare di rimediare a questa "colpa" dei cristiani con la costruzione delle camere a gas. Non c'è da sorprendersi se i più feroci antisemiti del regime nazista abbiano considerato Lutero uno dei più grandi tedeschi della storia mondiale.
    Ma peggiore ancora dell'ammirazione degli antisemiti per Lutero è il tentativo di certi studiosi cristiani di attenuare il suo antisemitismo proponendone una contestualizzazione storica e teologica:
    «Come la storiografia più recente ha sottolineato, l'antigiudaismo di Lutero deve sempre essere collocato nel contesto storico e culturale del XVI secolo e in una prospettiva che è, e rimane, essenzialmente teologica anche quando le conseguenze delle posizioni del riformatore assumono una valenza più propriamente politica, come nel caso di questa terza parte del trattato. Da qui la necessità di leggere l'elenco delle durissime misure che Lutero suggerisce ai governanti e ai pastori, sempre in relazione alle parti del trattato nelle quali egli espone le proprie posizioni su basi teologico-scritturali.»15
Si pensa evidentemente che attribuendo il truculento linguaggio antisemita di Lutero alla sua impostazione teologica se ne attenui la gravità. E' vero il contrario: il fatto di essere un antisemitismo teologico ne accentua la gravità perché introduce il bacillo dell'odio antiebraico nella spiritualità cristiana legittimandolo con argomenti dottrinali. E se i suoi ammiratori non se ne accorgono molto probabilmente è perché anche loro sono infettati senza accorgersene dallo stesso bacillo.
    Gli ebrei invece se ne accorgono, anche e soprattutto quelli che arrivano alla fede in Gesù come Messia d'Israele e Figlio di Dio. Un periodico che da alcuni anni viene pubblicato in Germania da "ebrei messianici", ha affrontato sulle sue pagine anche il tema di Lutero in un articolo che ha come titolo "Teologo dell'Olocausto". Di seguito alcuni estratti.
    «Lutero odiava gli ebrei della Bibbia come gli ebrei del suo tempo. La sua teologia ha legittimato e addirittura provocato l'Olocausto. "Teologo dell'Olocausto" è una qualifica che Lutero si è assolutamente meritata.

    Nell'ultima parte dell'undicesimo capitolo della lettera ai Romani Paolo afferma che la cecità di una parte di Israele per la buona notizia è soltanto temporanea. E' un mezzo per aprire la porta della salvezza anche ai gentili. Dio porrà una fine a questa cecità, perché "Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l'elezione, sono amati a causa dei loro padri" (v.28). Lutero commenta dicendo che la parola "nemici" si deve intendere qui in modo passivo, nel senso cioè che essi meritano di essere odiati. Dio li disprezza, e loro vengono odiati anche dagli apostoli e da tutti quelli che appartengono a Dio. »
Segue nello stesso articolo un giudizio complessivo molto duro su Lutero e la sua teologia:
    «Se dagli scritti di Lutero si elimina la deformazione fatta del testo biblico, la sua ripugnanza e il suo odio per gli ebrei, la sua teologia crolla. La teologia di Lutero è indissolubilmente intrecciata con il suo antisemitismo. Alcuni ammiratori di Lutero minimizzano il suo antisemitismo come un errore su cui si può chiudere un occhio. Stimano che il suo ruolo nella Riforma e le sue prestazioni teologiche siano più importanti dei suoi peccati.»
Anche se si può non condividere una stroncatura così radicale del riformatore tedesco, resta il fatto che il suo antisemitismo può essere minimizzato soltanto da chi in sostanza lo condivide, anche se prende le distanze dalle sue espressioni più pesanti e volgari.
    Tre volte, in quella lettera ai Romani il cui commentario ha contribuito alla fama di Lutero, l'ebreo Paolo fa riferimento alla superbia rivolgendosi al generico cristiano non ebreo: "... non insuperbirti contro i rami; ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te... non insuperbirti, ma temi" (Romani 11:18-20). Ed invece è proprio questo il peccato in cui Lutero è caduto, e con lui cadono anche oggi molti cristiani gentili che rifiutano di considerarsi antisemiti: la superbia di fronte agli ebrei. Una superbia che si manifesta anche nella sussiegosa condiscendenza con cui vengono osservati. "Non insuperbirti, ma temi", ammonisce la Scrittura. Temi, perché la superbia è un atteggiamento diabolico e non una semplice debolezza umana. E il Diavolo, quando si vede imitato nella sua originaria superbia entra in azione e soffia sul fuoco. Soffia fino ad ottenere risultati che all'inizio non erano previsti e forse non si volevano, ma che poi avvengono. E quando sono avvenuti appaiono mostruosi e inspiegabili.
    Qualcosa del genere deve essere avvenuto con Lutero. Il collegamento Lutero-Hitler non può quindi essere lasciato cadere con un'alzata di spalle: soprattutto gli evangelici, tra cui anche il curatore di queste note si pone, devono farne oggetto di riflessione e umiliazione. Come mostra in modo agghiacciante l'esempio del direttore di "Zeitspiegel", la superbia di cui parla l'apostolo Paolo è quasi sempre irriconoscibile. E l'antisemitismo, soprattutto fra coloro che dicendosi cristiani vorrebbero sentirsi ed essere riconosciuti come "buoni", assume forme insidiose e nomi sempre diversi. Ma il nome biblico più adatto è sempre lo stesso: superbia.

NOTE
  1. Joachim Fest, Hitler. Una biografia, Garzanti, 2005, pp. 533-538.
  2. Zeitspiegel n. 44, 29 ottobre 1933.
  3. Zeitspiegel n. 48, 29 novembre 1933.
  4. A cura di Giorgio Galli , Il Mein Kampf di Adolf Hitler. Le radici della barbarie nazista, Kaos, 2002, pp. 277-278.
  5. Martin Lutero, Degli ebrei e delle loro menzogne, Einaudi, 2000, pp.185-187.
  6. Martin Lutero, ivi, pp.188-195.
  7. Martin Lutero, ivi, pp.197-199.
  8. James Atkinson, Lutero, la parola scatenata, Claudiana, 1983.
  9. James Atkinson, ivi, p.385.
  10. Martin Lutero, ivi, p.149.
  11. Martin Lutero, ivi, p.115.
  12. A cura di Giorgio Galli, Il Mein Kampf di Adolf Hitler. Le radici della barbarie nazista, p. 279.
  13. Martin Lutero, ivi, p.216.
  14. Martin Lutero, ivi, p.186.
  15. Martin Lutero, ivi, p.189 (nota del curatore del libro).
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Un moderato, equilibrato, "evangelico" antisemitismo

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Un Messia che delude

di Marcello Cicchese

A ciascuno dei dodici apostoli Gesù aveva detto: “Seguimi”. Non era una proposta, era un ordine. Perché i dodici hanno ubbidito senza fiatare, anzi molto volentieri? Perché erano convinti che Gesù era il Messia, il Re d’Israele: dunque aveva autorità, e per loro era un onore essere stati scelti per seguirlo e servirlo. Da Lui evidentemente si aspettavano quello che era stato promesso dai profeti: l’instaurazione del regno messianico. Gesù stesso del resto ne aveva dato un solenne annuncio fin dall’inizio del suo ministero:

    “Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino»” (Matteo 4:17).

Le cose però cominciarono ben presto a mettersi male: gli scribi facevano obiezioni teologiche, i farisei erano infastiditi per la perdita di autorità che subivano presso il popolo, i sadducei temevano che un possibile sollevamento del popolo sull’onda dell’entusiasmo messianico provocasse  una violenta reazione romana. Giuda a un certo punto capì che le cose andavano a finire male, e anche Tommaso forse temeva che qualcosa di brutto si stesse preparando perché vedendo Gesù che si avviava deciso verso Gerusalemme disse agli altri: “Andiamo a morire con lui” (Giovanni 11:16). A parte questi due, tutti gli altri erano convinti che Gesù avrebbe lasciato agire gli avversari fino all’ultimo momento per fare in modo che tutti si scoprissero e venisse fuori chi aveva veramente creduto in lui fino alla fine e chi no. Pietro dunque era sincero quando disse convinto: «Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò» (Matteo 26:35). Non era una sbruffonata: poco prima aveva visto Gesù risuscitare Lazzaro. Quindi - avrà pensato - se Gesù vuole vedere chi è disposto a farsi uccidere per lui, io sono pronto. E quando nel giardino di Getsemani vide avvicinarsi una folla di centinaia di persone armate di spade e bastoni avrà pensato: questo è il momento. Erano lì per pregare, ma lui si era portato dietro una spada. Chiese a Gesù se dovevano colpire, ma come al solito non aspettò nemmeno la risposta e mirò alla testa di uno che stava davanti a lui. In seguito si scoprì che era il servo del Sommo Sacerdote. Gli staccò un orecchio, ma solo perché quell’altro fece in tempo a scansarsi. E’ certo che Pietro non voleva colpire di fino: lui voleva spaccare la testa. E davanti alla forza preponderante di una folla armata e minacciosa, questo significava per lui morte sicura. Aveva mantenuto la sua promessa: aveva dimostrato di essere pronto anche a morire per Gesù. Aveva compiuto un atto di coraggio e di fede.
  Ma qui arriva la sorpresa: Gesù non lo loda. Ma neppure lo sgrida: sapeva fin dall’inizio che sarebbe andata a finire così. Semplicemente rifiuta l’atto di fede di Pietro. Gli dice: «Rimetti la spada nel fodero» (Giovanni 18:11). E aggiunge: «Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d’angeli?» (Matteo 26:53). Appunto, proprio questo probabilmente si aspettava Pietro. Ricordava bene l’esperienza dei cinquemila nel deserto che avevano fame e non si sapeva come fare. Gesù aveva chiesto che gli portassero i pani e i pesci che avevano a disposizione e li aveva miracolosamente moltiplicati. Anche adesso - qualcuno di loro avrà pensato - occorre che qualcuno metta a disposizione quel poco che ha. Questa volta i discepoli non aspettarono che Gesù facesse la richiesta: ormai avevano capito la lezione e si fecero avanti per primi: “Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade!»” (Luca 22:38), e aspettarono che Gesù moltiplicasse le spade come aveva fatto con i pani. Ma se Gesù moltiplica le spade e le fa diventare migliaia, poi chi le brandisce? Con il riferimento alla legione di angeli probabilmente Gesù aveva toccato nel vivo il pensiero di Pietro, proprio quello su cui aveva fondato la sua fede. Non è detto che Pietro si aspettasse precisamente la venuta della legione di angeli, ma per lui poteva essere sufficiente appoggiarsi sul fatto che Gesù se vuole può fare così. Gesù ha confermato questo pensiero; in sostanza ha detto: se volessi, potrei fare così. Ma ha aggiunto: non lo voglio e non lo faccio. A questo punto ai discepoli sono venuti a mancare tutti i puntelli della loro fede e sono scappati. E’ importante sottolinearlo: non sono le armi e i bastoni che hanno fatto scappare i discepoli, ma le parole di Gesù.
  Dopo aver annullato, con il riferimento alla legione di angeli, le aspettative dei discepoli, Gesù dà la vera spiegazione del suo comportamento davanti alla folla minacciosa: «Non berrò forse il calice che il Padre mi ha dato?» (Giovanni 18:11). Quello che Gesù vuole è fare la volontà del Padre, perché la volontà di Dio compiuta sulla terra in Israele è la salvezza di Israele e di tutto il mondo.
  Ma fino all’ultimo la popolazione di Gerusalemme è rimasta col fiato sospeso nella speranza, o nel timore, che qualche fatto prodigioso avvenisse a conferma della messianità di Gesù. Perfino quando sulla croce gridò: «Elì, Elì, lamà sabactàni», alcuni dissero: «Lascia, vediamo se Elia viene a salvarlo» (Matteo 27:49).
  Ma Gesù non scese giù di croce e la delusione dei discepoli fu grande. Il loro cupo stato d’animo è ben espresso dall’episodio dei discepoli sulla via di Emmaus:

    “Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi; e parlavano tra di loro di tutte le cose che erano accadute. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano. Egli domandò loro: «Di che discorrete fra di voi lungo il cammino?» Ed essi si fermarono tutti tristi. Uno dei due, che si chiamava Cleopa, gli rispose: «Tu solo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che vi sono accadute in questi giorni?» Egli disse loro: «Quali?» Essi gli risposero: «Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose. E’ vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire; andate la mattina di buon’ora al sepolcro, non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne; ma lui non lo hanno visto»” (Luca 24:13-24).

“Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele”, sospirano sconfortati i due discepoli. Viene in mente il rimprovero rivolto da Mosè a Dio: “... tu non hai affatto liberato il tuo popolo” (Esodo 5:23) . E’ illuminante la risposta di Gesù, che i discepoli considerano ancora come uno sconosciuto forestiero:

    “Allora Gesù disse loro: «O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?» E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (Luca 24:25-27)

Gesù non rimprovera il materialismo dei discepoli, non dice che hanno sbagliato ad aspettarsi un regno politico terreno perché il suo regno è puramente spirituale; non li avverte dicendo che ormai il vecchio Israele sarà abbandonato da Dio e quindi adesso loro entreranno a far parte di un nuovo Israele che si chiamerà “Chiesa”. Gesù li tratta male, in un certo senso li insulta anche, ma non per contrapporre al loro materialismo terrestre il suo spiritualismo celeste.

• QUELLO CHE I CONTEMPORANEI DI GESÙ NON AVEVANO CAPITO
   Ancora oggi molti sostengono che gli ebrei hanno rifiutato Gesù perché si aspettavano un regno politico terrestre, e non avevano capito che il regno di Dio è invece di natura puramente spirituale. C’è un brano famoso del Vangelo di Luca chiamato “cantico di Zaccaria”:

    “Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo e profetizzò, dicendo:«Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un potente Salvatore nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso da tempo per bocca dei suoi profeti; uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano. Egli usa così misericordia verso i nostri padri e si ricorda del suo santo patto, del giuramento che fece ad Abraamo nostro padre, di concederci che, liberati dalla mano dei nostri nemici, lo serviamo senza paura, in santità e giustizia, alla sua presenza, tutti i giorni della nostra vita»” (Luca 1:67-75).

Un esegeta protestante dell’inizio del secolo scorso commenta così queste parole:

    “Le vedute di Zaccaria intorno a questo avere «Iddio visitato e riscattato il suo popolo» dovevano essere molto indistinte e imperfette. E’ probabile che partecipasse alle idee prevalenti tra i suoi compatrioti intorno al regno terreno del Messia, e alla liberazione dai loro nemici con la spada e con la lancia; ma nel mentre le parole messegli in bocca dallo Spirito di Dio, avrebbero potuto naturalmente risvegliare tali immagini terrene nella mente d’un Giudeo dominato da siffatti pregiudizi, erano egualmente adatte ad esprimere i concetti più spirituali della redenzione che è in Cristo Gesù. Tale è il senso che noi dobbiamo dare al linguaggio di Zaccaria, sebbene possa darsi che egli non comprendesse appieno il significato delle parole che gli dettava lo Spirito Santo.“

E per quanto riguarda i nemici di Israele, il commentatore dà questa spiegazione:

    “Che Zaccaria avesse, come pensano alcuni, o non avesse, in vista nemici temporali, quali erano stati in passato i Macedoni sotto Antioco, ed erano ai suoi giorni i Romani, è certo che lo Spirito d’ispirazione ci insegna in questi versetti che la principale benedizione contemplata nel patto con Abraamo non era il potere o lo splendore temporale dei suoi discendenti secondo la carne, ma, come si è detto, la liberazione della sua progenie da tutti i nemici spirituali; la salvazione dal peccato e dalla sua potenza.

Questa contrapposizione tra supposto materialismo giudaico e cosiddetto spiritualismo cristiano, oltre ad essere una falsificazione del messaggio evangelico che non cessa di essere tale per il fatto di essere molto diffusa, costituisce il presupposto ideologico di un latente antisemitismo tanto più pericoloso quanto più inconsapevole. Molto facilmente un certo tipo di spiritualismo cristiano si allea con qualche forma di idealismo pagano e si pone in lotta con il cosiddetto materialismo ebraico. Nel suo Mein Kampf Hitler si esprime così riguardo agli ebrei:

    “No, l’ebreo non possiede nessuna forza creativa, poiché egli è privo di quell’idealismo senza il quale non è possibile uno sviluppo dell’umanità verso l’alto […]  per la sua natura fondamentale l’ebreo non poteva trarre istituzioni religiose, perché gli manca completamente ogni forma di idealismo, e perciò ogni fede nell’aldilà”.

Tornando all’episodio dei discepoli sulla via di Emmaus, si può notare che Gesù non li accusa di essere poco spirituali, ma di non aver capito quello che i profeti di Israele hanno detto: cioè che il Messia doveva soffrire e così entrare nella sua gloria. Gesù non comunica nulla di nuovo ai discepoli: il suo discorso si muove tutto all’interno del mondo ebraico. Uno sconosciuto ebreo, come fino a quel momento Gesù era considerato dai discepoli, rimprovera ad altri ebrei di non aver capito che il Messia prima di entrare nella sua gloria doveva soffrire, morire e risuscitare. E cerca di convincerli di tutto questo spiegando loro le Scritture ebraiche, cominciando da Mosè.
  Non si tratta dunque di un contrasto tra Israele e Chiesa, o tra materialismo giudaico e idealismo ariano, ma di un contrasto tutto interno al messaggio ebraico veterotestamentario. Ad esso si collega una fondamentale domanda: il Messia promesso a Israele si presenterà come un mansueto agnello che si lascia immolare, o come un potente leone che sbaraglia i nemici del suo popolo?
  La difficoltà di armonizzare, nelle profezie bibliche, la figura di un Messia sofferente con quella di un Messia trionfante è ben nota nella tradizione rabbinica. Un’interpretazione molto diffusa nel passato (non è noto a chi scrive quanto lo sia ancora nel presente) è che si tratti di due personaggi: il Maschiach Ben Yoseph, Messia sofferente, figlio di Giuseppe, e il Maschiach Ben David, Messia trionfante, figlio di Davide. Il Nuovo Testamento sostiene invece che queste due figure si identificano in un’unica persona che compare sulla scena in due momenti storici diversi.

(da "Dalla parte di Israele come discepoli di Cristo")



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Trump vuole che Israele sconfigga Hamas, Hezbollah e Iran entro il 20 gennaio

Il presidente eletto degli Stati Uniti crede che questo sia l'inizio di un nuovo Medio Oriente, spiega a Israel Heute il consigliere evangelico Mike Evans.

di Itamar Eichner

Donald Trump vuole che Israele faccia il suo lavoro da qui al 20 gennaio, che elimini i due proxy dell'Iran in Libano e a Gaza e che ponga fine alla guerra. Penso anche che voglia che Israele si occupi dell'Iran entro il 20 gennaio. Israele non può attaccare gli impianti nucleari iraniani perché sono nascosti nel sottosuolo, quindi dovrebbe colpire gli impianti petroliferi iraniani e mandare così l'Iran in bancarotta. Se Israele attaccasse le raffinerie iraniane su un'unica isola, manderebbe in bancarotta l'Iran”.
  È quanto ha dichiarato il pastore evangelico americano Mike Evans in un'intervista a Israel Heute. Evans fa parte di un piccolo gruppo di importanti leader cristiani pro-israeliani che hanno consigliato Trump durante la sua prima presidenza.
  Evans ha sottolineato che la vittoria elettorale di Trump è un dono di Dio a Israele: “Trump ha una chiarezza morale. Vede le cose in modo semplice. Il bene contro il male. Per lui, Israele è il bene e i suoi nemici sono il male. Sotto Biden era il contrario. Vedevano i nemici di Israele come vittime e Israele come aggressore. Hanno continuato a spingere per ottenere concessioni e compromessi. Trump non tollererà nulla di tutto ciò”.
 
- Israel Today: I leader evangelici pro-Israele avranno meno influenza su Trump nel suo secondo (e ultimo) mandato da presidente rispetto al primo?
  Evans: Non credo che Trump abbandonerà gli evangelici. Sa che lo abbiamo rimesso in carica.
 
- Cosa può aspettarsi Israele da Trump?
  Trump ha detto di non voler iniziare una guerra. Non vuole essere un presidente in cui scoppiano guerre durante il suo mandato, vuole concentrarsi sulle questioni interne. Quindi la domanda è cosa si aspetta da Israele da qui al 20 gennaio. Vuole che Israele porti a termine il lavoro, che ponga fine alla guerra con i due proxy dell'Iran, che li elimini e ponga fine alla guerra.
  Credo anche che voglia che Israele si occupi della guerra più ampia con l'Iran prima del 20 gennaio. Si aspetta che ciò avvenga nello stesso modo in cui ha fatto lui, attraverso le sanzioni. Israele non può attaccare le strutture nucleari iraniane perché sono sotterranee, ma può mandare in bancarotta gli ayatollah attaccando gli impianti petroliferi, che si trovano su un'isola. L'Iran precipiterà in una crisi economica. Se il petrolio viene colpito, sono finiti. Oltre l'80% degli iraniani odia gli ayatollah.

- Perché tutto questo deve accadere prima dell'insediamento di Trump?
  Dopo si creerebbero onde d'urto economiche che si ripercuoterebbero sull'economia globale: non si può fare una cosa del genere con Trump. Si può fare adesso. La finestra è aperta. Credo che Trump voglia che Israele lo faccia prima del 20 gennaio. Poi il piano di Trump sarà quello di aiutare a costruire, costruire, costruire.
  Credo che l'anno prossimo porterà la pace tra Israele e l'Arabia Saudita e l'intero mondo sunnita. Sarà l'epoca d'oro degli accordi di Abramo. Cambierà tutto perché se l'Arabia Saudita farà la pace, porterà a una coalizione araba per risolvere il dilemma di Gaza. Il problema di Gaza non può essere risolto con una soluzione a due Stati, ma solo con un piano graduale - a partire dal prosciugamento della palude del terrore per eliminare gli assassini e rieducare la gente all'odio per gli ebrei. Ci vorrà tempo - Trump è uno che fa. Jared Kushner si è preparato bene e il futuro potrebbe essere luminoso per Israele se coglierà l'opportunità da qui al 20 gennaio.

- Biden impedirà a Israele di farlo nei suoi ultimi mesi?
  Joe Biden ha già tentato di tutto e i media americani hanno dato l'impressione che le vittime siano Hamas e l'aggressore Israele. Eppure Israele e le sue magnifiche forze di difesa e i suoi soldati, che hanno sacrificato tanto, hanno agito con coraggio e fatto la cosa giusta nonostante il trauma.
  Penso che Biden sia un'anatra zoppa. Era un'anatra zoppa quando ha consegnato la presidenza a Kamala Harris, che nessuno ha votato - non aveva alcuna possibilità di vincere. Biden non vuole essere ricordato come qualcuno che ha cercato di danneggiare lo Stato di Israele.
  Nessuno verserà una lacrima se l'Iran andrà in bancarotta. Nessuno piangerà e non ci sarà nessuna guerra mondiale. Credo che se Israele manderà in bancarotta l'Iran, il popolo rovescerà il regime e il gioco sarà fatto. A quel punto i proxy che hanno creato saranno finiti. Sarà scacco matto. Questo darà a Trump l'opportunità di aiutare Israele a costruire una straordinaria coalizione con gli Stati sunniti che non mostrano alcuna tolleranza per l'antisemitismo.

- Si teme che Trump pretenda di più da Israele nel suo secondo mandato.
  Non avete mai avuto un confronto con Trump. Era dalla vostra parte. Nessun presidente ha fatto tanto per Israele quanto Trump, e sarà così anche questa volta. Trump non verserà una lacrima quando si tratterà di eliminare i terroristi che vogliono uccidere gli ebrei.
  C'è una persona che può certamente influenzare la presidenza di Trump ed è Bibi Netanyahu. Per via della guerra. La guerra che Biden voleva terminare, e poiché Bibi non si sarebbe tirato indietro, i media americani hanno cercato di dipingere Israele come l'aggressore e Hamas come la vittima. Questo ha colpito duramente Harris. Bibi è rimasto fermo e ha agito con chiarezza morale, e Trump lo sa - Bibi è stato un grande alleato. Credo che Trump voglia che Israele sia tutto pronto entro il 20 gennaio, in modo da poter essere il costruttore di Israele. Aiuterà Israele in modi sorprendenti e la prima cosa che farà sarà la pace con l'Arabia Saudita.

- Trump permetterà a Israele di annettere il cuore biblico di Giudea e Samaria?
  L'intera questione dell'annessione si basava su una soluzione a due Stati, e Trump non crede che una soluzione a due Stati sia possibile. Penso che Bibi sarà così felice che i sauditi faranno pace con Israele e le guerre cesseranno che non ci sarà bisogno di annessioni. Non credo che Trump farà pressione su Israele per questioni di territorio. Israele deve concentrarsi su Teheran. Terra in cambio di pace non è più un tema.

(Israel Heute, 9 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Caccia all’ebreo: prove di Intifada in Europa

Notte di aggressioni antisemite ad Amsterdam al termine di Ajax-Maccabi Tel Aviv. Tifosi israeliani bastonati, accoltellati e buttati nei canali, mentre la polizia chiude un occhio. Gerusalemme: «L'attacco dei gruppi islamici era premeditato». 

di Stefano Piazza 

Dopo aver seminato odio per più di un anno i propagandisti antisemiti europei ieri sera ad Amsterdam sono finalmente riusciti a portare la guerra contro gli israeliani nel Vecchio continente. Fino a oggi i pro Hamas si erano limitati a organizzare manifestazioni non autorizzate (spesso violente) e l'occupazione degli atenei, ma quanto accaduto in Olanda giovedì sera è il segnale che l'Intifada è arrivata nella città europee. E così è stato perché ad Amsterdam centinaia di tifosi della squadra di calcio del Maccabi Tel Aviv stati aggrediti e picchiati dopo la partita di Europa league del Maccabi Tel Aviv contro l'Ajax (che oltretutto è la squadra degli ebrei olandesi). Non si è quindi trattato di una rissa tra ultras ma di una vera aggressione preparata in ogni minimo dettaglio con diversi tassisti che hanno collaborato comunicando ai terroristi dove erano alloggiati gli israeliani.
  Mercoledì i supporter del Maccabi hanno levato alcune bandiere palestinesi appese alle finestre delle case e si sono scontrati con alcuni tassisti che li hanno insultati ed è stato il preludio di quello che è poi successo il giorno dopo. Gli aggressori - tutti arabi - con i volti coperti, si sono suddivisi in gruppi, nascondendosi nei vicoli, agli ingressi delle stazioni e nei pressi degli hotel che ospitavano gli israeliani. Sapevano dove aspettarli e li hanno attaccati, inseguiti, armati di coltelli e bastoni per oltre un'ora, poi li hanno inseguiti con le auto, arrivando persino a investirli senza alcun intervento da parte delle forze dell'ordine che non hanno scortato i tifosi israeliani verso gli hotel. I video che circolano sul Web e sui social mostrano i tifosi violentemente aggrediti, picchiati e investiti. Alcuni tifosi israeliani sono stati costretti a dire «Palestina libera» prima di essere lasciati andare, mentre altri tifosi si sono barricati nei negozi e in altri luoghi della città. Un tifoso del Maccabi è stato obbligato a cantare «Free Palestine» una volta gettato in un canale. 
  Il ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato che almeno 20 tifosi sono rimasti feriti mentre è stata smentita la notizia che i terroristi avevano preso degli ostaggi, tanto che nel primo pomeriggio di ieri sono stati rintracciati tutti i tifosi del Maccabi. Un portavoce della polizia di Amsterdam ha dichiarato che 62 sospettati sono stati arrestati durante gli incidenti, ma non ha potuto confermare se le persone fermate siano tifosi di calcio. L'ufficio del premier israeliano ha dichiarato: «Il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato informato dei dettagli riguardanti il violentissimo incidente contro i cittadini israeliani ad Amsterdam, ha svolto una valutazione con il suo segretario militare e il ministro degli Affari esteri e sta ricevendo aggiornamenti regolari. Il premier ha ordinato che due aerei di soccorso vengano inviati immediatamente per assistere i nostri cittadini. Le immagini crude dell'assalto ai nostri cittadini ad Amsterdam non saranno ignorate». L'unità del portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf) ha dichiarato: «A seguito dei gravi e violenti incidenti contro gli israeliani ad Amsterdam, con la direzione del livello politico e in conformità con una valutazione della situazione, le Idf si stanno preparando a dispiegare immediatamente una missione di salvataggio con il coordinamento del governo olandese». 
  Fin qui la cronaca della notte dell'odio antisemita arabo nel cuore dell'Europa, ma quanto accaduto lascia sgomenti anche per gli incredibili errori da parte delle autorità olandesi e dell'Uefa. Far giocare una partita come quella di ieri in una città ostile agli ebrei come Amsterdam, dove il 10% della popolazione è di origine araba, oltretutto in un momento come questo, senza prevedere straordinarie misure di sicurezza è dilettantismo puro anche perché gli israeliani avevano avvisato le autorità locali del pericolo. Altri aspetti non certo secondari sono quelli che ci dicono che da anni l'Olanda ha un problema enorme con il fondamentalismo islamico, tanto che l'allerta terrorismo è sempre ai massimi livelli. Inoltre, ad Amsterdam, così come in al tre città olandesi (e in Belgio), operano decine di gang criminali sotto il controllo della Macro Maffia (la mafia marocchina). 
  Ma l'aspetto peggiore di tutta questa storia è l'atteggiamento di una parte degli appartenenti alle forze dell'ordine in Olanda che da mesi si sta rifiutando di proteggere eventi o oggetti ebraici, citando «dilemmi etico morali». Oggi, gran parte della forza di polizia di Amsterdam è composta da migranti di seconda generazione provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Ma il peggio è che un portavoce della polizia ha confermato che «ci può essere comprensione per coloro che sollevano obiezioni morali». Quindi se anche la polizia lascia passare il supporto pro Hamas che serpeggia all'interno dei suoi ranghi che ne sarà degli ebrei olandesi e domani di quelli europei?
  Geert Wilders, leader del Partito per la libertà che ha vinto le elezioni nei Paesi Bassi l'anno scorso e che è un fedele alleato di Israele, ha reagito a un video che mostra un tifoso del Maccabi circondato da diversi uomini: «Sembra un pogrom nelle strade di Amsterdam. Arrestate ed espellete la feccia multiculturale che ha attaccato i sostenitori del Maccabi Tel Aviv nelle nostre strade. Mi vergogno che questo possa accadere nei Paesi Bassi. Totalmente inaccettabile. Siamo diventati la Gaza d'Europa. Musulmani con bandiere palestinesi che danno la caccia agli ebrei, non lo accetterò mai. Le autorità saranno ritenute responsabili per l'incapacità di proteggere gli israeliani».

(La Verità, 9 novembre 2024)

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Soffia intenso il vento dell’antisemitismo in Europa

di Niram Ferretti

Secondo i dati forniti dal Consiglio delle Istituzioni ebraiche di Francia, il numero di incidenti di natura antisemita avvenuti nei tre mesi successivi al 7 ottobre sono stati equivalenti a quello complessivo di incidenti analoghi avvenuti nel corso dei tre anni precedenti. Si tratta solo di un indicatore tra i molti. Ma non solo in Francia, questi episodi si sono moltiplicati altrove, in Belgio, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Olanda, giusto per restare alla sola Europa.
  L’episodio che si è verificato ieri sera ad Amsterdam, dove dopo la partita disputata tra la squadra di calcio israeliana del Maccabi Tel Aviv e quella olandese dell’Ajax, numerosi tifosi israeliani sono stati minacciati e aggrediti da apposite ronde islamiche che si erano già preparate giorni prima e, con la connivenza dei taxisti musulmani della città, erano state informate su dove erano ospitati gli israeliani, in che zone si trovavano. E' il più grave episodio di caccia collettiva all’ebreo che si è verificato su suolo europeo dal dopoguerra ad oggi, il più grave fino ad ora.
  La prima constatazione da fare è che gli aggressori sono tutti musulmani, la seconda constatazione è che nonostante da Israele fossero giunti avvisi e raccomandazioni per tutelare la sicurezza dei propri concittadini in trasferta, questo non è accaduto.
  Queste due considerazioni ci portano ad altre due considerazioni conseguenti, la prima è che oggi la forma di antisemitismo più violenta e pericolosa, quella potenzialmente omicida, è di matrice islamica, cosa già nota e di cui l’episodio di Amsterdam fornisce solo una conferma, basti pensare alla sola Francia, dove gli ebrei vengono ancora uccisi in quanto ebrei e dove gli assassini di Ilan Halimi, Sarah Halimi, Mirelle Knoll, le vittime della strage di Tolosa, quelli dell’Hyper Kosher, sono tutti musulmani. La seconda è che in Europa il problema è non solo sottovalutato ma, per lungo tempo e ancora adesso, negato.
  La seconda riguarda la sicurezza e la protezione degli ebrei in Europa e la determinazione di garantirle. Quello che è successo ad Amsterdam, dove, fortunatamente, le aggressioni subite non hanno provocato morti ci dice che non è più possibile esserne certi.
  La costante propaganda anti-israeliana che si è attivata immediatamente a seguito del 7 ottobre e che in Europa gode di un consenso forte, è la benzina che continuamente viene gettata sul fuoco dell’antisemitismo, venendo alimentata anche da chi si trova ai vertici delle istituzioni europee, basti pensare a Joseph Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera della UE, il quale non mai ha perso una occasione per attaccare Israele dall’inizio della guerra a Gaza e immediatamente dopo quella cominciata in Libano.
  L’ambivalenza dell’Europa relativamente alla guerra a Gaza, quando non la sua aperta ostilità, espressa plasticamente da paesi quali la Spagna, la Norvegia, l’Irlanda e la Slovenia, tutti uniti nel riconoscere l’inesistente Stato palestinese, ci dice ancora una volta che essere ebrei in Europa sta diventando sempre di più un fatto scomodo.

(L'informale, 8 novembre 2024)

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Amsterdam, pogrom 2.0: gli esercizi di memoria alla prova dei fatti

di Ariela Piattelli

Quando nelle piazze della nostra città, subito dopo il 7 ottobre, abbiamo iniziato ad ascoltare slogan come “Intifada pure qua”, “Dal fiume al mare” ed altri ancora, in diverse situazioni ci siamo interrogati su quali sarebbero state le ricadute di quelle minacce. Il tempo, tristemente, ha risposto a tutte le nostre domande, tranne a quella sull’angosciante coltre che incombe sulle prospettive future dell’ebraismo della diaspora, su tutto l’Occidente e sui dilemmi che in queste ore gli ebrei tornano ad affrontare. Nessuno sa cosa accadrà domani, se non chi riesce a progettare e a tessere le trame dell’odio antisemita, senza essere fermato, aggredendo ebrei nelle strade, con armi, coltelli, calci e insulti proprio come avveniva nelle città di questo continente durante le notti più buie del secolo scorso. Ma possiamo prendere atto di quello che gli eventi a cui assistiamo dal 7 ottobre esprimono oggi.
  La globalizzazione dell’intifada si è manifestata in tutta la sua evidenza anche ad Amsterdam alle prime ore del mattino di venerdì, in un evento che nell’Europa del ventunesimo secolo non ha precedenti e che ha innegabilmente il cromosoma del pogrom. Orde di islamisti, cittadini di questa Europa, hanno aggredito gruppi di ebrei venuti da Israele per assistere ad una partita di calcio. Una violenza inaudita che ha visto esultare persino alcuni tassisti dei Paesi Bassi in un canale Telegram.
  I leader del mondo civile hanno sempre denunciato gli assalti, gli attacchi, gli atti antisemiti: le istituzioni di tanti Paesi hanno risposto, anche prontamente, condannando con parole importanti questo rigurgito odioso di un male che non è mai sopito. Dichiarazioni che non lasciano mai spazio a fraintendimenti o margini di interpretazioni e che condannano in modo netto, “senza se e senza ma”, l’odio antisemita. Parole di fuoco, certo, ma pur sempre solo parole.
  Anche stavolta sono arrivate le reazioni indignate per l’aggressione di Amsterdam, avvenuto, come in molti hanno ricordato, proprio alla vigilia dall’anniversario della Notte dei cristalli. Proprio in una città simbolo della memoria. Una memoria che è da sempre la foglia di fico di chi fa distinzioni tra antisemitismo e antisionismo, di chi dal 7 ottobre continua ad avvelenare l’opinione pubblica con le sue bugie ed accusa Israele di genocidio mentre ad ogni anniversario porta puntuale le corone sulle lapidi in ricordo delle vittime della Shoah. Come se bastasse arroccare le parole di condanna attorno ai simboli del ricordo per prendere le distanze dall’antisemitismo. È così che l’anima ipocrita dell’Occidente continua a voltarsi dall’altra parte e a volte si nasconde dietro a parole che forse non bastano più.

(Shalom, 8 novembre 2024)
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«... l’anima ipocrita dell’Occidente» si manifesta proprio in chi dice di ammirare Israele come baluardo della difesa dell'Occidente libero. E' il colore della "libertà occidentale" che si ammira, un primordiale istinto di sopravvivenza individuale e sociale che non ammette limiti, non Israele. Agli occidentali, cominciando da quelli più colti e continuando in qualche misura anche dentro Israele, l'esistenza di uno stato ebraico apparirà sempre di più come un fastidioso limite alla propria libertà. E aumenterà il numero di quelli che si chiedono chi riuscirà ad abbatterlo. M.C.

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Amsterdam: aggressioni programmate contro i tifosi del Maccabi Tel Aviv

Oltre 10 feriti, 7 dispersi

di Nathan Greppi

In occasione della partita di calcio tra la squadra olandese Ajax e l’israeliana Maccabi Tel Aviv, tenutasi ad Amsterdam la sera di giovedì 7 novembre, si sono registrati violenti attacchi e aggressioni contro i tifosi israeliani da parte di manifestanti filopalestinesi.

• I FATTI

10-20 israeliani sarebbero rimasti feriti, di cui cinque sono stati localizzati negli ospedali, mentre altri sette sono tuttora dati per dispersi. Tra questi, vi è il trentatreenne israelo-bulgaro Guy Avidor, che ha viaggiato da Londra apposta per vedere la partita. L’ultimo contatto che la sua famiglia ha avuto con lui è stato un post sui social prima della partita e da allora, secondo il sito israeliano Walla, non hanno più avuto sue notizie. Si teme che possano esserci ostaggi.
  Nelle ultime ore la situazione sembra essersi calmata, e agli israeliani è stato ordinato dalle autorità olandesi di nascondersi. Un portavoce della polizia di Amsterdam ha dichiarato che sono state arrestate almeno 57 persone per le aggressioni.
  I filmati che circolano sui social mostrano i tifosi israeliani venire picchiati, inseguiti da persone armate di coltelli e bastoni e veicoli che stavano per investirli. Alcuni israeliani sono stati visti saltare nei canali pur di sfuggire agli inseguitori. Un video mostra un uomo steso a terra e preso a calci, mentre urla ai suoi aggressori “Non sono ebreo”.
  Secondo il quotidiano Maariv, c’è stato almeno un tentativo di rapire un israeliano e molti si sono barricati in negozi e altri edifici. L’Ambasciata israeliana nei Paesi Bassi si è mobilitata per trasferire gli israeliani in un luogo sicuro.

• LA REAZIONE DELLE ISTITUZIONI
   Una volta informato dell’accaduto, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha inviato due aerei di soccorso per aiutare i cittadini israeliani sul posto con l’ausilio dello squadrone Hercules dell’IDF e squadre mediche di pronto soccorso. Inoltre, sia il rabbino capo ashkenazita che il rabbino capo sefardita d’Israele hanno autorizzato la compagnia aerea El Al a volare di Shabbat per andare a fornire la propria assistenza.
  Il portavoce di El-Al ha dichiarato che la compagnia opererà voli di soccorso dalla destinazione a Tel Aviv con breve preavviso. I voli saranno gratuiti, il primo decollerà da Amsterdam alle 14:00 (ora locale) e dovrebbe atterrare a Tel Aviv oggi. I posti in tutte le classi di servizio (turistica, premium e business) saranno forniti gratuitamente a tutti i passeggeri in possesso di un biglietto aereo con El Al o con un’altra compagnia aerea. È necessario registrarsi per i voli attraverso la hotline del servizio clienti al numero designato per i clienti situato ad Amsterdam, al tel. 03-9404040. Oltre al volo di soccorso, ci sono due voli diretti ad Amsterdam, che torneranno in Israele oggi, con circa 350 israeliani a bordo. Sottolineiamo che questi voli sono stati pianificati in anticipo, indipendentemente dai difficili eventi.
  Non sono mancate reazioni da parte delle istituzioni: l’ufficio di Netanyahu ha comunicato di tenere in considerazione l’accaduto “con la massima gravità”, e ha invitato il governo olandese e le forze dell’ordine a intraprendere “un’azione rapida e vigorosa contro i rivoltosi”. Dall’altro lato, il Primo Ministro olandese Dick Schoof ha scritto su X/Twitter che “gli attacchi antisemiti contro gli israeliani sono del tutto inaccettabili”.
  Il Ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, ha annunciato una visita in Olanda per incontrare la sua controparte olandese Caspar Veldkamp ed esponenti della comunità ebraica olandese, per discutere di come contrastare questo e altri episodi d’odio. Mentre il leader politico olandese Geert Wilders ha denunciato la “caccia all’ebreo per le vie di Amsterdam”.

• LA RESPONSABILITÀ DELLA POLIZIA
  Dalle ricostruzioni fatte in seguito, le aggressioni sarebbero state accuratamente pianificate. Diversi testimoni hanno puntato il dito anche contro la polizia, che prima dell’accaduto non ha scortato i tifosi israeliani in albergo e non li ha protetti come avrebbe dovuto, nonostante l’intelligence israeliana avesse avvisato con largo anticipo le autorità olandesi del fatto che c’erano i segnali di una manifestazione violenta.
  Loay Alshareef, influencer di Abu Dhabi impegnato per la coesistenza tra arabi ed ebrei, ha twittato: “Se le autorità olandesi falliscono nel prendere provvedimenti severi contro i delinquenti terroristi che hanno attaccato i tifosi del Maccabi Tel Aviv, allora i Paesi Bassi si stanno di fatto arrendendo agli islamisti radicali che vorrebbero distruggerli”.

(Bet Magazine Mosaico, 8 novembre 2024)


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Il primo ministro olandese: ad Amsterdam attacco “inaccettabile e antisemita.”

Il primo ministro olandese Dick Schoof ha condannato il pogrom avvenuto ad Amsterdam, in cui i tifosi di calcio israeliani sono stati aggrediti durante la notte. Il premier ha definito l’assalto ‘inaccettabile’: “Ho seguito le notizie da Amsterdam con disgusto”, ha affermato in un post su X. Schoof ha detto di aver parlato con il primo ministro Benjamin Netanyahu e di avergli assicurato che gli autori degli attacchi saranno perseguiti.
  Netanyahu ha sottolineato in una nota quanto sia importante che il governo olandese garantisca la sicurezza di tutti gli israeliani che si trovano nei Paesi Bassi. Il premier israeliano ha detto di considerare l’evento come complotto antisemita contro i cittadini di Israele e ha chiesto maggiore sicurezza per la comunità ebraica nei Paesi Bassi.
  Il consiglio di sicurezza israeliano, allo scoppio delle violenze, ha consigliato agli israeliani in visita ad Amsterdam di rimanere nei loro hotel e, se si fossero avventurati all’esterno, di evitare di indossare segni che potessero identificarli come israeliani o ebrei, consigliandogli di tornare in Israele il prima possibile.

(Shalom, 8 novembre 2024)


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L’antisemitismo, ormai pane quotidiano

L’aggressione perpetrata ieri sera ad Amsterdam, da gruppi di facinorosi arabi contro i sostenitori israeliani del Maccabi, dopo la partita con l’Ajax, ci riporta ad anni bui, e ci ricorda che Amsterdam è la città dove, nel novembre del 2004, il regista Theo van Gogh venne sgozzato da un giovane marocchino che cercò poi di decapitarlo a causa del suo controverso documentario Submission in cui l’Islam veniva criticato aspramente.
  Le forze dell’ordine olandesi erano state da tempo avvertite dalle autorità israeliane del rischio di possibili incidenti ma hanno ignorato gli avvisi.
  Vedere nel 2024, arabi che inseguono ebrei israeliani aggredendoli è solo una delle conseguenze dell’ondata di odio antisemita senza precedenti dalla fine della Seconda guerra mondiale che si è riattivato dopo l’eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre del 2023 e che ha costretto Israele a una risposta militare a Gaza, ancora in corso.
  Dalle marce in cui i manifestanti scandivano lo slogan genocida, “Palestina libera dal fiume al mare”, al “campo libero dai sionisti” della Columbia University di New York, alle stelle di Davide dipinte in Francia su diverse abitazioni per marcarvi la presenza di residenti ebrei, a molti altri episodi, abbiamo assistito, stiamo assistendo, a una drammatica regressione civile e culturale che ha, oltretutto, nei giustificazionisti, i loro solerti fiancheggiatori. Affermare che la violenza nei confronti degli ebrei è causata da loro, è un immarcescibile tropo antisemita, ed è uno dei più consunti paraventi del canagliume.
  Gert Wilders, da sempre acceso sostenitore di Israele e in prima fila nel denunciare il radicalismo islamico ha condannato senza mezzi termini l’accaduto affermando che è necessario “arrestare e deportare la feccia che ha attaccato i supporter del Maccabi nelle nostre strade”.
  Douglas Murray, da tempo anche lui in prima linea nella difesa di Israele, riferendosi agli episodi di intolleranza avvenuti nel Regno Unito, cominciati subito dopo l’eccidio del 7 ottobre con la rimozione dei volantini che effegiavano gli ostaggi israeliani a Gaza e poi culminata nelle marce oceaniche contro Israele a cui abbiamo assistito soprattutto a Londra, ha dichiarato che la deportazione, ovvero la rimozione e il rimpatrio nei paesi di origine dei musulmani che sono palesemente a sostegno del terrorismo jihadista, dovrebbe essere la prassi. Prassi che ad esempio il Pakistan sta attuando da mesi senza provocare scandalo alcuno nei riguardi di immigrati musulmani provenienti dall’Afghanistan e ritenuti pericolosi per la sicurezza dello Stato.
  Oggi assistiamo al paradosso che è nelle capitali occidentali che maggiormente si sprigiona l’odio antisemita mentre in Medio Oriente, i principali paesi sunniti, con in testa l’Arabia Saudita, e con l’eccezione del Qatar, attendono pazienti che Israele faccia per loro il lavoro sporco che non possono fare, eliminare Hamas da Gaza, neutralizzare Hezbollah in Libano e mettere l’Iran in condizione di non nuocere.

(L'informale, 8 novembre 2024)

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Con Trump rispunta il «piano del secolo» che fece infuriare i palestinesi

In una intervista alla CNN, Brian Hook, inviato speciale di Donald Trump per l'Iran durante il primo mandato del presidente eletto, spiega quale sarà la politica di Trump su palestinesi e Iran.

di Franco Londei

In un Medio Oriente sull’orlo di un conflitto su larga scala tra Iran e Israele, torna prepotentemente in auge il vecchio progetto ideato da Jared Kushner, genero del Presidente eletto Donald Trump, che dovrebbe mettere fine all’annosa questione palestinese.
Secondo Brian Hook, inviato speciale di Donald Trump per l’Iran durante il primo mandato del presidente eletto, uno dei progetti di Trump per il Medio Oriente sarebbe proprio il cosiddetto «piano del secolo», quel progetto cioè che secondo le indiscrezioni dell’epoca verterebbe su nove punti:

  1. controllo permanente della Valle del Giordano da parte del IDF
  2. la sicurezza di Giudea e Samaria affidata permanentemente a Israele
  3. scambi di terra non basati sulle linee armistiziali del 1967
  4. nessuna evacuazione degli insediamenti già esistenti
  5. Gerusalemme capitale di Israele che avrà il compito di garantire a tutte le religioni l’accesso ai luoghi santi
  6. capitale della Palestina situata ad Abu Dis, una città della West Bank che si trova alla periferia di Gerusalemme
  7. diritto al ritorno per i cosiddetti “profughi palestinesi” affidato a una “giusta soluzione” che comunque non prevede in alcun caso una loro collocazione in Israele
  8. annessione del 10% della Cisgiordania da parte di Israele
  9. riconoscimento da parte dei Paesi arabi di Israele quale “casa nazionale del popolo ebraico” e contestuale riconoscimento da parte israeliana dello Stato palestinese quale “casa nazionale del popolo palestinese”

All’epoca il piano fece infuriare i palestinesi ma non dispiacque ai sauditi, ora come allora principali sponsor di uno Stato palestinese.
In una intervista alla CNN proprio Brian Hook, che dovrebbe guidare la transizione al Dipartimento di Stato, oltre ad anticipare quale sarà la politica di Trump verso l’Iran, sulla quale ci torneremo, ha puntualizzato che dopo tutto questo tempo la creazione di uno Stato Palestinese è «meno appetibile» di quanto non lo fosse quattro anni fa. Quindi il piano del secolo versione 2025 potrebbe essere addirittura più «generoso» verso Israele della versione originale.
Tuttavia Hook ha ammesso che in questo momento gli israeliani non sono «dell’umore giusto» per discutere di uno Stato Palestinese e che hanno altre «priorità» come per esempio l’Iran.
Ed è proprio parlando di Iran nell’intervista alla CNN che Brian Hook anticipa quella che probabilmente sarà la politica di Trump verso l’Iran. Per farlo attacca l’Amministrazione Biden.
Hook ha accusato Biden di «aumentare la distanza tra i partner dell’America, definendo i paesi dei paria e facendo loro prediche su come dovrebbero vivere».
«Il presidente Trump capisce che il principale motore dell’instabilità nell’attuale Medio Oriente è il regime iraniano», ha affermato Hook. Al contrario, l’amministrazione Biden «ha adottato una politica di appeasement e di accomodamento con l’Iran, che ha portato a un fallimento della deterrenza, perché nessuno crede più ad una minaccia credibile dell’uso della forza militare».
Ora, Israele ha in mano il pallino per rovesciare questo modello. Fino ad oggi Gerusalemme aveva il freno a mano tirato da Biden e non sapendo chi avrebbe vinto le presidenziali americane non osava fare un passo più lungo di quello imposto da Washington. Ma ora il discorso cambia.
Non so quanto l’ex ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, contribuisse a frenare la voglia di colpire pesantemente l’Iran, voglia peraltro bipartisan. Lo vedremo i prossimi giorni, forse addirittura le prossime ore. So che questo è il momento giusto e che difficilmente ricapiterà. Insomma, è ora di chiudere la partita con Teheran.
Riguardo ai palestinesi, concordo sul fatto che non è il momento di parlare di «Stato palestinese», ma penso che su una cosa Gallant avesse ragione: è ora di pensare al disimpegno da Gaza e di concentrare tutte le forze sull’Iran e sui suoi proxy. Lasciamo la questione palestinese alla «diplomazia di Trump» e, speriamo, in quella di Jared Kushner, confidando che torni a fare il consigliere di Trump

(Rights Reporter, 8 novembre 2024)

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Chi non ha capito nulla ora ci spiega che cosa è successo

Spuntano ovunque gli esperti del giorno dopo 

di Maurizio Belpietro 

Che meraviglia gli articoli di quelli che ti spiegano le cose che non hanno capito. Il giorno dopo la sconfitta di Kamala Harris e il trionfo di Donald Trump è tutto un fiorire di analisi che raccontano gli errori della candidata democratica e descrivono i cambiamenti dell'America profonda. Peccato che le stesse persone che oggi ci illustrano che cosa non ha funzionato nella campagna della vicepresidente degli Stati Uniti siano quelle che fino all'altro ieri assicuravano la sua rimonta e davano per quasi certa la débàcle di colui che era descritto come un pagliaccio sul viale del tramonto. Fino all'ultimo ci hanno assicurato che la Harris era in testa e aveva scavalcato Trump. Da Gianni Riotta a Maurizio Molinari, da David Parenzo a Massimo Giannini: tutti i nostri disinformati speciali si dimostravano certi che la «ragazzaccia di Oakland» (copyright Giannini) ce l'avrebbe fatta perché, come a metà agosto scrisse Massimo Gaggi, editorialista dagli States per il Corriere della Sera, «Donald annaspa, disorientato dal cambiamento radicale della corsa ... incapace di prendere le misure e contenere il tandem Harris-Walz. Da leone ferito a leone in gabbia ... Furibondo per il successo della sua avversaria ... finisce per cadere nel ridicolo». Così, senza accorgersi che erano proprio loro, gli «esperti» di cose americane, a ripetere pari pari gli stessi errori fatti nel 2016, quando davano per spacciato il tycoon, descrivendolo come un fenomeno da baraccone. 
  Non contenti di aver toppato, il giorno dopo la sconfitta di Kamala Harris, e dell'establishment democratico dei clan Obama, Clinton e Pelosi, hanno preso carta e penna e hanno cominciato a spiegare le ragioni della sconfitta. «Per comprendere da dove viene l'onda popolare che ha riportato Donald Trump alla Casa Bianca bisogna entrare dentro le ferite dell'America: dai centri per senzatetto alle drogherie, dai campus universitari ai quartieri più insicuri delle aree urbane», era l'incipit di un reportage da New York dell'ex direttore di Repubblica, Maurizio Molinari. E vai con qualche centinaio di righe per spiegare i disagi degli Stati Uniti d'America. L'inflazione che flagella gli stipendi e fa salire i prezzi di uova, carne, pollo, frutta, verdura e snack. La criminalità che rende le città insicure dopo che il movimento Black lives matter ha indotto sindaci e governatori a tagliare i fondi alla polizia. L'immigrazione fuori controllo che nel solo 2020 ha portato a dover accogliere, a spese dell'amministrazione di New York , 120.000 persone. Le università invase dalle manifestazioni pro Palestina e dalla cultura «woke», Tutto vero, certo. Queste sono alcune delle ragioni che hanno spinto gli americani a votare Trump. Ma forse sarebbe stato interessante leggere queste argomentazioni prima e non dopo. E invece, fino al 5 novembre la stampa italiana e anche quella internazionale le motivazioni alla base del consenso di Trump le hanno ignorate, facendo finta di credere che gli elettori del tycoon fossero persone rozze, che credevano alle balle di un imbroglione, di un pallone gonfiato dai milioni accumulati evadendo le tasse. Molti fra coloro che oggi ci spiegano che cosa è accaduto, fino a qualche settimana fa ridevano dei discorsi di Trump, dei suoi riferimenti al prezzo delle uova. E nessuno di loro ha dichiarato apertamente guerra, con editoriali o inchieste, alle stupidaggini della cultura che ritiene ogni uomo bianco eterosessuale colpevole di discriminazioni contro le minoranze nere e contro i gay. Neppure mi pare di aver letto inchieste per smontare le accuse di razzismo nei confronti di coloro che si lamentano dell' aumento della criminalità come conseguenza di un incremento dell'immigrazione illegale. Anzi, fino a ieri proprio gli stessi giornali che ora scoprono le ferite d'America «che hanno spinto un popolo impaurito fra le braccia di Trump», lamentavano l'aggressività di quel popolo e accusavano l'ex presidente di fomentare l'odio, e anzi, quando è finito nel mirino di un fucile semiautomatico, quasi hanno scritto che la colpa era sua, per aver creato un clima infuocato. 
  Leggere i commenti al voto di quelli che hanno capito tutto, ma il giorno dopo, è in effetti uno spasso. Soprattutto perché gli autori delle profonde analisi sono gli stessi che poi, in Patria, non riescono a comprendere perché Giorgia Meloni abbia tanto credito. Anni di governi della sinistra hanno impoverito i salari, ma loro se ne sono accorti solo ora. Decenni di politiche dell'accoglienza favorite dai compagni hanno creato una situazione di insicurezza nelle città che secondo loro è solo figlia della percezione e della propaganda delle destre. Fosse per loro la cultura woke, quella che vede razzisti e fascisti in ogni dove, sarebbe pure legge, grazie al famoso ddl Zan. E però continuano a pensare che la vittoria «dell'underdog della Garbatella» (copyright Giannini) sia un incidente della storia a cui presto, loro e i loro compagni, porranno rimedio. Magari con l'aiuto di qualche amico giudice. Infatti, mentre a sorpresa si sono accorti delle ferite dell'America, ancora non hanno aperto gli occhi su quelle dell'Italia (e dell'Europa).

(La Verità, 8 novembre 2024)

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Israele - Scoperto un insediamento di 5.000 anni fa

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L'antico insediamento si trovava nelle vicinanze di Beit Shemesh

BEIT SHEMESH - L'Autorità israeliana per le antichità ha recentemente scoperto un insediamento di 5.000 anni fa vicino alla città di Beit Shemesh, nel distretto di Gerusalemme, durante degli scavi. Il sito di Hurvat Husham nascondeva uno dei più antichi insediamenti mai trovati in Israele. Lo riferisce il portale di notizie “Arutz Sheva”.
L'Autorità per le Antichità ha scoperto l'antico sito per la prima volta nel 2021. “Il sito scoperto a Hurvat Husham è eccezionale non solo per le sue dimensioni, ma anche perché ci rivela alcune delle prime caratteristiche del passaggio dalla vita di villaggio alla vita di città”, hanno spiegato i responsabili degli scavi Ariel Shatil, Ma'ajan Hamed e Danny Benajun.

• SCOPERTA LA PIÙ ANTICA CASA DI PREGHIERA
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Durante lo scavo dell'antico insediamento, gli archeologi hanno scoperto, tra le altre cose, un edificio particolare. “Le dimensioni dell'edificio che abbiamo portato alla luce, le sue ampie pareti, le panche all'interno e altri fattori indicano che si trattava di un edificio con una funzione pubblica, forse una casa di preghiera”, hanno commentato i responsabili degli scavi. L'edificio potrebbe essere stato utilizzato per attività rituali.
In una stanza dell'edificio si trovano anche molti vasi intatti. Secondo i responsabili degli scavi, è riconoscibile che le persone abbiano collocato qui questi vasi prima di lasciare definitivamente il sito. “Non si sa cosa sia successo in seguito in questa stanza, ma ci sono segni di combustione e di vasi che cadono l'uno sull'altro”, hanno detto. Con l'aiuto di test di laboratorio, si potrà scoprire quale contenuto, come olio, acqua o grano, era presente nei vasi.
Non conosciamo quasi nessun edificio pubblico del periodo antico in Israele”, hanno detto i ricercatori. Inoltre, l'edificio è una delle prime case di preghiera mai scoperte in Israele.

• INDIZI DELLO SVILUPPO URBANO DI ISRAELE
  Grazie alla natura e alla posizione geografica di Israele, il paese è stato un terreno fertile per lo sviluppo di antiche civiltà, ha spiegato Eli Escusido, direttore dell'Autorità israeliana per le antichità. “L'insediamento scoperto di Hurvat Husham rivela un altro importante tassello nel puzzle dello sviluppo urbano della nostra regione”.
La scoperta è stata presentata la scorsa settimana al “National Campus for the Archaeology of Israel” intitolato a Jay e Jeanie Schottenstein. Il contesto era la conferenza “Scoperte nell'archeologia di Gerusalemme e dintorni”.

(Israelnetz, 8 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Parashà di Lekh Lekhà: Il patriarca Avraham, maestro di monoteismo e generale dell’esercito

di Donato Grosser

Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Avodàt Kokhavìm, cap. 1) descrive come il patriarca Avraham iniziò la sua missione di diffondere il monoteismo con queste parole:
“Quando [a Ur Casdìm] vinse [gli idolatri] con la forza dei suoi argomenti, il re lo volle uccidere. Fu salvato tramite un miracolo e partì per Charan. [Lì,] cominciò a chiamare a gran voce tutte le persone e a informarle che c’è un solo Dio nel mondo intero ed è giusto servirLo. Andava e chiamava e radunava il popolo, da città a città e da uno stato all’altro, finché giunse alla terra di Canaan, proclamando [l’esistenza di Dio per tutto il tempo], come è detto [Bereshìt, 21:33]: «E chiamò lì nel nome del Signore, l’eterno Dio». Quando le persone si radunavano attorno a lui e chiedevano spiegazioni delle sue parole, le spiegava a ciascuno di loro secondo la sua comprensione, finché non lo faceva tornare sulla via della verità. Alla fine, migliaia e miriadi si radunarono attorno a lui. Questi sono gli uomini della casa di Avraham”.
Arrivato nella terra di Canaan, Avraham si stabilì a Chevron con i suoi discepoli. Il nipote Lot, che era venuto con lui da Charan, attratto dalla ricchezza del luogo, andò a vivere a Sodoma, allontanandosi dallo zio Avraham e dai suoi insegnamenti, nonostante la nota perversità imperante in quella città. Tuttavia, quando arrivò la notizia che i quattro re della Mesopotamia avevano preso Lot prigioniero, con tutti gli abitanti di Sodoma, Avraham dovette cambiare ruolo, da maestro di monoteismo a generale dell’esercito. In questo passo della Torà è scritto:
“E [i vincitori] presero tutte le ricchezze di Sodoma e di Gomorra e tutti i loro viveri, e se ne andarono. Presero anche Lot, figlio del fratello di Avraham, che abitava a Sodoma, e tutti i suoi averi e se ne andarono. E uno degli scampati venne a dirlo ad Avraham l’ebreo, che abitava alle querce di Mamre l’amoreo, fratello di Eshcol e fratello di Aner, i quali avevano fatto alleanza con Avraham. E quando Avraham sentì che suo nipote era stato fatto prigioniero, armò trecentodiciotto suoi discepoli, nati in casa sua, ed inseguì [i re] fino a Dan. E, divisa la sua schiera per assalirli di notte, egli coi suoi servi li sconfisse e l’inseguì fino a Chovà, che è a nord di Damasco. E riportò indietro il bottino, e  anche Lot suo nipote con  i suoi averi e anche le donne e il popolo” (Bereshìt, 14:11-16).

  • Naftali Zvi Yehuda Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) in Ha’amèk Davàr (Bereshìt, 14:14) commenta che a Dan i quattro re si fermarono per riposare non pensando che Avraham li avrebbe attaccati di notte. Invece Avraham fece proprio così e li sorprese mentre dormivano. I sopravvissuti fuggirono verso il nord oltre a Damasco. Fino a Dan fu Avraham che condusse le truppe. Da Dan, che è al confine di Eretz Israel, a Damasco, lo fece Eli’ezer. Per questo Eli’ezer fu chiamato “uomo di Damasco”.

Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) commenta che Avraham, con l’aiuto divino, riuscì a raggiungere i quattro re della Mesopotamia, andando a marce forzate, compiendo in una sola giornata una distanza di più giorni.
Nel Yalkut Me’am Lo’ez l’autore osserva che è strabiliante il fatto che Avraham si mise in un tale pericolo andando a combattere contro quattro re con truppe più numerose delle sue. Tanto più che nella parashà di Noach, aveva scritto che una persona non deve mettersi in pericolo sperando nel miracolo. Per rispondere a questa sua domanda egli cita lo Zòhar (Bereshìt, 14:15) dove è scritto che Avraham non pensava che sarebbe stato necessario combattere. Riteneva di poter riscattare Lot come ostaggio, pagando la somma che gli avrebbero domandato. Ma durante l’inseguimento egli vide che la Presenza divina gli dava luce ed era accompagnato da angeli e pertanto si fece forza e decise di combattere.

  • Hershel Schachter (Scranton, 1941-) in Insights and Attitudes (p. 17) commenta che Avraham sapeva che aveva l’obbligo morale di andare in guerra e aveva il coraggio di farlo anche con un piccolo esercito. Né lui né la sua immediata famiglia erano in pericolo, ma sapeva che era la cosa giusta da fare.
(Shalom, 8 novembre 2024)
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Parashà della settimana: Lech Lechà (Va')

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Raffica di missili di Hezbollah contro Tel Aviv: colpire Israele per parlare all’America

di Ludovica Iacovacci

Nel giorno della vittoria del 47° inquilino della Casa Bianca, il Presidente Donald Trump, i missili dei terroristi di Hezbollah – o ciò che ne rimane durante la loro intercettazione in cielo da parte dei sistemi di difesa israeliani – raggiungono Tel Aviv. Colpire in questa significativa data la città, uno dei cuori pulsanti del Paese, è un messaggio politico di non arrendevolezza da parte dell’organizzazione terroristica di Hezbollah, sulla cui coscienza pesa il sangue sia di vittime israeliane sia americane.
  Le sirene d’allarme hanno iniziato a suonare dalle 11:21, ora locale, per poi continuare durante il pomeriggio. Le forze di difesa israeliane hanno detto che la maggior parte dei 10 proiettili nella raffica mattutina è stata intercettata. Hezbollah ha dichiarato di aver lanciato missili contro una base militare (quella di Tzrifin) vicino all’aeroporto Ben Gurion, la principale porta internazionale di Israele. I media israeliani hanno riferito che un razzo ha colpito un’area vicina all’aeroporto, senza causare vittime ma creando una profonda voragine nell’asfalto. L’autorità aeroportuale ha dichiarato che la struttura continua a funzionare come di consueto: “L’aeroporto è aperto e funziona normalmente per arrivi e partenze” è stato riferito, seppur il tema degli scambi aerei da e per lo Stato ebraico stia suscitando non pochi problemi a causa della guerra.

• L’ECONOMIA DI GUERRA SI SCRIVE NEI CIELI…
  I rappresentanti delle compagnie aeree straniere in Israele hanno inviato una lettera al consulente legale del Comitato per gli affari economici della Knesset chiedendo una modifica alla legge sui servizi aeronautici. L’obiettivo dell’emendamento è rendere meno ingenti i danni subiti dalle compagnie aeree straniere a causa dalle interruzioni causate dalla guerra. Le compagnie aeree includono vettori low-cost e compagnie aeree legacy (tra cui firme come EasyJet, Wizz Air, Delta e British Airways). La legge attuale richiede alle compagnie aeree di risarcire i passeggeri per cancellazioni e modifiche dei voli e, se necessario, di trovare e pagare voli alternativi. Le compagnie lamentano che la legge sia inadatta per un tempo di guerra con emergenze prolungate. I requisiti normativi comportano che le compagnie aeree straniere sono costrette a cancellare voli, subire perdite significative e far fronte alle richieste dei passeggeri e in una situazione come quella attuale ciò si traduce in attività in Israele finanziariamente non redditizie. Le compagnie vogliono che la clausola di compensazione della legge sia sospesa: il pensiero alla base è che se più compagnie aeree volano in Israele, seppur erodendo i diritti secondo la Aviation Services Law, ciò ripagherà perché sarà possibile volare.

• …E SI SCRIVE PER TERRA
  Mercoledì 6 novembre un altro teatro di detriti è stato Ra’anana, a nord di Tel Aviv. In mattinata, il resto di un missile ha letteralmente centrato in un’automobile parcheggiata, frantumandone il parabrezza. “Questa è l’ennesima prova che Hezbollah spara intenzionalmente e ciecamente contro la popolazione civile israeliana”, scrive l’ambasciata di Israele in Italia sul profilo ufficiale di Instagram. Le sirene hanno suonato di nuovo anche poco dopo le 16:00 a est di Tel Aviv. L’IDF ha detto che erano causate da un singolo razzo che è stato intercettato.
  Nella giornata l’allarme ha suonato nelle aree di Gush Dan e Sharon, tra cui Holon, Rishon Lezion, Hertzliya, Petah Tikva, Ramat Gan e Netanya, nell’Alta Galilea, a Rosh Pina, Hatzor Haglilit e Safed, tra le altre località. Nell’Alta Galilea, sono stati individuati circa 50 proiettili provenienti dal Libano. Alcuni sono stati intercettati e quelli caduti sono stati identificati. Verso le ore 16, quattro persone sono state ferite in un attacco missilistico a Moshav Avivim, nel nord di Israele.
  Sivan Sadeh, un contadino di 18 anni di Kfar Masaryk, è stato ferito a morte mercoledì sera dalle schegge di un razzo sparato dal Libano. Il suo corpo è stato scoperto in un campo agricolo vicino al cimitero della città da un altro contadino. Secondo i servizi di emergenza del Magen David Adom (MDA), la vittima stava cercando riparo in un fosso quando uno dei 25 razzi lanciati da Hezbollah è esploso a pochi metri da lui. Il giovane è deceduto per le gravi ferite causate dalle schegge.

• ATTENTATO TERRORISTICO A SILOH, BINYAMIN
  Sempre nel pomeriggio di mercoledì 6 novembre, una donna di 26 anni e un ragazzo di 16 anni sono stati leggermente feriti in un attacco di speronamento a Shiloh Junction nella regione di Binyamin. Il terrorista, sceso dal suo veicolo, ha tentato di pugnalare i civili con un cacciavite. È stato neutralizzato. Le forze di sicurezza si sono precipitate sulla scena. Gli EMT e i paramedici del MDA hanno curato le due vittime e le hanno portate all’ospedale Hadassah di Gerusalemme. L’esercito israeliano ha successivamente aggiornato: “A seguito del rapporto iniziale, un terrorista ha tentato di speronare i civili allo Shiloh Junction. Poi è uscito dal veicolo e ha tentato di condurre un accoltellamento. Il terrorista è stato eliminato. I soldati dell’IDF stanno attualmente operando nell’area”.

(Bet Magazine Mosaico, 7 novembre 2024)

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Gallant ha pagato la sua ambiguità sul futuro di Gaza senza Hamas: la verità sugli ostaggi e i timori di ‘Bibi’ su inchiesta 7 ottobre

Netanyahu evoca le esigenze di guerra mal governabili in un rapporto fiduciario compromesso e l’ex ministro snocciola i tre punti del dissidio sui quali la sua testa sarebbe caduta. Ma la verità passa per gli ostaggi.

di Iuri Maria Prado

È innegabile che la popolarità di Yoav Gallant fosse un’insidia per il potere cui è ferocemente avvinghiato Benjamin Netanyahu, ma è altrettanto vero che l’ormai silurato ministro della Difesa era interessato a contenderglielo più che a contestarlo. Non mirava alla destituzione di Bibi, ma a sostituirlo.
Sui motivi per cui Gallant è stato fatto fuori si sa forse più di quel che hanno detto i due protagonisti, Bibi che evoca le esigenze di guerra mal governabili in un rapporto fiduciario compromesso e l’altro, Gallant, che snocciola i tre punti del dissidio su cui la sua testa sarebbe caduta. È vero che il consenso dei fondamentalisti avversi all’arruolamento degli ultra-ortodossi costituisce un patrimonio preziosissimo per Netanyahu, ed è vero che l’argomento è risentito molto fortemente in Israele: ma è a dir poco improbabile che il primo ministro abbia deciso di assumere una iniziativa così grave, e che così gravemente lo espone a tanta protesta, per quel motivo abbastanza ancillare in un momento tanto delicato.

• L’INCHIESTA SUL 7 OTTOBRE CHE BIBI VUOLE RIMANDARE
  È vero, ancora, che la richiesta di Gallant rivolta a ottenere una commissione di inchiesta sul disastro di inefficienza e impreparazione di cui il sistema ha dato prova il 7 ottobre è pericolosissima per il primo ministro, il pavido che non ha chiesto scusa, che non è andato a visitare la gente e i luoghi più devastati del Sabato Nero, e che ha addirittura difeso l’azione degli apparati sottoposti al suo governo giusto per difendere sé stesso. Ma licenziare Gallant non sarebbe servito, e non servirà, a evitare che quell’inchiesta abbia corso e che i responsabili, Bibi in testa, ne siano lambiti.

• LA QUESTIONE OSTAGGI E LA GUERRA AD HAMAS
  E poi il terzo punto: gli ostaggi e la guerra per liberare loro e smantellare Hamas. È su questo, verosimilmente, che insiste la verità supplementare – evidente ma sottaciuta dai due – del dissidio e della sorte dimissionaria del soccombente Gallant. Aveva detto, in una conferenza stampa immediatamente successiva alla comunicazione del licenziamento, che la liberazione degli ostaggi era imperativa per la stessa sussistenza morale di Israele, e che sarebbe stata e sarebbe possibile a patto di accettare compromessi pesanti. Di quali compromessi dovesse trattarsi, Gallant, in pubblico, nulla ha detto. Ma non è casuale che ancora ieri circolassero notizie secondo cui quei compromessi dovessero implicare la permanenza al potere di Hamas a Gaza, insomma che il recupero degli ostaggi valesse un atteggiamento recessivo di Israele a fronte della pretesa mai dismessa dagli autori e dai mandanti dei massacri di un anno fa: cioè di continuare a esercitare il proprio potere sulla Striscia.

• HAMAS NON VUOLE NEGOZIARE
  Se questo fosse il quadro vero della vicenda, e il vero motivo dell’allontanamento di Yoav Gallant, allora l’avventatezza attribuita alla decisione di Netanyahu cederebbe il posto a una spiegazione molto più implicante e assai meno provvisoria. Perché l’ultimo rifiuto opposto da Hamas a un’ipotesi di accordo (è dell’altro giorno), la quale prevedeva una decina di giorni di cessate il fuoco e la liberazione di quattro ostaggi contro quella di 100 terroristi, ha reso chiaro a tutti che quel che rimane delle dirigenze e dell’esercito di Hamas non ha nessuna intenzione di arrendersi, nessuna intenzione di rendersi disponibile a uno scenario sgombro della propria presenza. E questa è una consapevolezza ormai diffusa, anche presso i tanti che contestano Netanyahu da mesi e anche tra quelli che l’altra sera, alla notizia del siluramento di Gallant, riempivano rumorosamente le strade accusando il primo ministro dell’ultimo, oltraggioso sproposito.
C’è caso che anche quei contestatori – che con ottime ragioni non hanno mai avuto e continuano a non avere fiducia in Netanyahu, che lo ritengono inadatto e che sentono come un insulto la sua permanenza al potere – capiscano che la guerra, che deve finire, non può finire senza la definitiva distruzione di Hamas.

(Il Riformista, 7 novembre 2024)

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Israele acquista 25 caccia F-15 di nuova generazione

di Luca Spizzichino 

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Il Ministero della Difesa israeliano ha annunciato l’acquisto di 25 nuovi caccia F-15IA, una versione avanzata e potenziata dell’iconico F-15, firmando un accordo con Boeing dal valore complessivo di 5,2 miliardi di dollari. Il finanziamento dell’operazione è stato reso possibile grazie al pacchetto di aiuti militari approvato dall’amministrazione e dal Congresso degli Stati Uniti all’inizio di quest’anno, e l’accordo prevede un’opzione per l’acquisto di ulteriori 25 velivoli in futuro.
  L’introduzione degli F-15IA rappresenta un rilevante potenziamento per l’aeronautica israeliana, migliorando la sua capacità strategica nel rispondere alle sfide attuali e future della regione. Questi caccia saranno dotati di sistemi d’arma avanzati integrati con tecnologia israeliana, una maggiore capacità di carico e un’autonomia di volo estesa, offrendo a Israele una maggiore flessibilità operativa in contesti complessi, tra cui potenziali minacce come quella iraniana.
  “La consegna dei primi F-15IA è prevista per il 2031, con una fornitura annuale di 4-6 unità,” ha dichiarato il Ministero della Difesa, aggiungendo che questa nuova flotta si unirà alla terza squadriglia di F-35 recentemente acquisita. “Questo potenziamento rappresenta un avanzamento significativo per la nostra forza aerea e la capacità strategica del Paese, qualità rivelatesi cruciali durante il conflitto recente” ha affermato Eyal Zamir, Direttore Generale del Ministero della Difesa.
  L’accordo con Boeing consolida ulteriormente la storica collaborazione tra Israele e l’azienda statunitense, che dura da oltre sette decenni. “Boeing è orgogliosa della lunga partnership con Israele, iniziata sin dai primi anni della fondazione dello Stato,” ha commentato Ido Nehushtan, presidente di Boeing Israel ed ex generale dell’aeronautica israeliana.
  Nel corso dell’attuale conflitto, Israele ha effettuato numerosi investimenti per rafforzare la prontezza operativa e la capacità difensiva delle proprie forze armate, firmando contratti per un valore complessivo di circa 40 miliardi di dollari (circa 150 miliardi di shekel). “Oltre agli avanzamenti già fatti in munizioni e armamenti, stiamo continuando a sviluppare programmi di lungo termine per il rafforzamento delle capacità difensive in tutti i settori: aereo, marittimo, terrestre e di intelligence” ha aggiunto Zamir.

(Shalom, 7 novembre 2024)

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L’ambasciatore Peled incontra la Comunità ebraica di Napoli

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Per la sua prima visita di una città italiana fuori da Roma, l’ambasciatore designato d’Israele in Italia Jonathan Peled ha scelto Napoli.
La guerra su più fronti che sta impegnando Israele da oltre un anno, i rapporti internazionali alla luce del conflitto e la crescita dell’antisemitismo in molti paesi sono i principali temi affrontati dall’ambasciatore nel corso di un incontro svoltosi stamane nella sinagoga napoletana di via Cappella Vecchia, dove Peled ha incontrato rappresentanti della Comunità ebraica, della sezione locale dell’associazione Italia-Israele e dell’associazione culturale Bezalel. Ad accogliere il diplomatico, introdotto dal consigliere nazionale di Italia-Israele Giuseppe Crimaldi, c’erano tra gli altri il vicepresidente della Comunità ebraica partenopea Sandro Temin e il rabbino capo Cesare Moscati. A seguire il responsabile della comunicazione della Comunità Daniele Coppin ha moderato un dibattito tra il pubblico e l’ambasciatore

(moked, 7 novembre 2024)

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Limmud Firenze. Tutti possono imparare e possono insegnare

di Rav Scialom Banbout

Si è svolto a Firenze dal 1° al 3 novembre un convegno – seminario, organizzato dell’Associazione Limmud Italia. Abbiamo fatto alcune domande a Sandro Servi, presidente, dell’Associazione.

- Lei ha diretto o collaborato a diversi progetti ebraici, tra questi il Progetto Famiglia Ebraica e il progetto Reshet per adolescenti del DAC, è redattore capo del progetto di traduzione del Talmud, vuole spiegarci cosa è questo progetto “Limmud Italia”? È un progetto finanziato da enti comunitari, nazionali o sovranazionali, cui gli organizzatori devono fare riferimento?
  Il movimento “Limmud” nel mondo ha già una lunga storia alle spalle: fondato nel 1980 nel Regno Unito da quattro amici con lo scopo di offrire un’occasione culturale educativa nuova e stimolante, ha avuto una crescita straordinaria, diventando un movimento globale che conta annualmente molte decine di eventi in 42 paesi nei 6 continenti. L’evento principale rimane quello inglese, che si chiamava inizialmente Limmud Conference e si chiama ora Limmud Festival, dura una settimana, e rappresenta con le sue migliaia di partecipanti, le sue centinaia di sessioni, l’evento ebraico più importante in Europa.
  Il modello Limmud è stato adottato in tutto il mondo, come il veicolo ideale per raggiungere tutti i tipi di ebrei, per avvicinare soggetti diversi e creare esperienze di scambio tra comunità diverse e generazioni diverse. Limmud non è legato a nessuna organizzazione ebraica. Ogni associazione Limmud è indipendente, ma si ispira ai “Valori di Limmud”. Ogni associazione Limmud cerca e a volte ottiene finanziamenti da enti ebraici (e non) e da privati. Per vari anni abbiamo chiesto e ottenuto un piccolo contributo dai fondi dell’Ottoxmille dell’UCEI, alcune Comunità ebraiche hanno ospitato gratuitamente i nostri eventi, di cui noi copriamo tutte le spese vive. 

- Quando è nato il progetto in Italia e in quali Comunità ebraiche si è svolto? Quali sono i problemi che gli organizzatori devono affrontare?
  l piccolo team di volontari composto da un gruppo di ebrei italiani che, dopo aver partecipato al Limmud Conference 2012 a Londra avevano deciso di costituire a inizio 2014 l’associazione LimmudItalia, ha finora organizzato cinque eventi nazionali a Firenze (nel 2014, 2015, 2016, 2017 e 2023), due nel 2018, uno a Venezia e uno a Gerusalemme per la comunità degli israeliani di lingua italiana, e uno a Parma nel 2019. Dopo il Covid abbiamo ripreso le attività l’anno scorso. I problemi sono organizzativi (si tratta di un multi-seminario residenziale in cui tutto va organizzato da zero), e soprattutto di comunicazione (è molto difficile promuovere le nostre iniziative perché non sempre riusciamo a ottenere collaborazione). In ogni caso la maggioranza dei partecipanti non sono ebrei locali, ma vengono da altre città.

- Esistono delle regole generali cui i partecipanti (relatori o pubblico) devono attenersi?
  Più che altro è interessante conoscere quali sono le caratteristiche peculiari degli eventi Limmud. 1. Tutti i partecipanti possono essere insegnanti e studenti; 2. Le presentazioni si svolgono in contemporanea; 3. Quindi c’è sempre un programma molto ricco in cui ogni partecipante può costruire il proprio itinerario personale. Le regole sono quelle dettate dai “Valori di Limmud”, per es. tutto è basato sul volontariato; non sono permessi attacchi personali nel materiale proposto nelle varie sessioni di studio; Shabbath e kesheruth sono osservati in tutte le aree comuni; Limmud non si presta a legittimare o delegittimare le varie posizioni religiose o politiche presenti nel mondo ebraico; crediamo che discussioni “le-shem Shamàim” possano dare un contributo positivo per promuovere l’educazione e la comprensione di tutti. Tutto questo contribuisce a creare un ambiente culturale piacevole e tollerante, che incoraggia le persone a superare gli stereotipi sugli altri, questo in genere piace molto, ma non a tutti, cosa del tutto naturale. Limmud è aperto e interessato al contributo di tutti, specie di coloro che svolgono funzioni didattiche e culturali.

- Quest’anno l’evento Limmud Italia Days Firenze 2024 è stato aperto con una tavola rotonda dedicata a ricordare il Centenario del Convegno giovanile di Livorno del 1924. Come è stato affrontato? In che modo si relaziona con la situazione delle Comunità ebraiche italiane oggi?
  Abbiamo organizzato una sessione in plenaria in due parti. Nella prima quattro illustri relatori (Stefano Levi Della Torre, Scialom Bahbout, Donato Grosser e Sira Fatucci) hanno rappresentato il pensiero di altrettanti protagonisti del Convegno del 1924 (Nello Rosselli, Dante Lattes, Alfonso Pacifici e Enzo Sereni), permettendo ai presenti di immergersi nel contesto storico e nelle idee che animarono quel momento cruciale per la comunità ebraica italiana. Nella seconda parte si è svolto un dibattito focalizzato su dove siamo arrivati oggi, a cento anni di distanza da quelle premesse.

- A parte la rievocazione del Centenario del Convegno di Livorno, quali argomenti sono stati affrontati nel vostro convegno?
  Prenderebbe troppo spazio riferire in dettaglio tutti i titoli, ma ci sono state oltre 30 presentazioni, lezioni workshop su storia, filosofia, Torà, etica, attualità, arte, musica, cucina e molto altro, con la partecipazione di relatori di varia origine e orientamento (nel nostro website www.limmud-italia.it sono consultabili tutte le Guide all’evento degli anni passati che contengono tutti i titoli e a giorni verrà inserita anche quella di quest’anno). Alcune sono state veramente interessanti e da molti è stato elogiato l’alto livello qualitativo degli interventi. C’è stato poi un Concerto dell’Ensemble Salomone Rossi (Fiori musicali del barocco ebraico) con brani su testi in ebraico di Avraham Caceres, Salomone Rossi, Benedetto Marcello, Giuseppe C. Lidarti, aperto a tutta la Comunità e anche alla cittadinanza fiorentina. Infine la Mostra “Due rare mappe antiche di Gerusalemme” in cui erano esposte una ventina di piante antiche della città. Benché a Limmud valga il principio “non si viene a Limmud per mangiare” abbiamo sempre dedicato molte risorse ai 5 pasti e ai coffee break, con risultati molto apprezzati. Durante lo Shabbàt si è creata un’atmosfera veramente speciale, con i canti di Shalom Alechem e Eshet Chail, il Qiddush, la Birkat haMazon cantata, all’italiana, da tutti. Per compensare il fatto che ormai prevale in Italia la versione ashkenazita, abbiamo cantato anche Bendigamos. Due signore hanno tenuto alla fine dei due pasti sabbatici due brevi Devar Torà. Per me, che ho partecipato all’ultimo corso biblico tenuto da Nehama Leibowitz (la studiosa che ha rivoluzionato il modo di leggere e studiare la Torà), questo era quasi un dovere. 

- Il Convegno di Livorno era destinato ai giovani del tempo: quello svoltosi a Firenze ha visto la partecipazione di persone adulte e non proprio giovani. Nel tempo in cui prevale la comunicazione attraverso i “social”, come pensa si possa rilanciare il progetto oggi per arrivare ai giovani?
  Ha ragione, il nostro è un pubblico adulto. Abbiamo cercato varie volte di coinvolgere i più giovani, sia come singoli che come movimenti. Non è nostra intenzione sovrapporsi ai movimenti e alle strutture organizzate già esistenti, è nostra intenzione lasciare loro grande autonomia, purtroppo il pubblico giovanile in Italia pare molto restio a partecipare a manifestazioni con i più adulti, e questa non mi pare una scelta saggia. Forse riusciremo in futuro a avvicinare i più giovani utilizzando maggiormente i social, ma finora, con le nostre risorse non siamo riusciti. D’altra parte pare a me che lo stesso problema affligga tutte le attività di tutte le Comunità, non solo ebraiche.

(Kolòt, 7 novembre 2024)

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Auguri trasversali a Donald Trump, «vero amico di Israele»

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Diversi leader del mondo, ancor prima della notizia ufficiale, si sono congratulati con Donald Trump per la sua vittoria nelle elezioni americane e il suo imminente ritorno alla presidenza degli Stati Uniti. Tra i primi a mandare un messaggio di auguri è stato il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu. «Congratulazioni per il più grande ritorno della storia!», ha commentato su X il primo ministro, rivolgendosi a Trump. «Il tuo storico ritorno alla Casa Bianca offre un nuovo inizio per l’America e una potente riaffermazione della grande alleanza tra Israele e Stati Uniti». Dopo di lui hanno inviato un messaggio anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron. Sempre da Gerusalemme poi sono arrivate le congratulazioni del presidente d’Israele Isaac Herzog. Anche lui ha definito «storico» il ritorno di Trump alla Casa Bianca. «Sei un vero e caro amico di Israele e un campione della pace e della cooperazione nella nostra regione», ha aggiunto Herzog. «Non vedo l’ora di lavorare con te per rafforzare il legame di ferro tra i nostri popoli, per costruire un futuro di pace e sicurezza per il Medio Oriente e per sostenere i nostri valori condivisi. A nome dello Stato ebraico e democratico di Israele e di tutto il nostro popolo, ti auguro un grande successo».
  Affidata alla piattaforma X anche la reazione degli alleati di governo di Netanyahu, ministri dell’estrema destra Itamar Ben-Gvir (Pubblica sicurezza) e Bezalel Smotrich (Finanze). Il primo ha esultato con un «Yesssss, Dio benedica Trump». Il secondo ha commentato con «Dio benedica Israele, Dio benedica l’America». Per salutare il nuovo presidente Usa, il ministro per gli Affari di Gerusalemme Meir Porush, del partito religioso Agudat Israel, ha citato un passo della Bibbia (Proverbi): «Il cuore di un re è nella mano di Dio».
  Dalle opposizioni in Israele a congratularsi con il nuovo presidente Usa è stato il leader del partito centrista Kachol Lavan (Blu Bianco) Benny Gantz. «Trump è un vero amico di Israele, e lo dimostra non solo con le parole ma anche con le azioni. Nel corso del suo precedente mandato ha mediato gli accordi di Abramo, ha riconosciuto ufficialmente le alture del Golan come parte di Israele e ha spostato l’ambasciata statunitense a Gerusalemme», ha ricordato Gantz nel suo messaggio. «Sullo sfondo di un’aggressione iraniana sempre più forte nella regione, della sua corsa verso le capacità nucleari e degli sforzi fondamentali per riportare a casa gli ostaggi, la leadership del presidente Trump non solo assicurerà che gli Stati Uniti continuino a essere un amico e un alleato speciale per lo Stato di Israele, ma anche un faro vitale di chiarezza morale per il Medio Oriente e il mondo». Gantz è stato anche l’unico a ringraziare il presidente uscente Joe Biden per il suo sostegno allo stato ebraico. Nel salutarlo, ha espresso la propria gratitudine a Biden «per la sua profonda dedizione personale a Israele, il suo storico abbraccio morale al sionismo e il suo importante sostegno a Israele, in particolare dopo il 7 ottobre e nella lotta contro Hamas e l’asse del male dell’Iran».
  Anche il leader dell’opposizione e del partito Yesh Atid Yair Lapid, nel congratularsi con Trump, lo ha definito un «vero amico d’Israele». «Sono tempi difficili per Israele, ma con il ferreo sostegno degli Stati Uniti e una forte leadership possiamo superarli», ha affermato Lapid. Parlando del conflitto, il leader di Yesh Atid ha indicato la priorità in agenda: «Per il popolo di Israele non c’è compito più urgente che riportare a casa i nostri ostaggi da Gaza».

(moked, 6 novembre 2024)

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La vittoria di Trump e il suo significato per Israele

di Niram Ferretti

La vittoria netta di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane non è, in primis, una buona notizia per l’Iran e per i suoi delegati in Medio Oriente, ma lo è invece in modo lampante per Israele e anche, collateralmente, per l’Arabia Saudita e per gli Emirati del Golfo.
  Alla notizia della vittoria di Trump il rial iraniano è sceso al minimo storico. Dai 32,000 necessari per un dollaro del 2015 quando venne siglato l’accordo sul nucleare si è arrivati ai 703,000 al dollaro di oggi.
  Trump è stato l’unico presidente americano che dal 1979 ha posto sull’Iran sanzioni massicce che ne hanno fortemente compromesso la tenuta economica, così come è stato l’unico presidente in carica ad assestare al regime un colpo durissimo con l’uccisione in Iraq nel gennaio del 2020 di Qasem Soleimani, una delle sue figure più di spicco e il regista della strategia del terrore che per decenni l’Iran ha articolato a livello regionale.
  Si tratta dunque per Khamenei e per i suoi accoliti di un antagonista vero e pericoloso, lontano mille miglia dalla mano vellutata che gli porse Obama durante la sua presidenza e che ha continuato a porgergli l’Amministrazione Biden.
  Inutile sottolineare come, dalla sua vittoria, il governo Netanyahu esca fortemente rafforzato e che Benjamin Netanyahu possa tirare un sospiro di sollievo relativamente alle intenzioni programmatiche dell’Amministrazione Biden di fare nascere in Cisgiordania uno Stato palestinese retto da Fatah che non si è mai dissociata dall’eccidio del 7 ottobre.
  Con la seconda presidenza Trump questa prospettiva è tramontata, come era già accaduto durante il suo primo quadriennio. Si rafforzano invece gli Accordi di Abramo, rimasti sospesi nel loro esito ulteriore e di maggiore rilievo, l’intesa diplomatica tra Israele e Arabia Saudita annunciata da Netanyahu come prossima nel settembre 2023 all’ONU e mandata a gambe all’aria dall’aggressione di Hamas.
  Per quanto riguarda Gaza, dove Hamas è stato sostanzialmente disarticolato, ma dove sono prigionieri ancora 101 ostaggi, Netanyahu potrà avere ancora più mano libera per fare ciò che Trump lo esortava a fare pochi mesi fa, “finish the job”, concludere il lavoro, il che, in termini concreti, può solo preludere a una presenza protratta di Israele all’interno della Striscia che metta fine definitivamente al regime terrorista dell’organizzazione jihadista salafita. Lo stesso vale per il Libano, dove l’esigenza di Israele non è quella di occupare il paese ma di neutralizzare la minaccia di Hezbollah al di là del fiume Litani, consentendo ai circa ottantamila sfollati israeliani che dal 8 ottobre hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni, di potervi tornare in sicurezza. Anche qui, è prevedibile che Trump si attivi affinché questo obiettivo essenziale venga raggiunto.
  Tornando all’Iran e alla sua minaccia, esso si trova adesso ulteriormente indebolito e fortemente esposto a un ulteriore intervento militare israeliano che, come lo stesso Trump aveva esortato a fare, colpisca i pozzi petroliferi e i siti nucleari, neutralizzando di fatto la minaccia nucleare che pende sullo Stato ebraico.
  Si tratta al momento di possibili esiti prossimi. L’Amministrazione Biden resterà ancora in carica per circa tre mesi, periodo insidioso, durante il quale non è da escludere che in attesa dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca il 20 di gennaio, venga confezionata per Israele qualche polpetta avvelenata.

(L'informale, 6 novembre 2024)

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Netanyahu licenzia Yoav Gallant, Katz nominato nuovo ministro della Difesa

di Luca Spizzichino

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha destituito ieri sera il Ministro della Difesa Yoav Gallant, motivando la decisione con una “crisi di fiducia” che ha descritto come “profonda e irreparabile”. Gallant sarà sostituito dal Ministro degli Esteri Israel Katz. Netanyahu ha spiegato la scelta affermando che, “nel pieno di un conflitto, è essenziale avere una fiducia totale tra il Primo Ministro e il Ministro della Difesa”. Negli ultimi mesi, tuttavia, tale fiducia “si è incrinata” a causa di divergenze sulla gestione della guerra e di dichiarazioni pubbliche di Gallant, considerate lesive dell’unità nazionale”. Gallant ha risposto su X ribadendo il suo impegno per la sicurezza di Israele: “La sicurezza dello Stato di Israele è e resterà sempre la missione della mia vita”.
  Durante una conferenza stampa Gallant ha chiarito i motivi delle recenti fratture con Netanyahu: l’ostilità verso il piano per un’inchiesta sugli eventi del 7 ottobre 2023, il disaccordo sulla gestione dei prigionieri di Hamas e, soprattutto, il dissenso sull’esenzione dal servizio militare per gli ultra-ortodossi. Gallant si è opposto fermamente, ritenendo tale esenzione una minaccia alla coesione sociale e alla sicurezza nazionale. “Tutti devono servire nell’IDF e difendere Israele”, ha dichiarato, sottolineando che “nessuno dovrebbe essere esentato per motivi politici”.
  Il nuovo Ministro della Difesa, Israel Katz, ha ringraziato Netanyahu per la fiducia e ha promesso di lavorare per la sicurezza di Israele e per il ritorno “incolume” di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas. Katz ha delineato le sue priorità, dichiarando: “La distruzione di Hamas a Gaza, la sconfitta di Hezbollah in Libano e il contenimento dell’aggressione iraniana”.
  Il Presidente israeliano Isaac Herzog ha commentato il licenziamento di Gallant su X, lanciando un appello all’unità del paese: “L’ultima cosa di cui Israele ha bisogno in questo momento è uno sconvolgimento e una spaccatura nel mezzo della guerra. La sicurezza di Israele deve essere al di sopra di ogni considerazione”. Herzog ha avvertito che una disgregazione interna potrebbe minare l’efficacia della risposta militare del paese: “I nemici di Israele aspettano solo un segno di debolezza, disintegrazione o divisione tra noi”.
  La decisione di licenziare Gallant ha immediatamente provocato una reazione violenta, con migliaia di manifestanti scesi in piazza a Tel Aviv, Gerusalemme e in altre città. Gli scontri con la polizia hanno portato all’arresto di circa cinquanta persone. Il leader dell’opposizione, Yair Lapid, ha invitato i cittadini a mobilitarsi, mentre Yair Golan, leader del partito democratico, ha richiesto uno sciopero generale e la chiusura di università e aziende, accusando Netanyahu di “distruggere Israele”. A lui si è unito Benny Gantz, presidente di Unità Nazionale, che ha definito la mossa “un atto politico pericoloso a scapito della sicurezza nazionale”.
  Dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è arrivato un messaggio di sostegno al nuovo Ministro della Difesa e l’impegno a continuare la stretta collaborazione con Israele. In una nota, il Pentagono ha elogiato Gallant per il ruolo fondamentale svolto nella difesa del paese e ha sottolineato che “gli Stati Uniti continueranno a collaborare con il prossimo Ministro della Difesa”.

(Shalom, 6 novembre 2024)


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Netanyahu licenzia Galant e nomina Israel Katz ministro della Difesa

“In piena guerra, la piena fiducia tra il Primo Ministro e il Ministro della Difesa è più che mai necessaria”, ha dichiarato Netanyahu.

di Akiva van Koningsveld e Alex Traiman

GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato martedì di aver licenziato Yoav Galant come ministro della Difesa e di aver nominato Israel Katz, ministro degli Esteri israeliano, come nuovo capo del ministero della Difesa.
  L'annuncio è arrivato poche ore prima della chiusura dei seggi negli Stati Uniti per l'Election Day, una delle notizie internazionali più importanti durante le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Netanyahu ha dichiarato che Gideon Sa'ar, ministro senza portafoglio, sostituirà Katz come massimo diplomatico di Gerusalemme.
  “Nel bel mezzo della guerra, la piena fiducia tra il primo ministro e il ministro della Difesa è più che mai necessaria”, ha dichiarato Netanyahu. “Anche se questa fiducia era presente nei primi mesi della campagna militare e abbiamo avuto una cooperazione molto produttiva, questa fiducia tra me e il Ministro della Difesa ha purtroppo iniziato a sgretolarsi negli ultimi mesi”.
  Galant e Netanyahu “hanno avuto disaccordi significativi sulla gestione della campagna militare, disaccordi che sono stati accompagnati da dichiarazioni pubbliche e azioni che andavano contro le decisioni del governo e del gabinetto di sicurezza”, ha spiegato il primo ministro israeliano.
  “Ho cercato più volte di chiarire questi disaccordi, ma continuavano a crescere”, ha detto Netanyahu. “Sono stati anche portati all'attenzione dell'opinione pubblica in modo inappropriato e, quel che è peggio, sono arrivati all'attenzione del nemico; i nostri nemici hanno tratto piacere da questi disaccordi e ne hanno tratto grande vantaggio”.
  Un alto funzionario del governo israeliano vicino a Netanyahu ha dichiarato a JNS che “con la partenza di Galant, le fughe di notizie nel gabinetto molto probabilmente diminuiranno e i successi aumenteranno”.
  Netanyahu ha spiegato che Katz “ha dimostrato le sue capacità e ha contribuito alla sicurezza nazionale come ministro degli Esteri, delle Finanze, dell'Intelligence per cinque anni e, cosa altrettanto importante, come membro di lunga data del Gabinetto di Sicurezza dello Stato”.
  “Israel Katz porta con sé un'impressionante combinazione di ricca esperienza e qualità di leadership”, ha dichiarato Netanyahu. “È conosciuto come un uomo d'azione che combina la responsabilità con una determinazione contenuta - tutte qualità importanti per guidare una campagna militare”.
  Netanyahu ha aggiunto che la nomina di Katz e Sa'ar ai loro nuovi ruoli “rafforzerà il governo e il gabinetto di sicurezza e li trasformerà in organi che lavorano in modo cooperativo e armonioso per la sicurezza dello Stato di Israele, per i cittadini di Israele e per la nostra vittoria”.
  In una lettera pubblicata da Channel 12, il Primo Ministro Galant ha detto che il suo licenziamento avrebbe avuto effetto 48 ore dopo la consegna della lettera. “Vorrei ringraziarla per il suo lavoro come ministro della Difesa”, ha scritto Netanyahu. L'incontro tra i due sarebbe durato tre minuti.
  Secondo il rapporto di Channel 12, Netanyahu e Katz dovrebbero cercare di sostituire il capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa israeliane, il tenente generale Herzi Halevi, e altri alti funzionari della sicurezza israeliana.
  Netanyahu ha dichiarato in un comunicato stampa che “le notizie secondo cui il Primo Ministro intende licenziare alti funzionari dei servizi di sicurezza sono false e mirano a seminare discordia e spaccature”.
  “Questo vale anche per le notizie mendaci secondo cui i ministri ultraortodossi erano al corrente della questione”, ha spiegato. “Ne sono venuti a conoscenza dai media”.
  In risposta al suo licenziamento, Galant ha scritto in ebraico che “la sicurezza dello Stato di Israele è stata e sarà sempre il lavoro della mia vita”.
  Katz ha ringraziato Netanyahu per avergli affidato il comando e ha giurato di guidare l'esercito israeliano “alla vittoria sui nostri nemici e al raggiungimento degli obiettivi della guerra”: La restituzione di tutti gli ostaggi come missione più importante, la distruzione di Hamas a Gaza, la sconfitta di Hezbollah in Libano, il contenimento dell'aggressione iraniana e il ritorno sicuro dei residenti del nord e del sud alle loro case”.
  Netanyahu e Galant erano in disaccordo fin dalla crisi della riforma giudiziaria del 2023. Nel maggio 2023, mentre Netanyahu si trovava all'estero, Galant convocò una conferenza stampa e chiese al Primo Ministro di fermare il disegno di legge sulla riforma giudiziaria, che portò a massicce proteste di piazza in tutto Israele.
  Circa 24 ore dopo, Netanyahu ha annunciato l'intenzione di licenziare Galant. Le proteste a livello nazionale contro la riforma giudiziaria del governo, ormai accantonata, si sono intensificate e il Primo Ministro ha fatto marcia indietro.
  Sei mesi fa, Netanyahu e altri membri della sua coalizione avevano criticato aspramente Galant dopo che questi aveva chiesto che Gerusalemme si impegnasse a mantenere il controllo palestinese della Striscia di Gaza dopo la guerra con Hamas.
  A settembre, dopo che è stato rivelato che le forze israeliane avevano trovato i corpi di sei ostaggi in un tunnel di Hamas nel sud della Striscia di Gaza, Galant ha chiesto a Netanyahu di fare marcia indietro sulla sua decisione di mantenere le truppe dell'IDF al confine dell'enclave con l'Egitto, noto come Corridoio di Filadelfia.
  Galant si scusò per evitare il suo licenziamento, ha riferito Maariv nel mese successivo, citando conversazioni vicine al capo del governo.
  Secondo un sondaggio JNS/Direct Polls condotto a luglio, la maggioranza degli elettori del partito Likud ha perso la fiducia in Galant e vorrebbe vederlo licenziato.
  Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir ha elogiato la mossa di martedì, scrivendo sui social media in ebraico: “Mi congratulo con il Primo Ministro per la sua decisione di licenziare Galant”.
  Ha aggiunto che Galant era ancora “profondamente intrappolato nel concetto di sicurezza precedente al 7 ottobre 2023” e che “non è possibile ottenere una vittoria assoluta”. Netanyahu ha “fatto bene a rimuoverlo dal suo incarico”, ha scritto Ben-Gvir.
  Il leader dell'opposizione Yair Lapid del partito Yesh Atid ha definito il licenziamento un “atto di follia” e ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza.
  Dopo l'annuncio del licenziamento di Galant, i manifestanti hanno bloccato l'autostrada Ayalon a Tel Aviv e hanno acceso fuochi in strada. La polizia ha eretto barriere davanti alla residenza di Netanyahu a Gerusalemme.
  “La polizia israeliana è dispiegata in gran numero nei punti caldi della protesta in tutto il Paese per mantenere la sicurezza e l'ordine pubblico e per consentire un equilibrio tra la libertà di protestare legittimamente e la libertà di movimento”, ha dichiarato la polizia.

(Israel Heute, 6 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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“Nel bel mezzo della guerra, la piena fiducia tra il primo ministro e il ministro della Difesa è più che mai necessaria”. Esatto. In altri tempi e con altri eserciti Galant sarebbe stato fatto passare per le armi. Insieme a Yair Lapid. M.C.

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Report, due ore di menzogne su Israele

Tutti gli errori del programma di Sigfrido Ranucci sul Medio Oriente, la Striscia di Gaza e il 7 ottobre.

di Michael Sfaradi

Vivendo in Israele mi è oggettivamente impossibile seguire tutte le televisioni italiane in tempo reale, per cui certi programmi, soprattutto quelli che mi vengono segnalati, li vedo a distanza di qualche ora o a volte di qualche giorno. Sulla puntata di Report, prima di criticare quello che è stato riportato, perché va criticato e sputtanato, su questo non c’è dubbio per come ha riportato notizie e approfondimenti, vista la quantità di falsità e di completa mancanza di contraddittorio sugli argomenti trattati, mi sono servite alcune ore per scegliere su cosa focalizzare questo mio intervento.
Per me, che generalmente rispondo di getto, il fatto stesso che ci siano volute delle ore e che abbia dovuto scegliere in quel mare nostrum di volgare giornalismo, se di giornalismo si tratta, la dice lunga.
In ogni modo gli italiani che hanno visto Report su Rai3 hanno assistito a due ore di menzogne su Israele, sulla storia del Medio Oriente, sul 7 ottobre e sulla guerra. Sembrava di trovarsi davanti a un programma megafono della propaganda dei terroristi.
Programma completamente mancante di etica dell’informazione che ha fatto tra l’altro passare per scoop la sintesi degli argomenti che i terroristi e gli antisionisti non antisemiti urlano da anni sui complici organi di informazione occidentali.
In quelle due ore della messa in onda sono state quasi del tutto dimenticate le donne stuprate, mutilate e uccise il 7 ottobre. Sono state dimenticate famiglie intere cancellate dalla furia terroristica di Hamas. Sono stati dimenticati i bambini israeliani massacrati nelle loro case e alcuni addirittura bruciati vivi nei forni delle cucine.
Ma non è tutto.
Il 7 ottobre 2023 non solo è stato in massima parte nascosto alla pubblica opinione, ma a tratti addirittura giustificato come atto di resistenza a 70 anni di un’occupazione inesistente.
Ricordiamo a chi ha ancora la voglia di conoscere la verità che dal 2005 non c’erano più israeliani nella Striscia di Gaza e che migliaia di lavoratori frontalieri, gli stessi che hanno fornito ai terroristi le mappe dei kibbutz, i nomi delle famiglie, le case dove abitavano e anche se c’erano bambini e animali, che venivano in Israele a lavorare. Sì, se dobbiamo dirla vale la pena dirla tutta, coloro che venivano in Israele a guadagnarsi da vivere con stipendi che nella Striscia di Gaza erano solamente dei sogni, sono gli stessi che hanno fornito le informazioni per meglio colpire i civili israeliani in quel maledetto 7 ottobre 2023.
Ma Ranucci questo chiaramente lo ha sorvolato.
Nella trasmissione sono stati riproposti come unica fonte i numeri del “Ministero della Sanità di Gaza“, entità sconosciuta, più volte smentita e agli ordini di Hamas, cioè dei terroristi. Lo stato di Israele è stato descritto come laboratorio dell’estrema destra mondiale, una follia considerando che per mesi le sinistre israeliane hanno liberamente protestato contro il governo in carica e democraticamente eletto.
Magari Ranucci dovrebbe mandare i suoi in Iran, per chiedere come sta Ahou Daryaei che ha trovato i suoi cinque minuti di vera libertà passeggiando in mutande davanti all’entrata dell’università. Ecco, questo sarebbe un vero scoop ma per una trasmissione del genere è davvero chiedere troppo.
Torniamo a noi, in quelle due ore di propaganda antisraeliana è stato cancellato il rifiuto dei palestinesi all’esistenza dello Stato di Israele, sono stati cancellati migliaia di missili lanciati su Israele da 20 anni, gli attentati terroristici contro gli israeliani e contro gli ebrei in tutto il mondo.
C’è davvero da chiedersi come la Rai, la più importante televisione italiana, la tv dello Stato finanziata dai soldi dei contribuenti che dovrebbe avere una linea editoriale basata sull’etica dell’informazione possa aver accettato di mandare in onda un programma di questo tipo.
Fermo restando la libertà di stampa e rispetto per ogni opinione legittima, la ricerca della verità e l’etica base del giornalismo democratico pretendono la verifica delle fonti e soprattutto il contraddittorio su temi controversi.
Tutti coloro che la verità l’hanno a cuore non possono non aver capito che tutto questo è mancato, volutamente e magistralmente nascosto.
Ranucci, facendo intervistare dal suo inviato Ilan Pappé, storico molto discusso, è riuscito pure a fare negazionismo della Shoah e revisionismo storico arrivando addirittura a fargli dire in tv che l’allora Muftì di Gerusalemme, auto-esiliatosi in una casa di lusso a Berlino preparata per lui dagli amici nazisti e intimo di Himmler, avrebbe incontrato Hitler per soli 4 minuti e che in questi 4 minuti non avrebbe avuto modo di parlare nemmeno di ebrei e del loro sterminio.
La realtà è che il Muftì ebbe diversi incontri e accordi con molti gerarchi nazisti tra cui Hitler, altrimenti non avrebbe potuto fondare di una intera divisione di SS musulmane.
Ma il culmine dell’ignoranza è arrivato quando Ilan Pappè, uno dei pochi ebrei che Cecilia Parodi salverebbe, a sostegno della sua tesi ha affermato che quando il Muftì incontrò Hitler, nel 1941, la Shoah era stata già pianificata. A Sigfrido Ranucci sarebbe bastato sbirciare su Wikipedia per sapere che la conferenza di Wannsee, dove i gerarchi nazisti riuniti decisero per la “soluzione finale del problema ebraico” vale a dire lo sterminio degli ebrei, si tenne nel 1942. La conferenza di Wannsee (in tedesco Wannseekonferenz) si svolse il 20 gennaio 1942 a villa Marlier, una villa sulla riva del lago Großer Wannsee nella periferia a sud di Berlino. Coinvolse quindici personaggi di primo piano del regime nazionalsocialista, del partito e delle Schutzstaffel (tra cui quattro segretari di Stato, due funzionari pubblici di grado equivalente e un sottosegretario) che, su invito dell’SS-Obergruppenführer Reinhard Heydrich, capo del Reichssicherheitshauptamt (RSHA), si riunirono per definire la cosiddetta «soluzione finale della questione ebraica» (Endlösung der Judenfrage).
Considerando che il Muftì incontrò Hitler il 28 novembre del 1941, quindi prima di questa conferenza, si capisce che tutto quello che ha detto Pappè è solo muffa che si è aggiunta a un programma che oltre ad aver fatto male alla Rai, la brutta figura rimarrà per sempre come una delle pagine più buie della televisione italiana, non ha aiutato a capire il tema dello scontro e le responsabilità delle parti, di tutte le parti, sulla problematica mediorientale. Ma, soprattutto non ha fatto bene al giornalismo che, soprattutto quando si toccano certi argomenti, deve essere al di sopra delle parti e ben informato.
Il programma Report non si è dimostrato al di sopra delle parti, anzi, non è proprio giornalismo è altro. È dell’altro, qualcosa che un tempo, in maniera dispregiativa, veniva chiamata propaganda.

(nicolaporro.it, 5 novembre 2024)

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Blinken ricatta ancora Israele: “più aiuti a Gaza o taglio delle forniture di armi americane”

Prima della guerra ogni giorno entravano a Gaza circa 500 camion di aiuti che sono serviti ad Hamas per costruire centinaia di Km di tunnel

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha parlato telefonicamente lunedì con il Ministro della Difesa Yoav Gallant per esaminare i passi compiuti da Israele per migliorare la situazione umanitaria a Gaza, ha dichiarato il Dipartimento di Stato americano, mentre si avvicina il termine ultimo entro il quale Israele deve soddisfare alcuni requisiti stabiliti dagli Stati Uniti, o rischiare potenziali restrizioni sull’assistenza militare offensiva.
La telefonata è avvenuta tre giorni dopo che Blinken ha avuto un colloquio simile con il ministro degli Affari strategici Ron Dermer, e mentre gli Stati Uniti hanno intensificato le loro critiche per quello che hanno definito un tentativo insufficiente di porre rimedio alla crisi umanitaria nell’enclave palestinese.
Blinken e il Segretario alla Difesa Lloyd Austin hanno inviato una lettera a Gallant e Dermer il 13 ottobre, avvertendo che la mancata risoluzione della crisi umanitaria entro 30 giorni potrebbe avere implicazioni legali per la continuazione delle spedizioni di armi offensive statunitensi a Israele, poiché i beneficiari di tali aiuti non possono legalmente bloccare l’assistenza umanitaria.
Tra le altre condizioni, la lettera di Austin e Blinken di metà ottobre diceva che Israele doveva consentire l’ingresso di un minimo di 350 camion al giorno che trasportassero cibo e altri rifornimenti. Tuttavia, l’Associated Press ha riferito venerdì scorso che una revisione dei dati delle Nazioni Unite e di Israele ha rilevato che il numero medio di camion che entrano a Gaza ogni giorno rimane ben al di sotto di tale numero.
Lunedì il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha dato a Israele un voto “negativo” in termini di rispetto delle condizioni per un miglioramento delle consegne di aiuti e ha affermato che, sebbene manchino ancora circa nove giorni alla scadenza del termine, i limitati progressi compiuti finora sono stati insufficienti.
“Ad oggi, la situazione non è cambiata in modo significativo”, ha dichiarato Miller ai giornalisti. “Abbiamo visto un aumento di alcune misure. Ma se si considerano le raccomandazioni previste dalla lettera, queste non sono state rispettate”.
Prima che Hamas, il governo di Gaza, iniziasse la guerra con il suo attacco terroristico al sud di Israele nell’ottobre 2023, una media di 500 camion al giorno portavano aiuti nella Striscia. I gruppi di soccorso hanno affermato che si tratta del minimo necessario per i 2,3 milioni di abitanti di Gaza, la maggior parte dei quali da allora è stata sradicata dalle proprie case, spesso più volte.
Dall’inizio dei combattimenti, non c’è mai stato un mese in cui Israele si sia avvicinato a questa cifra, che ha raggiunto un picco di 225 camion al giorno in aprile, secondo i dati del governo israeliano.
Quando Blinken e Austin hanno inviato la loro lettera, stavano aumentando i timori che le restrizioni agli aiuti stessero affamando i civili. Il numero di camion di aiuti che Israele ha permesso di entrare a Gaza è crollato dalla primavera e dall’estate scorsa, scendendo a una media giornaliera di soli 13 al giorno all’inizio di ottobre, secondo i dati delle Nazioni Unite.
Alla fine del mese, il numero è salito a una media di 71 camion al giorno, secondo i dati delle Nazioni Unite.
Una volta che i rifornimenti arrivano a Gaza, i gruppi incontrano ancora ostacoli nel distribuire gli aiuti ai magazzini e poi alle persone bisognose, hanno detto la settimana scorsa le organizzazioni e il Dipartimento di Stato. Tra questi vi sono la lentezza delle procedure israeliane, le restrizioni israeliane sulle spedizioni, l’illegalità e altri ostacoli, hanno dichiarato i gruppi di aiuto.
La riduzione delle consegne di aiuti a Gaza si è fatta sentire maggiormente nel nord dell’enclave, dove il mese scorso Israele ha lanciato una nuova operazione volta a contrastare la rinascita di Hamas.
Durante le prime due settimane dell’offensiva, nessun aiuto è entrato nel nord di Gaza, suscitando l’indignazione dei gruppi umanitari e degli alleati di Israele, compresi gli Stati Uniti.
Le due settimane di blocco degli aiuti nel nord di Gaza hanno fatto pensare che Israele stesse mettendo in atto il cosiddetto “Piano dei generali” per bloccare gli aiuti umanitari al nord nel tentativo di affamare i terroristi di Hamas.
Se attuato, il piano altamente controverso potrebbe intrappolare senza cibo né acqua centinaia di migliaia di palestinesi che non vogliono o non possono lasciare le loro case dopo l’ordine di fuga dell’IDF.
L’IDF ha negato di aver messo in atto un simile piano, anche se i funzionari del governo, compreso il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, non hanno ancora fatto lo stesso a livello ufficiale.
I dati del COGAT, l’organismo militare israeliano responsabile degli aiuti umanitari a Gaza, mostrano che gli aiuti sono scesi a meno di un terzo dei livelli di settembre e agosto. A settembre, 87.446 tonnellate di aiuti sono entrate nella Striscia di Gaza. A ottobre sono entrate 26.399 tonnellate.
“I risultati non sono abbastanza buoni oggi”, ha detto Miller. “Di certo non hanno il lasciapassare. Non sono riusciti a mettere in atto tutte le cose che abbiamo raccomandato. Detto questo, non siamo alla fine del periodo di 30 giorni”.
Alla domanda su cosa faranno gli Stati Uniti alla scadenza della prossima settimana, non ha voluto dire nulla, ma solo che “seguiremo la legge”.
Anche Austin ha ribadito “quanto sia importante garantire che l’assistenza umanitaria possa fluire e affluire più velocemente a Gaza” nelle telefonate con Gallant, ha dichiarato il Magg. Gen. Pat Ryder, addetto stampa del Pentagono.
Lunedì il COGAT ha dichiarato di aver evacuato 72 pazienti dagli ospedali del nord di Gaza verso altre strutture mediche e di aver portato forniture mediche, oltre a carburante, cibo, acqua e unità di sangue.
Miller ha anche detto che gli Stati Uniti stanno esaminando la decisione del governo israeliano di ritirarsi dall’accordo del 1967 che riconosce l’agenzia per i rifugiati palestinesi UNRWA, dopo che la Knesset ha approvato una legge che limita fortemente le operazioni dell’agenzia in Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza.
La decisione di tagliare i ponti con l’UNRWA è stata contrastata da Blinken e Austin nella loro lettera.
Sebbene Israele abbia da tempo un rapporto conflittuale con l’UNRWA, la rabbia ha raggiunto l’apice dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, al quale hanno partecipato diversi membri del personale dell’UNRWA, anche rapendo e uccidendo israeliani.
Israele ha affermato che il 10% del personale dell’agenzia ONU ha legami con Hamas – un’accusa che l’agenzia ha negato.
Prima dell’approvazione della legge, l’UNRWA ha confermato che un comandante di Hamas ucciso in un attacco israeliano, il quale aveva guidato l’uccisione e il rapimento di israeliani da un rifugio anti-bombe vicino al Kibbutz Re’im il 7 ottobre dello scorso anno, era stato impiegato dall’agenzia dal luglio 2022.
In questo contesto, le due proposte di legge sono state rapidamente approvate dalla Knesset, con il patrocinio di legislatori della coalizione e dell’opposizione.

(Rights Reporter, 5 novembre 2024)

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Il volto d’Israele e le parole di Idit

di Angelica Edna Calò Livne

Da mesi sentivo il richiamo potente, le grida che arrivavano dal profondo della terra bruciata, martoriata e intrisa di sangue innocente. Da mesi non mi davo pace, al di là delle sirene, dei tuoni dei cannoni e della vita reclusa alla mia camera blindata sul confine Nord. Mi dicevo “Che hai da lamentarti? Voi siete al sicuro, un sobbalzo ogni tanto non è nulla a confronto di una vita, di migliaia di vite recise in poche ore, senza un segno premonitore, nel giorno di Festa, nel pieno di un percorso di pace, nell’attesa di una risposta a tanti sforzi per il dialogo. Dovevo andare, per capire, guardare negli occhi di quei volti che potevano ancora vedermi e di quelli che non potevano vedere più.
  E il momento è giunto: Ti invitiamo a un tour speciale ispirato al libro “L’individuo nell’insieme” al quale hai preso parte con il tuo contributo, che esplora l’esperienza dell’individuo e l’esperienza di inclusione dei diversi gruppi identitari. Durante il tour presenteremo il libro e ci concentreremo su vari casi di inclusione sociale e sui suoi effetti sull’individuo e sul collettivo. Il viaggio sarà accompagnato dai curatori del libro Dr. Orna Shemer e Dr. Manolo Topel che hanno scelto di condurre il tour nei centri abitati del Negev occidentale, lungo la Striscia di Gaza, e di presentare questioni attuali e innovative di solidarietà e inclusività che corrispondono ai temi del libro.
  È stato un pellegrinaggio come quando andammo a Majdanek, a Treblinka, a Birkenau in Polonia, con lo stesso peso sul cuore. Un viaggio come sospesi su una funivia vacillante che ondeggiava di emozione in emozione. Il primo incontro a Ruchama,un kibbutz che si prepara ad accogliere un altro kibbutz – Kfar Azza – da ricostruire dalle radici, è stato un momento di ispirazione. Si dovranno creare rapporti tra vicini rispettandone l’identità, il DNA di ognuno dei due. Creare un legame all’ombra del trauma individuale e collettivo, una resilienza per sostenersi reciprocamente. Ori Levi, figlio di italiani, primi pionieri dell’Hashomer Hatzair, è il promotore di questo progetto coraggioso come rappresentante di Ruchama, insieme a uno staff di assistenti sociali. Il video che ha mostrato al pubblico dove le case per i membri di Kfar Azza sorgono in pochissimo tempo su quello che era il campo da calcio e in altre zone adiacenti ha il sapore di un miracolo e quando Idit Etinger, una dei sopravvissuti di Kfar Azza, racconta la sua esperienza del 7 ottobre dove è rimasta per 19 ore stesa a bocconi con la sua famiglia, nella stanza blindata, senza muoversi mentre intorno imperversava il male e la morte, quando dice che per non soccombere ha ripetuto centinaia di volte a se stessa tutte le gioie della sua vita e l’amore che è la sua risorsa più grande… non ho resistito più e ho sentito che il nodo alla gola che mi attanagliava dall’alba, quando siamo partiti da Sasa, si scioglieva lentamente in un fiume di lacrime. L’ho abbracciata e mi sono riempita del suo sorriso. Abbiamo proseguito per Sderot, dove accanto a ogni casa sorge un piccolo rifugio di cemento, testimonial di un Red Alert infinito che dura da anni, da quando Israele era a Gaza per impedire il lancio dei missili e da quando Israele è uscita da Gaza e di quei missili che non hanno mai smesso di arrivare sui bambini nelle scuole, nelle case, nei giardini. I bambini e i civili noi li proteggiamo in quei rifugi e sotto non ci nascondiamo arsenali di armi. A Sdeot abbiamo ascoltato le storie di giovani che hanno ricevuto le forze per affrontare il lutto insostenibile di amici caduti nella guerra, trucidati al festival, tornati in sacchi bianchi dai tunnel della morte. Per superare tanto dolore si incontrano per esprimere la paura, la nostalgia, semplicemente per piangere, sfogarsi e abbracciarsi insieme, per restare uniti e non darla vinta a chi ci vuole disperati, senza più voglia di vivere. Al Kibbutz Mefalsim abbiamo incontrato le famiglie che sono tornate nelle loro case, dopo un anno, con coraggio, con determinazione nonostante il rombo dei mortai non si sia mai interrotto. E di nuovo un attimo di speranza, fra poco anche al mio kibbutz risuoneranno le voci dei bambini, le note che si librano nelle lezioni di musica, il fischio dell’allenatore di basket.
  Era già il tramonto, ma non potevamo tornare nel Nord senza fondere la nostra anima con quella dei ragazzi e le ragazze del Nova, i figli di tutto il popolo d’Israele. Non potevamo lasciare quei luoghi senza percorrere quella lunga strada dove sono stati braccati, inseguiti, violati, violentati e giustiziati senza che nessuno potesse aiutarli. E giunti nello spiazzo, quella distesa di disperazione senza fine, ho camminato in silenzio tra le immagini di quei volti. Come è possibile che fossero tutti e tutte così belle, così dolci, così solari? Come si può contenere un tale dolore? Penso alle madri, ai padri, alle notti insonni, senza risposta. Penso all’antisemitismo incalzante, alle donne che hanno volto lo sguardo altrove, a chi dice che Hitler doveva terminare la sua opera.
  E mentre torniamo a casa echeggiano nel cuore, nella testa e in tutta me stessa le parole di Idit, viva per miracolo, dopo 19 ore stesa ad aspettare la salvezza che risponde alla mia domanda da dove trae la forza per ergersi di nuovo e ricominciare da capo: “Noi siamo amore Angelica, è l’amore che ci ha tenuti vivi nel corso dei secoli e questo amore non ce lo toglierà mai nessuno. Non esiste odio che possa annullare quest’amore cosi grande del popolo d’Israele!”. E con un dito leggero sul mio cuore e uno sguardo penetrante aggiunge “Non te lo far rubare mai questo amore! Da nessuno!”.

(Shalom, 5 novembre 2024)

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L'esercito israeliano istituisce la prima brigata da combattimento ultraortodossa

Si apre una base di addestramento in concomitanza con l'aumento del reclutamento di ebrei Haredim.

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Soldati religiosi partecipano alla cerimonia di giuramento per entrare a far parte del
Battaglione ortodosso Netzah Yehuda presso l'Ammunition Hill di Gerusalemme.    

La formazione di una nuova brigata di fanteria ultraortodossa sta procedendo, nonostante le tensioni legate alla legge che esenta gli ebrei ultraortodossi (Haredim) dal servizio di leva e le continue manifestazioni di manifestanti ultraortodossi davanti all'ufficio di reclutamento di Gerusalemme.
La prima ondata di reclute dovrebbe arrivare nella nuova base di addestramento della brigata a dicembre, ha riferito lunedì Israel Hayom.
La base di addestramento di Tavetz, nella Valle del Giordano, è stata ristrutturata al costo di 46 milioni di dollari, con quattro nuove sinagoghe e infrastrutture personalizzate per soddisfare i requisiti religiosi.
La struttura servirà come centro di addestramento per il primo gruppo di soldati ultraortodossi che faranno parte di una brigata di fanteria standard. La struttura della brigata sarà diretta dal colonnello Avinoam Emunah, che riferisce al maggior generale David Zini, capo del comando di addestramento.
Il primo battaglione di fanteria ultraortodossa dovrebbe essere operativo entro il novembre 2025 e si unirà alle unità religiose esistenti. Questa iniziativa è la prima creazione “da zero” di una brigata di fanteria regolare dagli anni Ottanta.
La struttura di comando è già pronta e sono stati nominati, tra gli altri, un comandante di battaglione, un comandante di staff di brigata, comandanti di compagnia e di plotone. L'addestramento del personale è in corso e si prevede che la brigata funzionerà come unità autosufficiente, operando in modo indipendente e non richiedendo il supporto di altre unità.
La maggiore attenzione delle Forze di Difesa israeliane al reclutamento degli ultraortodossi deriva da una necessità operativa. Una brigata regolare può sostituire efficacemente molti battaglioni di riserva in compiti operativi, riducendo così in modo significativo il carico sulle forze di riserva.
Parallelamente, all'interno dell'Aeronautica Militare sono state istituite una compagnia di polizia di frontiera ultraortodossa e una divisione per la manutenzione degli aerei, entrambe strutturate in modo da soddisfare le esigenze religiose.
L'iniziativa di reclutamento sta ricevendo molta attenzione e il Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa israeliane, il tenente generale Herzi Halevi, presenta relazioni mensili sui progressi compiuti. Alti ufficiali militari hanno tenuto un dialogo con importanti rabbini e leader religiosi ortodossi.
L'esercito ha adottato un nuovo approccio e non si considera più un “educatore” della comunità ultraortodossa. L'obiettivo è invece quello di dimostrare che la pratica religiosa e il servizio militare possono coesistere. La strategia si concentra sulla costruzione di un ampio sostegno per il reclutamento.
Giovedì scorso si è concluso il primo periodo dell'attuale anno di reclutamento, in cui è stato fissato l'ambizioso obiettivo di 4.800 reclute ultraortodosse - un aumento significativo rispetto alle 1.800 reclute dello scorso anno. Israel Hayom aveva precedentemente riferito che mentre le notifiche di arruolamento erano state inviate a circa 3.000 uomini ultraortodossi, meno del 10% di loro si era presentato agli uffici di reclutamento.
È prevista l'apertura di uno speciale centro di reclutamento ultraortodosso entro luglio, con personale esclusivamente maschile per venire incontro alle sensibilità religiose.
Tuttavia, la IDF ha ridimensionato le sue aspettative riguardo a questo approccio, riconoscendo che l'emissione di 3.000 avvisi di arruolamento non è una garanzia di reclutamento. In risposta, l'esercito ha spostato la sua attenzione sulla promozione attiva delle opportunità di servizio all'interno della comunità religiosa.
Nonostante il successo limitato degli avvisi di arruolamento, ci sono segnali incoraggianti di reclutamento: si stima che il numero di reclute sia aumentato di diversi punti percentuali rispetto allo stesso mandato dell'anno scorso (una media di circa 600 reclute per mandato). Vale la pena notare che la maggior parte delle reclute è stata reclutata attraverso canali diversi dal bando di arruolamento.
Pur riconoscendo che molti non si presentano agli uffici di reclutamento, l'esercito mantiene la sua strategia di applicazione. Coloro che non si presentano riceveranno ulteriori convocazioni seguendo lo stesso protocollo della popolazione generale, dove sono comuni più richiami prima di rispettare la convocazione.
Ad oggi, sono stati emessi 720 mandati di arresto per gli ultraortodossi che non si sono presentati. Tuttavia, invece dell'arresto immediato in questi casi, il diritto di lasciare il Paese viene solitamente limitato, in modo simile alle misure di applicazione nel settore generale.
L'avversione della comunità ultraortodossa al servizio militare è dovuta a una serie di fattori, tra cui la mancanza di volontà di apportare cambiamenti nella propria comunità e la diffusa convinzione che il servizio militare sia contrario all'osservanza religiosa.
L'attuale strategia delle Forze di Difesa Israeliane si concentra sul superamento di queste percezioni attraverso il dialogo con i leader religiosi e la creazione di condizioni che rendano il servizio militare più accettabile per la popolazione ultraortodossa.

(Israel Heute, 5 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Kemi Badenoch, la nuova guida pro-Israele dei conservatori inglesi

di David Fiorentini

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Kemi Badenoch

I Tories hanno eletto il loro prossimo leader: in una svolta storica, prende in mano i conservatori inglesi Kemi Badenoch, la prima donna di colore a guidare un partito nel Regno Unito, riferisce JNS.
  Ingegnere informatico di 44 anni e figlia di immigrati nigeriani, Badenoch subentra all’ex primo ministro Rishi Sunak, dopo un mandato turbolento concluso con una pesante sconfitta elettorale, che ha posto fine a un dominio politico durato 14 anni. Ritrovatosi all’opposizione, lo storico partito si trova di fronte alla necessità di ridefinirsi e recuperare la fiducia dell’elettorato.
  “La sfida che ci attende è ardua ma chiara”, ha dichiarato Badenoch subito dopo la nomina. “Il nostro primo compito è quello di monitorare il governo laburista. Il secondo, altrettanto importante, è prepararci per governare, sviluppando un insieme di proposte conservatrici che possano convincere il popolo britannico e dotandoci di un piano preciso su come realizzarle. Il nostro obiettivo è cambiare questo paese, trasformando il funzionamento del governo”.
  Tra le varie posizioni per cui Badenoch è nota, spicca il suo fermo sostegno a Israele, che non ha mancato di ribadire anche in un momento in cui vari leader internazionali hanno assunto toni più critici o neutrali verso Gerusalemme. Dopo il 7 ottobre ha subito dichiarato: “Israele non può permettersi di abbassare la guardia e deve fare ciò che è necessario per difendersi e, in fin dei conti, sopravvivere”.
  Mentre in merito alle recenti manifestazioni pro-Palestina nel Regno Unito, ha prontamente espresso una forte critica: “Abbiamo visto le nostre strade riempirsi di persone festanti, non sconvolte dagli atti di terrore e senza interesse a chiedere giustizia per le vittime, bensì intente a manifestare contro gli ebrei, mascherando il tutto come un attacco a Israele”.
  Del resto, la sua vicinanza allo Stato ebraico ha radici importanti. Nella fattispecie, durante il suo incarico come Segretaria per il Commercio Internazionale, Badenoch ha rifiutato di sospendere le licenze di esportazione di armi verso Israele, nonostante le forti pressioni ricevute. Decisione che fu invece intrapresa dal governo laburista pochi mesi dall’inizio del mandato.
  Nel complesso, un personaggio che rassicura l’ambiente ebraico conservatore, a partire dal gruppo Conservative Friends of Israel (CFI), il quale ha accolto calorosamente la sua elezione: “Kemi ha dimostrato il suo forte sostegno a Israele e alla comunità ebraica del Regno Unito durante il suo mandato e per tutta la campagna di leadership. Siamo ansiosi di collaborare con lei per rafforzare ulteriormente i legami tra il Regno Unito e Israele e per contrastare le politiche dannose del governo laburista su Israele”.
  L’elezione è stata accolta favorevolmente anche dai leader israeliani, incluso il primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha scritto su X: “Invio i miei più sentiti auguri a Kemi Badenoch. Sono certo che continuerà la grande tradizione di partenariato e amicizia tra Israele e Regno Unito”.

(Bet Magazine Mosaico, 5 novembre 2024)

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Idf eliminano un capo di Hezbollah, la tregua è lontana

di Zaccaria Trevi

L’ennesimo vertice di Hezbollah è stato neutralizzato. Le Forze di difesa israeliane hanno annunciato l’eliminazione di Abu Ali Rida, il comandante delle forze sciite responsabile della formazione di Baraachit, nel sud del Paese dei cedri. In un comunicato ufficiale dell’esercito di Tel Aviv, pubblicato sul proprio canale Telegram, viene spiegato che il dirigente del gruppo paramilitare era coinvolto nella pianificazione e nell’esecuzione di attacchi contro Israele, oltre a coordinare le operazioni terroristiche di Hezbollah al di là della linea blu. Nel frattempo, in mattinata, i combattimenti tra l’esercito dello Stato ebraico e il Partito di Dio hanno subito un’escalation, soprattutto dalla parte sciita del conflitto. I terroristi, infatti, avrebbero perpetrato almeno 60 attacchi missilistici, dal Libano verso l’Alta Galilea e la Galilea occidentale. Molti di questi razzi sono stati intercettati dall’Iron dome, e i restanti sarebbero caduti in aree disabitate. Hezbollah, inoltre, avrebbe rivendicato un altro attacco missilistico, stavolta verso Safed, una città nel nord di Israele al confine con il Paese dei cedri.
  E nel giorno in cui Israele ha ratificato alle Nazioni unite la fine del suo rapporto con l’Urnwa, un tribunale di Rishion Le Zion ha confermato la detenzione di un portavoce di Benjamin Netanyahu. Il membro dell’ufficio del primo ministro è stato accusato di aver diffuso delle carte top secret. Le autorità dello Stato ebraico, di concerto con lo Shin Bet – società di intelligence che insieme al Mossad e ad Aman forma la trinità dei servizi segreti israeliani – stanno infatti lavorando su un caso di “violazione della sicurezza nazionale”. Nel fascicolo, su cui stanno indagando anche le forze armate, sarebbero presenti la fuga di documenti riservati, l’accesso non autorizzato di un consigliere a riunioni e uffici non di sua competenza, la cattiva gestione di informazioni riservate e il presunto uso di documenti per influenzare l’opinione pubblica sui negoziati per una tregua a Gaza.
  Ed è proprio sul fronte della diplomazia che è tornato a parlare David Barnea, il principale negoziatore di Tel Aviv nonché presidente del Mossad. Per l’uomo, la prospettiva di un accordo per il rilascio degli ostaggi ancora trattenuti da Hamas – secondo fonti affidabili sarebbero 51 i detenuti – è attualmente “bassa”. In un colloquio con Channel 12, il capo dell’intelligence ha riferito che le proposte per un cessate il fuoco e per il ritorno a casa dei prigionieri – inviate ai terroristi tramite Egitto e Qatar – non hanno ricevuto risposta da Hamas. L’organizzazione che opera nella Striscia di Gaza punta a istituire un cessate il fuoco totale come condizione preliminare allo scambio tra ostaggi e prigionieri. Sebbene i colloqui siano ricominciati dopo la morte di Yahya Sinwar, la luce in fondo al tunnel della guerra è ancora molto lontana.

(l'Opinione, 4 novembre 2024)

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Polizia e Klaus Davi attaccati violentemente davanti alla moschea di viale Jenner

di Ludovica Iacovacci

MILANO - L’ennesima manifestazione d’odio e violenza perpetrata dagli arabo-islamici si è registrata dinnanzi alla moschea di viale Jenner, a Milano, ai danni del giornalista Klaus Davi e della Digos.
  “Mi sono recato al centro culturale islamico per fare domande riguardo all’orientamento dell’opinione pubblica musulmana sulle elezioni americane”, ha detto a Bet Magazine il massmediologo Klaus Davi raccontando delle vicissitudini legate alle interviste al mondo arabo presente nel capoluogo lombardo. “Mi hanno accerchiato, spintonato e tentato di sottrarre qualcosa. Erano una cinquantina, erano armati. Gli aggressori sono stati mandati, erano minorenni e questo è un classico: se succede qualcosa di grave, le pene per i minori sono attenuate. Credevo che dopo l’aggressione che ho subito a giugno, un evento del genere non si ripetesse”, afferma il giornalista in soccorso del quale "è arrivata la polizia senza che io la chiamassi, qualcuno deve averli avvertiti” racconta Klaus Davi, che in quel momento era impegnato a cavarsela da solo, accerchiato prima per strada e poi in un bar dove si era rifugiato. “Ho chiesto al barista di chiamarmi un taxi ma lui non mi ha aiutato”.
  Successivamente, è intervenuta la Digos per prelevare il giornalista, farlo salire in macchina e portarlo via. “Gli aggressori hanno preso di mira la macchina della Polizia, vi si sono scagliati contro. Si sono accaniti verso gli agenti, è un comportamento mafioso. È sconcertante, un grave segnale di illegalità. Dove si andrà a finire non lo so, ma in queste periferie di Milano stiamo assistendo alle dinamiche della Francia” ha detto il massmediologo. Quando gli agenti hanno fatto salire il giornalista in macchina, la vettura è stata presa a calci e pugni dagli arabi che l’hanno inseguita una volta in moto. “Fai veloce, chiudi, vai vai vai!” dice un agente all’altro intimandogli di sbrigarsi nel richiudere lo sportello dell’auto e ripartire, mentre i colpi degli arabi venivano incassati dalla fiancata e dai vetri. “Stamattina mi è arrivata una lettera, un italiano mi ha scritto che gli arabi ce l’avevano proprio con me”, confessa a fine intervista il giornalista che, fortemente preoccupato per il proliferare di violenza che vige in alcune zone di Milano a causa dei comportamenti degli arabi, sottolinea l’importanza di porre tali dinamiche all’attenzione delle istituzioni.

(Bet Magazine Mosaico, 4 novembre 2024)

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Un nuovo patrimonio per la storia degli ebrei di Libia: l’archivio di Mordechai Ha-Cohen catalogato in Israele

di Olga Flori

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La storia degli ebrei di Libia potrà essere esaminata sotto una nuova luce grazie alla catalogazione effettuata dalla Biblioteca Nazionale d’Israele dell’archivio del rabbino Mordechai Ben Yehuda Ha-Cohen di Tripoli, considerato dagli studiosi il più importante storico dell’ebraismo di quest’area geografica.
  Mordehai Ha-Cohen nacque a Tripoli nel 1856 da una famiglia di origini italiane. Rimasto orfano di padre in giovane età, Ha-Cohen iniziò presto a lavorare, dedicandosi a molteplici attività. Oltre ad insegnare in un Talmud Torah, imparò a riparare orologi e lavorò come venditore ambulante, mestiere che gli permise di viaggiare e di conoscere meglio le comunità ebraiche nei villaggi delle zone più rurali della Tripolitania.
  Studioso autodidatta e dotato di numerosi interessi, Ha-Cohen si dedicò all’antropologia, all’etnografia, all’etnologia, esplorando anche temi molto diversi tra loro come la medicina, la magia e l’astronomia. La sua prima importante opera, Higgid Mordechai, fu dedicata alla storia della Libia e degli ebrei libici, analizzando usi e costumi con particolare attenzione alle istituzioni ebraiche locali e al rapporto tra il mondo arabo e quello ebraico. In quest’opera Ha-Cohen mostra interesse anche per le comunità ebraiche dei villaggi rurali e per la comunità di Bengasi, a cui dedica una sezione speciale. Infatti, nel 1919 Ha-Cohen era diventato dayan (giudice della corte rabbinica) della comunità ebraica di Bengasi, carica che ricoprì fino alla sua morte nel 1929. L’ufficio coloniale italiano in Libia mostrò grande interesse per l’opera di Ha-Cohen, soprattutto per la sezione dedicata alle istituzioni e ai costumi, che fu tradotta da Marino Mario Moreno.
  Ha Cohen fu molto prolifico e scrisse anche numerosi articoli, soprattutto per i quotidiani Ha-Herut e Ha-Yehudi. Un momento importante della vita di Ha-Cohen fu l’incontro con Nahum Slouschz, studioso delle comunità ebraiche orientali. Slouschz rimase favorevolmente impressionato dalle conoscenze di Ha-Cohen, tanto da invitarlo ad unirsi a lui nei suoi viaggi come guida. La collaborazione tra i due studiosi proseguì anche dopo che Slouschz lasciò la Libia.
  Mordechai Ha-Cohen morì nel 1929. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la sua famiglia affidò i manoscritti delle sue opere allo storico e professore Ephraim Elimelech Urbach, che prestava servizio nell’esercito britannico. Urbach fece arrivare i testi alla Biblioteca Nazionale di Gerusalemme. In seguito, alcuni famigliari di Ha-Cohen emigrarono in Israele portando con sé molti documenti personali di Ha-Cohen, anch’essi donati alla Biblioteca Nazionale.
  L’opera di Mordechai Ha-Cohen è stata studiata con passione dal professor Harvey E. Goldberg, ricercatore dell’ebraismo libico, che ha curato l’edizione dell’opera “Higgid Mordechai”.
  Tra i documenti di Ha-Cohen conservati presso la Biblioteca nazionale vi sono articoli, copie di lettere e numerosi manoscritti. Grazie alla donazione della Samis Foundation di Seattle, dedicata alla memoria di Samuel Israel, l’archivio del rabbino tripolino è stato catalogato ed è ora consultabile alla National Library of Israel. Questo archivio rappresenta un tesoro culturale per approfondire la comprensione e l’analisi storica e culturale degli ebrei libici.

(Shalom, 4 novembre 2024)

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Israele comunica all’ONU il ritiro dall’accordo sulla UNRWA

di  Sarah G. Frankl

Il Ministero degli Esteri ha informato ufficialmente l’ONU che Israele si ritirerà dall’accordo del 1967 che riconosce l’agenzia per i rifugiati palestinesi UNRWA, dopo che la Knesset ha approvato una legge volta a limitare severamente le operazioni dell’agenzia in Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Il direttore generale del Ministero degli Esteri Jacob Blitshtein ha inviato la lettera al presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Philemon Yang del Camerun, informandolo che “Israele continuerà a lavorare con i partner internazionali, tra cui altre agenzie delle Nazioni Unite, per garantire la facilitazione degli aiuti umanitari ai civili a Gaza in un modo che non comprometta la sicurezza di Israele. Israele si aspetta che le Nazioni Unite contribuiscano e cooperino a questo sforzo”.
La scorsa settimana, la Knesset ha approvato una legge che proibisce all’UNRWA di operare dal territorio israeliano e proibisce alle agenzie governative israeliane di collaborare con l’UNRWA. La legge entrerà in vigore tra tre mesi.
“L’UNRWA, l’organizzazione i cui dipendenti hanno partecipato al massacro del 7 ottobre e molti dei cui dipendenti sono operativi di Hamas, è parte del problema nella Striscia di Gaza e non parte della soluzione”, afferma il ministro degli Esteri Israel Katz. “All’ONU sono state presentate infinite prove sugli operativi di Hamas che lavoravano all’UNRWA e sull’uso delle strutture dell’UNRWA per scopi terroristici e non è stato fatto nulla al riguardo”.
Katz nota inoltre che attualmente solo il 13% degli aiuti a Gaza passa attraverso l’UNRWA e sostiene che l’idea che non ci siano alternative all’UNRWA è una finzione.
L’ambasciatore presso le Nazioni Unite Danny Danon accoglie con favore la ritrattazione da parte di Israele di un accordo del 1967 che costituiva la base delle relazioni di Israele con l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi e i loro discendenti.
“Nonostante le prove schiaccianti che abbiamo presentato all’ONU a sostegno dell’infiltrazione di Hamas nell’UNRWA, l’ONU non ha fatto nulla per rettificare la situazione”, afferma Danon in un tweet.
“Lo Stato di Israele continuerà a collaborare con le organizzazioni umanitarie, ma non con quelle che promuovono il terrorismo contro di noi”, aggiunge.

(Rights Reporter, 4 novembre 2024)

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Mille scrittori dichiarano di boicottare Israele. E parte la contro-petizione

di Nathan Greppi

Oltre 1.000 scrittori hanno recentemente firmato un appello in cui dichiarano di non voler collaborare in alcun modo con le istituzioni letterarie israeliane e di non volere che i loro libri vengano pubblicati in Israele. Tra gli scrittori che hanno aderito all’appello, lanciato in occasione del Palestine Festival of Literature, figurano l’irlandese Sally Rooney, gli americani Percival Everett e Jhumpa Lahiri e l’indiana Arundhaty Roy.
  Gli autori, che hanno accusato Israele di genocidio, hanno affermato che “non coopereremo con istituzioni israeliane tra cui editori, festival, agenzie letterarie e pubblicazioni” se “sono complici nella violazione dei diritti dei palestinesi” o “non hanno mai riconosciuto pubblicamente i diritti inalienabili del popolo palestinese sanciti dal diritto internazionale”.
  Molti degli autori che hanno firmato l’appello al boicottaggio avevano già espresso in precedenza posizioni ostili nei confronti d’Israele. Prima del 7 ottobre, la Rooney aveva già dichiarato nel 2021 che non avrebbe fatto tradurre i suoi libri in ebraico da una casa editrice israeliana, in quanto sostenitrice del BDS.

• LA REAZIONE
  In risposta al boicottaggio, più di 1.000 scrittori, accademici ed esponenti del mondo dello spettacolo hanno firmato un contro-appello, promosso dall’organizzazione no profit Creative Community for Peace. Tra i firmatari, spiccano ad esempio il filosofo Bernard Henri-Lévy, l’autore di romanzi thriller Lee Child, le autrici Premio Nobel per la Letteratura Herta Müller ed Elfriede Jelinek, lo storico Simon Schama, l’attrice Mayim Bialik e i musicisti Ozzy Osbourne e Gene Simmons.
  “Noi sottoscritti scrittori, autori e professionisti dell’industria dell’intrattenimento respingiamo gli appelli a boicottare scrittori, editori, autori, festival del libro e agenzie letterarie israeliane ed ebraiche”, si legge nell’appello. “Continuiamo a essere scioccati e delusi nel vedere i membri della comunità letteraria molestare e ostracizzare i loro colleghi perché non condividono una narrazione unilaterale in risposta al più grande massacro di ebrei dai tempi della Shoah”.
  “Israele sta combattendo guerre esistenziali contro Hamas e Hezbollah, designati come gruppi terroristici dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dall’Unione Europea”, affermano. “L’esclusione di chiunque non condanni unilateralmente Israele è un’inversione della moralità e un offuscamento della realtà”.

• I PRECEDENTI
  Nell’ultimo periodo, a causa dei crescenti boicottaggi, è capitato persino che degli scrittori si rifiutassero di partecipare ad un convegno solo perché la moderatrice sarebbe stata filoisraeliana: è quello che è successo all’autrice ebrea americana Elisa Albert, che nel settembre 2024 avrebbe dovuto moderare un incontro presso la fiera del libro della città di Albany, nello Stato di New York. Tuttavia, prima dell’incontro ha ricevuto una mail da un organizzatore del festival che la informava che l’evento era stato annullato: il motivo? Due dei tre relatori, le autrici Lisa Ko e Aisha Abdel Gawad, non volevano sedersi con la Albert perché non volevano apparire in pubblico con una “sionista”.
  Ci sono stati anche autori di origini ebraiche che sono stati presi di mira pur non avendo mai preso posizione sul conflitto a Gaza: è il caso di Gabrielle Zevin, autrice americana di padre ebreo e madre coreana. Il suo romanzo Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow, a lungo un bestseller negli Stati Uniti, nel luglio 2024 è stato rimosso dagli scaffali di una libreria di Chicago perché etichettata come “sionista”, in quanto nel febbraio 2023 aveva partecipato ad un evento organizzato dall’associazione femminile sionista Hadassah.

(Bet Magazine Mosaico, 4 novembre 2024)

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Intellettuali allo sbaraglio

Rav Roberto Della Rocca

Si può siamo liberi come l’aria…..
…..Si può contestare e parlare male
…..si può fare critiche dall’esterno
…..viene la voglia un po’ anormale
di inventare una morale
Utopia trrr Utopia trrr
utopia pia pia trrrr

"Si può” è una famosa canzone di Giorgio Gaber degli anni ‘70


nella quale si enfatizza un certo approccio anarchico e vorace del concetto della libertà. Sono parole molto attuali e indicative di come sembra ormai possa dirsi tutto e il contrario di tutto ignorando quei paletti e quelle distinzioni che ci aiutano a mettere a fuoco, a selezionare e ad affrontare la vita e i problemi con onestà e responsabilità. In nome di un invocato e malinteso pluralismo e di una sedicente libertà di pensiero si legittimano mistificazioni e capovolgimento dei valori, per cui non esistono più verità, ma solo post-verità manipolate e manipolabili. Si è giunti addirittura a mettere sullo stesso piano un eroe dell’antica Grecia come Ettore, che ha dato la sua stessa vita per difendere il suo popolo, e un impenitente terrorista come Yahya Sinwar che ha ucciso tante vite, tra cui quelle del suo popolo, per difendere il suo delirio di odio e la sua sete di sangue ebraico.
  Negli ultimi mesi ci domandiamo con amarezza quanto sia utile continuare a spiegare le ragioni di Israele, dato che molti maître à penser, intrappolati in una visione unilaterale e distorta, sembrano ormai privi della volontà di ascoltare e di condurre un’analisi seria e onesta su una realtà complessa e articolata.
  C’è però una novità sconcertante in questa nuova e virulenta ondata di antisemitismo. L’abuso spregiudicato e oramai sdoganato di temi religiosi, di alcuni insegnamenti biblici e della cultura ebraica, che vengono impiegati con superficialità da molti intellettuali, soprattutto della cosiddetta sinistra liberale, per sostenere alcune demagogiche argomentazioni. Si fanno riferimenti al libro del Levitico, ad esempio: la condanna della vendetta è interpretata in modo da riproporre pregiudizi notoriamente legati a teorie antigiudaiche, in perfetto stile “cattocomunista”, ignorando che è proprio il Levitico, soprattutto nel capitolo 19, che sottolinea invece i principi etici fondamentali dell’ebraismo, come per esempio: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, “Non vendicarti e non serbare rancore”, “Ama lo straniero” e così via, valori che l’ebraismo ha insegnato all’umanità. Ignorando tali principi, che da sempre contraddistinguono la cultura ebraica, si trasforma un testo sacro in un presunto manifesto di odio, usando con disinvoltura infelici dichiarazioni isolate di politici israeliani, come se queste rappresentassero la visione del popolo ebraico tout court. C’è un ritorno a quel consueto cliché paolino e marcioniano, ripreso ormai anche da certa sinistra che si dichiara – sempre più impropriamente – laica e progressista, che considera il “Vecchio Testamento” solo una fonte di legalismo e vendetta, superato da una nuova alleanza di amore e universalismo di cui si ritiene priva la Bibbia ebraica.
  Che questi pregiudizi persistano in contesti reazionari cattolici e islamici non ci stupisce oltremodo, ma vederlo riaffermato da coloro che rappresentavano per buona parte dell’opinione pubblica il cotè intellettuale del nostro paese, incapace di andare oltre una lettura superficiale, è disarmante. Assistiamo a reiterati attacchi alla tradizione ebraica, che sembrano aderire a una “religione dell’antireligione” piuttosto che a un’analisi illuminata: un vero intellettuale laico dovrebbe, infatti, incoraggiare i lettori ad approfondire, a cercare i testi, a studiare la storia ebraica e, come per tutte le culture, a cercare maestri e punti di riferimento validi. Così facendo, aiuterebbero davvero a “scoprire” la cultura ebraica nella sua autenticità. Ancora una volta ci si appella a esempi riduttivi e stereotipati, che ritraggono il Dio ebraico come promotore di una legge del taglione (“occhio per occhio, dente per dente” – Esodo 21, 24 e Levitico 24, 17-22), ignorando che la “cultura ebraica” implica un dialogo con le fonti talmudiche, scritte dai tanto “deprecati” Farisei, che sostituiscono la vendetta con il risarcimento. Secoli prima della moderna e “civile” (?) Europa, il Talmud introduceva concetti quali il lucro cessante e il danno emergente, stabilendo il principio di proporzionalità e spostando la punizione in una sfera giuridica pubblica. Tutte le storie della Bibbia ebraica esaltano quell’amore misericordioso che caratterizza la Tradizione di Israele e di cui, ancora oggi, si ritrova traccia nell’odierno Stato ebraico, i cui ospedali si prendono cura di tante vittime del fronte opposto, e di tanti altri esempi di grande umanità che molte “anime belle e caritatevoli” preferiscono continuare a ignorare.
  Si incensano esclusivamente – elevandoli come modelli esemplari del popolo ebraico – quegli ebrei “democratici” che promuovono il valore del “pluralismo” , predicato molte volte a senso unico e proprio da chi con granitiche certezze esclude a priori tutto ciò che è “diverso” da sé. Un sedicente pluralismo strumentalizzato per giustificare comportamenti irresponsabili, che finiscono per delegittimare i principi su cui si fonda la stessa sopravvivenza della Comunità.
  Non è chiaro su quali basi si attribuisca questa patente di “democratico”, ma dalle loro esternazioni pare evidente che il criterio sia la volontà di dissociarsi da Israele. Come se la titolarità di “democratico illuminato” appartenesse esclusivamente a chi dimostra di scagliarsi contro Israele. Non risparmiano parole di sussiego e disprezzo verso quegli ebrei che quotidianamente interpretano proattivamente la loro cultura di minoranza e che lottano affinché ci siano sempre culture di minoranza. Una posizione semplicistica e dannosa, abbracciata anche da alcuni nostri correligionari, irretiti da questa logica manichea che vede le “anime buone”, gli ebrei secolarizzati e figli dell’Illuminismo da un lato, e dal lato opposto gli “ignoranti e bellicosi”.
  Ci si lancia in solenni appelli e proclami sull’onda della manipolazione mediatica, strumentalizzati a ogni piè sospinto da opinionisti della peggior specie, trascurando la sofferenza e il rischio a cui altri membri del nostro popolo sono esposti ogni giorno, in prima linea per difendere il popolo ebraico tutto. E come se non bastasse, denunciano il timore di essere messi alla gogna, invocando alla bisogna interventi di rabbini dei cui insegnamenti nella loro vita quotidiana ignorano sfacciatamente la maggior parte. Sia chiaro: ognuno ha il diritto di essere ciò che crede sulla base di scelte esistenziali consapevoli e meditate. E nessuno deve permettersi di offendere, minacciare altri solo perché non la pensano come lui. Mi interrogo tuttavia sul perché di tanto sussiego intellettuale, di tanto atteggiamento sprezzante verso chi magari non esibisce quarti di nobiltà culturale o ancora verso chi non ha potuto o voluto darsi una preparazione all’altezza. Intellettuali incapaci di scendere dal proprio Aventino e mescolarsi, condividere con gli altri, con la loro comunità, momenti di gioia e di dolore. Un atteggiamento provocatorio, che si trincera spesso dietro a un vittimistico e piagnucoloso complesso di emarginazione.
  A chi oggi rivendica la patente di “ebreo progressista e illuminato”, a chi oggi non riesce neppure a riconoscere un testo della cultura ebraica nella sua basica divisione, a chi invoca e mette in mostra strumentalmente lo spirito dialettico del Talmud senza sapere neppure decifrarne una misera lettera, io dico che sarebbe giunto il tempo di scendere dal piedistallo per mettere al servizio di altri ebrei – più umili e semplici – competenze e cultura, senza snobismi, senza arroganza. E forse insegnare. Ma anche imparare tante cose. Di fronte ai pericoli di oggi, agli interrogativi inquietanti che agitano le nostre Comunità, non possiamo permetterci divisioni interne. A un ebraismo italiano che conta solo 25 mila anime (!), l’antisemitismo che si accompagna alla santificazione retorica della Shoah, il timore per la sopravvivenza fisica di Israele, la minaccia del terrorismo globale che ci vede consapevolmente obiettivi sensibili, tutto questo ci chiama e ci scuote, ci tira per la giacchetta e ci strattona. Ecco allora che una strategia possibile può diventare quella di serrare le fila e riappropriarsi della possibilità di costruire un domani a partire da quel nobile insegnamento dei Profeti – forse un po’ meno trendy di quelli richiamati negli interventi dei nostri intellettuali – “…. betòkh ammì anokhì yoshàvet”, “in mezzo al mio popolo io me ne stò…” (2 RE, 4; 13), sempre e comunque.

(moked, 4 novembre 2024)

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Le parole di Gesù su Gerusalemme dimostrano la restaurazione di Israele

Una confutazione dell'insegnamento secondo cui la Chiesa ha sostituito Israele, e un esame dei passi biblici che contrastano questa posizione del cosiddetto supersessionismo (chiamato anche teologia della sostituzione).

di Michael Vlach

Matteo 23:37-39 e Luca 13:34-35 sono una prova che Gesù si aspettava una futura restaurazione di Israele. Matteo 23:37-39 riporta le parole di Gesù agli abitanti di Gerusalemme:

    Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Poiché vi dico che d'ora in avanti non mi vedrete più, finché diciate: 'Benedetto colui che viene nel nome del Signore!'”.
Il passo parallelo in Luca 13:34-35 recita in modo simile:
    Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Io vi dico che non mi vedrete più, finché venga il giorno che diciate: 'Benedetto colui che viene nel nome del Signore!'”.
In questi due testi paralleli, Gesù avverte dell'imminente distruzione di Gerusalemme e del tempio, avvenuta perché gli abitanti ebrei lo hanno rifiutato. Gesù ha anche predetto che gli abitanti di Gerusalemme lo vedranno solo nel giorno in cui diranno: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”.
  La predizione che gli ebrei si riferiranno un giorno a Gesù come il “Benedetto” è chiara, ma il modo in cui ciò avverrà è controverso. È questa la confessione degli ebrei disobbedienti su cui si abbatterà il giudizio escatologico, o la proclamazione di un Israele pentito in occasione della sua restaurazione? Noi propendiamo per la seconda ipotesi. Blomberg osserva che la “fede genuina” di Israele traspare dalle parole di Gesù in Matteo 23,39. Gesù sarà chiamato “Benedetto” da una nazione pentita al momento della sua restaurazione. Gundry sostiene che Matteo 23:37-39 “descrive la restaurazione di Israele nel regno del Figlio dell'uomo”. E aggiunge: “La limitazione delle profezie agli scribi e ai farisei (versetti 13-36) elimina la contraddizione tra queste profezie e la prevista conversione di Israele”.
  Matteo 23:37-39 parla sia di giudizio che di speranza. La generazione di Israele in quel momento stava affrontando il giudizio, ma allo stesso tempo c'era la speranza di una futura restaurazione. Keener afferma che:
  “Questo passo ci ricorda che Dio non dimentica ciò che ha promesso al suo popolo. Matteo lo cita nel contesto delle profezie sull'imminente giudizio, trasformandolo in un messaggio di speranza. La restaurazione di Israele era uno dei temi principali dei profeti biblici ed è menzionata almeno occasionalmente anche nel cristianesimo primitivo (Romani 11:26), anche se l'attenzione dell'apologetica cristiana primitiva si è spostata sempre più sulla missionarizzazione dei gentili”.
  Anche Luca 13:34-35 proclama la speranza della restaurazione di Israele. Riferendosi a Luca 13:35, Tannehill spiega: “Il lamento di Gesù su Gerusalemme risuona con la speranza di salvezza per la Gerusalemme restaurata”. Evans ritiene che l'accoglienza favorevole di Gesù da parte dei Giudei, descritta in Luca 13:35, sia legata alla parousia: “Questa parola si riferisce quindi probabilmente alla parousia - a quel momento in cui il regno sarà finalmente restaurato a Israele (Atti 1:6,11). Allora Gerusalemme, dal collo rigido, loderà finalmente il suo Messia, e solo allora i suoi abitanti saranno riuniti sotto l'ala protettiva e premurosa del Messia. L'aspettativa è che la nazione ebraica, anche se non adesso, un giorno riceverà il suo Messia e sarà riconciliata con lui”.
  Koenig collega anche la gioiosa accoglienza di Gesù da parte degli ebrei con la parousia e la restaurazione di Israele: “Ma questo significa che la profezia in Luca 13,35 si riferisce a un altro evento futuro. Quest'altro evento è molto probabilmente la parousia - l'arrivo di Gesù a Gerusalemme come Messia e Figlio dell'uomo nel regno di Dio (Luca 21:27; Atti 1:11). In quel giorno, gli abitanti di Gerusalemme si pentiranno della loro cecità e accoglieranno Gesù con parole di lode. Dopodiché, potrà aver luogo la restaurazione finale di Israele”.
  Bock sottolinea che la speranza di una futura restaurazione di Israele in Luca 13:35 è confermata in altri passaggi del Vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli:
  “È discutibile se Luca stia parlando di speranza per il futuro di Israele in questo passo. Tuttavia, Luca 21:24 e il sermone degli Atti 3 dimostrano che Gesù e la Chiesa mantenevano questa speranza. Credevano che alla fine Dio avrebbe restaurato il suo popolo. Il Nuovo Testamento mostra addirittura che questo evento precederà il ritorno di Cristo, ed è per questo che Luca si riferisce al presente come al “tempo delle nazioni””.
  Se vogliamo comprendere correttamente la frase “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”, allora dobbiamo tenere presente che si tratta dell'esclamazione gioiosa di un popolo pentito che sperimenterà una restaurazione e non del grido di un popolo condannato che sarà sottoposto al giudizio. Questo grido, citato in Matteo 23:39 e Luca 13:35, proviene dal Salmo 118:26. Il Salmo 118 è una preghiera di ringraziamento per la bontà salvifica di Dio. Evans afferma: “I rabbini hanno inteso il Salmo 118:26 come un riferimento al giorno della redenzione”.
  Il tono gioioso del  Salmo 118 suggerisce che anche la citazione in Matteo 23:39 e Luca 13:35 si riferisce a un'occasione gioiosa - la liberazione di un popolo restaurato. In relazione alla sua osservazione che gli ebrei consideravano il  Salmo 118 come un salmo messianico di lode, Saucy spiega: “È molto più probabile che questa affermazione, che segue l'annuncio del giudizio, debba essere intesa come una promessa di una gioiosa accoglienza del Messia da parte degli abitanti di Gerusalemme”. Secondo Helyer, “è ovvio che si tratta della futura conversione di Israele (cfr. Romani 11,25-26). L'idea che l'esclamazione sia una confessione forzata della sovranità del Signore non è molto credibile, soprattutto se consideriamo il contesto della citazione del Salmo 118,26”.
  Anche Bock contraddice l'idea che l'esclamazione degli ebrei esprima una confessione forzata di Gesù: “Un'altra spiegazione errata è che gli ebrei saranno costretti a riconoscerlo al ritorno di Gesù. La citazione del Salmo 118 è positiva e non si basa su una confessione forzata, ma convinta, di Gesù”. Matteo 23:39 e Luca 13:35 possono quindi essere considerati una prova della restaurazione del popolo d'Israele.
  I teologi della sostituzione hanno criticato le interpretazioni di questi passi. Secondo France, ci sono “due fattori” che contrastano con l'idea che Gesù abbia predetto una salvezza nazionale di Israele. In primo luogo, France sostiene che le parole “finché non dicano” in Matteo 23:39 “non esprimono un fatto concreto in greco, ma una possibilità indefinita”. È “la condizione da cui dipende se lo vedranno di nuovo; ma non c'è alcuna certezza che questa condizione si realizzi”. In secondo luogo, France ritiene che, alla luce dell'annuncio del giudizio in Matteo 23 e 24, sia impossibile che Gesù abbia parlato di una speranza futura per il popolo di Israele nello stesso contesto:
  “La predizione di una futura conversione non solo sarebbe in contraddizione con il fulcro dei capitoli 23 (di cui questi versetti sono il culmine) e 24, che riguardano il giudizio imminente, ma anche con il messaggio complessivo del Vangelo, che parla più volte dell'ultima possibilità di Israele e di un nuovo, internazionale popolo di Dio (8,11-12; 12,38-45; 21,40-43; 22,7; 23,32-36; ecc.)”.
  Secondo i supersessionisti, il contesto del giudizio in Matteo 23:39 dimostra che Gesù non stava parlando di una futura salvezza o restaurazione di Israele in questo passo. Noi sosteniamo invece che in linea di principio non c'è contraddizione logica tra questo giudizio e la speranza per Israele dopo il tempo del giudizio. Goppelt scrive: “Matteo 23:39 potrebbe riferirsi a un incontro salvifico di Israele con il Signore che ritorna alla parousia”.
  Anche Lange ritiene che Matteo 23:39 “contenga l'allusione a una futura conversione”.
  Anche in mezzo al sobrio annuncio del giudizio, c'è quindi un barlume di speranza. Matteo 23,37-39 e il passo parallelo in Luca 13,35 predicono un giorno in cui gli abitanti di Gerusalemme accoglieranno con gioia il loro re. Senior osserva: “Secondo il Vangelo di Matteo, il rifiuto di Gesù da parte delle autorità è effettivamente un grave peccato che porterà al giudizio divino, ma la storia del rapporto di Dio con Israele non finisce qui. Verrà il giorno in cui Gerusalemme accoglierà di nuovo il suo Messia con grida di lode”. Ladd considera correttamente anche Matteo 23:37-39 come una prova che “Israele sarà salvato”. Il passo è anche una prova che l'offesa di Israele non è definitiva: “Questo rigetto [di Israele] non è definitivo e irrevocabile; verrà il giorno in cui Israele dirà: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore’ (versetti 37-39). Il regno di Dio non sarà tolto ai Giudei nel senso che saranno scacciati per sempre, ma «tutto Israele» sarà salvato e incluso nel piano redentivo di Dio”.
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Estratto da Hat die Gemeinde Israel ersetzt?

(Nachrichten aus Israele, novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


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Usa in campo per una tregua elettorale, Hamas e Iran dicono no

È un accordo che dev’essere assolutamente trovato prima delle elezioni americane. Brett McGurk e Amos Hochstein, il primo come coordinatore della Casa Bianca per il Medio Oriente e il Nord Africa, il secondo in qualità d'inviato di Washington, stanno facendo la spola tra Beirut e Gerusalemme. Obiettivo: concordare una proposta per porre fine alle ostilità tra Israele ed Hezbollah. Anche il capo della Cia, William Burns, e il comandante del Centcom (Comando delle forze armate Usa), il generale Michael Kurilla, sono impegnati in incontri e colloqui per far cessare il fuoco. È intenzione del presidente americano, Joe Biden, anche se i tempi stringono, portare a casa un risultato negoziale utile per l'attuale vicepresidente e candidata alle presidenziali, Kamala Harris.
Secondo alcune indiscrezioni trapelate, il piano prevederebbe un cessate il fuoco di sessanta giorni, un tempo sufficiente per far applicare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, risalente, tra l’altro, all’agosto 2006 e che prevede nel Libano meridionale il dispiegamento congiunto di forze libanesi e Unifil, in vista di una cessazione completa delle ostilità tra Israele ed Hezbollah.
In sostanza nulla di nuovo. Risoluzione, che non è mai stata attuata, e che la mancata attuazione ha favorito il recente attacco israeliano contro Hezbollah, l’organizzazione politico-militare, sostenuta dall'Iran e particolarmente attiva nel sud del Libano, al confine con lo Stato ebraico. «Si sta facendo il possibile per trovare una soluzione diplomatica che faccia applicare in modo definitivo la risoluzione 1701 e consenta ai cittadini, sia israeliani che libanesi, di tornare alle loro case», ha affermato Sama Habib, portavoce dell'ambasciata statunitense a Beirut. Nella bozza dell’eventuale accordo è previsto, nei dettagli, il ritiro di Hezbollah a nord del fiume Litani, distante venticinque chilometri dalla frontiera israeliana, il posizionamento dell'esercito libanese lungo il confine e una forza di interposizione internazionale che faccia rispettare la tregua. Ma c'è un altro punto controverso: Israele pretende la libertà di azione ogni qualvolta lo riterrà utile e si sentirà minacciato.
Le condizioni sono state messe nero su bianco. Il premier libanese, Najib Miqati, è ottimista, possibilista il nuovo leader di Hezbollah, Naim Qassem, che nel corso del suo primo intervento pubblico, oltre a sottolineare la continuazione con l'opera del suo predecessore, compresa la lotta contro Israele, ha anche dichiarato che non chiederà un cessate il fuoco, ma «se Israele decide di fermare l’aggressione, Hezbollah potrebbe accettare, alle condizioni che ritiene appropriate». Qassem ha anche negato che il gruppo stia «combattendo per conto di qualcun altro», aggiungendo che l’aiuto dell'Iran non prevede nulla in cambio.
Non la pensa allo stesso modo Hamas che respinge qualsiasi proposta di sospensione temporanea. Con un post sui social, Taher al-Nunu, alto dirigente del gruppo terroristico ha scritto che «l’idea di una pausa momentanea nella guerra, per poi ricominciare, è qualcosa su cui abbiamo già espresso la nostra posizione. Hamas sostiene la fine permanente delle ostilità, non una temporanea». Nella proposta della bozza, non ancora consegnata ad Hamas, in discussione a Doha, tra il capo del Mossad, David Barnea, il direttore della Cia, Bill Burns, e il primo ministro del Qatar, è previsto lo scambio degli ostaggi israeliani con palestinesi prigionieri nelle carceri d’Israele e il ripristino duraturo degli aiuti a Gaza. Si ritiene che 97 dei 251 ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre 2023 siano ancora vivi, mentre circa trenta siano i corpi dei prigionieri uccisi da riportare in territorio israeliano. Vanno aggiunti anche due civili israeliani, entrati nella Striscia nel 2014 e nel 2015, e i corpi di due soldati dell’Idf uccisi nello stesso periodo.
Nonostante si stiano alimentando delle aspettative di tregua, la guerra non si è mai fermata, infatti il cammino dei mediatori è in forte salita. Da Teheran, nel frattempo, arriva una doccia fredda: secondo fonti del Mossad, l’Iran si sta preparando ad attaccare Israele prima delle consultazioni presidenziali americane. La guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ha dato l’ordine di predisporre una rappresaglia contro Israele. L'attacco dovrebbe avvenire tramite milizie filoiraniane presenti in Iraq, per evitare che Israele indirizzi nuovamente la risposta sulle basi iraniane già colpite duramente dalla precedente offensiva.
Nel nord d’Israele, cinque persone sono state uccise e una è rimasta gravemente ferita da un razzo lanciato dal Libano e caduto in un terreno agricolo, nelle vicinanze della città di Metula. Le vittime erano braccianti impegnati in un frutteto di mele. Si tratta di un cittadino israeliano e di quattro stranieri. Altre due persone sono rimaste uccise, dalle schegge di un drone, mentre si trovavano in un uliveto fuori dal sobborgo di Kiryat Ata, nel distretto di Haifa. Il bilancio, in un solo giorno, è stato tra i più alti, da quando Hezbollah ha iniziato a lanciare razzi e droni nel nord di Israele. È il secondo, dopo l'uccisione di dodici bambini in un parco nella città drusa di Majdal Shams. 
Ma anche l'esercito israeliano continua a mietere vittime. In Libano, sono state uccise quasi cento persone negli attacchi contro la città orientale di Baalbek e in quella meridionale di Nabatiyeh, nella valle della Bekaa. L'attacco israeliano è avvenuto in concomitanza con il primo discorso del nuovo leader di Hezbollah, Naim Qassem, nel ruolo di segretario generale del movimento sciita filoiraniano. «È stato il giorno più duro per Baalbeck dall’inizio dell'attacco di Israele», ha dichiarato Bachir Kheder, governatore della regione.
La Striscia è ridotta ad uno spettacolo spettrale, terrificante. L'ottanta per cento delle abitazioni è stato raso al suolo, la popolazione non ha più né viveri, né di che nutrirsi, ma soprattutto scarseggiano i medicinali. Mentre i bambini, i più indifesi, risultano essere la maggioranza delle vittime. Ieri mattina, le bombe sganciate dai droni israeliani hanno colpito un mercato nella zona di Sheikh Radwan, a Gaza City, provocando molti feriti. Almeno venticinque i morti a Deir el-Balah, nel campo profughi di Nuseirat e nella zona di az-Zawayda. Dal 7 ottobre 2023, il bilancio registra il decesso di 43.163 persone e il ferimento di altre 101.510.
Anche l'esercito israeliano ha subito pesanti perdite. Secondo l’Idf, i soldati uccisi dall’inizio delle ostilità sono oltre 900.

(Daily Compass, 2 novembre 2024)

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Lo sbarco notturno e l'irruzione nello chalet: blitz dei commando israeliani in Libano

Le forze speciali di Israele hanno fatto irruzione in uno chalet sulla costa di Batroun e hanno catturato una persona. Si tratterebbe di Imad Amhaz, un alto funzionario libanese di Hezbollah

di Federico Giuliani

L'irruzione improvvisa, la cattura del bersaglio, la fuga. I commando della Marina israeliana hanno completato con successo un blitz chirurgico nel nord del Libano arrestando Imad Amhaz, un alto funzionario libanese di Hezbollah. Le forze speciali dell'esercito di Tel Aviv sono entrati in uno chalet situato sulla costa di Batroun, a sud di Tripoli, e sono usciti portando con sé una persona. L'unità è quindi tornata in mare abbandonando la zona a bordo di motoscafi al termine di una mossa improvvisa e senza precedenti. Secondo quanto riferiscono i media arabi, un gruppo formato da circa 25 soldati armati ha effettuato uno sbarco navale e catturato un uomo. Il ministro dei Lavori e dei Trasporti di Beirut, Ali Hamiyah, ha negato "che il suo ministero abbia rilasciato commenti o dichiarazioni su quanto circolato sullo sbarco a Batroun", e spiegato che la ricostruzione di quanto avvenuto "spetta ai servizi di sicurezza e alle autorità competenti".

• IL BLITZ DI ISRAELE IN LIBANO: CHE COSA È SUCCESSO
  La vicenda è avvenuta all'alba di venerdì. Le agenzie di stampa libanesi parlano di un rapimento andato in scena a Batroun e scrivono che le indagini sono in corso. Una fonte citata dall'Orient Today ha negato la notizia diffusa sui social network secondo cui l'obiettivo della cattura israeliana coincidesse con un presunto capitano delle forze navale libanesi. Al contrario, l'uomo misterioso prelevato dal commando di Tel Aviv sarebbe una persona legata ad Hezbollah. La nebbia è però ancora fitta e ci sono pochissimi particolari disponibili. Le riprese catturate dalle telecamere di sorveglianza dell'area mostrano circa quindici soldati armati che prendono con forza quello che sembrerebbe essere un civile.
  La National News Agency, l'agenzia stampa ufficiale del governo libanese, ha confermato che è stata aperta un'indagine. Ha anche citato testimonianze locali su un'"operazione di forze armate non identificate" sulla spiaggia di Batroun. Questi uomini sarebbero entrati in uno "chalet", uno studio sul mare, per rapire "un cittadino libanese" prima di lasciare la zona in motoscafo. Fonti della sicurezza hanno riferito a LBCI, la rete televisiva libanese, che l'individuo preso di mira è identificato dalle iniziali IA e hanno suggerito che il rapimento potrebbe coinvolgere le forze navali israeliane. Al Jazeera ha invece menzionato una "incursione marittima da parte di commando israeliani". I media israeliani sostengono che la persona coinvolta, come detto, sarebbe Imad Amhaz, e cioè un alto funzionario di Hezbollah.

• HEZBOLLAH NEL MIRINO DELLE IDF
  In attesa di capire cosa è accaduto a Batroun, le Forze di difesa israeliane (Idf) continuano ad eliminare i membri di Hezbollah. L'esercito israeliano ha riferito di aver ucciso due comandanti del gruppo filo iraniano nell'attacco sferrato ieri nella zona di Tiro in Libano. Si tratta di Moein Musa Izz al-Din, il comandante dell'unità regionale costiera di Hezbollah, e Hassan Majed Diab, il comandante dello schieramento di artiglieria dell'unità. Secondo l'Idf, Diab era responsabile di un lancio di razzi sulla zona della baia di Haifa giovedì, che ha ucciso una madre e un figlio, e del lancio di più di 400 altri razzi nell'ultimo mese.
  In precedenza, Tel Aviv aveva dichiarato di aver colpito depositi di armi e basi del gruppo in Siria. L'aviazione israeliana, nello specifico, ha spiegato di aver colpito obiettivi vicino a Qusair, una città nella Siria occidentale al confine con il Libano. L'esercito sostiene che Hezbollah ha recentemente iniziato a immagazzinare armi lungo il confine siro-libanese nel tentativo di contrabbandare dispositivi bellici nel Paese dei cedri.
  Dall'inizio dell'invasione di terra di Israele in Libano, l'esercito ha colpito più volte i valichi di frontiera fra Libano e Siria, sostenendo che servivano come vie per il contrabbando di armi.
  Secondo i gruppi umanitari, gli attacchi hanno intensificato una crisi già grave, bloccando le vie principali per i rifornimenti e impedendo l'accesso alle persone in fuga. Tre dei sei valichi di frontiera ufficiali fra i due Paesi sono stati chiusi a causa degli attacchi aerei, costringendo le persone in fuga dal Libano a lunghe deviazioni o a muoversi a piedi.

(il Giornale, 2 novembre 2024)

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Bill Clinton: “Hamas non ha interesse a uno Stato palestinese. Arafat non mi ha detto la verità”.

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In occasione di un comizio elettorale per Kamala Harris in Michigan, l'ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton ha descritto la realtà del conflitto tra Israele e i palestinesi e ha puntato il dito contro l'Autorità palestinese e Hamas.
  L'ex presidente democratico ha detto a un pubblico in gran parte filo-palestinese: “Lasciate che vi parli dell'argomento più difficile qui in Michigan: il Medio Oriente. Penso che dovremo ricominciare il processo di pace da capo. Capisco perché i giovani palestinesi e arabo-americani del Michigan pensano che troppe persone abbiano perso la vita da allora. Ma le persone che vivevano in quei kibbutzim, proprio accanto a Gaza, erano le più favorevoli all'amicizia con i palestinesi, le più favorevoli alla soluzione dei due Stati di tutta l'opinione pubblica israeliana. E Hamas li ha massacrati”.
  Ha poi difeso la posizione di Israele dal 7 ottobre, evidenziando il cinismo di Hamas: “Le persone che criticano Israele dicono ‘sì, ma guardate quante persone sono state uccise in cambio’. Ma cosa avreste fatto se fosse stata la vostra famiglia ad essere massacrata? Se foste sempre stati a favore di una patria palestinese e un giorno venissero a massacrare la gente del vostro villaggio? Hamas usa i civili per proteggersi. Ti costringono a uccidere i civili se vuoi difenderti”.
  Il Presidente Clinton ha ripercorso gli anni trascorsi alla Casa Bianca e il ruolo di mediatore che ha cercato di svolgere nel 2000 tra Ehud Barak, allora Primo Ministro israeliano, e Yasser Arafat, durante i colloqui di Camp David: “Ho lavorato duramente. L'unica volta che Yasser Arafat non mi disse la verità fu quando mi promise che avrebbe accettato l'accordo. Questo accordo dava ai palestinesi uno Stato sul 96% della Cisgiordania e avrebbero deciso dove sarebbe stato il 4% per Israele. I palestinesi ottennero anche Gerusalemme Est come capitale, due dei quattro quartieri della Città Vecchia e il controllo delle torri di sicurezza di Israele in Cisgiordania. Tutto questo era stato approvato dal primo ministro israeliano Ehud Barak e dal suo gabinetto. E loro (i palestinesi) hanno detto no”.
  E ha aggiunto: “Penso che tutto questo sia dovuto al fatto che Hamas non si preoccupa di una patria per i palestinesi, ma vuole solo uccidere gli israeliani e rendere Israele inabitabile”. Beh, ho una notizia per voi: gli ebrei erano lì prima, prima che la loro nazione esistesse. Erano lì al tempo del re Davide in Giudea-Samaria”.
  Rivolgendosi agli elettori del Michigan: “Quando sento elettori del Michigan che non vogliono votare per i Democratici a causa del loro impegno per impedire la distruzione di Israele, penso che sia un errore. Penso che dobbiamo sempre cercare un modo per condividere un futuro comune. Non abbiamo il diritto di distruggere la via d'uscita da questo conflitto, nessuna delle due parti ha questo diritto. Non fraintendetemi, abbiamo l'Iran, un Paese sciita, Hezbollah, una setta sciita, gli Houthi, una setta sciita e ora anche Hamas, sunnita, che sono uniti nel pensare che l'unica cosa da fare sia espellere tutti gli ebrei da Israele. Mi dispiace, ma sono contrario. Penso che sia sbagliato. È in contraddizione con tutto ciò che sosteniamo e alla fine sarà un male per il popolo palestinese. Non dimenticherò mai Arafat quando mi disse che avrebbe accettato questo accordo. Gli dissi: “Pensi che mi importi dei bambini palestinesi?” e lui rispose: “Molto più di quanto importi agli arabi”. Mi disse che gli arabi si preoccupavano dei palestinesi solo quando potevano incolpare gli Stati Uniti e Israele per la rabbia nelle loro strade. L'argomento è molto più complesso di quanto non sappiate. Vi chiedo di mantenere una mente aperta. Kamala Harris ha detto di voler porre fine alla violenza e alle morti e di voler avviare un nuovo processo di pace, e questo dovrebbe essere sufficiente”.

(LPH INFO, 2 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Dobbiamo imparare ad essere pazienti

Gli israeliani sono spesso impazienti. Vogliono tutto “qui e ora”.

di Aviel Schneider

Gli israeliani vogliono la pace “qui e ora” - Pace adesso.
Gli israeliani vogliono il Messia “qui e ora” - Messia adesso.
Gli israeliani vogliono gli ostaggi “qui e ora” - Ostaggi adesso.
Gli israeliani vogliono un insediamento ebraico nella Striscia di Gaza “qui e ora” - Gaza adesso.
Gli israeliani vogliono che la guerra finisca “qui e ora” - Vittoria adesso.

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Adesso! Gli israeliani chiedono il rilascio degli israeliani tenuti in ostaggio dai terroristi di Hamas nella Striscia di Gaza durante una manifestazione in “Piazza degli ostaggi” a Tel Aviv il 26 ottobre 2024.

GERUSALEMME - Questo siamo noi e tutti rientrano in qualche gruppo. Gli israeliani non vogliono perdere tempo, a nessun costo. Il tempo è costoso, il tempo è denaro.
Gli arabi fanno esattamente il contrario, giocano con il tempo. Non c'è nulla di affrettato. Gli israeliani non hanno pazienza per la “pazienza strategica”. Credo sia giunto il momento di imparare a essere più pazienti. “Rallegratevi nella speranza, siate pazienti nella tribolazione, perseverate nella preghiera”, dice San Paolo nel Nuovo Testamento [Romani 12:12, ndt]. È vero, ma non sempre è facile da mettere in pratica.
Per decenni, gli iraniani hanno perseguito una politica di “pazienza strategica”, giocando a scacchi in Medio Oriente. Su alcune questioni, i persiani deliberatamente non agiscono subito. per ottenere vantaggi a lungo termine. Pazienza strategica significa usare il tempo per consolidare le posizioni e non reagire alle pressioni dell'opinione pubblica che chiede soluzioni rapide.
Credo che il 7 ottobre abbia scosso molti israeliani dalla loro mentalità “qui e ora”. Il trauma di questo evento ci ha fatto capire che se vogliamo garantire la nostra esistenza in questa regione pericolosa, è necessario un profondo cambiamento strategico in Medio Oriente. Questo richiederà tempo e perseveranza. Quando all'inizio della guerra si parlava di una durata di uno o due anni, la gente non l'aveva interiorizzato perché eravamo abituati a guerre brevi. Questo è stato un concetto di guerra fin dalla fondazione dello Stato di Israele. Perché Israele non poteva permettersi guerre lunghe. Colpo su colpo. Abbiamo tutti continuato a pensare in termini di brevi round militari che duravano solo un mese o due. Chi nel Paese chiedeva a gran voce soluzioni rapide, accusava il Primo Ministro Benjamin Netanyahu di avere motivazioni politiche.
Ma la pazienza ha pagato. Ci è voluta fino a quando le forze di terra sono avanzate nel nord della Striscia di Gaza, fino a quando abbiamo preso Rafah e riconquistato l'intero corridoio di confine di Philadelphia, fino a quando abbiamo sconfitto Hezbollah in Libano. E probabilmente ci vorranno ancora molti mesi prima che ci siano le condizioni per colpire la “testa del serpente iraniano”, cioè per attaccare e distruggere gli impianti nucleari in Iran - e quindi rovesciare il regime del Paese.
Un altro obiettivo della guerra è la liberazione degli ostaggi israeliani nella Striscia di Gaza. Anche questo richiede una “pazienza strategica”, che è probabilmente la pazienza più crudele di tutte. A causa del fallimento del governo israeliano, dobbiamo esigere da noi stessi una pazienza strategica per poter liberare i nostri ostaggi in qualche modo e a un certo punto. E gran parte della popolazione israeliana non può sopportarlo. Da un lato, si può comprendere la situazione dei parenti che scendono in strada per chiedere aiuto per i loro cari. Ciò che è meno comprensibile è quando queste o alcune famiglie vengono strumentalizzate da organizzazioni politiche per attaccare il governo nelle strade. Hamas ha osservato le nostre proteste dai tunnel sotterranei del Paese per più di un anno e si sta sfregando le mani per la gioia. Gli israeliani sono impazienti e stanno servendo l'obiettivo tattico di Hamas. In ogni caso, credevano che questa pressione avrebbe messo all'angolo il primo ministro israeliano, che avrebbe accettato ulteriori compromessi. Ma ciò non è accaduto.
Dai documenti di Yahya Sinwar a Gaza, rivelati dal Wall Street Journal, emerge chiaramente che la spinta per una soluzione rapida ha portato Sinwar a credere che il tempo giocasse a suo favore, poiché le proteste e le spaccature nella coalizione avrebbero costretto il governo a porre fine alla guerra prima che i suoi obiettivi fossero raggiunti. Questa mentalità del “qui e ora” influisce sulla capacità di riportare indietro gli ostaggi. Questo sarà possibile da una posizione di forza e di chiara vittoria solo se i nostri nemici capiranno che stiamo pensando a lungo termine e non ci faremo influenzare dalle loro manipolazioni emotive. Non è facile chiedere una pazienza strategica agli ostaggi e alle loro famiglie. Vivere 24 ore su 24 per più di un anno con la consapevolezza e il pensiero che i loro cari sono nell'inferno di Gaza è inimmaginabile. Sono l'ultima persona a criticare queste famiglie, anche se il loro comportamento fa il gioco dei nostri nemici.
“Dalla conoscenza di Dio deriva l'autocontrollo. Dall'autocontrollo deriva la pazienza, e dalla pazienza deriva una vita di fede e di fiducia in Dio” [2Pietro 1:5-6, ndt]. La storia di Giobbe è probabilmente la più nota storia di pazienza della Bibbia. Nonostante tutto quello che Giobbe dovette affrontare, rimase paziente e confidò in Dio, il che in definitiva fu una “pazienza strategica”. Giobbe ha perso molto, ma ha guadagnato ancora di più.
Il “qui e ora” è una reazione infantile che non è appropriata nella regione pericolosa in cui viviamo. La “pazienza strategica”, invece, è il comportamento di una nazione matura e responsabile che pensa a lungo termine. Ma questo non è il comportamento della società israeliana. Vogliamo davvero risolvere tutto “qui e ora” - e questo non funziona nella nostra realtà come vorremmo.

(Israel Heute, 2 novembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Kfar Aza, ricostruire il paradiso perduto

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«A più di un anno dal massacro del 7 ottobre, dalla distruzione e dall’incendio, nelle ultime due settimane nel kibbutz Kfar Aza si sentono i rumori di lavori e speranza, non solo il boato dei cannoni e razzi», racconta Or Heller, corrispondente militare dell’emittente Reshet 13. Dal 15 ottobre la desolazione di Kfar Aza, tra le comunità più colpite dall’attacco di Hamas, si è trasformata in un via vai di volontari. Decine di persone hanno aderito a un progetto per ricostruire 16 unità abitative di uno dei quartieri del kibbutz. «La risposta delle persone da tutto il paese è straordinaria. Tutti vogliono unirsi, contribuire e dare qualcosa per la riqualificazione dell’area», ha spiegato ai media israeliani Omri Ronen, uno dei promotori del progetto.
  I suoi nonni, Akiva e Nira, erano tra i fondatori nel 1951 di Kfar Aza. Rimasta vedova, Nira aveva continuato a vivere nel kibbutz, aiutata dalla sua badante, Angelyn Aguirre. Il 7 ottobre le due donne sono state assassinate dai terroristi palestinesi. «Avevo parlato con mia nonna quella mattina», ha ricordato in aprile Ronen in un’intervista a ynet. «Lei aveva sentito degli spari fuori dalla porta. L’avevo tranquillizzata. Ero certo che qualcuno sarebbe venuto ad aiutarla, ma non è arrivato nessuno. Che razza di animali uccidono una donna di 86 anni e la sua badante?». Tornato per la prima volta in aprile a Kfar Aza, Ronen ha scoperto un macabro messaggio lasciato dai terroristi in un taccuino della nonna. «Le Brigate Izz ad-Din al-Qassam sono passate di qui e hanno rimosso gli occupanti sionisti. Morirete e non resterete qui».
  «Se pensano di intimidirci si sbagliano. Questo luogo è dei miei nonni, è mio, è nostro», ha replicato Ronen, soldato in una delle unità di élite di Tsahal. «Dobbiamo ricostruire tutte le comunità del sud, espanderle e svilupparle il più rapidamente possibile». E così, qualche mese dopo ha preso piede il progetto di riqualificazione di una parte di Kfar Aza. Oltre alla dirigenza del kibbutz, nel lavoro è coinvolta l’associazione Brothers and Sisters in Arms ed è stata avviata una raccolta fondi per sostenere l’iniziativa. «Questa è diventata la missione della mia vita», ha scritto Ronen in un appello pubblico. «Cerchiamo volontari con competenze professionali, aziende che vogliano donare attrezzature, e persone di buon cuore pronte a contribuire. Venite a posare mattonelle di speranza e a far tornare il kibbutz Kfar Aza il paradiso che era». In poche settimane, decine di persone hanno risposto e i lavori di ristrutturazione sono iniziati.

(moked, 2 novembre 2024)

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“Cari amici di Israele” 

Editoriale di “Nachrichten aus Israel”

di Fredi Winkler

HAIFA - La guerra di Israele contro il Libano è iniziata in un modo completamente diverso da quello che la maggior parte delle persone avrebbe immaginato. In Israele il governo è stato accusato da più parti di non avere un piano d'azione. Tuttavia, questa accusa era fuori luogo, soprattutto perché il governo israeliano non avrebbe mai illustrato i suoi piani ai media per dare al nemico un preavviso. Al contrario, i media sono un mezzo per ingannare il nemico.
I dirigenti di Hezbollah pensavano che i loro telefoni cellulari non fossero sicuri perché Israele poteva localizzarli con questi dispositivi. Erano convinti che i cercapersone sarebbero stati più sicuri e così Hezbollah si è rifornito di cercapersone. Come Israele sia riuscito a preparare questi cercapersone con esplosivi e a distribuirli tra i sostenitori di Hezbollah rimarrà probabilmente un mistero per molto tempo. Ma tutto ciò dimostra quanto Israele sia riuscito a infiltrare Hezbollah.
Hezbollah ha molti nemici in patria e Israele ha ucciso diversi suoi leader. Quando i cercapersone hanno iniziato a esplodere, la situazione è diventata sempre più minacciosa per il suo leader Hassan Nasrallah.
Ma nemmeno il bunker più profondo, con il suo cemento spesso un metro, è riuscito a salvarlo. Il modo in cui Israele lo ha localizzato e poi ucciso è stato un capolavoro militare. La prima parte della leadership di Hezbollah è ora morta e Hezbollah ha vissuto lo shock della sua vita. Ora Israele ha iniziato a invadere il Libano per distruggere le strutture sotterranee. Sarà una battaglia in salita per stanare e scacciare Hezbollah.
Un leader religioso iraniano ha affermato pubblicamente che il motivo per cui Israele ha così tanto successo e per cui è riuscito a liquidare Nasrallah è che gli spiriti demoniaci lo stanno aiutando. Gli ebrei hanno sempre avuto accesso agli spiriti demoniaci.
Questa affermazione dimostra che i leader religiosi in Iran hanno capito che qualcosa non sta andando normalmente in questa guerra contro Israele. Quanti miliardi hanno investito per distruggere il piccolo Israele, ma non ci stanno riuscendo. Sembra che abbiano capito che dietro Israele c'è un potere contro il quale non possono fare nulla.
Tutto ciò che è accaduto al popolo d'Israele in passato e che sta accadendo oggi, sta accadendo perché Dio vuole rendere grande, santo e conosciuto il suo nome, come si legge in Ezechiele 38:23: “Io mi farò grande e santo e mi farò conoscere agli occhi di molte nazioni, ed esse sapranno che io sono il Signore!”. E ancora nel capitolo 39:21-22: “Mostrerò la mia gloria tra le nazioni e tutte le nazioni vedranno il mio giudizio che ho eseguito e la mia mano che ho steso su di loro. E la casa d'Israele saprà che io, il Signore, sono il loro Dio da oggi e per sempre”.
Dio non solo vuole dimostrarsi grande e santo davanti a tutte le nazioni, ma anche davanti al suo popolo, Israele. Molti in Israele si sono allontanati da colui che li ha guidati attraverso il deserto in una colonna di nube e di fuoco. Ma lui vuole ricondurli a sé.

(Nachrichten aus Israel, novembre 2024)

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«Se uniti contro il terrorismo, arabi e israeliani saranno invincibili»

Da anni si dedica al dialogo tra arabi (musulmani e cristiani) ed ebrei nello Stato di Israele. Dopo il 7 ottobre il suo impegno si è rafforzato. Perché, spiega, «la minaccia terroristica ci ha ricordato ancora una volta quanto siamo fortunati a vivere in un Paese democratico e libero»

di David Zebuloni

In molti non lo sanno, ma su dieci milioni di cittadini israeliani, due milioni sono arabi. Proprio così. Camminando per le vie dello Stato ebraico, si ha la probabilità di incontrare un arabo, musulmano o cristiano, ogni cinque passanti. Una statistica importante per uno Stato continuamente accusato di apartheid. Gli arabi israeliani esistono, esistono eccome, e dal 7 ottobre vivono una crisi identitaria che mette in dubbio il loro io più interiore. “Chi sono? A chi appartengo? In cosa credo?” si domandano e, spesso, non trovano una risposta. A sciogliere i loro (e i nostri) dubbi è Yoseph Haddad, un giornalista e attivista arabo-israeliano che dal 2018 si prodiga a favore del dialogo tra i due popoli, esprimendosi apertamente, con grande coraggio, contro il regime totalitario di Hamas e condannando ogni forma di terrorismo di matrice islamica in Israele. Così, nell’ultimo anno, Yoseph è diventato uno dei volti più amati e conosciuti in Israele: colui che riesce a mettere d’accordo tutti pur non assecondando mai nessuno, se non se stesso e la sua integrità morale e intellettuale.
  Da un anno a questa parte, infatti, Yoseph impiega le sue piattaforme sociali, con centinaia di migliaia di followers, a favore della causa israeliana, raccontando lo Stato ebraico così come nessun altro è riuscito a fare prima e dopo di lui. Forse, anche perché considerato obiettivo rispetto alla causa, non essendo ebreo. Il suo volto è presto diventato noto in tutto il mondo. Yoseph è apparso sugli schermi di Sky News, Fox News, CNN, BBC, difendendo sempre il diritto di Israele a esistere e creandosi così molti amici, e anche una bella dose di nemici.
  Nessuna paura: nonostante riceva decine e decine di minacce di morte al giorno, nulla e nessuno può fermare Yoseph Haddad. Lo incontro a Tel Aviv per intervistarlo e scoprire i conflitti interni che affliggono gli arabi israeliani, ma scopro invece che parlare con lui è pressappoco impossibile. Ogni cinque minuti, qualcuno ci interrompe. Le parole pronunciate dai suoi ammiratori, poi, sono sempre le stesse. Come se leggessero tutti dallo stesso copione. “Sei il mio eroe Yoseph. Grazie di tutto quello che fai per Israele. Mi dai speranza per il futuro. Possiamo farci un selfie?”, sento ripetere una dozzina di volte in un’ora. All’inizio sbuffo infastidito, poi mi commuovo anch’io. Sentendolo parlare, non riesco proprio a trattenere le lacrime.
  Dopo un anno privo di speranza, Yoseph riesce a convincermi che andrà tutto bene. E per un qualche inspiegabile motivo, nonostante non sia un politico, o un esperto militare, o un’autorità spirituale, io gli credo. Gli credo davvero. Quando finiamo l’intervista, ci casco anch’io: lo abbraccio, lo ringrazio, gli chiedo un selfie proprio come hanno fatto tutti i suoi ammiratori estasiati e inopportuni prima di me. Lui mi abbraccia, mi ringrazia a sua volta, sorride al selfie. Tuttavia, quando pronuncio la parola “coesistenza”, Yoseph mi ammonisce come se avessi detto una parolaccia. “Non parlare mai di coesistenza”, mi spiega con fervore. “Siamo seduti al bar da un’ora, già coesistiamo perfettamente. Ora dobbiamo solo imparare a dialogare e a fidarci l’uno dell’altro. Tutto qui”.

- Yoseph, quanto è difficile essere sia arabo che israeliano?
  La dissonanza fa parte della mia vita da sempre. Pensa: ho tre identità io. Sono arabo, sono cristiano e sono israeliano. Non è facile conciliare tre mondi a tratti contrastanti, eppure ci sono riuscito. Ci riesco ogni giorno. Un tempo pensavo che le mie identità si indebolissero a vicenda. Oggi invece so che si danno forza l’un l’altra.

- Perché oggi sei adulto e consapevole, trovi una risposta a ogni domanda, ma mi immagino il Yoseph bambino. Chi rispondeva alle sue domande?
  Quando ero bambino mi ponevo meno domande. Andavo a giocare a calcio a Haifa con gli amici e tutto ciò che mi interessava era fare gol. Poco importava se il portiere fosse arabo o israeliano. Eravamo una squadra. Amici. Fratelli. A volte discutevamo, certo, ma eravamo sempre d’accordo su un punto fondamentale: Israele è casa nostra. Di tutti noi. Una casa che ospitava tante culture diverse. A tredici anni conoscevo alla perfezione tutte le tradizioni ebraiche e i miei amici conoscevano alla perfezione tutte le tradizioni cristiane e la cultura araba dalla quale provengo. Io andavo a casa loro a fare il Seder di Pesach e loro venivano a casa mia a festeggiare il Natale. Loro erano fieri di essere ebrei, io ero fiero di essere arabo e cristiano. Tutti eravamo orgogliosi di essere israeliani.

- Descrivi un mondo ideale, in cui tutto avviene in modo naturale, facile, spontaneo. Nella realtà, tutto è difficile.
  Ti sbagli. Gli estremisti da entrambe le parti ci fanno credere che tutto sia difficile, nella realtà arabi e israeliani desiderano vivere insieme. Su una questione sono d’accordo con te: potremmo essere molto più uniti. Siamo ancora troppo distanti. Gli israeliani non conoscono abbastanza bene l’arabo e gli arabi non conoscono abbastanza bene l’ebraico. Abitiamo in quartieri lontani. Quando ci incontriamo per la prima volta? All’università, in maggiore età, quando ormai è troppo tardi per unirsi attorno a un pallone e dimenticarsi di appartenere a culture diverse.

- Eppure anche tu hai iniziato la tua carriera di attivista quando ormai eri un uomo, e non più un ragazzino.
  È vero, e sai perché? Perché avevo paura. Questa è la verità, avevo paura. Non è facile esporsi. Sapevo che gli arabi estremisti mi sarebbero venuti contro. E così è stato. Fino ad oggi vivo sotto minacce. Aggrediscono me e la mia famiglia. Hanno rotto a mia madre il braccio. Ma credimi, sono solo la minoranza. Fanno tanto baccano perché faticano ad accettare che Israele è la loro casa, che l’ebraico è la loro lingua, ma non rappresentano altro che la minoranza.

- E questa maggioranza di cui parli, dov’è? Perché non la vedo?
  La vedi eccome, vive attorno a te, ma non la senti. Gli arabi israeliani hanno paura di farsi sentire, perché non vogliono pagarne le conseguenze. Perché non vogliono subire ciò che ho subito io. Segretamente, però, in silenzio, desiderano vivere in Israele più di quanto lo desideri tu stesso. Se girassi per gli ospedali del paese, non crederesti ai tuoi occhi. Medici arabi che curano pazienti israeliani e medici israeliani che curano pazienti arabi, tutto in perfetta armonia. Lancio un appello a tutti quelli che parlano di apartheid: venite qui e visitate il paese. Se scoprite una realtà diversa da quella che descrivo, mi ritiro dalle mie attività per sempre.

- Io ti credo. La realtà che descrivi, l’unione e la solidarietà, l’ho vista e l’ho vissuta anch’io. Tuttavia, fatico a ignorare l’odio e la violenza di cui sono ancora testimone.
  
Ti pongo una domanda e rispondimi sinceramente. Il 7 ottobre, hai temuto una rivolta da parte degli arabi israeliani? Hai temuto che si unissero a Hamas e compissero anche loro una strage nel cuore di Israele?

- Sì.
  Io no. Ero convinto del contrario, e avevo ragione. Il 7 ottobre ha solo accentuato la differenza tra gli arabi che vivono in Israele e quelli che vivono a Gaza. La strage di Hamas ha confermato agli arabi d’Israele quanto convenga loro vivere in uno Stato ebraico e democratico, e non sotto la dittatura islamica che vige in tutto il Medio Oriente. Credi davvero che gli arabi israeliani vogliano avere come loro leader tipi come Sinwar o Nasrallah? Certo che no. Nessuno teme e ripudia il regime islamico più di noi.

- Mi stai dicendo che il 7 ottobre ci ha avvicinati?
  Sì, è esattamente quello che sto dicendo. So che suona paradossale, ma un sondaggio dell’Università di Tel Aviv ha mostrato che, dopo la strage di Hamas, il 33,2% degli arabi in Israele si sono definiti israeliani e solo l’8,2% si sono definiti palestinesi.

- Nonostante ciò, il 90% di loro votano quei partiti arabi che si rifiutano di condannare il 7 ottobre e il terrorismo di Hamas.
  Hai ragione, ma solo perché non esiste ad oggi un’alternativa degna a questi partiti. Perché non esiste una leadership araba dichiaratamente sionista che renda giustizia alla popolazione araba locale. Perché è nell’interesse di questi politici ambigui continuare a definirsi vittime del sistema piuttosto che assumersi la responsabilità del loro destino. Tuttavia, su 120 parlamentari, sai chi è il politico con l’ufficio più grande di tutta la Knesset? Ahmad Tibi, un parlamentare arabo e musulmano. Il suo ufficio è secondo di grandezza solo a quello di Netanyahu. Ti rendi conto? Altro che apartheid.

- Il fatto che tu sia cristiano, credi che influisca sulla visione che hai dell’Islam?
  Sapevo che me lo avresti chiesto, me lo chiedono sempre tutti. La risposta è no, ma se non mi credi, lasciamo stare Yospeh Haddad e parliamo di Awad Daraushe, il paramedico musulmano che si è sacrificato soccorrendo le vittime del Nova. Ecco, Hamas lo ha ammazzato nonostante fosse musulmano. Parliamo di Yusuf Azayadli, anche lui israeliano e musulmano, che ha salvato più di trenta persone il giorno della strage. Quando lo hanno intervistato alla televisione, Yusuf ha detto: “Cosa importa se io sono musulmano e loro sono ebrei? Siamo tutti israeliani, tutti essere umani”. Il giovane soldato Yosef Hieb, rimasto ucciso da un drone di Hezbollah, appartiene a un’antica famiglia musulmana che ha combattuto già nella Guerra d’Indipendenza a favore della fondazione di uno Stato ebraico. Non sono casi isolati, ci sono centinaia di storie simili dal 1948 a oggi.

- Scusa se insisto Yoseph, ma un arabo può sentirsi davvero a casa in Israele? Può avvolgersi nella bandiera con la Stella di David e sentirsi sinceramente di appartenere? Può cantare l’inno dell’Hatikvah e provare orgoglio?
  Certo che sì, così come tu ti senti italiano nonostante tu sia ebreo. Tuttavia, io preferisco parlare di fatti e non di sensazioni. Il direttore della Banca Leumi, la banca più grande d’Israele, era arabo e musulmano. Il giudice della Corte suprema che ha mandato in carcere non uno, ma ben due presidenti israeliani, Ehud Olmert e Moshe Katzav, era arabo e musulmano. Smettiamola di far credere che gli arabi israeliani siano cittadini di serie B, sottomessi e privati di ogni diritto. Al contrario: la maggior parte di loro è fiera di vivere nello Stato ebraico, ovvero nell’unico Stato democratico del Medio Oriente.

- Eppure gli arabi in Israele e gli arabi a Gaza condividono le stesse radici. Alcuni di loro sono cugini di sangue.
  Sì, cugini che hanno provato ad ammazzarci il 7 ottobre. I missili di Hamas, d’altronde, non distinguono gli arabi dagli israeliani. Agli occhi dei terroristi, siamo tutti uguali. Nessun antenato comune ci rende immuni alla loro violenza.

- La guerra a Gaza, dunque, non suscita negli arabi israeliani alcun sentimento di antagonismo nei confronti dello Stato ebraico?
  Antagonismo? Suscita piuttosto un profondo senso di imbarazzo. Nell’ultimo anno, infatti, ho ricevuto innumerevoli messaggi da parte di arabi israeliani mortificati che mi chiedevano di condannare ciò che stava facendo Hamas anche in loro nome. “Come si può stuprare, ammazzare bambini, tenere degli innocenti in ostaggio in nome di Allah? Questo non è il nostro Dio. Questa non è la nostra religione. Questo non è ciò in cui crediamo”, mi hanno scritto in migliaia.

- Come uscirà Israele da questa guerra?
  
Più forte di prima. Se c’è una cosa che ho imparato vivendo con voi, è che il popolo ebraico è indistruttibile. Non so di cosa siete fatti, ma so che non smettete mai di combattere per la vostra sopravvivenza e di vincere sempre. Nessun altro paese al mondo poteva sopportare un 7 ottobre e rialzarsi all’indomani. Questa volta, però, non siete soli. Ci siamo noi con voi. Insieme, siamo invincibili.

- Come fai ad esserne così certo?
  Semplice. Non so se ricordi, ma l’8 di ottobre l’esercito israeliano ha dichiarato di aver arruolato il 130% dei suoi riservisti. Molti più di quanti ne avesse effettivamente bisogno. Tutti volontari. Ebrei, cristiani, musulmani, drusi. Tutti uniti con un solo obiettivo: difendere la loro casa.

- Credi che rimarremo così uniti anche dopo la guerra?
  Ne sono convinto. Dimentichi che nel 2020 Michael Ben Zirki, ebreo e israeliano, è morto annegato per salvare tre bambini arabi e musulmani che non riuscivano a tornare a riva. Dimentichi che durante il covid il medico arabo Meir Ibrahim si è seduto accanto al letto di Rebbe Shlomo durante i suoi ultimi istanti di vita, gli ha stretto la mano e ha recitato insieme a lui lo Shemà Israel, poiché la sua famiglia non poteva assisterlo. Eravamo uniti prima della guerra, e dopo la guerra continueremo ad esserlo.

Prima del 7 ottobre sognavi una società priva di estremisti, basata sul dialogo e sulla tolleranza. Il tuo sogno è cambiato nell’ultimo anno?
  Il mio sogno è sempre lo stesso, non cambia mai. Anzi, s’intensifica. Questa guerra ci ha mostrato chi sono i nostri veri nemici e contro chi dobbiamo davvero combattere.
  La minaccia terroristica ci ha ricordato ancora una volta quanto siamo fortunati a vivere in Israele, in uno Stato ebraico e democratico, ma ha anche ribadito l’importanza del dialogo. Dobbiamo continuare a conoscerci a vicenda, a fidarci l’uno dell’altro. Israele è un paradiso, certo non privo di difetti, ma un paradiso.
  Il nostro paradiso. E nessuno ce lo porterà via.

(Bet Magazine Mosaico, 1 novembre 2024)

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Israele a un bivio: attaccare subito l’Iran o aspettare le mosse di Teheran?

Possibile che la storia dell'attacco iraniano diffusa da NYT e Axios sia vera, oppure che sia una trappola per spingere Israele a colpire per primo. In ogni caso, perché non farlo?

di Franco Londei

Secondo il New York Times gli Ayatollah iraniani starebbero pensando di portare un nuovo attacco a Israele in risposta a quello israeliano di sabato scorso.
  Anche Axios suggerisce che a Teheran starebbero pensando di colpire nuovamente Israele anche se il piano sarebbe quello di usare anche i Proxy, soprattutto quelli iracheni.
  È in questo contesto minaccioso che in Israele si è fatta avanti l’idea di colpire l’Iran con un attacco preventivo a sorpresa, per di più potendo godere dei risultati dell’attacco di sabato scorso che in pratica ha messo fuori uso tutte le difese iraniane.
  L’attacco preventivo fa parte della dottrina militare israeliana. L’IDF lo ha usato anche di recente contro Hezbollah sventando un grande attacco e distruggendo buona parte dell’arsenale balistico dei terroristi libanesi. Quindi funziona.
  Ma allora, perché Israele non sfrutta questo momento unico e irripetibile per “finire” l’avversario una volta per tutte e tagliare la testa della piovra iraniana? Qui il problema diventa serio perché entra in campo la politica, soprattutto quella di Biden (e della Harris).
  L’attuale Amministrazione americana, in scadenza di mandato, punta su una de-escalation in tutto il Medio Oriente. Un attacco preventivo israeliano, invece, porterebbe a una escalation i cui risultati potrebbero essere molto dannosi per i democratici a pochi giorni dalle votazioni. Ci sarebbe un inevitabile innalzamento del prezzo del petrolio e del gas. Se poi le Guardie della Rivoluzione (IRGC) chiudessero lo Stretto di Hormuz e contemporaneamente gli Houthi chiudessero quello di Bab al-Mandab impedendo l’ingresso nel Mar Rosso, avremmo davvero una situazione fuori controllo.
  A onor del vero bisognerebbe dire che il quadro descritto poco sopra potrebbe palesarsi anche se Israele non attaccasse preventivamente l’Iran ma lo facesse solo dopo essere stato attaccato come riferiscono il Times e Axios. Oppure anche se l’Iran attaccasse Israele e Gerusalemme, per ragioni fantascientifiche, non rispondesse. Quello della chiusura dei due stretti più strategici del mondo è l’unico vero deterrente che rimane a Teheran.
  Ora, di questo ne sono convinti anche gli Ayatollah e i loro cagnolini da guardia, i pasdaran, e su questo contano per far pressione su Washington affinché a loro volta gli americani facciano pressione su Gerusalemme al fine di evitare la contro-risposta israeliana.
  È un po’ come camminare sulla lama di un rasoio, i margini di errore sono ristrettissimi. E non si capisce dove finisce il bluff e dove cominci la realtà. Mi spiego meglio. Non è detta che quando gli Ayatollah fanno sapere che lanceranno un attacco contro Israele dicano la verità, anzi, è possibile che mentano. Il motivo? Spingere Israele a un attacco preventivo per poi dare tutta la colpa a Gerusalemme per le conseguenze di cui abbiamo parlato sopra.
  Per di più sarebbe anche un buon metodo per evitare la figuraccia, che potrebbe essere letale per il regime, di veder fallire l’ennesimo attacco a Israele.
  E se l’idea di un attacco fosse vera?
  C’è un’altra ipotesi che circola tra l’intelligence di Israele: gli Ayatollah starebbero mettendo insieme quello che rimane degli arsenali di Hezbollah, Houthi dello Yemen e varie sigle terroristiche irachene per un attacco coordinato con missili e droni al fine di saturare le difese israeliane e poi colpire lo Stato Ebraico con i missili balistici lanciati dall’Iran. Questa ipotesi è molto verosimile ed è presa molto in considerazione a Gerusalemme.
  Per il regime iraniano sarebbe una specie di “prendere o lasciare” o, per usare un termine derivato dal poker, un all-in con il quale mettere sul tavolo tutte le chips (o fiches che dir si voglia) sperando che l’altro abbia carte peggiori.
  La scommessa iraniana si basa tutta sul fatto che a quel punto sarebbe Israele ad essere tra due fuochi: contrattaccare sapendo che l’Iran potrebbe bloccare completamente il mercato del petrolio, oppure cedere alle pressioni americane e ingoiare il rospo.
  Per una operazione del genere a livello militare il momento giusto sarebbe adesso che Washington è in fase di transizione, ma a livello politico rischia di favorire Trump il che vorrebbe dire totale mano libera a Israele. È un bel dilemma.
  Ricapitolando, per l’Iran un attacco preventivo da parte di Israele sarebbe la migliore delle ipotesi per i  motivi che abbiamo spiegato sopra, soprattutto perché permetterebbe a Teheran di incolpare Israele di tutte le conseguenze che ne deriverebbero, situazione che potrebbe portare all’isolamento completo di Israele, che poi è anche uno degli obiettivi degli Ayatollah (e non solo).  
  Quindi, trappola o verità? Se le voci provenienti da diverse fonti che parlano di “impazienza” da parte di una parte del governo israeliano in merito ad un attacco preventivo sono vere, probabilmente lo vedremo nelle prossime ore. Personalmente avrei già attaccato, anzi, avrei finito il lavoro immediatamente dopo il primo attacco.
  È una trappola? Possibilissimo, gli iraniani sono scaltri, quasi raffinati. Vale la pena cadere nella trappola iraniana? Secondo me sì. Se non ora quando?

(Rights Reporter, 1 novembre 2024)

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Parashà di Noach: Perché le donne sono esenti dalla prima mitzvà della Torà

di Donato Grosser

Nella parashà di Bereshìt nel racconto della creazione dell’uomo è scritto: “Dio creò l’uomo a Sua immagine (be-tzalmò)…”(Bereshìt, 1:27). R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) spiega che tzèlem è l’intelligenza che il Creatore diede all’uomo, a differenza delle altre creature.
 Nel versetto seguente è scritto: “Dio li benedisse e Dio disse loro: crescete e moltiplicatevi…”. Questa è una delle tre mitzvòt che appaiono nel libro di Bereshìt. Le altre due sono quella di fare la milà (circoncisione) ai figli maschi e la proibizione di mangiare il nervo sciatico degli animali dopo la shechità (macellazione).
 L’autore catalano del Sefer Ha-Chinùkh (Barcellona, XIII sec. E.V.), scrive che la “radice”, ovvero il motivo della mitzvà, è per far sì che il mondo sia abitato, come è scritto “… non l’ha creata perché rimanesse deserta, ma l’ha formata perché fosse abitata… (Isaia, 45:18). Ed è una grande mitzvà perché grazie ad essa possono essere osservate tutte le mitzvòt del mondo…”.
 Le parole “Crescete e moltiplicatevi” appaiono due volte nella parashà di Noach, e sono rivolte a Noach e ai suoi figli, Sem, Cham e Yefet, quando il mondo doveva essere ripopolato dopo la distruzione del Diluvio.
 Il fatto che queste parole furono rivolte solo ai figli di Noach, fa sì che r. Meir Simcha Hakohen (Lituania, 1843-1926, Riga-Lettonia) rav di Dvinsk, nella sua opera Meshekh Chokhmà, apra il suo commento a questa parte della parashà scrivendo che non è irragionevole affermare che il motivo per cui la Torà ha esentato le donne dalla mitzvà di crescere e moltiplicare e l’ha imposta solo agli uomini, è che la Torà non vuole imporre agli israeliti delle cose che sono fisicamente poco tollerabili.
 Questo è anche il motivo per cui la Torà impone solo un giorno di digiuno, il Kippur; e ci ha obbligato a mangiare il giorno che precede il digiuno. Pertanto la Torà non ha imposto alle donne la mitzvà di avere figli, perché la gravidanza e il parto le mettono in pericolo. Per questo alla donna è permesso usare metodi anticoncezionali, come è raccontato nel Talmud (Yevamòt, 65b) nell’episodio di Yehudit, moglie di r. Chiyà, che soffriva di grandi pene durante il parto, e alla quale il marito permise di prendere una pozione per renderla infertile.
 Dalla Torà impariamo che il desiderio delle donne di avere figli è superiore a quello degli uomini. Questo è dimostrato da Rachel, moglie di Ya’akòv che, essendo sterile, gli disse: “Dammi dei figli se no io muoio” (Bereshìt, 30:1). Questo desiderio viene solo per assicurare la continuazione della specie umana. Con tutto ciò è dimostrato che le donne sono esenti dalla mitzvà di avere figli dal fatto che quando l’Eterno apparve al patriarca Ya’akòv al suo ritorno dalla Mesopotamia gli disse: “Cresci e moltiplicati”, al singolare (Bereshìt, 35:11).
 E se qualcuno domandasse perché l’Eterno diede sia ad Adamo che a Eva la benedizione “Crescete e moltiplicatevi”, si può rispondere che questo venne detto prima che essi commettessero il peccato di mangiare il frutto proibito. Prima del peccato la donna non avrebbe avuto nessuna sofferenza nell’avere figli. Dopo il peccato l’uomo fu punito a faticare per poter usufruire dei frutti della terra, mentre la donna fu punita con sofferenze nella gravidanza e con le doglie del parto (Bereshìt, 3:16-17).
 Per questo l’ordine di crescere e moltiplicare fu dato solo a Noach e ai suoi figli maschi e poi solo al patriarca Ya’akòv.

(Shalom, 1 novembre 2024)
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Parashà della settimana: Noach (Noè)

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I piloti raccontano l’operazione “Giorni di pentimento”: “Ci siamo resi conto che stavamo facendo la storia”

di Luca Spizzichino

Nella notte del 26 ottobre, l’aviazione israeliana ha bombardato diversi obiettivi militari in Iran come rappresaglia per gli attacchi missilistici subiti tre settimane prima. Con oltre un centinaio di aerei, tra cui F-16 e F-35, le forze israeliane hanno condotto tre ondate di bombardamenti su infrastrutture strategiche iraniane. I Maggiori N. e S., rispettivamente un navigatore di combattimento e un pilota di caccia, hanno raccontato a Ynet le loro esperienze e le emozioni vissute durante questa storica operazione.
  “Una volta in volo, ci siamo resi conto che stavamo facendo la storia, qualcosa che non era mai stato fatto prima,” ha dichiarato il Maggiore N. “Dopo l’atterraggio, ho avuto bisogno di un momento per comprendere l’impatto di ciò che avevo fatto. Gaza è vicina, il Libano è a una certa distanza, ma l’Iran è lontano, e non siamo abituati a essere lì”.
  Padre di cinque figli, il Maggiore N. non ha condiviso i dettagli della missione con la sua famiglia, ma sua moglie e i suoi bambini comprendono il tipo di operazioni che svolge per l’aeronautica. “La mia famiglia sa già abbastanza. I bambini sono felici e orgogliosi,” ha aggiunto.
  Per anni, l’aeronautica israeliana si è preparata per operazioni nel fronte orientale. Alla base di Ramon, il personale del 119° squadrone ha trascorso giorni a prepararsi a scenari di guerra, studiando il terreno e il comportamento dei caccia in situazioni di emergenza. Il Maggiore Anael, addetta alla torre di controllo della base, ha raccontato come il personale abbia lavorato per mantenere unita la squadra, anche per via della presenza di amici e colleghi rapiti durante il conflitto. “Se un anno fa mi avessero detto che sarei stato qui oggi, non ci avrei creduto. Alcuni scenari che avevamo previsto sono stati superati dalla realtà,” ha rivelato il Maggiore R., capo della divisione munizioni, spiegando come la fine di una missione sia immediatamente seguita dalla preparazione per la successiva.
  Il Maggiore S., pilota di caccia di origine straniera e lone soldier in Israele, ha confermato che l’operazione si è svolta come da piano. La missione ha richiesto un’attenzione estrema ai dettagli, e nei giorni precedenti l’attacco, l’equipaggio ha studiato vari scenari, elaborando risposte e strategie. “In volo, la concentrazione è totale. C’è un’enorme quantità di dati da gestire, e sapere di fare parte di un evento storico è un grande privilegio”. Il Maggiore S. ha descritto la missione come un’esperienza unica, ma piena di pericoli. “Siamo stati addestrati per raggiungere paesi lontani e superare numerose minacce; ed è per questo che siamo stati assegnati a questa missione. Non è solo l’obiettivo specifico che conta, ma il fatto stesso di esserci arrivati, dimostrando le nostre capacità”.

(Bet Magazine Mosaico, 1 novembre 2024)

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Dall'inizio della guerra: 12.000 soldati feriti

GERUSALEMME - Il Dipartimento di Riabilitazione del Ministero della Difesa ha ricevuto 12.000 soldati feriti dall'inizio delle ostilità dopo l'attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre scorso. Il 93% dei feriti sono uomini. Tra i nuovi ricoveri, circa 1.500 sono stati feriti due volte durante il conflitto in corso.
L'anno scorso, il numero di feriti di età inferiore ai 30 anni è triplicato: Il 51% dei feriti ha un'età compresa tra i 18 e i 30 anni.
Il ministero ha anche annunciato che 377 delle persone trattate hanno riportato ferite alla testa, tra cui 23 con gravi lesioni al cranio che hanno richiesto una sostituzione del cranio stampata in 3D. Altre 308 persone sono state ferite agli occhi, dodici delle quali hanno perso la vista. Inoltre, 104 persone hanno riportato lesioni alla colonna vertebrale e circa 60 hanno avuto bisogno di protesi immediate.

• DISTURBI DA ANSIA E STRESS
  Le statistiche militari riguardano anche le conseguenze psicologiche della guerra: il 43% delle persone (5.200) ha sviluppato vari problemi psicologici. Tra questi, ansia, depressione, difficoltà di adattamento e disturbo da stress post-traumatico.
In risposta al crescente numero di giovani vittime, il Ministero vuole adattare i servizi di riabilitazione e concentrarsi sul rapido reinserimento delle persone colpite nel sistema scolastico, nella formazione professionale o nell'occupazione. All'insegna del motto “La riabilitazione prima della burocrazia”, il dipartimento di riabilitazione offre un immediato supporto medico e psicologico, oltre all'assistenza finanziaria.
Secondo il Ministero della Difesa, il costo medio annuo per il trattamento di una vittima di guerra equivale a circa 37.000 euro. Si ipotizza che entro il 2030 ci saranno circa 100.000 veterani con disabilità e che il 50% dovrà probabilmente lottare con problemi psicologici.

(Israelnetz, 1 novembre 2024)

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Tentativi di accordo per il Libano. Ma c’è pessimismo

La diplomazia americana fa un tentativo in extremis prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Amos Hochstein, l’inviato speciale americano, e Brett McGurk, l’inviato speciale del presidente Biden per il Medio Oriente, arriveranno oggi in Israele per discutere un cessate il fuoco e una soluzione politica in Libano. Funzionari politici a Gerusalemme stimano che non sia previsto alcun accordo prima delle elezioni presidenziali americane.
Le stesse fonti hanno inoltre affermato che, alla luce dei principi pubblicati oggi da Hezbollah sul quotidiano Al-Akhbar e della sua insistenza nel continuare a collegare la scena del Libano con quella della Striscia di Gaza, e della sua riluttanza a introdurre emendamenti alla risoluzione 1701, a Gerusalemme c’è pessimismo sulla possibilità di andare avanti e si aspetta di vedere se gli inviati americani porteranno con sé nuove idee.
Ieri sera, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tenuto una discussione limitata sulla questione della fine della guerra in preparazione di una soluzione politica in Libano, alla luce dei risultati ottenuti da Israele nella guerra.
Questa mossa è promossa dall’amministrazione americana attraverso Hochstein, che conduce negoziati indiretti con Hezbollah attraverso la portavoce del parlamento libanese, Nabia Berri.
Secondo i funzionari politici, la soluzione politica in questione si baserà sull’attuazione della risoluzione ONU 1701, approvata dopo la seconda guerra del Libano nel 2006, ma i funzionari politici a Gerusalemme affermano che la condizione è che chi ne impone l’attuazione a livello nazionale sul terreno sarà l’esercito libanese, con Israele che supervisionerà e interverrà sul campo nelle operazioni militari se Hezbollah tenterà nuovamente di avvicinarsi al confine con Israele e di installarvi infrastrutture terroristiche per attaccare gli insediamenti del nord.

(Rights Reporter, 31 ottobre 2024)

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Meglio giusto che nuovo!

A un Medio Oriente nuovo deve seguire un Medio Oriente reale.

di Aviel Schneider

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Yitzhak Rabin, Shimon Peres e Yassir Arafat ricevono il premio Nobel per la pace per gli accordi di Oslo del 1994.
Si notino i volti: Arafat ghigna beffardo, Rabin soffre in silenzio, l'unico a sorridere è l'«ottimista» Shimon Peres.

GERUSALEMME - Qual è il Medio Oriente migliore per Israele? Quello reale come è ora, quello nuovo di cui parlava Shimon Peres, o quello giusto, dove l'esistenza di Israele può godere di maggiore sicurezza e tranquillità? Per come si presenta oggi, il Medio Oriente è un pericolo per molti popoli, non solo per Israele. Ed è proprio questo il tema di una conferenza a Gerusalemme.
Lex ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres coniò il termine “Nuovo Medio Oriente” durante il periodo ottimistico del processo di Oslo, che era anche il titolo del suo libro del 1993. Il risultato è stato nuovo, ma non come immaginato: c'è stato un grande spargimento di sangue. Secondo l'organizzazione israeliana di sinistra radicale per i diritti umani B'Tselem, durante la prima intifada (1987-1993) fino all'inizio dei negoziati di Oslo sono stati uccisi meno di cento israeliani e 1.593 palestinesi. Durante la seconda intifada (2000-2003), sono stati uccisi 1.011 israeliani e 4.944 palestinesi.  Durante gli “anni di pace” di Oslo, il numero delle vittime è aumentato continuamente.
Ironia della sorte, il politico cauto e scettico Benjamin Netanyahu, vituperato in tutto il mondo, potrebbe creare un nuovo Medio Oriente, forse addirittura un vero Medio Oriente. Dopo tutto, in Medio Oriente esiste un concetto di vita diverso, con dimensioni diverse rispetto all'Occidente. Ora che l'esercito israeliano ha mandato Yahya Sinwar e Hassan Nasrallah a incontrare le 72 vergini, è arrivato il momento della guida suprema dell'Iran, Ali Khamenei, o dei suoi successori. Il New York Times ha recentemente riportato che Khamenei è affetto da una “grave malattia” e che è imminente una battaglia per la sua successione, poiché il figlio 55enne non è popolare.
Questa settimana è iniziata a Gerusalemme una conferenza intitolata “Il Medio Oriente giusto”, alla quale ha partecipato una vasta gamma di figure chiave: leader militari, politici, ministri, esperti di sicurezza, opinionisti e persino rappresentanti della società araba in patria e all'estero. Il momento clou della conferenza è stata la presentazione di una nuova visione politica da parte dell'ex ambasciatore statunitense in Israele, David Friedman. Al centro di questa visione c'è l'assunto che la soluzione dei due Stati è fallita. Israele ha realizzato questo esperimento nella Striscia di Gaza e ha creato uno Stato terrorista che ha causato la più grande catastrofe per il popolo ebraico dopo l'Olocausto.
Inoltre, l'Autorità Palestinese (AP) sotto la guida di Fatah di Mahmoud Abbas non è migliore di Hamas. È corrotta, glorifica il terrorismo e premia i terroristi. Con la fondazione dell'Autorità palestinese non è successo nulla di nuovo e di positivo in Medio Oriente. Al contrario, con gli accordi di Oslo, tutto in Israele e nei dintorni è diventato ancora peggiore per Israele. Ecco perché i partecipanti alla Conferenza di Gerusalemme propongono una visione con piena sovranità ebraica nel cuore biblico della Giudea e della Samaria. Per le orecchie occidentali, una proposta del genere suona troppo ebraica e troppo malvagia, ma il 7 ottobre è caduta la monetina nel Paese: le cose non possono andare avanti così. Israele è ancora in guerra e questa guerra non è ancora stata vinta e non è ancora finita.
Per ottenere una vittoria completa, la guerra richiederà probabilmente un altro anno o poco più. Quando Donald Trump, se eletto, si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025, Israele avrà ulteriormente ripulito il Libano e Gaza e posto le basi per una vera e grande svolta in Medio Oriente, tagliando la testa al serpente iraniano e forse unendosi agli Stati Uniti sotto Trump per attaccare le strutture nucleari iraniane. Questo potrebbe gettare le basi per la distruzione del regime dei mullah a Teheran, al fine di rafforzare l'opposizione iraniana e il popolo iraniano, la cui maggioranza detesta questo regime.
Verrà firmato un trattato di pace con l'Arabia Saudita e gli altri Stati sunniti del Medio Oriente e l'egemonia militare di Israele in Medio Oriente sarà chiara e inequivocabile. Perché nella nostra regione, per quanto triste, si capisce solo il potere. Dopo tutte le belle parole di Shimon Peres e l'impressionante disponibilità dei due Ehud, Barak e Olmert, a concedere quasi tutto ai palestinesi, alla fine ci siamo ritrovati con gli attentati agli autobus del 1996, la seconda intifada e - peggio ancora - il 7 ottobre.
Teoricamente e realisticamente, la sovranità ebraica ha sempre portato più sicurezza nei cosiddetti territori occupati - dove c'è sovranità ebraica, non c'è terrore e viceversa. “Anche dal punto di vista ebraico, questa è la soluzione giusta - l'intera terra ci è stata promessa da Dio, specialmente la Giudea e la Samaria, le scene della storia biblica. È anche la soluzione migliore per gli arabi. I cittadini arabi di Israele godono del più alto tenore di vita del Medio Oriente. Anche gli arabi in Giudea e Samaria dovrebbero avere una vita migliore di quella attuale”, afferma Friedman.

• PASSIAMO ORA AI FATTI
  Nei 15 anni precedenti agli accordi di Oslo (dal 1978 al 1993), 270 israeliani sono stati uccisi da organizzazioni terroristiche palestinesi; nei 15 anni successivi, 1.450 israeliani sono stati assassinati. Per quanto drammatico, questo dato non racconta l'intera storia. I 15 anni successivi agli accordi comprendono anche gli anni di preparazione, durante i quali il terrorismo palestinese ha sviluppato nuove capacità. Il vero impatto degli accordi di Oslo è diventato evidente negli anni 2000-2004, quando le organizzazioni terroristiche nei territori palestinesi hanno messo in campo i mezzi e le capacità acquisite durante gli anni dell'inganno.
Mentre nel decennio che va dal 1978 allo scoppio della prima intifada nel dicembre 1987, un totale di 114 israeliani sono stati uccisi in attacchi terroristici e nei sei anni della prima intifada un totale di 164 israeliani sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco, nel solo 2002 ben 450 israeliani sono stati assassinati dal terrore palestinese.
Il 2002, l'anno dello spargimento di sangue, è stato l'anno in cui abbiamo visto cosa succede quando un partner si toglie la maschera e mostra i suoi veri colori. Invece di pietre, coltelli e poche armi automatiche, dopo gli accordi di Oslo ci siamo trovati di fronte a centinaia di laboratori di bombe, decine di migliaia di armi automatiche e centinaia di attentatori suicidi. A quei tempi, Shimon Peres vaneggiava di un Medio Oriente che semplicemente non esisteva. E così Israele fu definitivamente bloccato il 7 ottobre 2023.
La nuova visione della conferenza affronta anche la questione demografica e propone il modello di Porto Rico. Ai palestinesi verrebbero riconosciuti diritti umani e diritti di voto locali che consentirebbero loro di governare la maggior parte degli aspetti della loro vita, ma non potrebbero votare alle elezioni nazionali. In altre parole: Il loro status sarebbe quello di residenti permanenti. Ohad Tal, membro della Knesset e presidente della conferenza, ha dichiarato:
    “È tempo di un piano che traduca in azione il perseguimento di stabilità, sicurezza, prosperità economica e cooperazione regionale”. L'obiettivo della conferenza è quello di gettare le basi per il prossimo passo, di inserire il piano nell'agenda pubblica israeliana e di presentare il nuovo pensiero e le nuove idee al mondo. Un approccio che si basa sulle lezioni del passato ed è completamente diverso dai metodi (di pace) che hanno fallito negli ultimi decenni”.
La possibilità di realizzarlo nella nostra realtà e nel nostro tempo dipende dal fatto che ci crediamo e che vogliamo attuarlo con l'aiuto di Dio, come è stato discusso alla conferenza.

(Israel Heute, 31 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele renderà operativo il sistema d’intercettazione laser Iron Beam il prossimo anno

di Francesco Paolo La Bionda

Il sistema di intercettazione laser ad alta potenza che Israele sta sviluppando, denominato Iron Beam, dovrebbe diventare operativo l’anno prossimo, ha dichiarato lunedì 28 ottobre il ministero della Difesa israeliano alla firma del contratto da oltre mezzo miliardo di dollari con le aziende produttrici Rafael ed Elbit.
  Il sistema Iron Beam è costituito da due cannoni laser che insieme generano una potenza compresa tra 100 e 150 kW, consentendo di neutralizzare razzi e missili nemici. Non è destinato a sostituire l’Iron Dome o gli altri sistemi di difesa aerea israeliani, ma a integrarli e completarli, abbattendo i proiettili più piccoli e lasciando quelli più grandi per le batterie missilistiche più robuste.
  Il principale svantaggio di un sistema laser è che non funziona bene in condizioni di scarsa visibilità, compresa una forte copertura nuvolosa o altre condizioni atmosferiche avverse. Per questo motivo, il ministero intende montare il sistema anche sugli aerei, il che aiuterebbe ad aggirare questa limitazione ponendo il sistema al di sopra delle nuvole, anche se questo sviluppo è ancora lontano qualche anno, secondo le stime dei funzionari.

• UNA SIGNIFICATIVA RIDUZIONE DEI COSTI
  Dal pogrom del 7 ottobre, più di 26.000 razzi, missili e droni sono stati lanciati contro Israele da più fronti. La maggior parte sono stati intercettati dal sistema Iron Dome o sono caduti in aree aperte, comportando però una spesa considerevole per le casse pubbliche israeliane: secondo l’Institute for National Security Studies, un think tank di Tel Aviv, ogni missile intercettore infatti costa dai 40.000 ai 50.000 dollari. Il sistema Iron Beam sarà invece in grado di intercettare i razzi a una frazione di tale costo.

• IL PRECEDENTE DI NAUTILUS
  Se tutta l’operazione dovesse andare in porto come previsto dal governo israeliano, l’IDF si lascerà alle spalle il fallimento precedente del sistema Nautilus, sviluppato tra il 1996 e il 2005 assieme agli Stati Uniti. Sebbene questo laser nei test si fosse rivelato in grado di intercettare razzi Katyusha e proiettili d’artiglieria, fu abbandonato perché ritenuto troppo grande e pesante per essere dispiegato efficacemente.

(Bet Magazine Mosaico, 31 ottobre 2024)

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La leggenda della boxe torna in Israele

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C’è ancora dibattito, tra gli addetti ai lavori, se sia stato il pugile più forte della sua generazione. Per molti la risposta è sì. Ma qualcuno tra i “puristi” ancora storce il naso: non tutte le cinquanta vittorie su cinquanta incontri disputati sono state ottenute con rivali degni del suo spessore. Dal suo canto il diretto interessato non sembra avere dubbi e più volte ha rivendicato: «Sono stato il migliore di sempre».
  Noto anche come Pretty Boy e Money Mayweather, il 47enne Floyd Mayweather Jr. appare ancora in perfetta forma. Di recente, per la gioia dei suoi fan, è tornato sul ring per un incontro di esibizione in Messico. Chissà che in futuro non possa ripetersi anche in Israele, paese che la leggenda Usa della boxe ha definito «la mia casa lontano da casa» e dove è in visita in questi giorni. La sua seconda dopo il 7 ottobre.
  Mayweather Jr. ha sempre esplicitato la sua vicinanza allo Stato ebraico nella lotta al terrorismo islamico, mettendosi anche a capo di alcuni progetti di solidarietà per le vittime degli attacchi e per gli sfollati. Nelle scorse ore si è recato al Kotel, il Muro Occidentale, ha sostato in una scuola religiosa ebraica (Yeshiva) e ha incontrato alcuni soldati israeliani feriti in guerra. «Le azioni parlano più delle parole e sono qui per dimostrarlo in ogni modo possibile», ha dichiarato al suo arrivo in Israele. Anche attraverso la campagna “Floyd for Israel” lanciata dopo il 7 ottobre, che gli è valsa il riconoscimento “Champion of Israel” conferitogli lo scorso dicembre dall’American Friends of Magen David Adom (AFMDA).

(moked, 31 ottobre 2024)

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La Knesset approva una legge che vieta l’apertura di nuovi consolati a Gerusalemme

di Luca Spizzichino

La Knesset ha approvato una legge che vieta l’apertura di nuovi consolati a Gerusalemme, con l’obiettivo dichiarato di consolidare la rivendicazione israeliana sulla città come capitale indivisibile. La legge è stata approvata con 29 voti a favore e 7 contrari ed è stata proposta dai parlamentari Ze’ev Elkin (Tikvà Hadashà) e Dan Illouz (Likud). Secondo il nuovo testo normativo, il governo israeliano sarà incentivato a promuovere la creazione di ambasciate straniere nella città. Tale norma, tuttavia, non influirà sullo status delle missioni diplomatiche già esistenti a Gerusalemme.
  La legge rappresenta “una misura storica che chiarisce una volta per tutte che Gerusalemme è nostra e non è in vendita”, ha dichiarato Illouz. Elkin ha aggiunto che “chi desidera stabilire una missione straniera a Gerusalemme dovrà rispettare questa legge, e la missione sarà obbligata a fornire servizi ai cittadini israeliani”. “Gerusalemme è la capitale eterna e indivisibile di Israele e nessun paese potrà mettere in discussione la nostra sovranità nella Gerusalemme unita”, ha aggiunto.
  La nuova legge è ampiamente interpretata come un tentativo di prevenire l’apertura di uffici consolari a Gerusalemme, soprattutto quelli destinati alla popolazione palestinese. Attualmente, la maggior parte dei Paesi non riconosce Gerusalemme come capitale di Israele e colloca le proprie ambasciate a Tel Aviv, spesso con piccoli consolati a Gerusalemme. Solo cinque nazioni — Stati Uniti, Guatemala, Honduras, Kosovo e Papua Nuova Guinea — mantengono ambasciate nella capitale.
  Recentemente, alcuni paesi hanno valutato il trasferimento delle proprie ambasciate a Gerusalemme, tra cui il Paraguay, che ha annunciato di voler aprire la sua ambasciata nella città entro la fine del 2024, e i Paesi Bassi, dove il nuovo governo di centrodestra ha manifestato in maggio l’intenzione di valutare il trasferimento dell’ambasciata olandese, attualmente situata a Ramat Gan, vicino a Tel Aviv, come parte del patto di coalizione tra i partiti al governo.

(Shalom, 30 ottobre 2024)

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Gaza, l'ultima proposta sul tavolo: un mese di tregua per 11 ostaggi

La proposta di accordo di Israele, il ruolo di Usa e mediatori del Qatar, la reazione di Hamas

Un mese di tregua in cambio della liberazione di 11-14 ostaggi. E' quanto prevede l'ultima proposta di accordo posta sul tavolo dei negoziati per arrivare a un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza in cambio del rilascio dei rapiti. Lo scrive il sito di Ynet spiegando che l'ultima proposta è stata presentata ai mediatori del Qatar dal capo del Mossad David Barnea, che lunedì è tornato da Doha in Israele. In particolare, l'accordo prevede il rilascio delle donne e degli anziani ancora trattenuti nella Striscia di Gaza oltre alla scarcerazione di detenuti palestinesi. Il nuovo round di colloqui si terrà questa settimana in Egitto, ha detto un funzionario israeliano al Times of Israel a condizione di anonimato. La delegazione israeliana, ha spiegato la fonte, sarà guidata dal capo del Mossad David Barnea.

• USA E QATAR IN CAMPO
  Si intravedono quindi nuovi spiragli per Gaza. Intanto, in missione a Doha, anche il direttore della Cia Bill Burns ha discusso una proposta di cessate il fuoco. Secondo Axios, però, si tratterebbe di uno stop di 28 giorni in cambio del rilascio di otto ostaggi israeliani tenuti da Hamas e di decine di prigionieri palestinesi. La proposta è stata discussa negli incontri che Burns ha avuto domenica con i colleghi di Israele e Qatar. Secondo il sito, nell'ambito dell'accordo, Hamas libererebbe "otto donne di tutte le età o uomini oltre i 50 anni". Intanto il Qatar lavorerà con l'Amministrazione Biden "fino all'ultimo minuto" con l'obiettivo di arrivare a un accordo, ha affermato il ministero degli Esteri di Doha a una settimana dalle elezioni presidenziali americane. "Non prevediamo alcun risultato negativo delle elezioni sul processo in sé - ha detto il portavoce, Majed al-Ansari, in dichiarazioni rilanciate da al-Jazeera - Crediamo di avere a che fare con le istituzioni e in un Paese come gli Stati Uniti le istituzioni sono impegnate nel trovare una soluzione a questa crisi". Lo stesso funzionario ha poi annunciato che l'inviato speciale degli Stati Uniti Amos Hochstein sarà in Israele la prossima settimana per portare avanti una fine negoziata degli scontri in Libano. Con questo obiettivo Hochstein incontrerà il premier israeliano Benjamin Netanyahu e altri alti funzionari israeliani.

• LA REAZIONE DI HAMAS
  Hamas si è intanto detta pronta a discutere "nuove proposte per un accordo di cessate il fuoco" e ha "risposto alla richiesta formulata dai mediatori'' in tal senso. Lo ha dichiarato un alto funzionario di Hamas, Sami Abu Zuhri, citato da al-Jazeera. Hamas, ha affermato, è quindi aperto a discutere un accordo che garantisca la fine della guerra a Gaza e il ritiro completo dell'esercito israeliano dall'enclave palestinese. "Il gruppo è aperto a qualsiasi proposta che possa porre fine all'aggressione alla Striscia di Gaza", ha aggiunto Abu Zuhri, aggiungendo la disponibilità "a qualsiasi accordo che ponga fine alle sofferenze del popolo palestinese e porti a un cessate il fuoco permanente". Il leader di Hamas ha quindi accusato "le forze israeliane di aver deliberatamente distrutto le infrastrutture mediche e le risorse della Protezione civile palestinese a Gaza". Allo stesso tempo "Hamas ha invitato i Paesi che hanno normalizzato le relazioni con Israele a interrompere immediatamente le loro relazioni bilaterali".

(Adnkronos, 30 ottobre 2024)

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Egitto: il figlio dell’ex Presidente Mohamed Hosni Mubarak, Alaa critica sul social X il movimento “Hamas” e l’operazione nota come Al-Aqsa Flood

di Chiara Cavalieri

Il CAIRO - Alaa Mubarak, figlio dell’ex Presidente egiziano Mohamed Hosni ha avviato un acceso dibattito con i suoi follower sul social media “X”, dopo aver condiviso un tweet in cui critico’ il movimento “Hamas” e l’operazione nota come Al-Aqsa Flood.

• LE DICHIARAZIONI DI ALAA MUBARAK
   Nel suo tweet, Mubarak ha affermato: “Non ci sono dubbi che la resistenza, in tutte le sue forme e fazioni, sia un diritto legittimo per un popolo i cui diritti e i cui territori sono stati usurpati. Tuttavia, le operazioni del 7 ottobre hanno davvero raggiunto i loro obiettivi? Possono giustificare le enormi perdite, tra cui migliaia di vittime e molti bambini innocenti uccisi brutalmente, insieme alla devastazione senza precedenti del settore?”.
  Inoltre, ha sottolineato che “la verità che alcune persone evitano è che le operazioni del 7 ottobre 2023 hanno generato risultati disastrosi a causa di scelte imprudenti di cui Hamas è l’unico responsabile. Questi eventi potrebbero perfino significare la fine del suo predominio nella Striscia di Gaza”.

• RIFLESSIONI SULLA SITUAZIONE
   Mubarak junior ha anche riconosciuto che l’operazione Al-Aqsa Flood ha messo in luce l’incapacità dei servizi d’intelligence israeliani di prevedere l’attacco.
  Tuttavia, ha avvertito che la questione palestinese è tornata prepotentemente sulla scena internazionale, ma a un costo inaccettabile, trasformando Gaza in un “cimitero a cielo aperto”.
  Ha descritto la condizione della popolazione di Gaza di fronte ai “massacri orribili” perpetrati da Israele, accusando la comunità internazionale di silenzio.

• LE REAZIONI AL TWEET
   Il tweet di Alaa Mubarak ha suscitato reazioni contrastanti.
  Un utente, Yasser Al-Harbi, ha commentato: “Questa è l’opinione di qualcuno che cerca di sfuggire alle proprie responsabilità, ipocritamente svincolato dalla sua coscienza morta da 70 anni. Gli arabi trattano la Palestina come un mercato, esattamente come tuo padre ha fatto negli anni ’90 con la Palestina e l’Iraq, senza badare realmente al popolo palestinese”
  Un altro utente, Mustafa Salama ha scritto:
“L’operazione Al-Aqsa Flood è stata un momento rivelatore per la Nazione araba e islamica, poiché ha  messo in luce le divisioni seminate dai nostri governanti sul settarismo tra sunniti e sciiti. La corretta dottrina degli sciiti ha dimostrato che sono loro che difendono la Palestina sunnita, mentre l’Egitto e altri tacciono o cercano i propri interessi”.
  La televisione israeliana Canale 7, ha sottolineato sia  l’attacco lanciato dal figlio dell’ex Presidente egiziano al  comportamento del movimento Hamas, sia la reazione di vendetta di Tel Aviv.
  Queste dichiarazioni evidenziano la complessità della situazione in Medio Oriente e il dibattito in corso riguardo alle responsabilità e alle conseguenze delle azioni militari.

(DiRE, 30 ottobre 2024)

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Ma’alot-Tarshiha sotto i razzi di Hezbollah

Ma’alot, bersagliata dai missili di Hezbollah, è una cittadina dell’Alta Galilea occidentale, fondata nel 1957 per sostituire due campi di accoglienza (ma’abara) per i nuovi immigrati ebrei in Israele. Sei anni dopo l’insediamento fu unita a un villaggio arabo vicino, Tarshiha. E da allora la città ha assunto due nomi: Ma’alot-Tarshiha. Qui due terzi della popolazione è ebraica e un terzo è araba. È uno dei molti centri del nord d’Israele in cui la convivenza è un elemento della quotidianità. Suo malgrado la cittadina divenne nota nel maggio 1974, quando un commando di terroristi palestinesi attaccò una scuola locale. 115 israeliani, soprattutto studenti, furono presi in ostaggio. Il tentativo delle forze di sicurezza di salvarli fu un fallimento e i terroristi assassinarono 25 ostaggi, tra cui 22 ragazzi. Una tragedia il cui segno è rimasto indelebile nella memoria nazionale, tornato 40 anni dopo di grande attualità con il massacro del 7 ottobre di Hamas e il destino ancora incerto di 101 ostaggi prigionieri a Gaza. Ma Ma’alot-Tarshiha è tornata di attualità anche in queste ore perché nuovamente colpita dai terroristi, questa volta libanesi. Tre dei cinquanta missili sparati da Hezbollah contro Israele questa mattina hanno colpito la cittadina, uccidendo una persona: Mohammed Naim, 24 anni. Il giovane, raccontano i familiari, ha portato in salvo i suoi due fratelli, ma non è riuscito ad entrare in tempo nel rifugio antimissile. «Mohammad era un ragazzo tranquillo, religioso, un lavoratore. Era una brava persona, non aveva problemi con nessuno, e tutta la famiglia gli voleva bene. Era davvero una persona speciale. Suo padre era un soldato, un ufficiale che ha servito (nella prima guerra) in Libano e si è congedato cinque anni fa», ha raccontato a ynet il cugino, Mohammad Yasser Naim. Altre tredici persone sono rimaste ferite nell’attacco.
  Otto soldati austriaci del contingente Unifil in Libano sono rimasti leggermente feriti in un attacco missilistico sul campo di Naqoura, vicino al confine con Israele. «Condanniamo questo attacco nei termini più forti possibili e chiediamo che venga immediatamente aperta un’indagine», ha affermato il ministero della Difesa austriaco in una nota, aggiungendo che «non è chiaro da dove provenga l’attacco».

(moked, 29 ottobre 2024)

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Hezbollah sceglie il suo nuovo segretario, è Naim Qassem, e potrebbe durare di più

Naim Qassem nominato nuovo leader di Hezbollah. In passato si era detto disponibile alle trattative con Israele e al cessate il fuoco, e soprattutto è vivo, e relativamente al sicuro in Iran, per cui può trattare.

di Guido da Landriano

Naim Qassem è stato recentemente nominato Segretario generale  di Hezbollah dopo la morte di Hassan Nasrallah, ucciso in un attacco aereo israeliano il 4 ottobre 2024 e quella di Hashem Sufi Ad-din che avrebbe dovuto succedergli, ma è stato ucciso in un attacco a Beirut sud.
  L’ascesa di Qassem a questa posizione di rilievo segna un momento significativo nel conflitto in corso tra Hezbollah e Israele, in quanto assume la leadership in un periodo di maggiori tensioni con un conflitto combattuto direttamente nel Libano nel Sud e un alternarsi di attacchi e contrattacchi a suon di missili e bombardamenti fra le due parti.
  Naim Qassem è nato in Libano nel 1953. Si è laureato in chimica e in studi religiosi e ha un background accademico, avendo insegnato chimica a livello universitario per molti anni. Quindi non è né una persona impreparata culturalmente, e neppure superficiale. Vedremo se queste caratteristiche lo aiuteranno a sopravvivere in questa durissima guerra.

• RUOLO IN HEZBOLLAH
  Qassem è un membro fondatore di Hezbollah, fondato nel 1982 come risposta all’invasione del Libano da parte di Israele. Dal 1991 ha ricoperto il ruolo di vice segretario generale, svolgendo un ruolo cruciale nella definizione della strategia e dell’ideologia dell’organizzazione.
  Nelle sue recenti dichiarazioni, Qassem ha sottolineato la necessità di un cessate il fuoco come soluzione al conflitto in corso con Israele, affermando che Hezbollah continuerà le sue operazioni a meno che non venga raggiunta una tregua.
  . Ha affermato che il gruppo conserva il diritto di difendersi dagli attacchi israeliani, indicando la disponibilità a intensificare le risposte militari, se necessario.
  Questo lo rende aperto ad un possibile negoziato, ma sappiamo che l’apertura di questa fase è resa difficile da un lato dal continuo lancio di missili contro il nord d’Israele, e dal desiderio del suo nemico di fare piazza pulita una volta per tutte. Comunque il fatto che l’attuale leader sia vivo e abbastanza al sicuro potrebbe permettere l’apertura di trattative.

• SVILUPPI RECENTI
  In seguito all’assassinio di Nasrallah, Qassem è fuggito dal Libano per l’Iran il 5 ottobre 2024, per timore di essere preso di mira dalle forze israeliane. La sua partenza sarebbe stata ordinata dalle autorità iraniane in seguito all’intensificarsi delle minacce contro la leadership di Hezbollah.
  Mentre si trovava in Iran, Qassem si è rivolto ai sostenitori da Teheran, rafforzando la resilienza e l’impegno di Hezbollah per la sua causa nonostante le pressioni esterne.
  La sua leadership giunge in un momento critico per Hezbollah, che deve affrontare non solo sfide militari, ma anche decisioni strategiche riguardanti la sua direzione futura. La morte di figure chiave all’interno dell’organizzazione ha lasciato Qassem come uno degli ultimi leader rimasti delle sue alte sfere.

(Scenari economici, 29 ottobre 2024)


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Naim Qassem, il nuovo capo di Hezbollah è già nel mirino di Israele

di Andrea Muratore 

Hezbollah ha nominato il suo nuovo leader nella figura di Naim Qassem, 70 anni, membro di lungo corso del gruppo guidato dal 1992 allo scorso settembre da Hassan Nasrallah, ucciso da Israele in un attacco a Beirut. La scelta della Shura di Hezbollah, l’organo di governo del Partito di Dio, segna l’ascesa alla leadership, dopo 33 anni da numero due, di Qassem, l’allievo dell’imam Musa al-Sadr, il predicatore della “rivoluzione” degli sciiti libanesi, assassinato nel 1978 in Libia durante una visita su ordine di Muammar Gheddafi. Hezbollah, a quarant’anni dalla nascita, affronta oggi in corso una delle ore più buie della sua storia, di fronte all’attacco di Israele contro i suoi leader e le sue roccaforti.
Qassem, una laurea in Chimica e una in Teologia a Beirut conseguite negli Anni Settanta, era stato il volto di Hezbollah dopo l’uccisione di Nasrallah e la successiva operazione con cui Tel Aviv aveva neutralizzato Hashem Safieddine, successore designato dello storico comandante.
Qassem per molti anni è stato un vero “ambasciatore” di Hezbollah fuori dal perimetro dell’asse sciita cui il Partito di Dio fa riferimento. Considerato, in giovane età, tra i pontieri tra le varie fazioni sciite libanesi che diedero vita a Hezbollah e tra gli strateghi delle guerriglie anti-Israeliane durante le guerre del 1982 e del 2006, Qassem ha più volte rilasciato interviste a media stranieri e nel 2006 ha anche scritto un libro in cui racconta la storia del gruppo e la sua ideologia. Negli anni ha provato a delineare una linea di comunicazione con i partiti libanesi e presentato la causa del Partito di Dio come quella di tutti i libanesi. Da vice di Nasrallah ha ad esempio costruito buoni rapporti con l’ex presidente cristiano Michel Aoun e con molti politici del campo sunnita.
Inoltre, Qassem è sempre stato un realista che ha avvertito del fatto che l’esposizione di Hezbollah sul campo regionale avrebbero potuto mettere la formazione nel mirino dei suoi avversari. “Nessun partito del calibro di Hezbollah, in termini di dimensioni e organizzazione, sarebbe in grado di restare forte contro il rischio di essere infiltrato”, ha detto nel 2015, prefigurando la recente infiltrazione israeliana. L’8 ottobre proprio Qassem ha parlato a nome di Hezbollah dopo la morte di Nasrallah, aprendo anche esplicitamente a una richiesta di cessate il fuoco. Il suo ruolo si appresta, però, ad essere critico. Valga per tutti il tweet del ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, che ha definito “temporanea” la nomina di Qassem.
Un riferimento al fatto che Israele si prepara a colpire anche Qassem? Dopo aver ucciso Nasrallah e i vertici di Hamas (da Ismail Haniyeh a Yahya Sinwar) Tel Aviv ha sicuramente nel mirino anche il nuovo capo del Partito di Dio. Il quale, non a caso, apre da tempo alla proposta di cessate il fuoco del presidente del parlamento Nabil Berri. Sarà possibile nel breve periodo? Ad oggi i venti sembrano portare tempesta per Hezbollah. E Qassem sale al potere in una fase in cui si deciderà, nella guerra con Tel Aviv, la prospettiva futura della formazione e con essa quella del Libano.

(Inside Over, 29 ottobre 2024)

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Gerusalemme e il “dilemma Qatar”

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il presidente israeliano Isaac Herzog stringe la mano all’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani a margine del vertice COP28 a Dubai, 1 dicembre 2023

Da poche ore Hezbollah ha dato l’annuncio: Naim Qassem è ufficialmente il nuovo capo del gruppo terroristico libanese. «Nomina temporanea», ha commentato sui social il ministro israeliano della Difesa Yoav Gallant. Un riferimento alle eliminazioni mirate che hanno decapitato in questi mesi Hezbollah, a partire dal leader Hassan Nasrallah. Qassem potrebbe essere il prossimo. «Il conto alla rovescia è iniziato», ha scritto Gallant.
  Ora che è al comando, Qassem dovrà decidere se continuare nell’aggressione a Israele, avviata l’8 ottobre per sostenere Hamas, o aprire a un negoziato con Gerusalemme. Su questa linea premono gli Stati Uniti, che hanno chiesto aiuto al Qatar, già coinvolto per una tregua a Gaza. E per Doha questa è una importante opportunità per aumentare la sua influenza in Medio Oriente, scrivono gli analisti israeliani Yoel Gozhansky e Orna Mizrahi. Altri paesi arabi in questi anni hanno fatto un passo indietro sul Libano, sempre più stretto sotto il controllo dell’Iran e del suo alleato locale, Hezbollah. In questo vuoto, spiegano Gozhansky e Mizrahi, Doha vede un’occasione.

• IL RUOLO DEL QATAR
  Nonostante sia un paese piccolo in termini di territorio e popolazione autoctona (circa 300.000 cittadini), il Qatar esercita una grande influenza internazionale. «È uno dei paesi più ricchi al mondo in termini di Pil pro capite e uno dei maggiori fornitori di gas naturale liquefatto. Negli ultimi decenni, ha sfruttato la sua ricchezza energetica per affermarsi nell’arena diplomatica ed è diventato un mediatore chiave nei conflitti internazionali». Si è poi presentato al mondo come una piccola potenza neutrale, anche se mantiene posizioni ambigue: da un lato stringe accordi con gli Stati Uniti, dall’altro dialoga con il regime iraniano.
  Per Israele il coinvolgimento del Qatar in Libano e a Gaza è «un vero dilemma», spiegano Gozhansky e Mizrahi sul sito dell’Institute for National Security Studies. In passato i fondi inviati da Doha inviati a Gaza – con il benestare del governo di Benjamin Netanyahu – hanno rafforzato militarmente Hamas, e donazioni alle università americane hanno alimentato un’agenda anti-israeliana. Tuttavia, data l’importanza della monarchia del Golfo per gli Stati Uniti e il suo attuale intervento in Libano su richiesta americana, «Israele potrebbe considerare un dialogo con Washington per gestire insieme l’influenza qatariota». Tale collaborazione dovrebbe garantire che gli aiuti di Doha siano destinati alla riabilitazione del Libano e non finiscano nelle mani di Hezbollah o dell’Iran, come accaduto invece con Hamas a Gaza.
  Nulla è stato ancora deciso, sottolineano Gozhansky e Mizrahi, soprattutto perché Gerusalemme e il mondo attendono di vedere chi sarà il nuovo inquilino della Casa Bianca. Il premier Netanyahu non ha nascosto la sua vicinanza, nonostante alcuni attriti, al candidato repubblicano Donald Trump e l’opinione pubblica israeliana sembra dello stesso avviso. Secondo un sondaggio dell’emittente N12 il 66% degli intervistati parteggia per l’ex presidente, mentre solo il 17% preferirebbe la democratica Kamala Harris (un altro 17% non si esprime).

• IL CASO UNRWA
  Le elezioni a Washington influenzeranno anche il futuro dell’Unrwa. La Knesset nelle ultime 24 ore ha approvato una legge per vietare le attività in Israele dell’agenzia Onu per i palestinesi, considerata troppo influenzata da Hamas. «Israele è impegnato a rispettare il diritto internazionale e a fornire aiuti umanitari a Gaza, e continuerà ad agire su questo tema con le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali come il Programma Alimentare Mondiale, l’Unicef, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e una serie di altre organizzazioni, rispettando i suoi obblighi internazionali», ha affermato il ministero degli Esteri di Gerusalemme. Ma non c’è fiducia nell’Unrwa perché alcuni suoi dipendenti «sono stati coinvolti nell’orribile massacro del 7 ottobre». Per Israele «non si tratta solo di poche mele marce, come sta cercando di affermare il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. L’Unrwa a Gaza è un albero interamente marcio, infettato dai terroristi».

(moked, 30 ottobre 2024)

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Hezbollah-Israele: forse vicini ad accordo di cessate il fuoco

di Sarah G. Frankl

Alti funzionari israeliani hanno riferito a Ynet che sono in corso progressi su un accordo per porre fine ai combattimenti in Libano.
Secondo le fonti, l’accordo, in discussione con i mediatori internazionali, prevede un “periodo di adattamento” di 60 giorni durante il quale le parti cesseranno il fuoco e lavoreranno per l’attuazione della Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, che ha posto fine alla Seconda guerra del Libano del 2006.
L’accordo prevede l’applicazione della risoluzione, impedendo a Hezbollah di essere presente vicino al confine.
Includerebbe anche un sistema di supervisione internazionale per controllare e affrontare le segnalazioni di violazioni. Israele si riserverebbe il diritto di intraprendere azioni militari se l’esercito libanese o le forze ONU non affrontano le violazioni.
Infine, secondo Ynet, l’accordo cercherebbe di prevenire il riarmo di Hezbollah, vietando l’ingresso di varie armi in Libano.
La notizia non è stata al momento confermata.

(Rights Reporter, 29 ottobre 2024)

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L'Iran è molto indebolito ma prepara l'atomica

di Amedeo Ardenza

Continua, in forma verbale, lo scontro tra Israele e Iran giorni dopo il bombardamento israeliano di alcuni obiettivi militari nel territorio della Repubblica islamica. «Abbiamo gravemente danneggiato i sistemi di difesa iraniani e la sua capacità di esportare missili», ha affermato il premier israeliano Benjamin (Bibi) Netanyahu durante il dibattito di apertura della sessione invernale della Knesset. Bibi ha poi assicurato che la strategia del suo governo è «smantellare l'asse del male, tagliare le sue armi nel sud e nel nord, esigere un prezzo pesante dall'Iran e dai suoi alleati, impedendo all'Iran di avere armi nucleari». Alla fine della guerra, «Hamas non governerà più su Gaza e Hezbollah non sarà più sul nostro confine settentrionale».
  Bibi ha quindi messo in guardia dalle intenzioni di Teheran che «sta lavorando a una scorta di bombe nucleari e sarà in grado di minacciare il mondo intero ogni volta che vorrà». Al premier, contestato da alcuni visitatori in galleria poi rimossi dai commessi, ha replicato il leader dell’opposizione Yair Lapid: «Se vuoi plausi per i tuoi successi, assumiti la responsabilità per i tuoi fallimenti; se vuoi lodi per l’uccisione di Hassan Nasrallah, assumiti la responsabilità della morte dell’ostaggio Carmel Gat». Lapid ha poi criticato i partiti ortodossi alleati del premier per la loro opposizione alla leva per gli studenti delle scuole religiose (yeshivot); quindi i nazionalisti del ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir: «Da quando sei diventato ministro ci sono stati più attacchi, più omicidi, più criminalità, più terrorismo. Cento in parole, zero in azioni». Poco dopo, un migliaio di persone ha manifestato davanti alla Knesset contro il progetto di legge all’approvazione dell’aula che consente un largo numero di esenzioni fra gli haredim (i “timorati”).
  Elaborato prima dello scoppio della guerra, il ddl appare inadeguato adesso che migliaia di riservisti combattono a tempo pieno a Gaza o nel sud del Libano. Anche il ministro della Difesa Yoav Gallant ha dichiarato che «ora che abbiamo tanti caduti e feriti», la leva per tutti «non è una questione politica ma morale e di sicurezza».

• HAMAS FA MENO PAURA
  Sotto il profilo delle operazioni militari, la giornata è stata segnata da allarmi aerei senza sosta in tutto il nord tempestato dai missili di Hezbollah mentre le Israel Defense Forces (Idf) hanno preso di mira alcuni obiettivi della milizia sciita nei pressi di Tiro, nel Libano meridionale. Nel nord di Gaza, invece, le Idf hanno concluso un’operazione all’ospedale Kamal Adwan a Jabaliya, un sito che l'esercito ha identificato come un hub di Hamas, arrestando, secondo finti militari riprese da Ynet, 600 terroristi che sono stati trasferiti per essere interrogati in Israele; tra loro anche un membro del personale ospedaliero. Le Idf hanno anche riferito di difficoltà iniziali nell’evacuare i civili da Jabaliya, un ostacolo che si sarebbe allentato nell'ultima settimana poiché sempre più residenti si sentirebbero meno vincolati da Hamas. Sono ripresi intanto i colloqui a Doha e dall’Egitto è arrivata una proposta che prevede una tregua di due giorni nella Striscia in cambio della liberazione di quattro rapiti e di detenuti palestinesi.
  Da Teheran invece, è arrivato una risposta indiretta al discorso di Netanyahu: il ministero degli Esteri ha affermato che i suoi sistemi di difesa aerea erano preparati «e hanno respinto con successo l'attacco sionista». Il portavoce Ismail Bakaei ha poi dichiarato che la risposta iraniana «sarà decisiva», aggiungendo che «l'Iran mantiene il suo diritto di rispondere all'attacco sionista».

• KHAMENEI SENZA TWITTER
  Ieri, invece, la piattaforma X ha privato la Guida suprema della Repubblica islamica, Ali Khamenei, del diritto di minacciare Israele, almeno in ebraico, chiudendo il suo profilo in quella lingua. L’ayatollah resta invece libero di lanciare i suoi strali antisionisti in farsi, in arabo e in inglese. Sulla scena internazionale, infine, si è rifatto vivo il Sudafrica. Ieri il governo di Pretoria ha annunciato di aver presentato alla Corte internazionale di giustizia il suo fascicolo di «prove» del «genocidio» commesso da Israele a Gaza. «Il file contiene prove che dimostrano che il governo di Israele ha violato la Convenzione sul genocidio», ha scritto l’ufficio del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.
  A dicembre 2023, due mesi dopo il massacro di 1.250 israeliani e il rapimento di altri 250 da parte di Hamas, una delegazione del gruppo terrorista ha partecipato alla Quinta convenzione globale di solidarietà con la Palestina organizzata a Johannesburg. In quell’occasione la delegazione è stata ricevuta da esponenti dell’Anc, il partito di Ramaphosa. La comunità ebraica sudafricana si disse «disgustata».

Libero, 29 ottobre 2024)

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Pubblicati i libri sacri degli ebrei etiopi

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GERUSALEMME - La Biblioteca Nazionale di Israele ha reso disponibili sul suo sito web i libri sacri degli ebrei etiopi. Finora solo i privati o le sinagoghe avevano accesso ai manoscritti. Ora vengono scannerizzati con l'aiuto di un nuovo progetto di digitalizzazione per renderli accessibili al pubblico online. Questo è il risultato di un recente incontro tra i responsabili della Biblioteca nazionale e il gruppo etnico-religioso degli ebrei etiopi, i cosiddetti “Beta Israel”.
I manoscritti sono disponibili nell'antica lingua etiope “Ge'ez”. Comprendono l'Ottateuco - il cosiddetto “Orit” tra gli ebrei etiopi - cioè i primi otto libri dell'Antico Testamento della Septuaginta greca. Si tratta dei cinque libri di Mosè (Pentateuco) e dei libri di Giosuè, Giudici e Ruth. A questi si aggiungono i libri apocrifi ebraici di Giubilei ed Enoch e i libri di preghiera come il Libro dei Salmi. Altri libri sacri provengono dai discendenti dei leader religiosi degli ebrei etiopi, i cosiddetti “Kesim”.
“Da oltre 70 anni la biblioteca lavora per rendere accessibili le immagini dei manoscritti ebraici, sotto forma di fotografie, microfilm o tecnologia digitale”, ha spiegato Jizchak Gila, direttore della Biblioteca Nazionale. “Tutti sono disponibili online e siamo felici di aggiungere il patrimonio di 'Beta Israel' a questa collezione digitale”.

• COLLABORAZIONE PER LA FORNITURA
  La Biblioteca nazionale sta lavorando al progetto di digitalizzazione insieme al Centro etiope per il patrimonio ebraico e al programma Orit Guardians dell'Università di Tel Aviv. Finora sono stati scannerizzati 17 manoscritti che presto saranno resi disponibili online.
Secondo Naftali Avraham, direttore del Centro etiope per il patrimonio ebraico, documentare e preservare i libri sacri degli ebrei etiopi è uno degli obiettivi principali del centro. “Grazie alla collaborazione con il 'Kesim', negli ultimi anni siamo riusciti a documentare molti segreti della tradizione e del ricco patrimonio degli ebrei etiopi”, ha dichiarato. “Sono lieto che il centro abbia sensibilizzato anche il 'Kesim' sull'importanza di fornire libri per questo progetto e che abbiano aderito al progetto”.
La cooperazione con il Centro etiope per il patrimonio ebraico e la Biblioteca nazionale è “un valore aggiunto molto importante per la nostra ulteriore attività accademica”, ha affermato Dalit Rom-Schiloni, professore dell'Università di Tel Aviv. “Questi tesori culturali fanno indubbiamente parte del patrimonio della comunità. Meritano di essere presentati a un pubblico interessato mentre continuano a essere conservati dai loro proprietari nelle varie case di culto”.

(Israelnetz, 29 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Grande successo per il primo appuntamento sul Jazz ebraico americano in un coinvolgente evento

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Meno trattato del jazz afroamericano, il contributo ebraico ashkenazita a questo genere musicale è stato invece fondamentale e su questo argomento domenica 27 ottobre su Zoom si sono soffermati il musicologo e consulente artistico Gianni Morelenbaum Gualberto e il giornalista e conduttore Roberto Zadik.
L’evento organizzato da Kesher è stato introdotto oltre che dalla sua responsabile Paola Hazan Boccia anche dall’assessore alla Cultura della Comunità ebraica milanese, Sara Modena. Tutto è cominciato dalla prefazione di Zadik che ha subito sottolineato le peculiarità del Jazz ebraico americano e la sua continua fusione di elementi appartenenti alla tradizione musicale est europea, dai ritmi klezmer al retroterra classico, ai ritmi jazzistici afroamericani, da Miles Davis a John Coltrane in una vastissima serie di artisti che  “continua imperterrita dagli anni Venti ad oggi”.   Tre sono punte di diamante di questo genere: George Gerschwin, Benny Goodman e Stan Getz. Tratteggiando sinteticamente la figura del compositore di Rapsodia in Blu e Summertime, il cui vero cognome era Gerschowitz, Zadik ha sottolineato come egli abbia iniziato come prodigioso pianista  classico  per poi trasformarsi in “ricercatissimo compositore e indagatore nelle tradizioni e negli artisti più svariati, compreso il compositore del Bolero Maurice Ravel che divenne suo modello d’ispirazione, volgendosi sempre più ai temi sociali e al mondo afroamericano in un sodalizio che poi divenne sempre più forte, quello fra ebrei e afroamericani”.
Le altre due figure chiave del Jazz ebraico d’oltreoceano furono il  “grintoso clarinettista Benny Goodman anche lui sperimentatore e pioniere dello swing, genere più leggero e meno impegnato del jazz. In seguito alla prematura scomparsa di Gerschwin, Goodman furoreggiò in performance memorabili come il concerto alla Carnegie Hall nel 1938, proprio mentre l’Europa era insanguinata dalle atrocità del nazismo, interpretando brani immortali come uno dei suoi classici Sing Sing Sing“. Infine, il giornalista musicale si è soffermato sul  malinconico e riservato sassofonista  Stan Getz, all’anagrafe Stanley Gayetzky,  che ” si contraddistinse per il sound fortemente introspettivo fondendo fra loro il suo jazz contemplativo  con i ritmi brasiliani della Bossa Nova, cosa che prima di lui era totalmente inusuale diventando molto frequente in seguito”. Il jazz ebraico americano oscillò quindi  fra multiculturalismo e sperimentalismo, fra retroterra ebraico Est europeo e assimilazione; un esempio? il famoso film Il cantante di Jazz con l’attore Al Jolson (vero nome Yoelson) in cui il protagonista decide di abbandonare il canto sinagogale per “buttarsi nel mare del jazz e della società circostante”. “Ho scelto questi tre musicisti, accomunati da un forte retroterra ebraico russo e caratterizzati  da un misto di vitalità, virtuosismo, sperimentazione e sofferenza ” ha puntualizzato Zadik “essi si rivelano ancora oggi di assoluta attualità e modernità  grazie al loro multiculturalismo e al  messaggio antirazzista estremamente importante, soprattutto nei tempi velenosi che stiamo vivendo”.
Successivamente è stata la volta del magistrale approfondimento di  Gianni Morelenbaum Gualberto  che ha trattato una serie di tematiche, dall’identità nascosta di vari musicisti ebrei che spesso occultavano le loro origini, all’antisemitismo americano di quegli anni, al complesso rapporto con gli afroamericani, ricordando l’estrema vastità di questo argomento e proponendo al pubblico una serie di brani splendidi come Echoes of Spring del musicista Willie The Lion Smith. Partendo da questo artista che era sia afroamericano che ebreo e morì come cantore sinagogale a New York, egli ha ricordato “che il tema della musica ebraica attraversò l’intero spettro del Novecento americano incrociandosi con cinema, arte e letteratura anche se rimane sempre la domanda su cosa si intenda per influenza ebraica a livello musicale e nel jazz?”. Interrogandosi su questo primo argomento e se essa sia  maggiormente legata alla cantillazione sinagogale, al Klezmer o alla musica sefardita e se sia solo musica suonata da ebrei. il musicologo ha specificato come essendoci vari tipi di ebrei, dai più credenti ai più laici,  il tema della musica ebraica sia “molto spinoso perché  riguarda l’identità dei singoli e che non sempre il musicista ebreo compone necessariamente musica ebraica”. Nel suo discorso egli ha sottolineato il problema di cosa sia la musica ebraica anche nel jazz statunitense e di come “molti ebrei abbiano fatto musica ebraica inconsapevolmente dovendosi adattare a una società completamente nuova”.
A questo proposito egli ha ricordato come da parte di molti artisti ebrei “vi fosse la perenne ricerca di un’integrazione in cui l’elemento ebraico fosse meno presente possibile visto il terribile antisemitismo di quei tempi”. Risaltando il razzismo di quell’America in cui gli ebrei Est europei si trovarono a immigrare egli ha raccontato le varie difficoltà da loro sofferte trovando un “mondo molto particolare rappresentato dal jazz che era dominato dagli afroamericani che erano a loro volta figli di un’altra diaspora anche se molto più recente e accomunati al mondo ebraico da un bagaglio comune di sofferenza.”
Ma qual era il rapporto fra ebrei e afroamericani nella società oltre che nella scena jazz?  Legati  fra loro da vari punti in comune anche se c’erano non pochi casi di ostilità antiebraica, il musicologo si è soffermato sul rapporto profondamente “ondivago fra loro fino alle predicazioni apertamente antisemite di personaggi come Malcolm X” citando un libro scritto dal clarinettista ebreo Milton Mezzrow Really The Blues che spiega alcuni elementi interessanti riguardo alla relazione fra queste due realtà etniche e religiose.
Citando il testo ha poi  spiegato che ” gli ebrei ashkenaziti erano spesso assai intellettuali, dediti allo studio e spesso anche alla religione” e che per questo motivo “erano affascinati dalla fisicità, dalla musicalità estrosa e dalla disinibizione degli artisti jazz afroamericani che rimarcavano coraggiosamente la loro diversità laddove invece gli ebrei non volevano farsi notare troppo vista la ben più lunga storia di persecuzioni”. Proseguendo nel suo discorso egli ha sottolineato quanto viceversa gli afroamericani fossero affascinati dalle doti intellettuali dei primi prima che “l’antisemitismo prendesse piede e le comunità si dividessero con il pregiudizio sempre più radicato che gli ebrei invece si aiutassero fra loro”. Nella sua interessante analisi, egli ha evidenziato come nel jazz americano gli ebrei siano stati enormemente presenti nel mercato statunitense, non solo come artisti ma anche come manager e proprietari di case discografiche e che uno dei compositori più dichiaratamente ebraici fosse Irving Berlin. Prolifico, raffinato e  geniale compositore egli era talmente ispirato che a volte stando ai racconti di Morelenbaum  “scriveva canzoni anche in taxi” e nelle sue canzoni come Blue Skies Imperial Dance si intuiscono “vistose influenze Klezmer”.
Proponendo una serie di brani e riflessioni, il musicologo ha puntualizzato come il jazz ebraico americano comprendesse una serie di influenze, dalle già citate ritmiche Yiddish fino al filone latinoamericano anche se “nessuno dichiarava la propria appartenenza all’ebraismo almeno fino a Benny Goodman che aveva imparato a suonare il clarinetto in sinagoga  e che aveva un chiaro retaggio ebraico lanciando lo Yiddish swing come ben si sente nel brano  And the angel sing”.
“I musicisti ebrei jazz americani –  ha concluso – pur non esprimendo apertamente nessuna ebraicità spesso avevano nel Dna una loro identità nascosta anche se stranamente evidente in qualche modo fino agli anni Settanta quando nasce la Jewish Radical Music capitanata dal compositore John Zorn in cui è marcata la presenza di temi ebraici in un tipo di avanguardia che rivendicava la propria appartenenza”. Nella sua appassionante analisi il musicologo ha brevemente accennato a Stan Getz che “ha lasciato un imprinting enorme nei suoi toni melismatici che sono decisamente ebraici e nei toni ascensionali e dalle straordinarie capacità linguistiche senza mai rivendicare apertamente le sue radici ebraiche”. La sua ebraicità si espresse  apertamente solamente quando suonò negli anni Settanta in una delle sue tourné con una serie di musicisti israeliani in quello che per lui fu un “ritorno a casa”. Nel finale la postfazione di Roberto Zadik e la riflessione sulla malinconica Summertime di Gerschwin  che è stata “composta, secondo vari musicologi da una ninnananna ucraina assieme al fratello Ira e che, uscita come una delle sue ultime creazioni, prima della tragica fine, si è rivelato un successo travolgente cantata da tutti, perfino dalla ribelle icona hippie Janis Joplin”. Proponendo l’interpretazione del brano da parte di due leggende jazz come Louis Armstrong e Ella Fitzgerald, Zadik, ricordando la sua decennale amicizia con Gualberto nata col jazz ebraico nella rassegna Aperitivo in Concerto,  ha dedicato il suo approfondimento a John Zorn e al cantautore ebreo newyorchese Lou Reed, scomparso il 27 ottobre 2013 a 71 anni, che con lui realizzò una versione decisamente particolare del Cantico dei Cantici.
Nei saluti finali Paola Boccia ha invitato il pubblico al prossimo appuntamento con Zadik e Morelenbaum previsto per il 16 febbraio con il Klezmer e lo Yiddish swing  e la loro espansione negli Stati Uniti.

(Bet Magazine Mosaico, 29 ottobre 2024)

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Israele incrementa la produzione dell’Iron Beam, il sistema di difesa laser israeliano

di Luca Spizzichino

Il Ministero della Difesa israeliano ha annunciato la firma di un accordo dal valore di circa due miliardi di shekel (circa 534 milioni di dollari) per incrementare significativamente la produzione dei sistemi di intercettazione laser “Iron Beam”, realizzati da Rafael Advanced Defense Systems e Elbit Systems. Le due aziende sono state selezionate per potenziare le capacità di difesa dell’IDF e ridurre la dipendenza da risorse esterne.
  “Dallo scoppio della guerra, il Ministero della Difesa ha siglato centinaia di ordini per un valore di decine di miliardi di shekel, con l’obiettivo di rafforzare l’autonomia produttiva ‘blue and white’ e potenziare le capacità dell’IDF. Il nostro obiettivo primario è ridurre la dipendenza da fonti esterne e sostenere l’industria israeliana”, ha dichiarato il Direttore Generale del Ministero della Difesa, Eyal Zamir.
  Elbit Systems ha confermato il contratto in un comunicato stampa. “In qualità di Centro Laser d’Israele e leader globale nella tecnologia laser ad alta potenza, Elbit Systems celebra i significativi progressi del progetto Iron Beam ed è orgogliosa di contribuire al suo successo”, ha affermato Bezhalel Machlis, Presidente e CEO di Elbit Systems. “Le capacità sviluppate da Elbit rappresentano un salto in avanti nella difesa futura contro diverse minacce”. Il contratto include anche servizi di supporto continuativo per l’Iron Beam, a garanzia dell’efficienza del sistema nel lungo termine.
  Iron Beam è un sistema d’arma laser ad alta energia da 100 kW, progettato come il primo della sua classe a livello mondiale. Il sistema è in grado di intercettare minacce a distanze che variano da poche centinaia di metri fino a diversi chilometri. Questa tecnologia offre un’alternativa economica ai sistemi tradizionali come l’Iron Dome: come ricordato dall’ex primo ministro Naftali Bennett nel 2022, il costo per l’uso dell’Iron Beam è di circa due dollari per ogni attivazione.

(Shalom, 28 ottobre 2024)

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“Giornalisti/terroristi”: l’IDF identifica 6 giornalisti di Al Jazeera come membri di Hamas

di Pietro Baragiola

Mercoledì 23 ottobre l’IDF ha reso di pubblico dominio diversi documenti riservati, scoperti a Gaza, che identificherebbero sei giornalisti di Al Jazeera come membri dei gruppi terroristici di Hamas e della Jihad islamica.
I sei giornalisti identificati sono Anas Jamal Mahmoud al-Sharif, Hossam Basel Abdul Karim Shabat, Ismail Farid Muhammad Abu Omar e Talal al-Arrouqi, Ashraf al-Saraj e Alaa Abdul Aziz Muhammad Salameh.
“La maggior parte dei giornalisti che abbiamo smascherato come operatori dell’ala militare terrorista dirigono la propaganda per Hamas ad Al Jazeera, specialmente nel nord di Gaza, mettendo dunque in discussione la credibilità e imparzialità della rete mediatica qatariota” ha affermato l’IDF sul proprio account X. “I documenti includono liste del personale, schede di formazione per terroristi, elenchi telefonici e file relativi al loro stipendio”.
Secondo queste documentazioni, i giornalisti incriminati avrebbero ricoperto diversi ruoli nelle organizzazioni terroriste, tra cui: cecchino, soldato di fanteria, combattente, coordinatore dell’allestimento e, persino, ‘addetto alla propaganda’.
Circa un terzo dei reporter uccisi durante la guerra a Gaza erano impiegati da media affiliati ad Hamas come Al-Aqsa Voice Radio, Al-Quds Al-Youm, Al-Aqsa Television e Quds News, secondo quanto riportato da Jewish Insider.
Il mese scorso, l’IDF ha condotto un raid negli uffici di Al Jazeera nella città di Ramallah, in Cisgiordania. Le forze militari israeliane hanno accusato il media qatariota di utilizzare la struttura “per incitare il terrore” e ne ha ordinato la chiusura per 45 giorni.
Al Jazeera ha dichiarato queste accuse ‘infondate’ e ha denunciato l’IDF per ‘presunta repressione della libertà di stampa’.

• I GIORNALISTI DI HAMAS
  “L’aggressione israeliana non fermerà gli sforzi giornalistici nella Striscia di Gaza” ha affermato il network Al Jazeera English dopo che uno dei suoi giornalisti, Abu Omar, ha perso una gamba durante un’operazione condotta dall’IDF lo scorso febbraio.
Tuttavia, nelle settimane seguenti sono emerse diverse testimonianze che hanno dimostrato che il reporter di Al Jazeera aveva contribuito a facilitare l’incursione di Hamas del 7 ottobre e aveva servito come vice comandante nel Battaglione orientale terrorista di Khan Yunis.
Ulteriori indagini hanno dimostrato che sempre più giornalisti di Al Jazeera sono entrati in combutta con l’organizzazione di Hamas, compresi i reporter Ismail al-Ghoul e Mohamed Washah.
Ciononostante, il network qatariota ha continuato a negare queste accuse, dichiarando di essere stato preso di mira dall’IDF per ragioni politiche.
“Consideriamo queste accuse inventate come un palese tentativo di mettere a tacere i pochi giornalisti rimasti nella regione, oscurando così al pubblico di tutto il mondo la dura realtà della guerra combattuta da Israele” ha affermato Al Jazeera in un comunicato.
Le nuove documentazioni però sembrerebbero dimostrare, senza ombra di dubbio, il legame tra alcuni giornalisti del network con l’organizzazione terrorista.

• I FILE SCOPERTI
  Secondo gli ufficiali dell’IDF, i documenti rinvenuti a Gaza, alcuni dei quali risalgono al 2022, contengono istruzioni dettagliate che Hamas avrebbe fornito ad Al Jazeera sulle seguenti tematiche: il divieto di criticare direttamente Hamas o di usare il termine ‘massacro’ nei servizi sul 7 ottobre; il consiglio di ridurre al minimo il numero di immagini trasmesse sugli omicidi condotti dall’organizzazione terrorista; le direttive su come instaurare, in caso di emergenza, una linea telefonica sicura tra Hamas e Al Jazeera per comunicazioni classificate.
“Consigliamo di contattare la leadership della Jihad islamica per conoscere in maniera approfondita le linee guida dell’organizzazione” avrebbe scritto Hamas in una comunicazione inviata ad Al Jazeera.
In queste direttive ci sarebbero anche istruzioni per il giornalista Tamer Almisshal riguardo alla copertura mediatica da lui data in occasione dell’operazione Breaking Dawn. Secondo quanto riportato nel file, Almisshal avrebbe dovuto ‘sostenere la resistenza a Gaza ed impedire qualsiasi critica riguardo alle capacità missilistiche della Jihad islamica, alla luce dell’elevato numero di lanci falliti’.
“I documenti rivelano come Hamas abbia pilotato la copertura mediatica di Al Jazeera al fine di servire i propri interessi, impedendo al pubblico di tutto il mondo di scoprire la verità sui suoi crimini contro i civili nella Striscia” ha dichiarato l’IDF nel suo comunicato di mercoledì.
“Sarà Al Jazeera ad agire qualora nelle affermazioni contro i suoi giornalisti ci sia del vero” ha risposto al pubblico il primo ministro degli Affari esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani.
Israele non è l’unico ad aver criticato la parzialità dei giornalisti di Al Jazeera.
In passato l’emittente qatariota è entrata nell’occhio del ciclone mediatico per aver mandato in onda diversi video del defunto capo di Al-Qaeda, Osama bin Laden, dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti.

(Bet Magazine Mosaico, 28 ottobre 2024)

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Netanyahu: l’attacco all’Iran è stato preciso e potente. Raggiunti tutti gli obiettivi

Colpite duramente le capacità di difesa iraniane e la possibilità per Teheran di produrre missili e droni. Khamenei: "reagiremo”.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato domenica che l’attacco aereo di Israele contro l’Iran nel fine settimana è stato “preciso e potente” e ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, mentre la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha avvertito che i funzionari di Teheran avrebbero determinato il modo migliore per rispondere agli attacchi.
“Avevamo promesso che avremmo risposto all’attacco iraniano e sabato abbiamo colpito… L’attacco in Iran è stato preciso e potente, raggiungendo tutti i suoi obiettivi”, ha dichiarato Netanyahu durante una cerimonia che segna l’anniversario del calendario ebraico dell’attacco di Hamas del 7 ottobre dello scorso anno.
Israele ha lanciato un’attesa rappresaglia contro l’Iran nella prima mattina di sabato, quasi quattro settimane dopo il massiccio lancio di missili balistici della Repubblica islamica sul Paese. L’aviazione israeliana ha dichiarato di aver colpito siti militari strategici, in particolare siti di produzione e lancio di droni e missili balistici, nonché batterie di difesa aerea.
L’Iran si stava preparando a una rappresaglia dopo il suo ultimo attacco diretto a Israele, in cui ha lanciato 200 missili balistici che hanno mandato la maggior parte della popolazione nei rifugi antiatomici il 1° ottobre, ucciso un uomo palestinese in Cisgiordania e causato danni in aree residenziali e nelle basi militari – anche se l’IDF ha detto che l’attacco non ha avuto alcun impatto operativo.
“L’Iran ha attaccato Israele con centinaia di missili balistici e questo attacco è fallito”, ha detto Netanyahu. “Abbiamo mantenuto la nostra promessa. L’aviazione ha attaccato l’Iran e ha colpito le capacità di difesa e la produzione di missili dell’Iran”.
Gli attacchi di sabato hanno fatto seguito a una campagna sistematica, durata mesi, per “tagliare i tentacoli della piovra iraniana, Hezbollah e Hamas”, ha detto Netanyahu. “Due giorni fa abbiamo colpito la testa della piovra, il regime iraniano”.
Rivolgendosi al popolo iraniano, ha detto: “La nostra lotta non è contro di voi, ma piuttosto contro il regime che vi opprime e minaccia la regione”.
Intervenendo alla cerimonia commemorativa del 7 ottobre, il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha affermato che l’attacco “preciso, letale e sorprendente” all’Iran ha inviato un chiaro messaggio: “Il lungo braccio di Israele raggiungerà chiunque cerchi di danneggiarci”.
“Non c’è posto troppo lontano per noi”, ha detto.

• KHAMENEI: NON DERIDERE O ESAGERARE L'ATTACCO ISRAELIANO
  Dopo gli attacchi di sabato, l’Iran ha confermato che Israele ha preso di mira siti militari intorno alla capitale e in altre province, ma è sembrato minimizzare l’impatto, affermando che i raid hanno causato “danni limitati” ma hanno ucciso quattro soldati.
Nei suoi primi commenti pubblici dopo gli attacchi di rappresaglia di Israele, la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha detto che i funzionari di Teheran dovrebbero determinare il modo migliore per rispondere.
“Israele ha commesso un errore [con il suo attacco]. Hanno esagerato, ovviamente”, ha detto Khamnei. “Esagerare su questo è un errore. Ma anche deridere questo [attacco] è un errore. Anche dire ‘non è successo niente, non era importante’ è un errore”.
Ha aggiunto: “La valutazione errata del regime sionista deve essere corretta. Hanno una valutazione errata dell’Iran”.
Secondo l’agenzia di stampa statale IRNA, Khamenei ha anche detto che Israele “dovrebbe comprendere la forza, la volontà e l’iniziativa della nazione iraniana”.
Ha aggiunto che la “risposta di Teheran sarà determinata da alti funzionari, in un modo che serva al meglio l’interesse del popolo e che tenga conto anche dello Stato”.
Gli attacchi aerei israeliani di sabato hanno paralizzato la capacità di Teheran di produrre missili balistici a lunga gittata, con un colpo che sarà difficile da recuperare in breve tempo, e hanno reso le strutture energetiche cruciali vulnerabili a futuri attacchi distruggendo le batterie di difesa aerea che le proteggevano, secondo quanto riferito da diversi rapporti che citano immagini satellitari analizzate da esperti.
L’operazione, che ha colpito obiettivi a circa 1.600 chilometri di distanza, è stata senza precedenti in termini di portata e durata e dell’immediato riconoscimento di responsabilità da parte di Israele.
Poco dopo gli attacchi di sabato mattina, l’esercito israeliano ha dichiarato che l’operazione ha dato all’IAF “una più ampia libertà di azione aerea in Iran” e che aveva un’ampia lista di obiettivi da colpire in futuro, se necessario.

(Rights Reporter, 28 ottobre 2024)

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Israele piange altre vittime

GERUSALEMME - Nonostante tutti i suoi successi militari, Israele continua a piangere grandi perdite tra le sue fila: Come ha annunciato l'esercito domenica, cinque soldati sono stati uccisi nei combattimenti contro Hezbollah sabato sera, mentre altri 14 sono stati feriti, cinque dei quali in modo grave. Finora, 34 soldati sono stati uccisi nell'offensiva di terra in Libano.
  Tra i caduti c'è Abraham Josef Goldberg. Era un rabbino popolare in una scuola e nell'esercito. Il 43enne lascia la moglie e otto figli.
  Ai funerali, svoltisi domenica sera nel cimitero militare di Herzlberg a Gerusalemme, la sua famiglia ha espresso critiche sulle esenzioni per gli studenti ultraortodossi della Torah. Il cognato di Goldberg ha detto che lo studio della Torah e il servizio militare possono essere combinati. “Chiunque voglia studiare la Torah dovrebbe studiarla”, ha detto, secondo quanto riportato dal sito Times of Israel. “Ma non aspettatevi che lo Stato di Israele e le famiglie come quella di mia sorella, con otto mezzi orfani, paghino per questo”.
  Israele sta anche subendo ulteriori perdite nei combattimenti nella Striscia di Gaza. Domenica mattina, un soldato è deceduto per le sue ferite. Solo nell'ultima settimana, 24 soldati sono stati uccisi in guerra.

• RAPPORTO: DISERTORI DI HEZBOLLAH
  L'obiettivo dell'offensiva di terra in Libano è quello di estromettere la milizia terroristica Hezbollah dal sud del Paese - un compito che in realtà dovrebbe essere svolto dalla missione ONU UNIFIL, alla quale partecipa anche la Bundeswehr. Al contrario, i “caschi blu” hanno lasciato a Hezbollah una tale libertà di azione da permettergli di costruire la sua infrastruttura terroristica.
  Dal punto di vista di Israele, la milizia terroristica sembra essere stata decisamente respinta. La settimana scorsa, l'esercito ha dichiarato che la struttura dirigenziale è stata distrutta. Inoltre, il sito web di notizie saudite “Elaph”, con sede a Londra, ha riferito che sempre più membri disertano.
  Nel rapporto, “Elaph” fa riferimento a “fonti informate” e parla di una “ondata” di diserzioni. Molti mercenari non si presentano ai loro posti o fuggono in Siria per paura di un confronto diretto con Israele. Questo sviluppo rappresenta una minaccia per Hezbollah, riassume il sito.
  Nel sud del Libano, l'esercito ha continuato a effettuare attacchi aerei contro obiettivi terroristici. Le immagini hanno mostrato esplosioni massicce che indicavano la presenza di nascondigli di armi.

• CONCLUSO IL RAID NELL'EX OSPEDALE
  Nel frattempo, l'esercito ha terminato il raid all'ospedale Kamal Adwan di Jabalia. Secondo l'esercito, l'ospedale nel nord della Striscia di Gaza fungeva da centro di comando dell'organizzazione terroristica Hamas. L'esercito ha confiscato armi, documenti e fondi. Ha catturato 60 terroristi, alcuni dei quali coinvolti nel massacro terroristico del 7 ottobre.
  L'esercito sta ora ritirando alcune truppe dal centro, ma vuole continuare a mantenere la posizione. Secondo l'esercito, ci sono ancora diverse centinaia di terroristi nel villaggio.

• ATTACCHI MISSILISTICI MORTALI
  Nel frattempo, continuano gli attacchi missilistici su Israele. Due arabi israeliani sono già stati uccisi venerdì. Un razzo di Hezbollah ha colpito vicino a un piccolo negozio. Ardschwan Manaa, 19 anni, che stava lavorando alla cassa, è morta per le ferite riportate, così come Hassan Suad, 21 anni, che stava facendo acquisti.
  Hezbollah ha continuato i suoi attacchi sabato e nei giorni successivi. La difesa aerea ha intercettato la maggior parte dei proiettili. Ma nel nord di Israele un colpo di missile ha fatto scoppiare un incendio nella riserva naturale di Hula.

(Israelnetz, 28 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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I media arabi riferiscono di defezioni di Hezbollah

I media arabi riportano numerosi casi di defezioni dalle fila di Hezbollah, che portano ad un significativo indebolimento di questa organizzazione. Secondo il sito saudita Ilaaf, fonti libanesi riferiscono di un'ondata di fughe di membri del gruppo ai confini meridionali, dove sono in corso aspri combattimenti con l'esercito israeliano. Le perdite e le ritirate di Hezbollah stanno creando una spaccatura nella struttura dell'organizzazione, causando preoccupazione tra i suoi sostenitori e comandanti.
La situazione è aggravata dalle notizie di diserzione dei comandanti di Hezbollah, che sarebbero fuggiti con le loro famiglie in Siria e poi in Iraq, lasciando i loro subordinati al fronte. Sui social network arabi si è diffusa la registrazione di una conversazione telefonica di uno dei combattenti di Hezbollah, che ha condiviso con i suoi cari il suo disappunto per la decisione dei comandanti di lasciare le loro posizioni e di abbandonare di fatto la resistenza ai confini meridionali.
Le fonti sottolineano che una tale ondata di defezioni potrebbe estendersi ad altre regioni del Libano, minacciando potenzialmente la sostenibilità dell'intera struttura di Hezbollah. I combattimenti sul confine meridionale, dove l'IDF sta attaccando con successo le posizioni, stanno minando la fiducia del gruppo nella vittoria, soprattutto perché i tentativi di resistere nelle trincee spesso provocano elevate perdite.

(AVIA.PRO, 28 ottobre 2024)

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Scoperta a Gerusalemme Est un’altra rete di spie al soldo dell’Iran

di Francesco Paolo La Bionda

Una nuova rete di spie ingaggiata dal regime iraniano è stata scoperta in Israele, aumentando il livello di allerta nello Stato ebraico dopo l’annuncio, pochi giorni prima, dell’arresto di un primo gruppo di agenti, composto da cittadini ebrei.
  In questo caso, la rete di spie era composta da sei arabi israeliani e un residente palestinese di Gerusalemme Est, tutti tra i 19 e i 23 anni provenienti dal quartiere di Beit Safafa e senza precedenti penali o relativi alla sicurezza. Il leader del gruppo, un ventitreenne di nome Rami Alian, era stato contattato da un agente iraniano e aveva poi reclutato gli altri sei membri del gruppo.
  Inizialmente, gli incarichi assegnati erano stati semplici, come scrivere graffiti per chiedere il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza e fotografare alcuni luoghi d’interesse. Dopo un po’, le missioni si erano trasformate in azioni più serie, come dare fuoco a un veicolo o acquistare armi. Alian si era anche procurato una granata da lanciare contro dei soldati israeliani, sebbene poi non avesse portato a termine l’incarico. Al momento dell’arresto, i sette stavano programmando l’assassinio di uno scienziato nucleare israeliano e del sindaco di una grande città del centro d’Israele quando sono stati arrestati.
  Sebbene le spie fossero pagate per le loro prestazioni, al contrario della rete ebraica la motivazione economica era minoritaria rispetto a quella ideologica: lo stesso leader del gruppo ha dichiarato negli interrogatori di essere stato fiero che gli iraniani lo avessero ingaggiato e di voler attentare alla sicurezza di Israele in risposta alla guerra a Gaza.

• L’offensiva spionistica iraniana in Israele
  Le due reti di spie smantellate si inseriscono in più ampio tentativo dell’Iran di rafforzare la propria rete di agenti clandestini nello Stato ebraico. Negli scorsi mesi, si sono susseguiti gli arresti di diverse altri civili, tutti al soldo di Teheran: un uomo di Ashkelon con l’accusa di essere stato reclutato per assassinare un membro importante del governo israeliano, forse lo stesso primo ministro Netanyahu; una coppia di Ramat Gan per aver compiuto sabotaggi e atti di vandalismo; un altro uomo per aver progettato l’omicidio di uno scienziato israeliano.
  Lo Shin Bet ha inoltre smascherato diversi complotti dell’intelligence iraniana per adescare nuove reclute online: uno lo scorso dicembre, in cui gli agenti della Repubblica Islamica hanno contattato cittadini israeliani su diverse piattaforme social con vari pretesti, dalla mediazione immobiliare ai servizi di investigazione privata. A gennaio si era quindi scoperto un tentativo di spiare i funzionari della difesa israeliana e di raccogliere informazioni sui civili utilizzando false pagine di social media relative alla guerra in corso nella Striscia di Gaza. Ad agosto, infine, è stato svelato un nuovo piano di reclutamento sempre nella sfera digitale, con gli iraniani che utilizzavano account con nomi ebraici o israeliani.

(Bet Magazine Mosaico, 28 ottobre 2024)

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L’attacco di Israele lascia l’Iran più vulnerabile che mai.

Con le principali difese aeree disattivate e Hezbollah indebolito, l’Iran sa che la IAF potrebbe tornare a colpire ancora. Questo potrebbe spingerla ad accelerare per la bomba e Israele a cercare di fermarla.

Gli israeliani non parlano molto degli attacchi aerei in Iran nella prima mattinata di sabato, ma ciò non sminuisce l’importanza dell’operazione. Sembra che sia andata esattamente come previsto, senza perdite da parte israeliana. Questo è di per sé un risultato importante.
I rischi insiti nelle operazioni a 1.600 chilometri dallo spazio aereo israeliano sono scoraggianti. Una piccola complicazione può trasformarsi in una sfida di vita o di morte.
Gli attacchi sono stati pianificati con il presupposto che i caccia sarebbero stati in grado di rifornirsi vicino all’Iran. Ma se un piccolo componente del sistema di rifornimento non avesse funzionato, o se il motore di un aereo si fosse guastato, il pilota si sarebbe trovato ad affrontare un atterraggio pericoloso in probabile territorio nemico. Quasi tutte le capacità di supporto e di emergenza che l’aviazione israeliana può mettere in campo nelle operazioni su Gaza e sul Libano sarebbero irrilevanti così lontano dal confine del Paese.
Per quanto ne sappiamo, tuttavia, non si sono verificati malfunzionamenti significativi, a testimonianza non solo dell’abilità dei piloti israeliani ma anche della professionalità del personale di manutenzione e supporto dell’IAF. Al contrario, Israele è stato in grado di portare decine di aerei abbastanza vicini all’Iran per lanciare bombe di precisione contro obiettivi militari in diverse ondate.
L’Iran sapeva da settimane che un attacco era in arrivo e potrebbe anche aver ricevuto una soffiata indiretta da Israele sulla tempistica degli attacchi. Eppure non ha potuto fare nulla per impedire ai jet israeliani di portare a termine la loro operazione in modo deliberato e sistematico.
Ora l’Iran – e i suoi impianti di gas e nucleari – sono più vulnerabili che mai. I sistemi antiaerei più avanzati del regime sono stati distrutti e la loro sostituzione – se il loro fornitore, la Russia, è disposto o in grado di farlo – non avverrà immediatamente. Le sue difese aeree, che sabato sono inefficaci, ora sono ancora meno capaci, con batterie e radar distrutti. Oltre alla disattivazione delle sue difese aeree – sistemi in cui l’Iran ha investito molto – la Repubblica islamica ha perso anche il suo principale deterrente contro Israele. Dopo settimane di attacchi devastanti contro i suoi leader e le truppe di terra israeliane che operano in forze nel Libano meridionale, Hezbollah è in grado di lanciare un paio di centinaia di razzi al giorno contro Israele, ma niente di più. Ha perso la capacità di fare qualcosa per alterare il processo decisionale di Israele riguardo agli attacchi all’Iran. Il leader di lunga data di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è stato ucciso e i jet israeliani hanno colpito direttamente l’Iran, ma la normale vita quotidiana continua nella maggior parte di Israele.
L’attacco israeliano può essere stato in qualche modo limitato in termini di danni effettivi, ma ciò che conta è il messaggio lanciato alla fragile Guida Suprema Ali Khamenei e al Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran: Israele può raggiungere siti strategici in Iran e può colpire ciò che vuole, e Teheran non può fermarlo.
Questa volta si trattava di siti militari, ma i leader iraniani devono chiedersi quanto ancora ci vorrà perché Israele si concentri su obiettivi di maggior valore strategico – impianti petroliferi, simboli del regime e, naturalmente, il programma nucleare.
E le cose potrebbero andare ancora peggio per Teheran. La Casa Bianca di Joe Biden/Kamala Harris ha lavorato duramente per limitare la rappresaglia di Israele contro i due attacchi missilistici dell’Iran di quest’anno, per paura di un’escalation in una guerra regionale che potrebbe risucchiare gli Stati Uniti. Inoltre, l’Iran non ha corso il rischio che Biden ordinasse un attacco statunitense sul suolo iraniano.
Con grande dispiacere dell’Iran, c’è la concreta possibilità che Donald Trump torni al potere entro gennaio. Il ritorno dell’imprevedibile presidente che ha ordinato l’eliminazione del noto capo della Forza Quds dell’IRGC, Qassem Soleimani, e che ha sostituito l’accordo nucleare del 2015 con una strategia di massima pressione, unito alla nuova posizione aggressiva di Israele contro l’asse iraniano, è uno scenario pericoloso per Teheran.
Questo non significa che l’Iran non risponderà all’attacco di sabato. È sensibile all’idea di apparire debole di fronte alla sua popolazione in rivolta e alla sua rete di proxy. L’arsenale di missili balistici iraniani è ampio e può causare danni a Israele anche se la maggior parte dei missili lanciati viene intercettata da Israele e dai suoi alleati. Gli israeliani non sono disposti a far sì che i massicci attacchi iraniani diventino qualcosa a cui abituarsi, anche se finora i danni sono stati relativamente modesti.
Resta poi la questione sempre più pressante del programma nucleare iraniano. Con l’aumento della pressione sul regime e un crescente senso di vulnerabilità, potrebbe essere questo lo scenario che spinge Khamenei a ordinare una spinta totale per costruire un’arma nucleare e presentare un nuovo potente deterrente contro Israele e gli Stati Uniti?
Questo è certamente possibile. Ma dopo l’attacco di ieri, è anche più probabile che Israele ritenga di avere la capacità – e l’imperativo – di causare danni significativi al programma con una nuova serie di attacchi.

(Israele 360, 27 ottobre 2024)

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Perché Israele è speciale per Dio?

di Tim M. Sigler

Diverse Scritture vengono subito alla mente quando si considera la scelta di Dio di Israele come destinatario delle benedizioni dell'alleanza:

  • Essere benedetti da Dio ed essere una benedizione per tutte le famiglie della terra (Genesi 12:3).
  • Essere gli eredi della terra della promessa (Genesi 28:13).
  • Avere il favore speciale di Dio di generazione in generazione (Deuteronomio 7:7-9),
  • Per avere una linea di re da cui sarebbe venuto un sovrano finale giusto (2 Samuele 7:11-16).

Molti credenti partono dal presupposto errato che, poiché queste promesse a Israele si trovano nell'Antico Testamento, devono in qualche modo far parte di un piano ormai concluso. Preferisco quindi iniziare con le Scritture che affrontano di petto queste idee sbagliate.
  In primo luogo, Paolo non avrebbe potuto essere più chiaro quando istruì i credenti romani sul fatto che i doni e la chiamata di Israele sono irrevocabili. In Romani 11:28-32, ha dichiarato:

    28 Per quanto concerne l'evangelo, essi sono nemici per causa vostra, ma quanto all'elezione sono amati per via dei loro padri, 29 perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento. 30 Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, 31 così anch'essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch'essi misericordia. 32 Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti.

Paolo parlava delle promesse di Dio al popolo ebraico, i discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe. Egli osservava che, anche se la maggioranza del popolo ebraico si opponeva alla messianicità di Yeshua e poteva quindi essere considerata ideologicamente nemica del Vangelo, sarebbe comunque amata in virtù delle promesse di alleanza fatte da Dio ai padri, cioè ai patriarchi di Israele. Questa fedeltà al patto era anche una buona notizia per i gentili, in quanto rivelava il disegno di Dio di considerare la colpevolezza sia degli ebrei che dei gentili, in modo da estendere la sua misericordia divina nella salvezza a tutti coloro che lo invocano. I doni e la chiamata di Israele si estendono oltre la sua fedeltà alle alleanze, e i credenti gentili possono essere grati che la fedeltà di Dio al patto si estenda anche oltre la loro disobbedienza. Altrimenti, chi potrebbe essere salvato?
  In secondo luogo, Israele è stato scelto per ricevere benedizioni speciali, tra cui la venuta del Messia. In Romani 9:3-5, Paolo ha illustrato ai suoi lettori il suo profondo legame con il popolo ebraico:

    3 Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, 4 che sono Israeliti, ai quali appartengono l'adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il culto e le promesse, 5 ai quali appartengono i padri e dai quali è venuto, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen!

Si notino i segni etnici che associano il popolo ebraico all'antico Israele e al piano di redenzione per tutta l'umanità. Dio ha dato al popolo ebraico in modo unico alcune benedizioni che sono elencate in questo passo. Nessun altro gruppo di persone può vantare queste eccezionali realtà storiche. Dio ha scelto/adottato il popolo ebraico affinché la sua gloria Shekinah dimorasse in mezzo a loro nel Tabernacolo e poi nel Tempio. Dio ha dato loro le sue istruzioni nella Torah e molte altre benedizioni che sono semplicemente riassunte come "le promesse", molte delle quali possono essere esaminate nelle Scritture attraverso uno studio delle alleanze bibliche. Ma alla fine, la benedizione veramente unica di Israele, che ha benedetto tutta la creazione, è stata la venuta del Messia attraverso il popolo ebraico.
  Più avanti, in Romani, Paolo scrive del rapporto ebraico-gentile con il Vangelo in termini di debito spirituale. Se i credenti apprezzassero giustamente il piano di Dio di portare la salvezza a tutte le famiglie della terra attraverso il popolo ebraico, non esisterebbe l'antisemitismo cristiano. Purtroppo, però, questo fenomeno è stato spesso presente nella storia della Chiesa.
  In terzo luogo, la storia di disobbedienza di Israele all'alleanza e la mancata osservanza della Torah non invalidano le promesse di Dio di benedire i discendenti di Abramo. La nazione è ancora amata da Dio e un giorno sarà destinataria delle sue benedizioni dell'alleanza. Paolo ha sottolineato questo punto in Galati 3:17-18:

    17 Ecco quello che voglio dire: un patto già in precedenza stabilito da Dio, la legge, che venne quattrocentotrent'anni dopo, non lo invalida in modo da annullare la promessa. 18 Perché, se l'eredità viene dalla legge, essa non viene più dalla promessa; ora Dio l'ha donata ad Abraamo per mezzo di una promessa.

Molti interpreti hanno cercato di dissociare l'antico Israele biblico dal popolo ebraico di oggi, ma questo non corrisponde all'insegnamento del Nuovo Testamento e non dovrebbe essere un elemento di confusione per la Chiesa di oggi. Realtà storiche, etniche, genetiche, linguistiche, culturali e religiose (l'elenco potrebbe continuare) collegano la nazione biblica di Israele al popolo ebraico e al moderno Stato di Israele oggi. Sebbene sia corretto osservare che le occorrenze bibliche della parola "Israele" non debbano essere lette come riferimenti diretti al moderno Stato di Israele (che ovviamente non esisteva all'epoca), esiste una connessione tra le due cose che non deve essere evitata: Il popolo ebraico di oggi è l'emanazione moderna dell'Israele biblico e la storia del popolo ebraico è il fulcro della storia e della profezia biblica.
  In quarto luogo, alla luce di questi riferimenti diretti del Nuovo Testamento, si potrebbe considerare una dichiarazione del profeta post-esilico Zaccaria. In Zaccaria 2:7-10, il profeta afferma:

    7 “Su, Sion, mettiti in salvo, tu che abiti con la figlia di Babilonia!”. 8 Poiché così parla l'Eterno degli eserciti: “È per rivendicare la sua gloria che egli mi ha mandato verso le nazioni che hanno fatto di voi la loro preda; perché chi tocca voi tocca la pupilla dell'occhio suo. 9 Infatti, ecco, io sto per agitare la mia mano contro di loro, ed esse diventeranno preda di quelli che erano loro assoggettati, e voi conoscerete che l'Eterno degli eserciti mi ha mandato. 10 Manda grida di gioia, rallegrati, o figlia di Sion! poiché ecco, io sto per venire e abiterò in mezzo a te”, dice l'Eterno.

In sintesi, Dio ama il popolo ebraico di un amore eterno. Israele è la pupilla dei suoi occhi e Dio ha scelto Gerusalemme come sua dimora.

(Ariel Magazine, Volume 1, Spring 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)



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Il distintivo del Messia e Israele

La guerra a Gaza e nel nord di Israele in Libano ha avvicinato i soldati israeliani al Messia.

di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Negli ultimi mesi abbiamo ripetutamente riferito che i soldati israeliani vanno in guerra con preghiere, canti di lode e altre usanze tradizionali. Durante le festività, i soldati nella Striscia di Gaza hanno suonato il corno shofar come ai tempi della Bibbia. Sul nostro canale Telegram abbiamo mostrato foto e video dalla Striscia di Gaza e dal Libano meridionale di soldati che erigono capanne di foglie e celebrano il biblico Sukkot in zone di guerra. Questo e molto altro fa pensare a un'inversione di tendenza che fino ad ora non si era manifestata nell'esercito israeliano. Certo, nelle guerre precedenti non esistevano reti internet come quelle di oggi, che ci mostrano tutto in diretta. E anche questo non è un bene, perché i nostri occhi non hanno bisogno di vedere tutto. Inoltre, la censura viene spesso aggirata, il che è un problema perché i soldati spesso filmano tutto sul campo di battaglia e lo inviano in tutto il mondo con un mittente.
Qualche giorno fa, il Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi ha visitato le truppe di combattimento della Brigata Golani nel sud del Libano. Ha incontrato un soldato che aveva appuntato un distintivo del Messia sulla sua uniforme durante la visita. Halevi si è avvicinato al soldato, ha tolto il distintivo e lo ha messo nel taschino della camicia. Ha spiegato che il soldato poteva tenere il distintivo nel taschino della camicia, più vicino al cuore, se era importante per lui, ma non poteva esporlo sulla sua uniforme ufficiale. “Solo le insegne militari sull'uniforme”, disse il Capo di Stato Maggiore. Questo naturalmente ha provocato un tumulto nei media israeliani. Alcuni si sono indignati per il Capo di Stato Maggiore, altri per le insegne religiose dell'esercito israeliano, sempre più visibili sulle uniformi. Anche i media arabi ne hanno parlato diffusamente, secondo quanto riportato dal New Arab: “L'esercito israeliano ha vietato ai soldati di indossare simboli non militari sulle loro uniformi dopo che alcuni soldati sono stati visti indossare insegne messianiche ultra-religiose”. Questo arriva mesi dopo l'indignazione internazionale per la tendenza di alcuni soldati a indossare le insegne del Grande Israele sulle loro uniformi.
Da un lato posso essere d'accordo con il Capo di Stato Maggiore che non vuole vedere simboli politicamente controversi sulle uniformi dei suoi soldati. Ma cosa succede se un soldato si presenta con una colomba della pace come distintivo? È consentito? Il Capo di Stato Maggiore toglierebbe un distintivo con la bandiera arcobaleno? Probabilmente no, e sarebbe una disparità di trattamento. Un altro punto. Nell'esercito ci sono anche drusi e beduini che non dovrebbero essere esclusi. O un arabo cristiano che vuole indossare un distintivo con una croce sulla sua uniforme. Ma l’IFD israeliana è l'esercito del popolo ebraico, e la parola Messia motiva i soldati e dà loro forza. Il fatto che anche i non ebrei servano nell'esercito israeliano non è una novità: è sempre stato così, anche nei tempi biblici. Tuttavia, questo esercito è l'esercito del popolo d'Israele.
Del resto, non potrebbe essere che il popolo d'Israele si trovi nella cosiddetta Primavera ebraica? Il 7 ottobre ha ricollegato molti israeliani alla loro identità ebraica, ed è anche interessante che sempre più arabi si identifichino come israeliani. Il motivo è che i terroristi non fanno distinzione tra i kibbutznik di sinistra del sud e i coloni ebrei. Per loro, tutti sono coloni, compresi gli arabi israeliani che sono stati uccisi e rapiti nello stesso modo un anno fa. Questo è molto sentito anche nell'esercito. Lo stato d'animo nei ranghi inferiori dell'esercito è caratterizzato dalla disponibilità a fare sacrifici e da un forte legame con l'ebraismo. Purtroppo, ciò si riflette anche nell'alta percentuale di soldati con radici religiose tra i caduti di questa guerra. La cosiddetta “primavera araba”, scoppiata 14 anni fa nei Paesi arabi vicini a noi, ha portato nuove speranze per i popoli che ci circondano, ma è successo il contrario. Può essere altrimenti nel caso di Israele, che il 7 ottobre rappresenti un punto di svolta per il popolo? Una vera primavera? Un ritorno alle radici, più vicino a Dio? Un avvicinamento al Messia? Non solo sulle maniche delle uniformi di Israele, ma anche nella mente dei nostri combattenti.
Dobbiamo riconoscere chiaramente che i nostri nemici vogliono ucciderci perché siamo ebrei, non perché siamo di destra o di sinistra. Il 7 ottobre, l'attivista pacifista ebrea Vivian Silver è stata uccisa da terroristi di Hamas nel Kibbutz Be'eri. Tutti i suoi sforzi per fare la pace con i vicini palestinesi non l'hanno aiutata.
Le forti critiche mondiali al “genocidio” di Israele nella Striscia di Gaza e il silenzio internazionale durante la guerra civile siriana (2011), in cui il leader siriano Bashar al-Assad ha dato il via a un vero e proprio genocidio nel suo Paese (500.000 morti), sono espressione di un vero e proprio odio verso gli ebrei, non di un odio verso Israele. Finché non capiremo questo, non impareremo a risolvere il problema. Ma Israele è forte e il popolo ebraico è forte. I nostri nemici riceveranno colpi che non dimenticheranno per decenni. Perché con il popolo ebraico non si scherza. Non dobbiamo vergognarci di essere ebrei, dobbiamo esserne orgogliosi.
Il Messia di tutti i popoli? Di tutte le insegne dell'esercito - non è chiaro perché il Capo di Stato Maggiore voglia rimuovere questa insegna religiosa”, ha scritto il quotidiano israeliano Israel Hayom. Per un anno intero, questi soldati, in servizio attivo e nelle riserve, hanno letteralmente sacrificato la loro vita in difesa dello Stato di Israele. Il 7 ottobre hanno lasciato le loro case e sono partiti verso l'ignoto, lasciandosi alle spalle famiglie, padri, madri e fratelli per proteggere il popolo ebraico. Come si sentono oggi queste persone quando il loro desiderio di un futuro migliore, di redenzione e del Messia, parte essenziale della loro fede, viene loro tolto? Non si tratta di una bandiera arcobaleno o di un distintivo con una faccina sorridente, ma di un simbolo della loro appartenenza a qualcosa di più grande.
Circa un mese fa, il capitano Harel Ettinger, un ufficiale dell'unità Egoz, è stato ucciso in azione nel sud del Libano. Al suo funerale, superiori e subordinati hanno tenuto commoventi necrologi e alla fine i presenti hanno cantato l'inno nazionale israeliano Hatikva. In seguito, la gente ha iniziato spontaneamente a cantare “Ani Ma'amin” (Credo), una professione di fede che proclama con ferma convinzione la venuta del Messia: “Credo con piena convinzione nella venuta del Messia”. Era proibito? No!

(Israel Heute, 26 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il leader di Hamas che guidò il massacro? Era un dipendente Unrwa

L’Idf mostra i documenti trovati nella Striscia di Gaza. Cosa dirà adesso l’Onu? Chi era il terrorista ucciso dai raid israeliani.

di Michael Sfaradi

Il portavoce dell’esercito israeliano ha confermato l’uccisione di Muhammad Abu Attawi l’uomo di Hamas che ha guidato il massacro al rifugio vicino al Kibbutz Re’im. Durante questo attacco furono uccisi barbaramente 16 civili e 4 presi in ostaggio, tra cui Hersh Goldberg-Polin, ucciso il mese scorso da Hamas. Ma oltre a capo terrorista, qual era l’occupazione ufficiale di Muhammad Abu Attawi? Dipendente dell’Unrwa.
  Pertanto, l’attacco al rifugio vicino al Kibbutz Re’im è stato guidato da un dipendente dell’Onu, il famoso organismo internazionale nato per salvaguardare la pace nel mondo e che oltre a condannare Israele un giorno sì e l’altro pure ha anche terroristi assassini nel libro paga. A dirlo non sono io ma la stessa Unrwa che, davanti all’evidenza, ha confermato che il terrorista affiliato ad Hamas Muhammad Abu Attawi, ucciso mercoledì dall’Idf, era un suo dipendente.
  L’Idf e Shin Bet hanno comunicato che Attawi, comandante della Forza Nukhba di Hamas, era impiegato dall’Unrwa dal luglio 2022 anche se oltre a quella di terrorista assassino non si è mai capito quale fossero le sue mansioni, oltre a ritirare lo stipendio, in seno all’organizzazione delle Nazioni Unite. Secondo l’IDF Muhammad Abu Attawi era il comandante della Brigata al-Burij dei Campi Centrali e ora sono stati resi noti i documenti che lo dimostrano.
  L’Unrwa ha confermato che il nome di Attawi era anche incluso in una lettera che l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi ha ricevuto da Israele già a luglio del 2024, lettera che includeva un elenco di 100 membri del personale che facevano anche parte di gruppi armati, tra cui Hamas. Il portavoce dell’Idf, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha aggiornato i media stranieri in merito alle malefatte dei dipendenti Unrwa affermando che Israele ha chiesto chiarimenti urgenti ai funzionari delle Nazioni Unite riguardo al coinvolgimento degli operatori dell’UNRWA nel massacro del 7 ottobre. Chiarimenti che stentano ad arrivare: forse Philippe Lazzarini, il Commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino Oriente, ancora non ha capito bene quale pezza usare questa volta per coprire ciò che l’organizzazione che dirige ha combinato nella Striscia di Gaza negli ultimi anni?
  Una cosa è certa, fra Unrwa nella Striscia di Gaza e Unifil nel sud del Libano probabilmente anche la stessa Onu dovrebbe dichiarare se non bancarotta almeno un fallimento su tutti i fronti.
  Ma questo non può comunque accadere perché il suo segretario, António Guterres, quello che ogni volta che sente la parola Israele ha un capogiro, è attualmente impegnato a prostrarsi davanti a Putin dimenticando, si fa per dire, che sul suo ospite di prestigio pende un mandato di cattura emesso dalla Corte Penale Internazionale, altro organo che dipende dall’organizzazione che di cui è segretario. Come diceva Ennio Flaiano la situazione è grave ma non è seria.

(Nicola Porro, 26 ottobre 2024)

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Israele elimina terrorista di Hamas e Guterres piange per la morte del “collega”

di Iuri Maria Prado

Sbaglierebbe chi pensasse che il segretario generale dell’Onu, António Guterres, sia ormai fuori controllo. È invece perfettamente in sé, e semplicemente esibisce ed esercita in modo sempre più tronfio l’impunità ormai assoluta di cui gode nel lasciarsi andare ai suoi spropositi. Ma il problema non è lui, un disinvolto procuratore di interessi torbidi, a cominciare dal proprio. Il problema è la platea che gli tiene bordone e continua a legittimarlo mentre abbraccia il dittatore Aljaksandr Lukašenka, o quando denuncia l’uccisione dell’ennesimo assassino dell’Unrwa deplorando l’ingiusta fine “di un altro collega”.

• IL “COLLEGA” AUTISTA UNRWA
La notizia che il “collega” fosse un certo Mohammad Abu Itiwi, il quale avrebbe partecipato ai massacri e ai rapimenti del 7 ottobre, compreso quello di Hersh Goldberg-Polin, non era abbastanza urgente affinché Guterres si astenesse dal rilasciare quella impudente dichiarazione. Né era abbastanza grave da fargliela correggere, quando gli è stato rinfacciato lo scandalo di un’organizzazione internazionale che non solo tiene nei propri ranghi un capo terrorista, ma addirittura ne fa l’elogio funebre che si riserva a uno di famiglia. Chiunque ritenesse eccessiva la decisione israeliana di passare per “persona non gradita” il segretario generale dell’Onu dovrebbe tuttavia concordare sul fatto che questo signore conduce – non da oggi – una inesausta campagna di contestazione e delegittimazione dello Stato Ebraico, a cominciare dall’oltraggio antisemita secondo cui i gli eccidi del 7 ottobre “non venivano dal nulla”.
  Ma praticamente nessuno lo ha tenuto responsabile di quell’oscenità, anzi essa è stata reiteratamente riproposta a destra e a manca nelle giudiziose occasioni contestualizzanti secondo cui, certo, quegli eccidi erano “inaccettabili”, ma non dimentichiamo i Territori Occupati, non dimentichiamo le violenze dei coloni, non dimentichiamo i ministri fondamentalisti, non dimentichiamo che i ragazzi del Nova Festival (è stato detto anche questo) “ballavano ai margini di un campo di concentramento”. Ma occorre poi considerare – e pare che nessuno lo consideri – che questa ormai innegabile attività di copertura che il segretario generale dell’Onu, sempre più sfacciatamente, dedica alle compromissioni delle proprie agenzie con le organizzazioni terroristiche ha un fine anche più bieco rispetto alla semplice autodifesa conventicolare.

• UN PO’ ONU, UN PO’ HAMAS
I proclami di giorni addietro sulla “indispensabilità” e “insostituibilità” dell’Unrwa, l’agenzia Onu per il sussidio dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente, venivano sulla scorta di notizie sempre più gravi circa le inefficienze (è un eufemismo) e a proposito della mancanza di controlli (è un’altra definizione soffice) di cui quel carrozzone si rende responsabile nell’assunzione di personale a mezzo servizio con Hamas, nella destinazione delle risorse a un sistema educativo che ha per pilastro l’indottrinamento al martirio dei bambini palestinesi, nell’acquiescenza davanti al comprovato uso, da parte dei terroristi, delle strutture delle Nazioni Unite a mo’ di bunker, depositi di armi e centri di comando.
  Dunque, sì. Il fiume di miliardi che si ingolfa nei possedimenti mediorientali dell’Onu e poi si perde negli intrichi di Gaza e della West Bank è certamente “indispensabile” e “insostituibile”: ma molto poco per i fini dichiarati e per la popolazione che dovrebbe avvantaggiarsene, e molto più per le dirigenze corrotte che ne fanno il mezzo di finanziamento delle proprie architetture sotterranee. Per questo António Guterres chiama “collega” il proprio dipendente accusato di essere un macellaio. Perché chiamarlo collega gli consente di rimpiangerne l’insostituibile lavoro.

(Il Riformista, 26 ottobre 2024)

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Israele vuole spezzare il legame tra Assad e l'Iran

L'insistenza di Israele nel colpire obiettivi dell'Iran in Siria e di interrompere, con raid aerei sui valichi di confine siro-libanesi, i rifornimenti di Hezbollah, lungo i corridoi tra la Bekaa e le regioni di Homs e Damasco, può avere, secondo analisti e diplomatici, un duplice obiettivo: prosciugare le risorse logistiche del Partito di Dio e spingere il presidente siriano Bashar al Assad a prendere le distanze dal suo storico alleato iraniano.
  Nel corso del primo anno di guerra, Assad non si è esposto troppo pubblicamente a sostegno dell'Asse della Resistenza, di cui il suo potere fa parte da decenni. Come ricorda Aymenn Tamimi, Assad non ha neppure mai impedito a Hezbollah di transitare sul suo territorio per collegare l'Altopiano iranico al Mediterraneo. Eppure dal lato siriano delle Alture del Golan contese con Israele, le fazioni armate filo-Hezbollah non hanno ancora aperto un nuovo fronte contro il nemico.
  Secondo Ibrahim Hamidi, analista siriano basato all'estero, quando il ministro degli esteri iraniano, Abbas Araghchi, si è recato di recente a Damasco, Assad ha insistito nel tenere fuori il Golan dall'escalation in corso. Per questo ci si interroga, come fa Hamidi, se il raìs siriano intenda smantellare l'alleanza di lunga data con l'Iran o se stia inviando segnali contrastanti «per testare le acque della diplomazia regionale».
  Fonti diplomatiche europee a Damasco, interpellate dall'ANSA, non hanno dubbi nel dire che «tutti gli attori dell'area si stanno preparando per un significativo cambiamento degli equilibri regionali». In questo senso, per Assad «potrebbe ora passare l'ultimo treno utile» per affrancarsi dall'abbraccio di Teheran.
  Secondo altre fonti diplomatiche occidentali a Beirut, la dirigenza siriana è da mesi corteggiata dagli Stati Uniti e dalle forze arabe del Golfo, vicine a Washington e a Israele, perché si allontani da Teheran. In cambio, affermano le fonti, Assad otterrebbe la tanto attesa riabilitazione da parte dell'Occidente, con la conseguente rimozione delle sanzioni americane ed europee.
  Il governo siriano però è stato già in parte riabilitato in seno alla Lega Araba. Inoltre, sei anni fa gli Emirati Arabi Uniti hanno riattivato le relazioni con Damasco, così come l'Arabia Saudita lo ha fatto negli anni scorsi.
  Questi segnali indicano - affermano le fonti diplomatiche in Siria - che Assad non debba necessariamente rinunciare all'Iran per tenere aperti canali di dialogo con l'occidente. Anche perché, ricorda Hamidi, gli iraniani non hanno mai esitato a mettere a tacere alleati che sfidano il loro potere. In questa dinamica la Russia svolge un ruolo chiave ed è indicata come la vera potenza dietro al potere di Assad: da dieci anni è presente militarmente nel paese con due basi militari chiave nel Mediterraneo, e gode di un'alleanza tattica sia con l'Iran che con Israele.
  Analisti e diplomatici concordano nel dire che Mosca potrebbe spingere per un allontanamento di Assad dall'Iran, ma in cambio la Russia chiederebbe una contropartita agli Stati Uniti da ottenere sugli altri teatri del confronto globale.

(Corriere del Ticino, 26 ottobre 2024)

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L’ultima lettera di Sinwar: “Proteggete gli ostaggi, sono merce di scambio”
Nelle tre pagine, scritte a mano di fretta, il capo di Hamas, morto in un raid israeliano, raccomanda di “prendersi cura dei prigionieri” e stila un elenco con nomi, età e sesso di 71 persone.
ROMA – A meno di dieci giorni dall’uccisione in un raid israeliano del capo di Hamas, Yahya Sinwar, emergono alcuni documenti segreti pubblicati dal quotidiano palestinese Al-Quds. Tra questi tre pagine scritte a mano, di fretta dal “macellaio di Gaza”, come era anche chiamato una delle menti del sanguinoso attacco del 7 ottobre.
Quei documenti segreti potrebbero essere gli ultimi ordini impartiti da Sinwar, prima di essere ucciso per caso in un raid dell’Idf su Gaza. O, perlomeno, gli ultimi ordini di cui si ha traccia scritta. Si tratta di istruzioni per la gestione dei prigionieri israeliani. Nei documenti alcune note sono state censurate, ma in quelle rimaste visibili si legge ad esempio l'ordine di "prendersi cura della vita dei prigionieri nemici e di proteggerli, poiché sono la merce di scambio nelle nostre mani".
In un altro punto Sinwar dice ai suoi miliziani che l'unico modo per liberare i prigionieri palestinesi è quello di sorvegliare "i prigionieri del nemico". Nelle tre pagine ci sono anche altri dettagli su 71 ostaggi, tra cui nomi, età e sesso, in particolare delle prigioniere più anziane. Il primo documento è scritto su un foglio di carta per appunti intestata ad Al-Arqam Commercial Printing Company, e comincia con il versetto 4 della Sura Muhammad: "e in seguito o liberateli come favore o in cambio di un riscatto".

(Quotidiano Nazionale, 25 ottobre 2024)

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Blinken cerca (ancora) in Qatar una sponda per un cessate il fuoco a Gaza

Blinken continua a insistere con il maggior finanziatore di Hamas che non ha nessun interesse alla liberazione degli ostaggi.

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che i negoziatori si incontreranno di nuovo a breve per cercare di garantire un accordo per il cessate il fuoco e sugli ostaggi, mentre chiede ancora una volta a Israele e Hamas di raggiungere un accordo dopo aver incontrato i funzionari del Qatar a Doha.
“Abbiamo parlato delle opzioni per capitalizzare questo momento e dei prossimi passi per portare avanti il processo, e prevedo che i nostri negoziatori si riuniranno nei prossimi giorni”, ha dichiarato Blinken ai giornalisti.
Secondo lui, Israele ha raggiunto gli obiettivi strategici che si era prefissato all’inizio della guerra, poco più di un anno fa: Assicurarsi che il brutale massacro di Hamas del 7 ottobre 2023 non possa più ripetersi, smantellando di fatto l’organizzazione di Hamas e consegnare i suoi leader alla giustizia.
Alla domanda se i negoziatori stiano studiando nuove formule, Blinken risponde: “Una delle cose che stiamo facendo è valutare se ci siano diverse opzioni da perseguire per arrivare a una conclusione. Ne stiamo parlando con gli altri mediatori in Egitto e Qatar, e questo è un aspetto che i negoziatori [statunitensi e israeliani] discuteranno quando si riuniranno”.
“Non abbiamo ancora determinato se Hamas sia pronto a impegnarsi, ma il prossimo passo è riunire i negoziatori… sicuramente ne sapremo di più nei prossimi giorni”.
Ha inoltre annunciato altri 135 milioni di dollari in aiuti per i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, portando il totale degli Stati Uniti a 1,2 miliardi di dollari da quando l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso ha scatenato la guerra.
Il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, il cui Paese è mediatore insieme agli Stati Uniti e all’Egitto, ha dichiarato durante la conferenza stampa che una delegazione americana incontrerà presto a Doha i negoziatori israeliani.
“Discuteremo i mezzi per raggiungere una svolta in questi negoziati”, ha dichiarato.
Il leader qatariota afferma inoltre che Doha ha recentemente “ripreso i contatti” con Hamas dopo che il suo leader, Yahya Sinwar, è stato ucciso da Israele a Gaza all’inizio del mese, e che la posizione del gruppo terroristico palestinese non è cambiata.
Non ha voluto rispondere se Doha sia d’accordo con gli Stati Uniti sul fatto che Sinwar sia stato il principale ostacolo a un accordo e ha dichiarato che la politica di Doha, in qualità di mediatore, è quella di non attribuire pubblicamente colpe a nessuna delle due parti.
Nel corso dei negoziati, tuttavia, Doha ha ripetutamente criticato Israele per la sua prosecuzione della guerra a Gaza.

(Rights Reporter, 25 ottobre 2024)

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Il mondo capovolto

di Niram Ferretti

L’apocalisse è prossima, ce lo dice Lucio Caracciolo, direttore di Limes, e se ce lo dice lui, possiamo evitare gli scongiuri, perché in genere le sue predizioni, spacciate per analisi, non diventano mai realtà, come quando, nel salottino di Lilli Gruber, all’inizio della guerra a Gaza, predisse per gli israeliani una sorta di Vietnam, sangue grondante a iosa versato da jihadisti pronti al martirio senza se e senza ma. Ma veniamo alla nuova predizione sciorinata su Repubblica. Il titolo dell’articolo già dice tutto, “La guerra suicida di Israele”.
  Israele si starebbe suicidando, e lo sta facendo perché, preda di un furore bellico assoluto, di una hybris guerrafondaia scomposta, ha allargato il fronte della guerra, vuole annientare il Nemico, l’Iran, e “sopravvive alla giornata”. Ma perché lo fa, cosa lo motiva? “una ragione indicibile”. Quale? “il terrore della guerra civile”. Per Caracciolo Israele è forse come la ex Jugoslavia, ulcerato e lacerato, pronto ad esplodere, e si sa, quando un paese è sull’orlo dell’abisso per cause endogene, avere delle cause esogene per distrarsi è solo un bene.
  Le manifestazioni di piazza che hanno caratterizzato i mesi prima del 7 ottobre, tutte contro la riforma della giustizia varata dal governo Netanyahu devono essere, per il direttore di Limes, il segno evidente di una guerra civile potenziale, e non il sintomo parossistico di una opposizione che lavora fin dall’insediamento del governo in carica per farlo cadere e liberarsene con aiuto americano.
  No, la guerra civile è prossima, e quella esterna serve quantomeno a rinviarla. Diversamente da Nostradamus,  Caracciolo non fissa una data per il suo accadere, si limita solo a predirla, il tempo gli darà ragione.
  A corollario c’è l’antisemitismo montante che è causato dalla guerra e che colpisce la Diaspora. In questo modo Israele rinnega se stesso, rinnega la sua ragione esistenziale, l’essersi costituito come Stato protettore degli ebrei, di tutti, non solo quelli che ci vivono. Che fare?, avrebbe detto Černyševskij. Caracciolo non lo dice, ma è sotteso. Non combattere, oppure chiudere in fretta il fronte bellico, a che prezzo? Non si sa. Si sa che però la guerra contro i terroristi, contro i delegati iraniani genera antisemitismo. Questo basti, basta, il resto è fuffa.
  L’Iran, che gli ingenui e gli sprovveduti pensano che Israele debba mettere nelle condizioni di non nuocere è invece un alleato, serve alla furia bellicista di Israele, le è consustanziale. Senza Nemico come si può fare la guerra, mobilitare la nazione? Netanyahu o chi per lui, ha letto Carl Schmitt e ne applica la lezione. Non è finita. Gli USA, l’alleato principale, l’unico che veramente conta serve solo a sostenere economicamente e militarmente, poi Israele, dopo avere arraffato, fa di testa sua, come nel ’56 per esempio, o nel ’67, o ancora nel 73, e poi con gli Accordi di Oslo del 1993-1995, quando, in tutti i casi, Israele dovette ottemperare ai desiderata americani, alle imposizioni, ma quando invece cerca, come in questo caso, di scrollarsele di dosso, allora viene fuori il tropo antisemita degli ebrei sfruttatori di risorse. Ne era fortemente convinto anche Hitler.
  C’è poi la deterrenza, non può funzionare con i terroristi agitati da “frenetica vocazione al martirio”. Dove, di grazia, sarebbero i “martiri”?, forse Sinwar in fuga? Haniyeh che viveva a Doha, Meshal? più probabile i miliziani di Hamas, quel che ne resta, come il giorno, ormai allo stremo a Gaza, o forse gli sciiti di Hezbollah. Chissà. Tuttavia non è necessario “sterminarli tutti” per avere la meglio, esito massimalista e volutamente iperbolico teso a sottointendere l’impraticabilità della vittoria, è sufficiente sterminarne il quantitativo necessario a depotenziarne cospicuamente la capacità offensiva, come è stato per Al Qaeda o per l’ISIS.
  Che dire? Basterebbe un po' di realismo o di logos assestato bene, il che permetterebbe di ribaltare per il verso giusto, cioè mettendolo con i piedi in terra e la testa in alto, il mondo capovolto di Caracciolo, allora si vedrebbe chiaramente, e non a testa in giù, che il Nemico esiste ed è Israele per tutti coloro che vogliono distruggerlo, in primis l’Iran e i suoi delegati regionali e poi tutti i suoi fiancheggiatori, di cui molti, troppi, occidentali. Si vedrebbe che per impedire che questo avvenga, Israele ha dovuto e deve, dal 7 ottobre scorso, combattere una guerra che si è divaricata su molteplici fronti, non perché come, afferma Caracciolo, Israele lo abbia scelto, ma perché così gli è stato imposto. Si vedrebbe altresì che l’antisemitismo, da che mondo e mondo, non sono gli ebrei a generarlo, tesi cara a tutti gli antisemiti, ma sono coloro che li odiano, e continuando a vedere dalla prospettiva giusta, con i piedi a terra e la testa in alto, apparirà chiaro come Israele non abbia bisogno di nemici esterni per scongiurare immaginarie guerre civili, perché se Caracciolo sapesse un po’, ma solo un po’, che cos’è Israele e come sono gli ebrei, saprebbe che le “guerre” interne nel mondo ebraico, sono state una costante dagli albori ad oggi, ma che, nonostante le lacerazioni, a volte anche tremende, si è sempre andati avanti, come si andrà avanti ancora, anche se questo dispiacerà a molti.

(L'informale, 25 ottobre 2024)
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L'antisemitismo, non sono gli ebrei a generarlo, ma coloro che li odiano, dice l'autore. Verissimo: l'antisemitismo è una malattia dei gentili, non degli ebrei. Dovrebbe essere evidente, ma l'odio acceca chi ha scelto di odiare. M.C.

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La comunità ultraortodossa in Israele e il servizio militare

di Ariel Winkler

Nel cartello: «Senza la Torah non c'è futuro ebraico»
HAIFA - Se proviamo a considerare il popolo ebraico - il popolo eletto da Dio - come un'unità, ci rendiamo subito conto che non è omogeneo. Fin dall'inizio, il popolo era diviso in tribù, famiglie e clan (Giosuè 7:1, 14). Queste tribù spesso non andavano d'accordo tra loro e addirittura combattevano tra loro (Giudici 12). Nel corso del tempo, il popolo ebraico è cambiato, ma il proverbio ebraico è rimasto vero: “Dove ci sono due ebrei, ci sono tre opinioni”.
   Il popolo ebraico è composto da diversi gruppi, che oggi possono essere differenziati teologicamente: Ebrei ortodossi, sionisti religiosi, tradizionalisti, laici e atei (cfr. Atti 23,6). È anche possibile classificare i diversi campi del popolo in base alle opinioni politiche: Sionisti e post-sionisti, di destra e di sinistra, capitalisti e socialisti, e altro ancora (cfr. Matteo 22,16).
   Queste differenze rappresentano una sfida in ogni società, soprattutto in Israele. Una delle questioni più scottanti che la società israeliana deve affrontare è la posizione della società ultraortodossa e la sua integrazione in Israele. La questione è stata esacerbata dalla guerra a Gaza e dalle tensioni al confine settentrionale. La pressione sulla comunità ultraortodossa affinché partecipi pienamente allo sforzo bellico sta crescendo alla luce dei sacrifici compiuti dalla popolazione generale. Allo stesso modo, cresce la necessità di condividere l'onere economico dei costi della guerra (già stimati in circa 250 miliardi di NIS nel giugno 2024).
   Per capire l'origine della sfida, bisogna comprendere le origini della comunità ultraortodossa e le sue origini. L'ebraismo ultra-ortodosso è emerso in Europa (soprattutto nell'Europa centrale e orientale) come reazione agli sviluppi sociali che hanno portato la modernizzazione, la rivoluzione industriale e l'emancipazione nella società europea a partire dal XVIII secolo - che non si sono fermati alla comunità ebraica. Invece di affrontare i cambiamenti sociali e tecnologici, gli ebrei ultraortodossi passarono al conservatorismo. Il motto cominciò a essere: “Il nuovo è proibito dalla Torah”. In questo modo è emerso il concetto che la Torah, insieme al Talmud e alle scritture ebraiche, proibisce il nuovo e conserva il vecchio. Questa reazione non è esclusiva dell'ebraismo, ma si riscontra anche in altri gruppi religiosi come gli Amish e altri ancora.
   Gli ultra-ortodossi hanno ripercorso in maniera ancora più forte i processi che l'ebraismo aveva già affrontato dopo la distruzione del Secondo Tempio. La prima e più importante posizione dello studioso, chiamata “Torato Umanuto” (“Torah come professione” - Umanuto si traduce come arte/professione/master) acquisì importanza. Il Beit Midrash (casa dell'apprendimento) e lo studio del Talmud e di altre tradizioni ebraiche presero il posto del precedente servizio al Tempio. Ecco perché i rabbini e gli studiosi di halacha (studiosi della Torah) occupano il vertice della piramide sociale. Sono loro che dettano ogni elemento della vita di un individuo nell'ebraismo ultraortodosso, adottando halachot (leggi) e aggiungendo ulteriori e rigide hatlachot volte a proteggere la società da influenze esterne e a mantenere il controllo sugli individui e sulla comunità.
   Allo stesso tempo, iniziò un processo di segregazione e isolamento. Si formarono tribunali di chassidim attorno a grandi studiosi di halacha. La comunità ultraortodossa ha adottato un abbigliamento uniforme nero con una kippah nera e ha stabilito molte altre regole per la vita quotidiana. La segregazione ha creato dei ghetti in cui si è concentrata la comunità ultraortodossa. Oggi, la maggior parte dei centri ultraortodossi in Israele si trova a Gerusalemme, Bnei Brak, El'ad, Beitar e altri ancora. All'estero, centri ultraortodossi si trovano negli Stati Uniti (ad esempio a Brooklyn), in Belgio, in Gran Bretagna e in Francia.
   Nel XIX secolo, la comunità ultraortodossa in Israele dipendeva completamente dal sostegno dei benefattori stranieri. Ogni comunità inviava un rappresentante nelle comunità ebraiche all'estero per raccogliere donazioni. Di conseguenza, la maggior parte degli ebrei ultraortodossi in Israele viveva in povertà.
   Oggi la popolazione ultraortodossa è divisa in due gruppi principali, che si differenziano per il loro rapporto con il mondo esterno. In Israele, la comunità ultraortodossa persegue un approccio che enfatizza l'autonomia del sistema educativo e la segregazione, facendo affidamento sull'assistenza statale e sui benefattori. All'estero la maggioranza della comunità si concentra sull'integrazione nel mercato del lavoro, mantenendo un sistema educativo indipendente e la segregazione.
   Quando è iniziata l'immigrazione ebraica in Israele a seguito del movimento sionista, sono sorte tensioni tra i residenti della vecchia comunità ultraortodossa e gli ebrei sionisti. Il motivo è da ricercare negli sforzi dei sionisti di integrare e secolarizzare gli ebrei in Israele e di creare un proprio Stato nazionale. Gli ultraortodossi, invece, vedevano la fondazione di uno Stato ebraico come parte dell'era messianica, che sarebbe iniziata solo con la venuta del Messia. Più il movimento sionista si sviluppava, più queste tensioni aumentavano e gli ultraortodossi diventavano sempre più rigidi nel sostenere che nessuno Stato ebraico avrebbe dovuto essere fondato fino alla venuta del Messia.
   Ciononostante, la comunità ultraortodossa cercò di affrontare questi cambiamenti. Alcuni cominciarono a vedere la creazione di uno Stato ebraico in Israele come un passo importante prima della venuta del Messia. Ne è un esempio Menachem Eichenstein, un ebreo ultraortodosso che partecipò al movimento clandestino ebraico Lehi (Combattenti per la libertà di Israele). I rappresentanti della comunità ultraortodossa raggiunsero un accordo con il movimento sionista, da cui sarebbe sorto lo Stato di Israele, che regolava le relazioni tra lo Stato e gli ultraortodossi. Questo accordo è noto anche come “Documento sullo Status Quo”, formulato in una lettera presentata da David Ben-Gurion all'Agudat Israel (rappresentanti della comunità ultraortodossa in Israele) nel 1947. Questo documento faceva parte degli sforzi di Ben-Gurion per unire la società ebraica in Israele e presentare la visione di uno Stato nazionale ebraico alla Commissione di partizione delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947.
   A causa del desiderio di Ben-Gurion di dimostrare l'unità della società ebraica in Israele, egli era disposto a fare concessioni in diversi settori: dichiarò che lo Stato sarebbe stato vincolato dalla legge ebraica ultra-ortodossa. Nella lettera stessa, egli menzionò specificamente il sabato e la kashrut (leggi alimentari). Inoltre, alla comunità ultraortodossa fu concessa l'autonomia per un sistema educativo indipendente.
   Nel 1948, quando fu fondato lo Stato d'Israele e durante la mobilitazione generale della Guerra d'Indipendenza, i leader ultraortodossi chiesero addirittura che gli studenti ultraortodossi delle yeshiva fossero arruolati nell'esercito, ma il piano fu respinto. Nel 1951, Ben Gurion accettò di esonerare dal servizio militare gli studenti delle yeshiva - che erano circa 400.
   La popolazione ultraortodossa ha un tasso di natalità molto alto, per cui oggi rappresenta circa il 13,6% dei cittadini israeliani. Di questi, circa il 58% ha un'età inferiore ai 19 anni. Questo aumento ha un impatto su diversi aspetti. L'influenza politica dei partiti ultraortodossi è cresciuta, con circa il 15% dei membri della Knesset che ora rappresentano gli ultraortodossi. Anche i budget destinati alla popolazione ultraortodossa sono aumentati (per il sistema educativo, per le yeshivas, per l'assistenza sociale). Grazie a sussidi e donazioni, la percentuale di uomini ultraortodossi sul mercato del lavoro è molto bassa. Anche tra coloro che scelgono di lavorare, molti sono impiegati nella comunità o in professioni religiose come rabbini, supervisori della kashrut e altro. Per questo motivo l'onere economico per la popolazione generale che sostiene la società ultraortodossa è molto elevato.
   Israele ha vissuto guerre difficili che hanno portato la popolazione a chiedere la partecipazione della società ultraortodossa agli oneri economici e di sicurezza. Ciò è accaduto negli anni '70 dopo la guerra dello Yom Kippur, quando gli ultraortodossi costituivano il 2,4% delle reclute. Mentre la popolazione ultraortodossa cresceva, l'onere militare per Israele è aumentato negli anni '80 con la Prima guerra del Libano. La presenza dell'esercito israeliano nel sud del Libano e la morte di molti soldati che difendevano il nord di Israele negli anni '90 hanno aumentato la pressione sulla società ultraortodossa a partecipare. E man mano che la guerra di Gaza, una delle più lunghe di Israele, proseguiva, le richieste di mobilitare la società ultraortodossa per sostenere l'onere economico e militare diventavano sempre più forti.
   In passato, l'esenzione degli studenti della yeshiva dal servizio militare non era regolamentata ufficialmente. Funzionava sulla base dello status quo ed era regolata da norme emanate dal Ministro della Difesa. Nel 1998, il tribunale ha stabilito che questo regolamento, chiamato “Torato Umanuto”, era incostituzionale perché violava il principio di uguaglianza. Da allora, i rispettivi governi israeliani hanno fatto diversi tentativi di approvare leggi che regolassero la questione. Alcuni hanno cercato di imporre l'arruolamento degli ultraortodossi, altri hanno tentato di emanare un'esenzione generale per l'intera popolazione ultraortodossa. Entrambi gli approcci hanno incontrato resistenza: i partiti ultraortodossi hanno insistito per un'esenzione e hanno persino rovesciato dei governi per questa disputa. Al contrario, i partiti di centro e di sinistra hanno cercato di far passare la coscrizione universale, ma non sono riusciti ad approvare la legge sulla coscrizione. Anche quando la legge è stata approvata, è stata annullata dal tribunale non appena sono state presentate petizioni contro di essa.
   La guerra di Gaza ha intensificato in modo straordinario le richieste di arruolamento da parte della comunità ultraortodossa. A causa della durata della guerra, i riservisti hanno dovuto essere richiamati in servizio per un periodo di tempo prolungato. - Molti dei caduti in guerra sono riservisti. - Allo stesso tempo, i militari hanno chiesto al governo e al parlamento di estendere il servizio regolare dei soldati attivi per far fronte allo sforzo. La coscrizione degli ultraortodossi avrebbe potuto evitare la necessità di queste due misure, o almeno ridurne il peso.
   Nel 1948 erano circa 400 le persone che avevano sospeso il servizio in base al “Torato Umanuto”, e nel 2000 erano più di 50.000 quelle che avevano sospeso il servizio in base a tale disposizione. Il reclutamento di circa 1000 studenti di yeshiva potrebbe far risparmiare allo Stato di Israele oltre 1 miliardo di NIS, mentre i riservisti perderebbero migliaia di giorni di servizio. In altre parole, la coscrizione non solo sostiene l'onere militare, ma sostiene anche il Paese dal punto di vista finanziario.
   Dopo anni di tentativi di regolamentare un'esenzione da un lato e di far rispettare la coscrizione degli studenti delle yeshiva dall'altro, dopo numerose udienze in tribunale e molti ritardi, in estate il tribunale ha deciso di far valere il principio di uguaglianza e di applicare la legge sulla coscrizione a tutta la popolazione - soprattutto alla comunità ultraortodossa. E senza un regolamento che esenti gli studenti della yeshiva dal servizio militare, l'esercito può ora iniziare ad arruolare gli studenti della yeshiva. Infatti, i primi ordini di chiamata sono stati inviati alla comunità ultraortodossa a metà luglio 2024.
   Uno dei motivi per cui la comunità ultraortodossa si oppone con tanta veemenza al reclutamento è il desiderio di mantenere i giovani nella società. Il servizio militare è una sfida anche per i cristiani. La separazione dalla famiglia, dalla comunità e dal sostegno dei circoli sociali è una prova per la vita di fede dei giovani arruolati nell'esercito. Allo stesso modo, la comunità ultraortodossa teme di perdere i suoi giovani per il mondo durante il servizio militare. Questo è ancora più preoccupante per loro perché circa il 20% dei giovani lascia la comunità ultraortodossa anche senza il servizio militare.
   Possiamo trarre una lezione da questo problema. Come gli ultraortodossi, anche noi ci preoccupiamo dei nostri figli e vogliamo proteggerli dal mondo e dalle sue influenze. Ma a differenza degli ultraortodossi, la Parola di Dio non ci insegna a fuggire dal mondo; al contrario, ci dice di andare nel mondo e fare discepoli (Matteo 28:19-20). Invece di chiuderci in noi stessi e separarci dal mondo, dobbiamo formare il popolo di Dio per annunciare e insegnare il Vangelo (2 Timoteo 3:10-17). Dobbiamo indossare tutta l'armatura che Dio ci dà (Efesini 6,10-17) e preparare i nostri figli alle sfide per essere una luce nel mondo!

(Nachrichten aus Israel, ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Parashà di Bereshìt: “Tohu e Bohu”

di Donato Grosser

La Torà inizia con le parole: “In principio Dio creò cielo e terra. E la terra consisteva di tohu e bohu…” (Bereshìt, 1:1-2). Qual è il significato delle parole tohu e bohu?
    R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (Bereshìt, p. 3) cita il Midràsh (Bereshìt Rabbà, 1:9) dove è detto che la materia amorfa primordiale era anch’essa parte della creazione. R. Soloveitchik aggiunge che la scienza non ha nulla da dire sull’origine della materia. Il concetto della creazione dal nulla non è scientifico ma metafisico. Platone non poté accettare la possibilità che la materia fisica fosse stata creata da un Essere spirituale. Nello stesso modo, Aristotele riteneva che la materia precedesse la creazione. Essi insistevano che Dio poteva essere solo uno “Yotzèr”, un modellatore di materia preesistente, ma non un “Borè”, un creatore della materia stessa.
    Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) nel suo commento alla parashà scrive: “Ora ascolta la spiegazione corretta e chiara del versetto nella sua semplicità. Il Santo Benedetto, creò tutte le cose dal nulla assoluto. Ora non abbiamo alcuna espressione nel linguaggio sacro per far emergere qualcosa dal nulla se non la parola “barà” (creare). Tutto ciò che esiste sotto il sole o sopra di esso non è stato creato fin dall’inizio dal nulla. Invece Egli creò dal nulla totale e assoluto una sostanza molto sottile priva di corporeità ma dotata di potenziale, adatta ad assumere forma e a procedere dalla potenzialità alla realtà. Questa era la materia primaria creata da Dio; è chiamata dai Greci hyly (materia, nella lingua sacra si chiama “tohu”). Dopo l’hyly, Egli non creò più nulla, ma formò e fece cose con essa, e da questa hyly portò ogni cosa all’esistenza e rivestì le forme e le mise in una condizione finita”.
    R. Raphael Pelcovitz (Canton-Ohio, 1921-2018, New York) che tradusse e commentò il commento di r. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) scrive che r. Sforno spiega i due termini tohu e bohu nel modo seguente: la materia era stata creata da Dio. La materia, come tale, era allo stato potenziale. Questa materia è chiamata tohu. Un idolo è chiamato tohu perché non ha sostanza. Bohu è la combinazione di due parole Bo e Hu, che significano “è in esso”. Bohu è la forma che contiene la materia primordiale. Il potenziale di Tohu divenne attuale tramite Bohu, la forma iniziale.
    R. Solovetchik afferma che accettare che la creazione è avvenuta dal nulla è di grande importanza perché indica che Dio è Onnipotente e che Egli è il Padrone dell’Universo che dirige secondo la Sua volontà. La Creazione assicura il fatto che Dio rimanga coinvolto con l’universo e, in particolare, con gli esseri umani la cui esistenza dipende da Suo continuo sostegno. Negare il concetto della Creazione dal nulla significa postulare un dualismo, ammettendo cioè l’esistenza eterna di qualcosa al di fuori di Dio.
    Nonostante che l’uomo non possa creare dal nulla, il messaggio spirituale del racconto della Creazione è che l’uomo dev’essere creativo. L’uomo deve sconfiggere le malattie, controllare i fiumi e alleviare la miseria. L’uomo deva anche educare. L’educazione è creatività per eccellenza. Un bambino, paragonato al tohu e bohu, viene trasformato in una personalità spirituale.
    Alla fine del primo capitolo, alle parole “E Dio completò nel settimo giorno l’opera che aveva fatto” (Bereshìt, 2:2), r. Soloveitchik commenta che Dio completò la Sua opera ma il mondo rimase incompleto. Quando Egli creò il mondo da tohu e bohu non rimpiazzò del tutto il caos. Permise che rimanesse qualcosa di questa entropia primordiale in modo che l’uomo, tramite i suoi sforzi, potesse eliminarlo. All’uomo fu dato questo grande compito di completare la Creazione.

(Bet Magazine Mosaico, 25 ottobre 2024)
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Parashà della settimana: Bereshit (In principio)

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L’ordine di Dio in contrasto con la confusione del nostro tempo

  Nella creazione del mondo, Dio mostra ordine. Crea la luce, il sole, la luna e le stelle. Crea l'acqua e la vita in essa. Crea la terra, le piante e gli animali su di essa. Infine, crea gli esseri umani, l'uomo e la donna. Quando Dio crea Adamo ed Eva, dà loro i mezzi necessari per vivere e governare il mondo:

    E Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Genesi 1:27).

E così riassume l'opera della creazione:

    E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Genesi 1,31).

Inoltre, Dio dà all'uomo il giusto ordine sociale:

    “Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne” (Genesi 2,24; cfr. Matteo 19,4-6).

La famiglia - con padre e madre - è il fondamento di ogni società umana. La storia dimostra che le società prosperano quando i valori della famiglia vengono privilegiati. Agli albori, la società romana era fiorente e caratterizzata dal successo. L'imperatore Augusto e sua moglie Livia lo capirono e promossero valori familiari immutabili. Il declino dell'Impero romano non iniziò a causa della pressione delle tribù germaniche sull'impero, ma quando i valori della famiglia vennero meno e aumentò il permissivismo sessuale. Questo processo fu accompagnato da edonismo e spreco di risorse.
  Il mondo occidentale di oggi ricorda Roma nel suo declino. Il permissivismo sessuale è diventato la norma con l'ascesa della comunità LGBTQ. I sistemi educativi del nostro mondo hanno abbracciato questa ideologia e stanno influenzando le menti dei giovani contro Dio. Il mondo è impegnato a convincere giovani e bambini che hanno bisogno di fare esperienze sessuali. Perverte l'amore di Cristo per i peccatori e invita alla tolleranza sostenendo che Gesù ha accettato i peccatori così come sono. Questo non è vero! Gesù ha chiamato i peccatori a pentirsi, non ha tollerato il peccato. Il mondo esige l'accettazione di ogni deviazione che nasce nei suoi pensieri contorti (Romani 1:18-32). Nel 1973 ha eliminato la definizione di omosessualità come devianza dalle definizioni di malattia mentale (DSM 1973). Stravolge il nostro linguaggio inventando i propri pronomi. Chiede l'abolizione della scienza e della biologia per imporre a tutti le sue deviazioni.
  Il mondo invoca tolleranza e accettazione, ma agisce con violenza e coercizione. Ne è un esempio la derisione del Messia alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Parigi. Il paragone tra “L'ultima cena” di Leonardo da Vinci e un banchetto in onore del dio greco o romano Dioniso/Bacco, che rappresenta la promiscuità, la dissolutezza e l'ubriachezza, mostra il loro disprezzo e l'odio per Dio.
  Satana usa questa ideologia per attaccare Dio, chiedendo che vengano riconosciute altre “famiglie” come quella omosessuale, quella queer e una serie di altri stili di vita deviati. Le leggi costringono le istituzioni religiose ad accettare e benedire tale peccato come norma.
  Alcuni considerano i primi capitoli del libro della Genesi (Genesi 1-12) come  mito-fondante di Dio. Eppure, nei Vangeli, Gesù ha citato questi capitoli come un resoconto reale quando ha parlato del matrimonio e del divorzio. Il fondamento della società umana, come descritto da Dio nella creazione, è costituito dal padre e dalla madre. Noi credenti dobbiamo tener fede a questa verità, e non piegarci in nome di una distorsione della parola di Dio. Dobbiamo essere una luce nel mondo, non solo nella nostra vita, ma anche nella vita della nostra famiglia: come figli, padri, madri o nonni.

(Nachrichten aus Israel, ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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La Festa dei Tabernacoli

A Sukkot, gli ebrei osservano il comandamento di riunirsi in capanne. Un rabbino ricorda la storia ebraica e spiega cosa si può imparare dal salice di ruscello

I visitatori ascoltano musica allegra nella sukkah
L'ultima sera della Festa dei Tabernacoli, un giorno prima della festa della gioia della Torah, Simchat Torah, un canto allegro e un colorato vociare si sprigiona da una sukkah. Ebrei di origine americana si riuniscono martedì sera nel romantico quartiere Nachlaot di Gerusalemme. Il rabbino Leibish Hundert crea una bella atmosfera con canzoni e una band.
  Canta canzoni tradizionali o le suona al sassofono. Tre uomini lo accompagnano alla chitarra, un altro suona la batteria. Decine di uomini e donne cantano con entusiasmo le melodie conosciute. Tra un brano e l'altro, altri musicisti entrano in scena e suonano a turno.
  Il rabbino Hundert parla ai presenti: “I nostri nemici stanno cercando di cancellare la nostra storia. Fanno finta che non esistiamo e che non abbiamo né storia né futuro. Ma noi abbiamo una storia, anche molto speciale. E oggi possiamo raccontarla qui a Sion”.

• L'INSEGNAMENTO DEL SALICE DI RUSCELLO
   Alla festa dei Tabernacoli, è consuetudine per gli ebrei devoti portare con sé gli “Arba Minim”, le quattro specie. Questo si rifà ai versetti biblici del Levitico 39-40: “Il quindicesimo giorno del settimo mese, quando porterete i frutti della terra, farete una festa al Signore per sette giorni. Il primo giorno è un giorno di riposo e l'ottavo giorno è un giorno di riposo.Il primo giorno prenderai frutti da alberi belli, fronde di palma e rami di alberi frondosi e salici, e ti rallegrerai davanti al Signore tuo Dio per sette giorni e farai una festa al Signore ogni anno per sette giorni”.
  Per le strade e durante le preghiere quotidiane nelle sinagoghe, rami di salice legati a rami di palma vengono sventolati nelle quattro direzioni insieme a un rametto di mirto e all'etrog, un cedro. Secondo la tradizione ebraica, le caratteristiche delle piante indicano i diversi gruppi di persone della nazione ebraica.
  Il rabbino di Beit Shemesh spiega: “Oggi è Hoshana Raba, il giorno dell'arava, il salice. Quest’albero apparteneva alle quattro specie e ci ha sempre accompagnato ovunque andassimo. Sia in Siberia che in America, ci ha accompagnato in ogni luogo. Il ramo non ha il sapore e l'odore dell'agrume etrog. Non ha il sapore del ramo di palma del Lulav, né il profumo del ramo di mirto. Quest’albero è semplicemente lì”.
  Hundert racconta felicemente nella sukkah: “Un interprete ebraico ha detto che anche l'etrog trae la sua forza solo dal ramo del salice di ruscello. Anche il più grande tzadik, il più giusto, a volte dimentica che non deve sempre fare tanto. Invece, può semplicemente essere. E chi è che ci ricorda che può semplicemente essere? Colui che non ha nulla da mostrare. Lo stesso avviene nel Tabernacolo. Qui ci è semplicemente permesso di essere. È come i genitori con i loro figli: I genitori amano guardare i loro figli mentre mangiano e dormono. Per il resto, i bambini sono semplicemente lasciati liberi di essere”.

• IL COMANDAMENTO DELL'OSPITALITÀ
   Invitando gli ospiti nella sukkah, i padroni di casa rispettano il comandamento dell'ushpisin, la parola aramaica che significa “ospiti”. Ogni sera viene commemorato uno diverso dei “sette pastori di Israele”: i tre patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, così come Giuseppe, Mosè, Aronne e il re Davide.
  I visitatori ascoltano attentamente le spiegazioni mentre mangiano stuzzichini o sorseggiano vino in bicchieri di plastica: “Come l'Arava, anche la Sukkah è una Mizva, un comandamento ad essere semplicemente. Questo è il messaggio del salice di ruscello per noi: non devi nemmeno avere un buon sapore o un buon odore, come le altre parti delle quattro specie. Vi è permesso di essere e non dovete fare nulla. Siamo qui - insieme agli amici”.

(Israelnetz, 24 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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L’Iran usa reti criminali europee per compiere attentati. E’ allarme

Gli iraniani stanno usando massivamente le reti criminali europee per compiere attentati. E' arrivato il momento di inserire l'IRGC nella lista delle organizzazioni terroristiche.

L’Iran utilizza i criminali, dai trafficanti internazionali di droga alla piccola criminalità, per compiere atti di terrorismo in Europa, con l’obiettivo di creare una disconnessione tra l’Iran stesso e i veri autori. Lo scrivono Matthew Levitt e Sarah Bushes del Washington Institute, un istituto di ricerca indipendente che si concentra sulla politica estera e sulle questioni di sicurezza relative al Medio Oriente al fine di fornire raccomandazioni ai responsabili politici statunitensi.
I due citano il direttore generale dell’MI5, l’agenzia di intelligence e sicurezza interna britannica, secondo cui dal gennaio 2022 le autorità britanniche hanno dovuto occuparsi di 20 complotti iraniani contro civili e residenti nel paese. “In questi complotti iraniani – ha osservato – gli attori statali fanno ampio uso di criminali come intermediari, dagli spacciatori internazionali ai giovani criminali. Questo fenomeno è in realtà in espansione e si osserva in tutta Europa.”
Le indagini condotte in Francia e Germania hanno rivelato una tendenza simile. Lo scopo dei criminali impiegati dagli agenti iraniani, scrivono i ricercatori, è quello di seguire gli ebrei e le imprese ebraiche a Parigi, Monaco e Berlino. Le reti criminali sono state utilizzate in passato anche dal regime iraniano per omicidi e rapimenti.
I ricercatori presentano una serie di dati raccolti riguardo alle azioni esterne dell’Iran, dai quali risulta che “dei 218 complotti avvenuti nel periodo dal 1979 ad oggi, 102 hanno avuto luogo in Europa”. Inoltre, “più della metà dei complotti (54 casi) hanno avuto luogo tra il 2021 e il 2024”. La maggior parte di essi si è concentrata sugli attacchi contro gli oppositori del regime iraniano (34 casi), compresi giornalisti che trasmettevano notizie in persiano che l’Iran non vorrebbe raggiungere il pubblico, nonché cittadini e diplomatici israeliani (10 casi) ed ebrei (7 casi).
Viene menzionato, ad esempio, il tentativo iraniano di eliminare due giornalisti del canale “Iran International” a Londra, per mezzo di un criminale ingaggiato per il ruolo di eliminazione. Come parte del piano sventato, soprannominato “il matrimonio” dall’intelligence iraniana, è stato assunto un trafficante di esseri umani soprannominato “Ismail”. “I giornalisti del canale Iran International sono stati contrassegnati come obiettivi dall’Unità 840 delle Guardie Rivoluzionarie nel novembre 2022. Ismail ha iniziato a lavorare con l’intelligence iraniana nel 2016 ed è stato reclutato perché era un criminale transfrontaliero con sede in Europa”.
Due organizzazioni criminali che l’Iran utilizza per compiere attentati sono “Foxtrot” e “The English of Hell”. Nel gennaio 2024, una granata inesplosa è stata trovata sul terreno dell’ambasciata israeliana a Stoccolma. I servizi segreti di Svezia e Israele hanno rivelato che il fallito attacco è stato organizzato da “Foxtrot” per volere dell’Iran. La polizia svedese ha anche indagato su una sparatoria davanti all’ambasciata israeliana a Stoccolma e ha arrestato un sospetto quattordicenne che apparteneva all’organizzazione criminale “Rumba”, guidata dal gangster Ismail Abdo. “Nel maggio 2024, un agente ‘Foxtrot’, agendo su istruzioni dell’Iran, lanciò due granate softair contro l’ambasciata israeliana a Bruxelles, in Belgio. In Germania, le Guardie rivoluzionarie assunsero Ramin Ikteferst, capo della banda ‘Hell’s Angels’, per organizzare attacchi contro le sinagoghe nel 2021”.
L’articolo sostiene che sono necessarie azioni concrete da parte dei paesi europei e della comunità internazionale per affrontare questa minaccia. Una delle principali raccomandazioni è quella di classificare il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) come un’organizzazione terroristica, una mossa che consentirà l’uso di strumenti più ampi di intelligence e antiterrorismo per affrontare il problema.

(Rights Reporter, 24 ottobre 2024)

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Heschel: Portare il confronto negli atenei per svelenire il clima

di Adam Smulevich

A metà settembre uno studente dell’Università del Michigan è stato picchiato da un gruppo di giovani. «Sei ebreo?», gli avevano chiesto. Alla risposta affermativa del ragazzo è scattato il pestaggio. Nessuna conseguenza grave, a quanto pare. Ma il campanello d’allarme è tornato a suonare.
  Sulla scia del 7 ottobre e della guerra contro il terrorismo combattuta da Israele su più fronti l’impressione diffusa è che sia in arrivo un altro anno di tensione nei campus Usa. Dall’ottobre del 2023 il clima si è rivelato d’altronde spesso tossico e ha anche innescato la cancellazione di alcuni rapporti consolidati tra atenei. Per la gioia di chi, in numerosi college, inneggia alla “Resistenza palestinese” e alla cancellazione di Israele “dal fiume al mare”.
  Un segnale in controtendenza arriva dal Dartmouth College, antica università del New Hampshire che fa parte della prestigiosa Ivy League insieme tra le altre a Harvard, Princeton, Yale e alla Columbia University, epicentri della protesta anti-israeliana. A Dartmouth insegna Susannah Heschel, a capo del programma di studi ebraici. È reduce da una settimana di incontri a Roma, dove ha presentato un progetto di interazione culturale e interreligiosa lanciato proprio sull’onda del 7 ottobre. «Dialogo civile», così lo chiama. In campo risorse del dipartimento di studi ebraici e di quello di studi mediorientali, con il coinvolgimento di voci della società israeliana e palestinese. Ciascuno ha la possibilità di esprimersi, in un contesto sereno e rispettoso.
  «Una collaborazione inusuale di questi tempi», spiega a Pagine Ebraiche la studiosa e “figlia d’arte”: suo padre Abraham Joshua Heschel (1907-1972), rabbino e filosofo, è stato uno dei più influenti pensatori ebrei del Novecento. L’illustre genitore «è stato un uomo dell’ascolto», racconta la figlia. “Ascolto” è una delle parole chiave del progetto, basato su buone pratiche di cooperazione. Ne ha parlato in questi mesi in conferenze nelle scuole, in testimonianze nelle università, nei teatri e in vari ambiti della società civile. L’idea di Heschel è di allargare il raggio d’azione anche fuori dai confini nazionali e da qui nasce la missione romana, dove Dartmouth ha una propria sede, con una serie di workshop che hanno portato al tavolo esperti di politica, studiosi di letteratura e religione, intellettuali e policy maker. Un obiettivo tra tanti: «Stabilire modelli collaborativi che ci permettano di ripensare gli studi sul Medio Oriente alla luce delle nuove realtà politiche». C’è intanto la necessità di «svelenire il clima, perché odio e tensioni sembrano essersi impadroniti dei campus» e più in generale del dibattito. E in molti casi «c’è dell’antisemitismo, senza troppo girarci attorno». Per la studiosa, che all’argomento ha dedicato vari scritti, l’antisemitismo può essere definito una forma di «sadismo culturale». Heschel in questo senso è la sostenitrice della necessità di «un’analisi erotostorica» del fenomeno, con l’attenzione rivolta a «emozioni, genere, sessualità». La persistenza dell’antisemitismo, pre e post 7 ottobre, può essere così spiegata anche con «l’incessante richiesta di crudeltà fisica e verbale» propria del sadismo.
  Vincitrice nel 1998 del National Jewish Book Award con Abraham Geiger and the Jewish Jesus (University of Chicago Press), Heschel è una voce influente anche sul tema dei diritti civili. Nel 2015, nell’occasione dell’uscita del film Selma, a cinquant’anni dalla marcia per i neri d’America condotta da Martin Luther King Jr., un suo intervento aprì un dibattito nazionale. Con rammarico la studiosa ravvisò infatti l’assenza di qualunque riferimento, nel film, al contributo ebraico dato a quelle spinte sociali. «Per mio padre e per molti partecipanti», avrebbe raccontato in un intervento sulla Jewish Telegraphic Agency (Jta), «fu al tempo stesso un atto di protesta politica e un momento profondamente religioso: un incontro straordinario di suore, preti, rabbini, neri e bianchi». Quel giorno, a Selma, «si formarono alleanze, si superarono differenze religiose e si articolarono visioni che intrecciarono obiettivi politici e religiosi: mio padre sentì che a Selma era tornata in vita la tradizione profetica dell’ebraismo».
  Nel suo libro sull’ebraicità di Gesù, Heschel riprende e analizza le reazioni a un dibattito acceso nell’Ottocento dal rabbino tedesco Abraham Geiger (1810-1874), uno dei padri dell’ebraismo riformato. Geiger collocava Gesù all’interno della tradizione farisaica e sosteneva che nei suoi insegnamenti non ci fosse nulla di particolarmente originale. Teologi protestanti reagirono infuriati alla sua tesi, con una controargomentazione basata su elementi “razziali”. Secondo Heschel, con le sue riflessioni sul tema Geiger avviò una rivolta intellettuale «dei colonizzati contro il colonizzatore, un tentativo non di assimilarsi al cristianesimo adottando Gesù come ebreo, ma di rovesciare l’egemonia intellettuale cristiana». In quest’ottica Geiger invitò a vedere il cristianesimo e tutta la civiltà occidentale come il «prodotto dell’ebraismo».

(moked, 24 ottobre 2024)

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“7 Ottobre 2023. Israele, il giorno più lungo”, una memoria per il futuro

di Luca Spizzichino

“Questo libro è diverso perché conserva la memoria di quel tragico giorno”, ha affermato l’editorialista e già direttore de La Stampa e di Repubblica, Maurizio Molinari, durante la presentazione del libro di Sharon Nizza, 7 Ottobre 2023. Israele, il giorno più lungo. L’evento si è tenuto ieri presso lo Spazio Mastai al Palazzo dell’Informazione di Adnkronos. Oltre all’autrice e l’editorialista di Repubblica, è intervenuto anche Yuval Bitton, il medico israeliano che salvò la vita a Yahya Sinwar. Moderata dal vicedirettore di Adnkronos, Giorgio Rutelli, la presentazione è stata arricchita dalla lettura di alcuni stralci del libro a cura della scrittrice e giornalista Cinzia Leone.
  Il libro di Sharon Nizza è un racconto minuto per minuto del massacro, basato sulle testimonianze dei sopravvissuti e degli ostaggi liberati lo scorso novembre. Uno dei dettagli più inquietanti di quel giorno è legato a quelle che Nizza chiama “ondate”. La prima ondata era parte di un piano attentamente orchestrato dai terroristi dell’unità Nukhba di Hamas. La seconda, invece, è stata caratterizzata dalla partecipazione di civili che, dopo l’appello alle armi lanciato da Mohammed Deif, hanno invaso le comunità del sud di Israele. “La seconda ondata ha assunto i contorni di un vero e proprio pogrom”, ha osservato l’autrice, sottolineando come le testimonianze, inizialmente disconnesse, si intrecciano e si compongono pagina dopo pagina.
  Yuval Bitton ha offerto un profilo di Yahya Sinwar, ricordando le lunghe conversazioni avute con lui durante il periodo in cui lo trattava come medico nella prigione dove era detenuto. Sinwar, ha raccontato Bitton, dichiarava ripetutamente che un giorno avrebbe attaccato Israele. “Per raggiungere i suoi scopi, Sinwar era disposto a sacrificare anche 100.000 civili. Con lui non era possibile fare compromessi”, ha spiegato il medico, delineando l’ideologia di Hamas, che non riconosce agli ebrei alcun diritto di vivere su quella terra. Bitton ha inoltre affermato che l’eliminazione di Sinwar potrebbe aprire nuove possibilità a Gaza e aumentare le probabilità di liberazione degli ostaggi.
  Maurizio Molinari ha riflettuto sulla morte di Sinwar, interrogandosi sul futuro di Gaza: “Cosa accadrà adesso? Non c’è dubbio che molti palestinesi soffrissero sotto il regime di Hamas”. Ha sollevato domande cruciali: “Vedremo emergere a Gaza una nuova identità palestinese, finora repressa? E l’Iran, continuerà il suo strangolamento militare di Israele?” Secondo Molinari, le risposte a queste domande determineranno il futuro della regione.
  La fase finale dell’incontro si è concentrata sull’analisi degli errori commessi da Israele, e della conceptzia—una mentalità che ha contribuito a rendere possibile uno dei giorni più oscuri nella storia dello Stato ebraico.

(Shalom, 24 ottobre 2024)

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Il campione del mondo di pugilato Floyd Mayweather dona 100.000 dollari alla United Hatzalah per sostenere i medici israeliani

di Pietro Baragiola

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La leggenda del pugilato americano Floyd Mayweather ha deciso di donare 100.000 dollari all’organizzazione United Hatzalah per acquistare 100 giubbotti antiproiettile ai volontari medici israeliani ancora oggi in prima linea nella guerra contro Hamas.
Questa notizia è stata annunciata sul palco dell’annuale concerto di Sukkot “United fo Life” che la United Hatzalah ha tenuto lunedì 21 ottobre nell’International Convention Center di Gerusalemme.
Durante il concerto, che ha visto l’esibizione dei cantanti israeliani Ishay Ribo, Gad Elbaz e Shmuel Star registrando il tutto esaurito, il presidente e fondatore di United Hatzalah, Eli Beer, ha proiettato su uno schermo il messaggio in cui Mayweather affermava di voler procedere con la donazione.
“Eli, adoro il lavoro che tu e Hatzallah continuate a svolgere ed è stato molto bello venirti a trovare in Israele. Tornerò presto” ha scritto il campione nel messaggio.
Mayweather è stato una delle prime celebrità internazionali a sostenere il popolo d’Israele dopo il massacro di Hamas, inviando risorse e rifornimenti allo Stato ebraico.
Promotore di boxe ed ex pugile professionista con una carriera ventennale (dal 1996 al 2017), Mayweather si è ritirato dalle competizioni imbattuto, dopo aver raggiunto un record di 50-0 e aver vinto 15 campionati mondiali in cinque diverse categorie di peso: dai superpiuma ai pesi medi leggeri.
Nelle settimane successive al 7 ottobre 2023, Mayweather ha inviato il suo jet privato in Israele per consegnare attrezzature mediche, cibo ed altri aiuti ai feriti.
“Dobbiamo sempre rimanere positivi e mostrarci proattivi in modo rispettoso, opponendoci all’odio in ogni sua forma” ha affermato il campione al sito Algemeiner, dichiarandosi indignato dal crescente clima di antisemitismo nel mondo.
Per rafforzare ulteriormente il proprio legame con Israele, Mayweather ha deciso di visitare il Paese agli inizi del 2024 e, in quell’occasione, ha donato una serie di biciclette mediche MDA alla banca del sangue Magen David Adom a Ramla.
“Siamo veramente grati per l’impegno e il sostegno di Floyd Mayweather in questo momento buio della nostra storia” ha dichiarato Catherine Reed, CEO di American Friends of Magen David Admo, durante la visita del campione. “Questa flotta di biciclette, che chiameremo ‘la flotta di Floyd’, salverà migliaia di vite in tempi record e tutto questo non sarebbe stato possibile senza di lui.”

• LA VISITA IN ISRAELE
  Mayweather è arrivato in Israele nel marzo 2024 e ha mostrato la sua solidarietà indossando per tutta la sua permanenza una grande collana con la Stella di Davide.
Durante la sua visita, il campione ha visitato il Dan Family Aish World Center, dove ha incontrato gli studenti ed ha potuto festeggiare con loro il mese ebraico di Adar. Nel corso di una particolare cerimonia sul tetto dell’ufficio, Mayweather ha, inoltre, ricevuto il premio Champion for Israel per il continuo sostegno dimostrato allo Stato ebraico e per la sua lotta contro l’odio e l’antisemitismo.
“Come figura rinomata nel mondo dello sport, la visita di Mayweather e il suo attivismo hanno un peso significativo per noi” ha affermato durante la cerimonia il rabbino Steven Burg, amministratore delegato di Aish. “È nostro compito celebrare tutti coloro che sostengono con forza Israele.”
Il giorno seguente, Mayweather ha visitato la sede di Gerusalemme dell’United Hatzalah dove ha incontrato Eli Beer e l’amministratore delegato Eli Pollak, restando visibilmente commosso dalle storie di coraggio e altruismo dei volontari dell’organizzazione.
“È stato un onore per noi ospitare l’incredibile Floyd Mayweather che è venuto in Israele appositamente per esprimere il proprio sostegno alla causa israeliana” ha affermato Beer al sito Algemeiner. “Apprezziamo davvero il tempo che Floyd ci ha dedicato nel venire a vedere il lavoro straordinario delle nostre migliaia di lavoratori”.
Nel corso della visita Dovie Maisel, vicepresidente delle operazioni di United Hatzalah, ha mostrato a Mayweather l’incredibile tecnologia salvavita che permette ai loro volontari di essere i primi a rispondere alle richieste d’aiuto. Tra questi nuovi servizi c’è l’’ambucycle’, una moto d’emergenza utilizzata dai soccorritori per tagliare il traffico durante le emergenze mediche.
Secondo quanto affermato sul sito dell’organizzazione, questi servizi medici sono disponibili in tutto Israele e forniscono soccorsi con un tempo medio di risposta di tre minuti e, spesso, in meno di 90 secondi.
“Spero che tutto il mondo adotti presto il modello di fornire cure mediche in meno di 90 secondi” ha affermato Mayweather, sbalordito da queste innovazioni. “90 secondi per salvare un altro essere umano in difficoltà sono quasi il tempo che mi serve per vincere sul ring.”
Prima della partenza di Mayweather, Beer ha assegnato al campione anche il prestigioso Lifesaving Award, invitandolo a tornare presto in Israele.

(Bet Magazine Mosaico, 24 ottobre 2024)

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Israele, le spie al soldo di Teheran. Hezbollah minaccia Netanyahu

Blinken propone un cessate il fuoco a Gaza di 12 giorni e il potenziamento dei poteri dei caschi blu. Hezbollah rivendica l’attacco alla casa di Netanyahu, raggiunta da un drone: «Colpiremo ancora».

Quattordici persone arrestate in 48 ore. Sette ad Haifa, lunedì, e altre sette ieri a Gerusalemme Est. Un’ondata di fermi senza precedenti, che fa capire come il controspionaggio israeliano abbia alzato (e molto) il livello d’allerta.Lo Stato ebraico sa di non potere abbassare la guardia. La sfida con l’Iran è arrivata a un livello senza precedenti. Hezbollah ha rivendicato l’attacco che ha colpito la residenza di Benjamin Netanyahu a Cesarea. Israele ritiene Teheran responsabile del raid. E Muhammad Afif, responsabile dei media del Partito di Dio, ha lanciato una nuova minaccia: «Gli occhi dei combattenti della resistenza vedono e le loro orecchie sentono; quindi, se le nostre mani non ti hanno raggiunto questa volta, allora tra noi e te ci sono giorni, notti e il campo di battaglia».
  In questo duello, lo spionaggio è un campo di battaglia decisivo. Israele ha fatto capire di potere colpire ovunque. Da Teheran e Beirut, gli agenti del Mossad sono riusciti a compiere operazioni fino a poco tempo fa inimmaginabili. E ora nessuno si sente più al sicuro, né tra i Pasdaran né tra le milizie. L’Iran sa di giocare una partita impari. Lo si vede anche dall’ultima retata israeliana. Le spie prese lunedì ad Haifa erano stato comprate per ottenere foto di siti sensibili, utilizzavano attrezzature sofisticate, inviavano immagini tramite canali criptati, seguivano potenziali bersagli. Ma i sette arrestati a Gerusalemme Est sono poco più che maggiorenni, senza precedenti, palestinesi con cittadinanza israeliana arruolati per compiere azioni di poco conto, come imbrattare un muro o bruciare un’auto o scattare fotografie. Solo dopo qualche tempo gli obiettivi si erano fatti più difficili, fino al piano sventato dalla polizia per uccidere uno scienziato nucleare. Ma nulla di paragonabile alle operazioni del Mossad tra Libano e Iran.

• LA STRATEGIA
  Obiettivi di scarso valore, con piani anche rudimentali. Ma Israele sa che l’Iran ha ancora delle carte da giocare. Può contare sulle sue leve in Cisgiordania, sui contatti con la criminalità, con disertori o uomini assetati di soldi. Le foto dei siti sensibili sono servite effettivamente per i suoi lanci di missili, come avvenuto con quelle scattate dagli informatori di Haifa per l’attacco del primo ottobre. E avere una rete anche per incarichi di poco conto può essere utile per far vedere di essersi infiltrati nella popolazione e di potere arrivare fino ai luoghi più protetti dello Stato ebraico.
  Tutto è utile in questa fase. Specialmente in questa guerra di nervi che aspetta la vendetta di Israele per i missili degli ayatollah. La tensione è a livelli estremi. E non è un caso che Joe Biden abbia spedito nella regione sia l’inviato speciale Amos Hochstein sia il segretario di Stato, Antony Blinken. L’obiettivo di Washington è fare in modo che lo spiraglio aperto con l’uccisione di Yahya Sinwar possa portare a una tregua a Gaza. E nello stesso tempo, puntano al cessate il fuoco in Libano. Una sfida complicatissima, perché Benjamin Netanyahu in questo momento è in vantaggio e non vede grossi motivi per cessare la sua guerra senza che siano raggiunti tutti gli obiettivi.

• LA DIPLOMAZIA
  A Gerusalemme, Blinken, che si è detto scioccato per il tentativo di uccidere Netanyahu, ha ribadito i punti fermi della sua amministrazione: una tregua gli ostaggi, più aiuti nella Striscia di Gaza e un piano per il dopoguerra. Il premier ha confermato di avere discusso di una “cornice governativa” per quando sarà finito il conflitto e ha espresso l’augurio che la morte di Sinwar faciliti il negoziato per i rapiti. Ma la battaglia, specialmente a nord di Gaza, continua a essere pesante. Il fronte contro Hamas resta bollente, così come lo è quello del Libano. Hezbollah ha alzato il tiro, mirando non solo sulla casa del premier a Cesarea ma anche sulle basi israeliane vicino Tel Aviv e Haifa. Per Bibi non ci sono dubbi: in Libano deve esserci un cambiamento politico. E mentre l’Idf continua a colpire in tutto il Paese dei cedri, prendendo di mira di nuovo i sobborghi di Beirut e le infrastrutture finanziarie di Hezbollah, gli Usa lavorano per il cessate il fuoco. Hochstein ha presentato un piano che prevede il rafforzamento di Unifil, l’aumento dei caschi blu, l’ampliamento dei loro compiti e un allargamento dell’area delle operazioni, con l’esercito libanese come unica forza presente nel sud. L’obiettivo di Washington è evitare di passare per una nuova risoluzione Onu, evitando i veti incrociati di Cina e Russia. Il governo libanese e quello israeliano hanno preso nota. Ma le condizioni di Netanyahu sono ancora distanti da quelle offerte da Biden. E anche Beirut sembra al momento avere dato il suo stop al piano Usa.

(Il Messaggero, 23 ottobre 2024)

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L’American-Iran connection

Nel intricato scenario di informatori, potenziali killer, sabotatori, che sia Israele che l’Iran utilizzano per i reciproci interessi, non può, ovviamente, mancare l’American connection, ovvero la presenza di operatori americani che agiscono per promuovere l’agenda di Teheran, e che sono insediati ai livelli più alti dell’Amministrazione Biden.
Su Robert Malley, uno dei più solerti ed entusiasti promotori dell’accordo sul nucleare iraniano voluto da Barack Obama, abbiamo già scritto diverse volte. A luglio dello scorso anno Malley è stato costretto alle dimissioni sotto accusa di avere condiviso materiale classificato con una fonte non identificata, e attualmente risulta sotto indagine da parte dell’FBI. Quale sia questa fonte “non identificata” è facile immaginarlo. 
Lo scorso agosto, il senatore repubblicano Tom Cotton e la rappresentante repubblicana Elise M Stefanik, scrissero una lettera alla vicepresidente degli Stati Uniti e candidata democratica alla presidenza Kamala Harris “per esprimere preoccupazione” sui presunti legami del suo consigliere per la sicurezza nazionale, Philip Gordon, con le campagne di influenza iraniane.
Nella lettera facevano presente che Gordon era collegato al funzionario della difesa statunitense, Ariane Tabatabai, accusata di fare parte dell’Iran Experts Initiative (IEI), un progetto del ministero degli Esteri iraniano finalizzato  a promuovere gli interessi di Teheran in Occidente.
Naturalmente non accadde nulla, il Dipartimento della Difesa reputò che le credenziali di sicurezza della Tabatabai fossero perfettamente congrue con il  protocollo ed essa continuò indisturbata a svolgere il proprio ruolo, dopo avere  lavorato in precedenza anche alla Nato e alla Rand Corporation.
Adesso si scopre che, molto presumibilmente, sarebbe stata proprio lei ad avere passato a Teheran le informazioni relative all’annunciato attacco israeliano in Iran in risposta a quello missilistico iraniano su Israele avvenuto il primo ottobre.
Nella lettera si faceva presente come la Tabatabai e Gordon avessero collaborato a diversi articoli di opinione che, secondo Cotton e Stefanik “promuovevano palesemente la prospettiva e gli interessi del regime iraniano” e nei quali veniva espressa la loro contrarietà per le sanzioni contro Teheran. Sempre nella medesima lettera i due parlamentari repubblicani chiedevano alla Harris di rispondere a una serie di domande riguardanti le credenziali di sicurezza di Gordon e i suoi legami con la Tabatabai. “Come vicepresidente, quali azioni specifiche intende intraprendere per affrontare la questione dei simpatizzanti iraniani, oltre a lei, all’interno dell’amministrazione?” scrivevano, sottintendendo che Kamala Harris sia lei stessa una “simpatizzante iraniana”.
Non sappiamo dire se la candidata democratica alle presidenziali americane sia una “simpatizzante iraniana”, ma una cosa è certa, l’Amministrazione Biden-Harris non lesina posti di lavoro a chi lo è.

(L'informale, 23 ottobre 2024)

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Netanyahu non si fida degli americani. E fa bene

Blinken è volato nuovamente in Israele per avere rassicurazioni che Gerusalemme non supererà le " linee rosse" nell'imminente attacco all'Iran. Non le ha avute.

di Franco Londei

Premesso che, a scanso di equivoci, non metto in dubbio l’incrollabile volontà americana di difendere Israele. In questo ultimo anno l’Amministrazione Biden ha dato molte prove a riguardo checché ne dicano i critici. Parlo però di quella continua pressione, che sfiora il ricatto, da parte Washinton affinché le azioni israeliane non “irritino troppo” i sostenitori musulmani dei Democratici nonché la loro estrema sinistra.
Una pressione che, per di più, si è rivelata nella maggior parte dei casi tatticamente sbagliata, come per esempio quella molto pesante sull’attacco a Rafah e sulla strategia della pressione militare in quell’area che, con il senno di poi, ha dato ragione a Netanyahu al 100% e che se fosse stata attuata al momento giusto probabilmente avrebbe fatto risparmiare tempo e vite umane.
Ora quella indebita pressione (ricattatoria) si è trasferita sul fronte dell’attacco all’Iran e delle operazioni militari nel sud del Libano.
Ieri il segretario di Stato americano Anthony Blinken, in visita in Israele, ha chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di moderare ulteriormente l’attacco israeliano all’Iran e di impegnarsi per porre fine alle operazioni di terra israeliane nel sud del Libano.
Ora, secondo fonti molto ben accreditate presso l’ufficio del Primo Ministro israeliano, Netanyahu avrebbe risposto che «la gestione della campagna è nelle mani di Israele» e non avrebbe fornito grandi dettagli né rassicurazioni sull’imminente attacco all’Iran.
Attenti però, non si tratta di un “capriccio” del Primo Ministro israeliano. La gravissima fuga di notizie di qualche giorno fa, secondo alcuni pilotata proprio dall’Amministrazione Biden, ha fatto alzare tutte le antenne di allarme a Gerusalemme. E se questa volta Biden dovesse protestare per non essere al corrente degli obiettivi israeliani, beh, se ne dovrà fare una ragione.
Ad aggravare la situazione c’è stato il tentativo da parte di Hezbollah di uccidere Netanyahu. Israele ne ha incolpato l’Iran come mandante. Secondo alcuni osservatori Gerusalemme userebbe l’accaduto per alzare l’asticella degli obiettivi. È un’ipotesi molto verosimile.
Per questo l’Iran ha paura della risposta israeliana e si è preso la briga di chiarire nei giorni scorsi pubblicamente e attraverso Hezbollah che non è responsabile del lancio del drone che ha colpito la casa di Netanyahu a Cesarea. Ma a Gerusalemme non ha convinto nessuno.
Quando avverrà l’attacco? Fonti arabe valutano che Israele attaccherà subito dopo che il Segretario di Stato americano avrà lasciato la regione. Oggi Blinken è al Cairo per discutere con Al Sisi del dopoguerra a Gaza.
Ci sono però dei segnali abbastanza indicativi che questa volta l’attacco è veramente imminente. Fonti della intelligence israeliana hanno riferito che l’IDF ha aumentato la vigilanza sui suoi sistemi di difesa aerea. Infatti la valutazione in Israele è che l’Iran non aspetterà e risponderà immediatamente a qualsiasi attacco israeliano sul suo territorio. Gli iraniani hanno già preparato una serie di obiettivi in Israele da attaccare con missili balistici.
L’intelligence di Gerusalemme valuta poi che anche Hezbollah, contemporaneamente al contrattacco iraniano, attaccherà Israele con quello che gli è rimasto del suo arsenale di punta (poca roba). Se questo dovesse avvenire Israele sarà legittimato a colpire qualsiasi obiettivo in Iran. E forse è proprio quello che vuole. Anche Israele ha delle linee rosse e se l’Iran le oltrepassa, Gerusalemme si toglierà i guanti e colpirà obiettivi iraniani sensibili, roba da far crollare la già fragile economia iraniana.
Concludo questa mia riflessione con un appunto agli stitici commentatori italiani che continuano imperterriti a inquadrare Israele come unico responsabile della guerra. Bene, mi sono fatto l’idea che qualsiasi spiegazione venga data a questi personaggi, per quanto dettagliata e corroborata da prove possa essere, essi continueranno a vedere Gerusalemme come il “grande Satana”.
Li vedo già pronti a mettere nel mirino Israele dopo l’attacco all’Iran, anche se i caccia israeliani dovessero bombardare Teheran con la carta igienica. Li vedo già snocciolare il numero preciso delle vittime, in maggioranza donne e bambini, e lagnarsi per l’aumento del petrolio o perché i caccia israeliani hanno colpito qualche fabbrica di droni o di missili e così facendo hanno allungato la guerra in Ucraina. Vedrete, è troppo facile fare previsioni con questi cialtroni antisemiti.

(Rights Reporter, 23 ottobre 2024)

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Arrestati sette ebrei israeliani, presunte spie al soldo dell’Iran

Sembra che gli 007 degli Ayatollah siano andati oltre l’epidermide dello Stato ebraico agendo dal suo interno, in una clamorosa storia d’infiltrazione che scuote Am Israel. Gli occhi, le orecchie e le braccia dell’Iran in Israele sono anche di origine ebraica? Provenienti dall’Azerbaijan, sette ebrei israeliani sono stati arrestati, accusati di essere spie dell’Iran e di aver raccolto informazioni su basi militari dello Stato d’Israele prese di mira da Teheran e dalle milizie filoiraniane. I pubblici ministeri affermano che gli arrestati avrebbero svolto centinaia e centinaia di incarichi per la Repubblica Islamica. 
  I sospettati sono tutti residenti ebrei di Haifa e del nord di Israele. Tra loro c’è anche un soldato che ha disertato l’esercito e due minorenni. Gli indagati sono accusati di aver fotografato e raccolto informazioni sulle basi e sulle strutture delle IDF, tra cui il quartier generale della difesa di Kirya a Tel Aviv e le basi aeree di Nevatim e Ramat David, nonché i siti delle batterie Iron Dome, riporta Times of Israel. Entrambi gli attacchi frontali scatenati dall’Iran contro Israele hanno preso di mira proprio le basi di Nevatim, mentre Rabat David è stata un obiettivo di Hezbollah.
  Secondo le accuse, i sospettati avrebbero ricevuto mappe dai mandanti riguardo a siti strategici, tra cui la base Golani colpita da un drone mortale all’inizio di ottobre, oltre allo svolgimento di diversi compiti per le agenzie di intelligence iraniane e il contatto con agenti iraniani, secondo quanto affermano i procuratori in base alle scoperte della polizia e dello Shin Bet, riporta il Times.
  Non solo siti sensibili: nel mirino ci sono anche cittadini israeliani. Gli accusati sono sospettati di aver raccolto informazioni su diversi connazionali. Alcune delle presunte spie sono state arrestate dalla polizia mentre lavoravano per raccogliere informazioni su un israeliano che i funzionari della sicurezza del Paese hanno anticipato fosse un target dell’Iran, ha detto la polizia israeliana secondo The Jerusalem Post. 
  In cambio delle loro azioni, i sospettati hanno ricevuto centinaia di migliaia di shekel, alcuni dei quali in criptovaluta, affermano gli investigatori. Ci sono anche pagamenti instradati tramite intermediari russi che si sono recati in Israele, nonché mediatori turchi. Questa è la storia di una rete di spionaggio che coinvolge vari individui di diverse nazionalità uniti dall’amore per il “Dio denaro” e per la sovversione della sicurezza di Israele.
  Secondo l’accusa, alcuni degli indagati hanno svolto attività di spionaggio per l’Iran per due anni e tutti hanno svolto attività di spionaggio dall’inizio della guerra. I procuratori hanno affermato di voler presentare un atto di accusa per reati contro la sicurezza dello Stato, chiedendone la custodia fino alla conclusione del procedimento giudiziario. Infatti le azioni dei sospettati “hanno inflitto danni alla sicurezza dello Stato”, secondo le valutazioni israeliane, ha detto lunedì l’alta agenzia di sicurezza israeliana (ISA) che lavorava a questa operazione di controspionaggio insieme a Lahav 433 della polizia israeliana e al dipartimento di sicurezza delle informazioni nella direzione dell’intelligence militare.
  La “gravità e la portata” dell’incidente è “tra le più gravi conosciute da Israele”, ha detto la polizia israeliana secondo The Jerusalem Post, la quale ritiene che i sospettati abbiano agito per avidità di denaro, per danneggiare Israele e i suoi cittadini. Il procuratore di Stato ha sottolineato che questo caso si unisce a una serie di casi simili che sono stati rivelati nelle ultime settimane, alcuni dei quali hanno portato ad arresti e accuse, e altri che dovrebbero farlo nel prossimo futuro, come accaduto stamane ad altri sette israeliani – questa volta, però, arabi – arrestati a Gerusalemme con l’accusa di aver pianificato attacchi in Israele per conto dell’Iran. Secondo l’ufficio del Procuratore di Stato, il caso che riguarda i sette ebrei è una delle vicende d’indagine più gravi negli ultimi anni.

(Bet Magazine Mosaico, 22 ottobre 2024)

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Scoperto bunker di Nasrallah sotto l’ospedale Al-Sahel: nascosto oltre mezzo miliardo di dollari

di Luca Spizzichino

Un bunker appartenente all’ex Segretario Generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è stato individuato sotto l’ospedale Al-Sahel, nel quartiere Dahieh di Beirut. Lo ha rivelato il portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), l’Ammiraglio Daniel Hagari, spiegando che il bunker nasconde oltre 500 milioni di dollari in contanti e oro, fondi destinati esclusivamente a finanziare le attività terroristiche di Hezbollah.
  “Questo bunker è stato intenzionalmente posizionato sotto l’ospedale, a dimostrazione della pratica di Hezbollah di utilizzare infrastrutture civili come scudi per proteggere le proprie risorse”, ha dichiarato Hagari durante una conferenza stampa. Sebbene l’IDF stia monitorando attentamente il complesso ospedaliero, ha assicurato che non intende colpire la struttura. “La nostra guerra non è contro i cittadini libanesi, ma contro un’organizzazione terroristica che continua ad armarsi e a sostenere gli interessi del regime iraniano”, ha aggiunto.
  Nonostante le smentite del direttore dell’ospedale Al-Sahel, Fadi Alameh, che ha definito infondate le accuse israeliane, fonti dell’IDF confermano che il bunker sotto l’ospedale fa parte di un sistema più ampio di depositi di denaro di Hezbollah. Il canale israeliano N12 ha riferito che si tratta del principale deposito di denaro dell’organizzazione, dove viene nascosta gran parte del denaro sottratto ai cittadini libanesi e destinato al finanziamento delle attività terroristiche.
  “Da anni, Hezbollah sfrutta la crisi economica in Libano, sottraendo denaro alla propria popolazione”, ha dichiarato Hagari. “Il loro vero sostegno finanziario proviene dall’Iran, che trasferisce denaro attraverso vari canali, compresi voli con carichi di contanti diretti all’ambasciata iraniana a Beirut”.
  Queste rivelazioni giungono in un contesto di intensificazione delle operazioni militari di Israele contro Hezbollah. Nella notte tra domenica e lunedì, l’aviazione israeliana ha lanciato una serie di attacchi contro le sedi di “Al-Qard al-Hasan”, una rete finanziaria legata a Hezbollah. “Abbiamo colpito oltre 30 obiettivi finanziari di Hezbollah”, ha affermato Hagari. “Continueremo a colpire le loro risorse finché non riusciremo a neutralizzare la loro capacità di finanziare operazioni terroristiche”.

(Shalom, 22 ottobre 2024)

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Castellano e la speranza di un Umanesimo possibile

di Angelica Edna Calò Livne

Ho ricevuto La società fra memoria e speranza. Hatikvah. Per un Umanesimo possibile, un libro prezioso di Clelia Castellano, nel mattino di Sukkot, la Festa della Gioia. Per me era però anche uno di quei momenti in cui non si ha voglia di ridere e di salutare nessuno, ma di chiudere piuttosto il computer per non continuare a leggere e sentire invettive contro Israele, contro l’ebraismo e contro l’umanità. Si preannunciava una festa tutt’altro che di gioia. Una festa di frustrazione, interrogativi, rabbia e dolore per altre vittime di questo interminabile 7 ottobre, per le testimonianze dei genitori orfani, di figli, di vedove e bimbi che non conosceranno mai il papà e di ragazze che non saranno mai madri.
  Dalle prime pagine del libro ho sentito trapelare dalle parole un calore che mi ha avvolta, mi ha accarezzata e ha aperto nuovi e sconosciuti pertugi dai quali è filtrata una luce che non ricordavo più. Leggevo e mi sembrava di respirare meglio, più profondamente. Aria pura e limpida. Leggevo e mi innamoravo di questa docente di sociologia, di questa educatrice umanistica, di questa mia compagna di viaggio senza volto con la quale condividevo ogni pensiero di memoria, di pace, di unione, senza averla mai conosciuta di persona. Stavamo diventando amiche attraverso parole che non ricordavo più, attraverso pensieri spariti che avevano lasciato spazio a menzogne, manipolazioni e mistificazioni dell’idea di Israele, della sua nascita, delle sue origini. Castellano cita Protagora, Capote, Elber, Foer, Della Pergola e altri insigni filosofi, scrittori e personaggi della cultura e del mondo e attraverso loro ricostruisce la Storia, la narrativa smembrata, lacerata e profanata da chi, senza ritegno, ha bruciato bandiere gridando From the river to the sea. Attraverso un percorso di amore vero, l’autrice sfoglia davanti al lettore un magico libro di altri miti e leggende e rivela la poesia, la cultura, il periodo aureo di altri popoli perseguitati come gli armeni, i curdi e sì, anche i palestinesi, quei palestinesi che forse un giorno potranno essere nostri alleati per combattere il terrorismo, lo sfruttamento spietato e la violenza.
  «Spero tanto che tu trovi il tempo per leggere il mio libro. Vorrei avesse tanta visibilità e diffusione fra gli ebrei per confortarli, e fra i non ebrei per far comprendere l’orrore dell’antisemitismo e la bellezza della memoria dei popoli», mi ha scritto. E proprio cosi è stato per me questo libro: un conforto, «la rivivificazione delle radici», in una «epoca di amnesia collettiva» in cui è il male è diventato mito e gli eroi sono coloro che stuprano, annientano e seminano terrore. Un libro scritto per studiosi, studenti e docenti umanisti, persecutori della giustizia e della collaborazione fra i popoli, ai quali sta a cuore il futuro di tutti noi esseri umani.

(moked, 23 ottobre 2024)
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Cara Angelica, mi rivolgo a te personalmente perché ci siamo conosciuti, abbiamo corrisposto e so che ogni tanto mi leggi (tralascio il fatto che siamo entrambi "romani de Roma"). In una cosa almeno mi sento in piena risonanza emotiva con te: nell'orrore per l'antisemitismo melmoso che esonda da un sottosuolo putrido ed emette un tanfo sempre più insopportabile. Ormai la varietà dei modi in cui si può riuscire a dire quanto malvagi sono gli ebrei e quanto nociva al mondo sia l'esistenza di Israele costituisce un genere letterario a sé stante. In una cosa invece mi sento diverso da te: non riuscirei mai a trovare sollievo da una realtà che tocca concretamente pelle e nervi in rappresentazioni luminose della realtà o in ricostruzioni favolistiche della storia. Mi ha sempre interessato la verità. "Ma che cos'è verità?", diranno molti, proprio come Pilato davanti a Gesù. Per Pilato la verità era che lì comanda lui, a nome di Roma, tutto il resto sono chiacchiere. Per altri forse è un bell'ideale, nobile, armonioso, non certo come quello orrendo degli hamassiti. Mi viene in mente una stringata osservazione di Shimon Peres. Era un convinto ottimista, e una volta ha detto: "Sia l'ottimista che il pessimista muoiono, ma l'ottimista vive meglio". Buon per lui, ma nel suo ottimismo si è fatto assegnare il premio Nobel per la pace insieme ad Arafat, per la stipulazione dei disastrosi Accordi di Oslo. Ed è da lì che si è arrivati fino al 7 ottobre. Nella mia testimonianza, che compare su questo sito, racconto che fin dalla mia gioventù cercavo la verità, fermamente deciso a non cedere ad alcuna forma di suadente illusione. L'ho trovata. Leggendo il Vangelo di Matteo. Ti propongo di fare altrettanto. Lì si parla di verità e giustizia. L'hai già letto? Rileggilo. Anch'io la prima volta che lo lessi non ci avevo capito niente, ma poi l'ho riletto e la luce si è accesa. E dopo quasi settant'anni non si è più spenta. Né mai si spegnerà. M.C.

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Israele colpisce le infrastrutture finanziarie di Hezbollah

Il caso dell’Associazione Al-Qard Al-Hasan

di Luca Spizzichino

Israele ha avviato una serie di attacchi mirati alle infrastrutture finanziarie di Hezbollah, con l’obiettivo di distruggere gli edifici utilizzati dall’organizzazione per gestire le sue operazioni economiche in Libano, che comprende attività di riciclaggio di denaro e operazioni commerciali che spaziano dai prestiti a enti di beneficenza, fino all’investimento in miniere d’oro.
  Uno dei principali obiettivi è stata l’Associazione Al-Qard Al-Hasan, descritta come il principale istituto finanziario di Hezbollah e che secondo Uzi Shaya, ex agente dello Shin Bet citato da Globes, si presenta come un’organizzazione bancaria islamica, che offre prestiti ai cittadini libanesi per soddisfare varie necessità, tra cui l’acquisto di beni di consumo, matrimoni, rette scolastiche e molto altro. Sebbene ufficialmente sia registrata come un ente benefico, l’associazione gestisce in realtà una vasta rete finanziaria che finanzia le operazioni militari e politiche di Hezbollah.
  Secondo il canale televisivo libanese Al Manar, controllato da Hezbollah, Al-Qard Al-Hasan sarebbe andata in bancarotta a seguito dei bombardamenti israeliani, con l’emittente che ha accusato Israele di voler colpire deliberatamente l’economia libanese e peggiorare la vita quotidiana del popolo.
  Il Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center ha descritto l’associazione come un ente che fornisce prestiti e gestisce fondi comunitari senza applicare interessi, in conformità alla legge islamica. Questo modello di finanziamento mira a consolidare la fedeltà della comunità sciita libanese alla causa di Hezbollah. Oltre a servire la comunità sciita, l’organizzazione estende i suoi servizi anche alla popolazione palestinese. Le garanzie per i prestiti vengono solitamente fornite sotto forma di beni preziosi, come oro e gioielli. Shaya ha inoltre affermato che l’ente non solo riceve il sostegno del governo libanese, ma anche dell’Iran, che fornisce un appoggio economico significativo. L’associazione ha sviluppato una capacità di autofinanziamento indipendente, alimentata da donazioni, associazioni caritatevoli, imprese e una rete di attività criminali. Gran parte dei trasferimenti di denaro avviene in contanti o criptovalute, con notevoli quantità di denaro che passano attraverso l’Aeroporto di Beirut, controllato direttamente da Hezbollah.
  Secondo l’analista Haim Koren, Al-Qard Al-Hasan è sostenuta da una rete internazionale di contrabbando attiva in America Latina e Africa, con agenti che movimentano milioni di dollari in contanti in tutto il mondo. Nonostante le sanzioni imposte dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nel 2016, l’ente è continuato a crescere. Il volume dei prestiti gestiti dall’associazione è infatti aumentato successivamente alle sanzioni, dimostrando l’inefficacia delle misure internazionali contro simili organizzazioni finanziarie. Si stima inoltre gestisca fondi per miliardi di dollari attraverso oltre 400.000 conti, consolidando così il ruolo chiave dell’ente nelle operazioni economiche e militari di Hezbollah.

(Shalom, 22 ottobre 2024)

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L'UNIFIL è inutile, ammette un ex peacekeeper delle Nazioni Unite

Eravamo completamente alla mercé di Hezbollah”, afferma l'informatore, che conclude che l'ONU è ‘inutile’ come forza di pace.

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Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e l'UNIFIL coordinano le loro attività sul confine israelo-libanese

Se la missione della Forza interinale delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL) è quella di prevenire le ostilità tra Israele e i combattenti armati che operano dal Libano meridionale, allora ha fallito completamente. Questo non è più un segreto. Tuttavia, molti si aggrappano all'idea che questo fallimento non sia colpa dell'UNIFIL, o che l'organizzazione abbia addirittura compiuto la sua missione.
Un ex peacekeeper delle Nazioni Unite che è stato dispiegato nel sud del Libano ha smentito questa tesi in un'intervista rilasciata questa settimana ai media danesi.
Eravamo completamente alla mercé di Hezbollah”, ha dichiarato il peacekeeper (che si fa chiamare solo ‘Michael’) al portale danese di notizie online B.T., parlando del periodo trascorso nel sud del Libano circa dieci anni fa.
Circa un anno fa, un lettore di Israel Heute ha sottolineato che non è compito dell'UNIFIL far rispettare le risoluzioni dell'ONU o usare la forza per prevenire le ostilità tra Hezbollah e il Libano.
Sebbene ciò possa essere tecnicamente vero, in realtà si sta spaccando il capello in quattro, poiché il mandato dell'UNIFIL afferma che il suo compito è quello di garantire che Hezbollah non esista più come forza armata nel Libano meridionale.
Nel suo mandato esteso, l'UNIFIL ha i seguenti compiti:

  • Monitorare la cessazione delle ostilità.
  • Assistere le Forze Armate Libanesi (LAF) nello stabilire un'area tra la Linea Blu e il fiume Litani libera da personale armato, materiale e armi, ad eccezione del personale del governo libanese e del personale UNIFIL di stanza nell'area.
  • Adottare tutte le misure necessarie per garantire che la loro area di operazioni non sia utilizzata per attività ostili di alcun tipo...
  • Resistere ai tentativi di usare mezzi violenti per impedire all'UNIFIL di svolgere i suoi compiti nell'ambito del mandato del Consiglio di Sicurezza.

Anche se si può sostenere che le forze dell'UNIFIL non dovrebbero impegnarsi in combattimenti per adempiere al loro mandato (anche se i punti precedenti suggeriscono che dovrebbero farlo), hanno fallito in modo altrettanto completo degli osservatori.
Michael, il “whistleblower”, ha detto che l'UNIFIL non sta solo chiudendo un occhio. Appartiene a Hezbollah.
“Avevamo chiaramente una libertà di movimento limitata. Per esempio, non abbiamo mai operato dopo il tramonto per paura di Hezbollah. Se Hezbollah non voleva che l'UNIFIL vedesse qualcosa, semplicemente bloccava la strada”. E le truppe dell'ONU hanno proseguito come da istruzioni.
Quando le forze ONU hanno segnalato violazioni, soprattutto della Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, “non è mai successo nulla. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta dai nostri superiori e non è stato fatto nulla. È stato estremamente frustrante e ha solo confermato ciò che avevo sperimentato in altri Paesi in cui ero stato inviato: le Nazioni Unite sono incompetenti”.
Michael ha sottolineato che questo è accaduto 10 anni fa e può solo immaginare quanto Hezbollah sia ora più radicato e in controllo grazie al fallimento di UNIFIL.

(Israel Heute, 22 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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La morte di Sinwar smaschera la Corte Penale Internazionale

L'equivalenza morale tra Hamas e la democrazia israeliana era offensiva, ma ora che tutti e tre i capi di Hamas sono stati uccisi, Israele ha tolto al signor Khan la sua foglia di fico. Sta perseguendo solo gli israeliani per la loro guerra difensiva per liberare gli ostaggi e sconfiggere gli squadroni della morte che vogliono ripetere l'attacco del 7 ottobre.

La morte del leader di Hamas Yahya Sinwar ha lasciato nel dolore molti cosiddetti moderati. Il comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidato dal presidente Mahmoud Abbas, ha offerto le condoglianze per il “martirio” di Sinwar, definendo la mente del massacro del 7 ottobre un “grande leader nazionale”. Qualcuno pensa che questo gruppo, che l’Amministrazione Biden voleva al governo nella Gaza postbellica, avrebbe contrastato il terrorismo?
Anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha salutato Sinwar, mentre riceveva il ministro degli Esteri iraniano e i principali terroristi di Hamas per un incontro. Un altro giorno nella vita di un alleato della NATO.
Il più colpito dalla morte di Sinwar, tuttavia, dovrebbe essere Karim Ahmad Khan, il procuratore della Corte penale internazionale (CPI). Ricordiamo che il signor Khan aveva preteso di essere imparziale chiedendo mandati di arresto per un trio di leader di Hamas – Yahya Sinwar, Ismail Haniyeh e Mohammed Deif – insieme al Primo Ministro e al Ministro della Difesa di Israele.
L’equivalenza morale era offensiva, ma ora che tutti e tre i capi di Hamas sono stati uccisi, Israele ha tolto al signor Khan la sua foglia di fico. Sta perseguendo solo gli israeliani per la loro guerra difensiva per liberare gli ostaggi e sconfiggere gli squadroni della morte che vogliono ripetere l’attacco del 7 ottobre.
Non c’è mai stata alcuna possibilità che Sinwar venisse processato all’Aia o che venisse scoraggiato da questa prospettiva. Se un’incriminazione da parte della Corte penale internazionale significa qualcosa per una democrazia come Israele, non ha alcun significato per i terroristi che non hanno alcun rispetto per l’opinione pubblica internazionale e che già vivono in clandestinità per evitare di essere uccisi come combattenti nemici illegali secondo le tradizionali regole di guerra.
Il signor Khan sa tutto questo. Si è affrettato a chiedere mandati di arresto, prima di indagare seriamente o anche solo di parlare con gli israeliani, come aveva promesso ai senatori statunitensi, per gli effetti su Israele. Quando Khan ha lanciato la sua minaccia, l’obiettivo sembrava essere quello di dissuadere Israele dall’entrare nella roccaforte di Hamas a Rafah. Dopo che Israele è entrato, Khan ha fatto il suo annuncio per cercare di fermare i carri armati.
Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dimostrato che si sbagliava, evacuando in sicurezza i civili di Rafah. Poi Israele ha scoperto tunnel verso l’Egitto, ostaggi e ora Sinwar a Rafah. Il numero uno di Hamas sembra essere stato stanato dai suoi tunnel dalla pressione militare di Israele.
Il signor Khan si sbagliava su Rafah, così come il presidente Biden e la vicepresidente Kamala Harris, che ha detto di aver “studiato le mappe”. Hanno bloccato le armi a Israele per questo motivo. Ma la centralità di Rafah per la missione di Israele e per la possibilità di pace nella Gaza postbellica è ormai chiara.
Eppure la Casa Bianca continua a proteggere la CPI. Nonostante le obiezioni di Biden, all’inizio di giugno 42 democratici della Camera si sono uniti ai repubblicani per approvare una legge che sanziona la Corte penale internazionale. La misura potrebbe probabilmente passare al Senato, ma i senatori Chuck Schumer e Ben Cardin hanno deciso di non fare nulla. Chuck Schumer e Ben Cardin hanno eseguito gli ordini della Casa Bianca e sono rimasti in attesa, nonostante le pressioni del senatore Jim Risch e di altri repubblicani.
Schumer aveva promesso negoziati bipartisan su una legge sulle sanzioni della Corte penale internazionale. Non ha mai mantenuto la promessa, così gli Stati Uniti non fanno nulla mentre la Corte penale internazionale espande la sua giurisdizione e si appresta ad affrontare la lotta politica di Hamas contro Israele.

(Rights Reporter, 22 ottobre 2024)

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Turismo – Per la ripartenza Israele punta sui pellegrinaggi

Per il turismo israeliano non è un momento semplice. A parte la compagnia di bandiera, poche altre linee aree volano da e per il paese. E i vari fronti di guerra aperti complicano ulteriormente la situazione. «Ma l’anno prossimo sarà un anno di pace, me lo sento», sorride il direttore generale del ministero del Turismo Dani Shahar, incontrando alcuni giornalisti in un hotel di Roma. Al suo fianco Kalanit Goren Perry, delegata dell’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo a Milano. Shahar è in visita a Roma e in Vaticano per promuovere alcuni itinerari di visita collegati al Giubileo del 2025.
  «Siamo un paese ricco non solo di storia, ma anche di spiritualità», premette Shahar. «E il Giubileo sarà un’occasione straordinaria per ribadire il legame storico tra Italia e Israele: la nostra è un’amicizia solida e le collaborazioni si estendono in vari campi: economia, marketing, turismo, con una declinazione particolare legata proprio al pellegrinaggio; sono mesi difficili, ma guardiamo con ottimismo al futuro». Sono lontani al momento i numeri record del 2019, con cinque milioni di turisti annui in visita nello stato ebraico. Oggi, a parte il turismo “di solidarietà”, poco altro si muove. «Ma siamo fiduciosi che torneremo presto a quelle cifre», ribadisce Shahar. «Ripeto: confidiamo in una prossima ripresa e ci stiamo preparando al meglio per garantirla». Ad esempio, con un investimento di alcune centinaia di milioni di shekel nel potenziamento delle capacità ricettive, hotel ma non solo. È ottimista anche Yaron Sideman, il neo ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede: «Il Giubileo è dietro l’angolo e presto celebreremo anche i 60 anni dalla dichiarazione Nostra Aetate. Le opportunità per fare qualcosa insieme sono molteplici e il nostro orizzonte è il cielo». Israele, ha aggiunto il diplomatico, «è un paese in cui in tanti possono ritrovare le proprie radici e in cui si può godere di una prospettiva unica sul pluralismo culturale». Quella tra Italia e Israele «è una collaborazione naturale» in tanti ambiti, ha poi specificato il viceambasciatore israeliano a Roma Lior Keinan. «Numerosi progetti avviati insieme prima del 7 ottobre si sono interrotti. Ma si tratta soltanto di una pausa, perché presto ripartiremo». a.s.

(moked, 22 ottobre 2024)

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Israele presenta le sue condizioni agli Stati Uniti per porre fine al conflitto con Hezbollah in Libano

di Eliran Cohen

Secondo il sito americano Axios, Israele ha presentato agli Stati Uniti un documento contenente le sue condizioni per una soluzione diplomatica volta a porre fine alla guerra in Libano e a permettere ai civili sfollati su entrambi i lati del confine di tornare a casa.
Il sito statunitense riferisce che il ministro israeliano per gli Affari strategici Ron Dermer ha inviato il documento all'inviato speciale e coordinatore degli Affari energetici internazionali degli Stati Uniti Amos Hochstein giovedì, in vista della sua visita a Beirut di oggi.
Nel documento, una delle richieste di Israele è che l'esercito israeliano sia autorizzato a impegnarsi in un “controllo attivo” per garantire che Hezbollah non riformi o ricostruisca le sue infrastrutture militari nelle aree del Libano meridionale vicine al confine.
Israele chiede anche che le sue forze aeree possano operare liberamente nello spazio aereo libanese.
Queste due richieste contraddicono la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che stabilisce che le Forze Armate Libanesi (LAF) e la Forza Interinale delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL) devono far rispettare il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato ad Axios che le richieste israeliane sono in realtà una “ applicazione rafforzata ” della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. “ Il nostro messaggio principale è che se l'esercito libanese e l'UNIFIL fanno di più, Tsahal farà di meno e viceversa”, aggiunge il funzionario ha aggiunto.
Tuttavia, un funzionario americano ha dichiarato ad Axios che è altamente improbabile che il Libano e la comunità internazionale accettino queste condizioni, che minerebbero seriamente la sovranità del Libano.
In una conferenza stampa tenutasi a Beirut questo pomeriggio, Amos Hochstein ha dichiarato di essere attualmente nella regione per tenere colloqui con funzionari israeliani e libanesi su un accordo di cessate il fuoco tra Tsahal e Hezbollah, basato sulla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha stabilito le condizioni per il cessate il fuoco che ha posto fine alla seconda guerra del Libano nel 2006.
Lo Stato di Israele è in stato di guerra dal barbaro e sanguinoso attacco noto come “Diluvio di Al Aqsa” orchestrato da Hamas il 7 ottobre 2023. Il gruppo terroristico palestinese, infiltratosi in località del sud di Israele, ha ucciso 1.400 civili e soldati israeliani, tra cui 375 giovani israeliani brutalmente uccisi durante un rave party nel Negev meridionale.
Più di 10.000 persone sono rimaste ferite. 101 civili israeliani e stranieri (vivi e morti), tra cui donne, bambini e anziani, sono tenuti in ostaggio da Hamas nella Striscia di Gaza.

(Israel Actualités, 22 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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L'IDF non ha ancora interiorizzato la minaccia dei tunnel, dicono gli esperti

L'esercito israeliano ha incontrato per la prima volta i tunnel nella Striscia di Gaza negli anni Ottanta. Da allora, l'uso dei tunnel da parte dei terroristi è aumentato.

di David Isaac

GERUSALEMME - I tunnel hanno dimostrato di essere una seria minaccia per lo Stato ebraico. Le Forze di Difesa israeliane non li hanno ignorati, ma hanno tardato a riconoscerne l'importanza strategica.
Alcuni sostengono che non l'abbiano ancora fatto.
“Non vedo ancora nella mentalità delle Forze di Difesa israeliane il necessario cambiamento che ci permetterebbe di affrontare meglio il fenomeno della guerra sotterranea”, ha dichiarato a JNS Yehuda Kfir, ingegnere civile e ricercatore nel campo della guerra sotterranea.
Il professor Joel Roskin, geomorfologo dell'Università Bar-Ilan di Ramat Gan, è giunto alla stessa conclusione.
Forse l'esempio migliore è che quando le Forze di Difesa israeliane hanno costruito il loro “muro intelligente” (completato nel 2021) tra Israele e Gaza, hanno permesso ad Hamas di costruire tutte le infrastrutture sotterranee, purché rimanessero sul loro lato della recinzione.
La città sotterranea di Gaza che ne è derivata, da cui Hamas ha potuto comandare e controllare le sue truppe, mandarle all'attacco e richiamarle per proteggerle, ha contribuito a prolungare la guerra e a impedire a Israele di salvare gli ostaggi rimasti.
È così che il leader di Hamas Yahya Sinwar è riuscito a sfuggire alle forze israeliane per più di un anno. Lo stesso Sinwar è stato rilasciato dalla custodia israeliana nel 2011 (insieme ad altre 1.026 persone) in cambio del soldato delle Forze di Difesa israeliane Gilad Shalit, che era stato rapito da terroristi emersi da un tunnel.
Kfir sostiene che il 7 ottobre non sarebbe accaduto senza il vasto sistema di tunnel di Hamas. “Sinwar non avrebbe osato invadere in quel modo se non ci fosse stato questo sistema sotterraneo dal quale avrebbe potuto sopravvivere e continuare a lavorare”, ha dichiarato a JNS.
Le conclusioni di Kfir e Roskin sono state espresse anche altrove.
Asher Katz, un riservista delle Forze di Difesa israeliane specializzato in tunnel, ha dichiarato, in un'intervista rilasciata  alla fine di settembre a David Harris del Jewish Broadcasting Service, che Israele si è reso conto solo nel 2021 che i tunnel erano più di una tattica di Hamas (cioè un modo per spostare i combattenti da un luogo all'altro). Erano piuttosto l'intera “filosofia strategica” di Hamas, un mezzo per combattere, nascondersi e sopravvivere.
Hamas pensa in modo strategico, Israele invece pensa in modo tattico, ha detto Asher, aggiungendo: “Gli israeliani sono molto bravi a risolvere i problemi. Dateci un problema e lo risolveremo. Non credo che siamo così bravi nella strategia”.
L'ex ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, David Friedman, ha detto il 9 ottobre  all'intervistatore Dave Rubin che se aveva una critica da fare alla guerra di Israele a Gaza, era che ci stava mettendo troppo tempo, cosa che attribuiva al sistema di tunnel di Hamas.
“Loro [Hamas] hanno 350 miglia di tunnel del terrore”, ha detto, aggiungendo che gli israeliani non hanno capito a cosa andavano incontro. “Io dico che Hamas ha avuto il più grande vantaggio di campo nella storia della guerra di terra”.
Le forze israeliane hanno migliorato significativamente le loro operazioni di scavo dei tunnel nell'ultimo anno, ha ammesso Kfir, sottolineando la decisione dell'esercito di dispiegare le proprie forze sottoterra e di cooperare con le forze in superficie.
Nel filmato che segue, il generale di brigata delle Forze di Difesa israeliane Dan Goldfus descrive questi movimenti simultanei di truppe.

Israele usa i tunnel del nemico per avanzare. Ma Kfir ha detto che questo non è sufficiente, Israele lascia ancora l'iniziativa al nemico. Il campo di battaglia moderno è diventato multistrato, ma Israele sta trascurando un intero strato, ha detto. Ha paragonato la situazione a quella di una marina senza sottomarini che opera solo in superficie.
Kfir e Roskin, che ammettono di essere attualmente in minoranza sulla questione, sostengono che Israele deve costruire i propri tunnel di attacco. Il concetto può sembrare fantascientifico, ma essi immaginano un campo di battaglia sotterraneo in cui le forze israeliane scavano tunnel per condurre le proprie operazioni e contrastare quelle del nemico.
Roskin ha dichiarato: “Se non si scava di persona e non si sperimenta il processo di costruzione, la routine di vivere in un tunnel, non si capisce davvero di cosa si tratta”.
Kfir e Roskin hanno recentemente pubblicato un rapporto sul tunnelling offensivo, che hanno distribuito a varie persone delle Forze di Difesa israeliane, appartenenti a unità di ingegneria, intelligence, ricerca e sviluppo e altre. “Nessuno ci ha chiamato per parlarne”, ha detto Roskin.
Una delle ragioni è che la responsabilità per la costruzione di tunnel è diffusa. Non c'è un unico indirizzo per le gallerie nell'esercito. Kfir e Roskin sostengono che è necessario un cambiamento organizzativo: la creazione di un ramo delle Forze di Difesa Israeliane che si occupi esclusivamente di guerra sotterranea.
Le Forze di Difesa Israeliane hanno dichiarato a JNS che i tunnel sono supervisionati da Yahalom, un'unità speciale del Corpo di Ingegneria da Combattimento israeliano. Tuttavia, i compiti di Yahalom non comprendono solo i tunnel.
Alla domanda di JNS su uno speciale laboratorio di tunnel istituito nel 2018, il “Laboratorio tecnologico per l'individuazione e la localizzazione dei tunnel”, che si concentra specificamente sull'individuazione e la localizzazione dei tunnel, le Forze di difesa israeliane hanno detto che opera sotto la Divisione Gaza, separato da Yahalom.
“Dato l'uso multiplo dei tunnel da parte di Hamas e ora di Hezbollah, abbiamo chiesto una divisione separata o almeno una grande unità di ricerca all'interno dell'esercito”, ha detto Roskin.
Le forze israeliane stanno conoscendo solo ora l'estensione dei tunnel di Hezbollah nel sud del Libano. All'inizio della scorsa settimana, hanno scoperto un tunnel lungo 800 metri che doveva servire come piattaforma di lancio per un attacco al nord di Israele. Secondo quanto riferito, Hezbollah aveva pianificato un proprio massacro in stile 7 ottobre contro le comunità settentrionali di Israele (la cui portata sarebbe stata di gran lunga peggiore dell'attacco di Hamas).
Dopo aver visitato il tunnel, Noam Amir, reporter militare di Channel 14, ha detto che era più grande degli 800 metri stimati dalle Forze di Difesa israeliane, poiché c'erano diramazioni verso stanze, una delle quali ospitava un enorme generatore, un'altra era un gigantesco hangar e altre conducevano a dormitori, cucine e depositi di armi. “Ho camminato per 45 minuti per quelli che mi sono sembrati diversi chilometri”, ha detto.
“Loro [Hezbollah] hanno cibo per molti mesi. Poiché hanno una lunga durata di conservazione, si possono usare per anni. Non sono i datteri e le noci che venivano dati ai terroristi nei tunnel di Gaza. Ci sono anche dei motorini. E si vede una stanza per i terroristi con televisori al plasma... E ci si chiede cosa abbiano costruito sotto il nostro naso per più di due decenni”, ha detto Amir.
Uno dei motivi per cui Israele non si è impegnato a fondo contro i tunnel è che la sua attenzione e le sue risorse sono concentrate su altre minacce più pressanti. “I razzi volano a 15.000 miglia all'ora. I tunnel avanzano di uno o cinque metri al giorno”, afferma Roskin.
La guerra sotterranea non è solo un problema di Israele, ma un problema mondiale, ha detto Kfir. In parte perché i cattivi attori sono stati ispirati dalla capacità di Hamas di resistere così a lungo nonostante l'intero establishment militare e politico israeliano fosse mobilitato contro di loro.
Secondo Kfir, l'America è tranquillamente preoccupata di un'invasione cinese di Taiwan attraverso un tunnel, che è tecnicamente possibile scavare sotto lo Stretto di Taiwan. “I cinesi stanno per conquistare il mercato mondiale delle macchine per lo scavo di tunnel (TBM)”, ha detto. “Oggi non c'è quasi nessuna azienda in questo campo che non sia controllata da loro”.
I tunnel torneranno ad essere una minaccia per la Striscia di Gaza? Questo timore è già stato espresso da alcuni. Jonathan Conricus, tenente colonnello delle Forze di Difesa israeliane (in pensione), ha espresso la preoccupazione che le forze armate non stiano facendo abbastanza per contrastare una futura minaccia proveniente dai tunnel sotto il Corridoio di Filadelfia, lungo il confine tra Gaza ed Egitto.
La Forza di Difesa israeliana sta perseguendo ingressi specifici di tunnel in una “soluzione puntuale” piuttosto che una “soluzione sistemica” che affronti tutti i tunnel, ha dichiarato Conricus a JNS. “Ciò di cui abbiamo bisogno è un cambiamento permanente, o almeno che duri più a lungo”.
Conricus propone una barriera sotterranea, “una sorta di muro difensivo”, simile a quello costruito da Israele intorno a Gaza, che ha impedito ad Hamas di usare i tunnel nell'attacco del 7 ottobre. Si tratta di scavare una profonda trincea, profonda molti metri, e di riempirla di cemento, che sia  dotata di sensori e segni sostanzialmente il confine. Questo non rende impossibile scavare un tunnel, ma lo rende molto, molto difficile”, ha detto.
Sebbene il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia dichiarato che Israele manterrà le sue truppe nel Corridoio di Filadelfia, secondo Conricus non ci sono garanzie. Gli Stati Uniti e l'Egitto stanno esercitando pressioni per frenare l'idea. Un muro di separazione darebbe almeno a Israele una certa misura di controllo su ciò che accade sotto la Striscia di Gaza se fosse costretto ad andarsene, ha detto.
Il Corridoio di Filadelfia è il luogo in cui sono iniziati tutti i problemi, ha detto Kfir. Negli anni '80, Israele ha avuto il suo primo incontro con i tunnel sotto forma di contrabbando sotterraneo da parte dei terroristi. Le forze armate israeliane avevano difficoltà ad agire contro di loro. Il successo iniziale dei terroristi li ha portati a espandere l'uso dei tunnel e a piazzare esplosivi sotto i soldati israeliani. Il primo è stato fatto esplodere nel 2001.
Roskin ha detto che le truppe israeliane devono rimanere sul confine.
“Se Israele vuole il controllo di Gaza, deve controllare il corridoio di Philadelphia e deve controllarlo sul campo”, ha detto.
Anche gli ufficiali israeliani che nel 2005 erano favorevoli al ritiro da Gaza sostenevano allora che Israele doveva mantenere il corridoio di Filadelfia. “Erano piuttosto scioccati dal fatto che [l'allora primo ministro] Ariel Sharon volesse rinunciare a Philadelphi. Abbiamo visto il prezzo che abbiamo pagato per questo”, ha detto Roskin.

(Israel Heute, 21 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Quando?

di Niram Ferretti

Quando? È questa la domanda base in merito al futuro attacco di Israele sull’Iran a seguito di quello con duecento missili avvenuto il primo ottobre scorso da parte di Teheran.
Ieri, un drone proveniente dal Libano è stato lanciato sull’abitazione estiva di Benjamin Netanyahu a Cesarea, senza provocare conseguenze gravi, danneggiando solo alcuni vetri. Netanyahu era altrove, e altrove, in un luogo che si dice sicuro, si troverebbe la Guida Suprema dell’Iran, Alì Khamenei, ma è davvero sicuro il luogo in cui si trova?. Israele ha ampiamente dimostrato la porosità dell’Iran, quanto esso sia infiltrato dalla propria intelligence. Ismail Haniyah è stato ucciso a luglio dopo una meticolosa preparzione. Avere preso di mira l’abitazione di Netayahu è stato un azzardo, o peggio, un errore che verrà pagato caro, così ha dichiarato lo stesso Netanyahu.
Quando?
L’Amministrazione Biden ormai in dirittura finale non vuole che Israele colpisca i siti nucleari iraniani e i pozzi petroliferi, un attacco di questo tipo potrebbe seriamente mettere in mora il regime terrorista che l’Amministrazione Obama ha meticolosamente coccolato e che dopo la brusca interruzione delle coccole da parte dell’Amministrazione Trump, Joe Biden, con la sua amministrazione stipata da ex funzionari di Obama, soprattutto relativamente all’agenda iraniana, ha ripreso a coccolare.
Ieri, ancora, alcuni documenti segreti relativi al previsto attacco israeliano sull’Iran hanno visto la luce sui canali Telegram legati alle Guardie della Rivoluzione iraniania. Secondo fonti americane, il leak sarebbbe statto orchestrato da un funzionario dell’apparato militare americano. Al momento è in corso una indagine da parte del Dipartimento di Stato e dell’FBI. C’è un precedente, quando l’Amministrazioe Obama-Biden nel 2012 fece uscire un leak riguardo al piano israeliano di colpire i siti nucleari iraniani, di fatto facendo abortire l’attacco.
Una ulteriore domanda occorre farsela. I piani di Israele di cui gli americani sono attualmente al corrente sono quelli che esso conta di attuare, o sono in realtà una copertura, un depistamento, mentre l’attacco che avverrà realmente, già deciso, sarà diverso?
Netanyahu non può certo fidarsi di questa amministrazione, sa benissimo quale è il suo orientamento, conosce i precedenti, così come sa che in questo momento l’Iran si trova ad attraversare una fase di fragilità notevole dopo la decapitazione dei vertici di Hamas e di Hezboallh, culminata con la morte dei suoi leader carismatici, Yahya Sinwar e Hassan Nasrallah, con Hamas ridotto a brandelli nella Striscia e Hezbollah fortemente depotenziato a seguito dell’offensiva israeliana. È il momento favorevole, il migliore, per colpirlo, per fare ciò che già doveva essere fatto nel 2012 e che non fu possibile fare, è il momento di andare fino in fondo, sì, ma di nuovo, quando?
Tra meno di tre settimane si saprà chi guiderà gli Stati Uniti per i prossimi quattro anni, non è molto tempo, si può ancora attendere. Israele colpirà lo stesso l’Iran, indipendentemente da chi vincerà le elezioni il 5 novembre, ma una eventuale vittoria di Donald Trump darebbe a Netanyahu la lena necessaria per colpire in profondità il proprio nemico principale e forse, in questo modo. modificare struturalmente lo scenario mediorientale per molti anni a venire.

(L'informale, 21 ottobre 2024)

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Le condizioni di Israele per il cessate il fuoco in Libano

Il messaggio principale dell'IDF è che se l'esercito libanese e l'UNIFIL fanno di più, l'IDF farà di meno e viceversa.

di Sarah G. Frankl

Secondo un rapporto che descrive le richieste che Israele ha presentato alla Casa Bianca, Israele vuole essere in grado di imporre attivamente il disarmo di Hezbollah nel sud del Libano e di mantenere un accesso illimitato allo spazio aereo libanese nell’ambito di qualsiasi accordo di cessate il fuoco che ponga fine alla guerra.

Le richieste sono state incluse in un documento redatto da Israele e consegnato all’inviato della Casa Bianca Amos Hochstein in vista del suo viaggio odierno nella regione con l’obiettivo di mediare la fine dei combattimenti, riferisce Axios, citando funzionari statunitensi e israeliani.

Secondo il sito d’informazione statunitense, Israele vuole essere in grado di “applicare attivamente” la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che richiede che le Forze Armate Libanesi (LAF) siano l’unica forza armata nel Libano meridionale. Vuole anche avere la libertà di operare sullo spazio aereo libanese, di cui attualmente gode su base de facto.

Secondo Israele, la risoluzione è rimasta in gran parte inapplicata da quando è stata approvata nel 2006, consentendo a Hezbollah di costruire un formidabile arsenale di armi e capacità difensive, senza che né le forze di pace UNIFIL né le LAF siano disposte a sfidare il gruppo terroristico sostenuto dall’Iran.

Israele ha ripetutamente dipinto la sua offensiva nel sud del Libano come un intervento che fa il lavoro dell’UNIFIL al posto suo.

“Stiamo parlando della 1701 con una maggiore applicazione. Il nostro messaggio principale è che se l’esercito libanese e l’UNIFIL fanno di più, l’IDF farà di meno e viceversa”, ha dichiarato un funzionario israeliano.

Il sito riporta che gli Stati Uniti sostengono il rafforzamento del mandato dell’UNIFIL e delle LAF per contrastare meglio Hezbollah.

(Rights Reporter, 21 ottobre 2024)

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Libico progettava “attacco con armi da fuoco” all'ambasciata israeliana di Berlino

Un sospetto sostenitore dell'IS è stato arrestato vicino a Berlino. Secondo gli inquirenti, voleva compiere un “attacco di alto profilo” all'ambasciata.

BERLINO - La Procura federale ha arrestato un libico che avrebbe pianificato un attacco con armi da fuoco all'ambasciata israeliana di Berlino. L'arresto è avvenuto sabato sera a Bernau, vicino a Berlino, come ha annunciato domenica a Karlsruhe la massima autorità giudiziaria tedesca. Omar A. è un sostenitore dell'ideologia dell'organizzazione terroristica “Stato Islamico” (IS).
“Al più tardi dall'ottobre 2024 intendeva compiere un attacco di alto profilo con armi da fuoco contro l'ambasciata israeliana a Berlino”, ha proseguito la procura federale. L'uomo aveva scambiato informazioni con un membro dell'IS in una chat di messaggistica per pianificare il piano.
Domenica A. sarà portato davanti a un giudice istruttore della Corte federale di giustizia, che deciderà sulla sua detenzione preventiva. La Procura federale ha dichiarato che l'uomo era fortemente sospettato di sostenere un'organizzazione terroristica all'estero.

• La soffiata proviene da un servizio di intelligence straniero
  Secondo “Tagesschau”, il 28enne libico è stato arrestato dall'unità antiterrorismo GSG9 dopo che le autorità di sicurezza tedesche avevano ricevuto una soffiata da un servizio di intelligence straniero il giorno prima. Un portavoce della Procura Generale Federale ha inizialmente rifiutato di confermarlo.
Il quotidiano “Bild” (online) ha scritto che l'uomo arrestato era un richiedente asilo respinto. La polizia ha perquisito l'appartamento dell'accusato a Bernau. Inoltre, è stata perquisita l'abitazione di un non sospettato nel distretto di Rhein-Sieg, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, ha annunciato l'ufficio del procuratore federale.
Il Ministro degli Interni federale Nancy Faeser (SPD) ha spiegato che il raid delle autorità di sicurezza dimostra che la protezione delle istituzioni ebraiche e israeliane in Germania è vitale e della massima importanza. “Stiamo agendo con la massima vigilanza e attenzione in considerazione dell'alto livello di minaccia rappresentato dalla violenza islamista, antisemita e anti-israeliana”, ha sottolineato il ministro.

• Prosor ringrazia le autorità di sicurezza
  Il Ministro federale della Giustizia Marco Buschmann (FDP) ha ricordato che il Consolato generale di Israele a Monaco di Baviera è stato oggetto di un attacco islamista lo scorso settembre. “Le nostre forze di sicurezza continueranno a fare tutto ciò che è in loro potere per garantire che i pericolosi piani degli odiatori di Israele e degli antisemiti non si concretizzino”, ha scritto Buschmann su X.
L'ambasciatore israeliano Ron Prosor ha ringraziato le autorità di sicurezza tedesche. Ha spiegato su X: “L'antisemitismo musulmano non si limita alla retorica odiosa, ma promuove il terrorismo globale. I dipendenti dell'ambasciata israeliana sono particolarmente a rischio perché sono in prima linea nella diplomazia”.

• Richiesta: rafforzare i servizi di intelligence
  Konstantin von Notz, vice capogruppo dei Verdi, ha elogiato le autorità di sicurezza per aver sventato l'attacco. Tuttavia, è urgente rafforzarli: “Alla luce delle sfide attuali, dobbiamo parlare di un rafforzamento massiccio dei nostri servizi di intelligence in termini di fondi, personale e tecnologia”, ha dichiarato von Notz a Die Welt.
Anche il portavoce del gruppo parlamentare CDU/CSU per la politica interna, Alexander Throm, ha dichiarato: “I nostri servizi hanno bisogno di maggiori poteri nella sfera digitale per affrontare le sfide attuali in un periodo di guerre e minacce terroristiche”.
Il presidente della Società tedesco-israeliana, Volker Beck, ha parlato di un “campanello d'allarme”. “Dobbiamo finalmente prendere sul serio l'antisionismo islamista che minaccia lo Stato”, ha chiesto.

(Israelnetz, 21 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Individuati trenta soggetti legati a Hamas in sette paesi europei

di Nathan Greppi

Lo European Leadership Network (ELNET) ha pubblicato un rapporto che descrive in dettaglio la portata dell’infiltrazione e dell’influenza di Hamas in Europa.
  “I risultati sono allarmanti”, si legge in una nota di ELNET in merito al rapporto, che ha rivelato i nomi di 30 individui e organizzazioni affiliate ad Hamas in sette paesi europei. I risultati del rapporto sono stati confermati dall’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.

• IL REPORT
  Anche se Hamas è un’organizzazione terroristica e riconosciuta come tale dall’Unione Europea, le organizzazioni e le persone identificate nel rapporto raccolgono fondi, reclutano membri e diffondono liberamente disinformazione per essa. Riescono a bypassare i quadri giuridici mantenendo segreti i loro legami con Hamas o, quando vengono scoperti e smascherati, creando nuove organizzazioni di facciata per nascondere la loro identità.
  Oltre a singole organizzazioni, ELNET ha identificato reti di vari enti, tra cui la Palestinians in Europe Conference (EPC), che ospita eventi annuali con relatori affiliati ad Hamas, lo European Palestinian Council for Political Relations (EUPAC), creato da individui legati ad Hamas, il Palestinian Return Centre (RPC) nel Regno Unito, l’ABSPP in Italia e il VPNK in Germania.
  Emmanuel Navon, CEO di ELNET, ha dichiarato: “Alla luce di questi risultati, ELNET esorta i governi europei ad agire rapidamente, indagando a fondo e chiudendo queste organizzazioni affiliate ad Hamas, al fine di impedirle di destabilizzare ulteriormente sia il Medio Oriente che l’Europa”. Ha inoltre aggiunto: “Le banche e le istituzioni finanziarie devono monitorare attentamente le attività degli individui nominati nei report, e rivedere i loro legami finanziari per prevenire ulteriori sostegni alle attività terroristiche”.
  “ELNET invita inoltre gli istituti di ricerca e i think tank a contribuire ad esporre queste attività al pubblico e a garantire che le reti di raccolta fondi di Hamas in Europa vengano smantellate”, ha concluso Navon.

• LA SITUAZIONE IN ITALIA
  L’ABSPP (Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese), il cui presidente Mohammad Hannoun è stato recentemente sanzionato dagli Stati Uniti in quanto finanziatore di Hamas, in passato è già stata al centro di controversie: nell’aprile 2017, ha organizzato il Festival della Solidarietà Palestinese a Milano, Brescia e Verona. Tra i loro ospiti, figurava Mohammad Moussa Al Sharif, teologo islamico saudita che ha difeso i matrimoni con bambine sotto i 14 anni e accusato cristiani, atei e “fornicatori” di essere una minaccia ai diritti umani. Un altro ospite controverso era Riyad al-Bustanji, che in un’intervista del 2012 all’emittente televisiva Al-Aqsa raccontava di aver portato la figlia a Gaza perché imparasse ad educare i suoi bambini alla Jihad e al martirio.
  Un’altra organizzazione con sede in Italia ad essere finita nella lista di ELNET è l’agenzia di stampa Infopal, ritenuta talmente estrema che in passato ne ha preso le distanze persino Mariano Mingarelli, presidente di una onlus filopalestinese di Firenze, il quale in un’intervista al Corriere Fiorentino del 2010 ammetteva che ci fossero dei veri antisemiti nella redazione di Infopal.

(Bet Magazine Mosaico, 21 ottobre 2024)

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Il dopo-Sinwar: tregua o ultima spallata a Hamas?

L’eliminazione del capo di Hamas Yahya Sinwar, ucciso a Rafah il 16 ottobre, apre un interrogativo sul futuro della guerra a Gaza contro Hamas: quanto durerà ancora? Da una parte, in particolare i famigliari degli ostaggi chiedono al governo israeliano di sfruttare il momento di debolezza del gruppo terroristico per siglare un accordo e riportare a casa i 101 rapiti ancora prigionieri a Gaza. Dall’altra nell’esecutivo e nell’opinione pubblica c’è chi vuole continuare la missione per smantellare Hamas ora che ha perso il suo leader, l’architetto delle stragi del 7 ottobre. La sua uccisione rappresenta una vittoria contro il male, hanno sottolineato Gerusalemme e molti governi alleati, anche se in alcune piazze italiane manifestanti pro palestinesi hanno provato a definire il terrorista Sinwar un eroe.
  Per Washington la sua eliminazione è stata «un momento di giustizia e un’opportunità». L’amministrazione Biden sostiene l’opzione di una tregua immediata, esclusa per il momento da Israele. «Non ci sarà nessun progresso sostanziale nei colloqui per il cessate il fuoco finché non avremo finito con l’Iran», afferma una fonte governativa a ynet.
  Israele da settimane prepara la risposta al regime di Teheran per l’attacco del 1 ottobre. Una risposta che si prevede ancor più dura dopo quanto accaduto nelle ultime 24 ore: il tentativo di colpire direttamente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. L’obiettivo era la sua casa privata a Cesarea, presa di mira da tre droni lanciati da Hezbollah dal Libano. Due sono stati intercettati, ma il terzo è esploso nella cittadina a nord di Tel Aviv. «Gli agenti dell’Iran che hanno cercato di assassinare me e mia moglie oggi hanno commesso un grave errore», ha commentato Netanyahu. Al momento dell’attacco la casa di Cesarea era vuota, ma rimane la gravità dell’episodio. «È essenzialmente un attacco contro lo stato d’Israele e i suoi simboli», ha commentato il ministro della Difesa Yoav Gallant. «Continueremo ad attaccare qualsiasi attore terroristico e colpire con forza qualsiasi nemico che tenti di danneggiarci», ha affermato Gallant. «Le nostre azioni in tutto il Medio Oriente», ha aggiunto, «lo hanno dimostrato finora e sarà così anche in futuro». Azioni concentrate nelle ultime settimane nel nord, dove la guerra con Hezbollah prosegue. I razzi dei terroristi libanesi rappresentano una minaccia costante: nelle ultime 24 ore quasi duecento sono stati sparati contro l’area di Haifa e della Galilea Occidentale. Un uomo, Alexei Popov, 51 anni, è morto ieri per le schegge di un razzo, mentre cercava riparo a bordo di una strada. Nell’esprimere il suo cordoglio, Gallant ha ribadito che l’operazione per mettere in sicurezza il nord d’Israele non si fermerà. I soldati di Tsahal stanno combattendo nel sud del Libano per smantellare le infrastrutture di Hezbollah, mentre l’aviazione militare continua nelle eliminazioni mirate dei leader del movimento.

(moked, 20 ottobre 2024)

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Sinwar: come è stato eliminato e cosa accade ora

di Ugo Volli

• LA FINE DI UN ASSASSINO
  Yahya Sinwar, il capo di Hamas, è stato eliminato mercoledì scorso a Tal El Sultan, un quartiere della città di Rafah, a poco più di un chilometro dal confine con l’Egitto. È un risultato importante sul piano della giustizia, perché Sinwar era stato l’organizzatore e il principale responsabile delle stragi del 7 ottobre, era un torturatore crudele e un assassino, aveva deciso personalmente l’orribile trattamento delle persone rapite, era soprannominato dai palestinesi “il macellaio di Kahn Yunis” non per il male che aveva fatto agli israeliani ma per quello che aveva inflitto agli abitanti arabi di quella città. Ma la sua morte è anche un fatto rilevante sul piano politico e militare, perché Sinwar, da molti anni leader di Hamas a Gaza, ne aveva preso in mano direttamente anche il comando militare dopo l’eliminazione il 30 luglio del precedente responsabile Mohammed Deif e inoltre era stato nominato presidente dell’ufficio politico di Hamas dopo che era stato ucciso all’inizio di luglio Ismail Haniyeh, il leader politico di Hamas. Era l’uomo di fiducia degli iraniani: cosa che non si può dire del suo probabile successore in quest’ultima carica di Khaled Meshal, che è piuttosto l’uomo dei turchi nella leadership di Hamas; ma ci sono altri candidati come Khalil al-Hayya e il fratello di Sinwar, comandante terrorista della zona sud di Gaza. Ma con la sua figura truce e sanguinosa e con la sua lunga clandestinità a Gaza, Yahya Sinwar era anche un’autorità indiscussa fra i terroristi sul campo e un punto di riferimento per tutti i sostenitori della distruzione di Israele. È stato compianto non solo dall’“asse della resistenza”, ma anche da Turchia, Autorità Palestinese e dai filoterroristi di mezzo mondo, inclusa l’Italia. Non c’è dubbio che questo sia il colpo più duro per l’asse anti-israeliano, anche più dell’eliminazione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah.

• COME È STATO LIQUIDATO SINWAR
  L’operazione, secondo i resoconti israeliani, è stata un risultato inatteso del pattugliamento di Rafah ad opera dei carristi di leva della 828ᵃ brigata; non vi sono stati coinvolti né i servizi di informazione (quello militare Haman e quello interno Shanak, che hanno competenza su Gaza, dove non opera il Mossad), che hanno ancora difficoltà a penetrare la rete di Hamas. I soldati di pattuglia hanno notato mercoledì tre terroristi in fuga verso il confine, li hanno inseguiti ed eliminati senza sapere di chi si trattasse. Solo il giorno dopo, ispezionando la casa che avevano colpito si sono accorti che uno di loro era probabilmente Sinwar e un altro Mahmoud Hamdan, comandante della brigata di Hamas a Tal al Sultan – identificazioni poi confermate. Sono dettagli significativi perché danno ragione a Netanyahu e al governo israeliano che si è battuto contro tutti per occupare Rafah il corridoio “Filadelfi” al confine con l’Egitto e continuare a ispezionarle per eliminare tutti i terroristi. Avevano invece torto i molti (fra gli altri Biden, Harris, Macron, Guterres, Putin, l’Egitto, l’Unione Europea, tutta la sinistra del mondo inclusa quella italiana e in parte anche il nostro governo), che profetizzavano grandi disastri se Israele fosse entrato nell’ultima roccaforte di Hamas. Fra costoro c’è chi per Rafah ha minacciato e anche attuato un blocco dei rifornimenti militari all’esercito israeliano. Il disastro c’è stato, ma per Hamas. È una grande fortuna per Israele avere un primo ministro come Netanyahu che non si piega allo spirito di resa (la “sindrome dell’appeasement”) della leadership europea e americana.

• CHE SUCCEDE ORA
  Molti politici e commentatori, anche qualcuno non pregiudizialmente ostile all’autodifesa di Israele, hanno sostenuto che la morte di Sinwar aprisse una “finestra di opportunità” per la conclusione della guerra o almeno una tregua e la liberazione dei rapiti, purché Israele desse segnali di “moderazione”, per esempio rinunciando ad attaccare l’Iran in risposta ai bombardamenti recenti e considerasse di aver ottenuto il proprio obiettivo, liquidando il capo di Hamas. Non è così. Innanzitutto i segnali che vengono con numerose dichiarazioni dall’Iran e da Hamas (che grazie al lavoro di questi mesi non ha la forza di cercare di vendicarsi con nuovi missili), e da Hezbollah anche con nuovi bombardamenti di droni e missili incluso il tentativo di colpire la casa di Netanyahu, sono del tutto negativi.

• LA POSIZIONE ISRAELIANA
  Ma anche da parte israeliana, la guerra iniziata dopo il pogrom del 7 ottobre non è motivata da ragioni di giustizia e neppure può limitarsi alla liberazione degli ostaggi. Israele non vuole neppure conquistare nuovi territori. Cerca semplicemente di compiere il dovere fondamentale di ogni stato, garantire la sicurezza dei propri cittadini. Per questo scopo essenziale la guerra continua, come ha detto Netanyahu, anche in questo momento sul terreno, fin che ci saranno terroristi in libertà. Ma non basta aver distrutto largamente la forza militare di Hamas e in parte notevole anche quella di Hezbollah. Occorre completare il loro disarmo, sradicarli dai territori vicino a Israele dove sono ancora insediati, deradicalizzare la popolazione palestinese e sciita che come mostrano i sondaggi li appoggia largamente. E bisogna anche tagliare le unghie della testa della piovra terrorista, che è lo stato teocratico dell’Iran. Il problema è l’Iran Hezbollah e Hamas (e gli Houti, e la dittatura siriana e i terroristi iracheni, quelli sudanesi ecc.) non sarebbero pericolosi se non fossero finanziati e armati dall’Iran, con l’appoggio di Russia e Cina. Anche se sconfitti, potrebbero presto risorgere se l’Iran continuasse nella sua politica della “cintura di fuoco” intorno a Israele, ricominciando ad armarli, allenarli, finanziarli. L’Iran, sessanta volte più vasto di Israele e dieci volte più popolato, lavora da decenni per procurarsi la bomba atomica che lo renderebbe inattaccabile. È uno stato clericale e dittatoriale che opprime la sua popolazione; è guidato dal piano imperialista di dominare tutto il Medio Oriente, distruggere Israele e mettersi a capo dell’Islam nella conquista del mondo. Perfino l’amministrazione Biden che sulle tracce di Obama ha cercato a lungo di fare accordi con esso, concorda oggi che l’Iran non deve avere l’atomica. Ma ha esplicitamente proibito a Israele, che pure come paese aggredito ne ha il diritto, di cercare di eliminarne gli impianti nucleari. Ora è il momento in cui è possibile farlo, anche se al costo probabile di una rappresaglia pesante. Solo eliminando la minaccia atomica dell’Iran la guerra sarebbe davvero finita e con essa l’aggressione islamista all’Occidente. Si aprirebbe un quadro politico del tutto diverso, di pace e benessere per tutto il Medio Oriente. Il governo israeliano è di fronte a una scelta molto difficile, come fu difficile entrare a Rafah contro l’opposizione di tutti. Vedremo nelle prossime settimane, mentre si avvicina l’appuntamento decisivo delle elezioni americane, quali saranno le sue scelte.

(Shalom, 20 ottobre 2024)

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Gli ebrei come popolo e individui

di Marcello Cicchese

«Gli ebrei sono avari; gli ebrei hanno ucciso Gesù; gli ebrei non credono in Gesù». Sono frasi che sono state dette e forse si dicono ancora. Ma per valutarne il grado di aderenza alla realtà bisogna analizzarne anzitutto la portata semantica. Che cosa s’intende esattamente quando si dice “gli ebrei”? Tutti gli ebrei di tutti i tempi? Tutti gli ebrei di un certo periodo storico? Tutti gli ebrei oggi viventi? Se, come è probabile, si risponde “no”, a tutte le domande, si pone allora il problema di individuare il soggetto collettivo a cui si applicano certe frasi, anche perché di solito attribuiscono una responsabilità e invocano implicitamente un’adeguata reazione. Esiste un soggetto collettivo chiamato “popolo ebraico” che mantiene un’identità nel corso dei secoli e nella varietà dei contesti geografici e culturali? E in caso di risposta positiva, in che cosa consiste questa identità? Non è facile rispondere a simili domande, e infatti le risposte sono moltissime, anche da parte degli ebrei. Di fatto accade che molti scelgono una proprietà negativa che a loro sembra di aver osservato in alcuni ebrei, la elevano a caratteristica identitaria del popolo e fanno mostra di benevolenza  precisando che “però non tutti gli ebrei sono così”: qualcuno si salva. Le virtù sono individuali, i vizi sono collettivi.
  La Bibbia distingue tra popolo e individui. Israele è, e rimane sempre, il popolo eletto di Dio, ma per beneficiare delle benedizioni promesse al popolo i singoli membri devono conformarsi alle condizioni poste da Dio nel momento della storia in cui vivono. A questa distinzione accenna Gesù quando parla di Natanele come “un vero Israelita in cui non c’è frode“ (Giovanni 1:47) e anche l’apostolo Paolo quando scrive: “non tutti i discendenti d’Israele sono Israele” (Romani 9:6).
  La Bibbia però usa anche un altro termine collettivo: quello di generazione. Mentre il popolo è uno, nel tempo e nello spazio, le generazioni si susseguono:

    “Una generazione se ne va, un’altra viene, e la terra sussiste per sempre” (Ecclesiaste 1:4).
    “Dio disse ancora a Mosè: «Dirai così ai figli d’Israele: “Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe mi ha mandato da voi”. Tale è il mio nome in eterno; così sarò invocato di generazione in generazione.»” (Esodo 3:15).
    “Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (Deuteronomio 5:9-10.

Dio non ha rigettato e non rigetterà mai il popolo che si è formato (Isaia 43:21), ma può far cadere il suo giudizio su una generazione che si rifiuta di ascoltare la sua Parola. Quando il popolo accampato nel deserto di Paran udì le relazioni dei dodici uomini mandati ad esplorare il paese di Canaan, dimenticò le promesse del Signore, si lasciò convincere dalle terrificanti descrizioni di dieci dei dodici esploratori e prese la decisione di tornare in Egitto. A questo punto Dio si adirò e manifestò l’intenzione di distruggere il popolo, ma per l’intercessione di Mosè cambiò il suo proposito e fece cadere il suo giudizio soltanto su quella generazione. Tutto il popolo però dovette subire le conseguenze di quella disubbidienza e fu costretto a camminare per quarant’anni nel deserto. Prima di entrare nella terra promessa Mosè ricordò al popolo queste cose:

    “Il Signore udì le vostre parole, si adirò gravemente e giurò dicendo: «Certo, nessuno degli uomini di questa malvagia generazione vedrà il buon paese che ho giurato di dare ai vostri padri, salvo Caleb, figlio di Gefunne. Egli lo vedrà. A lui e ai suoi figli darò la terra sulla quale egli ha camminato, perché ha pienamente seguito il Signore»” (Deuteronomio 1:34-36).

La generazione uscita dall’Egitto dunque fu condannata, ma il popolo fu risparmiato e continuò a sussistere grazie a un residuo di israeliti ubbidienti a cui Dio fece grazia.
  I fatti avvenuti nel deserto di Paran possono essere considerati un’anticipazione profetica di quello che avvenne in seguito alla venuta del Messia. Mosè infatti aveva parlato di “un profeta come me”, che Dio avrebbe mandato e a cui il popolo avrebbe dovuto dare ascolto:

    “Per te il Signore, il tuo Dio, farà sorgere in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta come me; a lui darete ascolto! Avrai così quello che chiedesti al Signore tuo Dio, in Oreb, il giorno dell’assemblea, quando dicesti: «Che io non oda più la voce del Signore mio Dio, e non veda più questo gran fuoco, affinché io non muoia». Il Signore mi disse: «Quello che hanno detto, sta bene; io farò sorgere per loro un profeta come te in mezzo ai loro fratelli, e metterò le mie parole nella sua bocca ed egli dirà loro tutto quello che io gli comanderò. Avverrà che se qualcuno non darà ascolto alle mie parole, che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto” (Deuteronomio 18:15-19).

A questo passo fece riferimento Stefano nel suo appassionato discorso davanti al Sinedrio d’Israele:

    “Questo Mosè che avevano rinnegato dicendo: “Chi ti ha costituito capo e giudice?”, proprio lui Dio mandò loro come capo e liberatore con l’aiuto dell’angelo che gli era apparso nel pruno. Egli li fece uscire, compiendo prodigi e segni nel paese d’Egitto, nel mar Rosso e nel deserto per quarant’anni. Questi è il Mosè che disse ai figli d’Israele: “Dio vi susciterà, tra i vostri fratelli, un profeta come me”. Questi è colui che nell’assemblea del deserto fu con l’angelo che gli parlava sul monte Sinai e con i nostri padri, e che ricevette parole di vita da trasmettere a noi. Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, lo respinsero, e si volsero in cuor loro verso l’Egitto” (Atti 7:35-39).

Gesù è “il profeta come me” di cui parlava Mosè, e infatti cominciò il suo ministero presentandosi al popolo come un profeta che annuncia l’imminente venuta del Regno di Dio e invita le persone al ravvedimento e alla fede.  Poi, con le sue parole e le sue opere, esibì chiari segni della sua messianità, ma dopo un’iniziale consenso popolare incontrò una reazione sempre più violenta da parte delle autorità religiose.
  Interessanti sono alcune analogie tra  i fatti di Paran e quelli descritti nei Vangeli. Davanti all’incredulità e ai mormorii del popolo, a un certo punto il Signore esclama:

    “Fino a quando sopporterò questa malvagia comunità che mormora contro di me?” (Numeri 14:27).

Una reazione simile ebbe anche Gesù davanti al popolo che metteva in dubbio le sue parole e continuava ad esigere segni della sua messianità:

    “Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò?»” (Matteo 17:17).

Giosuè e Caleb ricordarono al popolo le promesse di Dio e cercarono di indurlo a non ribellarsi a Lui, ma “tutta la comunità parlò di lapidarli”. In quel momento “la gloria del Signore apparve sulla tenda di convegno a tutti i figli d’Israele” (Numeri 14:10).
  Anche a  Stefano, nel momento in cui subiva la reazione furente alle sue parole di “tutti quelli che sedevano nel Sinedrio” (Atti 6:15), apparve la  gloria di Dio:

    “Essi, udendo queste cose, fremevano di rabbia in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra, e disse: «Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio»” (Atti 7:54-56).

Dopo di che ci fu la reazione:

    “Ma essi, mandando alte grida, si turarono gli orecchi e tutti insieme si avventarono sopra di lui;f e, cacciatolo fuori dalla città, lo lapidarono. E i testimoni deposero le loro vesti ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. Così lapidarono Stefano, che invocava Gesù e diceva: «Signor Gesù, ricevi il mio spirito». Poi, postosi in ginocchio, gridò ad alta voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». E, detto questo, si addormentò” (Atti:57-60).

Ma l’analogia più importante sta nel fatto che sia Mosè, sia Gesù hanno interceduto per il popolo peccatore:

    “Il Signore è lento all’ira e grande in bontà; egli perdona l’iniquità e il peccato, ma non lascia impunito il colpevole e punisce l’iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e alla quarta generazione. Perdona, ti prego, l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua bontà, come hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui».” (Numeri 14:18, 19)
    “Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte” (Luca 23:34).

La risposta data a Mosè fu:

    “Il Signore disse: «Io perdono, come tu hai chiesto” (Numeri 14:20).

Possiamo pensare che a suo Figlio il Padre possa aver detto una risposta diversa? Certamente no. Si può dire anzi che il perdono concesso al popolo nel deserto fu possibile proprio perché un giorno il Figlio di Dio avrebbe chiesto al Padre di perdonare i suoi nemici, offrendo Sé stesso come vittima espiatrice per i peccati del popolo.
  Al tempo di Mosè dunque il popolo in quanto tale fu perdonato, e questo si può riconoscere nel fatto che i bambini poterono entrare in seguito nella Terra promessa. Ma la generazione degli adulti fu condannata e non vi poté entrare, eccetto i pochi che erano rimasti fedeli alla Parola del Signore.
  Questo offre una corretta chiave di lettura di quello che accadde al tempo di Gesù. Dio ha permesso, anzi ha voluto, che il suo diletto Figlio morisse in croce perché proprio quello era il piano che aveva stabilito per riscattare il suo popolo e renderlo, attraverso la predicazione di Gesù che ne avrebbero fatto i suoi testimoni, strumento di salvezza per tutte le genti. Ma la generazione che aveva bestemmiato contro lo Spirito Santo (Matteo 12:31) attribuendo le opere di Gesù al potere di Satana e aveva consegnato il suo Messia nelle mani dei nemici di Israele, non poteva che essere giudicata e condannata.
  E’ chiaro che quando Dio castiga una generazione del suo popolo, le generazioni successive ne portano le conseguenze, ma non la colpa. L’antisemitismo cristiano si fonda per l’appunto sulla diabolica convinzione che l’intero popolo ebraico, in tutta la sua  estensione spaziale e temporale, porti la colpa dei fatti commessi dalla generazione del tempo di Gesù, con tutte le conseguenze. Le motivazioni “teologiche” portate da persone come Lutero e Bonhoeffer, lungi dall’attenuare la gravità dell’antisemitismo, ne rivelano la natura diabolica, perché attribuiscono a Dio una volontà  che appartiene invece al suo Avversario. Si rilegga  la frase di Bonhoeffer:

    «Nella Chiesa di Cristo non abbiamo mai perso di vista l'idea che il "popolo eletto", che crocifisse il Salvatore del mondo, debba scontare la malvagità di tale azione con una storia irta di sofferenze.»

Vedere espressa, in una forma così garbata, al tempo di un Adolf Hitler, una visione teologica degli ebrei sostanzialmente simile a quella violenta di un Martin Lutero, può far capire come mai le chiese cristiane siano state così ottuse e inerti davanti ai fatti che portarono all’orrore dell’Olocausto.
  Riassumendo, per quanto riguarda popolo, generazione e singoli, con la morte e la risurrezione di Gesù è avvenuto questo: il popolo d’Israele è stato perdonato; la generazione di quel tempo è stata giudicata; i singoli, ebrei e gentili, hanno avuto ed hanno tuttora la possibilità di essere personalmente salvati e diventare figli di Dio se ricevono Gesù e credono nel suo nome (Giovanni 1:12), cioè se, riconoscendosi peccatori, lo accolgono per quello che Dio ha voluto e vuole che sia: l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Giovanni 1:29), il Messia d’Israele (Giovanni 1:41), il Salvatore del mondo (1 Giovanni 4:14), il Signore, alla gloria di Dio Padre (Filippesi 2:11).

(da "La superbia dei Gentili")



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Tre droni, l’intercettazione dell’elicottero israeliano e il significato simbolico

Cosa sappiamo dell’attacco di Hezbollah contro la villa di Netanyahu a Cesarea.

di Paolo Brera

TEL AVIV - Hezbollah ha spedito un drone per uccidere il premier israeliano Benjamin Netanyahu. È una risposta diretta e contraria all’attacco con cui gli israeliani hanno eliminato il loro leader, Nasrallah, colpendolo nel suo bunker a Beirut. Ma è una risposta simbolica, più che reale: certamente “mirava alla sua villa di Cesarea”, e quasi certamente l’ha centrata (non è confermato, ma neanche smentito). Bibi e la moglie però “non si trovavano lì”, e “non ci sono feriti”.

• L’ATTACCO CON TRE DRONI
  Ancora una volta Hezbollah ha usato la tattica del tre: ha inviato tre droni tentando di bucare contemporaneamente l’Iron Dome. E anche oggi - come già era successo nel raid contro la base militare Golani ad Haifa, in cui sono morti quattro giovani soldati israeliani colpiti nel refettorio – due dei tre droni sono stati abbattuti dal sistema difensivo aereo israeliano, ma uno lo ha bucato ed è riuscito a volare dritto sull’obiettivo. Non sappiamo quale fosse il target degli altri due.

• L’INTERCETTAZIONE CON L’ELICOTTERO
  L’attacco è stato subito identificato dai radar israeliani, e nel nord era scattato l’allarme aereo e l’invito a recarsi subito nei bunker. Un video ha catturato nitidamente il drone che avanza velocissimo a bassa quota, volando su terra ma parallelamente alla costa. Un elicottero, alzato in volo proprio come intercettore, è lentissimo al confronto: il drone gli sfila accanto, si sentono le sirene dell’allarme suonare, ma nulla ne contrasta l’avanzata. Attraverserà Haifa da nord verso sud, e poi proseguirà fino a Cesarea diretto al suo obiettivo.

• L’OBIETTIVO COLPITO
  Un alto funzionario del governo israeliano ha riferito alla tv Channel 12 che "l'Iran ha cercato di eliminare il primo ministro Benyamin Netanyahu". Inizialmente Tel Aviv non aveva chiarito neanche se l’obiettivo era stato centrato e con quali danni, ma si era limitata a far sapere che “non ci sono feriti”. I fotoreporter accorsi sono tenuti a distanza dalla villa del premier, che si trova nella zona in cui è avvenuta l’esplosione. Secondo i media arabi, che avevano per primi diffuso la notizia, sarebbe stato centrato il tetto della villa di Netanyahu.
  Israele dapprima si era limitato a confermare che il drone aveva colpito “una casa a Cesarea”. I residenti della zona raccontano di avere sentito un forte boato all’ora in cui stavano uscendo per andare in Sinagoga per le celebrazioni del sabato. Un boato che non sarebbe stato preceduto da nessun allarme: evidentemente le sirene erano suonate solo più a nord, fermandosi ad Haifa.

• LA VILLA DI NETANYAHU
  La villa dei coniugi Netanyahu a Cesarea è un grande edificio bianco con un ampio colonnato e una piscina, ed è circondata da un parco rigoglioso. Il premier è stato spesso contestato per le notevoli spese di manutenzione ordinaria e straordinaria della villa da 20 milioni di sicli, 5 milioni di euro, caricate sul bilancio dello Stato insieme a quelle per le altre residenze che possiede. Oltre alle spese annuali, nel 2020 l’ufficio del Primo Ministro ha approvato un investimento di 400mila euro proprio per ristrutturare la villa di Netanyahu a Cesarea, eliminando “gravi lacune nella sicurezza che richiedono un intervento immediato”.

• IL VERO OBIETTIVO DI HEZBOLLAH
  Dal 2009 però Netanyahu vive stabilmente nella residenza ufficiale di Gerusalemme, un attico da 10 milioni di sicli. Nella città santa ha a disposizione anche una terza residenza, la casa ereditata insieme al fratello. È probabile che Hezbollah abbia scelto di colpire proprio stamattina contando sulla possibilità che il premier avesse scelto di trascorrere lì la festività ebraica del sabato. Ma il vero obiettivo dell’azione è chiaramente simbolico. Colpire la persona, il leader, allo stesso modo in cui Israele sta eliminando uno a uno i leader delle forze con cui combatte: dal capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran; al leader sciita libanese Hassan Nasrallah, ucciso nel suo bunker a Beirut; fino al capo di Hamas che ha architettato e condotto il 7 ottobre, Yahya Sinwar, ucciso a Rafah.
  Il messaggio è chiaro: rispondere con la stessa moneta retorica, avvertendo i leader di Israele che neppure loro potranno dormire serenamente: sono personalmente e direttamente nel mirino.

(la Repubblica, 19 ottobre 2024)

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L’Iran teme una trappola israeliana. Nucleare nel mirino

di Yoni Ben Menachem

A quanto pare Israele non ha ancora deciso i tempi dell’attacco all’Iran, ma la leadership iraniana è sotto pressione. Capisce che è impossibile cancellare l’attacco e cerca di ridurne le dimensioni facendo trapelare ai media indiscrezioni, secondo cui, se l’attacco israeliano non sarà eccessivamente grande, potrebbe contenerlo e non reagire contro Israele.
Le stesse fonti sottolineano che l’Iran teme una trappola israeliana. Sospetta che tutte le pubblicazioni e le speculazioni sugli obiettivi dell’attacco israeliano in Iran siano inganno e frode, e che Israele stia pianificando di sfruttare l’opportunità storica in cui ha legittimità internazionale, dopo l’attacco missilistico iraniano contro di esso, per attaccare i suoi principali impianti nucleari.
I commentatori dei paesi arabi affermano che non si può escludere la possibilità che Israele stia ingannando anche Washington, e che il primo ministro Benjamin Netanyahu non ha dato al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, nella sua ultima telefonata, alcun impegno esplicito affinché Israele si astenga dall’attaccare i siti nucleari iraniani. o impianti dell’industria petrolifera.
Il leader supremo dell’Iran, Ali Khamenei, ha inviato il suo ministro degli Esteri Abbas Arakji in un tour itinerante in diversi paesi arabi come Iraq, Oman ed Egitto nel tentativo di trovare una soluzione alla crisi.
Gli iraniani sono anche sotto pressione a causa delle sanzioni che gli Stati Uniti hanno imposto all’Iran in seguito all’attacco con missili balistici contro Israele del 1° ottobre. Le sanzioni sono progettate per danneggiare i settori petrolifero e petrolchimico iraniano e, secondo gli americani, sono studiate per impedire al regime iraniano di generare entrate significative che vengono utilizzate per finanziare programmi nucleari, missilistici e attività terroristiche.
Secondo fonti americane, l’Iran non ha ancora ricevuto alcuna garanzia che l’attacco israeliano non coinvolgerà i siti nucleari presenti sul suo territorio o gli impianti dell’industria petrolifera. Fonti di intelligence occidentali affermano che l’Iran teme che l’amministrazione Biden non riesca a convincere Netanyahu a non attaccare il suo programma nucleare, soprattutto alla luce del fatto che Hezbollah ha perso gran parte della sua potenza militare e non può più fungere da deterrente per Israele.
Gli Stati Uniti hanno chiarito a Israele che si oppongono all’attacco ai siti nucleari e agli impianti petroliferi iraniani, ma, come accennato, non hanno ricevuto alcuna promessa da Israele che si asterrà dal farlo.
Fonti della sicurezza affermano che l’attesa dell’attacco israeliano crea disagio e frustrazione nella leadership iraniana, e la piazza iraniana è preoccupata anche per la possibilità di un attacco agli impianti petroliferi, che danneggerebbe gravemente l’economia iraniana.
Preoccupazione circonda anche i Paesi del Golfo, dopo che l’Iran ha annunciato che se Israele attacca i suoi impianti petroliferi, risponderà con un attacco all’industria petrolifera dei Paesi del Golfo. Vogliono rimanere fuori dal conflitto tra Israele e Iran.
L’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti hanno informato l’Iran e gli Stati Uniti che non permetteranno a Israele di utilizzare il loro spazio aereo per attaccare l’Iran. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti hanno esortato l’Iran a non farlo per rispondere all’attacco israeliano. L’amministrazione Biden sta cominciando a fare i conti con il fatto che un attacco israeliano all’Iran è inevitabile e teme che ciò porterà a una guerra regionale.
Fonti dell’intelligence occidentale affermano che Khamenei è sotto pressione interna da parte dei comandanti delle “Guardie Rivoluzionarie” per cambiare la politica nucleare iraniana e per approvare pubblicamente la produzione della prima bomba nucleare iraniana. Chiedono che revochi ufficialmente la fatwa da lui emessa, che vieta la produzione di armi nucleari.
Gli alti funzionari della sicurezza in Israele temono che l’Iran approfitterà del periodo di transizione tra le elezioni presidenziali americane di novembre e gennaio, quando il presidente eletto entrerà alla Casa Bianca, per prendere una decisione sulla produzione di armi nucleari, cosa che renderà difficile per l’amministrazione americana formulare una risposta adeguata a tale decisione.
Le stesse fonti spiegano che il timore potrebbe realizzarsi soprattutto se Donald Trump verrà eletto presidente. Gli iraniani hanno una lunga relazione con Trump, che ha ordinato l’assassinio di Qasem Soleimani, ha  fatto uscire gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare e ha imposto pesanti sanzioni a Teheran.

(Rights Reporter, 19 ottobre 2024)

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Finire il lavoro

di Niram Ferretti

A marzo, Joe Biden dichiarava che un ingresso delle truppe israeliane a Rafah, avrebbe costituito una “linea rossa”, seguito a ruota dalla vicepresidente Kamala Harris, ora candidata alla presidenza degli Stati Uniti, la quale affermava che avendo “studiato le mappe”, una operazione militare a Rafah non era praticabile.
  Gli Stati Uniti facevano da mosca cocchiera per il coro unanime internazionale che profetava un disastro di proporzioni apocalittiche se Israele avesse fatto il suo ingresso nella cittadina a sud di Gaza. Nonostante gli avvisi, o meglio, le intimazioni, a maggio Israele iniziava a Rafah l’operazione militare avente l’obiettivo di smantellare uno dei battaglioni ancora intatti di Hamas che vi si trovava asserragliato. Secondo le informazioni in suo possesso, a Rafah si nascondeva anche il leader di Hamas, Yahya Sinwar, ed è infatti lì che ieri è stato ucciso dalle forze dell’IDF mettendo finalmente fine alla sua epopea criminale.
  Se Netanyahu avesse dato retta alle intimazioni americane, oggi, con ogni probabilità, Sinwar sarebbe ancora in vita. Nulla di quanto previsto dal coro degli avversatori dell’operazione ha preso corpo, ma adesso il coro ha cambiato musica e si elogia Israele per avere ucciso l’architetto del 7 ottobre.
  A posteriori, la strategia perseguita da Netanyahu e dai vertici militari al suo comando, si è rivelata vincente, lo rafforza politicamente e indebolisce il ruolo e il peso dell’Amministrazione Biden, che in questo anno trascorso dall’inizio della guerra ha tentato in tutti i modi di commissariarla e di avviarla lungo la propria traiettoria, che non era, non è quella di Israele.
  Netanyahu ha condotto il gioco con grande abilità, concedendo al suo principale alleato quello che poteva, anche al prezzo di rallentare la guerra e di avvantaggiare Hamas, permettendo l’ingresso nella Striscia delle derrate alimentari che, in buona parte, Hamas ha saccheggiato, e quindi aprendo ai negoziati per la liberazione degli ostaggi, che gli americani hanno voluto a tutti i costi, ma che il premier israeliano sapeva non avrebbero condotto da nessuna parte a causa dell’irricevibilità delle richieste dell’organizzazione jihadista.
  Nel discorso fatto ieri, dopo l’uccisione di Sinwar, Netanyahu si è rivolto quindi retoricamente a Hamas chiedendogli di deporre le armi e di liberare gli ostaggi, ben sapendo che ciò non avverrà e dando, anche in questo caso, un contentino al presidente americano uscente.
  Finora la ragione è dalla sua parte, la decapitazione progressiva dei vertici di Hamas e lo smantellamento della sua struttura operativa all’interno della Striscia, stanno proseguendo a ritmo serrato e non ci sono motivi perché proprio adesso, avendo conseguito un grande successo, si debbano fermare, soprattutto a solo venti giorni dalle elezioni americane che potrebbero consegnare nuovamente la Casa Bianca a Donald Trump.
  Pochi mesi fa, a proposito dell’operazione militare a Gaza, Trump ha esortato Israele a “finish the job”, a completare il lavoro. È quello che Netanyahu si sta accingendo a fare.

(L'informale, 19 ottobre 2024)

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Netanyahu: “Questa guerra può finire domani, se Hamas depone le armi e restituisce i nostri ostaggi”

Il video-messaggio del primo ministro israeliano dopo l’uccisione di Sinwar

Un anno fa Yahya Sinwar, il capo terrorista di Hamas, ha lanciato il massacro del 7 ottobre contro Israele.
È stato l’attacco più sanguinoso contro il popolo ebraico dalla Shoah. È stato il peggior attacco allo stato ebraico dalla fondazione di Israele.
I terroristi di Sinwar hanno assassinato a sangue freddo 1.200 persone: anziani, sopravvissuti alla Shoah, bambini. Hanno brutalmente violentato donne. Hanno decapitato uomini. Hanno bruciato vivi bambini.
E hanno preso in ostaggio 251 donne, uomini e bambini nelle segrete di Gaza.
Oggi, la mente dietro quel giorno di pura malvagità non c’è più.
Yahya Sinwar è morto. È stato ucciso a Rafah dai coraggiosi soldati delle Forze di Difesa israeliane.
Questa non è la fine della guerra a Gaza, ma è l’inizio della fine.
Per la gente di Gaza, ho un messaggio semplice: questa guerra può finire domani. Può finire se Hamas depone le armi e restituisce i nostri ostaggi.
Hamas tiene 101 ostaggi a Gaza, che sono cittadini di 23 paesi: cittadini israeliani, ma cittadini di molti altri paesi.
Israele è impegnato a fare tutto ciò che è in suo potere per riportarli tutti a casa.
E Israele garantirà la sicurezza di tutti coloro che restituiranno i nostri ostaggi.
Ma per coloro che volessero fare del male ai nostri ostaggi, ho un altro messaggio: Israele vi darà la caccia e vi consegnerà alla giustizia”.
Ho anche un messaggio di speranza per i popoli di questa regione: l’asse del terrore costruito dall’Iran sta crollando davanti ai nostri occhi.
Nasrallah [capo di Hezbollah] non c’è più. Il suo vice Mohsen non c’è più. Haniyeh non c’è più. Deif non c’è più. Sinwar non c’è più.
Il regno del terrore che il regime iraniano ha imposto al suo stesso popolo e ai popoli di Iraq, Siria, Libano e Yemen: anche questo giungerà alla fine.
Tutti coloro che perseguono un futuro di prosperità e pace in Medio Oriente dovrebbero unirsi per costruire un futuro migliore.
Insieme, possiamo respingere le forze dell’oscurità e creare un futuro di luce e speranza per tutti noi.

(israelnet.it, 18 ottobre 2024)

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Il topo è morto!

Era solo questione di tempo prima che Yahya Sinwar venisse ucciso.
 
 di Aviel Schneider

GERUSALEMME - Mercoledì a mezzogiorno ho appreso da fonti fidate che Yahya Sinwar era stato ucciso dai soldati israeliani. Ho immediatamente controllato i media, ma non una parola nei media israeliani e stranieri, nemmeno nei numerosi canali Telegram a cui sono collegato. Dopo diverse telefonate con altre fonti nel Paese, ho deciso di diffondere la notizia della morte di Yahya Sinwar attraverso il canale Telegram di Israel Heute. Erano le 14.45 e stavo andando a una riunione di famiglia. Ho ricevuto le prime foto del suo corpo tra le macerie della Striscia di Gaza. All'inizio non ci era stato permesso di pubblicare la foto, ma dopo aver visto che alcuni canali mostravano il suo corpo in frantumi con il buco sulla fronte, abbiamo deciso di pubblicare la foto sul canale. Poco dopo, su richiesta della censura, l'abbiamo rimossa dal canale.
 Ci è voluta circa un'ora perché arrivassero le prime notizie sulla possibile uccisione dell'arci-terrorista Sinwar. Per tutto questo tempo sono stato in contatto con le fonti e, sebbene non ci fosse ancora una conferma ufficiale da parte del governo israeliano, era chiaro a me e a tutti noi che Sinwar si era unito ai suoi colleghi Ismail Haniya, Mohammed Deif, Hassan Nasrallah e a tutti gli altri nella famigerata lista dei leader terroristi. Solo alle 18 i media hanno annunciato ufficialmente che Sinwar era stato ucciso dai soldati israeliani.
 Non si è trattato di un'operazione pianificata, ma di una pura coincidenza. Un soldato della Brigata Bislach 828, nel sud della Striscia di Gaza, ha notato una persona sospetta in un edificio. Il soldato ha aperto il fuoco. I terroristi hanno risposto al fuoco, ferendo gravemente un soldato israeliano. Un drone ha individuato un totale di tre terroristi che cercavano di fuggire dall'edificio. I soldati hanno continuato a sparare contro i terroristi, che hanno cercato rifugio in due diversi edifici. Sinwar era solo in uno degli edifici e si nascondeva al secondo piano. L'edificio è stato colpito da un carro armato e da razzi.
 Un drone è stato poi inviato nell'edificio distrutto, dove ha scoperto una persona mascherata gravemente ferita. Il video del drone mostra la persona che cerca di abbattere il drone con un bastone. Questo è accaduto mercoledì sera.
 Durante la successiva ricerca nell'edificio, il corpo di Sinwar è stato infine scoperto tra le macerie. Lì hanno visto il “Joker Sinwar” con un grande buco in fronte. Proprio come nella storia biblica, quando Davide scaglia una pietra con la sua fionda e colpisce Golia in piena fronte. Golia cade a terra e Davide gli taglia la testa.
 L'arci-terrorista è stato trovato tra le macerie con un buco in fronte, e questo mi ricollega immediatamente alla misericordia dei medici israeliani nel 2004, quando Yahya Sinwar si trovava nella prigione israeliana. Sono stati i medici israeliani a salvare la vita di Sinwar in prigione 20 anni fa. “Il fatto di avergli salvato la vita è costato la vita a centinaia di bambini e anziani”, ha detto con le lacrime agli occhi il medico israeliano Yuval Biton, che all'epoca aveva in cura Sinwar. Che destino simbolico: Sinwar è morto a causa di una ferita alla testa, dove un ascesso cerebrale purulento era quasi scoppiato ed è stato operato dai medici israeliani.
 La domanda che sorge ora è: dove andremo a finire? L'attenzione si sta nuovamente concentrando sulla Striscia di Gaza e sulla possibilità di procedere con un accordo sugli ostaggi. Una mossa del genere potrebbe cambiare radicalmente la situazione. Non c'è nessuno che possa sostituire Yahya Sinwar in termini di intimidazione, leadership e potere. Pertanto, questa opportunità non deve essere persa. Dobbiamo usare tutti i mezzi militari e diplomatici per riportare a casa i 101 ostaggi. Come nel caso di Hezbollah, in Hamas c'è un vero e proprio vuoto che l'organizzazione non può colmare. Sinwar non ha avuto quasi nessun sostituto, i suoi più stretti collaboratori sono stati tutti uccisi. Anche figure di spicco all'estero, come Ismail Haniya, sono state eliminate. Sinwar era una figura molto dominante nella Striscia di Gaza e il vuoto che si lascia alle spalle è altrettanto grande.
 La situazione deve essere vista in un contesto più ampio, con i quattro fronti che l'Iran ha stabilito intorno a noi: Giudea e Samaria, Gaza, Libano, Huthi e Iraq. Le leadership di queste milizie terroristiche si stanno gradualmente disintegrando. Questo non significa che l'ideologia sia stata sconfitta o definitivamente distrutta, ma è un colpo morale e simbolico. Israele ha ancora dei fronti aperti, con la previsione di un attacco all'Iran e di operazioni in Libano e in altre aree non ancora finalizzate. Si tratta di una mossa tattica estremamente importante e resta da vedere se avrà anche implicazioni strategiche.
 L'uscita di Sinwar dal palcoscenico storico potrebbe essere uno sviluppo molto positivo. È una vera vittoria per Israele, soprattutto se il suo corpo è nelle nostre mani. Cosa hanno da dire i media palestinesi e Hamas in particolare? Abbiamo il suo corpo. È fantastico! Il miglior affare per un accordo sugli ostaggi. Hamas è sotto shock. È un evento davvero traumatico per loro e un'opportunità unica per Israele di ribaltare questo conflitto con saggezza, perché l'Iran sta perdendo una milizia terroristica dopo l'altra. I terroristi di Hamas che tengono i nostri ostaggi a Gaza devono ora decidere se deporre le armi, liberare gli ostaggi e vivere, o seguire Sinwar all'inferno. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha espresso sentimenti simili ieri sera.
 Nel suo discorso, il capo del governo israeliano ha elogiato i soldati israeliani per i loro instancabili sforzi in guerra: “Ora tutti nel Paese e nel mondo si rendono conto del perché abbiamo insistito nel non porre fine alla guerra. Perché, nonostante tutte le pressioni, abbiamo insistito nel distruggere Rafah, la roccaforte di Hamas dove si nascondevano Sinwar e molti dei principali terroristi. Vorrei esprimere il mio profondo apprezzamento per il lavoro determinato e coraggioso dei soldati dell'IDF, dello Shin Bet e dei loro comandanti. Non c'è nessuno migliore di loro. Oggi abbiamo dimostrato ancora una volta cosa succede a chi vuole fare del male a Israele. Oggi abbiamo mostrato ancora una volta al mondo la vittoria del bene sul male”.
 In conclusione, Netanyahu ha detto: “La guerra, amici miei, non è finita. È dura e richiede grandi sacrifici da parte nostra. Vorrei esprimere le mie più sentite condoglianze alle famiglie che hanno perso i loro cari. Voglio abbracciare le famiglie dei nostri eroi caduti. Il loro grande sacrificio, anche negli ultimi giorni, ci avvicina alla vittoria. Come dice il re Davide: “Ho inseguito i miei nemici, li ho superati e non mi sono voltato indietro finché non sono stati sconfitti” [2 Samuele 22:38, ndt]. Cittadini di Israele, siamo in una guerra di resurrezione. Ci attendono grandi sfide. Abbiamo bisogno di pazienza, unità, coraggio e fermezza. Insieme combatteremo e, con l'aiuto di Dio, insieme vinceremo”.
 A proposito: Israele sta combattendo il male da solo, eliminando un terrorista dopo l'altro. Non sarebbe bello se alcuni governi occidentali ringraziassero o almeno mostrassero il loro rispetto?

(Israel Heute, 18 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Cosa accade a Gaza dopo l’eliminazione di Yahia Sinwar

L'IDF elimina Sinwar, Comandante operativo di Hamas.

Israele dopo l’eliminazione di Sinwar non si può adagiare, come farebbe chiunque dopo un durissimo anno di guerra. 
Il primo motivo è duplice, il primo fondamentale da risolvere contro il tempo è trovare a qualsiasi condizione i 101 ostaggi Israeliani, catturati da Hamas e deportati a Gaza.
Il secondo è perché conosce esattamente l’origine del pensiero islamico di Hamas.
Se gli omicidi mirati fossero la soluzione risolutiva, la pseudo resistenza palestinese, sarebbe finita dopo l’assassinio di Ezz ad-Din Al-Ksam 90 anni fa.
Hamas come anche Hezbollah, agiscono secondo una mentalità e cultura che vede qualsiasi azione come volontà divina, almeno questo è ciò che predica ai propri appartenenti.
Si, esatto ogni miliziano è pronto alla morte per volontà divina.
La vita terrena, non ha valore per Hamas come per Hezbollah, questo spiega il motivo per cui la morte dei loro civili è vista come un passo necessario di un disegno supremo.
Ad un comandante morto, succedono altri comandanti, ad un miliziano morto, succedono altri 100 miliziani, tutti votati al martirio.
Queste le parole di un sermone di un comandante di Hamas:
“La resistenza continua. Un leader se ne va e un altro arriva, un’idea muore e un’altra nasce, il fuoco dei santi rimane costante e brilla verso il santo obiettivo di liberare la Palestina e alzare alta la bandiera di Allah, l’unico Dio. Questa è la nostra promessa e questa è il nostro patto eterno”.
Lo stato di Israele rispetto all’Occidente è stato più veloce nella cattura o eliminazione dei capi del terrorismo. In un anno si è sbarazzato di Nasrallah (Hezbollah) e Sinwar (Hamas), mentre al-Baghdadi del DAESH (ISIS) è vissuto quattro anni dopo i suoi crimini, e Bin Laden di al-Qaeda è vissuto addirittura 10 anni dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
C’è però una differenza, gli USA si sono sbarazzati di Bin Laden, senza mai mostrarlo o dicendo dove fosse sepolto. 
Mostrare Sinwar, in tenuta da combattimento lo rende un martire da emulare!
I Palestinesi e i sostenitori dell’asse finanziato dalla Repubblica Islamica dell’Iran,  vedono la morte di Sinwar in maniera diversa rispetto all’Occidente!
Per i Palestinesi Sinwar si è immolato per la causa, diventando martire, combattendo e non fuggendo, è percepito come un eroe che ha combattuto fino all’ultimo momento, anche se ferito.
Non è stato catturato, ma è morto sul campo.
I Palestinesi ripetono le parole di Sinwar, in cui dichiarava: "il dono più grande che Israele può farmi è morire per sua mano".

(Progetto Dreyfus, 18 ottobre 2024)

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Hezbollah annuncia un'escalation nel suo conflitto con Israele

Descrivendo le sue azioni come “resistenza islamica”, il partito promette che “sviluppi ed eventi saranno annunciati nei prossimi giorni”.

Giovedì sera Hezbollah ha dichiarato l'intenzione di intensificare le operazioni militari contro Israele. In una dichiarazione pubblicata su Telegram, l'organizzazione sciita libanese ha annunciato “una nuova fase di escalation nel confronto con il nemico israeliano”. Descrivendo le sue azioni come “resistenza islamica”, il partito ha promesso che “sviluppi ed eventi saranno annunciati nei prossimi giorni”. Questa decisione segue quelle che Hezbollah descrive come “direttive del comando della resistenza”.
  L'organizzazione terroristica sostiene di aver già inflitto “enormi perdite all'esercito israeliano in termini di equipaggiamento e personale, sulle linee di confronto dal fronte meridionale in Libano alle aree in cui ha una profonda presenza nella Palestina occupata”.
  Hezbollah riferisce di una consistente mobilitazione israeliana di fronte a questa minaccia: “Dall'inizio delle operazioni di terra, l'esercito israeliano ha mobilitato cinque brigate militari con più di 70.000 ufficiali e soldati, oltre a centinaia di carri armati e veicoli militari”. In risposta, il partito sciita ha affermato che “centinaia di combattenti della resistenza islamica sono pienamente preparati e pronti ad affrontare qualsiasi incursione di terra israeliana nei villaggi del Libano meridionale”.
  La dichiarazione fa anche riferimento a una recente intensificazione delle ostilità, menzionando che “l'inizio di questa settimana ha visto un'intensificazione degli eroici scontri condotti dai combattenti della resistenza islamica contro i soldati del nemico israeliano”. Hezbollah ha inoltre affermato di aver utilizzato “per la prima volta” missili a guida di precisione contro le forze israeliane.

(i24, 18 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Israele: «Abbiamo ucciso Mohammad Hussein Ramal, comandante di Hezbollah»

Sarebbe morto durante un attacco aereo diretto dalle truppe della 98esima Divisione.

TEL AVIV - L'Idf ha riferito di aver ucciso Mohammad Hussein Ramal, comandante di Hezbollah nell'area di Taybeh, in un attacco aereo nel Libano meridionale. Lo riporta il Times of Israel.
  Secondo l'esercito israeliano, Ramal era responsabile della pianificazione e dell'esecuzione di attività terroristiche contro Israele ed è stato ucciso nell'attacco aereo diretto dalle truppe della 98esima Divisione. Nello stesso momento, le truppe della 7a Brigata corazzata hanno localizzato e distrutto diversi lanciarazzi pronti per il lancio verso il nord di Israele, afferma l'esercito.
  Il portavoce dell'Idf, il contrammiraglio Daniel Hagari, aveva detto in precedenza che Israele stava attivamente cercando Muhammad Sinwar, fratello del leader di Hamas assassinato, e tutti i comandanti militari di Hamas.
  Durante la presentazione del video girato da un drone che riprende gli ultimi momenti di vita del leader di Hamas, Hagari aveva confermato che l'Idf "lo ha identificato come terrorista in un edificio" e che non sapeva che fosse Sinwar. "Abbiamo sparato all'edificio e siamo entrati per cercarlo. Lo abbiamo trovato con un giubbotto antiproiettile e una pistola e 40.000 NIS". Sinwar apparentemente si muoveva nei tunnel della zona da un po' di tempo, aveva detto Hagari. Probabilmente stava tentando di "scappare a nord, in zone più sicure" mentre l'Idf si avvicinava. "Stava scappando di casa in casa, lo abbiamo identificato come terrorista, ci siamo avvicinati e lo abbiamo eliminato".

(TIO, 18 ottobre 2024)

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Quelli che Sinwar ti amiamo, non lasceremo che tu muoia

“Hamas, ti amiamo”. Dalle piazze ai campus, il macellaio di Hamas era l’eroe delle folle antisemite occidentali.

di Giulio Meotti

ROMA - “Yahya Sinwar aveva trovato l’arma con cui sconfiggere gli ebrei e manipolare il mondo: la morte dei suoi stessi connazionali. Invita gli ebrei a uccidere il suo popolo e gli israeliani non possono sottrarsi nella lotta contro Hamas. Sinwar sapeva come stremare gli ebrei, ricattarli e metterli gli uni contro gli altri”. Così ha scritto il romanziere olandese Leon de Winter, figlio di sopravvissuti alla Shoah, in un articolo per la Neue Zürcher Zeitung. Sinwar aveva trovato anche un modo per conquistare cuori e menti di un pezzo di occidente. Per loro non era il “macellaio di Khan Younis”, che uccise una dozzina di “collaborazionisti” d’Israele con la kefiah o seppellendoli vivi, ma una sorta di idolo inconfessabile, come Ismail Haniyeh, per i giornali italiani “il figlio di pescatori”. E’ la “primavera di Sinwar” di cui parla lo storico del nazismo Jeffrey Herf. Il volto di Sinwar non era una presenza soltanto a Sana’a o a Teheran. Ai primi di settembre, il volto di Sinwar adornava le bandiere di una grande manifestazione antisraeliana a New York, assieme a quello del capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Ahmad Saadat. Dietro la folla pro Sinwar non soltanto Samidoun, il movimento islamico, ma anche gruppi di studenti americani. Come quello che alla Columbia ha organizzato l’accampamento a primavera e che ha elogiato l’“Alluvione al Aqsa”, il nome scelto da Sinwar per il 7 ottobre. Alla Columbia, un ragazzo biondo stava in piedi con un cartello che recitava “Il prossimo obiettivo di Al Qassam” con una freccia che indicava il piccolo gruppo di studenti ebrei che stava tenendo una contro manifestazione alle sue spalle.
  Altro che macellaio, per i folli occidentali Sinwar era una specie di eroe inconfessabile.
  A Seattle, lo slogan pro Sinwar è stato: “I prigionieri di ieri sono i leader di domani” (Sinwar è stato diciotto anni nelle carceri israeliane). A Malmö, in Svezia, i manifestanti hanno marciato (con Greta Thunberg) gridando “Sinwar non ti lasceremo morire”. Ci mancava soltanto una felpa con la faccia di Sinwar in vendita su Amazon assieme a quella “Gays for Gaza”.
  Fra gli slogan gridati alla Columbia University ci sono: “Radere al suolo Tel Aviv” e “Hamas, ti amiamo”. Un sondaggio Harvard-Harris ha rilevato che il 51 per cento degli americani tra i 18 e i 24 anni vuole “l’abolizione di Israele e la sua consegna Hamas”.
  I dimostranti all’Hunter College di New York hanno mostrato simboli di Hamas e Hezbollah e brandito un ritratto di Sinwar. Dal memoriale della Shoah di Parigi alla porta di casa della direttrice del Brooklyn Museum, Anne Pasternak, gli attivisti hanno adottato il triangolo rosso rovesciato, usato dalle brigate di Hamas per indicare gli obiettivi militari.
  Una specie di svastica politicamente corretta. E molti commentatori ed editorialisti occidentali hanno accostato il nome di Sinwar a quello di Benjamin Netanyahu, a insinuare che gli ostaggi erano ostaggi di entrambi, che pari sono.
  Se Israele non lo avesse eliminato e se Sinwar fosse uscito da Gaza con un accordo con Gerusalemme, il leader di Hamas sarebbe finito come Marwan Barghouti, l’architetto della Seconda Intifada scambiato per un Mandela dai giornali italiani, cinque ergastoli da scontare in Israele e che in Francia, in cittadine come Valenton, si è visto persino intitolare un “viale Marwan Barghouti”.“Deputato palestinese, resistente, arbitrariamente imprigionato in Israele”. Allora forse Sinwar avrebbe potuto uscire dai tunnel di Gaza, liberare gli ostaggi e andare a insegnare alla Columbia University. Titolo del corso: “Contestualizzare i pogrom”. Non sarebbe stato meno assurdo di “Decolonial-Queerness & Abolition” insegnato da uno degli accademici del campus di New York che aveva detto: “Io sto con Hamas”.

Il Foglio, 18 ottobre 2024)

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Quando Cossiga accusava l'Unifìl (e Prodi)

L'ex presidente della Repubblica accusò il governo Prodi e la missione Unifil di collusione con Hezbollah. In un'intervista a un giornale israeliano e in due interrogazioni del 2008 puntò il dito: «Si chiude un occhio sulle armi per evitare attentati».

di Claudio Antonelli

Romano Prodi e Arturo Parisi in Libano nel 2006
Francesco Cossiga picconava. Di solito con forza. Piaceva o non piaceva. Ma le cose le sapeva. E arrivava dritto al punto. Così, pure sulla questione mediorientale e nello specifico della nostra presenza militare in Libano dopo la ormai celebre risoluzione 1701 dell'Onu, quella che ha dato origine a Unifil. Era il 3 ottobre del 2008, mancavano quattro anni alla sua morte, e Cossiga decideva di rilasciare un'intervista a Menachem Gantz, l'allora corrispondente a Roma del celebre giornale Yediot Aharonot. Il titolo è secco: «Vi abbiamo venduti». Vi sta per «voi israeliani» e «voi ebrei». Il sottotitolo ancora più forte. Lo chiamavano «L'Accordo Moro» e la formula era semplice: l'Italia non si intromette negli affari dei palestinesi, che in cambio non toccano obiettivi italiani. «Tuttavia, ora si scopre che gli ebrei erano esclusi dall'equazione», aggiungeva l'ex presidente, spiegando come le autorità di Roma avrebbero collaborato con le organizzazioni terroristiche negli Anni Ottanta.
  Ma le picconate dell'intervista non finivano lì. Anzi, arrivavano a toccare un tema ora molto caldo. «Oggi (nel 2008, ndr) c'è un accordo analogo con Hezbollah in Libano», sparava Cossiga, entrando anche un po' nel dettaglio. «Le forze di Unifil sarebbero invitate a circolare liberamente nel Sud del Libano, senza temere per la propria incolumità, in cambio di un occhio chiuso e della possibilità di riarmarsi data a Hezbollah», sintetizzava l'ex presidente. «L'Accordo Moro non mi fu mai esposto in maniera chiara, ne ho solo ipotizzato l'esistenza. Nel caso di Hezbollah posso affermare con certezza che esiste un accordo tra le parti», chiudeva il discorso Cossiga, «Se verranno a interrogarmi, deporrò davanti ai giudici che trattasi di segreti dello Stato, e io non sono tenuto a rivelare le mie fonti».
Due interrogazioni del 2008 di Francesco Cossiga
Una sparata? In realtà quelle accuse sono state anche oggetto di ben due interrogazioni parlamentari messe nero su bianco dallo stesso Cossiga, in qualità di senatore. Una a maggio e l'altra a settembre del 2008, un mese prima dell'intervista rilasciata a Yediot. E pochi mesi dopo il passaggio di consegne tra il governo di Romano Prodi e quello di Silvio Berlusconi. «Al ministro della Difesa», iniziava come da rito la prima interrogazione, «Si chiede di sapere: se sia a conoscenza del fatto che le unità italiane Unifil in Libano, a motivo delle istruzioni impartitegli dal precedente governo ed eseguite con chiaro spirito antisraeliano, hanno agevolato il riarmo dei commandos terroristi Hezbollah da parte di Iran e Siria». Il governo precedente, lo ribadiamo, era quello di Prodi, caduto a gennaio del 2008.
  Non contento però l'ex presidente dopo l'estate torna sul tema. Il 2 settembre deposita la seconda interrogazione.
  Qui si fa riferimento al periodo di intensa guerra civile che ha portato alla caduta del governo Siniora sostituito dal cosiddetto esecutivo di unità nazionale che alla fine ha permesso a Hezbollah di circolare in Libano e riarmarsi senza freno. Cossiga punta il dito anche contro il comandante di Unifil dell'epoca, oltre che sul governo Prodi, sostenendo che la «missione Unifil e in particolare il contingente italiano» sarebbe stato «una forza determinante per il massiccio riarmo delle forze militari del movimento degli Hezbollah». Stesso concetto di maggio e dell'intervista al giornale israeliano. Concetto rimarcato da un interrogativo inquietante. Si chiede se le disposizioni verso Unifil siano «per caso l' espressione di un nuovo Lodo segreto ‘Tizio-Caio-Mevio-Sempronio, dopo il Lodo Moro recentemente svelato dal portavoce del riaffermatosi Fronte popolare per la liberazione della Palestina e confermato da un altissimo magistrato con dovizia di particolari, per tutelare la vita dei nostri militari in quel teatro e anche in altri, e per assicurare la "pax islamico-radicale" nei confronti della popolazione italiana mettendola al riparo da attacchi terroristici». Così termina l'interrogazione che, tanto quanto quella del maggio 2008, non ha mai ricevuto alcuna risposta.
  Se si accede agli atti del Senato, come ha fatto La Verità si vede chiaramente che lo stato dell'iter dell'interrogazione è verde con la dicitura «in corso». Perché la pratica non è mai stata chiusa. Eppure oggi sarebbe più che mai attuale. Andrebbero tirate fuori le due interrogazioni e messe innanzitutto sotto il naso di Prodi, quello che «d'estate andavamo nei kibbutz, ma questo non è più la nostra Israele», salvo poi condannare senza se e senza ma l'invasione del Libano da parte dell'Idf dopo aver sostanzialmente taciuto di fronte ai 16.000 razzi sparati da Hezbollah sul Nord di Israele. Sarebbe interessante avere qualche risposta. Forse aiuterebbe a capire perché i caschi blu non si sono mai accorti dei tunnel costruiti dalle milizie a due passi dalle basi Onu e non hanno mai minimamente pensato che la costruzioni di rampe di lancio, tutte dirette a Sud, potessero poi essere utilizzate contro i cittadini ebrei che vivono oltre confine. D'altronde una difficile previsione da fare e non espressamente richiesta dalla risoluzione 1701.

(La Verità, 18 ottobre 2024)

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Le guerre che Israele combatte anche per noi

Quando l’interesse per Israele è soltanto amore di sé. Quando Israele  è visto come il custode del “mondo libero”- Quando invece di porre questioni di verità e giustizia, invece pensare al bene di Israele come popolo e nazione, si pensa sopra ogni cosa al mantenimento della propria occidentale “libertà”. Un falso amore per Israele. Riportiamo questo editoriale del giornale "Il Foglio" con l'aggiunta di un risalto in colore. NsI

Una morte non si festeggia, neppure se questa riguarda un uomo che era un assassino, un terrorista e un criminale. Una morte non si festeggia, e non lo faremo neanche oggi, oggi che uno dei capi di Hamas è stato ucciso da Israele. Una morte non si festeggia ma ciò che si può dire dopo l’uccisione di Yahya Sinwar, il capo dei capi di Hamas, il terrorista che ha gestito le operazioni nella Striscia di Gaza, e che ieri è stato ucciso a Rafah, dove gli occhi del mondo si sono posati per settimane per descrivere la tragedia di Gaza e dove gli occhi del mondo dovrebbero posarsi anche oggi per descrivere il senso di liberazione che potrebbero provare i civili utilizzati per mesi come scudi umani dai terroristi, è che ancora una volta Israele fa per la sicurezza del mondo libero quello che il mondo libero spesso non ha il coraggio di fare per proteggere se stesso. Israele elimina terroristi che oltre a colpire Israele colpiscono anche gli alleati di Israele: Sinwar era stato nominato a luglio capo di Hamas al posto di Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran, e prima di Haniyeh sono stati uccisi anche gli altri capi di Hamas (Mohammed Deif, Marwan Issa, Saleh al Arouri) e altri capi di Hezbollah (Hassan Nasrallah, Fuad Shukr, Ali Karaki, Hashim Safi al Din e Ibrahim Aqil). Israele combatte contro i terroristi di Hezbollah il cui allontanamento dai confini di Israele dovrebbe essere una priorità non solo di Israele ma anche dei paesi che sostengono la missione Unifil (vedi la risoluzione 1701 del 2006). Israele indebolisce l’Iran, che oltre a colpire Israele colpisce con disinvoltura anche gli amici di Israele (a gennaio gli Stati Uniti hanno reso pubblici i nomi dei tre soldati americani uccisi in un attacco con droni in Giordania, che Washington ha attribuito alle forze sostenute dall’Iran). Israele combatte contro il fondamentalismo islamista (che oltre che colpire Israele colpisce tutti coloro che agli occhi degli integralisti al soldo dell’Iran rientrano nella categoria degli infedeli). Mesi fa, Gilles Kepel, gran politologo e arabista francese, ha offerto uno spunto di riflessione più attuale che mai per ragionare su quello che, nel disinteresse dell’opinione pubblica mondiale, Israele fa per proteggere il mondo libero. Ha ricordato che Israele si è assunto la responsabilità di fare il lavoro sporco al posto nostro. Ha ricordato che fare il lavoro sporco significa liberare dalla scena del medio oriente attori come Hamas e Hezbollah che tranne in qualche università americana, dove i terroristi islamisti vengono ancora salutati come partigiani per la libertà, nessuno rimpiangerà. Ha ricordato che anche i paesi arabi, anche quelli che denunciano ogni giorno il martirio di Gaza, guardano con favore alla distruzione dell’asse della resistenza, paesi come l’Arabia Saudita, paesi come gli Emirati, paesi come l’Egitto, perché da qui passa il ridimensionamento regionale dell’Iran e perché da qui passa una prospettiva di pace realistica. Di fronte alla morte di Sinwar non si può festeggiare. Ma si può fare qualcosa di più utile: ricordare semplicemente che chi ha a cuore la difesa della pace deve capire che la lotta di Israele contro i terroristi islamisti aiuta a rendere più sicuri non solo i confini di Israele ma anche quelli delle nostre democrazie.

Il Foglio, 18 ottobre 2024)
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”Sicurezza del mondo libero … integralisti al soldo dell’Iran … proteggere il mondo libero … Israele che fa  il lavoro sporco al posto nostro ... prospettiva di pace realistica ... la difesa della pace, " ma in un giornale che vuol essere intellettuale si può accettare che in momento come questo venga fuori un editoriale così piattamente ideologico e pieno di luoghi comuni? M.C.

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Sinwar è morto!

Yahya Sinwar era tra i terroristi uccisi nella Striscia di Gaza. Un test del DNA lo ha confermato.

GERUSALEMME - Israele ha finalmente catturato l'arci-terrorista Yaya Sinwar.
L'esercito israeliano ha recentemente pubblicato un messaggio drammatico. Secondo la notizia, tre terroristi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza durante un'operazione delle forze IDF. Si stava indagando se Yahya Sinwar, leader di Hamas, fosse tra gli uccisi.
L'identità di uno dei corpi è stata ora ricondotta al leader di Hamas Sinwar.
Nell'edificio in cui sono stati neutralizzati i terroristi non sono state trovate prove della presenza di rapiti. Le forze israeliane dell'IDF e dello Shin Bet continuano le loro operazioni nella regione con la massima cautela.
Israel Heute è stato il primo a darne notizia nei Paesi di lingua tedesca sul suo canale Telegram.
Maggiori informazioni non appena ci saranno ulteriori informazioni.

(Israel Heute, 17 ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Netanyahu invitato al Kibbutz Nir Oz per la prima volta dal pogrom del 7 ottobre

Secondo il presidente della comunità, che ha perso un quarto dei suoi membri, la visita, prevista per il secondo giorno di lutto nazionale, potrebbe ripristinare la fiducia nei capi di Stato

Il Kibbutz Nir Oz ha invitato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu a visitare la comunità devastata per la prima volta da quando, il 7 ottobre, un quarto dei suoi residenti sono stati uccisi o rapiti dal gruppo terroristico palestinese Hamas, mentre le forze di sicurezza israeliane sono rimaste assenti per lunghe ore.
In una lettera datata martedì, la presidentessa del kibbutz, Osnat Peri, il cui marito Chaim Peri è stato preso in ostaggio nella Striscia di Gaza il 7 ottobre ed è morto per mano dei suoi rapitori, ha invitato il Primo Ministro a visitare Nir Oz nel secondo giorno di lutto nazionale stabilito dal governo per commemorare il massacro del 7 ottobre 2023.
“Per noi non esiste un giorno di lutto nazionale”, ha scritto Peri. Il giorno del pogrom, “quando nessuno è venuto in nostro aiuto, continua ancora oggi”, ha scritto, notando che 29 membri del kibbutz sono ancora tenuti in ostaggio a Gaza.
Se il governo manterrà comunque il giorno di lutto, Netanyahu è stato invitato a celebrarlo a Nir Oz, scrive Peri, aggiungendo che una tale visita aiuterebbe a ripristinare la fiducia dei kibbutzim nella classe dirigente nazionale.
Domenica, il gabinetto ha approvato un secondo giorno di lutto nazionale per il massacro del 7 ottobre, che si terrà il 26 e 27 ottobre, secondo il calendario ebraico. In rottura con l'usanza israeliana, il primo giorno di lutto si è tenuto nell'anniversario gregoriano del massacro.
Netanyahu è stato criticato per non aver visitato alcune delle comunità di confine più duramente colpite dal pogrom, compiuto da migliaia di terroristi guidati da Hamas nel sud di Israele, durante il quale uccisero più di 1.200 persone e presero 251 ostaggi, per lo più civili, in atti di rara brutalità e accompagnati da aggressioni sessuali.
Il 7 ottobre 2023, 117 dei 400 residenti di Nir Oz sono stati uccisi o rapiti. Le forze di sicurezza hanno raggiunto la città solo sette ore dopo l'inizio del massacro.
Con solo sette delle 220 case di Nir Oz intatte, la maggior parte delle famiglie del kibbutz non ha ancora potuto fare ritorno alle proprie abitazioni.

(Times of Israël, 17 ottobre 2024)

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Il disastro italiano in Libano e le accuse a Israele

di Giovanni Giacalone

I recenti incidenti che hanno coinvolto i complessi UNIFIL nel Libano meridionale hanno provocato una serie di proteste da parte delle Nazioni Unite e dei governi europei che hanno truppe di mantenimento della pace nella zona, in particolare Italia, Spagna e Francia.
L’UNIFIL ha affermato che l’esercito israeliano ha “deliberatamente” colpito diverse delle sue postazioni, tra cui il quartiere generale di Naqoura. Almeno cinque soldati UNIFIL sono rimasti leggermente feriti. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il rifiuto di evacuare i soldati UNIFIL li rende ostaggi di Hezbollah e li mette in pericolo”, aggiungendo che l’IDF sta facendo tutto il possibile per prevenire tali incidenti. Tuttavia, il modo più semplice e ovvio per garantire che ciò non avvenga è semplicemente di portarli fuori dalla zona di pericolo”. Netanyahu ha anche affermato che i leader europei dovrebbero criticare Hezbollah, non Israele, per avere utilizzato l’UNIFIL alla stregua di uno “scudo umano”.
L’Italia attualmente detiene in Libano 1.068 soldati a supporto della missione UNIFIL; la Spagna 676 soldati e la Francia 673, diventando così i tre paesi dell’UE con la più grande presenza militare nell’area, come riportato dal sito web UNIFIL.

• LE DICHIARAZIONI PROVENIENTI DALLA DIFESA ITALIANA
  Poco dopo il primo incidente, quando il 10 ottobre due caschi blu indonesiani furono leggermente feriti dal fuoco israeliano, il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, accusò immediatamente Israele dicendo che gli attacchi “potrebbero costituire crimini di guerra”, e chiese spiegazioni perché “non si è trattato di un errore”.
Crosetto ha descritto la “sparatoria” come “intollerabile”, presentando proteste alla sua controparte israeliana e all’ambasciatore di Israele in Italia. Ha anche aggiunto: “La mia intenzione è quella di fare prevalere spazi di pace, di non fare passare l’idea che possa esserci una guerra continua”. Inoltre, Crosetto ha affermato che “l’Italia non prende ordini da Israele”.
Tali dichiarazioni sono sembrate piuttosto irascibili e impulsive sia nei tempi che nei contenuti. La misura più appropriata sarebbe stata quella di chiedere chiarimenti al governo israeliano e analizzare l’episodio in dettaglio prima di formulare accuse.
In effetti, un ministro della Difesa ha il dovere di difendere le proprie truppe, ma con i modi, le procedure, i mezzi e i tempi appropriati. Inoltre, Israele non è un nemico dell’Italia. Il governo israeliano ha immediatamente aperto un’indagine sulla questione, e non avrebbe motivo di non fornire spiegazioni.
Infatti, poco dopo è arrivata la risposta dell’ambasciata israeliana a Roma:

    “Israele apprezza l’assistenza dei paesi donatori dell’UNIFIL, in particolare l’Italia, e li ringrazia per i loro sforzi per prevenire un’escalation nella nostra regione. Dall’8 ottobre, Hezbollah ha lanciato migliaia di razzi contro Israele e decine di migliaia di cittadini israeliani sono stati costretti a evacuare le loro case nel nord. Sfortunatamente, Hezbollah sta cercando di nascondersi vicino alle basi dell’UNIFIL e Israele ha già scoperto tunnel e depositi di armi in prossimità di quell’area. Israele ha ripetutamente raccomandato all’esercito italiano dell’UNIFIL di ritirare parte delle sue forze dall’area per motivi di sicurezza, ma sfortunatamente questa richiesta è stata respinta. Israele sta indagando sull’incidente molto attentamente e continuerà a fare ogni sforzo per non danneggiare le forze ONU e le persone non coinvolte nel conflitto in corso con Hezbollah”.

L’ambasciata israeliana ha poi rilasciato una seconda dichiarazione:

    “Purtroppo, l’organizzazione terroristica Hezbollah ha installato indisturbato le sue capacità militari vicino alle basi UNIFIL. Da qualche tempo, Hezbollah attacca Israele operando vicino a queste basi, sparando nel territorio israeliano e scavando tunnel vicino alle suddette basi per trascinare Israele in qualche provocazione. Israele è costretto a rispondere a questi attacchi, per proteggere le sue forze e la sicurezza dei suoi cittadini. Israele ribadisce di non essere interessato a un’escalation in Libano, ma è obbligato a proteggere i suoi cittadini in conformità con il diritto internazionale. Come promesso, Israele ha aperto un’indagine sugli ultimi casi e ne trasmetterà i risultati in modo trasparente alla sua controparte in Italia. A questo proposito, l’addetto militare israeliano incontrerà oggi i vertici dell’esercito italiano, per illustrare i dettagli dell’indagine. Israele agisce in modo trasparente e in stretta cooperazione con l’Italia e con le forze UNIFIL che operano sul terreno, e si rammarica di qualsiasi danno alle Nazioni Unite e alle forze non coinvolte. Israele apprezza gli sforzi dell’Italia per prevenire l’escalation nelle nostre aree e il suo contributo a UNIFIL. La comunità internazionale deve esigere il disarmo e il ritiro delle forze di Hezbollah in conformità con la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite”.

Il 13 ottobre, il comandante italiano dell’UNIFIL, generale Stefano Messina, commentando il fuoco israeliano sulle posizioni dell’UNIFIL, ha dichiarato:

    “Gli errori, se sono errori, sono chiaramente possibili ma dovrebbero essere evitati…”

Messina ha inoltre definito Hezbollah “una milizia e un partito politico” aggiungendo che “Israele sta cercando di ridurre la presenza di Hezbollah”.
Il Generale ha concluso dicendo: “Siamo gli occhi e le orecchie della comunità internazionale e saremo qui finché ci verrà chiesto di farlo, con orgoglio e determinazione”.
Il 17 ottobre, durante un’audizione al Senato in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre, il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni ha dichiarato che dopo l’inizio delle operazioni israeliane a Gaza, il governo italiano ha sospeso la spedizione di qualsiasi forma di armamento a Israele: tutti i contratti firmati dopo il 7 ottobre 2023 non sono stati applicati. Meloni ha aggiunto che tutti i contratti precedenti a quella data sono stati analizzati caso per caso dall’Uama (Unità per l’autorizzazione dei materiali di armamento), l’autorità competente presso il Ministero degli Affari Esteri. Il Primo Ministro italiano ha aggiunto: “Laddove ci sia il rischio che questo materiale possa essere utilizzato nell’attuale crisi, non procederemo… Questo è il modo in cui l’Italia sta procedendo, e credo che sia un modo molto serio di procedere”.
Riguardo all’offensiva israeliana contro la base ONU, Meloni ha affermato:

    “L’atteggiamento delle forze israeliane è del tutto ingiustificato e costituisce una chiara violazione della risoluzione 1701 dell’ONU. Dobbiamo lavorare per la piena attuazione della risoluzione, rafforzando la piena capacità di Unifil e delle Forze armate libanesi”.

• GLI INTERESSI ITALIANI IN LIBANO
  Il 17 ottobre, il Consigliere Strategico del Governo degli Stati Uniti, Edward Luttwak, che vanta una lunga esperienza e una conoscenza approfondita delle questioni politiche e istituzionali italiane, ha pubblicato su Twitter:

    “Mi dispiace che il Primo Ministro (italiano) difenda l’UNIFIL, che avrebbe dovuto tenere Hezbollah lontano dal confine israeliano e non ha mai fatto nulla mentre i comandanti successivi venivano promossi. Gli israeliani hanno trovato molti bunker d’assalto a pochi metri dalle posizioni dell’UNIFIL”.

Questo è davvero un tema centrale. È inutile che il premier Giorgia Meloni, il ministro della Difesa italiano Crosetto e il generale Messina parlino di “violazione della risoluzione 1701”, di “creazione di spazi di pace” e di “essere gli occhi e le orecchie della comunità internazionale”, quando Hezbollah ha fatto propaganda con le sue basi e i suoi depositi di armi in tutto il Libano meridionale, costruendo infrastrutture proprio accanto alle basi UNIFIL e persino sotto di esse.
Quegli “occhi e orecchie” devono essere stati ciechi e sordi. Dov’erano Meloni e Crosetto quando Hezbollah martellava i centri urbani israeliani nel nord con i suoi razzi? E i 60.000 israeliani sfollati che vogliono tornare a casa, ma non possono perché l’UNIFIL non ha fatto ciò per cui viene pagata?
Secondo fonti italiane, lo stipendio base per un soldato in missione all’estero è di circa 3.500 euro al mese. Più anni di servizio all’estero o gradi superiori, come ufficiali, ricevono fino a 7.800 euro al mese. Oltre allo stipendio, bisogna considerare la logistica, il consumo di carburante e munizioni, la manutenzione dei veicoli, il cibo e l’assistenza sanitaria per i soldati. Il costo complessivo è di circa 1.708 milioni di euro all’anno per il 2023.
Quanto all’affermazione di Crosetto secondo cui “l’Italia non prende ordini da Israele”, ha ragione. Tuttavia, qualche domanda può essere fatta, considerando quanto affermato dal Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, nell’aprile 2024 durante la trasmissione televisiva “Stasera Italia” su Rete 4, in seguito al primo attacco missilistico dell’Iran contro Israele:

    “Gli iraniani ci hanno assicurato che i nostri soldati italiani nella zona saranno rispettati… Il contingente italiano in Libano è sotto l’egida dell’ONU, è in condizioni di essere protetto, non credo ci siano pericoli né per i soldati italiani né per i cittadini italiani in Israele e Iran”. Quanto agli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, il ministro ha spiegato come gli sia stato assicurato che “saranno attaccate solo le navi che portano armi in Israele”. (Agi, 14 apr 2024).

Non si può biasimare il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per aver chiesto alle truppe UNIFIL di andarsene, perché è evidente che non sono riuscite a fare ciò che avrebbero dovuto fare, ovvero mantenere la pace e tenere Hezbollah lontano dal confine tra Israele e Libano.

• ALCUNE GRAVI CONTROVERSIE ITALIANE SUL LIBANO E GLI EBREI
A proposito dell’attività italiana/UNIFIL in Libano, vale la pena ricordare quanto disse Francesco Cossiga (primo ministro della Repubblica dal 1979 al 1980 e presidente della Repubblica dal 1985 al 1992) in una lunga intervista al quotidiano israeliano Yediot Aharonot, come riportato dal sito Focus on Israel in un articolo del 2008 intitolato “Cossiga agli ebrei italiani: vi abbiamo tradito”:
“L’Italia, secondo lui, sta attuando oggi un accordo simile con Hezbollah. Le forze UNIFIL sarebbero invitate a muoversi liberamente nel Libano meridionale, senza timore per la loro sicurezza, in cambio di un occhio chiuso e della possibilità di riarmo data a Hezbollah. “L’accordo Moro non mi è mai stato spiegato chiaramente, ne ho solo ipotizzato l’esistenza. Nel caso di Hezbollah posso affermare con certezza che c’è un accordo tra le parti”, afferma con sicurezza Cossiga, “Se verranno a interrogarmi, testimonierò davanti ai giudici che si tratta di segreti di Stato, e non sono tenuto a rivelare le mie fonti”.

• PURTROPPO L’INTERVISTA DI COSSIGA NON TROVÒ MOLTO SPAZIO SUI MEDIA ITALIANI.
  E, poiché la discussione si è spostata al primo decennio del 2000, vale la pena ricordare anche quanto affermato dall’attuale ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, nel settembre 2005, quando ricopriva l’incarico di responsabile del credito per il partito Forza Italia di Berlusconi.
Crosetto aveva parlato di un piano ordito dalla “Massoneria ebraica e americana che era già alle porte” per mettere le mani sulle banche italiane dopo aver cacciato il governatore filocattolico della Banca d’Italia Antonio Fazio. La dichiarazione aveva suscitato una dura condanna da parte dell’allora presidente delle comunità ebraiche italiane, Amos Luzzato, che aveva citato una rinascita dei “fantasmi degli anni Trenta fascisti”, come riportato all’epoca dal quotidiano italiano Corriere della Sera.
In conclusione, gli incidenti UNIFIL hanno portato alla luce una serie di situazioni che fino a oggi erano passate inosservate o forse tollerate, non denunciate. Le dinamiche sul campo sono però radicalmente cambiate e, nonostante paesi come Italia, Spagna e Francia insistano sulla retorica del “rispettare la missione UNIFIL”, è ormai chiaro che si è trattato di un fallimento totale. Non si tratta solo di non essere riusciti a salvaguardare la pace, ma anche di aver permesso a Hezbollah di diffondersi nell’area costruendo postazioni annesse alle basi UNIFIL. Possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Cosa facevano i soldati tutto il giorno?
Quanto emerso finora è probabilmente solo la punta dell’iceberg e, con l’avanzata delle IDF in Libano, molto di più rischia di venire alla luce.
L’Italia deve anche decidere se Hezbollah è una “milizia” e un partito politico, o un’organizzazione terroristica e un proxy iraniano che sta destabilizzando il Libano. La linea politica del “correre con la lepre e cacciare con il segugio” non sarà più un’opzione.

(L'informale, 17 ottobre 2024)

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«Sono fuggiti tutti»

di Micol Flammini

Israele avrebbe deciso cosa colpire per rispondere all’attacco della Repubblica islamica dell’Iran, ora è questione di tempo e anche il giorno sarebbe stato stabilito. Teheran ha fatto sapere che è pronto a rispondere. In una telefonata con il segretario generale dell’Onu, António Guterres, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha avvertito: “Pur compiendo tutti gli sforzi possibili per proteggere la pace e la sicurezza della regione, l’Iran è pienamente pronto a una risposta decisa a qualsiasi avventura” da parte di Israele. I progetti iraniani nella regione sono ormai noti e hanno poco a che fare con la pace, come dimostra la situazione in Libano, dove la guerra tra Israele e Hezbollah va avanti con le bombe, l’altra notte è stata colpita di nuovo Beirut, e con la caccia fino all’ultimo tunnel, da dove i soldati stanno tirando fuori alcuni membri delle forze Radwan. L’esercito israeliano ha rivelato di aver catturato tre combattenti e di uno ha mostrato gli spezzoni di un interrogatorio. Il miliziano si chiama Wadah Kamal Yunis, è stato catturato dall’Unità 504, anche conosciuta come “il Mossad di Tsahal”, si tratta di un’unità speciale di intelligence che opera dentro all’esercito israeliano. Gli uomini portati in Israele per l’interrogatorio, incluso Yunis, hanno raccontato lo stato di dispersione di Hezbollah e la fuga di molti funzionari dopo l’uccisione di Hassan Nasrallah. Yunis racconta che i suoi comandanti sono scomparsi, ha poi attaccato le forze Radwan definendo i suoi membri: “Persone con scarsi princìpi religiosi, che si sono arruolate per farsi pagare e sono fuggite per paura delle forze israeliane”. Questo punto è importante, perché Yunis ritrae le forze Radwan non come uomini fedeli all’ideologia, fieri ingranaggi dell’“asse della resistenza” che l’Iran ha imbastito per attaccare Israele, ma come disoccupati pronti a combattere per soldi. Yunis ha raccontato che Hezbollah era arrivato a controllare la maggior parte dei villaggi del sud, tranne quelli cristiani, e fa il ritratto di un gruppo allo sbando, i cui vertici sono fuggiti e i sottoposti rimangono nascosti nei tunnel. Si tratta di un interrogatorio con una telecamera, sono state mostrate le dichiarazioni che fanno comodo per la battaglia dell’informazione.
  Le dichiarazioni di Yunis vanno calate nel contesto di un combattente catturato dall’esercito nemico, ma raccontano una situazione opposta rispetto a quella prospettata da Naim Qassem, il reggente di Hezbollah che non vuole diventare leader, ma che ogni settimana, da ormai tre settimane, lancia messaggi a Israele e al mondo. Qassem ha parlato martedì, ha detto che Hezbollah non lascia la battaglia, non è disorganizzato e un leader verrà scelto al momento giusto. Ha contraddetto il messaggio che aveva lanciato la scorsa settimana, quando aveva ammesso di essere pronto ad accettare un cessate il fuoco separato dalla situazione a Gaza e riaffermato la sua solidarietà a Hamas. Qassem non dà un’immagine di forza, non è carismatico, parla da una stanza buia, è confuso sulla strategia. Ieri Israele ha colpito Nabatieh, una città nel sud del Libano, durante l’attacco è stato colpito il municipio, dove si trovava il sindaco con altri funzionari. Tsahal aveva lanciato un ordine di evacuazione, ma il sindaco aveva detto alla stampa che sarebbe rimasto, nonostante Nabatieh sia considerata una delle roccaforti di Hezbollah. Il numero delle vittime in Libano, secondo le autorità libanesi, è di oltre duemila persone, secondo Israele più di novecentosessanta sono membri di Hezbollah. Lo stato ebraico ha detto di essere intenzionato a combattere fino a quando il gruppo armato non si sarà ritirato al di là del fiume Leonte, come stabilito dalla risoluzione 1701 dell’Onu. Ieri la Forze di interposizione Unifil, sul posto per sorvegliare il rispetto della risoluzione, hanno riferito che nella postazione di Kafer Kela un carro armato israeliano ha colpito una torre di guardia. Per il momento non ci sono immagini, né dichiarazioni da parte di Tsahal.

Il Foglio, 17 ottobre 2024)

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Nazioni Unite al terrorismo

Il sostegno materiale: avrebbero dato 1,3 miliardi di dollari in contanti ad Hamas, presumibilmente per le armi. La corruzione e il pregiudizio hanno ridotto l’Onu ad essere irrilevante.

di Con Coughlin 

Le accuse secondo cui le Nazioni Unite avrebbero finanziato l’infrastruttura terroristica di Hamas trasferendo all’organizzazione 1,3 miliardi di dollari, parte dei quali sono stati impiegati per finanziare l’acquisto di armi utilizzate negli attacchi del 7 ottobre dello scorso anno, non faranno che rafforzare l’opinione secondo cui l’Onu non è più adatta a svolgere il ruolo per il quale era stata originariamente concepita.
Una causa intentata presso la Corte federale degli Stati Uniti dalle vittime degli attacchi di Hamas del 7 ottobre muove pesanti accuse all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati palestinesi (Unrwa), accusandola di essere coinvolta nell’organizzazione di un’operazione di riciclaggio di denaro su larga scala da cui ha tratto vantaggio l’organizzazione terroristica.
La tesi è che ingenti quantità di aiuti umanitari destinati agli abitanti di Gaza sarebbero stati dirottati verso Hamas.
Secondo Gavriel Mairone, l’avvocato che rappresenta i querelanti, queste sconcertanti accuse dimostrano che, per più di un decennio, la rete di distribuzione degli aiuti dell’Unrwa è stata coinvolta in frodi e corruzione diffuse. L’azione legale sostiene che questo schema non solo ha arricchito Hamas, ma ha anche finanziato il terrorismo, svolgendo un ruolo fondamentale negli attacchi del 7 ottobre.
Intervenendo a un evento organizzato dal Jerusalem Press Club all’inizio di quest'anno, Mairone ha spiegato come speciali furgoni blindati abbiano trasportato milioni di dollari in contanti a Gaza.
Alcuni dei pagamenti in contanti effettuati ai trafficanti di armi risalgono a prima del 2018. Dopo questa data, il Qatar ha iniziato a trasferire 10 milioni di dollari al mese in contanti e l’Unrwa ha aggiunto altri 20 milioni di dollari, costituendo due terzi del flusso di denaro.
Un elemento chiave della causa patrocinata da Gavriel Mairone è che, mentre l’Autorità Palestinese paga i suoi dipendenti di Gaza tramite bonifici bancari, i pagamenti ad Hamas sono stati effettuati in contanti, il che solleva interrogativi sul perché fossero necessari sistemi di pagamento diversi.
“Dunque, la domanda è perché in questa sede si utilizza il denaro contante (dollari, ndr) e in tutte le altre sedi si usa la valuta locale?”, ha chiesto Mairone.
La causa intentata dalle vittime degli attacchi del 7 ottobre aumenterà ulteriormente la pressione a cui è sottoposta l’Onu in merito alla sua risposta agli attacchi e alle accuse di pregiudizio anti-israeliano.
Come minimo, le accuse mosse nei confronti dell’Unrwa evidenziano l’urgente necessità di una vigilanza e di meccanismi efficaci per prevenire l’uso improprio dei fondi umanitari, salvaguardando così l’integrità delle operazioni di aiuto e il benessere delle popolazioni vulnerabili.
La posizione dell’Onu come arbitro indipendente negli affari mondiali ha già raggiunto il minimo storico a causa della sua associazione con Hamas e della palese politica anti-israeliana adottata dopo gli attacchi del 7 ottobre dello scorso anno, quando i terroristi di Hamas uccisero 1.200 persone, prendendole in ostaggio altre 251.
La prima prova schiacciante della complicità delle Nazioni Unite nella peggiore atrocità terroristica commessa nella storia di Israele è emersa dopo che l’esercito israeliano aveva segnalato che 450 dipendenti dell’Unrwa erano “agenti militari di Hamas e di altri gruppi armati” e aveva condiviso queste informazioni con l’Onu.
“Più di 450 dipendenti dell’Unrwa sono agenti militari di gruppi terroristici a Gaza. Questa non è una mera coincidenza. È sistematico. Non si può affermare che ‘non lo sapevamo’”, ha dichiarato il portavoce dell’Idf Daniel Hagari.
La rivelazione del coinvolgimento di dipendenti delle Nazioni Unite nella pianificazione del barbaro assalto ha spinto molti governi occidentali, tra cui Stati Uniti e Regno Unito, a congelare le loro donazioni, sebbene alcune di queste restrizioni siano state successivamente allentate da alcuni leader occidentali in seguito alle pressioni degli attivisti di estrema Sinistra filo-palestinesi.
Il clamore suscitato dalla richiesta di riattivare l’erogazione di aiuti all’Unrwa ha spinto la Casa Bianca a confermare il mese scorso il suo sostegno alla ripresa dei finanziamenti all’agenzia delle Nazioni Unite, a condizione che vengano attuate misure di responsabilità adeguate.
Questo in seguito all’introduzione di una nuova legislazione da parte dei progressisti della Camera per riavviare le forniture di denaro all’Unrwa. Lo scorso anno, il Congresso Usa ha approvato una legge che impedisce all’agenzia di ricevere finanziamenti fino a marzo 2025.
Il consigliere per le comunicazioni sulla sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha confermato che gli Stati Uniti, in linea di principio, continuano a sostenere il ripristino dei fondi.
“Alla luce del fatto che la crisi a Gaza è ancora in corso e del ruolo essenziale che l’Unrwa svolge nella distribuzione di assistenza salvavita, continuiamo a sostenere il finanziamento dell’Unrwa, con le opportune salvaguardie, con misure di trasparenza e di responsabilità”, ha dichiarato Kirby.
Più di recente, la capacità di gruppi terroristici dichiarati fuorilegge come Hamas e Hezbollah di infiltrarsi nei ranghi dell’Onu è stata messa a nudo quando si è scoperto che un alto comandante di Hamas, ucciso in un attacco aereo israeliano in Libano il mese scorso, lavorava come insegnante delle Nazioni Unite.
Sono stati sollevati ulteriori dubbi sulla credibilità dell’Onu nel suo ruolo di entità indipendente in seguito agli attacchi del 7 ottobre, a causa del palese pregiudizio anti-israeliano dimostrato dall’ampia storia di ingiusta denigrazione di Israele da parte delle Nazioni Unite, nonché dai precedenti del segretario generale dell’Onu António Guterres.
Il dossier di “crimini delle Nazioni Unite contro l’umanità” e di demonizzazione di Israele è piuttosto corposo, ma si può dare un’occhiata quiquiqui, qui, quiqui. Le persistenti critiche rivolte a Israele da Guterres, ex primo ministro socialista del Portogallo, hanno spinto lo Stato ebraico a prendere la decisione senza precedenti di vietare al capo delle Nazioni Unite di visitare il Paese.
Nell’annunciare il divieto, il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha dichiarato Guterres persona non grata, definendolo “un segretario generale anti-Israele che sostiene i terroristi” per aver apparentemente giustificato il terrorismo quando ha affermato che l’attacco immotivato sferrato contro Israele il 7 ottobre 2023 “non è avvenuto nel vuoto”.
L’azione israeliana è senz’altro molto imbarazzante per un’organizzazione come l’Onu, che non è estranea alle polemiche.
Nel 2002, le Nazioni Unite furono coinvolte nello scandalo “sesso in cambio di cibo”. Un rapporto di 84 pagine ha confermato che l’Onu sapeva da 16 anni che gli operatori di oltre 40 organizzazioni in Africa consegnavano cibo ai bambini in cambio di sesso.
Un anno dopo, nel 2003, in seguito alla guerra in Iraq, Kofi Annan, allora Segretario generale delle Nazioni Unite, venne duramente criticato per il ruolo da lui svolto nel consentire al dittatore iracheno Saddam Hussein di gestire un’operazione di contrabbando di petrolio altamente redditizia per sostenere il suo regime al potere.
In seguito allo sconvolgente rapporto delle Nazioni Unite sullo scandalo della corruzione in Iraq, l’agenzia ha dichiarato che avrebbe avviato una riforma radicale per assicurarsi di essere immune da pratiche corrotte.
Il crescente scandalo sul coinvolgimento dell’organismo con Hamas, insieme al suo pregiudizio anti-israeliano, indica che non è stata avviata alcuna riforma e che l’intera organizzazione non è più adatta allo scopo.
L’ex consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti John Bolton fece notizia all’epoca dello scandalo iracheno affermando che, se fossero stati rimossi i primi dieci piani della sede centrale dell’organizzazione a New York, nessuno avrebbe notato la differenza.
Un’idea migliore, visti i recenti risultati pessimi ottenuti dall’organismo nella gestione del Medio Oriente, sarebbe quella di demolire l’intera infrastruttura di questo organismo corrotto e istituzionalmente fazioso.

(Gatestone Institute, 17 ottobre 2024 - trad. di Angelita La Spada)

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Quegli ebrei ormai soli al Ghetto nel giorno più tragico di Roma

L'anniversario della deportazione di oltre mille ebrei romani cade in un clima di tensione mista a imbarazzante silenzio. Le celebrazioni di ricordo sono tutte interne alla Comunità ebraica romana. Tutte blindate. E tutte a partecipazione ridotta, altroché scolaresche e solidarietà diffusa. Quello è ormai solo un ricordo. Il 16 ottobre del 1943 è stato il sette ottobre degli ebrei romani. Era uno shabbat, una giornata di festa anche allora, come fu il sette ottobre in Israele. A Roma vennero i nazisti, in Israele era Hamas. All'alba di quel 16 ottobre 1943 le SS naziste, con la collaborazione dei fascisti, entrano nel ghetto ebraico di Roma arrestando e deportando oltre mille persone tra uomini, donne e bambini. L'anniversario non è esattamente privo di polemiche, né di timori. Perché, se gli anni scorsi le manifestazioni per il ricordo di quella ignominia – i cortei sul lungotevere, le fiaccolate in piazza, le assemblee nelle scuole – erano numerose e partecipate, a un anno dall'incalzare della più imponente campagna antisemita dopo la Shoah, la situazione è sensibilmente diversa.    
 Sono trascorsi venti giorni dalla manifestazione con cui i Propal hanno esposto sui cartelli, accusandoli di essere «agenti sionisti», i volti di Riccardo Pacifici, ex presidente degli ebrei romani, e della senatrice a vita Liliana Segre. E solo dieci giorni fa un'altra manifestazione filopalestinese non organizzata ha portato al ferimento di ventiquattro agenti di polizia, a Porta San Paolo. In questo clima, le celebrazioni si fanno ristrette. Ieri, una piccola cerimonia alla stazione Tiburtina. Non erano presenti autorità. Davanti alla Sinagoga il Rabbino capo, Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità Ebraica romana, Victor Fadlun, il sindaco Roberto Gualtieri e per la Regione Lazio l'assessore all'inclusione sociale Maselli. Oggi, a concludere, tre deposizioni di corone: a largo 16 ottobre, a Palazzo Salviati e una al cimitero del Verano. Tutto a carico della Comunità ebraica romana. La politica è la grande assente. Le università non si mobilitano. Il mondo della cultura è distratto, gli intellettuali afoni. Certo, Rai Cultura metterà in onda su Rai Storia un documentario con Paolo Mieli, ma non proprio nelle ore di punta: alle 9 del mattino e alle 14,15. Insomma, qualcosa si fa, perché si deve. Ma il minimo sindacale, e par di capire, controvoglia.    
 «Questo di oggi è un 16 ottobre terribilmente amaro per gli ebrei romani e italiani», dice Fiamma Nirenstein. «Il sette ottobre in Israele è stato il 16 ottobre per Roma. Hamas voleva dare la caccia agli ebrei. Farne pulizia etnica. L'incontro micidiale che c'è stato tra l'ideologia woke e la grande presenza islamica che c'è in Italia e in Europa crea un cocktail esplosivo e mortale». Anche il presidente della Comunità ebraica romana, Victor Fadlun, avverte: «Quel 16 ottobre non arrivò all'improvviso. Era stato preceduto da anni di martellante campagna antiebraica». Il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni: «Quello che è successo in quegli anni - ha detto - è un ammonimento per tanti aspetti in particolare anche pensando a una nazione pacifica e piena di umanità come l'Italia», come una nazione possa «trasformarsi in una macchina di odio e di morte».

(EVENTI, 16 ottobre 2024)

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16 ottobre – Fadlun: Popolo ebraico di nuovo costretto a difendersi

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Iniziò all’alba del 16 ottobre 1943 il rastrellamento nazifascista degli ebrei romani. Come ogni anno, nell’anniversario, lo shofar ha dato anche stamane il via a commemorazioni e testimonianze. Alle cinque del mattino, l’ora in cui le SS iniziarono a muoversi tra le strade del Portico d’Ottavia, una piccola folla si è raccolta davanti all’ingresso della scuola ebraica per sentire il corno rituale suonato da rav Alberto Funaro e ascoltare alcune riflessioni del rabbino Ariel Di Porto.
  Nel corso della mattinata è avvenuta la deposizione delle corone in ricordo delle vittime della razzia, alla presenza tra gli altri del rabbino capo Riccardo Di Segni, del presidente della Comunità ebraica Victor Fadlun, dell’ambasciatore israeliano designato Jonathan Peled, del sindaco Roberto Gualtieri e del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca.
  Centinaia di persone hanno preso parte la sera prima alla tradizionale iniziativa congiunta per il 16 ottobre organizzata da Comunità di Sant’Egidio e Comunità ebraica. Sul palco, accanto a istituzioni comunitarie e pubbliche, sono saliti anche il fondatore dell’organizzazione cattolica Andrea Riccardi e monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino. «Difendere gli ebrei vivi significa anche riconoscere e combattere ogni ambiguità» ha affermato Gualtieri nel denunciare il «rigurgito orribile di odio antiebraico» in corso nella società italiana e collegato alla crisi in Medio Oriente. Nulla, ha aggiunto, «potrà mai giustificare l’antisemitismo, la messa in discussione del diritto di Israele a esistere».
  In precedenza Fadlun aveva sottolineato come il popolo ebraico, a 80 anni dalla Shoah, sia oggi di nuovo costretto «a difendersi da intenti genocidi e di sterminio». Mentre il rabbino Di Segni aveva espresso «stupore» di fronte al riemergere «di sentimenti di ostilità antiebraica» nell’opinione pubblica. Il rav ha lanciato comunque un messaggio di speranza, con l’obiettivo di «ricostruire fratture» e per un futuro «di serenità e pace». a.s.

(moked, 16 ottobre 2024)

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Hezbollah nascondeva armi strategiche in mezzo ai civili a Beirut

L'IDF ha colpito un importante deposito di armi strategiche nascosto in mezzo alle abitazioni civili a Beirut

A conferma che Hezbollah usa i civili come scudi umani a difesa dei suoi centri operativi e dei suoi depositi di armi anche nella capitale libanese, l’IDF ha emesso un comunicato nel quale si spiega che l’attacco aereo che questa mattina ha preso di mira il sobborgo di Dahiyeh, nel sud di Beirut, aveva come obiettivo un grosso deposito sotterraneo di armi strategiche di Hezbollah.
L’attacco è stato guidato da agenti segreti presenti sul posto ed è stato anticipato da un ordine di sgombero emesso dall’IDF con l’intento di limitare le vittime civili. L’uso di armi di precisione ha completato le misure prese dall’IDF per non colpire civili innocenti.
Ieri l’IDF ha eliminato decine di terroristi di Hezbollah in combattimenti ravvicinati nel sud del Libano. Attacchi aerei hanno preso di mira depositi di armi sotterranei mentre l’esercito ha mostrato nuovamente l’enorme numero di armi presenti in bunker sotterranei costruiti in prossimità del confine con Israele.

(Rights Reporter, 16 ottobre 2024)

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